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Giuseppe Di Benedetto PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO La città entro le mura nella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto ISBN 13 978-88-8207-363-3 EAN 9 788882 073633 Tracce di Palermo, 10 Seconda edizione, dicembre 2009 Di Benedetto, Giuseppe <1961-> Palermo tra Ottocento e Novecento : la città entro le mura / Giuseppe Di Benedetto. – 2. ed. – Palermo : Grafill, 2009. (Le tracce di Palermo ; 10) ISBN 978-88-8207-363-3 1. Di Benedetto, Enrico – Fotografie. 2. Palermo – Fotografie – Sec. 19.-20. 779.4458231 CDD-21 SBN Pal0222069 CIP – Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” © GRAFILL S. r . l . Via Principe di Palagonia, 87/91 – 90145 Palermo Telefono 091/6823069 – Fax 091/6823313 Internet http://www.grafill.it – E-Mail [email protected] Tutti i diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica e di riproduzione sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcuna forma, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, né memorizzata tramite alcun mezzo, senza il permesso scritto dell’Editore. Ogni riproduzione non autorizzata sarà perseguita a norma di legge. Nomi e marchi citati sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici. Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 presso Officine Tipografiche Aiello & Provenzano S.r.l. Via del Cavaliere, 93 – 90011 Bagheria (PA)

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Giuseppe Di BenedettoPALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTOLa città entro le mura nella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto

ISBN 13 978-88-8207-363-3EAN 9 788882 073633

Tracce di Palermo, 10Seconda edizione, dicembre 2009

Di Benedetto, Giuseppe <1961->Palermo tra Ottocento e Novecento : la città entro le mura / Giuseppe Di Benedetto. – 2. ed. – Palermo : Grafill, 2009.(Le tracce di Palermo ; 10)ISBN 978-88-8207-363-31. Di Benedetto, Enrico – Fotografie. 2. Palermo – Fotografie – Sec. 19.-20.779.4458231 CDD-21 SBN Pal0222069CIP – Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

© GRAFILL S.r.l.Via Principe di Palagonia, 87/91 – 90145 PalermoTelefono 091/6823069 – Fax 091/6823313 Internet http://www.grafill.it – E-Mail [email protected]

Tutti i diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica e di riproduzione sono riservati. Nessuna parte di questapubblicazione può essere riprodotta in alcuna forma, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, né memorizzata tramitealcun mezzo, senza il permesso scritto dell’Editore. Ogni riproduzione non autorizzata sarà perseguita a norma di legge.Nomi e marchi citati sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici.

Finito di stampare nel mese di dicembre 2009presso Officine Tipografiche Aiello & Provenzano S.r.l. Via del Cavaliere, 93 – 90011 Bagheria (PA)

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Introduzione

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Esistono immagini che, più di tante altre,sembrano avere il compito e il privilegio dicostituire una testimonianza alquanto raraed eloquente di epoche ed atmosfere ormailontane dal nostro presente.

Immagini che raccontano la storia di unacittà attraverso le sue vicende sociali ed ur-banistiche. Una storia custodita tra le paginedi raccolte fotografiche ingiallite dal tempo,conosciute solo dagli studiosi e da qualcheappassionato.

La collezione fotografica raccolta, tra lafine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento,dal cavalier Enrico Di Benedetto rappresen-ta sicuramente uno di questi rari «archividella memoria».

Si tratta di un fondo, conservato pressola Biblioteca Comunale di Palermo, costitui-to da oltre 30.000 illustrazioni di varia natu-ra (cartoline e fotografie in maggioranza, maanche cartine geografiche, stampe, piante dicittà, ritagli di giornali) raccolte in sessanta-due volumi. Le tematiche affrontate dallacollezione sono tra le più svariate: dall’aral-dica ai ritratti dei siciliani illustri, dei garibal-dini, degli imperatori romani, dei papi, deisovrani siciliani ed italiani; dalla vita di Cri-stoforo Colombo a quella di Napoleone; dal-la filatelia alla numismatica; dall’agricolturaalle attività industriali in Sicilia e nel restod’Italia nei primi del Novecento; dal Risorgi-mento al cinquantenario dell’unità d’Italia;dallo sport ai duelli; dalle scienze alle arti li-berali; dalla letteratura italiana ai giornali so-

cialisti; dall’etnografia alla geografia; dallastoria dell’arte italiana ed europea al teatro eai musicisti italiani; dalle divise degli esercitieuropei alla prima guerra mondiale (a cui so-no riservatati ben quindici volumi).

Di notevole interesse la sezione di carto-line e fotografie dedicata alle città e ai paesisiciliani. In particolare dal sesto al decimovolume sono raccolte 1945 illustrazioni sul-la città di Palermo e suoi dintorni, ordinatee sistemate secondo i seguenti temi: «Cala eantemurale, porte della città, piazze e vie»;«Alberghi, caffè e ristoranti, palazzi antichie moderni, teatri»; «Asili rurali, BibliotecaNazionale, cimiteri, chiese, giardini pubbli-ci, istituzioni di educazione, orfanotrofi,università»; «Cantiere Navale, carte topo-grafiche, congresso della Società Italiana dimedicina interna, Conservatorio di musica,corso dei fiori, Esposizione Agricola del1902, Esposizione Campionaria del 1908,Esposizione Nazionale del 1891-92, fonta-ne, Istituto Agricolo Castelnuovo, lineetranviarie, monumenti, musei, Orto Botani-co, ospedali, panorama della città, piantadella città (1891), pompieri, stazioni»; «Bor-gate di Palermo».

Lo scopo di Enrico Di Benedetto, nonfotografo ma paziente e meticoloso collezio-nista di «cartoline illustrate», era la «divul-gazione per immagini della storia della Sici-lia» e di Palermo in particolare. Ciò che puòapparire semplicemente come una maniaca-le raccolta di materiale fotografico, si rileva

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invece, ad un’analisi più attenta, una formadi conoscenza degli aspetti peculiari dellaconfigurazione urbana, che mostra, nellamodalità di catalogazione e ordinamento delmateriale, anche notevoli risvolti euristici.

La raffigurazione fotografica di Palermodi fine Ottocento evidenzia palesemente lasua eteronomia dalla precedente lunga sta-gione del vedutismo dei pittori locali e stra-nieri. Il taglio, l’inquadratura, i temi narrati-vi e perfino i punti di osservazione di moltefoto risultano analoghi a quelli delle vedutedi Jacob Philipp Hachert, di Francesco Ze-rilli o di Giovan Battista Lusieri, che con leloro opere avevano fissato i caratteri topicidi Palermo1: dalle ampie panoramiche delForo Italico [Fig. 1] ritratto, alternativamen-te, dal molo della Deputazione della Sanità,dalla casina dei principi di Cutò [Fig. 2] odall’alto di Porta Felice, all’arco della Calaripreso verso il Castello a mare; dalla città vi-sta da Romagnolo con in primo piano l’im-

mancabile «Colonnella» [Fig. 3], alle ripreseravvicinate degli ambiti e dei monumenti as-sunti come stereotipi dell’iconografia urbana(il Cassaro e le sue piazze, i mercati storici[Figg. 4-5], i monumenti di età normanna[Fig. 6], e così via).

Su tutto, l’insistenza nel ricercare, so-prattutto nelle raffigurazioni panoramichedella città, la presenza di Monte Pellegrino[Fig. 7], a conferma del suo secolare valoredi topos paesaggistico rappresentativo dellacittà intera, vera e propria sineddoche ingrado di riassumere in sé l’immagine imme-diatamente riconoscibile di Palermo2.

Dal vedutismo di metà Ottocento, quellodi Théodore Duclère o di Tommaso Riolo,viene ripresa l’attenzione per la dimensione“realistica” che antepone alla raffigurazioneprospettico-scenografica e celebrativa dellatradizione sette-ottocentesca, quella popola-re e nascosta, dai toni marcatamente oleogra-fici, dei vicoli con i panni stesi, brulicanti di

INTRODUZIONE

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3. Panorama di Palermo dalla «Colonnella». Sulla destra si nota parte del recinto murario con sfinge del giardino dipertinenza del Senatore della città Corradino Romagnolo da cui prese il nome la contrada. Fine del XIX secolo [Ed.Dr. Trenkler Co., Lipsia].

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anziani e bambini malvestiti [Fig. 8], dei pe-scatori di Sant’Erasmo [Fig. 9], delle lavan-daie immerse nelle acque della sorgente dellagrotta di Danisinni [Fig. 10], delle processio-ni rionali in cui viene sottolineata la fortecomponente devozionale della popolazione.

Naturalmente, i fotografi locali non man-cavano di registrare, con la puntualità e laprecisione dei fotoreporter, gli avvenimentidi maggiore coinvolgimento della vita citta-dina: l’arrivo del re Vittorio Emanuele III edella regina Elena nel maggio del 1906, lesfilate dei garibaldini in occasione di diversericorrenze [Figg. 11-12] (in particolare quel-la del 27 maggio del 1910, per i cinquant’an-ni della conquista della città), le varie fasidelle celebrazioni dello Statuto del Regno edell’Unità d’Italia, svoltesi nel Foro Umber-to I il 5 giugno del 1910 [Fig. 13], un comi-zio di Nunzio Nasi dai balconi di palazzoTorrebruna a piazza Ballarò [Fig. 14], laprocessione dell’Immacolata dell’otto di-cembre, ripresa all’uscita dalla chiesa di SanFrancesco [Fig. 15], l’inaugurazione deltramvai elettrico nel luglio 1912 [Fig. 16],

INTRODUZIONE

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12. Sfilata di soldati lungo il Cassaro in occasione dellemanifestazioni (24-29 maggio 1910) per il cinquantena-rio della conquista della città da parte dei garibaldini. Inprimo piano i balconi di palazzo Riso, in fondo, palazzoVentimiglia di Geraci.

13. Il Foro Italico «Umberto I» durante le celebrazioni dello Statuto del Regno d’Italia svoltesi il 5 giugno 1910. Ilgenerale Crema a cavallo (in primo piano) e lo Stato Maggiore dell’Esercito passano in rivista le truppe. Sulla destra,il Teatrino della Musica utilizzato come palco delle autorità.

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oltre ai vari annuali appuntamenti mondani,ai tornei cavallereschi alla Favorita [Fig. 17],ai vari congressi scientifici, alle frequenti giàcitate esposizioni campionarie [Fig. 18].

Non mancano neppure le testimonianzedi accadimenti luttuosi e drammatici, comenel caso dell’esplosione dell’armeria Ajellosituata in via Grande Lattarini, il 19 dicem-bre del 1907, che aveva causato il crollo dinumerosi edifici (tra cui alcune locande[Figg. 19-21], particolarmente frequenti inquella parte di città), la morte di sessantaduepersone e un centinaio di feriti3.

Nel 1880 già si contavano a Palermo benquindici fotografi professionisti, quasi tuttipresenti nel Cassaro, tra cui Empedocle LoForte a palazzo Larderia; Eugenio Intergu-gliemi nel palazzo Vannucci di Balchino4,con ingresso da piazzetta Santa Sofia; Giu-seppe Dolce al piano terra di palazzo LaGrua Talamanca di Carini; ed ancora Giu-seppe Dolce, Chauffourier & Girgenti, Ro-sario Accardi, Francesco Paolo Rametta e

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15. Piazza San Francesco durante la processione del-l’Immacolata. Inizi del XX secolo.

14. Nunzio Nasi tiene un comizio dal balcone del palazzo Torrebruna a piazza Ballarò. Inizi del XX secolo.

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Giacomo Mandanici. Tra i più noti, Giusep-pe Incorpora, «fotografo della Real Casa»,aveva un moderno ed attrezzato gabinettofotografico in via Cavour «in palazzo pro-prio», ed era presente anche in Corso Vitto-rio Emanuele con un laboratorio di «smer-cio di fotografie». In via Maqueda e in viaGiovanni Meli erano ubicati invece gli studifotografici, rispettivamente, di Michele edEnrico Seffer. Vi era anche lo studio di Gian-none in via Maqueda e quello di FrancescoPaolo Uzzo in via Albergheria.

Attraverso la collezione Di Benedetto èpossibile realizzare un viaggio a ritroso neltempo, seguendo un itinerario ideale che re-stituisce la struttura della forma e della so-cietà urbana nella pienezza e nella pluralitàdei significati che la città antica sapeva espri-mere attraverso le sue regole di funziona-mento. Ciò richiede, inevitabilmente, unaparticolare attenzione per la storia urbana al

fine di catturare le immagini in una magliaprecostituita che consenta di vedere e di ca-pire sempre di più. Molte immagini, infatti,possono apparire sfuggenti, come il tempoche si separa da loro. Della realtà che in esseè rappresentata non tutto c’è dato di ricono-scere: le strade, gli edifici, il territorio, i co-stumi sociali, in alcuni casi, sono profonda-mente mutati.

Vorrei, ciò nonostante, presentare questeimmagini storiche della città senza quella di-mensione nostalgica che ha caratterizzato inpassato molte pubblicazioni su Palermo.

Se è vero che mostrare le foto della cittàcom’era cento anni fa costituiva un modoper denunciare lo sviluppo recente, avvenu-to in assoluto contrasto con la sua antica esecolare conformazione, oggi quelle fotopossono testimoniare come l’attuale proces-so di trasformazione del centro storico tendaessenzialmente al recupero dei valori iconici

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18. Padiglione di ingresso dell’Esposizione Agricola Siciliana, 1902.

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e di quella imago urbis immortalata magi-stralmente dai tanti pionieri della fotografia.

L’esempio più evidente è dato dal ForoItalico, dove l’odierno recupero delle Muradelle Cattive, la ricostruzione della casina deinobili distrutta nella seconda guerra mondia-le, il restauro del palchetto della Musica, delNoviziato dei Crociferi, il recupero di VillaGiulia concorrono a restituire un’immagineche sembrava perduta per sempre o apparte-nente soltanto all’archivio della memoria5.

Immagini fotografiche e attente ricostru-zioni storiche, fanno di questa pubblicazioneun momento di conoscenza specifico dellacittà tra la fine dell’Ottocento e i primi annidel Novecento. Cercare di capire il valore fi-sico della città vuol dire penetrare nel signi-ficato espresso dagli spazi urbani rappresen-tati, secondo quanto risulta dalla decodifica-zione delle immagini che hanno il compitodi fornirci un susseguirsi di indicazioni checi restituiscono la forma della città sottoli-neando, oltre tutto, il valore, oggi, dell’archi-tettura e più in generale della città del passa-to. La lettura va poi completata introducen-do la componente umana, al fine di correla-re lo spazio urbano all’uso che ne hanno fat-to i gruppi sociali esistenti in quel dato pe-riodo storico, in modo da sottolineare lacittà come struttura spaziale che interagiscecon i fenomeni sociali ed economici.

Da qui l’esigenza di ordinare e sistemareil materiale fotografico per “ambiti” conte-stuali, in cui le relazioni di corrispondenza edi dipendenza degli spazi architettonici traessi o con gli usi, risultano sufficientementeindicative a definire l’immagine di Palermotra la fine del diciannovesimo e l’inizio delventesimo secolo.

In quel tempo la città era suddivisa in seimandamenti (sezioni o quartieri); quattro in-terni: Tribunali, Palazzo Reale, Monte diPietà, Castellammare, con una popolazione

di circa 186.000 abitanti6; due esterni: OrtoBotanico e Molo, che comprendevano leparti di nuova espansione a cui si aggiunge-ranno nel 1889 i mandamenti Zisa e Cuba.Le borgate dipendenti dalla città, che forma-vano la campagna di Palermo, erano rag-gruppate, secondo il censimento del 1873della Direzione Statistica del Municipio diPalermo in nove «comuni riuniti». In que-st’ultimi – costituiti da Zisa e Uditore, Baidae Boccadifalco, Resuttana e San Lorenzo,Mondello e Pallavicino, Sferracavallo e Tom-maso Natale, Mezzomonreale e Porrazzi,Brancaccio e Conte Federico – erano com-prese ben 85 borgate (tra piccole e grandi)con una popolazione complessiva di 32.992abitanti a cui bisogna aggiungere i 3.225 abi-tanti delle borgate Arenella, Acquasanta,Monte Pellegrino, Rotoli, Sampolo e Vergi-ne Maria, incluse nella sezione Molo, e i1.099 abitanti della borgata Porcelli e Villag-gio Camposanto incluse nella sezione OrtoBotanico. Abitate appena dal venti per cen-to della popolazione complessiva, le borgateerano situate all’interno di un territorio, ric-co di valori ambientali e paesaggistici, dise-gnato nel corso di circa un millennio; dagliarabi ai normanni, sino alla grande stagionedella «villeggiatura» sei-settecentesca.

L’immagine della città dentro le muranon era molto diversa dal suo antico aspettofeudale: un tessuto compatto e alveolato ani-mato da una popolazione ancora numerosaed eterogenea. Un centro denso di storiamillenaria, ricco di palazzi e di strutture ec-clesiastiche in gran parte secolarizzate.

Al di fuori, la città l’aperta si espandevalentamente attraverso una precisa configura-zione ben definita espressione significativadella cultura del tempo. Questa nuova Paler-mo cresceva all’ombra dei Florio e della bor-ghesia intraprendente arrivata con le insegnedel nuovo stato nazionale unitario.

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Dentro le mura

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La sequenza di fotografie del centro anti-co di Palermo ci mostra chiaramente comeesso agli inizi del Novecento mantenesse an-cora inalterati i valori di centralità urbana at-traverso i propri straordinari attributi storicie monumentali. Sono immagini soprattuttodi spazi esterni, di piazze e di strade che perla loro importanza simbolica, per i valori cheesprimono attraverso gli edifici che ne defi-niscono gli ambiti costruiti, rappresentano lamaglia principale delle strutture relazionalidella città. Quelle più importanti sono arric-chite dalla presenza in successione di palaz-zi, chiese e conventi di notevole e suggestivamonumentalità, che trasformavano i solchi egli slarghi stradali in spazi a cortine moltorappresentative.

L’immagine di Palermo in quegli anni cre-do sia emblematicamente rappresentata dalgruppo di fotografie panoramiche scattatedall’alto del Palazzo Reale verso i quattromandamenti [Figg. 22-23]. Vista da lassù lacittà manteneva immutata quella sembianzafissata nelle vedute a volo d’uccello di France-sco Zerilli del 1837, ma con qualche novità dirilievo. Alla mole delle tante cupole, gonfiecome aerostati, che per secoli avevano segna-to e caratterizzato il panorama della città, siaffiancava, allo scorcio dell’Ottocento, con lasua massiccia e smisurata sagoma, il TeatroMassimo. E sebbene, quest’ultimo si innalzas-se più in alto degli altri edifici, erano ancora itanti conventi, quelli dei Benedettini, dei Do-menicani, dei Francescani, degli Olivetani,

dei Teatini, dei Carmelitani, dei Crociferi, de-gli Agostiniani … a conferire alla città la suaimmagine più vera. Un’immagine, comun-que, con un eccesso d’identità, spesso di su-perficie: mitica e opulenta per i tanti monu-menti che la costellavano, frammenti di diver-se culture che nei secoli si erano sovrappostee stratificate determinando una koiné artisticastraordinaria e ineguagliabile, ma al contem-po misera e luttuosa per quei quartieri interniabitati dalla «gentuzza», quel groviglio di vi-coli e cortili che odoravano di povertà, strate-gicamente celati alla vista dalle cortine deigrandi, pretenziosi palazzi di un’aristocraziala cui albagia era stata anch’essa ineguagliata.

Dopo il 1866, con la legge del 7 luglioche decretava la soppressione degli ordinireligiosi, l’immenso patrimonio edilizio dellaChiesa presente in città era stato suddivisodal Fondo per il Culto, tra Comune, Provin-cia e vari ministeri dello Stato. Il processo disecolarizzazione non aveva risparmiatoneanche le chiese.

Nella seduta della Commissione provin-ciale del 1867 fu stabilito, infatti, di chiuder-ne al culto ben diciannove, annoverabili trale maggiori del centro storico, per essere de-stinate a vari usi: nel Mandamento Monte diPietà, le chiese dei monasteri delle Stimmatee di San Giuliano (in seguito demolite per lacostruzione del Teatro Massimo), di Monte-vergini trasformata in aula di Corte d’Assise,dei Sette Angeli e dello Spirito Santo, lechiese della Mercede al Capo e di San Gre-

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gorio Papa (poi restituite al culto dei fedeli)e la chiesa del convento delle Scuole Pie diSan Silvestro; nel Mandamento Palazzo Rea-le la chiesa del Monastero di Sant’ElisabettaRegina e le chiese dei conventi dell’Annun-ziata, del Carmine e dei Benfratelli; nel Man-damento Tribunali la chiesa del Monasterodello Scavuzzo, le chiese del convento di SanGiovanni Evangelista e del Noviziato deiCrociferi, le chiese del Monastero diSant’Anna e Teresa e di San Carlo Borromeo(anch’esse successivamente restituite al cul-to), la chiesa di Sant’Anna della Misericordia(utilizzata fino al 1929 come deposito delgranaio municipale) e infine, nel Manda-mento Castellammare, le chiese di San Basi-lio Magno (trasformata in aule scolastiche) edi Santa Maria di Valverde7.

La cronica carenza di servizi della cittànon era certamente risolvibile con il solo riu-so dell’edilizia ecclesiastica espropriata e se-

colarizzata. Le questioni da affrontare all’in-domani dell’Unità d’Italia, per un reale rin-novamento urbano di Palermo, erano evi-dentemente di ben altra portata; le rilevantidistruzioni causate dai bombardamenti delmaggio 1860 riproponevano l’urgenza di in-terventi trasformativi all’interno della cittàmurata secondo una visione piuttosto ampiache tenesse conto, essenzialmente, dello svi-luppo generale e complessivo di Palermo.

