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LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di laurea quadriennale in Scienze della Formazione primaria I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE UN APPROCCIO LABORATORIALE ALLA GRAMMATICA DEL TESTO Relatore presentata da Prof. Silvia Dal Negro Maria Cristina Curzi Parole chiave: connettivi, linguistica testuale, competenza comunicativa, riflessione grammaticale Sessione invernale Anno accademico 2012/2013

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LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO

FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

Corso di laurea quadriennale in

Scienze della Formazione primaria

I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE

UN APPROCCIO LABORATORIALE ALLA GRAMMATICA DEL TESTO

Relatore presentata da

Prof. Silvia Dal Negro Maria Cristina Curzi

Parole chiave: connettivi, linguistica testuale, competenza comunicativa, riflessione grammaticale

Sessione invernale Anno accademico 2012/2013

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 5

CAPITOLO I

IL SIGNIFICATO CONDIVISO pag. 13

I.1 La prospettiva cognitiva sul significato pag. 13

I.2 La narrazione pag. 16

I.3 La narrazione nel linguaggio infantile pag. 18

I.4 La narrazione nell’acquisizione del linguaggio pag. 20

I.5 la linguistica testuale pag. 24

CAPITOLO II

COSTRUIRE LA COESIONE pag. 29

II.1 C’era una volta un testo pag. 29

II.2 Il testo coeso pag. 32

II.3 Le ragioni della coesione pag. 36

CAPITOLO III

CONNETTIVI:

UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA

pag. 41

III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale pag. 41

III.2 I connettivi nei dizionari pag. 48

III.3 I connettivi nelle grammatiche di

consultazione

pag. 53

III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso? pag. 58

CAPITOLO IV

I CONNETTIVI NELLE STRATEGIE

DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE

pag. 62

IV.1 I connettivi nel testo infantile pag. 62

IV.2 Connettivi e competenza testuale pag. 66

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IV.3 La comprensione del testo scritto pag. 72

CAPITOLO V

ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE pag. 78

V.1 Descrizione della prova svolta in classe pag. 78

V.2 Criteri di scelta dei testi pag. 81

V.3 Descrizione dei connettivi pag. 85

V.4 Analisi dei risultati pag. 89

V.5 Riflessioni conclusive sui risultati pag. 92

CONCLUSIONI

pag. 102

BIBLIOGRAFIA

pag. 105

APPENDICE

pag. 111

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INTRODUZIONE

Se si prendono in mano i testi scolastici per l’insegnamento

dell’italiano, la prima osservazione che si impone riguarda la

divisione netta tra la cosiddetta grammatica e l’antologia di testi. La

riflessione sulla lingua si articola in due momenti ritenuti

indispensabili, ma separati: un aspetto prescrittivo, riferito alle

strutture morfosintattiche, e un aspetto interpretativo, incentrato

sull’analisi di diversi generi letterari. Completamente diversi anche

gli strumenti di lavoro proposti agli alunni: nello studio della

grammatica si incontrano frasi avulse dal contesto, inventate

appositamente per esemplificare i concetti teorici esposti, mentre

l’approccio al testo si avvale del rapporto diretto con brani tratti

dalla letteratura per l’infanzia o dalla tradizione letteraria. La frase

da un lato e il testo dall’altro sembrano essere due elementi

linguistici separati ed oggetto di discipline diverse.

Per secoli l’oggetto di riferimento nello studio della lingua è stata la

frase, ossia un modello teorico di enunciato che esprime una forma

sintattica completa (Altieri Biagi, 1985). Il grammatico si occupava

di individuare la struttura interna delle parole (morfologia) e le

possibili combinazioni nella frase (sintassi). La valutazione della

correttezza linguistica dipendeva dall’appropriatezza delle strutture

morfosintattiche e dalle scelte lessicali in relazione ad un modello di

lingua definito a priori. Il riferimento teorico era una concezione

statica di lingua, in cui le parole sono classificate come oggetti

naturali. Le grammatiche tradizionali presentavano dunque una serie

di categorie e di possibili paradigmi, che venivano trasmessi agli

alunni attraverso un insegnamento di tipo normativo (De Mauro,

2009).

Nel Novecento gli studi sulla lingua sono stati notevolmente ampliati

da diverse discipline, quali la linguistica, la psicologia, la sociologia,

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l’antropologia, la filosofia del linguaggio, che hanno aperto

innumerevoli prospettive teoriche confluite poi in settori ben

delineati. Ogni diversa visuale ha imposto la consapevolezza

condivisa che la lingua non possa essere compresa appieno

limitando lo studio alle singole frasi, ma soltanto all’interno di una

più ampia riflessione sulla comunicazione.

Negli studi teorici hanno acquisito rilevanza gli elementi procedurali

che definiscono il funzionamento di una lingua e il rapporto tra la

lingua e il contesto. In particolare l’approccio descrittivo dei teorici

strutturalisti o funzionalisti ha focalizzato l’attenzione sulle regolarità

interne alla lingua, ricavabili da fatti osservati e generalizzati.

L’approccio costruttivista, invece, ha studiato i processi attraverso i

quali l’uomo inventa il significato della lingua all’interno di un

ambiente culturalmente determinato e attraverso relazioni sociali

significative. Le due concezioni non sono in conflitto tra loro, perché

entrambe sono fondate sull’analisi delle operazioni linguistiche, che

sostituiscono gli stati della grammatica tradizionale (Cambiaghi,

1997).

Il modello elaborato dai linguisti, dunque, cerca di spiegare la

produzione linguistica del parlante in un contesto reale,

destrutturandola in una serie di livelli contenenti sistemi di regole.

L’apparato morfosintattico è soltanto uno dei livelli della lingua a cui

si affiancano le componenti fonologiche, grafemiche, lessicali,

testuali e pragmatiche. Per utilizzare la lingua in modo da agire sul

contesto, il parlante deve essere in grado di gestirne ogni livello,

padroneggiando abilità diverse. La capacità di agire in tal senso è

definita competenza linguistica (Balboni, 1994).

Il problema del rapporto tra la linguistica teorica e la didattica delle

lingue diventa centrale nell’infuocato dibattito sull’educazione

linguistica degli anni ’70. De Mauro (1977) in particolare denunciava

la mancanza di testi scolastici ispirati ai principi della linguistica. La

didattica avrebbe dovuto prendere in considerazione l’ordine

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gerarchico stabilito dagli studi teorici per ricostruire un nuovo

sistema di insegnamento basato su criteri funzionali. L’assenza di

tale prospettiva era attribuita dall’autore alla mancanza di una

grammatica teorica di riferimento che offrisse una descrizione

strutturale dell’italiano. Un’altra causa fondamentale era la scarsa

preparazione dei docenti di italiano nei campi della linguistica, della

glottologia e della semantica.

Gli anni ’80 videro un’intensa sperimentazione che portò allo

sviluppo di molteplici proposte didattiche ispirate ai nuovi sistemi

teorici. Per ricordarne almeno due tra quelle che hanno avuto una

vasta eco nei corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti,

si possono ricordare gli itinerari proposti da Maria Luisa Altieri Biagi

(1987) e Isabella Poggi (1989), ispirati il primo alla linguistica

funzionalista e il secondo alla grammatica razionale.

Tuttavia le ipotesi formulate in ambito teorico hanno avuto un

impatto limitato sull’insegnamento. Sobrero (1996) ha analizzato

alcune tra le grammatiche più adottate nelle scuole italiane,

arrivando ad una conclusione deludente. I testi hanno aggiunto alla

parte descrittiva che analizza la morfologia e la sintassi, numerose

nozioni di sociolinguistica e di pragmatica, ma l’impostazione

tradizionale mantiene il ruolo predominante e non si presta ad

essere integrata in un modello descrittivo organico. I testi si limitano

ad aggregare nuovi contenuti, in modo che gli insegnanti possano

selezionare gli argomenti in base alle loro preferenze, senza

proporre una scelta esplicita tra le diverse teorie.

Un risultato analogo emerge da una ricerca finalizzata a verificare

come la scuola concepisca la riflessione sulla lingua (Fiorentino et

al., 2009). L’indagine prende in esame sia l’opinione dei docenti,

attraverso un questionario, sia l’analisi di alcune grammatiche

scolastiche. Dei testi si afferma che, pur presentando alcuni concetti

tratti dalle più recenti teorie linguistiche, hanno mantenuto i modelli

tradizionali di analisi delle categorie grammaticali con notevoli

incongruenze. La grammatica è affrontata in modo astratto, senza

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riferimenti ad un modello glottodidattico coerente. Le conoscenze

relative restano imprigionate in esercizi creati appositamente, ma

non sono trasferite ad altri contesti.

Anche se basate su ricerche limitate, le posizioni ora presentate

confermano che la grammatica nei testi scolastici è ancora intesa

come un insieme di norme da apprendere attraverso lo studio

mnemonico e l’esecuzione di esercizi meccanici appositamente

elaborati. Si preferisce mantenere una rigida distinzione tra l’analisi

delle forme morfologiche e sintattiche e la riflessione sulla lingua nel

suo complesso, pur riconoscendo gli apporti fondamentali dati dalla

linguistica in tal senso. Una tale impostazione presenta forti limiti,

tra i quali due sembrano estremamente negativi per il processo di

apprendimento.

In primo luogo si preferisce un procedimento induttivo dalla regola

all’applicazione, negando la valenza del ruolo attivo dell’alunno sia

per la costruzione di processi cognitivi di ristrutturazione delle

conoscenze sia per la creazione di una motivazione intrinseca. Il

modello normativo non lascia spazio alla formulazione di ipotesi, alla

sperimentazione e all’uso creativo, ponendosi al di fuori delle

indicazioni didattiche suggerite dalla ricerca teorica e dalla

legislazione. A tal proposito, però, bisogna tener presente che la

progettazione di una didattica efficace non è delegata in nessun caso

al libro di testo, ma dipende essenzialmente dalla programmazione

del docente. Di conseguenza la diffusione di testi tradizionali non

dimostra necessariamente l’assenza di pratiche basate su un

approccio sperimentale.

Il secondo elemento di rischio insito nell’impostazione tradizionale

dipende dal ruolo prevalente dell’analisi morfologica e sintattica

nell’insegnamento della grammatica, che relega le altre dimensioni

della lingua ad un ruolo marginale, riducendole spesso ad un

insieme di nozioni a cui non sono collegate esercitazioni pratiche. La

riflessione grammaticale rischia di essere un momento a sé,

separato dall’acquisizione della competenza linguistica, quasi a

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suggerire che non esista relazione tra la consapevolezza delle norme

linguistiche e l’acquisizione delle abilità di ricezione e produzione

della lingua.

La questione può essere affrontata da due prospettive diverse.

Innanzitutto ci si può chiedere se la competenza metalinguistica,

che deriva dalla conoscenza delle strutture grammaticali, migliori le

prestazioni linguistiche. La risposta non è incoraggiante: le ricerche

non sembrano dimostrare una ricaduta positiva dello studio della

grammatica formale sulle abilità linguistiche di base (ascoltare,

parlare, leggere e scrivere). Se tali conclusioni si rivelassero

definitive, la riflessione sulle strutture formali della lingua avrebbe

valore solo in quanto esercizio di capacità cognitive di osservazione

e astrazione (Lo Duca, 2004).

La stessa domanda può essere però ribaltata in una seconda

prospettiva: è necessaria la conoscenza dei fenomeni linguistici per

una comunicazione verbale o scritta efficace? Così formulato il

problema non ammette che un’unica risposta. La capacità di

comprendere o produrre messaggi implica la conoscenza dei

meccanismi attraverso cui la lingua esprime i significati, gli scopi, i

destinatari. Tra questi ogni aspetto (fonologico, morfosintattico,

lessicale, testuale, pragmatico) riveste un’importanza fondamentale

per la comprensione. Soltanto la conoscenza razionale delle diverse

modalità con cui la lingua può esprimere funzioni diverse permette

di interagire in un contesto reale (Colombo, 1984).

La necessità della riflessione linguistica risulta evidente proprio nelle

scelte imposte dalla comunicazione, anche le più semplici. Pertanto

la discussione sull’insegnamento della grammatica, ha gradualmente

introdotto nuovi temi relativi ai contenuti da privilegiare. Se

l’attenzione è concentrata solo sulle componenti morfosintattiche si

trascurano molti aspetti della lingua, altrettanto necessari. Inoltre

anche le caratteristiche della struttura della frase risultano

sicuramente più comprensibili quando sono riferite a situazioni

comunicative reali. Per comprendere come le forme linguistiche

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rispondano a precise esigenze comunicative, non è sufficiente uno

studio meccanico delle regole, ma occorre lavorare su enunciati

estratti da situazioni significative. Per tale ragione, la frase come

unico ambito di analisi, è uno spazio troppo ristretto, mentre il testo

(orale o scritto) garantisce la possibilità di esplorare la relazione tra

il significato ricercato e la forma scelta dal parlante.

Il testo infatti è un macroatto linguistico, in cui sono espressi atti di

composizione, atti di riferimento, atti di focalizzazione informativa

(Ferrari, 2009). Questi richiedono un complesso di abilità che

utilizzano le conoscenze sul sistema linguistico. Nella produzione e

nella comprensione si integrano dunque abilità procedurali e

conoscenze dichiarative, nella manifestazione di una competenza

altrimenti non valutabile. In conclusione, una didattica che vuole

sviluppare la competenza linguistica lavora necessariamente sui

testi, ponendosi l’obiettivo di utilizzare le conoscenze morfologiche,

sintattiche e lessicali in un compito di lettura o scrittura.

Mettere il testo al centro della riflessione linguistica permette di

costruire un processo didattico centrato sull’alunno e mediato

dall’insegnante. Al tradizionale insegnamento normativo della

grammatica, che prevede la presentazione di una “regola”, seguita

da esercizi applicativi, si sostituisce un lavoro attivo su materiali

linguistici reali, attraverso i quali ricostruire i meccanismi di

funzionamento della lingua con un ragionamento induttivo (Brugè,

2000). L’approccio descritto risponde alle caratteristiche di una

didattica epistemologicamente fondata perché l’alunno si avvicina

alla disciplina, appropriandosi gradualmente non solo dei nuclei

concettuali fondamentali, ma anche del metodo scientifico che le è

proprio. Di conseguenza, l’interiorizzazione delle regole avviene

attraverso un processo di osservazione, di generalizzazione, di

raccolta dei dati e di ricerca di principi generali che possano essere

sottoposti a validazione.

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Lo scopo di questo lavoro è quello di confrontare alcuni degli studi

più recenti sulla testualità con le grammatiche di consultazione, al

fine di ricavare un modello di interpretazione utile per spiegare le

carenze degli alunni nella competenza testuale1. Innanzitutto si

procede a presentare la definizione di testo nelle sue caratteristiche

fondamentali, con particolare attenzione alla coesione, ovvero il

modo in cui le diverse parti sono legate tra loro attraverso relazioni

di tipo grammaticali, perché questa proprietà rappresenta l’anello di

congiunzione tra la comprensione del significato complessivo e le

scelte linguistiche che la esprimono. Si procede poi alla definizione

di un argomento, i connettivi, che hanno la funzione di assicurare o

migliorare la coesione del testo, garantendo i rapporti logici e

sintattici tra le varie parti (Serianni, 2003), allo scopo di esaminare

come sia trattato negli studi linguistici e nelle grammatiche più

diffuse.

La scelta di studiare la coesione nasce dalla costatazione che la

produzione scritta degli alunni è particolarmente carente sotto

questo aspetto (Ellero, 1986; Bertocchi, 1991; Lo Duca, 2003;

Serianni, 2010). Anche le prove di comprensione a cui sono

sottoposti gli alunni nell’ambito del servizio nazionale di valutazione

per l’italiano e la matematica somministrate dall’Istituto Nazionale

per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e di

formazione rilevano l’incapacità di riconoscere ed interpretare

adeguatamente i segnali coesivi nei testi (Bertocchi, 2010).

Allo scopo di condurre un’analisi dettagliata, si è scelto di focalizzare

l’attenzione sui connettivi, in quanto nella categoria rientrano

elementi linguistici, come congiunzioni e avverbi, che sono

ampiamente trattati nella grammatica tradizionale, ma che, per

1 “Per competenza pragmatico-testuale relativa alla lettura si intende la capacità di ricostruire, a partire dalla lettera del testo e da conoscenze ”enciclopediche”, l’insieme di significati che il testo veicola, assieme al modo in cui essi sono veicolati: in altri termini, l’organizzazione logico concettuale e formale del testo stesso, in rapporto comunque con il contesto” (INVALSI, 2011: 5).

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essere compresi, necessitano di essere esaminati in relazione alla

funzione svolta rispetto al testo e non solo all’interno della frase.

Dall’analisi teorica, si passa successivamente all’esame di una prova

proposta agli alunni di due classi dell’ultimo anno della scuola

primaria, nella quale è stata analizzata la capacità di riconoscere il

ruolo svolto dai connettivi nel testo. L’ipotesi da verificare è se la

presenza di un connettivo faciliti o meno il riconoscimento delle

relazioni tra le proposizioni. Sulla base di alcuni studi sulla

comprensione del testo (Kintsch e van Dijk, 1978), si parte dal

presupposto che la capacità di riconoscere i legami coesivi sia un

indice dell’adeguata comprensione della struttura complessiva in cui

sono articolati i diversi concetti espressi. Lo studio delle difficoltà

incontrate dai ragazzi aiuta, dunque, a comprendere meglio un

aspetto fondamentale della competenza testuale, ovvero la capacità

di cogliere la rete strutturale dei significati veicolati da un testo e i

meccanismi linguistici attraverso i quali la rete è stata intessuta.

L’osservazione delle competenze linguistiche dell’alunno, fondata su

rigorosi modelli teorici, permette di valutare criticamente le scelte

didattiche nell’insegnamento della lingua, con l’ottica di promuovere

un apprendimento attivo e consapevole.

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CAPITOLO I

IL SIGNIFICATO CONDIVISO

I.1. La prospettiva cognitiva sul significato

La visione della lingua è stata modificata profondamente dagli studi

sulla comunicazione che hanno introdotto il concetto di “codice”,

come un sistema complesso di trasformazione delle informazioni

condiviso tra trasmittente e ricevente. Il codice è composto da

segni, in cui si combinano un elemento percepibile attraverso i sensi

(significante) e il suo aspetto intelligibile (significato). Tra i segni

assumono una rilevanza particolare nella storia umana i simboli,

ovvero segni dal significato arbitrario. La lingua è un codice

linguistico che seleziona un insieme limitato di simboli lessicali,

costituiti da componenti fonetiche e grammaticali. I suoni che

compongono le parole e le parole stesse hanno innumerevoli varianti

contestuali e situazionali, che possono essere riconosciute in modo

univoco dal decifratore soltanto grazie ai modelli della propria

comunità linguistica (Jakobson, 2012).

Il carattere duplice del segno ha rivoluzionato la linguistica

imponendo di considerare il rapporto tra forma e significato ad ogni

livello, dal fonema al testo. Contemporaneamente è emerso appieno

come non sia possibile alcuna riflessione sul senso delle parole che

non tenga in considerazione il contesto in cui è emesso il messaggio.

Il linguaggio come sistema non può essere compreso se è

considerato un codice indipendente dalla comunicazione effettiva. La

definizione dei processi di codificazione e decodificazione ha

costretto i linguisti ad accettare il fatto che qualunque modello di

lingua che volesse spiegarne le costituenti strutturali, non poteva

prescindere dal trasmittente e dal ricevente e, conseguentemente,

dal contesto.

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Il dibattito degli anni ’60 sull’introduzione del “senso” nell’analisi di

ogni componente della lingua si situa all’interno di una rivoluzione

che ha coinvolto nello stesso periodo tutte le scienze umanistiche. Il

cambiamento che si è verificato nella prospettiva linguistica non è

limitato a studi settoriali, ma è frutto di una convergenza negli studi

teorici di matrice cognitivista, che si sono allontanati dal modello di

elaborazione dell’informazione2. Secondo il nuovo approccio i dati

che l’uomo ricava dall’ambiente non possono essere intesi come

stimoli neutri, ma devono essere considerati dotati di significato. Il

punto cruciale dunque consiste nella comprensione dei processi

attraverso cui l’uomo attribuisce un senso all’esperienza.

Nel saggio La ricerca del significato, Bruner (1992) riassume alcune

delle posizioni che hanno dato un contributo importante alla

riflessione. Gli psicologi cognitivisti avevano abbandonato il concetto

di pensiero o mente, seguendo i principi metodologici del

positivismo, secondo il quale, le cause del comportamento umano

sono da ricercare esclusivamente nell’ambito del substrato biologico

dell’uomo. Al contrario gli stati mentali, ovvero i processi

intenzionali soggettivi come credere, desiderare, intendere, non

erano considerati come origine delle azioni individuali ed erano

conseguentemente esclusi da qualunque indagine scientifica.

L’oggetto di studio della psicologia erano quindi i comportamenti e

non le spiegazioni che una persona poteva offrire per le proprie

azioni.

In realtà i gesti quotidiani sono interpretati comunemente alla luce

del significato che attribuiscono loro le persone coinvolte: un atto

giudicato involontario, ad esempio, non provoca le stesse reazioni di

un’offesa. Per determinare quale sia l’intenzione di chi agisce, ci si

2 La prima fase del cognitivismo, indicativamente tra gli anni cinquanta e sessanta, indaga i processi cognitivi che trasformano i segnali provenienti dall’ambiente e inducono comportamenti. L’interesse è centrato esclusivamente sul modo in cui l’informazione, intesa come semplice input dall’esterno, viene elaborata all’interno della mente. Cfr Cicogna e Occhionero (2009).

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basa in larga parte sulle informazioni verbali che questi offre: se

qualcuno mi urta, ma si scusa, non interpreterò il suo gesto come

una spinta. In conclusione il rapporto tra azione e discorso è

considerato interpretabile nella vita quotidiana. Il principio funziona

nei due sensi: il significato dell’azione è interpretato in relazione alle

espressioni verbali, come nell’esempio precedente, e

contemporaneamente il discorso assume un senso nel contesto delle

azioni in cui si colloca.

La psicologia tradizionale occupandosi esclusivamente di

comportamenti e non di stati intenzionali non indaga sulla relazione

tra le azioni e il significato attribuito loro dagli individui. Ad

introdurre tale tema nella riflessione teorica hanno contribuito altre

discipline, in primis la filosofia del linguaggio. La teoria degli atti

linguistici ha affermato l’interdipendenza tra gli enunciati, il contesto

e gli stati psicologici del parlante (Searle, 2009). In sostanza, anche

le parole costituiscono un’azione, per cui non ha senso dividere la

forma verbale che assume un enunciato dall’intenzione che esprime.

Per comprendere qualunque enunciato è necessario interpretare lo

scopo con cui è stata emesso.

Bruner (1992), dunque, con un’operazione di sintesi su numerosi

contributi teorici, arriva alla conclusione che qualunque atto di

comprensione implichi un’interpretazione degli stati intenzionali. Se

l’azione dell’uomo ha dei vincoli oggettivi dati dalla sua natura

biologica, essa è comunque diretta da credenze, desideri,

interpretazioni. Gli stati intenzionali non appartengono al patrimonio

biologico, bensì a quello culturale, sono cioè il prodotto di

un’interazione dell’individuo con una comunità sociale definita. La

cultura plasma la mente dell’uomo, fornendogli gli strumenti

interpretativi per la propria esperienza. I modelli di interpretazione

sono veicolati dai sistemi simbolici elaborati nella comunicazione,

nella spiegazione della realtà, nella vita sociale.

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I.2 La narrazione

Le persone organizzano le loro conoscenze relative al mondo e alla

società attraverso costruzioni culturalmente determinate. Secondo

Bruner (1992), la spiegazione degli stati intenzionali è costruita in

forma narrativa. Le azioni umane sono interpretate con uno schema

che vede un soggetto agente, cioè dotato di uno scopo, in una

determinata situazione e in un preciso arco temporale.

La capacità interpretativa è una risorsa che la specie umana ha

sviluppato nel corso della sua evoluzione per riconoscere le credenze

e i desideri degli appartenenti alla specie. In ogni cultura esistono

dei ruoli ben definiti per ogni situazione e delle regole che guidano la

conversazione secondo condizioni di appropriatezza ed economia3.

Quando si verifica un’eccezione alla norma, si avverte l’esigenza di

spiegare quanto avvenuto, cercando una ragione per il

comportamento anomalo, normalmente attraverso l’attribuzione di

uno stato intenzionale (credenza, desiderio, bisogno) al

protagonista. La spiegazione è significativa se è verosimile, ovvero

se riesce ad inserire l’elemento estraneo nel contesto. La

propensione dell’uomo a spiegare la diversità in modo congruente

con la morale e le istituzioni consente di mantenere la stabilità della

vita sociale.

