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DONATO BONO I RIFERIMENTI AL SERVO SOFFERENTE (IS 53) NELLA CORRISPONDENZA EPISTOLARE DELLABATE ED EREMITA SAN BARSANUFIO Latiano 2013

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Page 1: I AL SERVO S 53) - nuovozenith · Anziano del Deserto, vissuto nel monastero di San Seridone presso Gaza in Palestina, ... morale per il comportamento del cristiano (cfr 1Pt 2,21-25;

DONATO BONO

I RIFERIMENTI

AL SERVO SOFFERENTE (IS 53)

NELLA CORRISPONDENZA EPISTOLARE DELL’ABATE ED EREMITA

SAN BARSANUFIO

Latiano 2013

Page 2: I AL SERVO S 53) - nuovozenith · Anziano del Deserto, vissuto nel monastero di San Seridone presso Gaza in Palestina, ... morale per il comportamento del cristiano (cfr 1Pt 2,21-25;

In copertina: Barsanufio e Giovanni, immagine presente sul sito digilanter.libero.it sul retro, immagine presa dal sito vivificato.wordpress.com

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PREFAZIONE L’epistolario di San Barsanufio (†540 circa)1, eremita egiziano, detto il Grande

Anziano del Deserto, vissuto nel monastero di San Seridone presso Gaza in Palestina, è di una straordinaria importanza per conoscere il profondo animo interiore dell’autore, la sua spiritualità impregnata di Sacra Scrittura, la conoscenza profonda della dottrina cristiana, nonché lo stile di vita e di rinuncia ascetica, proprie del monachesimo del suo tempo2. Si tratta di una serie di biglietti, dettati al suo segretario, confluiti poi in un carteggio o epistolario, di cui ci sono pervenute oltre 800 lettere3, che grande influenza hanno avuto sulla storia del monachesimo in generale, e soprattutto orientale4. Suo principale discepolo fu Giovanni di Gaza, indicato come l’altro Anziano, che è anche autore di parte della corrispondenza epistolare, al punto che si fa fatica a riconoscere e a distinguere l’uno o l’altro autore5.

Pur vivendo da recluso per circa cinquant’anni, Barsanufio però non è estraneo al mondo e all’uomo del suo tempo, ma ne condivide paradossalmente i tratti essenzialmente umani in una relazione autentica con se stesso e con l’altro, che incontrava attraverso le sue risposte epistolari, dalle quali traspare una profonda pace e una solidissima personalità. Nell’analizzare, in questa sede, i riferimenti al testo di Is 53, ci proponiamo anche di penetrare la sua conoscenza approfondita della Sacra Scrittura, tale da essere humus interiore e sale da condimento in tutta la sua esperienza e il suo sentire spirituali. Ci limitiamo al solo poema del Servo sofferente perché, citato più volte nel Nuovo Testamento (Rm 10,16; 15,21; 1Pt 2,22-25; Mt 8,17; Lc 22,37; At 8,32-33; Gv 12,38; Eb 9,28; Ap 14,5)6, questo meraviglioso gioiello dell’economia vetero-testamentaria sembra essere il fulcro della cristologia

1Sulla figura di Barsanufio cfr E. FARINA, Glorie di Oria. Vita di S. Barsanofio abate e dei SS. medici Cosimo

e Damiano, Oria 1988, 13-26; A. COVITO, «L’amicizia dei Padri», in La Scala 42/1 (1988) 23-26; J. MILANOVIĆ, «Un’amicizia in tre: Barsanufio, Giovanni e Doroteo», in La Scala 42/3 (1988) 77-84; J.-M. SAUGET - L. PERRONE, «Barsanufio», in A. DI BERARDINO (diretto da), Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, I, Milano 2006, 713-714. Nell’antichità è EVAGRIO LO SCOLASTICO a dedicare a Barsanufio un capitolo della Storia Ecclesiastica (IV,33), scritta attorno al 593 [cfr F. CARCIONE (a cura di), Evagrio di Epifania. Storia Ecclesiastica, Roma 1998, 243].