Lo stesso Giuseppe Garibaldi aveva av-vertito la necessità, durante la sua dittatura,della istituzione di una Commissione per leopere pubbliche, composta da dodici consi-glieri comunali ed avente gli stessi poteri delconsiglio civico, che si occupasse delle rifor-me urbanistiche e architettoniche della città.La Commissione assegnava, agli inizi del1861, ad un «collegio di artisti», compostodai tecnici comunali Filippo Moscuzza, LuigiCastiglia, Rosario Torregrossa e Pietro Raine-

DENTRO LE MURA

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24. Palazzo Reale e Villa Bonanno. Fotografia post 1905.

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ri e dai professionisti esterni Enrico De Simo-ne e Giovan Battista Filippo Basile, il compi-to di elaborare, in breve tempo, un «progettodi decorazione e riforma» per la città.

Il progetto venne approvato dalla Com-missione con un rapporto, trasmesso al Con-siglio comunale l’otto settembre del 1861,dal quale scaturivano tredici articoli succes-sivamente sottoposti alla deliberazione dellostesso Consiglio8. Le proposte meritevoli diattenzione, al fine di comprendere lo spiritodel progetto che di fatto avrebbe indicato lelinee programmatiche per i piani successivi,erano costituite dal prolungamento della viaLibertà sino ai Colli e dalla creazione di unanuova importante strada all’interno del cen-tro antico collegata ad un nuovo quartiere«da costruire sul terreno esteriore tra PortaMaqueda e Porta San Giorgio che sarà deli-beratamente espropriato con immediato

tracciamento delle strade necessarie, apren-do una larga comunicazione colle antichemura dell’Itria. La strada che servirà a talecomunicazione passando innanzi alla chiesadi San Domenico e traversando piazza Ca-racciolo [Fig. 27], che sarà sgombra dall’at-tuale mercato, uscirà nel Corso VittorioEmanuele»9.

Da queste proposte emerge un’ipotesi dicittà basata sulla creazione di relazioni di re-ciproca corrispondenza e dipendenza tra ilcentro antico, rifondato e riconfigurato dainuovi interventi, capillari e diffusi, e la nuo-va espansione urbana a nord della città, giàsancita dalla creazione della via Libertà.

La città dentro le mura continuava amantenere una discreta centralità, soprattut-to di funzioni, confermata nel progetto dallaindividuazione di quattro nuovi mercati,uno per ogni mandamento interno, in ag-

DENTRO LE MURA

&)

27. Discesa dei Maccheronai e piazza Caracciolo durante i lavori di demolizione per la costruzione di via Roma. In fon-do è il prospetto laterale della chiesa di Sant’Antonio Abate. Fotografia scattata tra il 1895 e il 1898 [Ed. Devaux, Paris].

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giunta o in sostituzione di quelli esistenti. Ledemolizioni previste erano giustificate o danecessità di decoro e di rappresentatività ur-bana o dal risanamento delle aree maggior-mente degradate. Comunque non manca, al-meno a parole, l’attenzione per la storia ur-bana; i progettisti tenevano a precisare, aproposito della nuova strada chiamata «tra-sversale» congiungente Porta Garibaldi[Fig. 28] (già Porta di Termini) con PortaSan Giorgio, che: «non è da credere che lequattro linee tirate sopra la carta velina dasovrapporre alla pianta della città sia operadi chi è capace di descrivere quattro lineerette sulla carta; è un lavoro studiato il qualeprocurando o evitando coincidenze trovamodo che alla grande opera fossero fattinuovi sacrifici. Mutando l’odierno propostoprenderebbe questa via nella larghezza cen-to palmi abbattendo quanti ostacoli incontratra i quali si è riuscito ad evitare i monumen-ti e gli edifici maggiori; farebbe onore altempio di San Domenico, destinato a diveni-re il nostro tempio di Santa Croce, innanzi acui passerebbe rasente, si prolungherebbe alpiano del vecchio mercato (piazza Caraccio-lo) che elevandosi dall’uno dei suoi lati ovesono rovine e congiungendosi al nuovo mer-cato (piazza Nuova), che ricorda la ferocegiustizia di Nunziante [generale borbonicoche soppresse i moti del 1820 ordinando lademolizione del quartiere dei conciatori dipelli, luogo privilegiato della rivolta popola-re] riuscirebbe questo mercato la più vasta

opera di questo genere se più non si vogliafare altra cosa di migliore»10.

Si tentava di legittimare la proposta pro-gettuale attraverso il riferimento a modellid’intervento già sperimentati in altre impor-tanti città italiane ed europee.

Per l’attuazione completa degli interven-ti previsti, occorrevano circa un milione emezzo di ducati. La creazione del nuovoquartiere fuori Porta San Giorgio fu una del-le prime opere ad essere avviata, nonostantele forti opposizioni dei proprietari dei terre-ni espropriati, realizzando un’intensa edifi-cazione su dei lotti a scacchiera, i cui esiti ar-chitettonici e urbanistici non sempre furonorispondenti agli intenti iniziali della Com-missione per le opere pubbliche. All’internodella città furono effettuate delle demolizio-ni dell’antico tessuto urbano con lo scopo dimigliorare le condizioni di talune strade ca-ricate da nuove funzioni urbane. Il caso limi-te è rappresentato dalla demolizione dellaantica chiesa parrocchiale di San GiacomoLa Marina lievemente danneggiata dai bom-bardamenti del 1860 e abbattuta per creareun più ampio e decoroso collegamento trapiazza San Domenico e la Cala.

L’espansione extra mœnia non aveva tut-tavia influito molto sui dati stanziali all’in-terno della città murata dove, alla fine del-l’Ottocento, abitava circa il settanta percento della popolazione complessiva. Delresto qui si svolgevano le più importantifunzioni politiche, economiche e sociali del-la città, qui abitava la vecchia aristocrazia,riluttante ad abbandonare i palazzi aviti e gliantichi quartieri.

Delle sontuose dimore settecentesche divia Alloro, di via del Bosco, di via Butera, divia Torremuzza, di via Lungarini, di via Ma-queda e del Cassaro, almeno una ventinacontinuavano, agli inizi del Novecento, a po-larizzare l’esclusiva vita mondana della no-biltà. Prima fra tutte, per grandezza e magni-ficenza, era quella del principe Pietro LanzaGaleotti di Trabia e di Butera (soprannomi-nato il viceré) e della moglie Giulia Florio[Figg. 29-33], in cui si svolgevano ricevi-

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28. Porta di Termini. Sulla sinistra si scorge la parte resi-dua della Porta (distrutta) e, in fondo, il palazzo del mar-chese Tommaso Natale di Monterosato. Inizio XX secolo.

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menti rimasti memorabili, come quelli orga-nizzati in onore dei reali d’Italia nel 1902 edel Kaiser Guglielmo II nel 1904.

Il palazzo nasceva dalla aggregazione didiverse dimore nobiliari acquisite tra la finedel Seicento e l’inizio dell’Ottocento, dallafamiglia Branciforte. Il primo nucleo com-prendeva, tra l’altro, il palazzo dei Rosa,menzionato dal gentiluomo Di Giovanni, nelDel Palermo Restaurato (1615-1627 ca.) perla magnificenza dell’architettura e per la pre-senza di una «superba» torre. A tale primonucleo, interamente riconfigurato nel XVIIIsecolo in maniera unitaria, venne aggiunto illimitrofo palazzo Alagona, venduto intornoal 1780 da Marianna Lucchese, figlia ed ere-de del duca di Alagona, al duca di San Gio-vanni, primogenito del principe Brancifortedi Scordia. L’accorpamento del palazzo aquello dei Butera avvenne nel 1784 in segui-to al matrimonio tra Caterina BranciforteReggio, principessa di Butera, e PlacidoBranciforte, principe di Leonforte e di Scor-dia. Caterina moriva nel 1816 lasciando tut-ti i suoi beni alla figlia Stefania che nel 1805aveva sposato Giuseppe Lanza Branciforte,duca di Camastra, primogenito ed erede diPietro Lanza Stella, principe di Trabia.

In seguito a quest’unione, l’intero patri-monio e tutti i titoli dei Butera furono acqui-siti dai Lanza di Trabia, compreso l’anticopalazzo alla Marina, che a partire dal 1801era stato ampliato con l’aggregazione delcollaterale palazzo Benso. Quest’ultimo fucostruito alla fine del Cinquecento da GiulioCesare Imperatore (alias Orazio Alimena)sui resti del palazzo appartenuto ad An-dreotta Abbate. I Butera lo trasformaronoradicalmente, ricavandovi un grande salonea doppia altezza interamente affrescato (dal-la volta alle pareti) che potesse fungere da«teatrino» o, per meglio dire, da «galleria»per i fastosi ricevimenti estivi. Sarà proprioquest’ala del palazzo ad essere gravementedanneggiata e parzialmente distrutta daibombardamenti della seconda guerra mon-diale ed oggi ricostruita per ospitare gli uffi-ci del Tribunale Amministrativo Regionale.

Non meno ricercati e fastosi erano gli in-terni del palazzo del conte Giuseppe Lanzadi Mazzarino in via Maqueda, dei principidi Gangi a piazza croce dei Vespri, dei prin-cipi di Villafranca a piazza Bologni, deiprincipi di Valdina in via del Protonotaro,del principe di San Cataldo a piazza Marina[Figg. 34-35] con una rinnovata veste neo-gotica conferita dall’architetto Tommaso DiChiara nel 1870.

Il palazzo dei principi Licata di Baucina(poi de Seta), sopra porta dei Greci al ForoUmberto I, era tra i più affascinanti perquella eclettica ma raffinata commistione distile neoclassico e di arditi linguaggi architet-tonici neomedievali, per la grande galleria adoppia altezza ispirata negli apparati deco-rativi alle sale dell’Alambra di Granada e perla raccolta di oggetti d’arte contenuta chepare venisse «visitata da tutti i forestieri chevengono a Palermo»11.

Intatti nel loro antico aspetto tardo-sette-centesco, con gli interni ancora traboccantidi stucchi, di ori, di parati di seta e damasco,di arazzi, di arredi e di oggetti d’arte di ognigenere erano i palazzi dei principi Tomasi diLampedusa, nell’omonima strada; del prin-cipe Corrado Niscemi di Valguarnera a piaz-za Valverde (ben presto abbandonato per iltrasferimento della famiglia presso la villa aiColli); del marchese Giovanni del Castillo diSant’Isidoro, ubicato tra via Celso e via Can-delai; del visconte Giulio Benso, duca diVerdura, sindaco di Palermo nel 1860 e Se-natore del regno; del principe VincenzoLancellotto Castelli, che aveva sposato Loui-se de Tremoille, dama francese superstite diuna delle principali famiglie del Poitou deci-mata dalla rivoluzione francese; del principeGiuseppe Lanza Filangeri di Mirto, ubicatoalla confluenza tra via Lungarini e via Merlo;dei principi Settimo di Fitalia a piazza Tea-tro Santa Cecilia, famoso per la biblioteca difamiglia, detta la Settimiana, in cui si custo-divano preziosi manoscritti raccolti agli inizidel Settecento dall’erudito Girolamo Setti-mo, marchese di Giarratana; dei principiGravina di Rammacca in via Maqueda.

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Gli altri palazzi, la maggior parte, eranostati presi d’assalto dalla piccola aristocraziadi provincia trasferitasi in città o da espo-nenti di rilievo della borghesia emergente,come il commendatore Salvatore Briucciache aveva acquistato il palazzo dei Bonanno,principi di Cattolica, in via Cintorinai (oggivia A. Paternostro) [Fig. 40], e il palazzo deiNaselli principi di Aragona, in via Alloro(trasformato nel 1875 in albergo, oggi cono-sciuto come Hôtel Patria)12.

Le vicende finanziarie dei Naselli e deiBonanno sono emblematiche dello splendoree della repentina decadenza dell’antica no-biltà siciliana. Grandi tra le grandi, le due fa-miglie incarnavano quell’ideale aristocraticoraggiungibile soltanto dopo aver decantato laricchezza accumulata in maniera smisuratadagli avi, in secoli di affannose esperienze,dalla cupidigia e dalla bramosia del possesso.

Alla fine del Settecento i Naselli, peresempio, potevano disporre di un patrimo-nio immenso «costituito dagli interi territoridi ben quattro “stati”: la contea di Comiso,il principato di Aragona, il principato di

Poggioreale, il marchesato di Gibellina, labaronia di Castellammare con le Tonnare diSan Vito o del Secco e di Scopello. In ognu-no di essi i Naselli vi avevano edificato unosplendido palazzo e, a Comiso, anche un tea-tro. E inoltre il patrimonio comprendevatredici mulini, una cartiera, due locande, uncaricatore del grano, innumerevoli feudi, bo-schi, terre, masserie, magazzini, case in affit-to, zolfare, tutti sparsi nei vari possedimenti.A questo si aggiungevano varie rendite indenaro, soggiogazioni, il maggiorasco diOcampo nei pressi della città di Zamora inSpagna, tre sontuose ville con amplissimigiardini a Palermo e dintorni, e precisamen-te nelle località di Bagheria (attuale VillaCutò), stradone di Mezzo Monreale (odier-no Corso Calatafimi), e strada dei QuattroVenti (oggi via Cristoforo Colombo, in vici-nanza del porto), infine il palazzo avito di viaAlloro nel cuore del centro storico»13. Oc-corsero pochi anni perché questo incalcola-bile patrimonio divenisse solo un pallido ri-cordo. Irrefrenabile dissipatezza, smania digrandezza e soprattutto amministratori sen-za scrupoli furono la causa del disastro fi-nanziario che si accompagnò ad eventi al-quanto drammatici. L’ultimo discendentemaschio dei Naselli, Baldassare VII, in unasupplica inviata al re Ferdinando I delle DueSicilie affinché gli risparmiasse l’ignominiadel carcere per il mancato pagamento deidebiti, così descrisse la sua condizione di vi-ta: «Al momento di entrare nella civile so-cietà Egli l’Esponente non trova che sciagu-re, infortuni e desolazioni, trova ridotta allanon esistenza la Casa di Aragona, la quale al-tra volta emulava tra le più doviziose di que-sto Regno. Si vede insomma nella necessitàdi non figurare tra i magnati ma tra i piùabominevoli mendici, giacché della sua Casanell’attuale stato non può ricevere quanto glinecessita per la vita naturale»14.

Il ricordo di quanto era accaduto al casa-to dei Naselli procurava sgomento e terroreall’intera nobiltà siciliana, anche dopo de-cenni. Al di là delle apparenze e dell’immu-tato prestigio sociale che ancora la nobiltà

40. Atrio di palazzo Cattolica. Nato dall’aggregazione diantiche dimore nobiliari (Alliata, Abatellis, Anzalone) furiconfigurato intorno al 1686 ca. dall’architetto Giaco-mo Amato per la famiglia Bosco, principi di Cattolica.Ereditato nel 1721 dai Bonanno, principi di Roccafiori-ta, che lo migliorarono con gli interventi di Andrea Pal-ma (1725) e Orazio Furetto (1750 ca.), il palazzo fu ac-quistato nella seconda metà dell’Ottocento dal «nego-ziante di pubblica ragione» Paolo Briuccia che vi ap-portò pesanti manomissioni, alterando l’originaria aulicaconfigurazione dell’edificio. Da notare le opere di so-struzione dei plinti delle colonne realizzate in seguito al-l’abbassamento del livello stradale.

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godeva, poche erano state le famiglie a nonaver conosciuto l’onta di essere iscritte neiregistri della «Deputazione per le assegna-zioni forzose ai creditori soggiogatori ed al-tri beni delle case patrizie»15.

La Guida Amministrativa della Città diPalermo del 1902, curata da Gaetano Batta-glia, contiene un singolare elenco concer-nente le «principali famiglie nobili residentia Palermo» che comprende: 40 principi, 22duchi, 37 marchesi, 19 conti, 54 baroni, 37cavalieri e, pur non vantando alcun quartodi nobiltà, 17 esponenti della vita politica eimprenditoriale della città, tra cui IgnazioFlorio, Roberto, Giosuè e Giuseppe Whi-taker, Michele Amato Pojero, Eduardo Var-varo, Vittorio Emanuele Orlando e AndreaGuarneri. Tra tutte le famiglie menzionatenel ristretto elenco (228) soltanto 86 dimora-vano nei palazzi monumentali del centro sto-rico, mentre le rimanenti erano distribuitenei quartieri residenziali sviluppatisi a norde ad ovest della città murata, lungo alcune

direttrici privilegiate come via Ruggero (opiù correttamente Ruggiero) Settimo, via Li-bertà, via Mariano Stabile, via Amari, viaLolli, via Noce, via Esposizione, via Serradi-falco, via Malaspina, piazza Castelnuovo,piazza Olivuzza e piazza Leoni. A sud, inve-ce, non si riscontrano palazzi patrizi oltre lavia Lincoln e il corso Pisani.

Questi dati, benché non abbiano alcunvalore statistico (poiché molte sono le omis-sioni), sono comunque sufficienti a definirela consistenza del fenomeno di abbandono,da parte della nobiltà palermitana, dei loropalazzi ubicati nella parte antica della città.

Se le funzioni sociali e le attrezzature ur-bane più rappresentative trovavano nel Cas-saro e nella via Maqueda le sedi specifiche,esse erano, tuttavia, distribuite in modo ca-pillare in tutto il centro storico, ricco distrutture architettoniche e viarie cariche disignificative correlazioni e implicazioni so-ciali che consentivano lo svolgersi di una in-tensa socialità urbana. Qui erano ubicati gli

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41. Ingresso dell’ospedale militare (oggi caserma della Guardia di Finanza «Cangelosi») in via Cavour. Nato comeconvento di Santa Cita dei Padri Domenicani, l’edificio fu espropriato nel 1850 dal governo borbonico per trasferir-vi il nosocomio militare prima ubicato nella Terza Casa di Probazione dei Padri Gesuiti di San Francesco Saverio al-l’Albergheria convertita in Ospedale Civico. Inizi del XX secolo.

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uffici centrali della Polizia Urbana, a piazzaBellini; gli uffici dell’Illuminazione Pubbli-ca, dei Dazi Comunali nel convento diSant’Anna, che ospitava pure il Liceo Gin-nasiale Umberto I; l’Archivio Comunale e laCamera Notarile nel convento di San Nicolòda Tolentino; la caserma dei Pompieri nelconvento dei Benedettini a piazza SpiritoSanto; il Tribunale di Commercio nel palaz-zo Sciara in via Alloro, l’Università degli Stu-di nella Casa dei Padri Teatini in via Maque-da; la Scuola d’Applicazione per Ingegneried Architetti, la Scuola superiore delle Zol-fare e la Scuola di Belle Arti nei locali delmonastero della Martorana, in via Maqueda;la Scuola Tecnica Piazzi e D’Acquisto nelconvento dei Benfratelli; il Collegio Musica-le del Buon Pastore nel convento dell’An-nunziata; il Museo Nazionale nella Casa deiPadri Filippini all’Olivella; l’Archivio Nota-rile nel convento di San Francesco, in via delParlamento; gli ospedali civili di San France-sco Saverio16 e della Concezione nei conven-

ti omonimi; il sifilicomio nell’antica struttu-ra dello Spasimo; ed ancora i vecchi teatricome il Bellini, il Santa Cecilia, il Sant’Anna,l’Umberto, il Garibaldi e un ricco apparatodi attività terziarie, professionali e artigiana-li, che si svolgevano lungo i percorsi urbanidesignati dalla tradizione. Per chiarire me-glio il concetto basta fare un esempio: secon-do l’Annuario generale del commercio del1873 tutti i trentacinque notai operanti incittà risiedevano nel centro storico, e in par-ticolare tredici di loro in via Maqueda e un-dici in corso Vittorio Emanuele; lo stesso va-leva per quasi tutti gli avvocati, i procurato-ri legali, gli agrimensori, i maestri di musica,i ragionieri, i tipografi, i pittori, gli incisori, ibanchieri, gli ostetrici, le levatrici, i medicichirurgi, i dentisti, i flebotomi, i farmacisti.La sparuta minoranza di professionisti, cheaveva deciso di trasferirsi nei nuovi rioni, ri-siedevano non oltre via Lincoln e piazza Sta-zione da un lato, e via Ruggiero Settimo epiazza Castelnuovo dall’altro.

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42. La chiesa e il convento di Sant’Antonino fuori Porta di Vicari. Inizi XX secolo [Ed. F. Verderosa, Palermo].

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Fuori dall’ambito universitario, la foltaschiera di intellettuali della città aveva datovita a numerose accademie e società scienti-fiche, artistiche e filantropiche come l’Acca-demia di scienze lettere ed arti con sede nelPalazzo di Città, la Società Siciliana per laStoria Patria nel convento di San Domenico,la Regia Accademia delle Scienze Mediche, apiazza Bellini, la Società di Scienze Naturalied economiche, l’Accademia Omeopatica invia Maqueda, la Società d’Igiene in via Tor-remuzza, l’Accademia Filarmonica Bellini,in via Benfratelli, e il Circolo Giuridico, al-l’interno della Regia Università degli Studi invia Maqueda, dotato di una propria sala dilettura e una biblioteca aperta al pubblicoper nove ore al giorno17. Quest’ultimo, pre-sieduto da Luigi Sampolo, si occupava dellostudio delle scienze sociali ed aveva come fi-nalità principale la promozione, attraversoconcorsi annuali, conferenze e riunioni deisoci, della cultura giurisprudenziale18.

Sempre secondo la Guida di GaetanoBattaglia, nel centro storico avevano sedeben ventuno dei ventiquattro consolati esi-stenti in città, ed inoltre i migliori hôtel.

Già nel 1854, quando venne pubblicatala prima edizione dell’Annuario Generale delCommercio e dell’Industria19, a Palermo sicontavano ben settanta alberghi, per un tota-le di 886 camere, ma gli hôtel veri e proprierano soltanto dieci mentre il resto era costi-tuito da locande, «fondachi» e «case mobi-liate». In maggior parte risultavano situatinel centro storico ed erano stati ricavati dal-la trasformazione di antichi palazzi nobiliari.