La funzione della narrazione è dunque quella di rendere

comprensibile una deviazione rispetto ad un modello culturale

canonico. Anche la ricostruzione dell’esperienza personale segue lo

stesso schema culturalmente determinato, in cui l’individuo ordina

gli eventi in modo conforme alla rappresentazione canonica del

mondo sociale. Nel processo di memoria le informazioni non sono

immagazzinate indiscriminatamente, sono invece selezionate

seguendo strutture stabili, che forniscono un contesto interpretativo.

3 La trattazione di Bruner degli schemi culturali e linguistici in cui si inquadra il comportamento umano si riferisce a Barker (1978) e Grice (1989)

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La narrazione è un processo strutturato attraverso quattro proprietà

fondamentali:

1. mette in rilevo l’azione di esseri umani in situazioni che

cambiano (agentività);

2. è composta da una sequenza di eventi o stati mentali

(sequenzialità);

3. esprime il punto di vista del narratore (prospettiva);

4. stabilisce legami tra l’eccezionale e l’ordinario (canonicità).

Il rapporto tra la narrazione e la realtà è metaforico e non

referenziale. Il racconto è plausibile, non grazie alla relazione

speculare tra la trama e i fatti narrati, ma quando la sequenza dei

fatti e le relazioni tra gli eventi e i personaggi sono organizzati in

modo significativo.

Le caratteristiche individuate si esprimono attraverso un uso preciso

del linguaggio, ricco di “trasformazioni congiuntivizzanti”, come le

metafore, i traslati, i verbi dichiarativi, ovvero usi lessicali e

grammaticali che mettono in evidenza gli stati soggettivi, le

circostanti attenuanti, le possibilità alternative (Bruner, 1992: 63). Il

significato del discorso è dunque allusivo e passibile di giudizi di

valore, estremamente sensibili al contesto, perciò non è esprimibile

attraverso la logica formale del linguaggio scientifico. Mentre le

proposizioni logiche mirano ad offrire un’unica interpretazione

possibile, il linguaggio narrativo si caratterizza attraverso il ricorso

costante alla polisemia e al punto di vista soggettivo, obbligando

l’ascoltatore ad un’opera continua di interpretazione. Sono proprio

queste forme che, pur aumentando l’elusività e l’indeterminatezza

del racconto, permettono un attivo coinvolgimento di chi ascolta.

La narrazione presuppone dunque un contesto di riferimento ed un

destinatario, caratterizzandosi così come una struttura tipicamente

dialogica, anche nelle sue forme più rigide, quali ad esempio le

opere letterarie. Il significato è costruito nella relazione tra il

parlante e l’ascoltatore, che hanno come riferimento comune non la

realtà, ma l’interpretazione della realtà fornita dalla cultura di

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appartenenza, e come strumento di comunicazione la lingua

condivisa. La comprensione del messaggio dipende dunque dalla

capacità di decifrare i riferimenti al contesto e le forme linguistiche

che esprimono l’intenzione del parlante.

I.3 La narrazione nel linguaggio infantile

La ricostruzione di Bruner (1992) conclude che la specie umana ha

sviluppato la capacità di ricostruire il significato delle azioni umane

attraverso la narrazione, creando schemi di interpretazione

trasmessi dalla cultura. L’acquisizione delle forme narrative è una

pratica sociale a cui ogni individuo è sottoposto fin dalla nascita. Il

bambino impara a riconoscere le strutture canoniche in cui si

esprime un’azione e spiegare le possibili deviazioni partecipando ad

un processo di negoziazione di significati condivisi. Affinché ciò

avvenga, egli deve avere accesso al sistema di simboli che la propria

cultura utilizza per esprimersi.

Bruner, individuando il ruolo cruciale della cultura nella costruzione

del significato, pone così l’attenzione sull’acquisizione dei codici

simbolici:

i simboli dipendono dall’esistenza di un “linguaggio” che contenga

un sistema di segni ordinato e governato da regole. Il significato

simbolico, dunque, dipende in qualche modo cruciale dalla capacità

umana di interiorizzare un tale linguaggio e di usare il suo sistema

di segni come un interpretante in questa relazione rappresentativa

(Bruner, 1992: 75).

I numerosi studi sull’acquisizione del linguaggio hanno evidenziato

tre nodi cruciali nel processo. Primo, il linguaggio è appreso

all’interno di una relazione tra il bambino e chi se ne prende cura, in

cui l’uso in situazione è molto più importante della semplice

esposizione alle parole. Secondo, alcune funzioni comunicative, tra

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cui almeno gli atti di indicare, di qualificare, di fare delle richieste,

sono presenti molto prima della comparsa del linguaggio verbale.

Infine, proprio come conseguenza delle due caratteristiche esposte,

l’acquisizione della prima lingua dipende molto dal contesto, il che

significa che essa progredisce molto meglio quando il bambino già

afferra, in un modo per così dire prelinguistico, il significato

dell’argomento di cui si sta trattando o della situazione nella quale il

discorso si trova inserito. Tramite una valutazione del contesto,

sembra che il bambino sia meglio in grado di afferrare non solo il

lessico, ma anche gli aspetti grammaticali appropriati di una lingua

(Bruner, 1992: 77).

Anche il sistema grammaticale infatti esprime funzioni precise della

comunicazione, perciò tra le pratiche prelinguistiche e le regole

sintattiche è possibile stabilire una relazione, anche se non diretta,

dato che le norme sono arbitrarie.

Bruner ipotizza poi che l’acquisizione del linguaggio sia spinta dalla

motivazione a narrare. Le forme grammaticali sarebbero assimilate

dal bambino in un ordine di priorità determinato dall’esigenza di

costruire una narrazione efficace. Tale affermazione è in aperto

contrasto con molte teorie linguistiche che sostengono invece che

l’acquisizione proceda dalle forma più semplici a quelle più

complesse. A sostegno di questa ipotesi, si ritrovano negli

esperimenti sul linguaggio infantile numerose prove della capacità di

cogliere le strutture narrative fin dalla nascita.

Innanzitutto, il bambino, fin dai suoi primi sguardi, focalizza la sua

attenzione principalmente sull’azione umana e i suoi risultati,

dimostrandosi sensibile alla caratteristica denominata “agentività” .

Un altro comportamento caratteristico è l’interesse verso l’insolito,

che compare sia come forma di attenzione nei neonati sia come

spinta al racconto nei bambini piccoli, per i quali gli eventi inusuali

inducono una maggiore produzione verbale. La narrazione allo

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stesso modo stabilisce legami tra l’ordinario e l’eccezionale

(canonicità).

Uno dei primi meccanismi grammaticali padroneggiati nell’infanzia è

l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto. Inoltre i bambini iniziano molto

presto a stabilire legami tra le diverse sequenze di un racconto per

ricostruire l’ordine temporale e, in seguito, causale. Questa

tendenza riflette la forma strutturale della narrazione, la

sequenzialità, attraverso cui personaggi, eventi e stati mentali sono

messi in relazione nella trama.

Infine nel linguaggio infantile compaiono nei primi soliloqui forme di

autoconsapevolezza, che dimostrano la capacità di distinguere tra le

proprie opinioni e i fatti osservati. La capacità di descrivere i propri

dubbi e le aspettative sul mondo e di accettare l’incertezza di alcune

situazioni dimostra l’esistenza di una prospettiva analoga a quella

del narratore esperto.

I bambini dunque hanno un ampio bagaglio che permette loro di

comprendere e raccontare storie, molto prima di acquisire la

capacità di gestire il pensiero logico. I discorsi degli adulti forniscono

loro i modelli di riferimento, che ben presto (già a partire dai tre

anni) i bambini rielaborano ed utilizzano non solo per raccontare,

ma anche per ottenere qualcosa, ingannare, adulare. Si dimostrano

cioè in grado di comprendere i sentimenti e le aspettative degli

interlocutori ed utilizzare la lingua nelle sue molteplici funzioni

comunicative.

I.4 La narrazione nell’acquisizione del linguaggio

L’ipotesi di Bruner (1992) fornisce un quadro generale sul complesso

rapporto tra comunicazione e cultura nell’acquisizione del

linguaggio. Se l’ipotesi dell’acquisizione delle forme grammaticali

determinata dalla struttura narrativa del discorso umano non si può

dare per certa, senza ulteriori indagini sperimentali, tuttavia è

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assodato che la narrazione rappresenti uno dei processi

fondamentali del linguaggio.

La produzione linguistica, sia orale che scritta, rientra nell’attività

più ampia del discorso, che è regolato da meccanismi specifici, quali

ad esempio l’inferenza e la conoscenza condivisa, che evitano la

ripetizione di ogni dettaglio. Il parlante dunque considera

contemporaneamente il contenuto del racconto e le conoscenze

dell’interlocutore. Il parlante considera simultaneamente il tempo, il

luogo, la causalità degli eventi; il modo in cui viene presentata

l’informazione; le conoscenze pregresse condivise dagli interlocutori;

gli strumenti coesivi che forniscono informazioni sulle relazioni tra gli

eventi e tra i personaggi (Karmiloff, Karmiloff - Smith, 2002).

Una delle forme principali del discorso è la narrazione, che

costruisce sia una struttura a livello di argomento che una a livello

interenunciativo. La prima organizza il contenuto (topic) in modo

coerente, mentre la seconda seleziona gli strumenti linguistici per

collegare gli enunciati con un criterio gerarchico. Per costruire tali

strutture, il parlante ricorre a meccanismi sintattici che permettono

di collegare le informazioni nuove a quelle note o già dette,

rendendo scorrevole la narrazione. Acquisire tali complessi

meccanismi rappresenta uno dei passaggi più complessi nel

processo di acquisizione del linguaggio, che viene affrontato a

partire dai sei, sette anni.

I bambini sono in grado già precedentemente di generare racconti

basati su un sequenza coerente di eventi, in cui la coesione è

mantenuta grazie alla ripetizione o ai riferimenti al contesto

extralinguistico, attraverso un uso deittico dei pronomi. In un

successivo stadio dello sviluppo si rendono conto che la storia ha

bisogno di una struttura intralinguistica, per riferirsi a cose o eventi

già menzionati precedentemente. Tali relazioni sono istaurate

principalmente attraverso i pronomi, i connettivi temporali e causali

e l’elissi. Nello stadio finale l’uso dei diversi strumenti di coesione

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permette di riferirsi a tutti i personaggi e di distinguere i loro ruoli

nella storia.

La ricerca ha sviluppato modelli sperimentali per valutare non la

produzione, ma la competenza linguistica del bambino ad un dato

momento del suo sviluppo. L’attenzione è puntata principalmente sui

processi di comprensione, perché questi sono più facilmente

indagabili in laboratorio attraverso prassi verificabili. Queste

sperimentazioni sostengono l’idea secondo cui i bambini utilizzano la

loro conoscenza del mondo, cioè la loro conoscenza non linguistica,

per migliorare la loro abilità linguistica. Ad esempio il bambino può

commettere errori di interpretazione nella frase “il bambino è

baciato dalla ragazza”, in cui l’agente non coincide con il soggetto.

In questo caso l’unico criterio possibile per attribuire il ruolo di

agente ad uno dei due elementi nominali è esclusivamente di tipo

morfosintattico, implica cioè il riconoscimento della struttura passiva

del verbo, forma sintatticamente complessa da padroneggiare.

Tuttavia l’enunciato “la pianta è innaffiata dalla ragazza” non

presenta difficoltà, dato che per riconoscere l’agente, il bambino si

affida alla propria esperienza, in cui sono sempre le persone che

innaffiano le piante e mai viceversa.

Per interpretare il significato, oltre a ricorrere al proprio bagaglio di

conoscenze, i bambini sono capaci di utilizzare le informazioni

fornite da altri elementi presenti nel contesto linguistico, definito

anche cotesto. La frase “l’anatroccolo è morsicato dalla scimmia” è

interpretata con più facilità, se è seguita o preceduta da un’altra

frase (“povero anatroccolo!”), coerente con la prima (Harris,

Coltheart, 1991).

Nel primo caso preso in considerazione, dunque, l’ascoltatore deve

risolvere un problema puramente linguistico, ovvero deve

riconoscere gli strumenti morfosintattici attraverso cui la lingua

esprime una relazione tra due elementi. I risultati della ricerca di

Karmiloff e Karmiloff-Smith (2002) dimostrano che i bambini sono

capaci anche a tre anni di scoprire le coerenze interne nel contesto

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linguistico, anche quando tali modelli non coincidono con il contesto

non linguistico. Questa capacità permette al bambino di capire in

che modo il modello linguistico esprima gli avvenimenti non

linguistici, ad esempio l’esistenza di segnali che esprimono il plurale

in modo diverso nei verbi e nei sostantivi. Esiste comunque una

notevole differenza nell’uso dei sistemi grammaticali del linguaggio e

nella competenza linguistica. I bambini attraversano uno stadio di

comprensione parziale che comporta strategie specifiche, prima di

arrivare ad una comprensione completa.

La competenza linguistica, dunque, comprende l’abilità di decifrare

le componenti grammaticali. A questa si affianca la capacità di

ricorrere alla propria enciclopedia, ovvero alle conoscenze relative

all’oggetto in questione. Le informazioni non devono essere soltanto

recuperate dalla memoria, ma devono anche essere collegate al

discorso. Esistono poi dei riferimenti al contesto extralinguistico che

devono essere decifrati esercitando la competenza pragmatica4. In

tal caso la comprensione richiede anche l’interpretazione delle

intenzioni del parlante.

All’interno del testo sono presenti numerose relazioni tra le parole o

tra le frasi, che contribuiscono a determinare il significato. L’esempio

riportato in precedenza presentava due frasi distinte: L’anatroccolo

è stato morso dalla scimmia. Povero anatroccolo! Lo stesso testo

potrebbe essere riscritto evitando la ripetizione del nome

anatroccolo: L’anatroccolo è stato morso dalla scimmia. Povero lui!

La sostituzione del nome con il pronome istituisce un legame di tipo

anaforico che richiede un’interpretazione dell’ascoltatore. Può essere

istituita anche una relazione tra frasi o parti più ampie del testo

attraverso l’uso di congiunzioni, avverbi e locuzioni anaforiche, che

allo stesso modo influisce sulla comprensione.

Tutte le operazioni descritte permettono di ricostruire il significato

del messaggio ed individuare con precisione il suo referente. Come

4 La competenza pragmatica è la capacità di esprimere e comprendere i significati in relazione agli aspetti contestuali (Cicogna e Occhionero, 2009).

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risulta evidente dall’esperimento illustrato sopra, l’ascoltatore

esercita contemporaneamente le diverse abilità che formano la

competenza linguistica.

L’acquisizione del linguaggio dunque deve essere considerata in una

prospettiva sistemica molto ampia in cui interagiscono diverse abilità

interrelate tra loro. Ognuna di tali abilità è a sua volta costituita da

un insieme di processi interdipendenti. La comprensione esaminata

nel paragrafo precedente è uno di tali processi che richiede una

serie di operazioni di memoria, di interpretazione, di collegamento.

L’attività richiede di cogliere il contesto situazionale, in particolare in

relazione all’argomento e all’intenzione dell’interlocutore (Balboni,

1994).

Sapere una lingua dunque è soltanto un aspetto della competenza

comunicativa, in cui si integrano la capacità di padroneggiare le

abilità linguistiche, la capacità di usare la lingua come strumento di

azione in un dato contesto, la capacità di usare le grammatiche

linguistiche e di integrarle con altri linguaggi. Ognuna di queste

dimensioni si realizza soltanto in interazione con le altre5.

1.5 La linguistica testuale

Qualunque atto di produzione e comprensione linguistica richiede

processi cognitivi elaborati di decifrazione delle informazioni e di

interpretazione delle referenze contestuali. Tra questi processi

riveste un’importanza determinante la narrazione, che organizza in

una struttura sovraordinata gli eventi attraverso meccanismi

linguistici determinati. L’esito dell’attività di raccontare è il testo (o

discorso), in cui le singole frasi si combinano per costruire un

significato condivisibile tra gli interlocutori.

5 Con competenza comunicativa si intende la capacita di saper fare lingua (abilità), saper fare con la lingua (funzioni), sapere la lingua (grammatiche). La competenza linguistica è l’ultima delle tre dimensioni descritte che gestisce i sistemi fonologici, morfosintattici, lessicali, testuali della lingua (Balboni, 1994).

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La differenza tra la frase e il testo è determinata dalla rete di

relazioni istaurata tra gli elementi del discorso, tra tali elementi e i

loro referenti oggettuali, tra i referenti e il contesto. Il senso del

testo non può essere ricostruito senza prendere in considerazione

tutte le dimensioni coinvolte nella comunicazione: mittente,

destinatario, messaggio, codice, canale e contesto6.

Il significato è veicolato attraverso l’interpretazione di ognuna delle

dimensioni enunciate e si concretizza nelle scelte linguistiche

operate dal codice prescelto. Seguendo le premesse enunciate

finora, si deve ricercare una definizione di testo capace di accogliere

la complessità dell’atto linguistico che ne è all’origine. Così è

presentata nell’introduzione alla linguistica di Altieri Biagi:

la definizione di testo indica un complesso di elementi verbali

(semantici, sintattici, lessicali, morfofonemici, metrici, ritmici) che si

comporta come un tutto unico e che si determina in base a certi

criteri, la maggior parte dei quali extra-linguistici (Altieri Biagi,

1985: 292).

Lo studio dei criteri che costituiscono il testo è stato affrontato da un

ramo della linguistica detto testuale, secondo cui l’analisi della frase

non poteva spiegare le complesse interrelazioni tra gli elementi, in

particolare quelle con valore semantico. Le categorie morfologiche

tradizionali risultano insufficienti per spiegare i rapporti tra i diversi

elementi, in particolare tra enunciati diversi, che garantiscono

l’unitarietà del discorso.

Il testo non è una semplice sequenza di enunciati, ma ha una

propria struttura unitaria, che richiede all’ascoltatore di riconoscere

le relazioni che si instaurano superando i limiti della frase. Tra questi

fenomeni, assume un valore fondamentale il concetto di

6 I fattori costitutivi del processo linguistico sono elencati seguendo l’enunciazione di Jakobson, che a sua volta si riferisce al modello di Sapir (Jakobson, 2012).

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coreferenza, ovvero il fatto che più elementi linguistici denotino la

stessa entità.

Ogni entità o evento che entra a far parte del discorso in atto e ne

diventa oggetto è indicato come referente testuale. I referenti

possono essere identificati grazie a fattori di natura diversi, in

particolare grazie a loro specifiche proprietà semantiche (ad

esempio, inerenti ai nomi comuni che identificano una classe di

oggetti come cane) o a riferimenti pragmatici alle conoscenze

dell’ascoltatore (il mio cane). Le conoscenze condivise dagli

interlocutori possono formarsi e accrescersi all’interno del testo: un

referente testuale diventa così identificabile dopo che è entrato a far

parte dell’universo del discorso in atto (- Ieri un cane mi ha morso.-

Che fine ha fatto il cane?). Affinché il ricevente interpreti

correttamente un messaggio è necessario che egli sappia se il

referente di cui si sta parlando è identificabile e se è già apparso nel

testo (Andorno, 2003).

Ogni testo istaura una complessa rete di relazioni attraverso la

coreferenza, ma anche grazie a collegamenti extralinguistici o a

legami logici tra i diversi enunciati, tra i quali ad esempio tutte le

connessioni interfrastiche, come quindi o perciò, che richiedono il

riferimento ad un enunciato precedente. La comprensione del

messaggio richiede dunque il riconoscimento del referente

attraverso la decodificazione delle conoscenze implicite, dei rapporti

con il contesto, della relazione tra gli interlocutori, dei riferimenti

intertestuali. La descrizione delle forme linguistiche che

caratterizzano ognuna di queste dimensioni richiede una grammatica

che renda ragione dei principi che regolano la comunicazione. La

grammatica testuale si pone dunque ad un livello superiore alla

morfosintassi, perché descrive la capacità di un parlante di

selezionare le opzioni linguistiche appropriate di un messaggio e la

capacità richiesta a un ascoltatore per riconoscerne il valore.

Affinché questo avvenga, considera come suo dominio il testo e non

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l’enunciato e prende in esame anche i fenomeni che non sono

spiegati dalla sintassi classica (Conte, 1977).

La linguistica testuale considera dunque il testo come prodotto di un

atto comunicativo, analizzando le scelte linguistiche imposte dalla

situazione. Le strutture manifeste sono costruite mediante

operazioni di selezione e decisione condizionate dall’interazione

comunicativa. Il senso complessivo è compreso solo considerando le

connessioni fra gli avvenimenti comunicativi.

De Beaugrande e Dressler (1984), in uno dei testi classici della

linguistica testuale, hanno riassunto i principi che definiscono il

valore comunicativo di un testo. I primi due, coesione e coerenza, si

riferiscono direttamente alla struttura del testo, all’interno della

quale i diversi elementi sono collegati attraverso relazioni

grammaticali e semantiche. Il principio della coesione descrive le

dipendenze grammaticali che legano le parole tra loro al livello della

superficie. La coerenza invece definisce l’organizzazione dei concetti

e delle relazioni tra questi.

Altre due caratteristiche del testo, intenzionalità e accettabilità,

dipendono strettamente dal rapporto istaurato tra emittente e

destinatario. La prima esprime la capacità del parlante di produrre

un messaggio adeguato ai propri scopi comunicativi; la seconda

descrive la disponibilità dell’ascoltatore a riconoscere l’esistenza di

un senso, collaborando attivamente all’interpretazione attraverso

l’inferenza delle informazioni sottaciute. Anche il criterio

dell’informatività implica un riferimento alle conoscenze del

ricevente. L’informatività è la distribuzione di informazioni nuove e

note. Il testo per essere interessante deve presentare elementi

inattesi, ma contemporaneamente deve fornire gli elementi

necessari alla comprensione.

Infine, situazionalità e intertestualità descrivono il rapporto tra testo

e contesto. Il sesto criterio riguarda i fattori che rendono un testo

rilevante e congruente per una situazione data. L’intertestualità è la

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condizione per cui la corretta interpretazione del testo dipende dalla

conoscenza di altri testi correlati.

I criteri sono tutti relazionali perché considerano le connessioni tra

le occorrenze nel testo o nei testi. Così i concetti di coerenza e

coesione, pur essendo condizioni indispensabili, sono utili nell’esame

dei testi solo se sono analizzati tenendo presenti le relazioni fra gli

avvenimenti comunicativi.

Linguistica e psicologia concordano nel sostenere il ruolo

fondamentale del discorso nel linguaggio. Sia analizzando i processi

cognitivi alla base della selezione delle scelte linguistiche, sia

analizzando il testo come prodotto di tali operazioni si evince la

struttura unitaria del discorso. Tale struttura risulta comprensibile

solo in relazione alla comunicazione in cui è inserita, con tutte le

dimensioni implicate.

Le ricerche psicologiche sull’acquisizione del linguaggio dimostrano

come non sia possibile esaminare la competenza linguistica in modo

indipendente da quella comunicativa. La lingua è un codice culturale

che si apprende solo all’interno di una relazione interpersonale. Il

significato di ogni messaggio così come quello dei simboli usati per

esprimerlo è costruito attraverso una mediazione culturale tra

individui e tra l’individuo e la società.

La linguistica testuale ripropone le stesse conclusioni definendo i

principi generali dei processi di comprensione e produzione dei testi.

L’atto di comunicazione quale specifica forma di interazione sociale

diviene l’explicandum della linguistica. La competenza che è la base

empirica della teoria del testo è non più la competenza testuale, ma

la competenza comunicativa (ossia la capacità del parlante di

impiegare adeguatamente il linguaggio nelle varie situazioni)

(Conte, 1977:29).

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CAPITOLO II

COSTRUIRE LA COESIONE

II.1 C’era una volta un testo

“C’ERA UNA VOLTA… una principessa molto bella che era triste

perché era rinchiusa nella torre e voleva andarsene perché c’era un

drago e decise così di rimanere affaccata alla finestra così qualcuno la

vedesse e UN GIORNO… un principe che venne a sapere questa storia

e decise di liberarla un giorno partì e andò da una fata sua amica che

gli da una polvere per renderlo invisibile dopo giorni arrivò alla torre e

imediatamente si mise la polvere e divento invisibile colpì il drago e

salì sulla torre e liberò la principessa FU COSÌ CHE… ritornò al

castello e così sposo la principessa e contenti regnarono insieme”

(Ambra, 8 anni).