2 Cfr M. SEMERARO, San Barsanofio. Cenni biografici, antologia degli scritti, preghiere, Oria 2003; S. CHIALÀ – L. CREMASCHI (a cura di), Il deserto di Gaza. Barsanufio, Giovanni e Doroteo, Bose 2004; J. CHRYSSAVGIS, (a cura di), The Fathers of the Church, II. Barsanuphius and John. Letters, Washington 2007.

3 P. MIGNE (PG 86A, 892-901; 88,1812-1820) si basa sul manoscritto Coislin 282 (fine XII sec.). L’opera di San Barsanufio venne stampata per la prima volta da Nicodemo l’Hagiorite a Venezia nel 1816 [cfr S. VAILHÉ, «Le lettres spirituelles de Jean et Barsanuphe», in Echos d’Orient 7 (1904) 268-276; 8 (1905) 14-25.154-160], ripresa quasi integralmente dall’editore Sotirios Schoinas nel 1960 a Volos. Nel 1966 sono state pubblicate in inglese da J. Chitty 124 lettere.

4 L’intera opera è disponibile in lingua italiana in M. T. LOVATO – L. MORTARI (a cura di), Barsanufio e Giovanni di Gaza. Epistolario, Roma 1991. Per l’edizione critica, cfr F. NEYT – P. DE ANGELIS NOAH, Barsanuphe et Jean de Gaza. Correspondance, in SC 426-427; 450-451; 468.

5 Si tratta di Giovanni il Profeta, figura meno conosciuta di Barsanufio. Quanto si può sapere di lui si ricava sia dall’epistolario dei due Anziani e sia dagli scritti di Doroteo; cfr S. VAILHÉ, «Le lettres spirituelles de Jean et Barsanuphe», in Echos d’Orient 8, cit., 154-160.

6 Non meno importanti sono anche le allusioni al poema deutero-isaiano e alla figura del Servo in generale, fra cui soprattutto Mc 10,45 = Mt 20,28 (cfr anche Lc 22,27) e Gv 1,29.36 (cfr anche la figura dell’ajrnivon nel libro dell’Apocalisse). Tra citazioni e allusioni, l’edizione critica di E. NESTLE - K. ALAND et ALII, Novum Testamentum Graece et Latine, Stuttgart 1993, 792, ne conta ben 47.

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patristica7, con un interessante slittamento etico, che fa del Cristo-Servo il criterio morale per il comportamento del cristiano (cfr 1Pt 2,21-25; 1Clem 16,3-14; anche Mc 10,45). E Barsanufio sembra collocarsi sulla medesima scia ermeneutica, indicando il comportamento del Servo sofferente non solo come pienamente incarnato in Gesù di Nazareth, ma anche come criterio per l’etica del cristiano.

1. La citazione e il richiamo di Is 53,4

Un importante riferimento al comportamento del Servo sofferente è quello espresso in Is 53,4a (Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori), che l’evangelista Matteo applica direttamente alla persona di Gesù attraverso una particolare formula di compimento, tipicamente matteana (Mt 8,17)8. Si tratta di un momento particolare del poema, perché a questo punto del racconto sembra che al gruppo corale o noi si aprano gli occhi accecati per comprendere ciò che realmente stava accadendo nei confronti del Servo, come rileva la particella !kÛea (‘akēn), non tradotta dalla LXX, che nel testo originale sembra introdurre qualcosa di nuovo rispetto a quanto affermato in precedenza. E proprio a Is 53,4 ricorre Barsanufio nella sua risposta alla domanda 388, relativa alla cooperazione da parte dell’uomo, al fine di ricevere o meno una guarigione del corpo (SC 450,440-441). Presentando gli esempi evangelici della figlia della cananea (Mt 15,21-28), del servo del centurione (Lc 7,2) e del paralitico (Mt 9,2-6), ci si chiede in che modo essi abbiano potuto cooperare, per poter ricevere la guarigione. Il santo vegliardo risponde che il Salvatore “all’inizio fece dei segni senza cooperazione e gli uomini erano guariti gratuitamente, affinché si compisse la parola profetica: “Egli ha preso le nostre debolezze e ha portato le malattie”. “Perciò – conclude il santo Patriarca – sdebitati dai peccati, gli uomini venivano guariti dalla sua grazia, senza richiesta di cooperazione”. La citazione di Is 53,4a serve a Barsanufio, per fondare scritturisticamente la problematica etico-teologica sottopostagli. Essa è citata secondo il testo di Mt 8,17, il cui contesto permetteva a Barsanufio di introdurre il testo profetico. Infatti, il primo evangelista ha utilizzato Is 53,4, inserendolo nell’ampia sezione relativa all’attività taumaturgica di Gesù9, per cui il santo vegliardo può semplicemente riprendere quanto già Matteo aveva intuito nella propria lettura personale della profezia deutero-isaiana. Il testo riportato da Barsanufio è, dunque, la versione matteana di Is 53,4 (= Mt 8,17), che si differenzia nettamente dalla LXX, ma è molto più vicino al TM10:

7 Circa l’importanza di questo poema presso i Padri e scrittori cristiani cfr R.L WILKEN, Isaiah interpreted by

Early Christian and Medieval Commentators, Cambridge 2007, 412-430 8 È proprio, infatti, dell’evangelista Matteo interrompere la trama narrativa, per collegarla direttamente con un

oracolo specifico dell’Antico Testamento, come dimostrano le particolari formule usate dall’autore (Mt 1,22; 2,15.17.23; 4,14; 8,17; 12,17; 13,14.35; 26,56). Su queste particolari formule di compimento cfr J. MILER, Les citations d’accomplissement dans l’évangile de Matthieu. Quand Dieu se rend présent en toute humanité (AnBibl 140), Roma 1999, 103-123.

9 È nel contesto dei capitoli 8-9 che Matteo concentra ben otto guarigioni su tredici, chiuse dal sommario di Mt 9,35-38, e vedendo in tale attività il compimento scritturistico in Mt 8,17. Sull’intera sezione cfr S. GRASSO, «Il ciclo dei miracoli (Mt 8-9): spettro dei problemi comunitari», in Rivista Biblica Italiana 54 (2006) 159-183.

10 Sulla questione della fonte di Is 53,4 in Matteo, cfr M.J.J. MENKEN, «The Source of the Quotation from Isaiah 53:4 in Matthew 8:17», in Novum Testamentum 39/4 (1997) 313-327.

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Barsanufio: ou|toVç taVç ajsqeneivaç hJmw`n e[[labe kaiV taVç novsouç ejbavxen (questi le nostre

infermità prese e le malattie si addossò); Mt 8,17: aujtoVç taVç ajsqeneivaç hJmw`n e[[laben kaiV taVç novsouç ejbavsen (egli le nostre

infermità prese e le malattie si addossò); LXX: ou|toç taVç aJmartivaç hJmw`n fevrei kaiV periV hJmw`n ojduna`tai (questi I nostri peccati

porta e per noi soffre); TM: ~l'_b's. WnbeÞa{k.m;W af'n" aWhä W’nyE’l'x\ [certo (le) sofferenze di noi lui sollevò, e (i) dolori di noi

caricò essi]11. Come si vede, il testo di Barsanufio è sostanzialmente quello della citazione

matteana, con la differenza di ou|toVç, come nella LXX, al posto di aujtoVç, forse per collegare il testo biblico con il contesto. Per il resto, si assiste a lievi differenze, molto marginali, come la caduta della lettera n, in e[[laben, fenomeno molto commune nel greco antico; così come anche la sostituzione del s con la lettera x in ejbavxen. Se l’originale ebraico, cui sostanzialmente Matteo si riferisce, permetteva all’evangelista di inserire la citazione nel contesto dell’intera sezione relativa all’attività taumaturgica di Gesù, analogamente la medesima citazione, attinta da Mt 8,17, ben si addice alla stessa tematica relativa alle malattie e alle sofferenze corporali, a differenza della LXX, che in questo punto preferisce spitualizzare il testo, parlando al loro posto di peccati (ou|toç taVç aJmartivaç hJmwn fevrei)12.