Tra i principali e più rinomati vanno men-zionati: l’Albergo Trinacria in via Butera, con54 camere quasi tutte dotate di bagni (cosaassai rara in quei tempi); l’Hôtel de France apiazza Marina [Fig. 44] capace di 24 cameree gestito dal padovano Vincenzo Giachery; ilGrand Hôtel de Sicile in via Pizzuto (via Ban-diera), nel palazzo di proprietà di Pietro Ca-

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43. Tratto di via Lincoln compreso tra piazza Giulio Cesare e Porta di Vicari. In secondo piano si nota un tratto del-le mura dello Stazzone (oggi demolite). Foto inizi del XX secolo.

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stagna già dei Pilo marchesi della Torretta,con 115 camere; l’Albergo del Garofalo apiazza San Francesco, nel palazzo della con-tessa Marianna Morreale Gravina, di pro-prietà di Giovanni Tagliareni, con 20 camere;l’Albergo dei Borgognoni con 22 camere, ge-stito dalla famiglia Oglialoro e ubicato nelpalazzo del duca di Calascibetta, sito nel vi-colo dietro Sant’Anna; l’Albergo della Villa diPalermo con 22 camere in via della Loggia,nel palazzo dei duchi Lucchesi Palli dellaGrazia, di proprietà del principe VincenzoRuffo di Sant’Antimo e del sacerdote Giu-seppe Manzù; l’antico Albergo della Fortunain via dei Tintori, nel palazzo di proprietà delcavalier Testa, gestito da Emanuele Tomasel-li. Di gran lunga superiore il numero delle lo-cande, alcune delle quali fornite di un nume-ro considerevole di camere come le famose eantiche Leon d’Oro (di proprietà del canoni-co Francesco Bagnara) e dell’Aquila (di pro-prietà della famiglia Tramonti), ambedue si-

tuate in piazza Lattarini e che, rispettivamen-te, con le loro 45 e 32 camere rappresentava-no le più grandi strutture alberghiere dellacittà dopo il Trinacria. Sempre nella piazzaLattarini erano ubicate la Locanda Santa Ro-salia, nell’immobile di proprietà del baroneGioacchino Giaconia, con 16 camere e la Lo-canda e fondaco Del Daino, della signoraConcetta Gregorio, con 15 camere.

Le altre erano quasi tutte situate neimandamenti Tribunali e Castellammare perla loro vicinanza al porto, alla stazione cen-trale e alle principali vie di comunicazioneterritoriale: in piazza della Fonderia le locan-de d’Italia e d’Europa (poi riunificate nellaLocanda Del Commercio) di proprietà dellasignora Elisabetta Garraffa; nel vicolo SanDomenico la Locanda Torre di Gotto nel pa-lazzo omonimo di proprietà di Giuseppe LaBua, con 22 camere; nella Discesa dei Giudi-ci la Locanda dell’Aquila d’Oro; in via Divisila Locanda del Centauro di proprietà del

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44. Palazzo dell’Intendenza di Finanze (già Regia Zecca) e l’Hôtel de France (già palazzo Castillo, duchi di Sant’O-nofrio) a piazza Marina. Fine del XIX secolo [Ed. Dr. Trenkler Co., Lipsia].

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Convento di San Domenico; nel vicolo degliSchioppettieri la Locanda dell’Agnone. Fuo-ri della città murata se ne contavano soltan-to 17 di cui le più grandi (Locanda di SanGiuseppe con 26 stanze, Locanda della Certo-sa e Locanda di San Gaetano con 27 stanze)erano concentrate in via Oreto. Numeroseanche le maison meublé [Fig. 45] particolar-mente apprezzate da chi doveva soggiornarein città per lungo tempo. Spesso appartene-vano a famiglie aristocratiche costrette danecessità economiche, ad affittare alcuni«quartini» delle loro antiche dimore.

Se ne trovavano nel palazzo del principedi Larderia in corso Vittorio Emanuele, nelpalazzo al Borgo dei principi Naselli di Ara-gona e nel palazzo del marchese Guccia aiquattro canti di Campagna. Alla fine dell’Ot-tocento assistiamo ad un miglioramento gene-rale delle condizioni di ricettività delle attrez-zature alberghiere presenti a Palermo con laconseguente trasformazione di molte locandein alberghi (Dell’Aquila, Del Garofalo che as-sunse il nome di Belvedere, Del Leon d’Oro).

L’Annuario del commerciante, ossia guida-indicatore della città, compilato a cura dell’e-ditore Luigi Pedone Lauriel nel 1873, men-zionava tra gli alberghi: Il Bellini in via Tea-tro Santa Cecilia, il Della Certosa in via Lin-coln e Villa di Palermo in via della Loggia.

Fra gli hôtel di maggiore prestigio si ag-giunsero: il Centrale in corso Vittorio Ema-nuele, nell’antico palazzo dei Tarallo duchi diMiraglia, gestito dai fratelli Grandi; il D’Italiadel cav. Rosario Salvo a piazza Marina nel pa-lazzo del marchese Greco; il Sant’Oliva, diNicolò Ragusa, nella piazza omonima; l’HôtelRebecchino nel palazzo del marchese PaternòAsmundo nel Cassaro di fronte la Cattedrale,il Firenze in via Alloro. Aumentava invece ilnumero degli alberghi ubicati fuori dal cen-tro storico: l’Hôtel Royal des Etrangers in viaLibertà, l’Hôtel Viola in via Abela e, soprat-tutto, l’Hôtel des Palmes destinato, sin dallasua fondazione (1877), a divenire il più pre-stigioso albergo della città. Un ulteriore in-centivo venne dall’Esposizione Nazionale del1891-92 a cui sono da relazionare la creazio-

ne dell’Hôtel de la paix in via Libertà ad an-golo con piazza delle Croci e dell’Hôtel del-l’Esposizione in via Quintino Sella. In quelperiodo Palermo, totalmente immersa nel-l’aureo crepuscolo della belle époque, regi-strava la presenza della haute internazionaleattratta dal fascino dei luoghi e da un climainvernale assai mite. Conseguenza immediatadell’inserimento della città nei principali cir-cuiti turistici dell’alta società europea fu il po-tenziamento delle strutture alberghiere.

Propizie furono le inaugurazioni delGrand Hôtel Villa Igiea (1900), e dell’HôtelSavoy in via Cavour [Fig. 46], l’ampliamentoe il riammodernamento dell’Excelsior Palace(già Hôtel de la paix) e dell’Hôtel de France,quest’ultimo passato dai Giachery al tedescoPeter Weinen che lo aveva interamente ri-strutturato dotandolo di due moderni ascen-sori e di un ampio giardino d’inverno.

Decisamente più modesti, ma ugualmen-te annoverabili tra gli alberghi confortevolidella città20, erano l’Hôtel Milano in viaEmerico Amari, l’Albergo Suisse in via Mon-teleone e l’Hôtel Panormus nel palazzo Sa-ponara in via Mariano Stabile.

Altre immagini fotografiche mostrano itanti vicoli e cortili dell’antica Palermo. Que-sta componente della città era la più estesa elegava tra loro, relazionandole, le architetturepiù rappresentative, di cui esprimeva i segnidistintivi peculiari. Era definita da un’ediliziapovera, costituita da piccole case a più piani,edificate su stretti lotti disposti in rapida suc-cessione. In questi edifici, composti quasisempre al piano terra dai famosi «catoi»21

[Fig. 47], consumava la propria vita il ceto so-ciale più povero ed emarginato, neppure sfio-rato dal clima euforico della belle époque.Questa era una realtà sociale ed urbana che laclasse dirigente d’allora preferiva celare die-tro le facciate degli edifici sorti in seguito aglisventramenti proposti dalla ideologia urbani-stica del «risanamento» che per fortuna tro-vava rare, anche se pesanti, applicazioni. Èquesto il caso del taglio della via Roma, dellecitate demolizioni alla Conceria e nel quartie-re dell’Albergheria, area tra le più degradate

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in senso fisico e sociale del centro storico, cheun contemporaneo come Enrico Onufrio ave-va definito «il serbatoio delle nostre miserie edelle nostre sozzure, laddove si agglomerauna plebe, cui tutto fa difetto: l’aria, il vitto,l’educazione, le vesti, il giaciglio»22.

Proprio in questi quartieri, tra il 1929 e il1932, si dava inizio ad un massiccio sventra-mento che causava la scomparsa di parti con-sistenti del centro storico, dando luogo allaformazione di blocchi edilizi a carattere con-dominiale in netto contrasto con i caratterimorfologici del tessuto urbano preesistente.

La realizzazione della via Roma [Fig. 54-57], invece, avvenne in tempi diversi ad ini-ziare dal 1895 con la creazione del troncocompreso tra corso Vittorio Emanuele e lavia Bandiera, poi prolungato nel 1910 sinoalla via Cavour. Nel 1922 fu portato a termi-ne l’altro tratto compreso tra corso VittorioEmanuele e la Stazione Centrale, dove veni-va successivamente realizzato un imboccomonumentale. La dissoluzione di interiquartieri all’interno della città storica era sta-

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48. Piazza della Vittoria allo Spasimo. Sulla destra si scorgono le lesene bugnate dell’Oratorio dei Bianchi. Fine delXIX secolo.

47. «Catoi» nel vicolo Sopra le Mura di Santa Teresa al-la Kalsa. Fine del XIX secolo.

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ta preceduta dalla dissoluzione di gran partedel suo perimetro murario.

Tra Palermo e le sue mura si era costituitaun’osmosi antica quanto la storia della città.Nell’immaginario collettivo il disegno del cir-cuito murario di fatto costituiva il caratteretopologico più evidente della città, l’elementodi immediata riconoscibilità della forma urba-na. E poco importa se da tempo mura e ba-stioni avevano perso quel ruolo difensivo e disalvaguardia della città e dei suoi abitanti, e dicontrollo militare sulla città stessa e sul terri-torio circostante, per assumere usi diversi le-gati alle necessità stanziali dell’aristocrazia edegli ordini religiosi presenti in città.

Questo processo di smilitarizzazione del-la cinta di mura è ricollegabile d’altronde al-la politica, attuata dal governo centrale sindalla fine del Seicento, di riduzione dellemansioni militari attribuite alle maestranzedella città che coadiuvavano i capitani deibaluardi e le loro compagnie d’artiglieri nel-la difesa di Palermo. Dei tredici baluardi esi-stenti, pochi continuarono a mantenere l’ori-

ginaria funzione. In quello detto di Pescaravi edificò il proprio palazzo, agli inizi del-l’Ottocento, il barone Giuseppe EmanueleDe Caccamo. Analogamente, il marcheseGuccia di Ganzaria acquistò dal Senato diPalermo il bastione Papireto (detto anchedella Balata) per costruirvi un’imponente di-mora signorile con annesso giardino[Figg. 58]. Nel bastione di Porta di Termini,da sempre sprovvisto di pezzi di artiglieria,trovarono posto, a partire dal 1657, l’orato-rio della Nobile Compagnia di Santa Mariadella Consolazione detta della Pace e la chie-sa, tuttora esistente, di Santa Venera. Nel ba-stione Aragona, nei pressi di Porta Carini[Fig. 63], nel luglio del 1780 su progetto diGiuseppe Venanzio Marvuglia, venne im-piantato il primo Orto Botanico della città.

Disattivato l’Orto, dieci anni dopo la suafondazione, in concomitanza con il trasferi-mento nei terreni del duca di Archirafi, il ba-stione fu venduto per mille onze alle suoredel vicino Monastero di Maria Immacolatadella Concezione. Ancora più radicali le scel-

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58. Pressi del bastione Guccia (in fondo). Inizi del XX secolo.

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te operate dal Senato di Palermo nel tratto dimura prospiciente la Strada Colonna dovenecessità pubbliche rappresentative e di de-coro urbano spinsero alla demolizione, nel1754, del bastione del Tuono o del Trono, si-tuato a metà della cortina muraria, e, nel1783, lo smantellamento di buona parte delbastione Vega. Quest’ultimo, costruito nel1540 sotto il viceregno di Giovanni de Vega,era dotato di ben diciannove pezzi di artiglie-ria ed era affidato alla vigilanza dei principiBonanno di Cattolica che assunsero più voltela carica di capitani della città. Coloro che ri-vestivano tale grado avevano il privilegio dipoter risiedere nei bastioni loro assegnati, inedifici costruiti ed abbelliti a proprie spese23.

Quando, all’indomani dell’Unità d’Italia,ebbe iniziò la demolizione di porte urbane,di bastioni e di interi brani di mura, si deter-minò non soltanto la cancellazione di un fe-nomeno storico notevole, ma anche il venirmeno dell’immaginario secolare intimamen-te connesso con il disegno del circuito mura-rio. E se da un lato le demolizioni attuate

sembravano essere giustificate da necessitàeconomiche, di circolazione, igieniche e de-mografiche legate ai processi di trasforma-zione della città, dall’altro esisteva una preci-sa volontà, neanche tanto celata, di distru-zione simbolica di vestigia del passato rite-nute come qualcosa di arcaico e di non com-preso che occorreva cancellare.

DENTRO LE MURA

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60. Corso Tukory in corrsipondenza della demolita Porta Giglio. In fondo, la chiesa di San Francesco Saverio conl’annessa Casa di terza probazione dei Padri Gesuiti trasformata in Ospedale Civico. Inizi del XX secolo.

59. Incrocio tra via Guccia (attuale corso Alberto Ame-deo) e via e piazzetta d’Ossuna agli inizi del XX secolo[Ed. F. Verderosa, Palermo]. In fondo si nota la via Cap-puccinelle con l’altana dell’omonimo monastero.

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Il Cassaro

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Dei diversi nomi storici (Strada Marmo-rea, Via Toledo, Corso Vittorio Emanuele)assunti nel corso della sua millenaria storia,fatta di rifondazioni, rettifiche e prolunga-menti, quello di Cassaro (dall’arabo al-Qasr)sembra essere il più persistente nella memo-ria collettiva.

Il Cassaro era, ed è, la parte della cittàantica più ricca di valori storici architettoni-ci e monumentali in quanto conteneva la piùdensa rappresentazione della storia di Paler-mo impressa per successive stratificazioninella forma dei suoi edifici. Allora come og-gi lungo il suo percorso assiale si accumula-vano le immagini del potere politico, civico ereligioso [Fig. 73] che si traducevano in unasequenza di architetture notevoli per valorerappresentativo. L’immagine del Cassaro fis-sata nelle foto raccolte da Enrico Di Bene-detto non è, tuttavia, del tutto conforme aquella celebrata nelle incisioni settecente-sche di Antonino Bova, di Francesco Cichè edi Giuseppe Vasi24.

L’aspetto barocco della sontuosa compa-gine di palazzi nobiliari, che molto dovevaincidere sull’aspetto complessivo della stra-da sino agli inizi del XIX secolo, risultava af-fatto rinnovato in favore di una più pacataconfigurazione ottocentesca. Determinantein questo processo di mutazione stilistica erastata la riforma del suolo stradale operata trail 1859 e il 1861. Un intervento di radicaletrasformazione per la principale strada dellacittà si «imponeva all’attenzione delle auto-

rità civiche già da parecchio tempo; le condi-zioni del manto stradale erano assai precariea causa della sua sezione trasversale, a formadi conca, che nelle giornate di pioggia tra-sformava il solco viario in un torrente in pie-na. La scarsa manutenzione, i frequenti alla-gamenti, l’enorme quantità di veicoli a tra-zione animale che vi transitava aveva dan-neggiato irrimediabilmente l’antico basolatoe trasformato l’asse viario più rappresentati-vo della città in una strada piena di buche,fangosa nella stagione invernale e polverosain quella estiva»25. Redatto dagli architettiRosario Torregrossa e Michele Zappulla, ilprogetto, che comprendeva il rifacimentodella carreggiata con una sezione a botte,nuovi lastricati, marciapiedi più ampi, l’in-troduzione di condutture per l’acqua pota-bile, lo scarico fognario e l’illuminazione agas, si trasformò in un’occasione propiziaper l’ammodernamento della città in lineacon quanto avveniva in quegli anni nelle al-tre capitali europee. Nell’intervento prevale-va non solo la necessità di adeguamento allenuove norme di igiene urbana, ma l’intentodi risemantizzare, anche attraverso l’intro-duzione di nuovi apparati decorativi rispon-denti ad un rinnovato linguaggio architetto-nico, l’immagine complessiva del Cassaro26.Allo scopo era stato predisposto un «proget-to di regolamenti», approvato dal Pretore diPalermo nel 1859, che comprendeva una se-rie di norme edilizie e di decoro urbano peril rifacimento dei palazzi prospicienti il Cas-

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saro le cui facciate dovevano essere obbliga-toriamente riconfigurate a spese dei proprie-tari, prima ancora dell’esecuzione dei lavoridi riforma della sede stradale.

Gli interventi previsti per la via Toledo (osemplicemente «il Toledo» come viene indi-cato nei documenti ufficiali) dovetteroestendersi necessariamente a tutte le strade ealle piazze che entravano in diretta connes-sione con essa. Proprio questi ultimi inter-venti, non previsti nel progetto di Zappulla eTorregrossa, furono affidati, per le implica-zioni di carattere progettuale, a Giovan Bat-tista Filippo Basile, già affermato e apprez-zato docente titolare della cattedra di Archi-tettura Decorativa la Facoltà di Scienze Fisi-che e Matematiche della Regia Universitàdegli Studi di Palermo. Da un programmapreparato dalla Commissione per i lavoripubblici si legge: «Dacché i viceré spagnolisegnarono una epoca memorabile colle duestrade che in rettifilo si incontrano, presso ilcentro della città, ad angolo retto onde ac-crescere lustro a questa metropoli, altra nesuccede ai dì nostri, in cui il Real Governo

ha rivolto le sue mire a meglio coordinarenelle sue forme ed inclinazioni quella di esseche dal mare si estende sino a Porta Nuova,miglioramento che rende in pari tempo mi-gliori le decorazioni; decorazioni che sempredi più si auspicherebbe, qualora si desse ilconveniente abbellimento ai prospetti dellecase che la fiancheggiano. A dare impulso aquesta parte sì interessante, ma anco per fis-sare l’epoca di tanto miglioramento con unmonumento che lo contesti, è divisato unprogetto di decorazione per la piazza SantoSpirito onde togliere principalmente l’orridoaspetto che si presenta venendo dal mare»27.

Nel 1859 il Consiglio Edilizio della cittàinvitava gli architetti Patricolo, Zappulla,Torregrossa a presentare, separatamente, unprogetto per la trasformazione di piazza San-to Spirito [Figg. 74-76], con l’introduzionedi nuovi apparati decorativi e di un monu-mento che doveva ricordare i lavori eseguitiper la riforma della via Toledo. In un primomomento venne scelto dal Consiglio Edilizioil progetto elaborato dall’architetto Giusep-pe Patricolo Cosentino, ma sottoposto al-

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73. Il palazzo Arcivescovile visto dai balconi di palazzo Asmundo. Inizi del XX secolo [Ed. Devaux, Paris].

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l’approvazione definitiva del marchese diSpaccaforno, in veste di direttore del Mini-stero e Real Segreteria di Stato presso il Luo-gotenente Generale di Sicilia, fu scartatoperché giudicato costoso. In realtà si inten-deva affidare l’incarico a Giovan Battista Fi-lippo Basile che venne invitato dallo stessoluogotenente ad elaborare un nuovo proget-to per la riforma della piazza28.

Basile riuscì a dimostrare con maggioreefficacia, rispetto agli altri progettisti, la ca-pacità di introdurre nuove valenze e nuovisignificati nello spazio pubblico, stabilendorinnovate relazioni tra le architetture checoncorrevano alla definizione della piazza,che voleva presentare in una forma monu-mentale di particolare valore espressivo.L’intervento poneva per Basile la possibilitàdi sperimentare concretamente e in modototalmente innovativo metodi e strumentidel progetto di architettura, inserendo e ve-rificando moderni modelli compositivi chegli giungevano da esperienze di chiara ma-trice nord europea, filtrati e declinati rispet-to ad un ambito contestuale particolarmen-

te caratterizzato come quello del centro an-tico di Palermo.

Il progetto presentato da Zappulla e daTorregrossa si articolava in due diverse pro-poste: il semplice raccordo tra le quote dellavia Butera e il Cassaro per mezzo di un pia-no inclinato e, in alternativa, l’introduzionedi un monumento commemorativo da inse-rire in uno spiazzo quadrato, al centro dellanuova piazza, ribassato rispetto alla quotaesistente, con la conseguente aggiunta dirampe carrabili, per il raccordo con via Bu-tera, e di gradini ad integrazione della scali-nata del vicolo della Zecca e del «pubblicoparterre» delle Mura delle Cattive.

Di ben altro respiro urbano il progetto diBasile che presentava un grande semicerchio«nella cui concavità verrebbe ribassato il li-vello della piazza, onde raccordarsi con lasuperficie dei marciapiedi del Toledo, nelcui centro si eleverebbe una fontana monu-mentale dedicata alle arti e alla memoria del-la riforma del Toledo».

La presenza della conca a verde semicir-colare, sul modello del crescent inglese, con-

IL CASSARO

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74. Piazza Santo Spirito e Porta Felice. Sulla sinistra la facciata dell’ex Ospedale di San Bartolomeo, poi Befrotrofiodi Santo Spirito, riformata su progetto di Giovan Battista Filippo Basile. Fine del XIX secolo [Ed. Zangara, Lipsia].

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sentiva l’introduzione di due rampe, in dol-ce pendenza, di connessione con la via Bute-ra, secondo una soluzione che fu considera-ta di ottimo livello progettuale ed economi-ca da Carlo Giachery, chiamato ad esprime-re un parere sui progetti presentati.