In una classe di terza elementare è stato chiesto di inventare una

fiaba e, per facilitare il compito, sono state suggerite alcune

espressioni da inserire liberamente (c’era una volta, un giorno, fu

così che). Gli alunni hanno dovuto comporre un testo scritto,

fissando sul foglio bianco la struttura dei racconti tramandati

oralmente per secoli nella tradizione di innumerevoli culture e nei

dormiveglia di milioni di bambini.

La fiaba riportata sopra è il compito svolto in classe da un’alunna. Il

testo si presenta come un unico lunghissimo periodo, in cui le frasi

sono legate da una sequenza di e o introdotte da così e perché. Se

si separano le singole frasi, si ottiene una sequenza lineare di fatti e

si osserva che gli eventi sono narrati seguendo l’ordine cronologico

in cui sono avvenuti. Inoltre il testo può essere diviso in tre

sequenze, segnalate opportunamente: l’inizio della fiaba, indicato

dalla formula canonica c’era una volta, racconta la situazione

iniziale; la parte centrale, introdotta da un giorno, narra la

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risoluzione della vicenda a opera del principe; l’ultima frase, che

inizia con fu così che, spiega la conclusione felice della storia. Anche

i personaggi, l’oggetto magico utilizzato, l’aiutante e l’antagonista

appartengono al repertorio classico delle fiabe. La bambina dimostra

di avere ben chiara la struttura del genere letterario in questione e

di saper organizzare conseguentemente la narrazione.

Nei termini della linguistica testuale, il testo è coerente, ovvero è

dotato di un significato intellegibile sul piano semantico (Infanti e

Martari, 2005). Le frasi, pur nella loro indeterminatezza, esprimono

la ricerca di unità attorno a un tema e di una progressione logico-

temporale negli eventi. La piccola autrice sembra riconoscere

l’unitarietà come una caratteristica imprescindibile del testo e tenta

di costruirla mettendo in ordine le frasi e agganciandole tra loro

attraverso la congiunzione e. La debolezza strutturale nel brano

riguarda un’altra delle proprietà costitutive del testo, la coesione,

che garantisce l’unitarietà attraverso il sistema di collegamenti

linguistici istituiti tra le frasi a livello morfologico, lessicale,

sintattico, interpuntivo (Ferrari, 2009). È possibile analizzare la

coesione in ognuno di questi livelli, per giungere ad identificare gli

elementi problematici.

Nel brano in questione si rileva una sostanziale correttezza nella

morfologia, in particolare le forme verbali esprimono correttamente

sia la collocazione temporale degli eventi narrati in un passato

remoto, sia la scansione temporale interna (espressa nella scelta tra

il passato remoto e l’imperfetto), finanche la valutazione della

probabilità degli eventi (uso del congiuntivo). Inoltre ogni frase è

costruita attorno ad un referente ben individuato (la principessa

nelle prime proposizioni, il principe nelle seguenti) con un giusto

utilizzo della concordanza e dei pronomi. Nell’ambito della

costruzione sintattica la coesione è espressa attraverso l’accordo sul

verbo e nell’uso di alcune subordinate. A questo livello le scelte

lessicali sono corrette sia nelle frasi relative (introdotte dal pronome

che) che nelle causali (introdotte dalla congiunzione perché). È

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adeguata anche la consecutiva (così qualcuno la vedesse), pur con

una locuzione avverbiale imprecisa (così invece di così che).

Nonostante le considerazioni precedenti è evidente la traballante

impalcatura su cui è stato costruito il brano in esame: manca

completamente l’interpunzione e la connessione tra le diverse frasi è

affidata esclusivamente alla ripetizione ad libitum della congiunzione

e. Il deficit si presenta dunque non al livello della frase, ma nelle

relazioni tra frasi sintatticamente autonome e nella costruzione di

periodi complessi. Secondo Ferrari (2010), le proprietà coesive di un

testo si manifestano principalmente proprio nei legami tra frasi, che

devono rispondere sia a principi grammaticali, perché le singole frasi

sono soggette a restrizioni dettate da regole sintattiche (ad esempio

l’uso del congiuntivo con determinate congiunzioni), sia a principi

testuali. Infatti è la struttura complessiva del testo che determina la

scelta delle congiunzioni e degli avverbi che collegano porzioni di

testo e la distribuzione delle subordinate. Si può concludere quindi

che il brano in esame, pur rispettando le regole morfosintattiche

all’interno delle singole frasi, non risponde in modo adeguato ai

principi di organizzazione testuale.

Per definire le carenze della fiaba inventata dalla bambina, abbiamo

svolto un’analisi di tipo testuale, con riferimento alla complessa

definizione di testo elaborata nell’ambito della moderna linguistica,

in particolare per le proprietà di coerenza e coesione. Limitando la

riflessione alle categorie descritte dalla grammatica tradizionale, le

conclusioni non sarebbero state altrettanto chiare: esaminando

ortografia, punteggiatura, morfologia e sintassi, si riconoscono

alcuni errori o imprecisioni in questi ambiti, che tuttavia non

spiegano l’insufficienza del testo nel suo complesso.

Molto spesso, correggendo i testi scritti, gli insegnanti segnalano in

modo generico l’inadeguatezza della struttura, ma senza motivare le

correzioni operate, se non con vaghe indicazioni sullo stile. Il

riferimento ad un modello teorico, come quello offerto dalla

linguistica testuale, permette al contrario di considerare l’efficacia

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comunicativa del testo, secondo categorie ben individuate, per le

quali è possibile individuare alcuni criteri di riferimento (Lo Duca,

2003). Nel caso in esame la coesione del testo è stata valutata

attraverso la presenza di vari dispositivi quali l’accordo morfologico,

la coreferenza, la giunzione. Per esaminare questi aspetti si

considerano le interconnessioni linguistiche presenti tra le frasi. In

alcuni casi, sono espresse attraverso i pronomi o con rapporti di

subordinazione tra proposizioni, categorie ampiamente studiate nella

grammatica tradizionale. Altre volte, invece, è necessario prendere

in esame fenomeni linguistici che escono dall’ambito della

morfosintassi, come ad esempio l’ellissi, o elementi di congiunzione

difficilmente classificabili, ad esempio malgrado ciò. Per questo

motivo, è stato introdotta la categoria di “connettivo”, ovvero il

dispositivo che segnala relazioni tra avvenimenti e situazioni (De

Beaugrande e Dressler, 1984), nella quale sono raggruppati avverbi,

congiunzioni e locuzioni di diverso tipo morfologico e lessicale, ma

con una funzione comune.

L’utilizzo degli strumenti descritti presuppone un approccio al testo

in cui si esercitano contemporaneamente la competenza

grammaticale e la competenza comunicativa. La questione che si

pone ora è se il modello di riferimento per l’interpretazione del testo

elaborato dalla linguistica testuale sia utile nell’insegnamento della

lingua.

II.2 Il testo coeso

L’esempio portato nel paragrafo precedente ha messo in luce come

l’analisi testuale non possa prescindere dall’analisi grammaticale. I

due aspetti non si differenziano infatti per il livello di lingua, ma per

l’ambito su cui operano, la frase o il testo. L’organizzazione del testo

impone scelte ulteriori rispetto a quelle grammaticali affinché la

struttura risponda ad una funzione comunicativa. De Beugrande e

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Dressler (1984), operando una sintesi sui primi studi di linguistica

testuale, hanno costruito un modello di analisi del processo

attraverso cui si costruisce un testo, indicando con precisione i

diversi meccanismi linguistici in cui si esplicano i principi testuali. Si

tratta in sostanza di un primo tentativo di costruire una grammatica

testuale, che è stato ampiamente ripreso nella letteratura

successiva (Andorno, 2003).

La riflessione, in seguito, si è estesa anche alla didattica della

lingua. La sfida di affrontare il testo da un nuovo punto di vista è

stata raccolta in prima istanza in quegli ambienti in cui era già in

corso un dibattito sul rinnovamento dell’educazione linguistica,

stimolato dall’istituzione della scuola media unica7. Una prima

prospettiva sugli interventi teorico-applicativi ispirati alla linguistica

testuale è stata offerta dal GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio

nel Campo dell’Educazione Linguistica), un’associazione di docenti

nata in stretto rapporto con la Società Linguistica Italiana8. I

ricercatori sostennero con forza la necessità di porre il testo al

centro delle pratiche didattiche, sviluppando negli alunni la capacità

di riconoscere i diversi tipi di testo, di collocarlo nel contesto più

ampio della comunicazione, di destrutturarlo nei suoi elementi

fondamentali.

Secondo i protagonisti di quella fase storica, la ricerca ebbe un

impatto positivo sulla successiva rielaborazione dei programmi

scolastici, in cui è possibile rintracciare alcune delle istanze portate

avanti dalla nuova educazione linguistica (Lo Duca, 2003). Nelle

Indicazioni per il curricolo si trovano le seguenti affermazioni:

La frequentazione assidua di testi di diverso genere permetterà

all’alunno di individuare i modelli che ne sono alla base e di assumerli

come riferimento nelle proprie produzioni comunicative. Ogni tipo

7 L. 1859/1962 8 Nella collana di Quaderni curati dal GISCEL due in particolare sono stati dedicati interamente al tema: Cargnel, Colmelet, Deon (1986); Altieri Biagi (1984)

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testuale sarà appreso come una forma comunicativa storicamente

determinata dalle convenzioni, dalle tradizioni culturali, letterarie e

linguistiche, quindi variabile nel tempo. […]

La riflessione sulla lingua partirà dall’osservazione degli usi linguistici

per giungere a generalizzazioni astratte. Essa contribuirà ad

apprendere a riformulare frasi e testi e a una maggiore duttilità nel

capire e produrre enunciati e testi (MPI, 2007: 51).

Il testo programmatico riconosce la complessità dei rapporti che si

instaura tra abilità di produzione e recezione, competenze

linguistiche e competenze comunicative. Per produrre o

comprendere un testo è necessario conoscere la situazione

comunicativa in cui ci si colloca ed adottare gli strumenti linguistici

ad essa adeguati. Si fornisce inoltre una precisa indicazione di

metodo per l’insegnamento della lingua e della grammatica (definita

con il termine politically correct, “riflessione sulla lingua”): si deve

costruire con gli alunni un percorso di tipo deduttivo basato

sull’osservazione dei fenomeni linguistici alla ricerca delle regolarità

del sistema linguistico.

L’importanza di un lavoro diretto sui testi è dunque riconosciuta da

due punti di vista: sia come fondamento teorico sia come approccio

metodologico. L’apporto fornito dagli studi teorici risulta

fondamentale anche nella prassi didattica quotidiana: alla

professionalità dell’insegnante spetta il compito di declinare gli

obiettivi di apprendimento generali in obiettivi didattici specifici e di

scegliere i mezzi più adatti per perseguirli. L’altro punto di appoggio

su cui fondare la programmazione è la conoscenza dell’alunno reale

con cui interagisce quotidianamente e di cui deve considerare i

bisogni educativi più urgenti.

Si muove in questa direzione un’indagine svolta dall’Iprase del

Trentino (2011) sulle competenze di scrittura degli studenti. Il

progetto La scrittura degli adolescenti e la didattica della scrittura

cerca di riempire una lacuna nella letteratura scientifica, rilevando la

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mancanza di dati significativi sia sul livello di competenza in scrittura

sia sulle pratiche didattiche di insegnamento in questo ambito. Lo

studio ha coinvolto studenti quindicenni delle scuole trentine di ogni

ordine, dei quali ha valutato le abilità nella redazione di un testo di

sintesi, realizzato a partire da due testi diversi sullo stesso

argomento, e di un testo argomentativo.

Le prove elaborate dagli studenti, secondo i ricercatori, non sono

vere unità testuali, in cui i concetti sono correlati tra loro ed

organizzati coerentemente rispetto ad un quadro unitario, ma

piuttosto frammenti accostati senza nessi logici. Il passaggio dalla

frase al testo, inteso come insieme organico, rappresenta un

momento problematico nella redazione.

Le conclusioni della ricerca evidenziano una difficoltà nella

costruzione sintattica e nell’organizzazione delle diverse parti del

testo, comprovata dall’analisi di alcuni parametri oggettivi9. In

particolare risulta carente l’integrazione delle informazioni, ovvero la

capacità di connettere informazioni ricavate dalle fonti,

sintetizzandole in un unico concetto, attraverso l’uso di nessi

grammaticali o testuali. Altri risultati non soddisfacenti emergono

nella coesione (intesa come il modo in cui i vari periodi sono

collegati tra loro) e nella punteggiatura, da cui si deduce la difficoltà

di attribuire il corretto valore ai connettivi e alle congiunzioni.

Gli autori individuano quindi nel concetto stesso di testo uno dei

nodi problematici dell’apprendimento e suggeriscono di focalizzare la

didattica della scrittura sulla pianificazione e l’organizzazione

testuale. L’unitarietà del testo deve essere perseguita attraverso

una riflessione sul principio di coesione, in particolare sui nessi

sintattici e semantici tra le parole, tra cui si deve riconoscere il

valore di quelle che rivestono la peculiare funzione di connettivi. Per 9 In entrambe le prove sono state considerate la lunghezza, l’organizzazione, la coesione, la punteggiatura, l’ortografia, il lessico. Per la sintesi sono state valutate informazione, informatività e integrazione; per il testo argomentativo l’argomentatività, ovvero la presenza di prove a sostegno della tesi.

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36

porre rimedio alla scarsa conoscenza di tale categoria si consiglia di

dedicare tempo ad appositi esercizi.

La ricerca sostiene che gli alunni, che sono ormai alla fine del

percorso nella scuola dell’obbligo, non abbiano ancora compreso

pienamente che cosa rende tale un testo, differenziandolo da un

insieme sconnesso di frasi. Questa lacuna impedisce di selezionare e

organizzare i concetti attorno ad una tema centrale per costruire un

discorso razionale. La scrittura non è affrontata come un compito di

problem solving, in cui bisogna in primo luogo riconoscere il

problema e definire una strategia di risoluzione. Le osservazioni

riportate, per quanto relative ad un campione limitato di studenti,

suggeriscono la necessità di portare il testo al centro della didattica

della lingua non solo come strumento, ma anche come oggetto di

studio in sé. Solo chi è consapevole della struttura di un testo, può

porsi il problema di intrecciare le varie informazioni in un insieme

ben organizzato e comprensibile per un lettore. La conoscenza dei

principi costitutivi del testo fornisce infatti dei parametri oggettivi

per valutare l’adeguatezza del prodotto finale rispetto all’efficacia

comunicativa. Tra tali principi, la coesione costituisce un ambito di

studio, particolarmente interessante in linguistica, per esplicare le

relazioni tra le proprietà grammaticali delle classi di parole e la loro

funzione all’interno del testo.

II.3 Le ragioni della coesione

Le definizioni di coesione presenti in letteratura sono in larga parte

ispirate dalla teoria funzionalista di Halliday (1994) e dalla sintesi

sulla linguistica testuale operata da De Beaugrande e Dressler

(1984)10. Halliday (1994) definisce la coesione come un processo

10 I riferimenti si rintracciano ad esempio nei lavori di Andorno (2003), Conte (1977), Lo Duca (2003), Mortara Garavelli (1977), Serianni (2003), Simone (1994).

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interattivo attraverso il quale il significato è condiviso tra l’emittente

e il destinatario:

[la coesione] è una relazione semantica tra un elemento nel testo e

un altro elemento cruciale per la sua interpretazione (Halliday,

1994: 8).

Queste relazioni costituiscono la struttura del testo e non possono

essere spiegate all’interno dell’unità grammaticale della frase.

La definizione di de Beaugrande e Dressler (1984) pone l’accento in

particolare sul carattere grammaticale di questa proprietà:

[la coesione] concerne il modo in cui le componenti del testo di

superficie, ossia le parole che effettivamente udiamo o vediamo,

sono collegate fra di loro. E dal momento che le componenti di

superficie vengono a dipendere l’una dall’altra in base a forme e

convenzioni grammaticali, la coesione di fonda su dipendenze

grammaticali (de Beaugrande e Dressler, 1984: 18).

Le diverse componenti già utilizzate possono essere reimpiegate o

modificate nel discorso, in modo da contribuire alla stabilità e

all’economia di informazioni del testo, favorendone l’elaborazione.

Ciò avviene attraverso un numero limitato di meccanismi linguistici:

la ricorrenza (ripetizione di elementi o pattern); la ricorrenza

parziale (ripetizione di componenti di parole con cambio di classe); il

parallelismo (ripetizione di strutture sintattiche di superficie, dotate

di espressioni differenti, ad esempio ha bevuto dai nostri bicchieri,

mangiato dai nostri piatti); la parafrasi (ricorrenza del contenuto con

una modifica dell’espressione); l’uso di pro-forme ( principalmente

pronomi, ma anche aggettivi o particelle avverbiali); l’ellissi

(omissione di alcuni elementi già noti); l’accordo morfologico

(espresso generalmente attraverso il tempo, l’aspetto e la persona

nelle forme verbali); la giunzione (espressioni che segnalano

relazioni tra avvenimenti e situazioni).

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Halliday (1994) riconosce essenzialmente gli stessi legami coesivi,

ma preferisce suddividerli in base alla funzione che svolgono nel

testo, ovvero referenza, sostituzione, ellissi, congiunzione e

coesione lessicale (ripetizione, sinonimia o iperonimia,

generalizzazione). Sottolinea inoltre come i primi tre tipi abbiano

una valenza puramente grammaticale, mentre i meccanismi di

congiunzione combinano elementi lessicali con elementi

grammaticali: le parole identificate come elementi di congiunzione,

cioè, svolgono il proprio ruolo in virtù del proprio significato

specifico.

Ferrari (2010) sintetizza le due visioni in un’unica definizione: la

coesione si manifesta in un sistema di reti di collegamenti linguistici

tra le frasi che indicano dipendenze e sintonie interpretative tra

diversi elementi nel co-testo. I dispositivi di coesione quindi

istaurano un rapporto di coreferenza, ma rispondono anche a

principi grammaticali (ad esempio nella scelta di un pronome, è la

forma stessa del pronome che condiziona la declinazione in persona,

genere e caso in accordo con il referente che sostituisce e con la

funzione che il pronome svolge nella frase). L’autrice delinea con

precisione il dominio di manifestazione dei legami coesivi nelle

relazioni tra frasi autonome o tra porzioni più ampie di testo, come

periodi, paragrafi o addirittura capitoli. Estende inoltre l’ambito di

manifestazione della proprietà della coesione anche all’interno della

frase complessa, ovvero alle connessioni fra frasi reggenti, frasi

coordinate e un particolare gruppo di frasi subordinate, le avverbiali

e le relative (ovvero le frasi non argomentali)11. Tale scelta è

coerente con l’affermazione di Halliday, secondo cui i legami coesivi

11 La distinzione introdotta nelle subordinate tra argomentali e non argomentali ricalca la distinzione tra argomenti ed espansioni proposta dalla grammatica strutturale di Tesnière, dove un argomento è un complemento necessario al verbo affinché la frase non risulti agrammaticale, mentre un’espansione è un elemento facoltativo. All’interno di un periodo complesso le frasi che svolgono la funzione di argomento di un predicato sono dette argomentative o completive; le frasi che aggiungono un’informazione indipendente dal processo principale sono dette avverbiali o circostanziali, le frasi che sono espansioni di nomi sono dette relative (cfr Prandi, 2006).

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non hanno nulla a che vedere con i limiti delle frasi e con gli esempi

proposti in cui sono compresi anche i legami tra frasi in periodi

complessi.

La scelta fra i diversi legami coesivi e la loro distribuzione non

risponde a regole grammaticali, ma alla struttura e alla natura del

testo: il testo argomentativo, ad esempio, che veicola molte

informazioni, richiede un’organizzazione ben definita che si

manifesta attraverso un uso di connettori logici. Anche altri aspetti

della comunicazione influenzano la scelta: un testo destinato a

bambini predilige una struttura semplice con ripetizioni frequenti. La

coesione dunque ha una funzione precisa nel processo di produzione

del testo: il parlante offre un insieme di istruzioni relative alle

informazioni fornite e alla loro organizzazione. L’esplicitazione dei

nessi coesivi diminuisce di conseguenza lo sforzo di interpretazione

richiesto all’interlocutore (Halliday, 1994). Il rapporto di coesione

può essere istaurato sia tra i significati espressi dalle forma

linguistiche (funzione semantica, come nell’esempio 1), sia nelle

relazioni realizzate dal parlante all’interno del suo discorso (funzione

pragmatica, come nell’esempio 2):

(1) Prima di tutto la macchina si è guastata, poi ha iniziato ha produrre

rumori preoccupanti.

(2) Prima di tutto la macchina si è guastata, poi non mi appartiene.

Questo lavoro si propone di analizzare i processi che portano

l’alunno dalla produzione di frasi alla redazione di un testo. Dovendo

scegliere un ambito limitato per poter svolgere osservazioni

significative, il principio della coesione è stato selezionato in quanto

permette l’individuazione di indicatori specifici rintracciabili

facilmente in ogni testo. Come rilevato sia nell’analisi del brano

presentata all’inizio del capitolo sia nei criteri di valutazioni descritti

nella ricerca trentina, i legami di coesione si manifestano attraverso

forme lessicali e grammaticali individuabili con precisione e quindi

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misurabili. Inoltre, per esser adeguatamente descritti, richiedono un

riferimento costante sia al livello morfosintattico della lingua che a

quello pragmatico, consentendo una visione complessa del testo.

Infine l’estensione della rete di connessioni nel testo sembra essere

un’indicazione della presenza di una strutturazione logico-formale

delle informazioni e delle argomentazioni. Introducendo una

riflessione consapevole sull’organizzazione testuale si potrebbe

fornire agli alunni uno strumento per migliorare le proprie capacità

di comprensione, sintesi e produzione scritta.

In particolare, tra i diversi meccanismi di coesione presentati, quello

che più contribuisce a segnalare i legami logici tra le diverse parti

del testo è l’uso di elementi di giunzione o congiunzione detti anche

connettori o connettivi12. Essi spiegano in che modo gli elementi

linguistici sono collegati tra loro attraverso una relazione semantica,

costruendo così una gerarchia logico-temporale tra le informazioni

presentate.

12 Nel testo originale di De Beaugrande e Dressler (1984) il termine utilizzato per la relazione è Konnexion, quello per gli elementi lessicali Konnektoren, in Halliday (1994) troviamo rispettivamente conjunction e conjunctive adjuncts. I termini sono stati variamente tradotti nei saggi italiani.

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41

CAPITOLO III

CONNETTIVI:

UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA

III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale

Tra i diversi processi di coesione, Halliday e Hasan (1994)

individuano la “congiunzione”, ovvero

specification of the way in which what is to follow is systematically

connected to what has gone before (Halliday, Hasan, 1994: 227).

La relazione, realizzata attraverso numerosi elementi che rientrano

in diverse categorie grammaticali (coordinating conjunctions,

compound adverbs, prepositional phrases, prepositional

expressions), è al confine tra il piano grammaticale e il piano

semantico. Infatti queste parole o espressioni creano coesione tra le

diverse parti del testo in virtù del proprio specifico significato

lessicale. Non sono meccanismi che rimandano direttamente ad un

altro elemento linguistico del testo, ma piuttosto presuppongono la

presenza di altre componenti nel discorso a cui fanno riferimento:

strutturano il testo in modo da costruire un ordine logico tra le

diverse parti. Possono essere divise in quattro categorie generali,

riconducibili a precise funzioni: additiva (and), avversativa (but),

causale (so) e temporale (then) (Halliday e Hasan, 1994).

Per de Beaugrande e Dressler la “giunzione” è

un dispositivo per segnalare le relazioni tra avvenimenti e situazioni

attraverso espressioni giuntive (De Beaugrande e Dressler, 1981:

18).

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Le relazioni tra avvenimenti e situazioni espresse dai connettori

sono classificabili come congiunzione, disgiunzione, contro-giunzione

e subordinazione. La congiunzione (vd. e) è una relazione che

collega due avvenimenti o situazioni interdipendenti citate sia dentro

un enunciato che al di là dei suoi limiti. La disgiunzione (vd. o),

all’interno dell’enunciato, connette due alternative, entrambe

presenti nella memoria a breve termine, delle quali una sola si

realizza nel mondo testuale; fra due enunciati, invece, tende a

esprimere un’alternativa non considerata in precedenza. La contro-

giunzione (vd. ma) ha la funzione di agevolare punti problematici di

transizione nei quali compaiono combinazioni di situazioni o

avvenimenti apparentemente improbabili. La subordinazione, infine,

rende esplicite relazioni di coerenza, ad esempio di causa,

agevolazione, ragione, scopo, tempo, localizzazione.