Un riferimento vago a Is 53,4 è presente nella Lettera 532, relativa al problema del mangiare o meno un cibo in caso di malattia del corpo (SC 451,672-673). Anche qui Barsanufio riporta la problematica sul piano cristologico, presentando Gesù come il grande Medico (proVç toVn mevgan ijatrovn), che prende su di sé le nostre sofferenze (toVn bastavzonta hJmw=n taV pavqh), con un riferimento non letterale, ma alquanto evidente a Is 53,4a. Questa allusione scritturistica permette al santo eremita di affermare l’importanza per il credente di ricorrere al Cristo e di affidarsi a lui solo, unica àncora certa di salvezza.

2. I riferimenti a Is 53,7

Un riferimento più vago a Is 53,7ss. troviamo nella risposta alla Lettera 236 (SC 450,170-171), una fra le tante inviategli da un giovane confratello del monastero, turbato dall’atteggiamento dell’abate di fare troppa differenza tra lui e gli altri fratelli. Il santo eremita, dopo avergli ricordato che tale turbamento è opera dei suoi pensieri e dei demoni, che lo inducono “con la loro arte malvagia a odiare” l’abate, che al contrario lo ama e lo protegge con tutte le proprie forze, invita il giovane ad essere “la pecora innocente del gregge di Cristo”. L’invito è rivolto come un imperativo o un’esortazione (kaiV genou=) ad imitare il comportamento della pecora innocente (provbaton a[kakon), facendo riecheggiare sia Is 53,7bLXX, dove il Servo sofferente è

11 Testo ebraico e traduzione a cura di R. REGGI, Isaia, Bologna 2005, 118. 12 Questo particolare della fonte, da cui attinge l’evangelista, è molto importante, dal momento che

generalmente egli cita dalla LXX, mentre in Mt 2,6.18 e 13,35 dipende direttamente dall’originale ebraico. Solo qui e in Mt 12,17-21 (= Is 42,1-4) Matteo sembra aver tradotto egli stesso il testo biblico, adottandolo alle circostanze e al contesto proprio.

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paragonato ad una pecora, e sia Is 53,9c, dove è detto che egli è giusto e senza peccato, concetti riassunti qui dall’aggettivo a[kakon. Sempre vago è il riferimento a Is 53,7 nella risposta alla Lettera 67 al fratello Eutimio (SC 426,326-327), che chiede al santo eremita come poter sempre essere alla ricerca del Signore, nostro Pastore. Nella risposta Barsanufio invita il proprio interlocutore ad imitare il Cristo, il quale ha accettato tutte le sofferenze come una pecora senza difetto, senza contraddire in nulla (wJç provbaton a[kakon ejdexavmen o{la pavqh). Posta sulla bocca del Cristo, l’espressione acquista maggiore probabilità di essere riferita proprio alla profezia del Servo, che come una pecora innocente ha sopportato tutte le atrocità, descritte nel poema deutero-isaiano. Alla domanda, presente nella Lettera 20, come mai si è agitati se il Signore ha dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni (SC 426,202-203), Barsanufio risponde che l’agitazione interiore è la prova che tale potere non è ancora presente nell’anima di chi si sente agitato. Perciò, egli invita il proprio interlocutore a far riposare la mitezza nel proprio cuore, ricordando la pecora e l’agnello innocente, che è il Cristo (...sou= mimnh/skovmenoç tou= probavtou kaiV ajmnou= ajkavkou Cristou=). Si tratta di un riferimento piuttosto evidente, anche se non esplicito, alla profezia di Is 53,7b, dove compaiono insieme le due immagini della pecora (provbaton) e dell’agnello (ajmnovç). Ma va anche notato che spesso nel Nuovo Testamento Gesù è indicato come l’Agnello (Gv 1,29.36; At 8,32; 1Pt 1,19; Ap 5,6-8.11.13; 6,1.3.5.7.9.12; 7,9; 8,1; 14,19.21-22), per cui è probabile che Barsanufio richiami la globalità di questi testi biblici, al fine di imitare il Cristo mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29).