La scelta espressa da Giachery in favoredel progetto redatto da Basile fu decisiva perl’affidamento dell’incarico.

Tuttavia il progetto venne approvato dalConsiglio Edilizio non senza qualche diffi-coltà; a Basile, dopo aver presentato la suasoluzione progettuale definitiva con le modi-fiche chieste dallo stesso Giachery29, furonosottoposti altri due progetti, per certi versisimili al suo, elaborati dal principe Pignatel-li di Aragona, noto erudito e appassionato diarchitettura, e venne invitato ad esprimereun parere su queste proposte e sulla possibi-lità di accogliere alcune indicazioni all’inter-no del suo progetto.

Basile, infastidito da tale richiesta, criticòaspramente le soluzioni del principe Pigna-telli, rilevando l’assoluta mancanza di corri-spondenze assiali e simmetriche tra la grandeaiuola semicircolare e gli edifici del Cassaroche definivano l’ambito della piazza: «i pro-getti del Pignatelli sono risultati per il sig. ar-ch. Basile inattendibili perché fondati su diuna base non artistica, mentre questi [Basile]ha fatto centro di quel largo l’edificio dellostabilimento di Santo Spirito, del quale staelaborando la decorazione, e il Pignatelli par-tiva da un punto diverso che ne faceva perde-re tutta l’euritmia, per cui egli in ultimo limi-tavasi al tratto presso Porta Felice e propone-va di chiudere con la continuazione del mar-ciapiede il cortile Santocanale con un’entratasimile al lato opposto, che avrebbe fatto viaed ingresso al pubblico parterre con simme-tria, spostando il cancello di Porta Felice di-rimpetto il cortile Santocanale. Ma l’architet-to Basile ha fatto notare che quest’ultima [so-luzione progettuale] ricade dentro l’operadel Toledo diretta da altri architetti e quindireputa di non doversene interessare»30.

I lavori furono appaltati nell’ottobre del1859 da Gaetano Di Bartolo che si aggiu-

dicò, un mese dopo, quelli per il rifacimentodella via Butera, anche questi progettati daBasile. Dalla lettura dei verbali di appalto edelle «condizioni artistiche» per le opere daeseguire nella piazza Santo Spirito e nella viaButera, appositamente preparati da Basile,emerge una particolare attenzione per gliaspetti normativi del progetto: dai dettaglicostruttivi alla scelta dei materiali da adope-rarsi a cui si affidava la qualità complessivadell’opera conclusa. Con estrema precisionevengono indicate da Basile le dimensionidelle basole per la carreggiata e delle lastredi Billiemi per i marciapiedi, la sagoma delleorlature e il trattamento delle superfici lapi-dee. Basile mostra, inoltre, una notevole ca-pacità nell’organizzazione del cantiere e nelcontrollo delle diverse fasi del lavoro.

Gli interventi a piazza Santo Spirito e invia Butera erano stati preceduti dal rimodel-lamento della via Alloro, iniziato nel gennaiodel 1859, e di altre vie limitrofe, al fine dicreare un sistema funzionale di strade, già ri-configurate secondo il piano generale di mo-dificazione del suolo viario della città, che sipotessero, man mano, connettere con la co-struenda via Toledo. In tal modo si offrivanoalla città percorsi alternativi all’asse viarioprincipale, impraticabile, per ampi tratti, acausa dei lavori di ricostruzione.

Ciò che sorprende è la perfetta con-gruenza tra tutte le opere compiute, anche serealizzate in tempi diversi e da diversi pro-gettisti, a dimostrazione della convergenzadelle singole scelte progettuali, rispondentiad un piano guida, riconoscibile nel proget-to di «riforma del Toledo», e nella capacitàdi alcuni progettisti, come Basile, di offrire,attraverso i loro interventi, esempi e modelliprogettuali da utilizzare in altre occasioni.Nonostante gli sforzi e l’impegno degli ap-paltatori e dei progettisti incaricati nella di-rezione delle opere, i lavori andavano a rilen-to a causa delle indisponibilità finanziariedella Deputazione delle Strade, costretta aricorrere a continui prestiti, come quello di15.000 ducati concesso dall’Intendenza pro-vinciale nel 185931.

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Gli avvenimenti della primavera del 1860determinarono una lunga sospensione dei la-vori che riprenderanno solamente nel 1861,nel quadro di un radicale mutamento politi-co della città alle prese con la nuova realtàunitaria nazionale. Il primo sindaco di Paler-mo, Salesio Balsano di Daina32, si fece im-mediatamente carico di chiedere un prestitodi 30.000 ducati per riprendere i lavori di ri-costruzione delle strade interne ed esternedella città e in particolare per il completa-mento della via Toledo (ribattezzata corsoVittorio Emanuele) e della connessa piazzaSanto Spirito.

Il prestito fu autorizzato dal luogotenen-te del re il 20 luglio del 1861 e soltanto per10.000 ducati, la restante somma venne ero-gata nei mesi successivi.

La ripresa dei lavori di riforma del corsoVittorio Emanuele riproponeva la necessitàdi ulteriori interventi nelle altre piazze che siaffacciavano lungo il suo percorso e del livel-lamento della via Maqueda. Dopo aver com-pletato le opere della piazza Santo Spirito ed

aver progettato il collegamento tra questa eil vicolo della Zecca, attraverso un’ampiascalinata stretta tra due poderosi plinti inpietra d’arenaria33, con la realizzazione nel1863 del Giardino Garibaldi [Figg. 77-78],Basile propose nella contigua piazza Marinail tema dello square, secondo criteri e modidi organizzazione dello spazio urbano real-mente moderni, desunti dalle coeve espe-rienze urbane inglesi.

Il radicale intervento previsto per piazzaVillena, dove si prevedeva un abbassamentodel livello stradale esistente di oltre un me-tro, interrompeva la continuità delle comu-nicazioni esistenti tra l’antico Cassaro e lepiazze adiacenti ad iniziare da piazza Preto-ria, ed imponeva la ridefinizione della partebasamentale degli edifici interessati dal nuo-vo livellamento stradale. Agli smussi angola-ri dei Quattro Canti vennero aggiunte dellenuove conche in marmo, con i relativi rac-cordi architettonici, ponendole sotto quelleoriginarie rimaste fuori terra; dei plinti rive-stiti in pietra di Billiemi vennero aggiunti al-

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77. Viale principale del Giardino Garibaldi con i busti di Rosolino Pilo (a sinistra) e di Giuseppe Garibaldi (a de-stra). In fondo il palazzo dell’Intendenza delle Finanze (già Regia Zecca). Fine del XIX secolo.

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le basi delle colonne presenti nelle corti e neiprospetti dei limitrofi palazzi Costantino,Rudinì e Di Napoli, mentre delle scalinatefurono realizzate, ad integrazione di quelleesistenti, per le chiese di San Giuseppe deiTeatini, di Santa Ninfa dei Crociferi e di SanMatteo. Rimaneva irrisolto, in un primo mo-mento, il collegamento con il piano del Pa-lazzo Pretorio, un tempo direttamente co-municante con il Cassaro e con la via Ma-queda ed ora posto al di sopra della croce distrade. In realtà la questione andava ben ol-tre il semplice raccordo tra i diversi livellistradali, ma investiva l’immagine complessi-va che la piazza, tra le più rappresentativedella città, doveva assumere, ponendo in di-scussione per esempio la presenza di alcunielementi considerevoli come la monumenta-le fontana Pretoria [Fig. 79], realizzata tra il

1552 e il 1555 da Francesco Camilliani e Mi-chelangelo Naccherino, di cui si proponevail trasferimento a piazza Ruggiero Settimo oa piazza della Vittoria.

L’esproprio, nel 1866, dei beni immobiliappartenenti alla Chiesa, particolarmentefrequenti lungo il Cassaro, consentì la crea-zione di numerosi servizi pubblici, ricavati al-l’interno di conventi e monasteri e raramentein edifici realizzati allo scopo. Nel CollegioMassimo dei padri Gesuiti [Figg. 80-82], giàsede della Regia Accademia degli Studi fon-data nel 1779 in seguito alla prima espulsio-ne dei Gesuiti dalla Sicilia (1767), furonoistituiti la Biblioteca Nazionale, il Liceo gin-nasiale Vittorio Emanuele, il Convitto Na-zionale, la Scuola Tecnica «Scinà» con corsiserali comunali per gli operai; nel monasterodel SS. Salvatore venne creata la Scuola Nor-

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80. Collegio Massimo dei Padri Gesuiti: sala di lettura della Biblioteca Nazionale. La sala, sistemata su progetto di Giu-seppe Venanzio Marvuglia, fu gravemente danneggiato dai bombardamenti del 9 maggio 1943. Inizi del XX secolo.

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male femminile «Regina Margherita»; nellachiesa di San Nicolò dei Padri Carmelitani,in piazza Bologni, furono ubicati gli ufficidella Regia Posta Centrale [Fig. 83]. Nellapiazza Sette Angeli, nell’area un tempo oc-cupata dall’omonimo monastero, fu realizza-ta la Scuola Tecnica «Gagini», poi Scuola su-periore femminile «Turrisi Colonna». Analo-gamente, nel sito ricavato dalla parziale de-molizione del nucleo antico del monasterodi Montevergini venne edificata la ScuolaNormale maschile, oggi Istituto Tecnico perGeometri «Filippo Parlatore».

All’estremità sud-ovest, nell’antico pianodel Palazzo Reale (poi piazza della Vittoria)[Figg. 84-85] la cui secolare “nudità” vennevanificata nel 1905 con l’impianto del palmi-zio di Villa Bonanno [Figg. 86-87], dopo il1860, in coerenza con la storia del luogo, siandarono rafforzando le funzioni urbanederivate da necessità simboliche, rappresen-tative e di controllo della città; funzioni chesi manifestarono soprattutto con un massic-

cio insediamento di strutture militari checoinvolsero parte del Palazzo Reale, sede delComando Generale per la Sicilia; l’interoquartiere degli Spagnoli (o di San Giaco-mo), sede del Comando della Legione deiCarabinieri; il convento dei Padri Trinitari(attuale Questura) e l’antico OspedaleGrande34, trasformati in caserma dei Bersa-glieri; la chiesa e monastero di Sant’Elisabet-ta (oggi sede degli uffici della Squadra Mo-bile), convertiti in Commissariato militare.Nel piano del Palazzo Reale erano pure ubi-cati gli uffici della Reale Prefettura e delProvveditorato agli Studi nel palazzo delprincipe di Aci35, già sede del Ministero del-la Real Segreteria di Stato per la Sicilia du-rante il governo borbonico; gli uffici dellaDeputazione Generale della Provincia situa-ti, sino al 1890, nella parte superiore dell’O-spedale di San Giacomo.

All’altro capo del Cassaro, a piazza Ma-rina e nelle sue adiacenze, erano concentra-ti gli uffici pubblici e privati: l’intero organi-

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83. Piazza Bologni agli inizi del XX secolo. In primo piano, da destra a sinistra, la chiesa di San Nicolò dei Bologna,sede della Regia Posta Centrale; il Convento dei Padri Carmelitani di San Nicolò (Carminello), trasformato in tribuna-le militare; palazzo Riolo-Damiani. Sullo Sfondo, palazzo Riso di Colobria, già dei Ventimiglia principi di Belmonte.

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smo della giustizia aveva sede nello Steri36 enei corpi di fabbrica adiacenti [Fig. 96]; nel-l’antico carcere della Vicaria, radicalmentetrasformato in Palazzo delle Finanze[Fig. 97], erano ubicati la Borsa di Com-mercio, il Banco di Sicilia, la Cassa di Ri-sparmio e la direzione del Genio Civile37; ilPalazzo della Zecca era adibito a sede dellaRegia Intendenza di Finanza38; l’antico edi-ficio della Gran Guardia, costruito nel 1785per ospitare la guarnigione di servizio al vi-cino carcere della Vicaria, era stato ingloba-to dal complesso architettonico della Navi-gazione Generale Italiana39; nell’abolitoOspedale di San Bartolomeo fu istituito apartire dal 1826 il Brefotrofio di Santo Spi-rito [Figg. 74-76]; la Casa dei Padri Teatinialla Catena venne assegnata all’Archivio diStato o Grande Archivio a cui era annessa laScuola di Paleografia40.

Nella più antica e rappresentativa stradadella città i palermitani continuavano da se-coli a consumare i propri bisogni di socialità;qui e nelle immediate vicinanze erano ubica-te le principali attività commerciali, gli ufficidelle assicurazioni, concentrati quasi tutti apiazza Marina, gli uffici dei rappresentanti,dei spedizionieri, gli studi notarili, dei medi-ci e degli avvocati.

Nel Cassaro avevano sede anche i circoliculturali e i caffè alla moda: nel palazzo Ge-raci il Casino Nuovo, presieduto dal sindacoSalesio Balsano, rappresentava l’alternativaborghese all’aristocratico ed esclusivo Circo-lo Bellini, ospitato nel palazzo dei marchesidi Santa Lucia nel piano della Martorana(piazza Bellini). Al piano terra di palazzo Al-garia, ad angolo con piazza Bologni, era ubi-cato il Gabinetto o Circolo dell’Unione (giàOfficina e Caffè per i nobili) [Fig. 88]; in viaMaqueda, nel palazzo Gallidoro, aveva sedeil Casino delle Arti, presieduto da GiovanBattista Filippo Basile, nel quale si promuo-vevano esposizioni di «belle arti», conferen-ze pubbliche, e lo stesso Basile teneva uncorso gratuito di «stereotopia pratica», men-tre il prof. Enrico Naselli dava lezioni di geo-metria descrittiva. Ed ancora il Gabinetto

dei Buoni Amici; il Gabinetto dei CapitaniMarittimi amministrato dai fratelli Corvaia;il Circolo Agrumario; il Circolo Artistico nelpalazzo Larderia [Figg. 89-91]; il PiccoloCasino nel palazzo Natoli.

Stupisce come la quota d’ingresso dei so-ci del Casino Nuovo, con le sue 100 lire (nel1873) fosse di gran lunga superiore a quelladegli altri circoli (una media di 15 lire) e del-lo stesso Circolo Bellini. Non a caso tra i suoisoci si annoverano alcuni tra più eminentiprofessionisti della città e non pochi aristo-cratici (i Trigona di Mandrascati, il cavalierGaetano La Cava, il prof. Santi Cacopardo).Agli inizi del Novecento si aggiungeranno ilClub Alpino Siciliano, la Società delle corsedei cavalli, il Circolo Scacchistico, il Circolodei Commercianti, tutti ubicati nel Cassaro.In via Alloro era stata creata invece la Salad’armi «Nino Bixio», e in via Santa Chiara, ilCircolo schermistico palermitano.

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Quasi tutte concentrate nel Cassaro era-no anche le principali librerie della città, tracui quelle de fratelli Gioacchino e SalvatoreBiondo, quella di Remo e Luigi Sandron, alpiano terra di palazzo Viola (già palazzo Pi-lo di Capaci), quella di Luigi Pedone Laurielnel palazzo Damiani [Fig. 92], ad angolocon piazza Bologni, dotata di un gabinettoper la lettura frequentato dall’intelligentiacittadina, quella di Giuseppe Pedone Lau-riel (fratello e, in passato, socio di Luigi), po-sta al piano terra di palazzo Rudinì (attualeLibreria Dante), ed anche le rinomate pa-sticcerie dei Gulì, al piano terra di palazzoAmari, e dei Caflish con sede anche in viaMaqueda. Come era costume in quell’epoca,i circoli e spesso anche i caffè divenivanoluoghi d’incontro, al limite tra il pubblico eil privato, adatti alla lettura, ad un’intensasocialità e al dibattito in cui si confrontavanole diverse culture della città.

Se il Cassaro, dunque, rimaneva il cuorepropulsivo della città, centro delle attivitàterziarie e delle funzioni pubbliche, mutava-no, invece, le condizioni di stanzialità legate,un tempo, esclusivamente alla nobiltà. Giàda tempo l’aristocrazia era travagliata daicambiamenti storici e politici che avevanomodificato profondamente la struttura so-ciale ed economica della città. L’abolizionedella feudalità nel 1812, e con essa degli isti-tuti giuridici del fidecommesso e della pri-mogenitura agnatizia, aveva comportato l’e-stensione a tutti i figli dei diritti sull’ereditàcon il conseguente smembramento dei patri-moni familiari. Ciò aveva determinato, con-testualmente alla ascesa sociale della borghe-sia imprenditoriale, una irreversibile crisi fi-nanziaria dell’aristocrazia.

Ne conseguì l’abbandono di buona partedei palazzi più rilevanti, per qualità architet-tonica, distribuiti lungo il Cassaro. Nei casi

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migliori le storiche dimore furono trasfor-mate in residenze plurifamiliari destinate ainuovi ceti emergenti o all’aristocrazia di pro-vincia trasferitasi in città in cerca di maggio-re affermazione sociale. Altre mutarono so-stanzialmente l’uso originario divenendo al-berghi, sede di uffici e di scuole. Tra gli in-numerevoli esempi, è emblematica la sortetoccata alle auliche dimore dei vari rami deiVentimiglia, famiglia tra le più antiche e bla-sonate della Sicilia: il palazzo dei principi diBelmonte era stato venduto nel 1841 al capi-tano marittimo Giovanni Riso, che, comescriveva Nino Basile, «con l’arte marinaraera riuscito a costruire un patrimonio cospi-cuo»41; il collaterale palazzo dei marchesiGeraci e principi di Castelbuono (ramoprincipale dei Ventimiglia, estintosi in lineamaschile con la morte del principe Giovan-ni), con i suoi famosi giardini pensili adorna-ti dalle fontane e dalle statue del Marabitti econ l’immensa sala da ballo affrescata da Ve-lasquez (alias Giuseppe Velasco) [Figg. 93-95], era stato suddiviso tra gli eredi di PietroMancuso, che aveva sposato Corradina Ven-

timiglia, di Antonio Scimonelli, marito diMaria Rosa Ventimiglia e il barone France-sco Cammarata da Corleone; nell’antico eimmenso palazzo dei conti di Prades (altroramo estinto dei Ventimiglia) aveva sede, ol-tre al citato Circolo Artistico, la Banca Po-polare di Palermo, presieduta da BenedettoMantegna, principe di Gangi, proprietariodell’intero edificio.

Nel palazzo dei Grifeo, principi di Par-tanna, situato a piazza Marina [Fig. 95], chesino a metà dell’Ottocento figurava tra i piùsfarzosi della città, furono ubicati, al pianonobile, gli uffici della Camera di Commercio,delle assicurazioni Lloyd Svizzero e LloydRenano. A proposito di tale incongruo utiliz-zo del palazzo, in una guida della città del1892, veniva annotato: «entrando nella primasala si scorge una lunga fila di quadri pende-re dalle mura, e sembra le figure ivi dipinteesprimano il cordoglio che la principesca di-mora sia mutata in casa di negozi».

In altri casi si era preferito mantenere l’u-so residenziale del piano nobile trasforman-do le altre parti del palazzo: nell’ammezzato

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92. Piazza Bologni in una fotografia risalente agli inizi del XX secolo. Da sinistra a destra si notano il palazzo Riolo-Daminani, il convento e la chiesa dei Padri Carmelitani di San Nicolò dei Bologna e, in fondo, palazzo Ugo, marche-si delle Favare [Ed. Dr. Trenkler Co., Lipsia].

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di palazzo Costantino fu istituita la Scuolatecnica «Benedetto d’Acquisto»; in alcuni lo-cali del palazzo dei Cottone, principi di Ca-stelnuovo, era ospitato sin dal 1870 il convit-to privato «Cristoforo Colombo»; il palazzoPaternò Asmundo, marchesi di Sessa, acqui-stato nella prima metà dell’Ottocento daGiuseppe Candurra e in seguito da GiovanniSiracusa, fu trasformato in lussuoso albergochiamato Rebecchino. Le sontuose dimoredei Pilo, conti di Capaci, dei Tarallo, duchi diMiraglia, dei Guggino e dei Lo Faso, duchidi Serradifalco, situate nel Cassaro, dei Cal-derone baroni di Baucina [Fig. 97], dei Bur-gio, duchi di Villafiorita, e dei marchesi Gre-co, a piazza Marina; dei Massa, duchi di Ca-steldiaci, in via Butera furono acquistate, ri-spettivamente, dai Viola, dagli Arcuri, daiChiaramonte Bordonaro, dai Bonocore, daiFatta di Polizzi, dai Verde, dai Dagnino, daiPojero, quasi tutti esponenti di primo piano(compreso quelli che vantavano titoli nobilia-ri) del mondo della finanza locale; un’aristo-

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98. Piazza Marina: palazzo Fatta baroni della Fratta e via dei Bottai. Inizi del XX secolo.

97. La grande mole dello Steri a Piazza Marina. Seguo-no palazzo Abatellis e, in fondo, l’Hôtel de France. FineXIX secolo.

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crazia del denaro che si sostituiva a quella dipiù vetuste origini feudali. Accanto a loro ri-maneva la nobiltà più antica legata da vinco-li di tradizione ai loro aviti palazzi.

Nella parte alta del Cassaro (compresa trai Quattro Canti e Porta Nuova) e nelle stradead esso intimamente relazionate, dimoravanoancora i Vanni, principi di San Vincenzo, nelvicolo Marotta, i principi Alliata di Villafran-ca e i marchesi Ugo della Favara, nei loro ri-spettivi palazzi situati a piazza Bologni, imarchesi Drago, i marchesi Natoli nella sali-ta del SS. Salvatore, i Papè, principi di Valdi-na, i Benso, duchi di Verdura, in via Monte-vergini. Nell’altra parte del Cassaro, daiQuattro Canti a Porta Felice, risiedevano sindal Settecento i Di Napoli dei principi di Re-suttana, gli Anfossi, marchesi di Sant’Ono-frio (attuale Hôtel Sole) [Figg. 98-99], i Pa-lermo principi di Santa Margherita, i Ruffo,principi di Sant’Antimo (che avevano eredi-tato il palazzo dai Termini conti di Isnello), iconti Amari, i Vassallo Paleologo [Fig. 100],

IL CASSARO

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100. Cantone di Sant’Oliva (mandamento Castellammare) a piazza Villena alla fine XIX secolo. Sono indicati 1. pa-lazzo Costantino; 2. palazzo Di Napoli; 3. palazzo Cannizzo-Palizzolo-Longo (oggi Hôtel Sole).