Le forme descritte sono individuate considerando

contemporaneamente il loro ruolo sintattico e l’intenzione

comunicativa del parlante. La funzione coesiva di tali elementi aiuta

chi produce il testo ad esercitare un controllo sul modo in cui questo

viene recepito dal ricevente.

Le definizioni ora presentate sono state riprese in molte opere

italiane. Berruto (1997) propone il termine “connettivo” per gli

elementi che realizzano i rapporti di coordinazione o subordinazione

tra le frasi, tra cui segnala le congiunzioni che hanno il valore di

operatori logici, ossia che favoriscono l’interpretazione del valore

degli enunciati. Telve (2008) ha allargato ulteriormente la categoria

includendo al suo interno qualunque elemento grammaticale che

stabilisca una relazione tra sintagmi, tra clausole, tra periodi. I

connettivi garantiscono una funzione “strutturante” e di

coordinamento all’interno delle frasi semplici e complesse (connettivi

frasali) o in unità testuali superiori (connettivi testuali). Nel secondo

caso hanno la funzione di conferire al testo un ordine tematico,

logico-consequenziale e temporale; di specificare il senso delle

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affermazioni; di segnalare un momento di passaggio, una

conclusione o un rinvio interno o esterno al testo.

Una definizione più ristretta è presente nel manuale di linguistica di

Simone (1994), per il quale i connettivi sono tutti gli elementi che

svolgono la funzione di connettere porzioni diverse del testo (sia

all’interno della stessa clausola sia di clausole diverse), pur senza

aver necessariamente un punto d’attacco in un’altra parte del testo.

In pratica sono connettivi quasi tutte le congiunzioni e una parte

notevole degli avverbi, ma anche un numero difficilmente definibile

di sintagmi preposizionali e di clausole (es. come abbiamo visto)

(Simone, 1994: 424).

L’autore specifica che i connettivi possono avere sia la funzione di

indicare relazioni sia la funzione di modulare l’enunciato, creando

enfasi o focalizzando un elemento rispetto ad altri, evidenziando la

dimensione pragmatica della comunicazione.

Alcuni autori hanno focalizzato l’attenzione sui connettivi definiti

pragmatici, che operano al di fuori della frase mettendo in relazione

atti linguistici autonomi. Berretta (1984), nel saggio Connettivi

testuali in italiano e pianificazione del discorso, esamina gli elementi

linguistici espliciti che esprimono relazioni tra parti del discorso in

alcuni testi espositivi orali. Analizza in primo luogo i connettivi che

legano atti linguistici distinguendoli in base alla funzione: possono

esprimere relazioni di carattere semantico-discorsivo o essere

segnali di articolazione della struttura interna del testo

(demarcativi). Questi elementi svolgono la funzione di strutturare il

testo e possono esplicitare una relazione semantica, sintattica o una

sovrapposizione di entrambe. Le loro caratteristiche sono

l’appartenenza al livello del discorso e l’autonomia rispetto alla

struttura frasale in cui sono inseriti. Nei connettivi frasali la

distinzione tra livello semantico e livello pragmatico o discorsivo è

più complessa e largamente intuitiva. Le relazioni a livello

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pragmatico, ovvero relazioni istituite dal parlante nel e per il suo

discorso, sono spiegate attraverso alcune esemplificazioni: spiegare

(cioè); esemplificare (per esempio); autocorreggersi (anzi);

riassumere (insomma); demarcare la struttura del testo (ora).

Commentando la classificazione di Halliday (additivi, avversativi,

causali e temporali), l’autrice non accetta il parallelismo tra i

connettivi frasali e quelli testuali, dato che riferisce i primi a “fatti”

del mondo e i secondi a “fatti” discorsivi. Sulla stessa linea teorica,

si pongono anche la Linguistica testuale di Andorno (2003), che

tratta i connettivi testuali all’interno del capitolo dedicato alla

pragmatica, e il manuale di educazione linguistica di Lo Duca

(2003).

Anche Bazzanella (1995), nella trattazione dei segnali discorsivi13

che svolge per la Grande grammatica italiana di consultazione

(Renzi, Salvi, Cardinaletti, 1995), individua un gruppo particolare di

“operatori di coordinazione” che realizzano valori speciali o effetti

pragmatici, esprimendo relazioni tra atti linguistici. Uno stesso

elemento può assumere un valore primario, caratterizzato dal

significato letterale, ed un valore pragmatico che assume un

significato dipendente dal contesto linguistico ed extralinguistico:

(1) Abbiamo messo cento millilitri di sabbia, poi la professoressa ha

messo l’acqua

(2) Non siamo poi così lontani dalla verità.

Nel secondo caso gli operatori si caratterizzano come un gruppo

tonale separato, senza una posizione fissa e con la possibilità di

essere di essere sostituiti da altre parole dal significato

corrispondente.

13 “elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione (Bazzanella, 1995: 225)”

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Ellero (1986), tenta una classificazione dei connettivi in relazione

alla loro funzione semantica o pragmatica. In particolare prende in

esame le più abusate forme di congiunzione e e ma, portando

esempi di come sia possibile distinguere tra relazioni coordinanti e

relazioni coesive. La congiunzione usata come relazione coesiva non

collega due elementi linguistici sullo stesso piano, ma congiunge gli

enunciati creando una prospettiva sequenziale, ad esempio l’uso di e

focalizza l’attenzione sulle nuove informazioni per cambiare

l’argomento o la prospettiva del lettore, mentre il ma ad inizio della

frase mette in rilievo un supplemento di informazione o nega una

tesi che potrebbe essere avanzata dall’interlocutore14.

Sabatini e Coletti (2008), nell’introduzione al Dizionario da loro

curato, propongono una definizione ampia di “connettivi” come

elementi che collegano parti del testo, all’interno della quale gli

elementi indicati da Berretta (1984) e Bazzanella (1995) siano

individuati come “congiunzioni testuali”, che così definiscono:

Si tratta di parole molto comuni e importanti come dunque, ebbene,

infatti, inoltre, insomma, oltretutto, peraltro, perciò, sennò, tuttavia,

o di espressioni composite altrettanto frequenti, come ad ogni modo, 14 La classificazione è interessante perché fornisce una spiegazione linguistica ad un uso di e e ma ad inizio di frase largamente presente nella letteratura italiana, di cui l’insegnamento tradizionalista, secondo il quale le congiunzioni hanno solo un valore sintattico di unione tra sintagmi o proposizioni, non dà giustificazione. Riportiamo alcuni esempi illustri, solo come provocazione per tutti quegli insegnanti che sanzionano e e ma ad inizio di frase in base a non ben identificati criteri di “stile”. E volta nostra poppa nel mattino, de remi facemmo ali al folle volo. (Dante, Divina Commedia, canto XXVI) Ma Giovanna fu irremovibile. (Boccaccio, Federigo degli Alberighi, Decameron) Ma né quella, né scure, né bipenne Era bisogno al suo vigore immenso. (Ariosto, Orlando furioso, canto XXIII) E non aggiunsero altro, correndo col vento e colle onde, nella notte che era venuta tutt’a un tratto nera come la pece. (Verga, I Malavoglia)

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con ciò, del resto, in realtà ecc. Tutti questi elementi non svolgono

una funzione all’interno di una struttura frasale: non sono cioè

avverbi che si legano strettamente a un altro elemento della frase

(come quelli presenti in sono qui o studia intensamente) e non sono

congiunzioni che collegano due predicati (come accade per le

congiunzioni che legano due frasi coordinate o una reggente a una

dipendente, regolando anche il modo verbale di questa). Essi invece

collegano tra loro entità testuali di qualsiasi conformazione (anche

blocchi di più sequenze), conferendo all’entità in cui sono collocati un

determinato valore (avversativo, deduttivo, confermativo,

riformulativo ecc.) rispetto a quanto detto in precedenza. […]

Vengono classificati come congiunzioni testuali. […] Anche altri

elementi, che hanno una loro funzione primaria all’interno della frase,

possono passare a svolgere una funzione testuale: sono usati cioè in

funzione di congiunzione testuale. Questi connettivi testuali sono

di norma isolati da pause e molti di essi sono anche di libera

collocazione nell’ambito della seconda sequenza di testo (vd.

comunque, dopotutto, infatti ecc.) (Sabatini e Coletti, 2008: XIII).

Si tratta di forme che sono variamente classificate dalla grammatica

come avverbi o congiunzioni o addirittura non sono riconosciuti

come unità lessicali.

Ferrari (2010) nella voce “Connettivo” dell’Enciclopedia Treccani

presenta le diverse posizioni finora esaminate, ma opera una sintesi

interessante. Definisce i connettivi come una categoria ampia di tipo

sovragrammaticale in cui sono incluse le forme linguistiche

invariabili che indicano relazioni tra eventi o asserzioni. Un

connettivo può legare una frase e un sintagma con funzione

circostanziale, una frase reggente e una subordinata, due frasi

coordinate, due frasi sintatticamente autonome, semplici o

complesse. Il suo valore semantico è espresso dal tipo di relazione

che istaurano (temporale, causale, consecutiva, concessiva,

condizionale, di rielaborazione linguistica, di opposizione, di aggiunta

di dispositio. Il significato intrinseco è un’istruzione offerta a chi

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riceve la comunicazione per interpretare la relazione intesa dal

parlante, ma tale istruzione può essere povera o specifica. Quando

esprime un collegamento con il contesto e non con altri elementi

linguistici (valore pragmatico) il connettivo perde in parte il suo

significato intrinseco, come negli esempi con e e ma descritti da

Ellero (1986). In casi come questo i connettivi diventano “segnali

discorsivi”, nel senso descritto da Bazzanella (1995).

I connettivi, come tutti gli altri meccanismi di coesione, manifestano

i collegamenti linguistici che attraversano il testo, perciò il loro

ambito naturale di manifestazione è quello delle relazioni tra frasi o

tra porzioni più ampie di testo. Tuttavia vanno considerate come

relazioni coesive anche quelle istaurate tra frasi reggenti, frasi

coordinate e frasi subordinate non argomentali, perché sono

governate contemporaneamente da principi grammaticali e da

principi testuali. Ad esempio nelle due frasi:

(1) Restò a casa perché era stanco

(2) Siccome era stanco, restò a casa

è un principio grammaticale che impone la posizione della causale

prima della reggente nella frase (2), ma è la struttura del testo che

determina la scelta di una o dell’altra congiunzione.

L’ultima caratteristica descritta da Ferrari rappresenta senz’altro la

meno conciliabile con le definizioni proposte precedentemente, in cui

prevale la dimensione interfrastica dei connettivi. Nella trattazione

successiva si prenderanno in considerazione principalmente

connettivi interfrasali, dato che la definizione dei rapporti coesivi tra

clausole risulta estremamente controversa. Per il resto, l’articolata

definizione riprende e chiarisce sia la funzione svolta dai connettivi

nel rendere esplicita la rete di legami coesivi che percorre il testo ed

il suo rapporto con la struttura complessiva che collega le

informazioni. In particolare evidenzia il ruolo dei connettivi come

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segnali per favorire la corretta interpretazione delle relazioni tra fatti

o asserzioni presupposta dall’emittente.

III.2 I connettivi nei dizionari

Dalla ricerca nei saggi di linguistica, emerge come, pur riconoscendo

la funzione peculiare svolta dai connettivi come operatori di coesione

testuale, non è ancora entrata in uso una terminologia condivisa. La

situazione risulta ancora più confusa nelle grammatiche di

consultazione e nei dizionari, dove le stesse parole sono classificate

in modo diverso o incluse in più categorie. È possibile verificare la

complessità delle specificazioni grammaticali, cercando ad esempio i

termini quindi e allora.

Tra i dizionari, solo il Sabatini-Coletti (2008) ritiene necessario

introdurre una nuova categoria, che definisce congiunzioni testuali,

nella quale troviamo appunto catalogato quindi15:

(1) congiunzione testuale con valore deduttivo conclusivo,

perciò: ero piuttosto nervoso, quindi ho preferito evitare

discussioni. Con lo stesso valore opera, come congiunzione, tra

due termini della stessa frase: è una persona distratta, quindi

inaffidabile || in un dialogo per sollecitare una deduzione: e

quindi?

(2) congiunzione testuale con valore temporale, poi: percorri la

strada fino in fondo, quindi gira a sinistra.

L’introduzione della categoria “congiunzione testuale” permette di

riunire sotto un’unica voce le occorrenze tra due frasi coordinate

(ero piuttosto nervoso, quindi ho preferito evitare discussioni),

all’interno della frase (è una persona distratta, quindi inaffidabile) e

15 Il dizionario presenta anche l’accezione di avverbio, ma solo come caso particolare dell’uso letterario arcaico con valore spaziale (di qui): “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante). Questo uso, segnalato anche in altri vocabolari, non sarà preso in considerazione nella seguente trattazione.

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isolate (E quindi?), perché in ciascuno dei casi citati si esplica un

nesso di tipo coesivo.

In altri casi, ad esempio nella definizione di allora, il dizionario

mantiene invece la specificazione grammaticale tradizionale di

avverbio, quando il termine specifica un verbo, un aggettivo o un

nome, e aggiunge una variante d’uso in funzione di congiunzione

testuale, quando evidenzia un fenomeno di coesione:

(1) avverbio, in quel preciso momento: arrivava allora da Torino

(2) in funzione di congiunzione testuale, dunque: il film era noioso

e allora uscii.

Nel Sabatini-Coletti (2008), dunque, il preciso riferimento alla

linguistica testuale, palesato nell’introduzione generale, permette

una classificazione chiara, dettagliata e basata su criteri

grammaticali interni al sistema linguistico.

Quando, al contrario, la classificazione è basata sul valore semantico

delle parole o su criteri sintattici senza riferimenti ad una teoria

esplicita, le definizioni risultano meno chiare.

Ad esempio, nelle avvertenze del dizionario Devoto-Oli (2012), si

scrive esplicitamente che le distinzioni presentate all’interno di ogni

singola voce vogliono documentare e illustrare gli usi linguistici, con

esempi tratti dalla letteratura e dalla lingua quotidiana, senza

imporre una norma. Tuttavia esaminando le singole voci si rilevano

considerazioni di tipo sintattico e semantico, non sempre

adeguatamente motivate.

In questo dizionario sia allora che quindi sono presentate sotto due

accezioni distinte, come avverbio e come congiunzione. La

distinzione sembra essere basata sul valore semantico della parola,

perché quindi è presentata come avverbio con valore temporale o

come congiunzione con valore conclusivo:

(1) avverbio con valore temporale, da allora: quindi a pochi dì

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(2) congiunzione con valore conclusivo o causale, perciò: arrivai in

ritardo, quindi presi un tassì; quindi successe che…

Nella definizione di allora, invece, si introduce un criterio di tipo

sintattico, basato sulla distinzione tra coordinazione e

subordinazione:

(1) avverbio di tempo, in quel momento: allora regnò finalmente la

pace || Usato in senso interrogativo sollecita una conclusione: allora

ci muoviamo?

(2) congiunzione correlativa (temporale o conclusiva) che afferma il

parallelismo della proposizione principale con la dipendente: visto

che insisti, allora verrò.

Oltre alla confusione nei criteri adottati, risulta discutibile anche la

distinzione basata sul valore temporale o conclusivo: nella frase

allora regnò finalmente la pace, in cui allora è definito come

avverbio di tempo, è altrettanto plausibile un’interpretazione come

relazione consecutiva con i fatti narrati in precedenza. Risulta inoltre

incomprensibile la collocazione sotto la voce “avverbio di tempo” per

l’esempio allora ci muoviamo?, in cui allora è indiscutibilmente un

segnale discorsivo.

Una situazione analoga si ritrova anche consultando il vocabolario

Zingarelli (2012) in cui quindi è definito sia avverbio con valore

temporale sia congiunzione con valore conclusivo. Allora è

catalogato come avverbio, con l’avvertenza che può essere usato in

funzione di congiunzione con valore conclusivo o con valore

discorsivo ad inizio frase. Si pone attenzione dunque alla funzione

pragmatica in un caso, ma non nell’altro. Inoltre, si trova la formula

“in funzione di”, che in molti casi è l’escamotage linguistico con il

quale si risolve il problema della doppia appartenenza a due classi

del discorso distinte (in questo caso avverbio e congiunzione).

De Mauro (2007) nell’introduzione al Grande dizionario italiano

dell’uso avverte che la categoria degli avverbi convive con le altre

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categorie (congiunzione, preposizione, sostantivo, pronome, ecc.)

all’interno di uno stesso lemma con un’unica etimologia. È questo il

caso sia di quindi che di allora. In particolare nella definizione di

allora si evidenzia che il ruolo di congiunzione è riconoscibile proprio

grazie alle relazione istaurate con altri elementi del discorso:

(1) avverbio, in quel momento

(2) congiunzione con valore conclusivo, usata in correlazione con altre

congiunzioni indica un rapporto temporale: quando ti sarai deciso,

allora fammelo sapere || In forma interrogativa per sollecitare una

conclusione, per cominciare o riprendere un discorso: allora, stavi

dicendo?

Come in De Mauro (2007), in molti altri dizionari i termini sono

catalogati come avverbi in relazione al valore temporale e come

congiunzioni in relazione al valore conclusivo, includendo in questa

seconda categoria anche i casi in cui svolgono una funzione

discorsiva. Non sempre, però a questa divisione corrispondono

esempi coerenti, al contrario si ritrovano spesso esempi di dubbia

interpretazione.

Ad esempio nel dizionario Gabrielli (2011), si trovano i seguenti

esempi per allora:

(1) avverbio, in quel momento: lui apparve, e allora gli corsi incontro;

era uscito allora allora; fino allora non si era mai vista una cosa

simile; diventerai grande anche tu, e allora capirai

(2) congiunzione con valore conclusivo, in tal caso: allora non parlo

più; se non ti fidi di me, allora fallo da solo || ebbene, dunque (in

proposizioni interrogative dirette ed esclamazioni): allora, che

facciamo? Fallo, allora!

Anche qui per dare ragione dell’uso pragmatico di allora, si ricorre

ad un’analisi sintattica del tipo di preposizioni, che non tiene in

considerazione la dimensione comunicativa più ampia del discorso.

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Nei due esempi citati (allora, che facciamo? Fallo, allora!), infatti il

ruolo di allora si spiega come segnale per l’interlocutore, più che

come espressione tipica di una forma interrogativa o esclamativa.

La stessa presentazione di dubbia interpretazione si trova anche per

quindi: avverbio se ha valore temporale e congiunzione se ha valore

consecutivo o discorsivo:

(1) avverbio, in seguito: insisté un po’, quindi tacque

(2) congiunzione, perciò: non mi interessa, quindi non seccarmi || si

usa per sollecitare una conclusione o una risposta: quindi? Che

aspetti a parlare?

In modo analogo quindi e allora sono definiti anche nel dizionario

Garzanti (2009), con l’unica differenza che in quest’ultima opera

quindi è considerato solo avverbio.

Abbiamo così trovato tutte le varianti possibili per i due lessemi

esaminati: avverbio e congiunzione, solo congiunzione, solo

avverbio, avverbio con funzione di congiunzione. Dagli esempi

presentati risulta che tutti i vocabolari, con l’eccezione del Sabatini-

Coletti, mantengono la tradizionale classificazione in avverbi e

congiunzioni, utilizzando ora una ora l’altra senza spiegare con quale

criterio. In questo panorama si distingue il dizionario Palazzi-Folena

(1995), che presenta una divisione netta tra teoria e applicazione: la

definizione di connettivo è presente nelle pagine conclusive di sintesi

grammaticale, inclusa nella trattazione degli avverbi, ma non nella

definizione dei termini: allora è definito come congiunzione o

avverbio, senza ulteriori chiarimenti, mentre quindi è presentato

solo come congiunzione. È evidente dunque che le scelte operate

non nascono dall’accettazione o dal rifiuto delle conclusioni emerse

dalla ricerca linguistica, ma piuttosto dalla difficoltà nel rivedere una

terminologia nota e rassicurante, seppur confusa. Il fatto di

mantenere i termini consueti come etichette delle classi

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grammaticali, però, non garantisce affatto che ci sia accordo rispetto

all’attribuzione delle parole alle diverse categorie.

III.3 I connettivi nelle grammatiche di consultazione

Se nei dizionari non è previsto che si lasci spazio ad una trattazione

delle questioni grammaticali, si può cercare un’esposizione più

approfondita nelle grammatiche. Tuttavia, sebbene generalmente le

grammatiche presentino una divisione degli argomenti che rispetta

la tradizionale classificazione delle parti del discorso, anche in

questo campo non sempre si riscontra una riflessione esplicita sui

criteri che l’hanno ispirata.

Andorno (2003) nota, ad esempio, che le grammatiche non sono

sempre d’accordo su come e se tracciare una distinzione fra

congiunzioni e connettivi. Nella sua grammatica propone quindi una

distinzione basata su un criterio sintattico: la definizione di

connettivi va riservata ad avverbi di tipo frasale, che cioè modificano

l’enunciazione della frase, con precise caratteristiche distribuzionali.

Gli avverbi connettivi sono quelli che hanno ampia libertà

posizionale nella frase, mentre le congiunzioni precedono

obbligatoriamente il secondo congiunto. Avverbi con funzione

connettiva sono ad esempio dunque e quindi (con valore

conclusivo), che pur avendo una funzione simile a quella delle

congiunzioni coordinanti, possono presentarsi in posizione isolata o

parentetica. Il merito della precedente definizione è rendere esplicito

il criterio sulla base del quale è stata effettuata la divisione tra le

due categorie.

Anche nella grammatica di Dardano e Trifone (2007), tra le diverse

categorie di avverbi si identificano gli avverbi connettivi, in base,

però, alla loro funzione di collegamento tra diverse sequenze

testuali. La funzione testuale in molti casi si accompagna alla

funzione di base (di modo, di luogo, di tempo, di giudizio, ecc.):

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(1) allora era un atleta di primo piano, ora ha abbandonato l’attività

agonistica (avverbio di tempo)

(2) allora vogliamo andarcene o restiamo qui tutta la sera? (avverbio

testuale)

Naturalmente anche per gli avverbi testuali è possibile indicare le

diverse modalità con cui istaurano relazioni con il discorso

precedente (di prosecuzione, enumerazione, conclusione,

contrapposizione).

Questi avverbi, detti anche “operatori di subordinazione avverbiale”

rientrano nella categoria più ampia dei connettivi, ovvero parole o

espressioni che svolgono funzione di raccordo nel testo. Nella

sezione dedicata alle congiunzioni, si definiscono congiunzioni

testuali

le congiunzioni che collegano tra loro porzioni di testo più ampie

della singola frase e talvolta fungono da segnali di apertura parziale

o totale di un testo (Dardano e Trifone 2007: 173)

includendovi congiunzioni coordinative e subordinative, locuzioni

congiuntive e avverbi. La definizione risulta più ampia di quella di

Andorno (2003), ma meno precisa sia nei termini scelti (avverbi

connettivi, avverbi testuali, operatori di subordinazione avverbiale,

connettivi, congiunzioni testuali) sia nei criteri per identificare tali

elementi.

Nella grammatica di Prandi (2006), che pure dedica ampio spazio

alla coesione, manca completamente un termine per individuare gli

elementi linguistici che la esprimono. Nella sezione dedicata agli

avverbi si segnalano gli avverbi anaforici, cioè

le parole e le locuzioni che, senza creare connessioni grammaticali,

tracciano relazioni anaforiche tra processi o frammenti di testo più

ampi, contribuendo alla coesione testuale. Oltre a locuzioni come

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per questo, di conseguenza, ciononostante, lo stesso, hanno questa

funzione alcune parole classificate di solito come congiunzioni

coordinative: tuttavia, dunque, quindi, però, allora (Prandi, 2006:

327).

Tali avverbi, grazie al loro valore anaforico, mettono in relazione

porzioni di testo attraverso processi intertestuali e,

contemporaneamente, orientano il destinatario nell’interpretazione

del testo.

Un avverbio come dunque o quindi, per esempio, è in grado sia di

esprimere una relazione di causa, sia di collegare la premessa e la

conclusione di un ragionamento (Prandi, 2006: 327).

Nel secondo caso la coesione di un testo che sviluppa

un’argomentazione, con lo scopo di convincere l’interlocutore, non è

garantita da una relazione tra i diversi enunciati, ma dalla loro

appartenenza alla stessa strategia di ragionamento: l’avverbio ha

pertanto la funzione di segnale testuale.