3. Conclusioni Dirette alla struttura profonda dell’uomo interiore, le risposte spirituali di Barsanufio e del suo discepolo Giovanni di Gaza, sono impregnate di Sacra Scrittura. È raro imbattersi in una risposta, per quanto breve, che non contenga almeno una citazione scritturistica o un’allusione biblica, seppure molto vaga o appena riconoscibile13. In riferimento al poema del Servo sofferente, sono due i particolari evidenziati dai due santi eremiti: l’idea del medico, applicata a Gesù, che prende su di sé le sofferenze dell’umanità, come in Is 53,4a (= Mt 8,17); e la figura dell’agnello o pecora, condotti al macello, attinta da Is 53,7. Se nel primo caso l’autore invita il proprio interlocutore a fare affidamento al medico celeste, che guarisce tutte le malattie e le infermità dell’umanità, nel secondo, l’atteggiamento umile del Servo nell’essere condotto al macello è assunto a mo’ di modello etico comportamentale. L’inica vera citazione è quella di Mt 8,17 = Is 53,4a, presente nella risposta alla Lettera 388; per il resto si assiste a richiami o riferimenti piuttosto vaghi, ma comunque ben riconoscibili, che ci permettono di poter affermare con sufficiente sicurezza che per Barsanufio e Giovanni di Gaza l’umiltà del Servo sofferente,

13 Cfr, a riguardo, M.T. LOVATO – L. MORTARI (a cura di), Barsanufio e Giovanni di Gaza…, cit., 51-64; anche 72-73. Ne è convinto lo stesso Barsanufio, che nella Lettera 49 (ibidem 117) scrive: “Rumina le mie lettere e sarai salvo, giacché in esse, se le capisci, hai il Vecchio e il Nuovo Testamento”. In particolare sulle citazioni isaiane, cfr F. NEYT, «Citations ‘isaïennes’ chez Barsanuphe et Jean de Gaza», in Le Muséon 89 (1971) 65-92.

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descritta da Is 53, è stata fatta propria dal Christus patiens, divenendo così modello per ogni cristiano, chiamato a vivere la medesima umiliazione e rinuncia, al fine di adeguarsi totalmente alla persona del Cristo14. Questo slittamento etico, evidente nelle risposte di Barsanufio, è in sintonia con la prospettiva neotestamentaria, che sembra fare del comportamento del Cristo-Servo il modello dell’agire del credente, fino all’estrema umiliazione di sé (cfr Mc 10,45; 1Pt 2,21-25; Fil 2,5-11). Questa medesima prospettiva è confermata dalla Prima Clementis, che probabilmente costituisce la tappa finale di un percorso petrino, che ha fatto del Servo sofferente di Is 53 il testo messianico per eccellenza (cfr At 3,13-14.26; 4,11.27.30; 1Pt 2,21-25; 1Clem 16,3-14)15. L’utilizzo parenetico, etico e morale, da parte di Barsanufio, del poema deutero-isaiano (Is 53,4-7) conferma che probabilmente l’atteggiamento umile e sofferente, descritto dal testo profetico di Isaia e direttamente applicato alla persona del Cristo, è ormai il criterio per eccellenza, a cui il vero cristiano non può non pienamente conformarsi, al fine di seguire le stesse orme del suo Signore, che si è fatto servo nell’umiltà e nella sofferenza.

14 Cfr anche il riferimento a Fil 2,8 nella risposta alla Lettera 62 in ibidem 133. 15 Cfr D. BONO, «La citazione di Is 53 nella Prima Clementis», in Orientalia Christiana Periodica 75/2 (2009) 1-14.

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Immagine presente nel sito ipadrideldeserto.blogspot.com

San Barsanofio e la città di Oria

Le reliquie di san Barsanufio o Barsanofio, come lo si chiama a Oria, furono trasportate da un monaco palestinese nella città di Oria verso l’850 e collocate dal vescovo Teodosio presso la porta della città in un’aulica basilica, che venne saccheggiata dai Saraceni nel 925/926. Dopo la sua distruzione, per lungo tempo si perdette la memoria delle reliquie, finché non vennero ritrovate in seguito alla visione del presbitero Marco e trasportate nella cattedrale, dove tuttora sono sistemate e venerate. Oggetto di particolare venerazione è il braccio di san Barsanofio, a cui sono legati molti degli eventi considerati miracolosi. Nella diocesi di Oria san Barsanofio si festeggia il 20 febbraio, a ricordo di eventi miracolosi a favore del popolo oritano, e il 23 agosto.

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