98. Piazza Villena e il Cassaro. In primo piano a sinistrail «cantone» di Sant’Oliva (mandamento Castellamma-re) con il palazzo Di Napoli. Inizi del XX secolo [Ed.Leone Zangara, Palermo].

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i De Spucches, duchi di Santo Stefano, nelpalazzo sito tra piazza Santo Spirito e il vico-lo della Zecca [Fig. 101].

Nei decenni successivi, quando la “nuo-va” città, quella nata dalla pianificazione ot-tocentesca, accentuerà la propria forza cata-lizzatrice, il Cassaro perderà parte di quella“sacralità” che secoli di storia e di esaltantivicende urbanistiche gli avevano conferito.Verranno meno, infatti, taluni valori d’uso,soprattutto quelli legati ad alcune attivitàcommerciali e alla residenza della classe diri-gente della città. Nuove strutture urbane,come la via Ruggiero Settimo, piazza Poli-teama e via Libertà, assumeranno il ruolo diluoghi deputati «a rappresentare aspirazioni,volontà di una diversa realtà sociale, che ri-cercava nella nuova configurazione urbanasistemi di segni sociali alternativi all’immagi-ne della città consumatrice di rendite»42.

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100. La chiesa della Catena con annessa Casa dei Padri Teatini e, a sinistra, scorcio del palazzo Vassallo Paleologo sulCassaro. A destra la stecca edilizia che separava il vicolo della Regia Zecca dal Cassaro con in primo piano palazzoGenovese. Inizi del XX secolo.

101. Piazza Santo Spirito e via della Regia Zecca agli ini-zi del XX secolo. Sono indicati 1. palazzo Poiero già deiMassa, duchi di Castel di Jaci; 2. palazzo De Spucches,duchi di Santo Stefano; 3. palazzo Santonocito.

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La città e il mare

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L’aspetto della città lungo la costa appa-re nelle foto piuttosto variegato e definito dadifferenti sistemi morfologici tra essi forte-mente correlati: la spiaggia di Sant’Erasmo,il Foro Italico, la Cala, la via del Borgo sinoal vecchio Arsenale. Sistemi in cui è possibi-le rilevare i segni iconici più rappresentatividel “paesaggio” urbano verso il mare cheper secoli ha rappresentato l’immagine stes-sa di Palermo.

Il Foro Italico (nel corso dei secoli assun-se il nome di Strada Colonna, Foro Borboni-co, Foro Italiano nel 1848 e Foro Italico dal1860 al 1901, Foro Umberto I, e per ultimoancora Foro Italico), da sempre spazio apertodi relazione tra la città e il mare, assunse sindalla sua realizzazione, operata sotto il gover-no (1577-1584) del viceré Marcantonio Co-lonna, duca di Tagliacozzo, il ruolo di luogourbano deputato allo svolgimento dei riti col-lettivi di maggiore rilevanza sociale, e questononostante si trovasse a ridosso della cinta dimura della città segnata in quel tratto dai duecitati poderosi bastioni di Vega e del Tuono.

La lunga ed austera cortina muraria del-la Strada Colonna, ancor prima di essere de-purata dalla presenza dei due bastioni, fu ar-ricchita sin dal 1687 da un gigantesco trom-pe d’oeil raffigurante un colonnato con archia tutto centro contenente all’interno, dipintea chiaroscuro, le principali “virtù” con i re-lativi attributi. Sulla sommità delle mura fudipinta una balaustra e, al di sopra, furonocollocate venti statue di pietra imbiancate di

calce rappresentanti i re e le regine di Siciliasin dal tempo dei normanni.

Altro intervento rilevante teso a raffor-zare i legami tra la città e il mare, fu quellointrapreso nel 1823 da Antonio LucchesiPalli, principe di Campofranco e duca dellaGrazia, Luogotenente del re in Sicilia, chefece costruire sulla mura un «pubblico par-terre», ripristinando l’antico camminamen-to chiamato «Strada Colonna superiore» o«di li cattive»; nome derivato dall’uso cheanticamente ne facevano le vedove (captivæ)le quali non potendo prender parte ai «pub-blici ritrovi della marina» se ne stavano ap-partate su questo camminamento sopraele-vato [Fig. 103].

Anche le antiche mura urbane, private del-l’originario ruolo difensivo e di controllo mili-tare, assunsero in tal modo quello di luogoaperto agli scambi sociali della cittadinanza.

Il «pubblico parterre» si sviluppava dapiazza Santo Spirito sino alla via Mura delleCattive, attraverso un percorso in quota in-teso, un tempo, come affaccio privilegiatoverso il mare, che stabiliva anche un nuovoed ultimo collegamento tra la strada del Cas-saro e la via Alloro.

In origine l’accesso alla passeggiata eraconsentito mediante due scalinate poste al-l’estremità del percorso; quella su via Muradelle Cattive fu gravemente danneggiata du-rante l’ultimo conflitto e successivamente ri-costruita. Un ricco arredo di sedili, piedistal-li con vasi e statue in marmo costituiva un

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apparato decorativo tale da imprimere note-vole qualità architettonica ad uno spaziopubblico di particolare significato urbano.

Nel 1827 ai lati delle due scale di accessoalle Mura delle Cattive furono collocate leerme in tufo scolpite dal giovane, ma famo-so, scultore Nicolò Bagnasco.

La demolizione dei baluardi del Tuono edi Vega consentì inoltre la costruzione di«casine» ricavate entro il tratto di mura sot-tostante la strada delle Cattive. Realizzateper gli svaghi di alcuni nobili palermitani, di-vennero ben presto luogo d’incontro e dipassatempo delle classi sociali più agiate. Laprima casina che si incontrava provenendoda Porta Felice apparteneva alla fine dell’Ot-tocento a Giuseppe Monroy, conte di Ran-chibile; seguiva la casina di proprietà comu-nale; quella del principe di Trabia (in corri-spondenza dell’Hôtel Trinacria), già di pro-prietà dei Settimo, principi di Fitalia; quelladel principe Antonio Lanza (distrutta daibombardamenti della seconda guerra mon-diale ed oggi ricostruita). Le altre due casine,che sorgono nel tratto di mura compreso trapalazzo Petrulla e palazzo Palmeri di Villal-

ba, furono costruite successivamente, nel1778, e vennero concesse dal Senato paler-mitano alla famiglia Gioeni, duchi di Angiòe principi di Petrulla. La prima fu in seguitoacquistata dalla famiglia Alì, mentre la se-conda fu ereditata dal principe PignatelliDenti [Fig. 107].

Arricchito da un complesso apparato dielementi di arredo, il Foro Italico, era carat-terizzato da una lunga “passeggiata” lastrica-ta che si estendeva da Porta Felice e dal col-laterale palazzo Santocanale43 sino alla casinadel principe di Cutò. Il cosiddetto «astra-chello di Casa Cutò», limite meridionale efondale della lunga promenade sul bordo delmare, era stato riconfigurato in stile neoclas-sico da Vincenzo Di Martino, allievo di Giu-seppe Venanzio Marvuglia, nei primi decen-ni dell’Ottocento. Al suo interno si supponesia stata inglobata l’antica chiesa di Sant’Era-smo, il cui invaso venne trasformato dal prin-cipe Alessandro Filangeri in teatro, inaugura-to nel luglio del 1851. Dotato di quarantapalchi, il teatro fu dismesso nel 1858 con lavendita di tutti gli arredi, sipario, quinte e fa-nali compresi, in conformità all’ordinanza

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107. «Il Tenente Generale Crema e lo Stato Maggiore» nel Foro Umberto I in occasione della celebrazione dello Sta-tuto del Regno d’Italia. In primo piano la casina appartenuta al principe Pignatelli Denti. Sopra le mura si scorgono,da sinistra verso destra, il Noviziato dei Crociferi e il palazzo Gioeni di Petrulla.

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PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

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108. Corpi retrostanti della casina dei Filangeri, principi di Cutò. Fine del XIX secolo

del Tribunale Civile del 19 giugno del 1857.La casina venne successivamente acquisita dapadre Messina che la trasformò nell’attualeIstituto per l’infanzia abbandonata.

Verso la città il limite del Foro Italico eracostituito da una lunga cortina muraria dive-nuta fondale scenografico di particolare forzaespressiva rispetto al quale si affacciava unfronte edilizio continuo in cui emergevano,per importanza, il sistema dei palazzi apparte-nenti al principe di Trabia (Benso, Butera,Alagona), l’Hôtel Trinacria, il palazzo dei prin-cipi Amato di Galati poi Lampedusa, il palaz-zo in stile neogotico dei baroni del Grano (poiMartinez), un piccolo palazzo appartenente almonastero della Pietà, il palazzo dei principiGioeni di Petrulla, il palazzo del principe Li-cata di Baucina costruito dopo il 1833 dalmarchese Enrico Forcella sui resti della casinasecentesca del principe di Cattolica distruttadurante i moti del 1820 [Fig. 102].

La casina era nota soprattutto per losplendido giardino progettato nel 1815 daVincenzo Di Martino, allievo di GiuseppeVenanzio Marvuglia, e si estendeva nell’areaoggi occupata dal Jolly Hôtel. Gaspare Paler-

mo lo descrive nella sua Guida della Città diPalermo e suoi dintorni (1816) come luogo«sparso di alberi e di piante forestiere ed in-digene, che lo rendono all’estremo deliziosoe vi sono disposti con ricercata ineguaglianzadei capricciosi ed ameni viali. Vi si trova unaartificiale collinetta espressa al naturale, dallasommità della quale si precipita una copiosaquantità d’acqua, che nascondendosi in unprofondo cavo, si fa poi rivedere in forma dipiccolo fiume, che con il suo corso fa più ri-saltare la vaghezza del giardino».

L’intervento di Vincenzo Di Martino, si-no ad ora ritenuto limitato al progetto delgiardino, fu esteso all’intera casina, come sirileva dalle relazioni di appalto delle opereredatte dallo stesso architetto. All’interventoparteciparono i «mastri» Giuseppe Firriolo,Giuseppe Mirabile e Giovan Battista Noto.

Gli eventi del 1820, che nel Foro Italico (inquel tempo Foro Borbonico) ebbero uno sce-nario rilevante, furono piuttosto funesti per iprincipi Bonanno. Il 20 settembre la batteriamarittima e le navi cannoniere dei rivoltosi di-roccarono la casina sopra Porta dei Greci perspingere allo scoperto le truppe borboniche lì

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asserragliate. Il principe Giuseppe BonannoBranciforte fu ucciso a Bagheria dove si erarecato prima di rifugiarsi a Napoli.

Da quel momento la casina venne «sac-cheggiata, distrutta, rimanendo generalmentenudi i muri, i pavimenti smattonati, gli uscisenza porte, i balconi senza vetrate e senzapalmiggiane e qualche camera del tutto sman-tellata e senza pavimento e siccome anche lafacciata che sporge dalla marina [Foro Itali-co] era stata in parte abbattuta fu la famigliaCattolica intimata da questo Senato [di Paler-mo] ad atterrarla interamente e bisognò quin-di ricostruire detta parte abbattuta che un sifatto avvenimento portò la conseguenza chedetta casina, divenuta inabitabile, non si è po-tuta locare dal 1820 a questa parte [1833]»44.

Non disponendo di mezzi finanziari, pergli eredi del principe Giuseppe Bonanno45

non rimase altra scelta che ricorrere al Tribu-nale Civile di Palermo per «costituire il privi-legio in favore di colui che si sarebbe [sic] of-ferto a sborsare la somma per la ricostruzio-ne suddetta»46. Nel marzo 1827 l’architettoGiuseppe Incardona venne incaricato dalTribunale Civile di redigere una dettagliata

relazione sullo stato dell’edificio e dei lavorinecessari per gli interventi di rifacimento.

Nel 1833 Ergimino Bonomo, in virtù delprivilegio precedentemente costituito daiprincipi di Cattolica, comprò l’intera pro-prietà per 1600 onze pagate in monete d’ar-gento47. Con una successiva scrittura privataBonomo dichiarò di aver acquistato la casinae il baluardo per conto del sacerdote Carme-lo Quartararo. Quest’ultimo, per la ricostru-zione dell’edificio, aveva richiesto un presti-to di 2000 onze a Luigi Costamante, riccopossidente di Trapani. Ma, appena qualchemese dopo, la proprietà del baluardo e degliedifici annessi venne ceduta al marchese En-rico Carlo Forcella [Fig. 109]. Nell’ottobredello stesso anno, completate le opere di ri-costruzione iniziate dal sacerdote Quartara-ro, secondo le previsioni dell’architetto In-cardona, il marchese vi stabilì la propria di-mora. La casina di Porta dei Greci non eral’unica proprietà dei principi di Cattolica ve-nuta in possesso del marchese Forcella.Questi, infatti, nel giugno del 1831 aveva ot-tenuto in enfiteusi perpetua, per sé e i suoieredi, la villa che i principi Bonanno posse-

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109. Palazzo Forcella e Porta dei Greci alla fine del XIX secolo. Costruito nel 1833 dal marchese Enrico Carlo For-cella, fu acquisito dopo il 1875 da Biagio Licata, principe di Baucina, e, nei primi decenni del Novecento, dal mar-chese Francesco de Seta, prefetto di Palermo.

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devano a Bagheria, con l’impegno di ripara-re i danni causati dal terremoto del 1823 suprogetto dell’architetto Nicolò Puglia48.

Altro elemento di forte caratterizzazionescenografica del Foro Italico era il teatrinodella musica [Fig. 110] che ebbe nel corsodegli anni diverse collocazioni e conforma-zioni. Quello originario era stato costruito suprogetto di Paolo Amato in corrispondenzadella Cappella di Santa Ninfa addossata allacortina muraria. Rimosso e ricollocato in al-tra sede (nel 1754 e nel 1784) fu definitiva-mente demolito per vetustà, su ordinanzadel Senato cittadino nel 1819. Dieci anni do-po venne iniziata la costruzione di un nuovopalco, ma i lavori furono ben presto sospesiperché l’opera non venne giudicata validadal punto di vista architettonico; provviso-riamente si eresse un palco ligneo.

Nel 1832 e nel 1838, per la costruzione diun nuovo teatrino, si sperimentò la formuladel concorso che vide, tra gli altri, la parteci-pazione dell’architetto Giuseppe Caldara ilcui progetto venne prescelto tra i quattropresentati. Il programma del concorso, pre-disposto da un’apposita commissione, appa-re estremamente vincolante: fissa le dimen-sioni, prevede il riutilizzo di materiali esisten-ti nei depositi comunali (residui del palco del1829), richiede precise garanzie sulla resaacustica del teatrino. I primi progetti, presen-tati nel 1832, furono scartati perché disatten-devano le richieste del programma. Nel 1838Caldara elabora una nuova versione del tea-trino rivisitando e modificando quella prece-dente. Una grande esedra in forme neoclassi-che, che anticipa i padiglioni progettati daGiuseppe Damiani Almeyda per Villa Giulia,inquadrata da un doppio sistema di colonneioniche binate su cui poggia una semicupola.I problemi annessi all’acustica vengono risol-ti adottando la curva parabolica in sostituzio-ne del semicerchio per la grande nicchia de-stinata ad ospitare, su sedili a gradoni, trenta-due orchestrali. Una scelta, questa, indottadal parere della Commissione e vissuta conestrema sofferenza da un rigorista come Cal-dara, che affermava come «la parabola, seb-

bene fosse la figura più sonora, era al pari lapiù odiosa per la bella architettura»49.

Nella convulsa seduta del Consiglio Edili-zio del 23 novembre 1842 dedicata all’ennesi-mo esame degli esiti del concorso per la rea-lizzazione del teatrino della musica fu delibe-rato all’unanimità, visto la «disapprovazione»definitiva dei progetti di Giuseppe Caldara eGiovanni Surdi per essere «né belli né corri-spondenti all’oggetto», di affidarne «il novel-lo disegno» al duca di Serradifalco e a CarloGiachery50. Da questa collaborazione sareb-be scaturito, attraverso un lungo iter di realiz-zazione l’attuale edificio che, nella sua equili-brata compostezza compositiva e nel rigorestilistico, porta impressa con evidenza la dop-pia paternità. Per diminuire gli alti costi direalizzazione, stimati inizialmente in circa6.300 ducati, si decise di riutilizzare le colon-ne e il materiale lapideo del palco precedente.

I lavori, portati a termine nel 1847, furonoeseguiti dai «mastri» Giuseppe Onorato eSalvatore Calabrese. L’utilizzo per gli spetta-coli dei musici del Senato è testimoniato sol-tanto sino al 1866. Durante i bombardamentidel 1943 il palchetto fu gravemente danneg-giato con la perdita del soffitto ligneo e di duecolonne, ampie mutilazioni del gruppo scul-toreo collocato sul muretto d’attico. Il recen-te restauro lo ha restituito, anche nei dettagli,alla configurazione di inizio secolo, suggellatanelle foto della Collezione Di Benedetto.

L’immagine del Foro Italico, rimasta im-mutata per secoli, si arricchiva a metà del-l’Ottocento della realizzazione del primoedificio nato appositamente come albergo:l’Hôtel Trinacria [Fig. 111]. Progettato in-torno al 1840 dagli architetti Andrea Gigan-te e Vincenzo Trombetta51, per conto delprincipe di Trabia, Giuseppe Lanza Bran-ciforte, venne edificato in sostituzione di unpalazzo appartenente ai principi di Buteracontenente al suo interno un piccolo teatrovoluto dal principe Salvatore Branciforte.

La facciata rivolta verso mare di questoedificio doveva presentare elementi stilisticidel tutto identici a quelli del restante palaz-zo Butera, compreso il coronamento con ba-

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114. Hôtel Trinacria: hall ricavata nella corte interna. Fi-ne del XIX secolo [Edizione Devaux, Paris].

115. Hôtel Trinacria: sala ristorante. Fine del XIX secolo [Edizione Devaux, Paris].

laustra, colonnine, acroterii e vasotti, e comel’attuale edificio dell’Hôtel Trinacria, avanza-va di circa quattordici metri rispetto al limi-trofo palazzo Alagona, ma presentava sol-tanto due elevazioni al di sopra della terraz-za aggettante sulle Mura delle Cattive.

La gestione dell’Albergo venne affidatadal principe di Trabia, congiuntamente all’o-nere degli arredi, al genovese Salvatore Ragu-sa con il quale aveva costituito, nel 1844, an-no di ultimazione della costruzione dell’alber-go, una società della durata di tre anni52. Eradotato di 44 camere poi portate a 56 di cuisoltanto 20 con affaccio sul Foro Italico[Figg. 116-119]. In compenso erano tutte lus-suosamente arredate e fornite di bagno. Nel-la hall [Figg. 113-114], ricavata nella corte delpalazzo, era stato collocato un ampio ascenso-re Otis, tra i primi ad essere introdotti in città.La sala da pranzo [Fig. 115] si estendeva al-l’esterno per mezzo di un’ampia terrazza so-pra le Mura delle Cattive, particolarmente ap-prezzata dai clienti per gli incomparabili sce-nari che offriva [Fig. 112].

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Alla fine dell’Ottocento l’albergo fu ven-duto dal principe Pietro Lanza alla moglieGiulia Florio per 182.000 lire, somma prove-niente dalla dote nuziale che Ignazio Floriosenior aveva assegnato alla figlia. L’albergo,per lungo tempo tra i più famosi e lussuosidella città, rimase in attività con diverse ge-stioni sino al 1911, anno in cui venne trasfor-mato in appartamenti53.

Il rapporto tra la città e il mare si facevaancora più stringente lungo tutto l’arco del-la Cala, il cui emiciclo era chiuso dalle mas-sicce e tetre sagome del Castello a mare, untempo cerniera difensiva tra il vecchio e ilnuovo porto costruito dal viceré Toledo apartire dal 1565.

L’immagine severa ed ammonitrice dellafronte sud-est del Castrum maris è colta inuna suggestiva foto di inizio Novecento[Fig. 120], prima che le demolizioni operatetra giugno del 1922 e dicembre del 1923 tra-sformassero l’area in cui sorgeva il Castelloin una desolata spianata di circa cinquanta-mila metri quadrati.

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119. Hôtel Trinacria: sala. Fine del XIX secolo [Edizio-ne Devaux, Paris].

118. Hôtel Trinacria: camera da letto doppia. Fine del XIX secolo [Edizione Devaux, Paris].

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Da sempre componente essenziale del-l’immagine urbana, il Castello rappresentavala punta emergente della cinta di mura dellacittà. Nei secoli la vasta fortezza a picco sulmare era stata oggetto di numerosi amplia-menti, assumendo un’immagine complessivafatta di strutture difensive e di architetture,tra cui una cappella, fortemente stratificate54.

Il serrato dialogo tra Castello e città, cheaveva caratterizzato gli anni precedenti ladominazione spagnola, si era via via trasfor-mato in un rapporto conflittuale, avviatoverso un’evidente lacerazione di quellaosmosi e unità antica di secoli.

Sul piano delle relazioni urbane questalacerazione si era manifestata attraverso unamaggiore introversione e la ricerca di un iso-lamento fisico che portò come estrema con-seguenza alla demolizione della chiesa di SanPietro la Bagnara che sorgeva nel pomerioantistante la fortezza; testimonianza residuadi quel tessuto edilizio che un tempo saldavale mura del Castello alla città.