Anche nelle pagine dedicate alla connessione transfrastica, Prandi

(2006) segnala la differenza tra le congiunzioni e altre modalità di

connessione tra frasi giustapposte, che utilizzano espressioni

indicate genericamente come “locuzioni anaforiche”, come negli

esempi:

(1) Ha piovuto molto. Malgrado ciò il grano non è ancora spuntato. (2) Ha piovuto molto. Tuttavia il grano non è ancora spuntato.

Gli avverbi e le locuzioni anaforiche hanno lo stesso potere di

coesione delle congiunzioni, ma si differenziano sul piano sintattico:

le seconde creano legami grammaticali tra gli enunciati, mentre le

prime creano relazioni solo sul piano del contenuto. Inoltre le

congiunzioni non possono cumularsi tra loro e hanno una posizione

fissa all’inizio della frase, mentre le espressioni anaforiche possono

aggregarsi e hanno una posizione libera.

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Una distinzione analoga si ritrova anche in Salvi e Vanelli (2004)

nella quale gli avverbi connettivi sono definiti come elementi che

mettono in relazione il contenuto della frase in cui si trovano con il

contenuto del discorso precedente, le congiunzioni invece

funzionano come operatori logici e sintattici nella costruzione di

strutture coordinate.

Gli avverbi connettivi possono ricorrere tra due frasi che si

susseguono, rendendo esplicito il rapporto tra i contenuti espressi

(vd. 1) oppure possono esplicitare anche i rapporti tra subordinata e

principale in strutture di tipo correlativo (vd. 2):

(1) Piero le aveva scritto più volte. Allora Maria lo aveva invitato

(2) Se Piero le ha scritto, allora Maria lo inviterà

L’attribuzione alla categoria degli avverbi è determinata dal loro

comportamento sintattico. Ricorrono ad esempio tra ausiliare e

participio (vd. 3). Ciò non avviene nel caso in cui allora significa “in

quel tempo” (vd. 4):

(3) Piero le aveva scritto più volte. Maria lo aveva allora invitato

(4) * Lo aveva allora (= in quel tempo) invitato spesso.

Completamente opposta la posizione di Sensini (1990) che invece

separa dagli avverbi tutte le parole che svolgono una funzione di

congiunzione tra due proposizioni o tra due elementi anche lontani

nel testo. Allora e quindi, utilizzati un tal senso, sono da considerarsi

congiunzioni coordinanti conclusive, perché uniscono due parole o

due proposizioni di cui la seconda è la logica conseguenza della

prima.

Per Schwarze (2009)16 gli avverbi di cui si è discusso sopra sono

“connettori”, ovvero forme linguistiche che collegano intere frasi

16 La grammatica di Schwarze ha una struttura diversa da quelle finora presentate, dato che non opera distinzioni tra l’ambito della morfologia e della sintassi, ma analizza la struttura della

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senza imporre una specifica relazione sintattica. Tra i connettori

rientrano sintagmi avverbiali (prima e poi in dimmi prima, poi

vedremo), sintagmi preposizionali con valore di connettori causali

(per questo), semplici congiunzioni (anche, pure, nemmeno,

invece).

I connettori designano relazioni di successione temporale,

conclusione logica (è il caso di allora e quindi), connessione causale.

I costituenti introdotti da un coordinatore possono anche comparire

come indipendenti:

(1) E allora?

ma in tali casi non creano una coordinazione tra due elementi della

frase, bensì operano sul piano della costituzione dl testo.

Dal punto di vista della costituenda e della prosodia questo uso dei

connettivi è esclusivamente testuale, ma funzionalmente e

semanticamente si tratta di coordinazioni (Schwarze, 2009: 319).

Anche nella grammatica di Serianni (1997) i connettivi sono citati

nel capitolo relativo a congiunzioni e segnali discorsivi. Le

congiunzioni sono una classe aperta, i cui elementi possono trovare

impiego ora come congiunzioni, ora come preposizioni, ora come

avverbi. Se tali elementi si pongono come elemento di raccordo tra

due proposizioni coordinate sono congiunzioni: quindi, posizionato in

una proposizione che si presenta come una deduzione logica o come

sintesi conclusiva di ciò che è stato detto in precedenza, è una

coordinazione conclusiva. Quando invece le congiunzioni svolgono

funzione di raccordo tra le varie parti del testo, contribuendo alla

pianificazione sintattica del discorso, confluiscono nella categoria dei

“connettivi”, che è parte a sua volta dei cosiddetti “segnali

discorsivi”. frase attraverso la descrizione delle sue unità minori (sintagmi) e dei rapporti tra queste. Deriva in modo diretto dalla teoria linguistica di De Saussure.

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Le caratteristiche di questo gruppo sono la provenienza da categorie

grammaticali diverse; la possibilità di essere adoperati sia come

demarcativi sia come connettivi; il largo impiego nel discorso orale.

Gli avverbi come allora e le congiunzioni come dunque hanno

perlopiù valore demarcativo, messo in risalto dal fatto che possono

essere sostituiti con forme analoghe:

(1) allora che facciamo?

(2) quindi che facciamo?

Alcune di queste forme sono adoperate per segnalare che si sta

ponendo fine alla conversazione:

(3) allora, a risentirci presto.

In generale comunque Serianni (1997) evidenzia che la

classificazione non è semplice e che le opinioni dei grammatici

sull’argomento sono discordi.

III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso? Secondo Lo Duca (2003), l’impossibilità di incasellare i connettivi

nelle tradizionali classificazioni delle “parti del discorso”, li esclude

spesso dalle grammatiche tradizionali, creando un grave vuoto e

una notevole confusione nella definizione di alcune parole, che sono

presentate in modo discordante, talvolta come avverbi, talvolta

come congiunzioni da testi scolastici e dizionari.

La difficoltà di classificazione non deve, però, essere attribuita alla

categoria dei connettivi, in quanto elemento nuovo rispetto alle

impostazioni tradizionali della sintassi. Infatti Colombo (1984)

denuncia le stesse incongruenze svolgendo una ricerca nelle

grammatiche scolastiche più diffuse sulla definizione di

“congiunzione”. In tutti i casi le grammatiche presentano la

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congiunzione come un elemento che unisce costituenti di uguale

rango e funzione, ma presentano poi liste di congiunzioni che non

rispondono completamente a questa definizione. Alcune delle parole

elencate non hanno necessariamente una funzione analoga

all’elemento che li introduce, sono invece utilizzate più spesso come

riferimento anaforico ad un altro elemento all’interno della frase o

del testo17. In alcuni casi, si riferiscono ad elementi extratestuali o

anche alla struttura stessa del processo di enunciazione, ad esempio

quando dunque significa “avendo detto a, posso dire b”. Proprio in

considerazione di queste osservazioni, Colombo ritiene necessario

introdurre nelle grammatiche ad uso didattico il concetto di

coesione, come fenomeno testuale, e distinguerlo dalla

coordinazione, che invece è un fenomeno strutturale del periodo.

I problemi e le incertezze che si incontrano nella definizione delle

categorie grammaticali derivano essenzialmente da un’adesione

dogmatica ad una classificazione delle “parti del discorso” storica,

che non è sostenuta dall’osservazione dei fenomeni linguistici.

Manca in sostanza il rigore teorico che caratterizza la ricerca

linguistica, così come è venuta delineandosi in età contemporanea.

Una parte del discorso o classe di parole è un insieme di lessemi

caratterizzati dalle stesse proprietà. Le diverse parti del discorso si

combinano tra di loro secondo regole precise per formare sintagmi e

frasi. La grammatica scolastica individua nove parti del discorso:

nome, aggettivo, articolo, pronome, verbo, avverbio, preposizione,

congiunzione, interiezione.

I criteri per assegnare ogni parola ad una specifica classe sono

essenzialmente tre: in base al significato (criterio nozionale o

semantico), in base alla flessione (criterio morfologico), in base alle

funzioni che le parole svolgono nella frase o alla loro distribuzione

sintattica (criterio sintattico-funzionale). Le nove parti del discorso

non sono, tuttavia, classi parallele, perché alcune categorie sono

17 La congiunzione anche riveste generalmente questo ruolo, ad esempio nella frase “è causa dell’abbassamento della guardia anche dove la diossina non c’è”.

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trasversali: i possessivi, ad esempio, sono una classe chiusa

strettamente legata funzionalmente ai pronomi personali, ma hanno

le stesse proprietà morfologiche e sintattiche degli aggettivi; gli

interrogativi sono presenti sia tra gli aggettivi, sia tra gli avverbi, sia

tra pronomi (Salvi, 2013).

Questi problemi sono stati registrati anche dalla grammatica

tradizionale che ha cercato di risolverli creando delle sottoclassi (ad

esempio “aggettivi pronominali”) o classificando le stesse parole in

classi diverse, a seconda della funzione, con risultati non del tutto

coerenti. La classificazione tradizionale è il frutto di una lunga

evoluzione che comincia nell’antichità classica e raggiunge la forma

attuale nel Settecento, come parte della teoria della grammatica

della lingua greca, estesa successivamente al latino e alle lingue

moderne. La tenuta della grammatica classica si dimostra forte per

quelle categorie il cui corrispondente nozionale è più evidente

(nome, aggettivo, verbo), che sono caratterizzate da una morfologia

distintiva marcata. La classificazione delle parti del discorso

invariabili presenta molti più problemi perché non ci sono aspetti

nozionali e morfologici così evidenti, quindi le grammatiche

tradizionali fanno ricorso a criteri generici che mostrano varie

debolezze (Salvi, 2013).

Secondo Salvi, le incongruenze possono essere affrontate

applicando un criterio sintattico-funzionale, collegando cioè ogni

classe di parole alla funzione grammaticale che svolge nella frase.

Per fornire una descrizione completa delle relazioni tra due o più

elementi della frase è però necessario elaborare una teoria generale

delle strutture sintattiche e, dato che la teoria della grammatica

cambia, anche la classificazione delle parti del discorso può

cambiare.

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61

In questa prospettiva innovativa si sono posti alcuni degli studi

linguistici presentati nei paragrafi precedenti18, che pur cercando di

mantenere una terminologia rispettosa della tradizione, hanno

riconosciuto la necessità di riconoscere un ruolo definito a quegli

elementi che attuano la coesione di un testo. Alcuni meccanismi

linguistici, tra cui appunto i connettivi, possono infatti essere

spiegati solo in riferimento al testo inteso come macroatto

linguistico.

Il testo presentato all’inizio del capitolo precedente, la ricerca svolta

sui testi prodotti dagli studenti trentini (IPRASE Trentino, 2011) e,

più in generale, la letteratura (Bertocchi, 1991; Lo Duca, 2003)

attestano gravi difficoltà nell’uso dei connettivi tra bambini e

adolescenti. Per definire le cause del problema non è sufficiente

limitarsi ad un’analisi della struttura morfosintattica delle singole

frasi, ma bisogna considerare il testo come il prodotto di un

processo linguistico complesso. Nel capitolo seguente sono

presentati alcuni studi sulla comprensione del testo nei bambini per

comprendere quale ruolo giochi in questo processo la ricostruzione

della coesione testuale, e in particolare il riconoscimento dei

connettivi.

18 Vd. Colombo (1984), Bazzanella (1995), Dardano e Trifone (1997), Andorno (1999), Schwarze (2009)

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62

CAPITOLO IV

IL RUOLO DEI CONNETTIVI NELLE STRATEGIE

DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE

IV.1 I connettivi nel testo infantile

Per rendere scorrevole la narrazione, il parlante deve costruire una

struttura complessa, collegando gli enunciati attraverso meccanismi

linguistici che permettono di riferirsi a cose dette in precedenza.

Acquisire tali complessi meccanismi rappresenta uno dei passaggi

più complessi nel processo di acquisizione del linguaggio, che

secondo Karmiloff e Karmiloff-Smith (2002) viene affrontato a

partire dai sei, sette anni. In questo stadio dello sviluppo, i bambini

si rendono conto che la narrazione ha bisogno di una struttura

intralinguistica, ma il loro uso degli strumenti di coesione non è

ancora adeguato. L’osservazione sistematica del discorso infantile

mette quindi in relazione la comparsa dei nessi coesivi con

l’esigenza di spiegare eventi complessi, di cui si percepisce lo

svolgimento nel tempo.

A questo proposito, Fayol e Mouchon (1997) sostengono che la

mancanza di connettivi, che non compaiono nei testi scritti da

bambini di età inferiore ai nove anni, con l’eccezione dell’abusata

congiunzione e, dipenda dalla struttura stessa della narrazione

infantile. I bambini dai sette ai nove anni producono, infatti, quasi

esclusivamente testi composti da una sequenza lineare di fatti con

uno svolgimento altamente prevedibile, in cui non c’è necessità di

connettivi.

Fayol e Mouchon (1997) ipotizzano che i bambini siano in grado di

utilizzare e di comprendere i connettivi, quando la struttura della

narrazione richiede uno schema più complesso, con l’inserimento di

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eventi inattesi. Per verificare l’ipotesi, hanno elaborato due

esperimenti, uno incentrato sulla produzione di storie, un altro sulla

comprensione.

Lo scopo del primo esperimento è determinare se i bambini

avrebbero fatto uso di connettivi come ma, dovendo ricostruire un

testo in cui compariva un imprevisto o una complicazione. A

trentasei alunni francesi di terza e quinta elementare sono state

proposte oralmente tre diverse versioni di una storia, formulate

come una sequenza di frasi semplici accompagnate da immagini.

La prima storia è una narrazione di azioni sequenziali senza

imprevisti.

VERSIONE A

1. Eric riteneva triste la propria stanza.

2. Decise di ripitturarla.

3. Prese un barattolo di vernice e un pennello.

4. Salì sulla scala.

5. Pitturò tutto il giorno.

6. Eric non trovò più triste la sua stanza.

Nella seconda versione il protagonista nel mezzo dell’azione si

ferma, perché il colore della pittura non gli sembra adatto (ostacolo

statico).

VERSIONE B

4. Il colore della pittura gli sembrò troppo triste.

5. Non ripitturò la sua stanza.

6. La stanza sembrò ancora triste a Eric.

Nella terza storia il protagonista ha un incidente, che gli impedisce

di continuare il lavoro (ostacolo dinamico):

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VERSIONE C

4. Rovesciò la pittura salendo sulla scala..

5. Non aveva più vernice..

6. La stanza sembrò ancora triste a Eric.

Avendo chiesto ai bambini di riformulare la storia con parole proprie,

Fayol e Mouchon (1997) hanno osservato delle scelte diverse

nell’uso di connettivi correlate con le diverse versioni: nella storia

lineare (VERSIONE A) di solito non erano presenti connettivi, fatta

eccezione per la congiunzione e (et), collocata dalla maggior parte

dei soggetti prima dell’ultima frase, mentre un maggior numero di

connettivi compariva nelle due versioni con un imprevisto (B e C).

Nelle narrazioni con un ostacolo statico (VERSIONE B) apparivano

ma (mais) davanti alla frase in cui si narra l’evento avverso, cioè la

delusione provata di fronte al colore della vernice, e così (alors)

nella frase finale. Nella versione in cui il protagonista fa cadere

inavvertitamente il barattolo di vernice (C), si ritrovavano e (et), ma

(mais), improvvisamente (soudain). Da questi risultati, i ricercatori

concludono che effettivamente i bambini usano i connettivi, quando

l’organizzazione della successione di eventi è determinata a priori,

dimostrando che sono in grado di stabilire relazioni tra gli eventi e di

esprimerle attraverso l’uso dei connettivi.

Nel secondo esperimento, Fayol e Mouchon (1997) prendono in

esame il ruolo dei connettivi nella comprensione dei testi scritti,

esaminando due ipotesi diverse. Secondo la prima, i connettivi

avrebbero facilitato l’integrazione del significato semantico della

nuova informazione nel modello mentale che il lettore sta

costruendo; mentre per la seconda, i connettivi sarebbero indicatori

che forniscono informazioni su come trattare gli elementi successivi

nella frase. L’esperimento richiedeva ai soggetti coinvolti di leggere

brevi testi narrativi contenenti un evento inatteso. Lo stesso

racconto poteva essere presentato in tre diverse versioni che

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differivano esclusivamente per la presenza o l’assenza di un

connettivo davanti alla proposizione in cui compariva l’imprevisto,

come nei seguenti esempi:

(1) La porta sbatté contro il muro.

(2) Ma la porta sbatté contro il muro.

(3) Improvvisamente la porta sbatté contro il muro.

Il compito è stato proposto a lettori di età diverse: un gruppo di

studenti universitari, un gruppo di alunni di classe terza primaria e

un gruppo di classe quinta primaria. Misurando il tempo di lettura

delle singole proposizioni, risultò una relazione significativa tra

questo e la presenza di un connettivo: l’uso di ma o

improvvisamente aumentava la velocità di lettura delle frasi

contenenti l’evento inatteso. Inoltre esaminando il tempo di lettura

dei singoli sintagmi, l’accelerazione nella lettura risultò concentrata

nel segmento immediatamente successivo al connettivo, quindi

prima che il lettore potesse comprendere l’evento descritto. Il

risultato era lo stesso per i gruppi di età diversa, a dimostrare

l’ininfluenza del livello di scolarizzazione. Fayol e Mouchon

concludono quindi che la presenza dei connettivi influenza la velocità

di lettura perché fornisce informazioni sulla costruzione della frase,

suggerendo che gli elementi seguenti il connettivo appartengono alla

stessa struttura dei precedenti.

L’uso dei connettivi sarebbe dunque in relazione con la capacità di

comprendere le relazioni tra eventi, agenti e azioni, sia nella

produzione che nella comprensione. Un testo in cui i meccanismi di

coesione siano stati correttamente selezionati dimostra

un’organizzazione strutturata dei contenuti da parte dell’autore.

Dalla prospettiva di chi riceve il messaggio, i connettivi facilitano la

comprensione, esplicitando le relazioni tra le informazioni.

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66

IV.2 Connettivi e competenza testuale

Grazie agli studi più recenti, la riflessione metacognitiva sulle

caratteristiche strutturali di un testo è ormai ritenuta una delle

competenze fondamentali nella padronanza linguistica, in quanto si

tratta del processo che presiede al controllo consapevole della

produzione e della comprensione dei testi. La competenza testuale

è, in sintesi, la capacità di intendere e produrre messaggi che

realizzino pienamente l’intenzione comunicativa (INVALSI, 2011).

Per questa sua valenza globale, che riassume i traguardi

fondamentali dell’acquisizione linguistica, la competenza testuale è

stata assunta come uno dei parametri di valutazione delle facoltà

linguistiche che si formano durante il processo di istruzione. È stata

infatti definita come uno dei criteri fondamentali per la valutazione

sia nella ricerca svolta dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del

Sistema educativo (INVALSI, 2010) sugli elaborati di italiano

nell’Esame di Stato, sia nella compilazione delle prove INVALSI per

la rilevazione delle competenze di lettura. Nel primo caso, si vuole

definire il livello di competenze linguistiche nella produzione di testi

scritti degli alunni in uscita dalla scuola secondaria; nel secondo

caso, si esamina invece la comprensione di testi narrativi ed

espositivi in ogni ordine di scuola. La competenza testuale, quindi, è

stata ritenuta valutabile sia nella produzione che nella comprensione

dei testi scritti.

In particolare il Quadro di riferimento per la prova di italiano

elaborato dallo stesso Istituto definisce con esattezza le conoscenze

e le abilità sottese alla capacità di lettura di un testo, sintetizzandole

in tre competenze chiave: pragmatico-testuale, lessicale e

grammaticale. La competenza pragmatico-testuale è definita come

la capacità di ricostruire

l’insieme dei significati che il testo veicola (il suo senso), assieme al

modo in cui essi sono veicolati, in altri termini, l’organizzazione

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logico-concettuale e formale del testo stesso in rapporto comunque

con il contesto (INVALSI, 2011: 6).

La competenza è poi descritta attraverso un insieme di abilità

specifiche che sono individuate grazie a descrittori, ovvero

prestazioni misurabili. Il primo tra i descrittori individuati è proprio

“saper riconoscere i segnali di coesione testuale”.

Per valutare tale abilità, i ricercatori dell’INVALSI hanno selezionato

all’interno dei testi degli indicatori specifici (elementi osservabili),

ovvero catene anaforiche, connettivi e segni di interpunzione, di cui

il lettore deve comprendere il ruolo svolto. I quesiti proposti nelle

prove nazionali chiedono di sostituire, ad esempio, un connettivo

con uno analogo o di individuare il referente di un pronome. Il

rapporto sui risultati dei questionari evidenzia espressamente che

questi item sono stati quelli che hanno creato le maggiori difficoltà

in tutti gli ordini di scuola. Secondo Bertocchi (2010) le prove

segnalano che l’aspetto dell’organizzazione testuale rappresenta uno

degli aspetti problematici della comprensione del testo, in

particolare proprio nel riconoscimento delle relazioni logiche

segnalate dai connettivi. Gli alunni non sarebbero capaci di utilizzare

le conoscenze sulla sintassi nella comprensione, perché queste sono

apprese in modo nozionistico, senza essere inserite in un lavoro di

analisi testuale. Il valore logico-semantico dei connettivi, però, non

può essere compreso se non all’interno di un contesto comunicativo.

Serianni (2010), commentando le prestazioni degli alunni negli

esami di stato, sottolinea come i risultati della ricerca presentino

una realtà parzialmente in contrasto con i pregiudizi comuni sulle

scarse competenze ortografiche degli alunni. Le maggiori carenze

nella formazione scolastica si rintracciano nella mancanza di una

visione strutturale del testo come un insieme ordinato e

gerarchizzato di idee. Intervenire su questo aspetto è sicuramente

più complesso che insegnare qualche regola di ortografia, ma è

appunto il compito principale che dovrebbe assumersi la scuola,

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realizzando percorsi mirati ad affrontare le difficoltà linguistiche più

frequenti, come quelli previsti per l’insegnamento delle lingue

straniere. Tra gli esempi che Serianni cita come esercizi utili, c’è il

completamento di testi (cloze) in cui siano stati preventivamente

eliminati i connettivi.

Anche per Sabatini (2010), i risultati estremamente insoddisfacenti

sono il risultato di un insegnamento della grammatica inteso come

un travaso di classificazioni e regole, senza una riflessione

sistematica sui fatti linguistici. Le cause di questa prassi didattica

inadeguata sono da rintracciare nella mancanza di un modello

esplicativo coerente costruito sui principi della moderna linguistica.

La prevalenza di una concezione spontaneistica della lingua,

estremamente distante dalla visione scientifica, inducono gli

insegnanti a sottovalutare l’importanza di un tirocinio lungo e

strutturato per gradi in cui esercitare la lettura e la scrittura.

Raccogliendo i suggerimenti degli esperti, risulta evidente come sia

necessario portare al centro della riflessione sulla lingua nella scuola

i principi costitutivi del testo. Per farlo si deve ripristinare un filo

diretto tra le attività presentate in classe e le teorie linguistiche. Per

quanto riguarda la competenza testuale, il Quadro di riferimento già

citato si riferisce espressamente alla linguistica testuale, come

ambito di riferimento teorico principale. A partire dalla definizione di

testo elaborata da de Beaugrande e Dressler (1984), il documento

riconosce nella coesione testuale uno dei campi di lavoro da

privilegiare nell’analisi del testo. La difficoltà generalizzata nel

riconoscere la rete di legami logici, semantici e sintattici nel testo,

emersa nelle prove INVALSI, induce a pensare che questo aspetto

sia sottovalutato nella didattica quotidiana. Dato che si tratta di una

competenza, questa può essere esercitata solo in un rapporto attivo

con testi il più possibile vari e stimolanti, attraverso una ricerca

critica che procede per prove ed errori. In questa prospettiva la

riflessione metalinguistica si sviluppa a partire da un’analisi

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oggettiva e metodica di testi reali per arrivare a sintetizzare le

regole della lingua attraverso l’osservazione dei fenomeni linguistici.

Progettare un tirocinio da apprendista scrittore (o lettore) impone di

concentrare l’attenzione di volta in volta su un singolo aspetto

attraverso cui è possibile riconoscere la coesione testuale. Tra i

diversi meccanismi coesivi quello che ritorna con una certa costanza

nella letteratura esaminata finora, sia come indicatore per la

valutazione sia come argomento per esercizi di addestramento, è

proprio l’uso dei connettivi.

I connettivi permettono di visualizzare concretamente le relazioni

che lo scrivente ha inteso istaurare tra le informazioni selezionate.

Ci danno degli indizi da seguire per ricostruire il ragionamento

seguito dall’autore nella pianificazione del testo, aiutandoci a

concepire la scrittura come un processo dinamico e non come un

prodotto finito. Bereiter e Scardamalia (1995), che hanno

interpretato il processo di scrittura come una modalità di problem

solving, hanno enfatizzato nel loro metodo tutte quelle strategie che

impongono di revisionare costantemente il testo, integrando nuove

idee nella struttura complessiva. Proponendo alcuni esercizi per

stimolare nei bambini la produzione di schemi più complessi di quelli

aperti tipici del parlato, gli autori suggeriscono di proporre, in fase di

ideazione, alcuni connettivi con la funzione di anticipatori logici. Così

i bambini sarebbero stimolati a ramificare il proprio discorso,

intuendo la possibilità di derivare da alcuni concetti conseguenze,

esemplificazioni, definizioni più precise. I connettivi non sono intesi

solo come dei “ganci” per collegare diversi argomenti già definiti, ma

come indicazioni utili per far procedere il ragionamento. Potrebbero,

quindi, essere inseriti non solo nella fase di stesura finale del testo,

in cui si sviluppano gli argomenti in ordine lineare, ma anche nei

momenti di ideazione e pianificazione.

L’attività suggerita per far approfondire ai bambini il proprio

ragionamento richiama un processo naturale che è stato osservato

nell’acquisizione del linguaggio. Bruner (1992), riferisce che già

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verso i tre anni i bambini introducono connettori che definiscono in

modo più rigoroso i rapporti tra gli eventi descritti. Le prime

espressioni di questo tipo sono semplici congiunzioni (e), che in

seguito si evolvono in locuzioni temporali (e poi) ed infine diventano

nessi causali (perché). I bambini, scegliendo in modo corretto tra le

diverse relazioni possibili, dimostrano di ragionare su uno schema

complesso in cui i diversi fatti e personaggi devono essere inseriti.

Selezionano quindi coerentemente forme linguistiche che esprimono

una relazione temporale, tipica della narrazione o una relazione

causale, coerente con una sequenza logica di tipo paradigmatica. Il

bambino è in grado di esprimere la propria esperienza in modo

realistico e strutturato, spiegando il ruolo di avvenimenti esterni e le

proprie scelte in merito, dimostrando di utilizzare due modalità

contraddistinte del pensiero.

Per Bruner (2003) il pensiero paradigmatico ed il pensiero narrativo

rappresentano due punti di vista diversi sulla realtà, che rispondono

a processi cognitivi propri. Il primo è un pensiero nomotetico che

cerca di trascendere l’esperienza per arrivare a leggi universali e che

si esprime attraverso l’argomentazione, basata sulla verificabilità

delle ipotesi. Il pensiero narrativo invece si concentra sul particolare,

cercando di dare un significato all’esperienza all’interno di un preciso

contesto culturale, costruendo un racconto il più possibile

verosimile. I processi di interpretazione della realtà hanno sempre

una visione duale, in grado di valutare una molteplicità di possibilità.

Le narrazioni spiegano gli avvenimenti collocandoli in modo

comprensibile rispetto allo sfondo culturale, ma, laddove la

narrazione si spezza a causa di un evento insolito, interviene il

pensiero paradigmatico per risolvere il problema che si è creato,

attraverso soluzioni logiche. In una retorica efficace, capace di

spiegare nel modo più convincente la posizione del narratore, il

modo narrativo ed il modo paradigmatico si intersecano, senza

fondersi, svolgendo funzioni diverse, affinché il discorso risulti

verosimile e consequenziale.

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L’esperimento di Fayol e Mouchon (1997) conferma l’intuizione di

Bruner, in quanto dimostra che, nonostante i bambini non usino

abitualmente i connettivi nella propria produzione linguistica, li

introducono quando devono raccontare una storia in cui compare un

evento inaspettato. Sono quindi in grado di comprendere la funzione

puramente linguistica svolta dai connettivi, come elemento che

segnala una relazione tra parti diverse del testo. Nei testi presentati

ai bambini sottoposti alla prova, la storia era formata da frasi

estremamente brevi, che descrivevano azioni semplici, cioè era

strutturata in modo analogo ai racconti infantili. Il passo successivo

è determinare se i bambini in età scolastica siano in grado di

comprendere i nessi coesivi anche all’interno di testi più complessi,

in particolare in quelli scritti, su cui si basa una buona parte

dell’apprendimento formale.

IV.3 La comprensione del testo scritto

Fin dalla scuola primaria, i bambini incontrano testi scritti, che

presentano concetti complessi, formati da sequenze complesse di

informazioni. Ad una maggiore complessità concettuale corrisponde

una struttura linguistica più elaborata, con differenze significative

rispetto alla lingua parlata. La mancanza di un rapporto diretto tra

emittente e destinatario impone di organizzare il testo in modo

preciso e coerente per evitare fraintendimenti. Anche l’impossibilità

di ricorrere al contesto e agli elementi pragmatici della

comunicazione richiede di definire con esattezza i rapporti tra gli

elementi citati (Bereiter e Scardamalia, 1995). La necessità di

esporre in modo chiaro le relazione tra gli argomenti costringe ad

elaborare una struttura formale complessa, in modo che le relazioni

tra le idee si riflettano nelle dipendenze tra frasi, periodi e paragrafi,

che compongono una rappresentazione unitaria. Il testo scritto, per i

motivi esposti, è caratterizzato da coerenza e coesione più marcate

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rispetto al testo orale: le frasi sono mediamente più lunghe e

complesse, con un uso frequente della subordinazione; c’è una

presenza maggiore delle forme anaforiche; sono frequenti gli

elementi linguistici che segnalano relazioni tra parole o frasi (Della

Casa, 1994).

Per procedere oltre nell’analisi sul ruolo dei connettivi nella

comprensione del testo è necessario prendere come riferimento un

modello teorico che ricostruisca i processi cognitivi che ne sono alla

base. Il modello scelto e descritto nel seguito del paragrafo è quello

di Kintsch e van DijK (1978), che si propone di ricostruire la

rappresentazione mentale di un testo che si forma nel lettore19,

quando la comprensione è stata adeguata. La teoria si basa sulla

struttura semantica del testo, a partire dalla quale ricava i processi

cognitivi: i principi di coesione e di coerenza, che caratterizzano la

struttura del testo, sono considerati gli stessi principi che il ricevente

mette in atto quando ricostruisce il significato complessivo del

discorso nel processo di comprensione.

La comprensione del testo è percepita come un’esperienza diretta e

unitaria, ma in realtà, a livello psicologico e fisiologico, può essere

scomposta in numerose operazioni che attivano attenzione,

consapevolezza, risoluzione di problemi e memoria. È dunque un

processo di tipo sistemico formato da tre sottosistemi di operazioni

cognitive, che procedono in parallelo o in interconnessione. Il primo

sottosistema è un insieme di operazioni che memorizzano e

organizzano coerentemente gli elementi significativi del testo; il

secondo riduce alla sua essenza il significato globale; il terzo genera

nuovi testi attraverso inferenze mnemoniche.

19 Nel testo useremo indifferentemente il termine lettore o ricevente, considerato che l’autore afferma che il modello si applica indifferentemente alla lettura e all’ascolto di testi, anche se è stato derivato da sperimentazioni volte con testi scritti.

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73

Si assume che la struttura superficiale del discorso sia formata da

un insieme strutturato di proposizioni20, ordinato attraverso relazioni

semantiche. Il significato e l’oggetto delle singole frasi sono

comprensibili non solo in base agli elementi che le costituiscono, ma

anche grazie all’interpretazioni delle altre frasi del testo. Alcune di

queste relazioni sono espresse esplicitamente attraverso meccanismi

linguistici, altre devono essere inferite attraverso riferimenti al

contesto o a conoscenze di ordine generale. Da questa osservazione

consegue che chi usa il linguaggio deve collegare le nuove

informazioni a quelle che già ha ricevuto dal testo, dal contesto o dal

suo bagaglio di conoscenze generali.

La struttura semantica del testo si esprime su due livelli: nelle

microstrutture, cioè le strutture delle singole proposizioni, e nelle

macrostrutture che definiscono il testo come un’unità. Un testo è

tale solo se clausole e proposizioni sono collegate tra loro e se le

proposizioni sono organizzate globalmente. Il processo di

comprensione ricostruisce, a partire dal testo dato, un nucleo

tematico (detto text base), formato dalle proposizioni che spiegano

di che cosa parla il testo (livello microstrutturale) e dalle

proposizioni che riassumono e collegano i punti cardine del discorso

(livello macrostrutturale). Individuare singole proposizioni non è

sufficiente, se non le si inserisce in una mappa che ricostruisce il

significato globale del discorso, ovvero ciò che il testo intende dire.

Le macrostrutture garantiscono il senso solo se sono coese e

coerenti, ovvero se sono derivate dalle microstrutture e preservano i

legami necessari all’interpretazione. Se costruendo il text base, il

ricevente elimina una proposizione necessaria alla comprensione

delle proposizioni seguenti, modifica il significato complessivo.

La selezione dei nuclei centrali del discorso non avviene alla fine

della lettura, ma procede attraverso addizioni successive, a causa

20 Con il termine proposizione ci si riferisce alla nozione derivata dalla logica di elemento unitario del discorso che coincide con un’unità sintattica. Ogni proposizione deve includere un predicato e uno o più argomenti, che dipendono dalla natura del predicato.

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delle limitazioni della memoria di lavoro a breve termine. La

memoria immagazzina solo un numero limitato di proposizioni,

inoltre quando incontra una nuova informazione prima di

selezionarla la confronta con il materiale già presente e la include

solo se coerente con il resto. Se il legame tra le due proposizioni è di

tipo inferenziale è richiesto un intervento della memoria di lungo

termine, che rende più complesso il processo.

In tal modo il lettore esamina attraverso letture cicliche l’intero testo

al fine di ricostruire una rete di proposizioni. Nel processo queste

possono essere lasciate inalterate, cancellate, generalizzate o unite

in un periodo complesso. Quando una proposizione (o il risultato

della sua trasformazione) viene inclusa nella macrostruttura, è

definita macroproposizione. La rete macrostrutturale può essere

immaginata come un diagramma in cui i nodi sono le

macroproposizioni e le frecce sono le relazioni istaurate.

Le relazioni tra macroproposizioni sono di diverso tipo. Alcune

istaurano una coreferenza, laddove diversi elementi della

proposizione si riferiscono allo stesso oggetto, che può essere un

individuo, una cosa, una proprietà, un evento. Un esempio tipico è il

rapporto istaurato da un pronome o da un articolo determinativo con

un altro elemento già nominato. In secondo luogo, le proposizioni

possono essere collegate perché esprimono fatti collegati tra loro da

relazioni di necessità, compatibilità o di possibilità. Tali connessioni

sono tipicamente espresse dai connettivi. Infine è possibile definire

relazioni tra proposizioni di tipo funzionale al livello pragmatico della

comunicazione.

Le macrostrutture sono sotto il controllo di uno schema, ovvero della

struttura convenzionale del discorso che ne esprime lo scopo. Ciò

significa che per selezionare le proposizioni significative per la

comprensione, il lettore deve prefiggersi uno scopo al momento

della lettura. Esempi tipici di schema sono la struttura narrativa e la

struttura argomentativa. I testi di questo tipo hanno delle

caratteristiche convenzionali precise che permettono di riconoscerli,

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75

di giudicarne la correttezza, di decidere se un’informazione è

rilevante o meno per la comprensione globale. Quando il lettore non

è in grado di definire gli scopi del testo, ad esempio perché non

appartiene ad una categoria definita in modo convenzionale, crea

dei propri schemi di interpretazione che danno luogo a

macrostrutture non prevedibili. Al contrario, nei testi in cui lo

schema è riconosciuto all’interno di un dato gruppo culturale, si

otterrà un text base condiviso.

Il problema della coesione è centrale nel modello di Kintsch e van

Dijk, perché afferma che la comprensione è adeguata solo se il

lettore riconosce i legami tra le proposizioni, che sono espressi

attraverso diversi meccanismi coesivi. Tra questi, i connettivi

svolgono, secondo gli autori, la funzione di collegare le frasi in unità

sovraordinate, attraverso cui si esprimono le relazioni fattuali.

Il modello Kintsch e van Dijk è stato utilizzato da Bereiter e

Scardamalia (1995) per interpretare i dati raccolti nelle prove

realizzate per studiare le strategie efficaci di lettura. Nei compiti

sperimentali si propone ai soggetti coinvolti di ragionare ad alta

voce mentre leggono un brano. L’analisi dei resoconti registrati ha

permesso di capire come i lettori affrontano le difficoltà di

comprensione. In particolare la ricerca ha osservato le strategie

adottate da bambini e adolescenti di diversa età per valutare se ad

una maggiore esperienza corrispondano strategie più efficaci.

L’analisi dei diversi tipi di rappresentazione mentale del testo

costruiti dagli studenti ha permesso di ricostruire le strategie

adottate nella lettura21.

I lettori che dimostrano un’adeguata competenza sono quelli che

cercano di ricostruire il significato generale. I risultati sono a

sostegno del tipo di competenza rappresentata da Kintsch e van

Dijk, secondo i quali il processo di comprensione è un processo

sistemico, in cui diverse operazioni devono essere integrate. Le

21 Diverse ricerche dimostrano che le operazioni mentali sono le stesse nei processi di comprensione e produzione. In questa sede si limita l’analisi alla prima.

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76

difficoltà di comprensione potrebbero essere quindi causate da una

rappresentazione incompleta o scorretta, in cui non sono state

messe in atto quelle operazioni che permettono l’integrazione delle

informazioni. I lettori esperti procedono ad una sintesi dei contenuti

e ne valutano la coerenza, mettendo in atto processi di problem

solving, se evidenziano incongruenze. Inoltre si interrogano

esplicitamente sui legami interfrastici, focalizzando l’attenzione sugli

elementi di coesione. Non si limitano a raccogliere particolari, ma

costruiscono enunciati riepilogativi che riassumono i punti focali del

messaggio.

Inoltre, la teoria esposta sostiene che la comprensione opera

attraverso processi ciclici, con operazioni di cancellatura, selezione e

costruzione di nuove proposizioni che vengono riviste e modificate in

momenti successivi di rielaborazione e integrazione di nuove

proposizioni. I lettori esperti dimostrano di operare costantemente

processi di rilettura e verifica delle proprie ipotesi. Ogni nuova

informazione è confrontata sia con quelle ricavate precedentemente

dal testo che con le conoscenze già possedute.

I dati da raccolti da gruppi di età diversa dimostrano che i ragazzi

più giovani possiedono strategie inadeguate che tendono a

concentrarsi solo sui particolari, trascurano i collegamenti, non

mettono in discussione le informazioni acquisite. Tuttavia alcune

ricerche stabiliscono che in alcuni casi le strategie immature

persistono oltre l’età in cui dovrebbero essere superate e ne

deducono che la competenza testuale non è intrinseca al sistema

umano di elaborazione dell’informazione, ma deve essere acquisita.

Dai risultati teorici sono stati tratte indicazioni per migliorare le

strategie di elaborazione testuale attraverso interventi didattici

mirati. Ma la programmazione di qualunque attività didattica parte

dal riconoscimento delle competenze acquisite e dall’individuazione

delle incoerenze nell’esecuzione dei compiti, nelle quali si può

individuare lo spazio per un miglioramento. Perciò, prima di

procedere ad illustrare le implicazioni educative che derivano dagli

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studi sulla competenza testuale, si presenta nelle prossime pagine

un’esperienza svolta in classe per definire con precisione le difficoltà

incontrate dagli alunni nel riconoscere il ruolo dei connettivi e di

conseguenza l’importanza del principio di coesione nella costruzione

del testo.

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78

CAPITOLO V

ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE

V.1 Descrizione della prova svolta in classe

Come si è visto, il problema della coesione è centrale nel modello di

Kintsch e van Dijk (1978), in cui si afferma che la comprensione è

adeguata solo se il lettore riconosce i legami tra le proposizioni, che

sono espressi attraverso diversi meccanismi coesivi. La capacità di

riconoscere queste relazioni è una componente importante della

competenza testuale, in quanto è indice della comprensione della

struttura complessiva in cui si articola il tema generale. La

comprensione dei singoli concetti, infatti, non garantisce che il

messaggio complessivo del discorso sia stato adeguatamente

compreso.

La presenza di relazioni fattuali o pragmatiche può essere segnalata

esplicitamente dai connettivi, che svolgono la funzione di collegare

le frasi in unità sovraordinate. Il connettivo è un indicatore

attraverso cui l’autore del testo segnala al lettore come interpretare

correttamente il tipo di relazione presente tra i concetti.

Un’interpretazione adeguata favorisce dunque la costruzione della

rappresentazione mentale su cui si basa la comprensione.

In base a questi presupposti, ci si propone di verificare se gli alunni

al termine della scuola primaria siano in grado di riconoscere la

funzione dei connettivi in un dato testo. A questo scopo è stata

elaborata una prova di comprensione di testi complessi, in cui

compaiono diverse forme di connettivi. La prova richiede di

ricostruire il testo, reinserendo delle frasi che sono state tolte

precedentemente. Per svolgere il compito, ovviamente è necessario

riconoscere le relazioni che legano le frasi da inserire a quelle

precedenti. L’ipotesi da verificare è se la presenza di un connettivo

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79

facilita il riconoscimento delle relazioni tra proposizioni e quindi la

corretta ricomposizione del testo oppure se si ottengono risultati

equivalenti fornendo frasi prive di connettivi.

La ricostruzione di un testo a partire da alcune frasi date è un

compito che si pone nell’intersezione tra lettura e scrittura, perché,

come la prima, presuppone di comprendere espressioni già formate

e, come la seconda, presuppone la creazione di un testo a partire da

informazioni non lineari. Le ricerche dimostrano che gli studenti

esperti considerano il compito di riordinamento come un compito

che richiede di ricostruire un messaggio generale coerente, in modo

cioè analogo alla lettura. Tale conclusione è stata elaborata

osservando le strategie adottate per la risoluzione in un contesto

sperimentale (Bereiter e Scardamalia, 1995). Le strategie

inadeguate permettono di comprendere i contenuti, analizzando

separatamente i diversi argomenti, ma non producono enunciati

riepilogativi che codificano i legami proposizionali tra le frasi del

testo collegate tra loro. I lettori che adottano queste strategie,

quindi, mettono insieme le frasi che contengono gli stessi termini e

poi cercano di metterle in sequenza, i lettori esperti, invece, cercano

di ricostruire il tema centrale e poi combinano le frasi per ottenerlo.

Nella lettura gli inesperti procedono fissando in modo definitivo le

conoscenze appena le registrano, mentre gli esperti riescono a

ricordare e a riconsiderare informazioni acquisite in precedenza in

funzione delle nuove informazioni che incontrano procedendo nella

lettura del testo. Nei problemi di combinazione di frasi si verifica lo

stesso processo: le strategie efficaci sono quelle che formano

raggruppamenti provvisori e procedono alla rilettura di sequenze già

formate e alla verifica del significato globale. Risulta inadeguata

invece la scelta di collocare gli enunciati appena letti in modo

definitivo, senza riconsiderare in seguito le proprie valutazioni sul

collocamento.

In considerazione delle conclusioni esposte, si è ritenuto che la

prova di ricostruzione del testo fosse la più adeguata per valutare la

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capacità di riconoscere le relazioni istaurate dai connettivi. Infatti il

compito richiede le stesse operazioni mentali della comprensione e

contemporaneamente permette di verificare se le relazioni sono

state individuate, semplicemente verificando se la frase è stata

inserita nel posto giusto.

La prova è stata somministrata a 44 alunni provenienti da due classi

quinte della stessa scuola primaria di Trento. Il compito è stato

presentato come un normale esercizio da svolgere durante l’attività

scolastica. Le istruzioni, estremamente semplici, erano scritte in

testa al foglio utilizzato e non hanno richiesto ulteriori spiegazioni. Il

tempo concesso per completarla è stato di un’ora22.

Lo scopo era ricostruire due testi dai quali erano state tagliate

alcune frasi. I testi erano brevi (572 e 807 parole), continui, senza

riferimenti ad un eventuale cotesto. In ogni brano sono state

selezionate dieci frasi, nelle quali era presente un connettivo. Si è

ritenuto necessario garantire che il testo rimasto fosse

comprensibile, ma che comunque ci fosse un certo numero di

opzioni verosimili tra cui scegliere per completarlo.

Nella prova i ragazzi hanno ricevuto due pagine per ogni testo. Nella

prima era riportato il testo privato delle dieci frasi selezionate. Le

lacune erano segnalate visivamente da uno spazio vuoto

sottolineato, come nell’esempio:

La Terra attira l’ago della bussola sempre verso lo stesso punto, il

nord. ________________ . La bussola fu inventata probabilmente

dai cinesi e portata in Europa nel XII secolo dagli arabi.

Nella seconda pagina erano riportate in ordine casuale le frasi

eliminate, precedute da una lettera dell’alfabeto per individuarle. La

22 Per controllare che il tempo a disposizione fosse adeguato, la prova era stata svolta preventivamente da una ragazza della stessa età. Nella correzione degli elaborati, effettivamente non è stata trovata nessuna prova non terminata.

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81

consegna chiedeva di indicare negli spazi vuoti del testo la frase

mancante.

I soggetti sono stati divisi in modo casuale in due gruppi,

denominati A e B. Entrambi i gruppi hanno ricevuto gli stessi testi da

completare, ma gli alunni del gruppo A hanno ricevuto le frasi da

inserire così come erano nel testo originale, cioè con i connettivi,

mentre quelli del gruppo B hanno ricevuto le stesse frasi senza

connettivi:

GRUPPO A:

(h) Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono anche

gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le

nuvole, di giorno o di notte.

GRUPPO B:

(h) Sapendo dove si trova il nord si conoscono anche gli altri punti

cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le nuvole, di

giorno o di notte.

V.2 Criteri di scelta dei testi

Il primo testo scelto per la prova si intitola Come orientarsi? ed è

uno dei primi capitoli di un manuale di geografia per la scuola

secondaria di primo grado23. Vi si spiega il concetto di orientamento

prima attraverso una semplice definizione etimologica, poi con la

descrizione dei punti cardinali ed infine con alcuni esempi.

L’argomento trattato fa parte delle nozioni introduttive necessarie

per lo studio della disciplina.

Il secondo, Il nascondino, è un racconto estratto da un romanzo di

Matilde Serao24. Narra come si svolgeva abitualmente il gioco tra i

bambini in una grande casa di campagna e come finì una della 23 Il testo, tratto dal manuale di De Marchi, Dottori e Ferrara (2010), è riportato in Appendice. 24 Il testo è stato estratto dall’antologia per la scuola secondaria di primo grado curata da Bosio e Schiapparelli (2003) ed è riportato in Appendice.

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partite più interessanti, nella quale i bambini restarono imprigionati

in un enorme canestro.

Dato che la prova si proponeva di focalizzare l’attenzione su un

elemento particolare della comprensione, cioè l’uso dei connettivi,

sono stati scelti due testi che non presentassero particolari difficoltà

nel lessico e nel contenuto. Si voleva infatti evitare che eventuali

difficoltà di comprensione potessero essere attribuite ad una

mancata conoscenza di termini specifici.

Entrambi i brani selezionati per la prova sono stati estratti da

manuali scolastici per la prima media, perché i ragazzi che hanno

affrontato la prova erano alla fine della scuola primaria e quindi di lì

a pochi mesi avrebbero dovuto confrontarsi con quel genere di testi.

Per avere un’ulteriore conferma che il livello linguistico fosse

adeguato, i testi sono stati fatti leggere alle insegnanti delle due

classi coinvolte, che li hanno ritenuti di facile comprensione, in

particolare in relazione al lessico utilizzato.

I temi trattati erano già noti ai ragazzi, in un caso perché si

presenta un argomento basilare nello studio della geografia, che era

stato affrontato approfonditamente in classe, e nell’altro caso perché

si descrive un gioco ampiamente noto. La comprensione doveva

risultare facilitata dalla familiarità con i contenuti, ma non

presupponeva nessun tipo di conoscenza pregressa, perché

l’argomento trattato iniziava e si concludeva in modo compiuto

all’interno del testo. Di conseguenza la comprensione non richiedeva

inferenze complesse con un contesto extratestuale o con le proprie

conoscenze enciclopediche, ma necessitava soltanto della capacità di

ricostruire la rete di relazioni tra concetti espressa all’interno del

testo.

Il testo Come orientarsi? è composto da ventisette frasi brevi, con

una preponderanza di proposizioni coordinate. Il nascondino è

composto da trentotto frasi di lunghezza variabile, ma in genere

sintatticamente più complesse. Sono presenti molte subordinate

temporali introdotte da dopo, quando, mentre, ecc. Ci sono inoltre

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alcune sequenze di discorso diretto che riportano le esclamazioni dei

bambini durante il gioco.