Nel maggio del 1860 le truppe borboni-che, asserragliate nel Castello, sottoposerola città ad un duro bombardamento che val-se all’antica fortezza l’immeritato ruolo disimbolo di una condizione storica da can-cellare, retaggio del dispotismo politico emilitare, prima spagnolo e poi borbonico,che occorreva rimuovere definitivamente.Sarà proprio Garibaldi, con decreto dittato-riale n. 108 del 20 giugno 1860, a disporre lademolizione della «parte del forte Castel-lammare [sic] che offende la città di Paler-mo, conservando soltanto le batterie che di-fendono il porto e battono la rada», e que-sto perché si doveva «distruggere ogni cosache il cessato Governo dispotico adoperavacontro il popolo per impedire l’espressionedei pubblici voti».

Demoliti gli spalti dei bastioni rivolti ver-so la città, colmati i fossati, distrutte le ope-re difensive esterne, si dava inizio ad un gra-duale processo di accerchiamento e di peri-ferizzazione che tendeva ad escludere, di fat-to, il Castello dall’immagine complessivadella città [Fig. 121]. Al contrario l’anticopomerio era stato recuperato all’interno diun vasto sistema di strutture relazionali in-centrato su piazza XIII Vittime, elemento diconnessione tra i solchi viari di via Cavour,via del Molo e del Piano del Castello55.

L’arco della Cala era caratterizzato da unlungo sistema edilizio che, senza soluzioni dicontinuità, seguiva lo sviluppo circolare del-l’antico porto, dalle Mura della Lupa[Fig. 122] e della chiesa della Catena sino al-la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta (di-strutta dai bombardamenti del 1943). Traquesti capisaldi monumentali si estendevaun’edilizia, costituita in buona parte da pic-coli e grandi palazzi nobiliari, i cui carattericostruttivi e gli apparati decorativi apparen-ti erano riferibili alla cultura architettonicadel Settecento e dell’Ottocento [Figg. 123-124]. Il primo palazzo che si incontrava, ol-tre la chiesa della Catena e la Porta della Do-gana, era quello della famiglia Vassallo Pa-leologo che in passato era appartenuto aiGarsia, marchesi della Savochetta. Seguiva-

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120. Il porto della Cala; veduta del fianco sud-est delCastello a mare (demolito quasi interamente tra giugnodel 1922 e dicembre del 1923). Si notano, a sinistra, ilbastione San Pasquale e, a destra, la torre poligonaledetta della Catena. Inizi del XX secolo [Edizione Sciut-to, Palermo].

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no i due palazzi (ancora esistenti) di pro-prietà, rispettivamente, delle famiglie Min-neci e Ruggeri e del barone Giaconia e delmarchese Sarzana di Sant’Ippolito. In suc-cessione vi erano: il maestoso palazzo Olive-ri Del Castillo, duchi di Acquaviva, già deiduchi di Belsito (distrutto dai bombarda-menti del 1943); la chiesa di Santa Maria diPortosalvo; il palazzo del barone Melazzo equello della famiglia Puglia, ad angolo convia Porta Carbone (ambedue non più esi-stenti). Oltre tale porta, la “palazzata” pro-seguiva con la locanda «Del Commercio»nell’edificio di proprietà della famiglia Gar-raffa (distrutto), il palazzo del barone Agnel-lo di Siculiana (distrutto), il palazzetto dellafamiglia Maltese (esistente in parte), il palaz-zo dei La Grassa Mazziotta, la chiesa dellaCompagnia di San Sebastiano, con ingressodal piano omonimo, il collaterale palazzo ap-partenente all’Ospedale Civico di Palermo,il palazzetto della famiglia Candeliere e, aconclusione dell’isolato, verso la Porta e lachiesa di Piedigrotta, dei corpi stretti e bassiutilizzati come magazzini56 [Figg. 125-126].

Oltre questa quinta edilizia, non sempreaulica ed omogenea, ma con una straordina-ria solidarietà di volumi e dei caratteri iconi-

ci, si sviluppava una trama urbana compattadefinita da un fitto sistema viario in grado dimettere in relazione l’antico porto con puntistrategici della città. Non a caso, lungo leprincipali direttrici, dall’andamento rettili-neo o prevalentemente sinuoso (via Argente-ria, via Squarcialupo, via Materassai, piaz-zetta Valverde, via dei Bambinai, etc.) tra ilXIV e il XVI secolo si erano attestati le bot-teghe e le logge mercantili appartenenti allediverse “nazioni” marinare italiane (pisana,amalfitana, genovese, napoletana) che, nel-l’insediarsi a Palermo, avevano ben compre-so la straordinaria vocazione mercantile del-la città «tutto porto».

Nel loro insieme, le foto raccolte da En-rico Di Benedetto, raffiguranti il Foro Italicoe la Cala, testimoniano un rapporto stringen-te tra la città e il mare; rapporto che era sta-to uno dei caratteri immanenti di quei luoghie di quegli spazi per una profondità notevo-le nel tessuto urbano e nel territorio.

La successiva crescita della città, avvenu-ta senza una reale pianificazione e sulla spin-ta di sole finalità speculative ed affaristiche,avrebbe irrimediabilmente spezzato questorapporto secolare connaturato alla stessa na-tura morfologica di Palermo.

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127. La Dogana al molo della Sanità. Inizi del XX secolo.

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Il rinnovamento “borghese” della città tra riforme, sventramenti e restauri

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«Le opere pubbliche, mostra in vero del-lo incivilimento di una nazione, eternano lafama di chi regge il benessere dei sudditi.[...]. Il miglioramento del nostro Lazzarettocon molta spesa riformato, il palazzo Finan-ziero surto sui cimenti del chiaramontanofabbricato, ed or già abolito carcere, il novel-lo Ospizio di beneficenza. Le pubbliche pas-seggiate, il novello giardino inglese, meravi-gliosamente decorato dall’architetto signorFilippo Basile, non sono prova incontrasta-bile, che la più gloriosa pagina debbasi se-gnare dell’amor delle arti, pel nostro Re, alpari di Alessandro e di Augusto?57». Nelleparole di Giuseppe Di Martino, oltre la ri-tuale e spropositata glorificazione delle virtùgovernative del monarca Ferdinando II, az-zardatamente paragonato ai ‘grandi’ sovranidella storia famosi per il loro mecenatismo,si coglie un processo in atto a Palermo sulloscorcio del regno borbonico: l’attuazione diun vasto programma di rinnovamento archi-tettonico, rimasto in buona parte sulla carta,non privo di risvolti ideologici. Vi era, infat-ti, l’urgenza di creare nuovi ‘simboli’ urbani,dando forma agli ideali e alle aspirazioni diuna classe dirigente emergente, economica-mente forte, che ricercava nelle opere pub-bliche un sistema di segni atto ad esprimerele proprie conquiste sociali. A questo si as-sociava l’esigenza del consolidamento e del-l’affermazione dell’immagine dello Statoespressa attraverso gli edifici simbolo dei po-teri istituzionali.

Le ragioni celebrative e di rappresentan-za prevalevano su quelle di una riforma com-plessiva della città, capace di investire ancheil degrado edilizio e sociale delle aree urba-ne più interne. Era tuttavia in questi decen-ni che si realizzavano, o soltanto si progetta-vano, gli edifici pubblici più significativi del-l’Ottocento palermitano, se si considera cheanche i grandi ‘monumenti’ borghesi post-unitari rappresentarono soltanto il punto diarrivo di un processo pianificatorio dellacittà iniziato molti anni prima.

Da sempre si avvertiva la necessità del-l’assimilazione delle più aggiornate espe-rienze europee in campo architettonico edurbanistico.

L’adesione al razionalismo e al positivi-smo francese e tedesco aveva trovato a Paler-mo i suoi più originali interpreti e proselitisin dalla fine del diciottesimo secolo: da Giu-seppe Venanzio Marvuglia ad Antonio Gen-tile, da Domenico Lo Faso Pietrasanta, ducadi Serradifalco, a Carlo Giachery, da France-sco Saverio Cavallari a Giuseppe Di Bartolo.

Il grand tour siciliano, compiuto dagli in-tellettuali e degli artisti di mezza Europa traSettecento e Ottocento, e i viaggi di studio edi formazione intrapresi dagli architetti loca-li rappresentavano uno straordinario feno-meno osmotico tra realtà culturali differenti.Le monumentali opere sui metodi e sullascienza dell’edificazione di de La Hire, Beli-dor, de Coulomb, Gauthey, Rondelet, deCordemoy; l’ampia letteratura sulla storia

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dell’arte, da Revett a Hope, con specifico ri-ferimento all’architettura antica, l’intera pro-duzione dei trattati di architettura, compresigli Annales des Ponts et Chaussées francesi,erano letti e studiati sin dalla loro prima com-parsa e spesso nelle edizioni in lingua origi-naria. Non si esagera, poi, se si afferma che ladimensione europea era sicuramente presen-te nell’espressione delle architetture e nelpensiero teorico di Carlo Giachery e di Gio-van Battista Filippo Basile, che consentivanoalla stessa cultura architettonica di Palermodi divenire portatrice di contribuiti originali,ricevendo il riconoscimento ufficiale, nelquadro più generale della cultura nazionalepost-unitaria, e acquistando coscienza dellesue relazioni storiche con quella europea.

Marvuglia, Cavallaro, Gentile, Giacherye Basile erano inoltre gli unici architetti a Pa-lermo a poter vantare una consolidata espe-rienza didattica che copre nell’insieme quasiun secolo di insegnamento. Tali maestri, tut-tavia, non costituivano l’unico canale di for-mazione per gli allievi architetti.

Giuseppe Caldara, Giuseppe Di Bartolo,Agostino e Giambattista Castiglia, Emma-nuele Palermo svolgevano una funzione piùsommessa di docenza interinale, ma è indub-bia la loro incidenza culturale.

Fuori dall’ambito accademico operavanoun folto gruppo di architetti che contribuiro-no in maniera determinante allo sviluppo deldibattito sui temi dell’architettura e del suoinsegnamento, recuperando, talvolta, l’anticatradizione degli studi privati; il caso del ducadi Serradifalco è in questo senso emblemati-co58. Gli allievi di Venanzio Marvuglia – il fi-glio Alessandro Emmanuele, Vincenzo DiMartino, Domenico Cavallari Spadafora,Vincenzo Trombetta, Domenico Marabitti,Nicolò Puglia – raccolgono per intero la suaeredità culturale e si affermano come assolu-ti protagonisti della cultura architettonica neiprimi decenni dell’Ottocento a Palermo.

La Sottodirezione di Corpi Ponti e Stra-de, istituzione preposta alla realizzazione deilavori pubblici in Sicilia, si era dotata di unsistema di insegnamento autonomo, comple-

mentare a quello universitario, fatto di ap-prendistato e studi teorici: il Bureau architet-tonico per alunni ingegneri ed architetti59.Ne faranno parte, in qualità di docenti, glistessi tecnici-funzionari: Benedetto LopezSuarez, Nicolò Biamonte, Pasquale Patti,Emmanuele Palazzotto, Francesco Severino,Giuseppe Albeggiani. Vi erano ammessi tut-ti i migliori architetti neo-laureati desiderosidi perfezionare i propri studi come Tomma-so Di Chiara, Filippo Volpes, Salvatore Cal-darera, Benedetto Ventimiglia e Antonio Fi-chera, per citare i nomi dei più noti. Le ulti-me generazioni di allievi dell’università bor-bonica furono anche quelle destinate a sosti-tuire i ‘maestri’ nel nuovo corso politico eculturale post-unitario. Tra questi GiuseppePatricolo Cosentino, professore straordina-rio, dal 1866, della cattedra di Geometriadescrittiva e disegno della Facoltà di ScienzeFisiche e Matematiche di Palermo, arteficedei più importanti interventi di restauro del-le antichità classiche e medievali siciliane, invirtù della nomina, nel 1884, a Direttore ar-tistico dei Monumenti di Sicilia e, nel 1895,ad Architetto Direttore dell’Ufficio Regiona-le per la Conservazione dei Monumenti diSicilia; Salvatore Giandolia Oliva, che svolseun’intensa attività professionale per conto diuna ricca clientela e divenne un esperto nelcampo dei consolidamenti strutturali e deiprogetti di restauro; Francesco TorregrossaCavallaro che, laureatosi nel 1859 a soli di-ciannove anni, svolse una significativa atti-vità progettuale in collaborazione con il pa-dre Rosario; Pietro Gentile, che rivestì im-portanti cariche nel Genio Civile Provincia-le di Palermo; Giovanni Bozzo, nipote diMichele Zappulla ed allievo di Carlo Gia-chery; Enrico Francesco De Simone, cheprestò servizio presso numerose amministra-zioni pubbliche e partecipò al «Progetto diriforma e di decorazione per Palermo» del1861; Michele Capitò Barrilà che sostituìCarlo Giachery, nella cattedra di Costruzio-ni, rivestendo per molti anni la carica di di-rettore della Regia Scuola di Applicazioniper Ingegneri e Architetti di Palermo; Tom-

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maso Rapisardi, noto per il restauro del pa-lazzo del conte Lanza di Mazzarino in viaMaqueda, per i progetti eseguiti nell’aziendaagricola dello Zucco di proprietà di RobertoLuigi Filippo, duca d’Orléans, e per il pro-getto della chiesa, con annesso ospizio, dedi-cata al Sacro Cuore a Roma; Francesco Ca-landra, che si occupò dei lavori di costruzio-ne delle ferrovie siciliane; Melchiorre Minu-tilla, stimata figura di professionista dell’Ot-tocento palermitano, autore tra l’altro del re-stauro del Duomo di Monreale, della villadel marchese Busacca di Gallidoro nei pres-si del Giardino Inglese e del palazzo Di Mar-tino in via Libertà.

L’intreccio tra istituzione universitaria esistemi della cultura trovava a Palermo unalunga tradizione e profonde ragioni storiche.La crescita e lo sviluppo di differenti realtàistituzionali, che operavano attraverso lega-mi di reciproca corrispondenza, aveva con-tribuito in maniera determinante all’avanza-mento culturale dell’intera città.

L’Università di Palermo aveva rivestito,sin dalla sua fondazione, il ruolo di promo-trice di istituzioni di primaria importanzaper lo stato della cultura della città.

Già l’Accademia degli Studi di Palermo,che aveva trovato sede nell’espropriato Col-legio Massimo dei Gesuiti al Cassaro, si eradotata di una cospicua biblioteca, annovera-ta tra le più importanti del Regno, e del pri-mo museo della città fondato nel 1730 dalpadre gesuita Ignazio Salnitro, consistente inuna ricca e variegata collezione di reperti ar-cheologici, epigrafi, sculture, dipinti, monetee gioielli antichi. Con la fondazione nel 1806della Regia Università degli Studi di Palermoche prendeva il posto dell’abolita Regia Ac-cademia degli Studi, il Museo Salnitriano in-sieme agli altri beni confiscati nel 1767 ritor-narono in possesso dei Padri Gesuiti.

L’Università, che nel frattempo si era tra-sferita nell’ex Casa dei Padri Teatini in viaMaqueda, aveva ricostituito, al secondo pia-no della nuova sede, una Quadreria e unMuseo realizzati grazie ad importanti acqui-sizioni (le collezioni del console inglese Ro-

bert Fagan e il Medagliere «Gandolfo» diTermini Imerese) e soprattutto alle numero-se donazioni e lasciti. La direzione del Mu-seo era stata affidata a Lazzaro Di Giovanni,che dal 1815 al 1856 ricoprì la carica di In-tendente di Belle Arti. Nel 1857 il Museocontava più di 265 quadri ad olio e a tempe-ra su tela e tavola di varie epoche, in granparte donati dai sovrani borbonici, da Giu-seppe Emmanuele Ventimiglia, principe diBelmonte, dal principe Nicolò Filangeri diCutò, dal marchese Jacob Joseph von Haus,dal principe Carlo Cottone di Castelnuovo,dalla Gran Corte dei Conti, dall’OspedaleGrande, dalla Camera Notarile, dalla Gran-de Dogana, dalle chiese di San Francescod’Assisi e di San Francesco di Paola e dal Co-mune di Palermo. Ingente il numero (624) disculture, bassorilievi, bronzi provenienti so-prattutto dagli scavi delle colonie greche efenicie di Sicilia che, insieme a reperti di va-ria natura (gioielli, utensili, vasi, ceramiche,corredi funerari), costituivano l’importantesezione archeologica del Museo.

Tra le stampe e i disegni non esposti, par-ticolarmente preziosi erano quelli facentiparte della collezione donata dal principe diBelmonte, contenenti cinquantanove tavolearchitettoniche attribuite a Pietro Novelli.Altri disegni, definiti di «grandissimo pre-gio», che trattavano temi architettonici, rilie-vi di templi greci e romani, furono acquistatiper interessamento dello scultore Valerio Vil-lareale, docente e direttore dell’Accademiadel Nudo nel 1837. Di notevole valore didat-tico e documentario le sedici tavole rappre-sentanti il rilievo della reggia di Caserta e itrentasei fascicoli contenenti ognuno tre lito-grafie acquerellate riguardanti «un viaggiopittoresco nel Regno delle Due Sicilie»60.

Nel gabinetto dei disegni si conservava-no pure numerosi progetti architettonicieseguiti dall’architetto Giuseppe Di Barto-lo, tra cui alcuni lavori realizzati per l’an-nuale concorso Clementino dell’Accademiaromana di San Luca61.

Nel 1859 G.B. Filippo Basile, in qualitàdi professore interino di Architettura Deco-

IL RINNOVAMENTO “BORGHESE” DELLA CITTÀ TRA RIFORME, SVENTRAMENTI E RESTAURI

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rativa e Disegno Topografico della Facoltàdi Scienze Fisiche e Matematiche, fece ac-quistare per la gipsoteca del Museo una se-rie di modelli in gesso in scala al vero, ri-guardanti particolari decorativi e parti ar-chitettoniche dell’Eretteo, provenienti daNapoli, e una «collezione di 41 gran lastre digesso calcolate a grana 90 per ciascuna cherappresentano in gran parte i bassorilievi delfamoso Partenone di Grecia»62. I modelli ingesso erano di proprietà del «formatore luc-chese Santino Pierellini» che li aveva portaticon sé a Palermo.

Dopo il 1860 il Museo fu separato dall’i-stituzione universitaria e affidato alla dire-zione di Giovanni D’Ondes Reggio che necurò il trasferimento, fra il 1866 e il 1867,nella Casa dei Padri Filippini all’Olivella, at-tuale sede del Museo Archeologico Regiona-le [Figg. 128-129]. In quegli anni il Museo

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128. Cortile minore del Museo Nazionale (oggi museoArcheologico Regionale “A. Salinas”) nella Casa dei Pa-dri Filippini all’Olivella. Fine del XIX secolo.

129. Chiostro maggiore del Museo Nazionale, esposizione delle epigrafi, elementi architettonici e sculture romaneprovenienti dalle antiche raccolte del nucleo originario del Museo. Fine del XIX secolo.

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IL RINNOVAMENTO “BORGHESE” DELLA CITTÀ TRA RIFORME, SVENTRAMENTI E RESTAURI

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era stato notevolmente incrementato dall’ac-quisto dell’importante collezione del baronenetino Antonino Astuto di Fargione, e dal-l’incameramento delle collezioni residue delvecchio Museo Salnitriano e del Museo diSan Martino delle Scale, il cui materiale ven-ne inventariato, nel 1870, da Antonino Sali-nas, il più celebre dei direttori dell’alloraMuseo Nazionale63.

Gli studi condotti da Salinas sono staticertamente decisivi nel favorire la transizio-ne dalla tradizione antiquaria ad un’archeo-logia intesa in chiave più moderna. Degna dinota era stata del resto la sua formazione dicarattere decisamente internazionale. Dopoaver iniziato la sua attività scientifica con ri-cerche sul campo della numismatica antica,orientò i suoi interessi verso molteplici cam-pi delle antichità siciliane. Momento crucia-le del percorso formativo di Salinas, oltre aiviaggi in Grecia e a Parigi per verificare il li-vello d’insegnamento archeologico in Euro-pa, furono gli studi condotti per lungo tem-po presso l’Università di Berlino, dove avevaseguito i corsi di Karl G.W. Bötticher, archi-tetto e archeologo di fama europea che ave-va partecipato agli scavi di Olimpia, Eleusi,Tegea e Pergamo; quelli di August Boeckh,ordinario di filologia classica, e quelli diHeinrich Kiepert, tra i massimi geografi ecartografi che si siano occupati del mondoclassico. Con questi specialisti Salinas man-tenne sempre dei contatti, anche dopo il suorientro a Palermo dove, nel 1865, ottenne lacattedra di Archeologia, voluta per lui dalsenatore Michele Amari. All’attività dell’in-segnamento, durata per ben cinquant’anni,Salinas affiancherà quella di Direttore delMuseo Archeologico di Palermo di cui puòessere considerato il fondatore.

Anche la biblioteca universitaria, costi-tuita in maggior parte dai fondi librari deiPadri Teatini e dai numerosi lasciti ed acqui-sti, fu ceduta, tra il 1859 e il 1862, alle mag-giori biblioteche cittadine.

Con le varie e ricercate collezioni utilizza-te per l’Esposizione Nazionale, svoltasi a Pa-lermo tra il 1891 e il 1892, si diede avvio alla

formazione del Museo Etnografico Siciliano«G. Pitrè», con sede prima nell’ex Monaste-ro dell’Assunta (1909) e successivamente inedifici annessi alla Real Palazzina Cinese; del-la Galleria d’Arte Moderna «E. Restivo»(1910), nel ridotto del Teatro Politeama e delMuseo del Risorgimento complementare allaSocietà Siciliana per la Storia Patria.