I due testi appartengono a due tipologie diverse: il primo ha una

struttura espositiva, il secondo narrativa. La scelta è stata così fatta,

perché in questi tipi di testi è possibile individuare con precisione lo

scopo dell’autore e riconoscere dei caratteri linguistici ben definiti.

Come stabilito dal modello di van Dijk (1978) questo tipo di

struttura propone uno schema noto che facilita le operazioni

cognitive necessarie alla comprensione.

Lo studio dei testi, fin dalla retorica classica, ha operato

classificazioni proponendosi di spiegare il rapporto tra il contenuto e

la forma. Esistono numerose tipologie, realizzate a partire da criteri

che individuano aspetti diversi del testo, ad esempio il mezzo di

comunicazione o la destinazione. La classificazione più diffusa

nell’ambito dell’educazione linguistica si basa su un criterio

funzionale-cognitivo, cioè si interroga sul rapporto che l’autore

stabilisce con la propria esperienza quando intende esprimerla. Per

definire il tipo di testo si parte dal riconoscimento delle

macrofunzioni comunicative: descrivere, narrare, esporre,

argomentare, prescrivere (Lala, 2011).

Queste funzioni possono essere associate a precise operazioni

cognitive, attraverso cui il soggetto ha interrogato e ricostruito la

realtà: cogliere le percezioni relative agli oggetti o ai fenomeni in un

contesto spaziale statico; comprendere e spiegare eventi e azioni in

una sequenza dinamico-temporale; analizzare e sintetizzare

concetti; selezionare e collegare argomenti allo scopo di persuadere;

pianificare il comportamento futuro (Lavinio, 1990). La

classificazione presentata è utile in ambito didattico perché permette

di comprendere che cosa renda un testo efficace, ovvero coerente

con lo scopo che si prefigge. Si possono così guidare gli alunni nel

riconoscimento delle forme linguistiche che l’autore ha selezionato

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per esprimere un dato argomento attraverso una preciso processo

cognitivo (Della Casa, 1994).

Per valutare le capacità di comprensione dei ragazzi, si è ritenuto

opportuno selezionare due testi con caratteristiche molto marcate,

uno di tipo espositivo ed uno di tipo narrativo. Secondo la

classificazione di Lala (2011), al tipo espositivo è correlata

l’operazione cognitiva di scomporre o ricomporre gli elementi

costituivi di un concetto; al tipo narrativo quella di cogliere le

differenze e le interrelazioni di percezioni relative a eventi e azioni

situati in un contesto temporale. In questi termini, parlando cioè di

competenze e non di modalità astratte di pensiero, si può

riconoscere che il primo adotta strategie tipiche del pensiero

paradigmatico, mentre il secondo adotta schemi del pensiero

narrativo. In ognuno di questi testi è importante segnalare l’ordine

degli eventi o delle informazioni secondo un criterio temporale o

logico, di conseguenza si potrà rilevare una differenza nell’uso dei

connettivi che segnalano queste relazioni.

Lo scopo dei testi espositivi è la trasmissione di un sapere, che

richiede l’analisi di concetti generali o la sintesi di concetti

particolari. L’emittente si propone di fornire informazioni ad un

destinatario non completamente competente, cercando di rendere il

testo fruibile attraverso un lessico non troppo tecnico e con l’uso

frequente di definizioni. Nella struttura testuale assume un ruolo

fondamentale la selezione delle informazioni, che devono essere

presentate in un ordine coerente e ben riconoscibile: per questo

motivo spesso il testo espositivo è suddiviso graficamente in blocchi

in cui sono presentati i diversi temi. I connettivi svolgono un ruolo

particolarmente significativo perché sottolineano l’organizzazione

degli argomenti rendendo espliciti i legami tra i concetti. Il testo

espositivo è generalmente più semplice del testo argomentativo, che

impone di riconoscere le diverse argomentazioni a favore o contro

una tesi, ma richiede comunque di cogliere le diverse informazioni e

di capire le relazioni che le collegano (Lavinio, 1990). È il tipo di

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testo che caratterizza i manuali scolastici, perciò la capacità di

comprenderne i meccanismi è fondamentale per lo studio

individuale.

Nel testo narrativo il principale criterio di organizzazione dei

contenuti è la sequenza temporale degli eventi, che può

corrispondere alla sequenza cronologica o essere alterata in funzione

di scelte stilistiche. I connettivi sono ugualmente importanti ma

sono principalmente di tipo temporale, specificano, cioè la

successione in cui si sono svolti gli eventi e la loro relazione con il

tempo interno del testo (Lavinio, 1990). Come è stato già

ampiamente discusso nel primo capitolo, risponde alla necessità di

interpretare la realtà attraverso schemi noti. Il testo narrativo, oltre

ad essere estremamente presente nel linguaggio comune,

caratterizza la prosa letteraria che è al centro della programmazione

didattica.

La riflessione sul testo narrativo e sul testo espositivo è riconosciuta

come un elemento fondamentale del percorso di apprendimento

linguistico in ogni livello della programmazione didattica (MPI, 2007)

ed è ben rappresentata nei testi in uso nelle scuole. Anche l’INVALSI

propone questi tipi di testo per la valutazione delle competenze di

lettura nella la scuola primaria e secondaria di primo grado. Il testo

di tipo espositivo è proposto solo a partire dalla quinta primaria,

perché è considerato più complesso. I risultati hanno confermato

questa previsione, dato che gli alunni ottengono punteggi migliori

nel testo narrativo (Bertocchi, 2010).

V.3 Descrizione dei connettivi

Le frasi che gli alunni dovevano ricollocare nella prova sono

sintatticamente autonome, ma collegate al resto del testo attraverso

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un connettivo25. Nella maggior parte dei casi considerati, i connettivi

si trovano all’inizio della frase, in ogni caso sono sintatticamente

autonomi rispetto alle altre parole della frase e quindi possono

essere cancellati senza modificare né il valore informativo né la

forma del messaggio. In tre casi, tutti nel testo espositivo, i

connettivi (dunque, di solito, però) sono posizionati in una posizione

parentetica tra due parole:

(3e) [Orientarsi permette dunque di sapere dove ci si trova e quale

percorso si deve compiere per raggiungere il luogo

desiderato].

La relazione istaurata collega quasi sempre due frasi adiacenti.

Nell’esempio seguente la frase eliminata (Allora quello sotto…)

istaura una relazione temporale con la frase immediatamente

precedente:

(1n) Quando tutti erano nascosti, si sentiva un griduccio lontano,

stridulo, prolungato:- Vieni! [Allora quello sotto si muoveva

con precauzione, non allontanandosi molto dal suo posto,

guardando a dritta, a sinistra, camminando a piccoli passi].

Solo in pochi casi il connettivo svolge una funzione conclusiva che si

riferisce ad un insieme di informazioni presentate precedentemente

nel testo, come per la frase (7e), che riassume tutti gli altri metodi

di orientamento già descritti nei paragrafi precedenti:

(7e) [Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né

della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul

mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la

bussola].

25 Le frasi citate in questo paragrafo e nei successivi sono indicate con una sigla, ad esempio 1n: il numero rappresenta la loro posizione nel testo (come è riportato in Appendice) e la lettera indica da quale testo sono state estratte (e = espositivo; n = narrativo). Con le parentesi quadre si indica la frase che è stata eliminata dal testo redatto per la prova.

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Pur eliminando il connettivo la relazione semantica tra le due parti

permane, ma non è più esplicita. A volte sono presenti altri

meccanismi coesivi, quali ad esempio l’accordo morfologico o i

pronomi. Nell’esempio (8n), la coesione tra le due frasi è garantita

dalla ripetizione del nome Michele e dalla ricorrenza del verbo

trovare:

(8n) Passava il tempo, Michele non veniva. – Non ci trova, non ci

trova – dicevamo sottovoce ridendo. [Poi cominciammo a

seccarci: poiché Michele non ci trovava, era meglio uscire di lì

e andargli a dire che era uno scemo, uno scemone, che

gliel’avevamo fatta].

Le funzioni svolte dai connettivi sono molto varie. Nel testo

espositivo i connettivi segnalano relazioni di opposizione (tuttavia,

ma, però), di deduzione o conclusione (così, dunque, di

conseguenza, infine), di esemplificazione (ad esempio, di solito), di

tempo (successivamente). Tutti i termini marcano dunque una

precisa relazione tra i fatti esposti nelle diverse proposizioni.

Nel testo narrativo i connettivi sono prevalentemente di tipo

temporale (allora, finalmente, infine, sino a che, prima, poi), ma in

alcuni casi enfatizzano un cambio nel discorso (allora, e, ma,). In

questo caso svolgono una funzione demarcativa, ovvero articolano e

segnalano il rapporto tra le diverse parti del testo (Bazzanella,

1995). I due ma presenti nel testo indicano una transizione a livello

metatestuale, indicando un momento di rottura nella narrazione. Il

primo ma sottolinea il momento in cui l’attenzione si sposta dalla

descrizione del comportamento del gruppo di bambini al racconto

delle gesta di uno di loro:

(5n) [Ma le partite più interessanti erano quando colui che stava

sotto era molto furbo: Michele, per esempio, che poi è

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diventato medico.].

Il secondo ma segnala una conclusione imprevista del racconto.

(10n) [Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di

Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che

noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente,

prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda

con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto].

In entrambi gli esempi, il valore semantico della congiunzione che

esprime opposizione o limitazione non è del tutto svanito, ma si

riferisce in modo generico a quanto detto nella sequenza precedente

del testo.

Lo stesso connettivo può svolgere due funzioni diverse, come si

vede nel caso di allora. La funzione di indicatore temporale è

chiaramente espressa nella frase (1n), già citata, nella quale ha il

significato di “in quel momento, quando tutti erano nascosti”. La

funzione demarcativa, invece, si ritrova nella frase (3n), nella quale

indica la conclusione degli eventi narrati nelle righe precedenti:

(3n) [Allora quello sotto se ne stava tranquillamente a guardar

sotto i letti e trovava il bambino sciocco, accovacciato, che non

aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in

trappola, chinando il capo e allungando il muso].

La congiunzione e compare all’interno di una battuta, riportata

attraverso il discorso diretto:

(3n) [E non potevi scappare quando lui è passato?].

Il testo imita una modalità di espressione tipica del parlato in cui e

svolge una funzione interazionale tra il parlante e l’interlocutore.

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V.4 Analisi dei risultati

In ogni testo proposto agli alunni erano presenti dieci vuoti da

colmare con le frasi mancanti. Sono state considerate risposte

errate quelle in cui era indicata una frase diversa da quella originale.

I casi in cui l’alunno non ha indicato nessuna risposta sono stati

estremamente rari, ma più numerosi nel testo di tipo espositivo (11

su 220 risposte) che nel testo narrativo (3 su 220). In tutti i casi le

risposte mancanti sono distribuite su diverse prove e su diverse

domande e non sono quindi indice di un compito non terminato. Non

ci sono state prove non valide per cui si dispone nel complesso di 44

testi narrativi e 44 testi espositivi da analizzare. Di queste la metà

sono state svolte dal gruppo che aveva a disposizione le frasi con i

connettivi (gruppo A) e l’altra metà dal gruppo di controllo (gruppo

B).

Il primo risultato da considerare è senz’altro la media delle risposte

esatte: il 49% nel caso del testo espositivo e il 42% per il testo

narrativo. Le prove completamente corrette sono tre su

quarantaquattro nel primo caso e cinque nel secondo. Più della metà

delle frasi dunque non sono state collocate esattamente o non sono

state inserite.

Testo espositivo Come orientarsi?

Risposte

esatte

Risposte

errate

Risposte

mancanti

Totale errate e

mancanti

Totale

214 215 11 226 440

49% 51% 100%

Testo narrativo Il nascondino

Risposte

esatte

Risposte

errate

Risposte

mancanti

Totale errate e

mancanti

Totale

183 255 2 257 440

42% 58% 100%

TAB. 1 Risultati della prova

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90

Considerando separatamente i risultati dei due gruppi (tab. 2 e tab.

3), si osserva che il gruppo A, cioè il gruppo che aveva a

disposizione le frasi con i connettivi, ha una percentuale di risposte

esatte pari al 43% nel testo espositivo e al 38% nel testo narrativo,

mentre il gruppo B ottiene rispettivamente il 54% e il 45%.

Il gruppo A ottiene dunque risultati peggiori in entrambi i casi, ma

più marcati nel testo espositivo: la differenza è di 11 punti

percentuali nel testo espositivo e di 7 punti percentuali nel testo

narrativo.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B

TAB. 2 Risposte esatte nel testo espositivo Come orientarsi?

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B

TAB. 3 Risposte esatte nel testo narrativo Il nascondino

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91

L’analisi degli errori in ogni singola frase, permette di evidenziare le

differenze tra i due gruppi (tab. 4 e tab. 5)26.

NR. FRASE CONNETTIVO GRUPPO A GRUPPO B

1e tuttavia 50% 59%

2e così 41% 32%

3e dunque 77% 86%

4e ma 55% 55%

5e ad esempio 27% 18%

6e di solito 45% 14%

7e infine 77% 68%

8e però 50% 32%

9e di conseguenza 91% 64%

10e successivamente 55% 32%

TAB. 4 Percentuale di risposte errate nel testo espositivo Come orientarsi?

NR. FRASE CONNETTIVO GRUPPO A GRUPPO B

1n allora 41% 55%

2n finalmente 73% 73%

3n allora 82% 59%

4n e 59% 32%

5n ma 77% 64%

6n infine 64% 59%

7n sino a che 68% 68%

8n poi 41% 45%

9n prima 50% 45%

10n ma 64% 50%

TAB. 5 Percentuale di risposte errate nel testo narrativo Il nascondino

26 In questa analisi sono state accorpate le risposte errate e le risposte mancanti

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Le frasi sono numerate in base all’ordine che avevano nel testo da

completare e per ognuna è indicato il connettivo che compariva nella

versione originale, dunque solo per il gruppo A.

Le frasi che hanno creato maggiori difficoltà, ovvero quelle che

hanno una percentuale di errori superiore al 50%27, sono quasi

sempre le stesse per i due gruppi, tranne che nei casi descritti di

seguito. Nel testo narrativo la frase (4n), con connettivo e, e la frase

(10n), con connettivo ma, hanno creato difficoltà significative per il

primo gruppo, ma non per il secondo. Il gruppo B, invece,

diversamente dal gruppo A, ha una percentuale alta di errori nella

frase (1n) del testo narrativo e nella frase (1e) del testo espositivo.

Dalla comparazione dei dati si identificano anche le frasi in cui c’è

stata una percentuale di errori significativamente superiore in un

gruppo, rispetto ad un altro. Il gruppo A registra più errori del

gruppo B nelle frasi (6e), (8e), (9e), (10e) del testo espositivo e

nelle frasi (3n (4n) e (10n) del testo narrativo. Il gruppo B ha una

percentuale di errori significativamente superiore al gruppo A solo

nella frase (1n) del testo narrativo.

V.5 Riflessioni conclusive sui risultati

La prima considerazione riguarda la prestazione nel suo complesso

che non ha raggiunto livelli accettabili. La maggior parte dei ragazzi

non ha saputo ricostruire l’ordine corretto delle frasi, osservando i

legami coesivi che si istauravano. Il dato è in linea con i risultati

ottenuti nelle prove INVALSI negli item relativi alla coesione, in cui

si registrano percentuali di errore molto alte. Le difficoltà emergono

sia nei quesiti di tipo grammaticale, in cui si focalizza l’attenzione su

un elemento all’interno di un periodo, sia in quelli di comprensione

del testo. La comprensione risulta ancora più difficile quando la

27 La soglia di errori significativa è stata posta al 50% dato che la media di risposte esatte è del 46%.

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93

domanda richiede di spiegare i legami inter- o intrafrasali all’interno

del testo, in particolare se questi sono impliciti (Bertocchi, 2010).

Naturalmente il confronto è soltanto indicativo, dato che le due

prove hanno una natura profondamente diversa, in quanto le prove

nazionali propongono quesiti a risposta multipla o cloze in cui

inserire il connettivo mancante. Senza pretendere di fare un’analisi

di tipo quantitativo, è comunque possibile riconoscere che la prova

svolta in classe conferma che esistono serie difficoltà nel riconoscere

il principio della coesione come un elemento imprescindibile della

testualità. Il tutto rientra in un problema più ampio: gli alunni hanno

facilità a rispondere a quelle domande in cui possono ricavare

direttamente le informazioni da una singola frase, mentre non

riescono a rispondere quando la risposta richiede una lettura di parti

più estese del testo o una sintesi.

Il compito di inserire frasi nel testo è un’attività che richiede di

capire il significato globale del testo e lo scopo per cui è stato

scritto. Il lettore che cerca la soluzione osservando soltanto una

frase alla volta non riesce ad intuire le relazioni che collegano le

frasi. La strategia efficace è quella che ritorna continuamente sulle

informazioni già note e cerca di integrarle con le nuove informazioni.

Il processo può essere descritto attraverso le operazioni cognitive

identificate nel modello di Kintsch e van Dijk (1978). L’alunno, per

eseguire il compito, deve costruire una rappresentazione mentale

del testo attraverso l’interpretazione della macrostruttura del testo.

Una comprensione corretta parte dal livello microstrutturale,

riconoscendo il contenuto di ogni proposizione, ma costruisce

successivamente un livello superiore dal quale ricava i contenuti

generali del testo. Per arrivare alla rappresentazione complessiva si

passa attraverso la costruzione delle macroproposizione, in cui i

diversi contenuti sono interconnessi. L’operazione è ciclica, cioè

composta da diversi cicli, in cui si riesamina tutta la struttura e si

cancellano o si reintegrano particolari noti. Le difficoltà emerse in

questa prova dimostrano che non sono state attivate le operazioni di

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controllo e revisione, perché i testi ricostruiti in modo non corretto

presentano una serie di incoerenze e di errori di coesione che non

permettono di ricostruire il significato complessivo. Evidentemente

gli alunni non hanno tenuto in considerazione il testo come unità.

Un secondo aspetto contribuisce a confortare le affermazioni fatte:

la scarsa capacità dimostrata nel riconoscere i tratti dello schema

narrativo o espositivo. Nella teoria di Kintsch e van Dijk (1978), si

afferma che il lettore confronta la propria interpretazione del testo

con le forme canoniche dei testi. Lo schema narrativo, ad esempio,

aiuta a riconoscere alcune macroproposizioni che corrispondono alla

situazione iniziale, alla complicazione e alla risoluzione.

Il testo narrativo in esame presenta inizialmente la descrizione di

una normale situazione di gioco e, in seguito, il racconto di un

episodio particolare, dove si verifica un evento inatteso. Un numero

estremamente alto di errori (68%) è presente nella collocazione

della frase (7n), che segnala l’inizio della seconda sequenza del

racconto:

(7n) [Sino a che un giorno, a questo malizioso e dispettoso Michele,

pensammo di giocargli un tiro].

I ragazzi evidentemente non hanno riconosciuto un punto focale

della narrazione, nel quale si segnala l’inizio di una complicazione.

Un dato ancora più interessante in questa prova è quello relativo

all’ultima frase mancante:

(10n) [Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di

Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che

noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente,

prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda

con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto].

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95

In questo caso la frase era da collocare alla fine del testo, perché

coincide con il finale del racconto. È particolarmente significativo il

fatto che non sia stata individuata in più della metà delle prove, dato

che nel testo narrativo la conclusione è di solito facilmente

riconoscibile, proprio perché rappresenta uno dei suoi tratti

caratteristici.

Anche nel testo espositivo si possono ritrovare caratteristiche

peculiari che aiutano ad inserire le informazioni in una cornice

predeterminata. Nel brano in esame c’era un tema sovraordinato

(orientarsi) e quattro diverse esemplificazioni (orientarsi con il sole,

con le stelle, con il muschio sugli alberi, con la bussola).

Una caratteristica del testo espositivo è che i concetti sono esposti

secondo un ordine logico definito a priori. Nel testo in esame, ad

esempio, si parte dal metodo di orientamento basato sul sole, per

poi spiegare la necessità di trovare altri sistemi nei casi in cui il sole

non sia visibile. La bussola è presentata come ultima alternativa,

proprio perché funziona in qualunque situazione. Questa relazione

tra l’invenzione della bussola e gli altri metodi adottati

precedentemente era spiegata nella frase (7e):

(7e) [Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né

della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul

mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la

bussola].

La collocazione di questa frase dunque era dopo i paragrafi che

parlavano del sole, della Stella polare e del muschio, all’inizio del

paragrafo sulla bussola. La percentuale di errori molto alta (77%)

dimostra che gli alunni non hanno capito la concatenazione logica

degli argomenti presentati.

L’ultimo paragrafo, nel quale si spiega il funzionamento della

bussola, presentava quattro spazi vuoti da colmare. Quasi tutte le

frasi collocate nello spazio sbagliato sono state comunque inserite in

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questo paragrafo: solo in 2 casi su 44 risposte la frase si trova in

un’altra sezione del testo.

Si può quindi concludere che gli alunni hanno riconosciuto la

divisione del testo in quattro sezioni, corrispondenti ad argomenti

diversi, ma non hanno capito la struttura logica che legava tra loro

gli argomenti.

Il terzo e ultimo punto da considerare riguarda il ruolo specifico dei

connettivi nella comprensione. La struttura della prova permette di

confrontare i risultati ottenuti dai due gruppi, da cui si deduce che la

presenza dei connettivi non ha aiutato gli alunni a ricostruire

correttamente il testo. Per comprendere meglio questo aspetto,

analizziamo alcuni casi specifici.

La frase che è risultata la più semplice da inserire (34 risposte

esatte su 44) è la (5e):

(1e) [Ad esempio, se vogliamo andare verso nord, dobbiamo trovare

la Stella polare].

Il risultato positivo non è stato determinato dal connettivo, perché i

risultati sono uguali nei due gruppi, ma probabilmente dal rapporto

semantico istaurato con la frase successiva, nella quale si spiegava

qual è la Stella polare (È una stella che appartiene alla costellazione

dell’Orsa minore, chiamata anche Piccolo carro). Questa operazione

è definita sovrapposizione dagli psicologi cognitivi ed è un tratto

tipico dei lettori inesperti, i quali collegano le frasi in cui compaiono

le stesse parole (Bereiter e Scardamalia, 1995).

Allo stesso modo nella risposta (8e), che presenta un numero di

risultati esatti superiore alla media (27 su 44, di cui 15 nel gruppo

B) è presente una parola (magnete) ripetuta nella frase successiva:

(8e) [Per comprenderlo bisogna però sapere che esistono degli

oggetti chiamati magneti, capaci di attirare come una calamita

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il ferro]. La Terra è un enorme magnete e la bussola è

costituita da un ago calamitato girevole.

Si può inoltre notare che esiste un altro legame, stavolta di tipo

anaforico, istaurato dal pronome lo con una parola della frase

precedente (strumento). Neanche in questo caso, perciò, la giusta

collocazione è stata individuata grazie al connettivo.

Anche negli altri item per i quali c’è stato un risultato positivo si

ritrova una sostanziale equivalenza nelle risposte tra i due gruppi e

la presenza di ripetizioni che hanno facilitato il compito. Si tratta

della frase (8n), già esaminata nel paragrafo V.3, e della frase (9n).

In modo speculare si rileva che i connettivi non hanno aiutato i

ragazzi nella comprensione, analizzando gli errori più frequenti.

Una delle frasi da inserire nel testo espositivo che ha creato

maggiori problemi è la seguente:

(1e) [Tuttavia fin dall’antichità l’uomo ha osservato il moto

apparente del Sole e ha notato che sorge sempre dalla stessa

parte, a oriente, e tramonta dal lato opposto, l’occidente].

La frase doveva essere inserita nel primo paragrafo dopo

l’affermazione:

(1) Se osserviamo il Sole e il suo movimento, ci pare che esso giri

intorno alla Terra: questo è un movimento apparente, perché

sappiamo che in realtà accade il contrario, cioè è la Terra che gira

intorno al Sole. ___________.

In moltissimi casi (23 su 44) invece è stata collocata qualche riga

più in basso, dopo la frase:

(2) Oltre all’oriente (est) e all’occidente (ovest), sono stati individuati: il

sud, cioè la direzione in cui si trova il Sole a mezzogiorno, e il nord,

ossia la direzione esattamente opposta al sud. ___________.

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Si può notare che in entrambe le frasi (1) e (2) compare la parola

Sole, che è presente anche nella frase da inserire (1e), ma nella

seconda ci sono anche i termini occidente e oriente. È logico

presupporre che gli alunni abbiano operato una semplice deduzione:

avendo individuato che tra due frasi esistevano ben tre elementi

lessicali in comune, hanno pensato che dovessero essere collegate.

Il ragionamento può rivelarsi corretto quando la ripetizione ha

effettivamente una funzione di meccanismo coesivo, ma in questo

caso era necessario osservare altre relazioni presenti tra le frasi.

Nella seconda frase si trova l’espressione oltre all’oriente e

all’occidente, che fa capire che questi concetti sono stati citati in

precedenza. Se la frase (1e) è collocata dopo la seconda frase, il

testo non ha più significato.

Nella frase da inserire era presente il connettivo tuttavia, che

esprime una relazione di opposizione rispetto a quanto detto in

precedenza nel testo. La relazione oppositiva ha senso solo se si

inserisce tra la frase (1) e la frase (1e) ed è incoerente invece tra

(2) e (1e). Gli studenti che avevano a disposizione la frase (1e) con

il connettivo avevano quindi un elemento in più per stabilire la

corretta relazione tra le frasi rispetto agli studenti che hanno

ricevuto le stesse frasi senza connettivi. Eppure non ci sono

differenze nel numero di risposte sbagliate date dai due gruppi,

quindi il significato della relazione stabilita dal connettivo non è

stato interpretato correttamente.

A volte è proprio la presenza, all’interno della stessa frase, di parole

che suggeriscono riferimenti a più concetti che può indurre in errore.

La funzione del connettivo in questi casi è proprio quella di rendere

esplicita la relazione istaurata tra i concetti. Ad esempio nella frase

(9e) compaiono molti termini presenti in altri punti nel testo (nord,

punti cardinali, nuvole, notte):

(9e) [Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono

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anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole

o senza nuvole, di giorno o di notte].

Mentre la frase (1e) è stata scambiata da chi ha sbagliato con una

simile nello stesso paragrafo, la frase (9e) è stata inserita in molti

spazi diversi, sparsi in tutto il testo, probabilmente proprio a causa

dei numerosi riferimenti presenti. Per rispondere correttamente era

necessario cogliere la relazione tra il fatto “trovare il nord grazie alla

bussola”, espresso nella frase precedente, e il fatto “riconoscere i

punti cardinali anche senza riferimenti naturali”. La relazione

consecutiva è resa esplicita dalla locuzione di conseguenza, ma i

ragazzi che potevano leggere il connettivo, non ne hanno tratto le

conclusioni giuste, commettendo più errori di chi aveva la frase

senza connettivo.

Osservando le singole risposte, si deduce che le frasi problematiche

sono le stesse, con o senza connettivo, perché il numero di errori è

molto simile tra i due gruppi. In alcuni casi, i risultati ottenuti dal

gruppo che ha ricevuto le frasi con i connettivi sono addirittura

nettamente peggiori. Prendendo in considerazione questo aspetto, si

ricava un ulteriore spunto di riflessione.

Nella prova sul testo narrativo ci sono quattro item, (3n), (4n),

(5n),(10n), nei quali la quantità di risposte errate del gruppo A è

superiore al gruppo di controllo rispettivamente di 23, 27, 13 e 14

punti percentuale. In tutti gli altri casi la differenza è compresa tra 0

e 5 punti e in uno il risultato del gruppo B è peggiore. L’insieme

degli errori commessi in queste frasi, quindi, rende conto della

differenza complessiva tra i due gruppi.

Come è stato già spiegato nella descrizione dei connettivi svolta nel

paragrafo V.3, i connettivi presenti in queste quattro frasi svolgono

una funzione demarcativa, funzionano cioè come segnali discorsivi,

realizzando valori diversi da quelli espressi negli usi primari, perché

esprimono un relazione tra atti linguistici (Bazzanella, 1995). È

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lecito concludere che l’interpretazione di questa forme peculiari di

connettivi è ancora più complessa per i bambini, tanto da aumentare

l’insicurezza nella comprensione del testo.

Attraverso gli esempi riportati, l’analisi scende dal livello della

macrostruttura globale al livello delle macroproposizioni. Kintsch e

Van Dijk (1978) spiegano che la rappresentazione semantica che il

lettore costruisce della frase non è composta da una lista di

proposizioni semplici accostate tra loro, ma ha la struttura di un

diagramma in cui sono rese esplicite le relazioni tra predicato,

argomenti e elementi circostanziali, ovvero si presenta come la

rappresentazione mentale di un fatto, di cui si identificano le

relazioni tra elementi costituenti. Le informazioni necessarie per

ricostruire la struttura non sempre sono fornite dalla sola frase, ma

devono essere ricavate dal testo, dal contesto e dalle conoscenze

pregresse. Ad esempio per comprendere la frase

(10e) [Successivamente i navigatori di Amalfi, una delle repubbliche

marinare, la diffusero nel Mediterraneo.

Il lettore deve riconoscere l’oggetto del discorso, qui espresso con

un pronome, nella parola bussola che compare nella frase

precedente e deve sapere che il Mediterraneo è un mare. Oltre a

queste relazioni ce ne sono altre che non collegano singoli elementi

linguistici, ma gli stessi fatti descritti nelle frasi. Nella frase in esame

il fatto che la bussola sia stata diffusa nel Mediterraneo dagli

amalfitani, deve essere collegato al fatto che è stata inventata dai

cinesi e al fatto che è stata portata in Europa dagli arabi, espressi

nel periodo precedente. Si tratta di una successione temporale di

fatti che può essere riconosciuta interpretando correttamente il

connettivo successivamente.

Anche in questo caso come negli altri esaminati il connettivo non è

stato di aiuto per ricostruire il testo. Ciò significa che gli alunni non

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hanno svolto l’operazione che avrebbe dovuto collegare i tre fatti in

un’unica macroproposizione che esprime una relazione temporale tra

fatti diversi. I singoli eventi sono stati quindi registrati

separatamente, perdendo una parte importante del contenuto

informativo. La rappresentazione mentale del testo di questi lettori

di conseguenza risulterà lacunosa, perché mancano alcune delle

relazioni che collegano le proposizioni, in particolare quelle che

collegano i fatti, espresse attraverso i connettivi.

Le conseguenze di questa comprensione parziale sono negative

anche per lo studio, perché la rappresentazione mentale che vede il

testo come una rete di nodi (concetti) e connessioni (relazioni) è

necessaria anche per conservare le informazioni nella memoria a

lungo termine. Quando le informazioni sono legate tra loro e con le

conoscenze precedentemente immagazzinate sono più facilmente

memorizzabili e recuperabili. Gli studenti più esperti dimostrano di

possedere rappresentazioni complesse dei testi in grado di fare

riferimento non solo ai singoli argomenti, ma alla struttura del testo

(ad esempio alla disposizione delle sue parti), alla sintesi e

all’intenzione dell’autore (Bereiter e Scardamalia 1995).

Dato che fin dalla scuola primaria, ma in particolare nella scuola

secondaria si utilizzano testi disciplinari complessi, è necessario

assicurarsi che gli alunni abbiano un livello di comprensione

adeguato. Dalla prova esaminata in questo capitolo emerge invece

che, alla fine della primaria, non hanno ancora sviluppato i processi

cognitivi alla base della comprensione, in particolare mancano loro

le strategie che permettono di creare una sintesi del testo in cui

siano presenti sia le informazioni principali che i collegamenti

attraverso cui si ricostruisce il senso complessivo. Dall’analisi della

situazione in classe, nasce una domanda sulle implicazioni educative

che comporta una scarsa competenza testuale, che impone di

valutare quali siano le impostazioni didattiche che permettono agli

alunni di migliorare in tale ambito.

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102

CONCLUSIONI

La competenza grammaticale è l’insieme delle conoscenze e delle

capacità di utilizzare le strutture grammaticali della lingua e di

comprendere e formulare messaggi, strutturati e dotati di

significato, in base all’insieme di regole che stabiliscono come i vari

elementi possano combinarsi (Council of Europe, 2002). Grazie alle

ricerche sull’apprendimento del linguaggio svolte nella cornice del

paradigma cognitivo, è diventato evidente che la comprensione e la

produzione del messaggio non può prescindere dal riconoscimento

del significato in relazione al contesto, alle intenzioni del parlante,

alle conoscenze dell’interlocutore. La competenza grammaticale è,

dunque, solo una componente della competenza linguistica (Altieri

Biagi 1985).

Per l’insegnamento della grammatica questo significa che i fatti della

lingua non si possono ridurre ad una classificazione formale di parti

della frase, ma devono essere compresi all’interno del processo della

comunicazione e nel complesso di elementi che determina

l’unitarietà del testo. I principi che definiscono un testo come tale,

definiti dalla linguistica testuale, sono stati recepiti dall’educazione

linguistica, che ha spostato la propria attenzione dai prodotti della

comunicazione ai processi che portano alla produzione e alla

comprensione dei testi (Corno, 1999). Tuttavia la centralità del testo

nell’insegnamento dell’italiano, auspicata anche dalle indicazioni

ministeriali per la progettazione curricolare nelle scuole (MIUR,

2012), è stata tradotta dai manuali scolastici nella scelta di

presentare l’organizzazione globale del testo e le sue macro-

proprietà nell’ambito dell’analisi dei testi letterari, mentre

l’insegnamento della grammatica è rimasto ancorato a modelli

tradizionali, a volte privi di un riferimento chiaro ad una teoria

scientifica (Bertocchi, 2000). Per quanto fondamentale, la

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103

prospettiva macrolinguistica dà una visione parziale e dunque errata

della testualità: l’attenzione al testo non può prescindere dallo

studio delle relazioni sintattiche e semantiche nella frase, tra le frasi

e nel testo. Ciò non significa un ritorno all’insegnamento

tradizionale, con le sue etichette di analisi grammaticale e logica: le

strutture morfo-sintattiche della frase vanno considerate dal punto

di vista del significato che veicolano. La definizione delle proprietà

grammaticali non è un fine, ma un mezzo per giungere al significato

della frase e alla strutturazione complessiva del testo (Manzotti e

Ferrari, 1994).

La riflessione sulla lingua deve rendere consapevoli gli alunni dei

meccanismi linguistici attraverso i quali si esprime la testualità.

Perciò è fondamentale che la didattica della lingua individui alcuni

nodi tematici, per guidare l’apprendimento in tale direzione. In

questo lavoro è stato indicato come lo studio dei legami coesivi, ed

in particolare dei connettivi, rappresenti uno dei temi centrali nella

grammatica del testo. Dalla trattazione teorica si è passati all’analisi

di una ricerca svolta tra gli alunni della scuola primaria per valutare

il ruolo dei connettivi nella comprensione di testi tratti da manuali

scolastici. La presenza o l’assenza dei connettivi è risultata

irrilevante nella risoluzione del compito, dimostrando che gli alunni

non hanno colto la funzione dei connettivi come indicatori dei

rapporti logici e semantici, che orientano il lettore nella

comprensione.

L’interpretazione dei risultati attraverso un modello cognitivo della

comprensione (Kintsch e Van Dijk, 1978), suggerisce che la difficoltà

emersa sia il segnale di una mancata comprensione del significato

complessivo del testo, che è ricostruito dal destinatario attraverso

l’elaborazione di un complesso schema costituito dall’intersezione di

concetti e relazioni.

Il ruolo dell’educazione linguistica è primario affinché si sviluppino

strategie di comprensione e produzione adeguate ad un testo

complesso. Il processo di acquisizione del linguaggio del bambino si

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104

intreccia durante la scolarizzazione con quello di apprendimento

della lettura e della scrittura. La scrittura non è un semplice

processo di trascrizione del discorso orale, ma un sistema di

pensiero che può fornire gli strumenti per riflettere consapevolmente

su strutture linguistiche, che altrimenti resterebbero implicite

(Olson, 1997). Dato che chi scrive svolge un processo di analisi e di

ricostruzione dell’esperienza, in cui la mente è costretta a lavorare

in modo strutturato, una didattica che si prefigga di migliorare la

competenza testuale è chiamata a progettare percorsi nei quali

l’alunno possa scoprire, attraverso l’esercizio e l’osservazione, i

meccanismi linguistici su cui si basano coesione e coerenza.

Ragionando in termini di competenza, si pone la necessità di

progettare attività laboratoriali, nelle quali l’alunno sia protagonista

attivo e consapevole. Una didattica così impostata vuole essere

funzionale, ovvero basata sulla descrizione dei mezzi linguistici in

relazione ai loro usi reali nello scambio comunicativo, e operativa,

cioè finalizzata a facilitare l’alunno nel suo processo di

apprendimento (Andorno, Bosc, Ribotta, 2003). La riflessione

grammaticale costruita sul testo e sui suoi principi fondanti

contribuisce a formare la consapevolezza metalinguistica, all’interno

di un approccio più ampio basato sulla competenza comunicativa.

Si tratta di un traguardo ambizioso, ma necessario per affrontare in

modo efficace lo studio e soprattutto per migliorare la propria

capacità di comprendere testi di ogni tipo, perché

comprendere questi testi vuol dire interpolare tra i predicati della

nostra situazione tutti i significati che di un semplice ambiente fanno

un mondo (Ricoeur, 1983:130).

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111

APPENDICE

Risultati delle prove di comprensione

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Testo originale

COME ORIENTARSI? Se osserviamo il Sole e il suo movimento, ci pare che esso giri intorno alla Terra: questo è un movimento apparente, perché sappiamo che in realtà accade il contrario, cioè è la Terra che gira intorno al Sole. 1[Tuttavia fin dall’antichità l’uomo ha osservato il moto apparente del Sole e ha notato che sorge sempre dalla stessa parte, a oriente (dal latino orior = nascere), e tramonta dal lato opposto, l’occidente (da occido = cadere)]. Orientarsi significa, perciò, individuare l’oriente. 2[Così per sapere esattamente dove ci si trova, sono stati identificati quattro punti cardinali, cioè quattro punti fondamentali da prendere come riferimento]. Oltre all’oriente (est) e all’occidente (ovest), sono stati individuati: il sud, cioè la direzione in cui si trova il Sole a mezzogiorno, e il nord, ossia la direzione esattamente opposta al sud. 3[Orientarsi permette dunque di sapere dove ci si trova e quale percorso si deve compiere per raggiungere il luogo desiderato]. 4[Ma come orientarsi di notte, quando è impossibile individuare i punti cardinali in base alla posizione del Sole?] L’uomo ha osservato il cielo e ha trovato una soluzione: le stelle. 5[Ad esempio, se vogliamo andare verso nord, dobbiamo trovare la Stella polare]. È una stella che appartiene alla costellazione dell’Orsa minore, chiamata anche Piccolo carro. Per trovare la Stella polare ci si basa sulla posizione dell’Orsa maggiore, o Grande carro, che è formata da stelle più luminose e più facilmente visibili. Le stelle dell’Orsa maggiore sono sette: quattro formano un quadrilatero, il carro appunto, mentre le altre formano il timone. Se si prolunga per cinque volte la distanza fra le due stelle posteriori del carro, si incontra la Stella polare. Se ci rivolgiamo verso la Stella polare, avremo il braccio destro a est, il sinistro a ovest e dietro le spalle il sud. Se il cielo è nuvoloso e ci troviamo in un bosco, possiamo cercare di orientarci osservando attentamente il tronco degli alberi. 6[La parte esposta a nord è di solito coperta da uno strato verdastro, cioè da muschio]. È la parte del tronco più umida, proprio perché è quella che non viene mai raggiunta dai raggi del Sole. Scoperto dove si trova il nord, sapremo che al lato opposto c’è il sud e che, se volgiamo lo sguardo a nord, l’est è situato a destra e l’ovest a sinistra. 7[Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la bussola]. Il meccanismo su cui si basa questo strumento è semplice. 8[Per comprenderlo bisogna però sapere che esistono degli oggetti, chiamati magneti, capaci di attirare come una calamita il ferro]. La Terra è un enorme magnete e la bussola è costituita da un

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agocalamitato girevole. La Terra attira l’ago della bussola sempre verso lo stesso punto, il nord. 9[Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le nuvole, di giorno o di notte]. La bussola fu inventata probabilmente dai cinesi e portata in Europa nel XII secolo dagli arabi. 10[Successivamente i navigatori di Amalfi, una delle repubbliche marinare, la diffusero nel Mediterraneo]. Oggi come allora la bussola si presenta come una specie di scatoletta rotonda, simile a un orologio, in cui sono indicati non solo i quattro punti cardinali, ma anche le direzioni intermedie: nord-est, sud-est, sud-ovest, nord-ovest.

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RISULTATI: Come orientarsi? (testo espositivo) Gruppo A

PROVE SVOLTE 22

PROVE VALIDE 22

PROVE COMPLETAMENTE ERRATE 1

PROVE CORRETTE 1

RISPOSTE ESATTE: 95/220 (43%) MEDIA ESATTE 4,3/10

RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 125/220 (57%) NR. FRASE CONNETTIVO errate mancanti totale %

1e tuttavia 11 0 11 50%

2e così 9 0 9 41%

3e dunque 16 1 17 77%

4e ma 11 1 12 55%

5e ad esempio 4 2 6 27%

6e di solito 9 1 10 45%

7e infine 16 1 17 77%

8e però 10 1 11 50%

9e di conseguenza 19 1 20 91%

10e successivamente 11 1 12 55%

Gruppo B

PROVE SVOLTE 22

PROVE VALIDE 22

PROVE COMPLETAMENTE ERRATE 0

PROVE CORRETTE 2

RISPOSTE ESATTE: 119/220 (54%) MEDIA ESATTE: 5,4/10

RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 101/220 (46%)

NR. FRASE CONNETTIVO errate mancanti totale %

1e / 12 1 13 59%

2e / 7 0 7 32%

3e / 19 0 19 86%

4e / 12 0 12 55%

5e / 4 0 4 18%

6e / 3 0 3 14%

7e / 15 0 15 68%

8e / 7 0 7 32%

9e / 13 1 14 64%

10e / 7 0 7 32%

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GRAFICI: Come orientarsi? (testo espositivo) Risposte esatte

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B

Risposte errate per ogni frase

02468

10121416182022

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

frase

risp

ost

e er

rate

gruppo A

gruppo B

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Testo originale

IL NASCONDINO Con molta gravità ci mettevamo in cerchio nella stanza da pranzo e tiravamo a sorte quello che doveva star sotto. Se capitava a una bambina, faceva il muso e se ne andava borbottando a mettersi in un angolo, col viso rivolto al muro, con gli occhi chiusi per non vedere; se era un maschio faceva il disinvolto e il sicuro di sé. Dopo esserci assicurati che quello sotto non poteva vederci, partivamo in punta di piedi, in gruppi di due, di tre, per nasconderci: ed era una ricerca muta e nervosa, inquieta e taciturna di un nascondiglio impossibile. […] Quando tutti erano nascosti, si sentiva un griduccio lontano, stridulo, prolungato: - Vieni…i! 1[Allora quello sotto si moveva con precauzione, non allontanandosi molto dal suo posto, guardando a dritta, a sinistra, camminando a piccoli passi]. Palpitavano i piccoli cuori nei nascondigli: dove erano nascosti due l’uno diceva all’altro: - Non ci trova, no; è troppo scemo. 2[Finalmente quello sotto si risolveva a lasciare il posto e la stanza da pranzo: allora si schiudevano le porte, gli armadi, si scostavano le sedie, le scrivanie, e i nascosti fuggivano al posto strillando la loro vittoria]. Mentre quello sotto ne perseguitava uno, invano, gli altri sbucavano da tutte le parti, gridando felici di non essere stati presi, correndo al posto. 3[Allora quello sotto se ne stava tranquillamente a guardar sotto i letti e trovava il bambino sciocco, accovacciato, che non aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in trappola, chinando il capo e allungando il muso]. Noi gli dicevamo ridendo: - Stupido, perché ti sei messo sotto il letto? 4[E non potevi scappare quando lui è passato?] - Sapevo questo io, che lui mi trovava – borbottava lo scemo, andandosi a metter sotto. 5[Ma le partite più interessanti erano quando colui che stava sotto era molto furbo: Michele, per esempio, che poi è diventato medico]. Allora noi ci riscaldavamo, facevamo un complotto nell’anticamera, per trovare un nascondiglio assurdo. Michele, dalla stanza da pranzo, diceva con voce canzonatoria: - Posso venire? E noi, in coro, impazientiti: - Non ancora, non ancora! 6[Infine decidevamo di ficcarci due o tre nel gallinaio, paventando le galline; un altro paio dentro l’arca, dove s’impastava il pane, tenendone un po’ sollevato il coperchio per respirare; e qualcun altro saliva sopra gli armadi, a rischio di rompersi il collo: la più piccola, Adelina, si andava maliziosamente a ficcare dietro Mariagrazia, la serva che filava e che non si muoveva più per non scoprire Adelina]. Allora quel furbo di Michele stava un poco a pensare, poi direttamente, come se qualcuno glielo avesse detto, andava al gallinaio e ne prendeva due pel collo, apriva l’arca e ne prendeva un altro paio, diceva a quelli sull’armadio di scendere: e noi restavamo

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mortificati, chiedendogli: - Come ci hai trovati? Chi te l’ha detto? Quella birbona di Concetta, la cameriera? – Ho capito – diceva lui, modestamente glorioso. – Ma me, non m’hai chiappato – gridava Adelina, spuntando di dietro a Mariagrazia. – T’avevo vista, ma non t’ho voluta prendere – diceva lui, sdegnoso e trionfante. 7[Sino a che un giorno, a questo malizioso e dispettoso Michele, pensammo di giocargli un tiro]. In un granaio pieno di quadri vecchi vi era un canestrone rotondo, alto tre metri, come due botti di vimini, una sovrapposta all’altra. Ci si metteva la biancheria sporca. Per entrarvi dentro lo facemmo traboccare per terra e vi entrammo in sei, come nella bocca di un forno: poi premendo sul fondo, lo facemmo rialzare e restammo immobili, in fondo a questo pozzo rotondo. Ridevamo tra noi, perché certo Michele non ci avrebbe mai trovati. Stavamo allo stretto, uno addosso all’altro, ma felici di aver burlato Michele. Appena Adelina si lamentava che le doleva un piede, qualcuno le mormorava: - Zitta, bestia! Ci farai scoprire. Passava il tempo, Michele non veniva. – Non ci trova, non ci trova – dicevamo sottovoce ridendo. 8[Poi cominciammo a seccarci: poiché Michele non ci trovava, era meglio uscire di lì e andargli a dire che era uno scemo, uno scemone, che gliel’avevamo fatta]. Ma che! Noi premevamo sul fondo e il canestrone rimaneva ritto, con le sue pareti alte, come quelle di una torre: non sapevamo rovesciarlo più per uscirne. Le pareti contro cui battevamo per farlo voltare scricchiolavano, ma noi pesavamo troppo sulla base. 9[Prima ci guardammo tutti spaventati: poi Adelina pianse e strillò; poi piangemmo e strillammo tutti]. Dopo un quarto d’ora in quella desolazione in fondo al canestro, vennero a liberarci Mariagrazia e Concetta, le serve che rovesciarono il canestro e ci trassero fuori, esse ridendo, noi piangendo. 10[Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente, prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto].

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RISULTATI: Il nascondino (testo narrativo)

Gruppo A PROVE SVOLTE 22

PROVE VALIDE 22

PROVE COMPLETAMENTE ERRATE 3

PROVE CORRETTE 3

RISPOSTE ESATTE: 84/220 (38%) MEDIA ESATTE: 3,8/10

RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 136/220 (62%)

NR. FRASE CONNETTIVO errate mancanti totale %

1n allora 9 0 9 41%

2n finalmente 16 0 16 73%

3n allora 18 0 18 82%

4n e 13 0 13 59%

5n ma 17 0 17 77%

6n infine 14 0 14 64%

7n sino a che 15 0 15 68%

8n poi 9 0 9 41%

9n prima 10 0 11 50%

10n ma 14 0 14 64%

Gruppo B

PROVE SVOLTE 22

PROVE VALIDE 22

PROVE COMPLETAMENTE ERRATE 0

PROVE CORRETTE 2

RISPOSTE ESATTE: 99/220 (45%) MEDIA ESATTE: 4,5/10

RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 121/220 (55%)

NR. FRASE CONNETTIVO errate mancanti totale %

1n / 12 0 12 55%

2n / 15 1 16 73%

3n / 13 0 13 59%

4n / 7 0 7 32%

5n / 14 0 14 64%

6n / 13 0 13 59%

7n / 15 0 15 68%

8n / 10 0 10 45%

9n / 9 1 10 45%

10n / 11 0 11 50%

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GRAFICI: Il nascondino (testo narrativo)

Risposte esatte

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B

Risposte errate per ogni frase

02468

10121416182022

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

frasi

risp

ost

e er

rate

gruppo A

gruppo B

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