I musei e le biblioteche di Palermo sono,in qualche modo, una derivazione di quellerealtà istituzionali e culturali di alto livelloche, alla fine del Settecento, avevano la loromassima espressione nell’Orto Botanico del-la città: tra le poche strutture scientifiche ingrado di inserirsi a pieno titolo nel dibattitoculturale europeo. Esso non era solo unascuola di botanica, ma era, innanzitutto, ilcampo di applicazione privilegiato di speri-mentazioni progettuali fondate sulla trasposi-zione del rigorismo e della scientificità delmetodo di conoscenza della natura al proces-so di conoscenza dell’architettura. Il Gymna-sium di Léon Dufourny, che dall’archeologiae dalla pratica della disciplina archeologicaaveva tratto interpretazioni nuove per il pro-getto, costituiva l’edificio simbolo di questorinnovamento ideologico e culturale; ad essosi riferiranno molte generazioni di architetti edi docenti. Giachery gli renderà un ultimoomaggio costruendovi lateralmente due ma-gazzini in ossequioso stile neoclassico. Dadocente, il suo pragmatismo scientifico loaveva condotto ad incarnare l’idea di unascuola luogo di metodico apprendimento edi collaborazione comune sia all’interno siaall’esterno dei suoi confini. Un sentimento,questo, comune a G.B. Filippo Basile, chepreferiva ai tradizionali canali accademici diirradiazione della cultura quelli maggiormen-te legati alla città; per questo si era fatto pro-motore e organizzatore di eventi culturalifondando circoli e giornali, predisponendocicliche esposizioni di belle arti destinate alraffronto collettivo e alla valutazione criticadel livello artistico raggiunto in città.

All’interno della struttura universitariaCarlo Giachery svolgeva un duplice ruolo:quello di professore ordinario di architettu-

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ra civile e quello di architetto delle fabbrichedell’Ateneo per il quale riceveva una sommamensile aggiuntiva pari circa a 3 ducati64.Tra i primi incarichi ricevuti, appena assun-to, vi fu, come è stato detto, il progetto didue magazzini65 dell’Orto Botanico che lopose in uno stimolante confronto con le ce-lebrata opera del Dufourny e con quanti loavevano preceduto nella carica di architettodell’Orto, da Pietro Trombetta a DomenicoMarabitti, da Domenico Cavallari Spadaforaall’indimenticato maestro Antonio Gentile.Dopo quell’esperienza Giachery diede avvioad una fase sperimentale di ricerca linguisti-ca aprendo decisamente alla tendenza neo-medievalista, almeno per quanto concernel’attività professionale privata (interni dellafarmacia di Pasquale Monteforte nel 1842,Casa Florio all’Arenella, detta dei «QuattroPizzi», nel 1844).

Nel periodo intercorrente fra il 1841 e il1855 gli interventi sugli edifici dell’Ateneo,progettati, diretti e periziati da Carlo Gia-chery, si intensificarono particolarmente. Siinizia con il nuovo allestimento del Museodei marmi, situato al piano terra dell’Ateneoe si prosegue, nel 1845, con l’appalto delleopere di restauro e di «abbellimento» del ve-stibolo, del peristilio e dei quattro prospettisuperiori della sede centrale dell’Universitànella ex Casa dei Padri Teatini in via Maque-da. Un intervento, quest’ultimo, in parte so-vrastrutturale e di riconfigurazione dell’esi-stente e in parte di restauro e di manutenzio-ne, consistente nella «fabbrica di pietra del-le mostre per la formazione dell’attico man-cante [...]», nella «rivestitura di cornici, ar-chivolti e fregi […] con calce tirata di fino espolverata», nella «intonacatura imitante lapietra di n. 38 pilastri fatta a stucco lucido aferro caldo, compreso la base, capitello ezoccolo», nel «passare di mola n. 20 colonnedell’atrio ed i quattro gruppi di colonne e pi-lastri disposti agli angoli»66. Altri interventinell’ex Casa dei Teatini furono eseguiti daGiachery nel 1850, per restaurare le partidanneggiate dai bombardamenti del 1848 edall’occupazione dei locali da parte dei mili-

tari67; nel 1852, per consolidare i pilastri del-l’atrio68; nel 1854, per restaurare le pavimen-tazioni del peristilio, del cortile, della Saladei gessi, e per rifare gli stucchi e gli altri ap-parati decorativi del vestibolo d’ingresso69.

Nel 1852 Carlo Giachery venne incarica-to, dal Luogotenente Generale del Regno, diredigere il progetto di trasferimento dell’an-fiteatro anatomico dalla sede dell’Ateneo, invia Maqueda, all’Ospedale Grande; l’anticonosocomio della città, ubicato nel piano delPalazzo Reale. Il nuovo anfiteatro era costi-tuito da un’architettura ‘lignea’ a pianta ova-le la cui geometria veniva adattata agli spaziallo scopo destinati70. Con l’unità d’Italia,Giachery ritornò ad occuparsi della sededell’Ateneo progettando un ulteriore am-pliamento «costruendovi delle vaste sale nel-lo spazio che va al confine con Palazzo Ugo,per collocarvi l’Istituto delle Belle Arti»71.

Ma è sul tema del teatro che ruota l’inte-ro dibattito della cultura architettonica pa-lermitana dell’Ottocento. Basti pensare allacomplessa vicenda relativa al rifacimento delteatrino della musica al Foro Italico che eb-be inizio, come detto, con la delibera del1819 del Senato di Palermo di demolizioneper vetustà del secentesco teatro di PaoloAmato, ma attuata completamente soltantonel 1829, e con l’incarico congiunto agli ar-chitetti Domenico Cavallari Spadafora, Ales-sandro Emmanuele Marvuglia e Nicolò Rai-neri del progetto di un nuovo teatrino «instile gotico», i cui lavori ebbero inizio nelnovembre del 1829, ad opera dell’impresa diSalvatore Calabrese72.

Si trattava di una costruzione monumen-tale, costituita da un corpo centrale, erettosu un poderoso basamento in pietra, servitoda una scala a doppia rampa di 22 gradiniciascuna in marmo di Billiemi e ampio tavo-liere d’arrivo. Dodici colonne in marmobianco di Carrara73 con capitelli definiti instile «gotico» e parapetti in pietra traforata,sempre in stile gotico, definivano il primoordine del teatrino alto oltre 5 metri74.

Ma la precoce e sperimentale adesione algusto neomedievalista da parte dei tre pro-

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gettisti e, in particolare, di Alessandro Em-manuele Marvuglia, non era risultata parti-colarmente gradita ai maggiorenti della città,poco inclini alle innovazioni artistiche per-ché assuefatti alle severe, retoriche e rassicu-ranti forme di un attardato classicismo carat-terizzante la produzione architettonica diquegli anni a Palermo. Il Luogotenente Ge-nerale di Sicilia, facendosi interprete del ser-peggiante malumore tra gli ambienti “colti”della città, decretò la sospensione dei lavo-ri75, nonostante la costruzione del teatrino,nella prima decade del 1830, fosse giuntaquasi alla sua ultimazione.

Dopo la demolizione di quanto costruitoe il trasferimento dei materiali recuperabilinei magazzini comunali dello Spasimo76, siera provveduto alla realizzazione di un prov-visorio teatrino in legno, in attesa di un nuo-vo definitivo progetto dell’edificio per il qua-le fu necessario attendere oltre un decennio.

Per anni l’impegno maggiore per l’ammi-nistrazione civica rimase la realizzazione diun nuovo ed ampio teatro municipale.

Nelle Osservazioni sul progetto del nuovoTeatro per Palermo77 del 1841, di MichelePatricolo, sono in qualche modo sintetizzatele vicende legate alla realizzazione di unnuovo teatro per la città. Un tema di grandeattualità a cui sin dalla fine del Settecento –dall’incarico del progetto del Vauxhall78 nelpiano della Marina affidato a LéonDufourny – la società palermitana e la muni-cipalità avevano riposto gran parte delle loroaspirazioni di grandeur. In effetti, esiste unadiretta correlazione tra il concorso e la rea-lizzazione del Teatro Massimo (la più impe-gnativa e significativa architettura dell’Otto-cento a Palermo) e i progetti di teatri elabo-rati in precedenza. Nel 1841 lo stesso Patri-colo redige un progetto di teatro localizzatonel piano del Palazzo Reale, «in quella partepropriamente ch’è abbellita da una floretta[…] che circondato ne verrebbe di bei fab-bricati, del Regal Palazzo, della Porta Nuo-va, del Palazzo Arcivescovile, prossimo purealla bella Cattedrale, ed a tant’altri edifizi,mentre quello dell’Ospedale Civico, col suo

triste aspetto, verrebbe a togliersi alla vistadel cennato Regal Palazzo»79. Il progetto diMichele Patricolo appare legato a schemicompositivi neoclassici di radice francese.La severità dell’ortodossia stilistica dell’e-sterno faceva da contraltare all’idea di utiliz-zare la «maniera gotica» per la definizionedegli apparati decorativi interni.

La mancanza di una adeguata politica fi-nanziaria delle opere pubbliche, non soste-nuta peraltro da iniziative private, faceva ac-cantonare le proposte di una costruzione ex-novo del teatro cittadino a favore della pos-sibilità di ingrandimento dei teatri esistenti:il Real Carolino (ex Santa Lucia), già radical-mente trasformato da un progetto di NicolòPuglia del 1808, e il Santa Cecilia. Per que-st’ultimo, destinato a divenire il principaleteatro della città, lo stesso Patricolo avevapredisposto un progetto di ampliamento e ditrasformazione80.

È interessante sottolineare come il temadel teatro, per effetto di un preciso rapportofra insegnamento e pratica professionale, di-venne contestualmente oggetto di confrontoaccademico. L’intervento di riforma del Tea-tro Carolino venne, infatti, proposto tra leprove di esame del concorso per gli alunnidel Bureau architettonico della Sovrinten-denza di Ponti e Strade dell’ottobre 1840.

Non poco dibattuta fu l’individuazionedelle aree della città più idonee ad ospitare ilnuovo teatro municipale. Già per il progettodel 1841 vi erano state notevoli polemiche perla scelta del piano del Palazzo Reale «reputa-to come eccentrico»81. Nel 1845 Patricolo ri-propone il suo teatro localizzandolo nel pianodella Marina; «il quale se debba o no riguar-darsi migliore di quello proposto del Real Pa-lazzo e concederle quindi l’assoluta preferen-za potrà ben di leggieri decidersi»82.

In precedenza erano state avanzate altreipotesi. G.B. Filippo Basile aveva verificato lapossibilità della costruzione del teatro in unavasta area, gravitante attorno al piano diSant’Onofrio, compresa tra la via Maqueda eil Monte di Pietà. Gli elevati costi dell’espro-prio degli edifici interessati alle necessarie

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demolizioni e le caratteristiche geologichedel suolo, risultante dalla bonifica dell’anticofiume Papireto, lo fecero desistere dall’idea epreferire ancora una volta il piano della Ma-rina. In alternativa alla edificazione ex-novodel teatro si era anche prospettato di ricavar-lo nel palazzo del marchese Ugo della Favarein piazza Bologni, ma in questo caso le resi-stenze del proprietario furono sufficienti afar accantonare tale ipotesi. Agli inizi deglianni Cinquanta il Decurionato ripropose conrisolutezza la questione deliberando che Pa-lermo doveva attrezzarsi di un «teatro comu-nale che corrispondesse alla città e rendessepiù facile trovare un buon impresario»83.

Venne posta anche come condizione ne-cessaria che il teatro dovesse «essere costrui-to di sana pianta, perché ingrandendo qual-cuno di quelli esistenti si spenderebbe forsedi più e si avrebbe certo un’opera imperfet-ta»84. Individuata nel piano della Marina l’a-rea di edificazione, ma con qualche incertez-za sull’esatta posizione, si decise di bandireun concorso di progettazione. Sulle decisio-ni comunali vi fu l’unanime consenso del-l’Intendenza provinciale di Palermo e dellaLuogotenenza Generale del Regno, che ap-provarono l’iniziativa preoccupandosi difornire i disegni del nuovo teatro di Berlino,lo Schausspielhaus di Karl F. Schinkel, edifi-cato tra il 1818 e il 182185. Gli esiti del con-corso purtroppo ci sono noti soltanto attra-verso i disegni del progetto proposto daGiuseppe Di Martino.

Si tratta di una struttura di grandi dimen-sioni a pianta rettangolare, segnata da quat-tro volumi prismatici ottagonali coperti a cu-pola, che si staccano agli angoli, e da struttu-re porticate, che si sviluppano lungo i frontilaterali con andamento mistilineo per l’inseri-mento di corpi semicircolari molto alti. Pro-prio nell’articolata organizzazione della pian-ta, che forse anticipa quella del Teatro Massi-mo, Di Martino ricercava nuove soluzionispaziali, delineando una sua precisa logicacompositiva leggibile nell’aggregazione dimasse compenetrate. Inoltre, Di Martinosembrava particolarmente preoccupato dai

problemi relativi alla acustica, a cui riferiscemolte delle scelte progettuali adottate alcunedelle quali certamente innovative: soffitti consezione parabolica, utilizzo del legno per lacostruzione dell’arco ellissoidale del prosce-nio «affinché vibrati i raggi sonori in tali pa-reti raddoppiano il suono, e percorrendo icorpi flessibili viepiù ne aumentano la elasti-cità»86; l’utilizzo della pianta semicircolareper la scena valutando i notevoli «vantaggidel semicerchio per le leggi dell’acustica».

Particolare attenzione era riservata allaqualità spaziale degli ambienti interni desti-nati a funzioni non strettamente legate all’at-tività del teatro: sale per la ristorazione e dagiuoco, «casino di conservazione per la no-biltà» e saloni da ricevimento. C’era l’idea diprogettare un luogo rivolto, oltre che a fina-lità istituzionali, alla vita sociale della città.In quest’ottica rientrava anche l’individua-zione di spazi al piano terra da destinare adesercizi commerciali.

Un anno dopo il concorso del 1851, l’U-nione dei Musici ripropose concretamente,grazie al mutuo di ventimila ducati ottenutidal Comune di Palermo, l’intervento di «rifor-ma» del Teatro Santa Cecilia [Figg. 130].Un’ulteriore occasione progettuale per lacittà che vide cimentarsi in un animato con-fronto accademico Carlo Giachery, a cui saràaffidata la riorganizzazione degli spazi inter-ni, Giuseppe Di Bartolo, responsabile delprogetto di rifacimento del prospetto princi-pale in forme neo-rinascimentali, e MichelePatricolo che assunse la responsabilità delladirezione dei lavori. Patricolo propose, inol-tre, tre diverse soluzioni per la facciata delteatro; tre variazioni su un unico tema cen-trato sul rapporto intercorrente tra il corpocentrale variamente aggettato, e le parti late-rali. Molti sono i richiami riconducibili alsuo progetto del 1841.

Il processo di trasformazione della cittàdoveva includere, naturalmente, la realizza-zione di nuove attrezzature per la ristruttu-razione della fascia costiera.

Il porto della Cala, in particolare, avevavisto limitare progressivamente le proprie

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potenzialità produttive. La presenza del Ca-stello a Mare e del forte della Garitta dimo-stravano in maniera eloquente come dal ma-re si esercitasse soprattutto il dominio milita-re sulla città. Sul piano delle relazioni urba-ne si era determinata una vera e propria la-cerazione, manifestata attraverso una mag-giore introversione e la ricerca di un isola-mento fisico di alcuni luoghi, che portò, co-me estrema conseguenza, alla demolizionedell’antico tessuto edilizio che saldava le mu-ra del Castello alla città.

Al fine di rilanciare l’immagine portualedella Cala e di potenziarne le strutture diservizio ad essa connesse, il governo borbo-nico aveva promosso, nel quadro del pianodi realizzazione delle grandi architetturepubbliche della città, alcuni progetti relativialla nuova dogana e alla casa sanitaria. I nuo-vi edifici, oltre a soddisfare esigenze econo-miche e di pubblica utilità, dovevano assol-

vere a precise funzioni rappresentative, tipi-che della cultura urbana dell’Ottocento.

I progetti, in due diverse versioni, furonoelaborati, tra il 1839 e il 1851, da GiuseppeDi Martino87: secondo le sue previsioni nel-l’emiciclo della Cala si sarebbe configuratoun nucleo di attrezzature che avrebbero sta-bilito rinnovate connessioni con l’area por-tuale mediante l’introduzione di nuovi valo-ri spaziali e d’uso. L’interesse suscitato daquesti progetti fu notevole ed è testimoniatodalla richiesta di eseguire i modelli in legnosia del grande edificio destinato agli stabili-menti doganali che della casa sanitaria.

La collocazione della dogana era previstain un’area che si estendeva, alle spalle dellachiesa della Catena, tra la porta della Doga-nella e la spiaggia dei Benfratelli all’imboccodel porto della Cala. In vicinanza della Do-gana [Figg. 131-132] sarebbe dovuta sorge-re anche la nuova Casa Sanitaria.

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130. Prospetto del Teatro Santa Cecilia riconfigurato, nel 1854, su progetto di Giuseppe Di Bartolo. A sinistra, scor-cio del palazzo Sarzana, marchesi di Sant’Ippolito, demolito negli anni Trenta per la realizzazione di via Cantavespri.Si nota, tra il palazzo e il teatro, l’ingresso al vicolo del Forno alla Fieravecchia. Inizi del XX secolo.

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Il riassetto della fascia costiera vennecompletato da Di Martino con il progetto diprolungamento del braccio del molo dellaGaritta a più efficace protezione del bacinodella Cala. Ma né questo né gli altri progetti,nonostante l’unanime consenso delle auto-rità preposte alla loro approvazione, sortiro-no alcun esito lasciando irrisolti i problemilegati al necessario ammodernamento dell’a-rea portuale.

I numerosi progetti per la città redatti inquegli anni, i concorsi sui temi architettonicia grande scala sono il sintomo più evidentedell’aspirazione a una grandeur urbana, chesi infrangeva puntualmente contro l’inconsi-stenza dei finanziamenti municipali e gover-nativi destinati alle opere pubbliche. Occor-reva quindi ridurre gli interventi alla più rea-listica condizione di trasformazione degliedifici preesistenti.

Nel rapporto nuovo-antico non si riscon-tra mai un eccesso di protagonismo inventi-vo dei progettisti, né la sopraffazione dei va-lori del primo termine del rapporto su quel-li del secondo; vi è invece la tendenza versointerventi misurati, talvolta dai toni dimessi.Ciò non significa necessariamente un’archi-tettura senza forma e senza linguaggio com’èstato fin troppo sottolineato88. La volutascarnificazione dei segni corrisponde alla ri-cerca di una dimensione purista dell’archi-tettura tipica della poetica compositiva degliinizi dell’Ottocento. Questo si concilia oltre-tutto con la possibilità di iterare quelle com-ponenti architettoniche individuate comeelementi normativi dell’intero progetto, se-condo modelli di comportamento proget-tuale desunti dalla pratica associativa dellamanualistica ottocentesca. I casi dei proget-ti che trasformano e completano le architet-ture antiche sono a Palermo piuttosto nume-rosi: il palazzo delle Finanze di EmmanuelePalazzotto, ricavato nel ex carcere della Vi-caria tra il 1840 e il 1844; il palazzo dellaConsulta di Sicilia nell’antico edificio dellaZecca a piazza Marina; il befrotrofio di San-to Spirito realizzato nell’ex Ospedale di SanBartolomeo; la trasformazione della Casa dei

Padri Teatini in sede dell’Ateneo, a cui ave-vano lavorato Marvuglia, Cavallari Spadafo-ra, Gentile e Giachery, rappresentano soloalcuni casi tra i più significati. Cospicui an-che gli esempi non realizzati come quelli ri-guardanti il nuovo carcere centrale di Paler-mo che precedono il «panottico cellulare» diNicolò Puglia, costruito ad iniziare dal 1834nel piano dell’Ucciardone. In particolare ri-cordiamo i progetti redatti nel 1827 da Vin-cenzo Di Martino e da Francesco Avilaja,che trasformavano l’antico Arsenale dellaMarina al Molo, riconfigurandone radical-mente l’immagine in un severo stile neoclas-sico89, e il progetto del 1830 del tenente co-lonnello del Genio Luigi Cosenz, localizzatosempre al Molo, ma che interessava la Quin-ta Casa dei Padri Gesuiti90.

Sempre Vincenzo Di Martino, nel 1822,era stato l’artefice di uno dei principali inter-venti di «restauro urbano» all’interno dellacittà murata con il progetto di «riduzione inun’unica piazza mercato» degli antichi pianidella Conceria e di Santa Margherita (giàPiano Piccolo della Conceria), secolari sedidella «turbolenta» maestranza dei conciatoridi pelli, particolarmente attiva in occasionedei moti rivoluzionari del 1820.

Nato da esigenze politiche e di ordinepubblico91, il progetto del Di Martino appa-re meno traumatico per l’antico tessuto urba-no di quanto si creda. Gli interventi di demo-lizione furono, infatti, limitati esclusivamentealla piccola isola urbana che divideva le duepiazze, composta di sole tre unità edilizie ap-partenenti al sacerdote Giovanni Azzarello,ad Antonio Santoro e a Gaetano Leone.

Nell’impossibilità di regolarizzare il trac-ciato del nuovo slargo, che prenderà il nomedi piazza Nuova, e di intervenire su innume-revoli edifici che ne definivano il limite co-struito, Vincenzo Di Martino affidava l’unitàdell’intervento ad una “fascia” basamentale,che si sviluppava senza soluzione di conti-nuità sui lati lunghi della piazza, appenastaccata dagli edifici preesistenti, costituitadalla sequenza, a ritmi alternati, di pilastrisostenenti una trabeazione continua sor-

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montata da ringhiere di ferro. Si creavano intal modo delle vere e proprie logge con aper-ture ad altezza diversa, corrispondenti ad al-trettante botteghe, che «riquadravano sim-metricamente i prospetti delle fabbriche chestavano intorno alla nuova piazza e costitui-vano un’opera edile degna di una grandecittà92» [Fig. 133]. L’austerità delle linee ar-chitettoniche delle logge che, secondo NinoBasile, «portavano l’impronta di una nudasemplicità propria del tempo», è in realtàfrutto della necessità di riduzione dei costidell’opera nella fase di realizzazione. Nellaprima stesura del progetto, risalente al mar-zo 1822, Di Martino aveva previsto, infatti,di coronare le logge con «pilieri e vasotti dipietra intagliata» come nel settecentesco li-mitrofo mercato di piazza Caracciolo, e direalizzare, nel lato settentrionale della piaz-za, in corrispondenza del vicolo Gesù e Ma-ria, una monumentale fontana dal costo pre-suntivo di novecento onze93. I lavori, iniziatinel maggio 182394, furono portati a terminenel settembre 1824 e compresero anche lanuova pavimentazione in basole di pietra diBilliemi e la realizzazione di una scalinata dicomunicazione con via Maqueda, stretta trail fianco occidentale del palazzo del baroneCorte ed il fronte principale della chiesa diSanta Maria della Volta.

Degli edifici che definivano la piazzaNuova oggi sopravvive, in stato di fatiscen-za, soltanto la cortina edilizia meridionaledell’attuale piazza Venezia, nella quale è pos-sibile scorgere qualche labile traccia dellelogge e dell’antica balconata realizzata daVincenzo Di Martino.

Tutto il resto fu distrutto a più riprese,inclusi i monumentali capisaldi architettoni-ci posti all’inizio e alla fine della piazza. Inoccasione dei lavori di costruzione del pri-mo tronco della via Roma (1895-1898),compreso tra il Cassaro e la via Bandiera, sidiede avvio alle iniziali opere di «bonifica»del rione Conceria con la conseguente de-molizione della chiesa parrocchiale di SantaMargherita95. Gli «sventramenti» condottitra il 1929 e il 1932 cancellarono definitiva-

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133. Veduta della Piazza Nuova nel maggio del 1860. Sinotano le logge-botteghe, con la soprastante balconatacontinua, progettate, nel 1822, da Giuseppe Di Martino.In fondo, sulla destra, palazzo Parisi (distrutto).

L’immagine è brutti-na… se è possibile can-biare con una di tagliouguale

134. Via Maqueda. Sono indicati da sinistra a destra 1. pa-lazzo Giangreco (distrutto); 2. chiesa di Santa Maria del-la Volta (distrutta); 3. palazzo Grasso, baroni di Brivera(distrutto); 4. palazzo di proprietà del Collegio di SanRocco; 5. Palazzo D’Amore; 6. palazzo del barone Judica(già del notaio Giuseppe Pezzino). Inizi del XX secolo.

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mente il volto della piazza Nuova e con essoquello di due prestigiosi edifici, il neoclassi-co palazzo del barone Grasso (già del baro-ne Corte) [Fig. 134], significativa opera del-l’architetto Nicolò Puglia, e la chiesa di San-ta Maria della Volta, celebre per contenerenella volta di copertura un grande affrescodipinto, nel 1715, da Guglielmo Borremans,appena giunto a Palermo.

Il prezzo pagato all’idea di «rinnovamen-to» urbano, spesso senza risultati corrispon-denti al sacrificio, è testimoniato da sistemati-che campagne fotografiche eseguite poco pri-ma che si desse avvio alle massicce demolizio-ni. Particolarmente interessanti risultano lefoto che ritraggono gli edifici distrutti in oc-casione del taglio della via Roma. In molte diesse si possono individuare importanti palaz-zi nobiliari e notevoli architetture religiose.

Nelle due foto che effigiano via Grandedel Teatro Santa Cecilia si distinguono conchiarezza gli imponenti palazzi Ajroldi di

Santa Colomba, Reggio di Campofiorito (giàdegli Abbate e dei Barresi, principi di Pietra-perzia) e Platamone (poi Buttafuoco e Aca-tes), conosciuto, quest’ultimo, come Casa delRe perché in una nicchia della facciata eracollocata una statua raffigurante Filippo II diSpagna. Dei tre palazzi, soltanto quello deiReggio è, ancora oggi, in parte esistente, ben-ché totalmente privato degli apparati decora-tivi barocchi delle facciate [Figg. 135-136].

Nelle foto che raffigura via S. Cristoforoe la contigua piazzetta dell’Ospedaletto[Figg. 137-140] si scorgono i distrutti palazziPapa, Noto, Settimo, principi di Fitalia emarchesi di Giarratana, Di Napoli, principidi Buonfornello, e Bonanno, principi di Lin-guaglossa. In altre foto, che riprendono, dadiverse angolazioni, via Discesa dei Giudici,via Grande Lattarini e via Giovanni da Pro-cida [Figg. 141-147], si riconoscono i palazziChacon (o Giacona), duchi di Sorrentino,Dotto, Nuccio, Greco-De Castro, Scaduto,

135. Via Grande del Teatro Santa Cecilia vista dai balconi del palazzo dei principi Valguarnera, principi di Gangi (og-gi Vanni, principi di San Vincenzo). Sono indicati 1. Palazzo Settimo, marchesi di Giarratana e principi di Fitalia (di-strutto), 2. Palazzo Ajroldi, marchesi di Santa Colomba e duchi di Cruillas (distrutto), 3. Palazzo Reggio, principi diCampofiorito (già degli Abate e dei Barresi, principi di Pietraperzia. Nel 1854 appartenente alla famiglia Musco) (di-strutto in parte). Fine del XIX secolo.

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Cascione, Zacchino, Castagnetta e Tramonte,la chiesa di San Vincenzo Ferreri dei Confet-tieri; tutti edifici distrutti (ad eccezione deipalazzi Greco-De Castro e Scaduto) per lacostruzione del secondo tronco della via Ro-ma. Stessa sorte per i palazzi Rostagni e DeFrancisci-Cavaretta in corso Vittorio Ema-nuele, ad angolo con il cortile di San Giovan-ni, raffigurato in primo piano in una fotoscattata dai balconi di palazzo Arezzo di Ce-lano su via Roma , e per gli edifici gravitantiintorno a piazza Santa Rosalia, tra cui l’omo-nima chiesa, con l’annesso monastero e la di-rimpettaia congregazione [Figg. 148-150].

Una foto di via Maqueda [Fig. 151], vistain corrispondenza della salita Affumati, mo-stra la chiesa della Madonna delle Racco-mandate allo Stazzone e palazzo Ardizzone,entrambi demoliti per la realizzazione dellevie Torino e Trieste.

Altre tre foto [Figg. 152-154] sono dedi-cate al demolito palazzo Montalbano (dalle

fonti storiografiche erroneamente indicatocome palazzo dei duchi Pignatelli di Monte-leone) e al palazzo Zangara, in precedenzaappartenuto ai duchi di Monteleone (cono-sciuto, secondo un’inesatta opinione, comepalazzo Montalbano)96. Infine nella foto cheritrae, di scorcio, la monumentale facciatabarocca della chiesa di San Matteo sul Cas-saro si scorge l’ottocentesco prospetto delpalazzo del marchese Brancaccio, distruttoin seguito ai bombardamenti della secondaguerra mondiale.

Erano soprattutto gli interventi che modi-ficavano e completavano le architetture anti-che del centro storico ad assumere il ruolo diterreno di confronto tra nuove istanze fun-zionali, necessità di rinnovamento e resisten-za passiva delle architetture esistenti e dellacittà al processo di trasformazione messo inatto. Ed essendo uno dei principali obiettividell’Architettura il fornire rappresentanza, incontinuità con il passato, alle istanze della

148. Vicolo del Giglio vista da piazza Santa Rosalia. Sulla sinistra scorcio della chiesa e del monastero di Santa Rosalia.

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153. Veduta del palazzo appartenuto ai Pignatelli, duchi di Monteleone. Fine XIX secolo.

collettività, a questi interventi si associava lanecessità di dare forma agli ideali e alle aspi-razioni della classe dirigente emergente.

Significativo, per l’evidenza delle proble-matiche connesse, l’intervento nella secente-sca ex Fonderia trasformata in caserma perla Gendarmeria ad opera dall’ingegnere pro-vinciale del Corpo di Ponti e Strade, France-sco Severino97. Anche il progetto di NicolòPuglia per il nuovo Ospizio di Beneficenzada realizzarsi nel convento di Santa Cita ven-ne improntato ad un’essenzialità di forme edi linguaggio.

Sempre Nicolò Puglia negli anni Trenta eQuaranta dell’Ottocento, in qualità di archi-tetto dei siti della Real Casa e sotto la guidadel marchese Enrico Forcella, amministrato-re Generale della Casa e dei Siti Reali di Pa-lermo, aveva eseguito numerose opere di re-stauro nel Palazzo Reale98. In particolare nel-l’aprile del 1832 erano stati compiuti degli in-terventi sugli apparati decorativi «dell’appar-

tamento di Sua maestà, detto del Duca di Ca-labria» eseguiti da Giovanni Stravuzzi.

Tra gli altri ambienti dell’appartamentoreale interessati dalle opere di restauro vierano la «camera del musaico (sic!), cosid-detta delle Donne (o delle Dame, oggi cono-sciuta come Sala di re Ruggero) al primo in-gresso in cui vi è la portiera […], la Cappel-la con portiera e finestra e la machinetta (sic)di stucco sull’altare in cui deve mettersi l’o-ro degli ornamenti […]. La camera del cem-balo […], il gabinetto di passaggio simile, lacamera grande da letto (corrispondente allaTorre Pisana) con tutto il suo complesso[…], li due (sic) gabinetti che segnano daparte il prospetto, l’interno dei quali conl’imboccatura all’alcova e piccoli gabinettiper l’uccelleria e scaletta. La retrocameranella risvolta che comunica con la camera daletto, e li due camerini contigui per li quali siha introduzione nell’appartamento di S.A.R.il Conte di Siracusa […]»99.

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Nell’agosto dello stesso anno, sempre sudisegno del Puglia, venne realizzata, dall’e-banista Salvatore Verzani, «la cancellata dimogano in stile gotico per la cappella priva-ta di S. M.». Altri lavori concernenti il re-stauro dei pavimenti furono eseguiti da Gae-tano Carrozza, mentre allo scalpellino Giu-seppe Durante fu dato incarico di realizzarei piedistalli per i due arieti in bronzo colloca-ti nella Galleria detta, per l’appunto, dei«Pecoroni». Secondo quanto attestato daGiovanni Di Blasi e da Agostino Gallo, tra il1833 e il 1834, Puglia progettò una tribunalignea e una cantoria per la Cappella Palati-na, provvedendo anche al restauro di unacolonna e del soprastante capitello che pre-sentavano lesioni. Nel 1835, dopo aver com-pletato i lavori di restauro all’interno del Pa-lazzo, Puglia realizza il ripristino in stile neo-medievale del prospetto della Torre Pisana o

di Santa Ninfa [Fig. 155]; intorno al 1848esegue altri interventi sul fronte nord-occi-dentale [Fig. 156], nella parte che si con-giunge con Porta Nuova, e nel prospettosud-occidentale100 [Fig. 157].

Nel 1865 venne bandito il concorso perdare una nuova veste al Palazzo Senatoriodella città, vinto da Giuseppe Damiani Al-meyda, ma il cui progetto, elaborato com-piutamente nel 1867, approvato dal Consi-glio Comunale nel 1873, fu attuato soltantoa partire dal 1874.

Attraverso il ricorso a stilemi linguistici diun severo neorinascimento, Giuseppe Da-miani Almeyda interveniva sulle quattro fac-ciate per conferire quell’unità compositivache all’edificio forse era sempre mancata[Figg. 158-159]. Sin dalla sua fondazione, in-fatti, nel palazzo senatorio si erano accumula-ti segni architettonici tra i più disparati, facen-

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154. Corso Vittorio Emanuele verso Porta Nuova. Sonoindicati 1. palazzo Di Napoli dei principi di Resuttana,2. palazzo Anfossi, marchesi di Sant’Onofrio, 3. palazzoCannizzo-Palizzolo, 4. palazzo del marchese Brancaccio(distrutto), 5. chiesa di San Matteo, 6. palazzo Macca-gnone, principe di Granatelli.

155. Palazzo Reale, prospetto sud-occidentale. Fine delXIX secolo.

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do assumere alle quattro facciate l’aspetto dipiani morfologicamente differenziati in ragio-ne degli ambiti urbani con i quali si relaziona-vano: il piano della Corte o del Pretore101, lavia Maqueda e piazza Bellini, che nel passatoaveva preso promiscuamente il nome di pianodi Santa Caterina e della Martorana .

Già nel 1858, il Pretore di Palermo, prin-cipe di Galati, diede incarico agli architettiPietro Ranieri e G.B. Filippo Basile di elabo-rare un progetto di restauro del palazzo masenza darne seguito102.

In altre occasioni gli interventi di restau-ro divenivano momenti di confronto dialetti-co tra istituzioni e tra i principali protagoni-sti della cultura architettonica di quei tempi aPalermo, spesso tramutati in accese disputeaccademiche, come nel caso del restauro del-la Cappella Palatina [Fig. 160] del 1873 peril quale era stata costituita una «Commissio-

ne speciale» formata dal Rettore dell’Univer-sità di Palermo, Giuseppe Albeggiani (inqualità di presidente), dai docenti FrancescoCaldarera, G.B. Filippo Basile, Giuseppe Pa-tricolo, in rappresentanza dell’ateneo paler-mitano, e da Francesco Saverio Cavallari, di-rettore delle Antichità e Belle Arti.

L’intervento di restauro, relativo al riparodelle colonne binate e del peduccio dell’im-posta settentrionale degli archi del presbite-rio, vide l’agguerrita contrapposizione di Ba-sile e Cavallari sulle scelte progettuali piùidonee da compiersi. Un’aporia da cui muo-vevano contrastanti considerazioni teoricheche, riordinate a posteriori, danno comun-que corpo ad un dibattito di alto livello suiprincipi del restauro architettonico103. Dauna parte Francesco Saverio Cavallari ritene-va indispensabile il mantenimento di tutti glielementi architettonici originari del monu-

158. Prospetto del Palazzo di Città, prospiciente il piano della Martorana, prima degli gli interventi di riconfigura-zione attuati da Giuseppe Damiani Almeyda.

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mento (il peduccio e i capitelli) benché essirisultassero gravemente danneggiati da frat-ture e lesioni, proponendo delle cerchiaturecon lamine di ferro e il sostegno ausiliario di«colonnette di ferro tirato a martello104» dacollocarsi tra le due colonne in marmo chesorreggevano l’imposta degli archi; dall’altraBasile, nella necessità di assicurare una confi-gurazione delle cappella non alterata da in-terventi invasivi, proponeva la sostituzionedei capitelli e del peduccio lesionati con del-le copie, perché pur non possedendo «il me-rito della originale epoca, ciò si potrebbe ac-cettare in grazia dell’assicurazione completadella stabilità dell’edifizio»105.

In ogni caso, per i due architetti operaresull’antico significava sempre di più ricono-scere come la storia portava con sé dei valo-ri permanenti e immutabili con i quali eranecessario confrontarsi.

IL RINNOVAMENTO “BORGHESE” DELLA CITTÀ TRA RIFORME, SVENTRAMENTI E RESTAURI

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159. Prospetto del Palazzo di Città dopo gli interventi di riconfigurazione attuati da Giuseppe Damiani Almeyda. Sullasinistra, la scalinata e il porticato neoclassico (opera di Alessandro Emmanuele Marvuglia) del palazzo delle Regie Poste.

160. Interno della Cappella Palatina. Inizi del XX secolo.

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Negli stessi anni degli interventi di con-solidamento della Cappella Palatina, si rea-lizzavano a Palermo altri importanti lavori direstauro, anche questi non scevri da diatribee contradditori, spesso polemici, a dimostra-zione di quella profonda vivacità culturaleche animava il corpo sociale palermitano afine Ottocento.

Il rifiorire degli studi e degli interessi, nonsolo culturali, verso la storia medievale isola-na ammantati da antiche idealità, nel segnodi una mai sopita ideologia della «nazione si-ciliana», aveva spinto ad intraprendere deiconsistenti restauri dei principali monumentidi età normanna. Sotto l’egida della Commis-sione delle Antichità e Belle Arti, su progettoe direzione dei lavori di Giuseppe Patricolo,vennero sottoposti a consistenti interventi direstauro la chiesa di Santa Maria dell’Ammi-raglio, tra il 1870 e il 1873 [Figg. 161-162]; lachiesa della Magione; il complesso di SanGiovanni degli Eremiti [Fig. 163-165], lachiesa di San Cataldo, liberata, nel 1882, dal-le fabbriche successive che la fagocitavano

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162. Fare didascalia e rivedere la la 161 perchè erano in-sieme.

161. La chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio prima e dopo i lavori di restauro di Giuseppe Patricolo. In entrambele foto si nota, a destra, uno scorcio del neoclassico Palazzo delle Regie Poste (demolito).

L’immagine con moiré, sostitui-re o scansire deretinando

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[Fig. 166]; la chiesa di Santa Maria della Ca-tena, tra il 1884 e il 1891. In virtù di un pre-teso ripristino della ‘forma’ originaria deimonumenti, Patricolo aveva praticato siste-matiche manomissioni delle composite vi-cende edilizie che caratterizzavano questimanufatti, veri e propri palinsesti architetto-nici in cui, nel corso dei secoli, si erano sa-pientemente stratificate ed amalgamateespressioni d’arte medievali, rinascimentali ebarocche. Così, per riportare alla luce dellelabili quanto improbabili tracce della nor-manna chiesa di Santa Maria dell’Ammira-glio, venivano sacrificate preziose testimo-nianze dell’arte barocca. Per ripristinare l’i-solamento della chiesa di San Cataldo venneinteramente demolito il neoclassico palazzodelle Regie Poste, opera di Salvatore Attinel-li, riformato da Alessandro Emmanuele Mar-vuglia nel 1824. La monumentale facciata,con portico e loggiato in stile neodorico, del-la chiesa della Magione [Figg. 167-168] do-veva lasciare posto ad un assai compromessoprospetto di età normanna, celato da secoli,

IL RINNOVAMENTO “BORGHESE” DELLA CITTÀ TRA RIFORME, SVENTRAMENTI E RESTAURI

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163. Il chiostro di San Giovanni degli Eremiti in seguito agli interventi di Giuseppe Patricolo. Fine del XIX secolo.

164. Fare didascalia 2 righeFare didascalia 2 righe

165. Fare didascalia 2 righeFare didascalia 2 righe

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per il quale Patricolo dovette ricorre a note-voli integrazioni per mezzo di rifacimenti fi-lologici. Soltanto la voce di un ormai anzianoFrancesco Cavallari si leverà, dalle paginedella rivista «Il Precursore di Palermo», perdenunciare il fervore oltranzista con cui veni-vano condotti certi restauri stilistici e di ripri-stino mimetico, poco rispettosi della storicitàdei monumenti, e la «passione di vedere ilmonumento nella sua uniformità di colorito,e senza nessuna discordanza, al punto cherettificano anche le cose degli antichi, per ri-durla a quell’idea e a quella unità»106.

Patricolo avrà per anni competenza asso-luta sui principali lavori di restauro degliedifici medievali a Palermo. La nomina, nel1884, a Direttore artistico dei Monumenti diSicilia, gli conferiva del resto la piena giuri-sdizione in materia di tutela dei monumenti.

Spetterà all’architetto Francesco Valenti,soprintendente ai monumenti a Palermo, nelperiodo tra le due guerre, continuare l’operainiziata da Patricolo con ulteriori rilevantiinterventi di restauro, caratterizzati dalla

stessa idea di indispensabile ripristino dellaforma originaria dei monumenti, sebbenequesta risultasse lacunosa e priva di attesta-zioni documentarie certe, come nel caso del-la chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi, del-l’Uscibene (o Scibene) e del palazzo Termi-ne in via Bandiera, di proprietà dei duchi diPietratagliata, dello Steri (palazzo Chiara-monte), della Loggia dell’Incoronazione invia Matteo Bonello [Figg. 169-170].

Valenti è stata una delle figure più di-scusse nel panorama del restauro architetto-nico degli inizi del Novecento in Sicilia. In-capace, per certi versi, di superare una con-cezione del medioevo locale come paradig-ma estetico di valore assoluto la cui ripropo-sizione si rendeva in ogni modo necessaria,anche a costo di giungere a mistificazioni efalsificazioni architettoniche.

Rimane memorabile un famigerato pro-getto di restauro della Cattedrale di Palermonel quale Valenti aveva previsto la demoli-zione della cupola del Fuga per costruirneun’altra, in stile normanno, sulla scorta del-

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169. La Loggia dell’Incoronazione prima degli interventi di restauro. (controllare didascalia)

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le indicazione tratte da un antico sigillo, cheera stato, a tale scopo, dallo stesso architet-to, alterato.

All’indomito Nino Basile, studioso e ge-loso custode del patrimonio artistico dellacittà, spetterà il compito di intraprendereun’accanita difesa della Cattedrale, respin-gendo l’idea che si potesse realizzare una«cupola immaginaria», causando ulterioriscempi all’edificio; difesa che lo travolse in

una causa giudiziaria proprio contro Fran-cesco Valenti107.

Nel narrare gli avvenimenti salienti dellariforma architettonica ed urbana sul finiredell’Ottocento a Palermo, si intrecciano ine-vitabilmente le ricostruzioni di vicende dipersonaggi, di eventi e di circostanze, che ciconsentono l’individuazione delle direttricidi fondo di quel dibattito teorico che anima-va la cultura della città.

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170. La Loggia dell’Incoronazione prima degli interventi di restauro. (controllare didascalia)

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1 Cfr. S. Troisi, Vedute di Palermo, Palermo 1991.2 Cfr. C. de Seta, Il luoghi della città e forma urbis, in

S. Troisi, Vedute di Palermo, Palermo 1991.3 Cfr. “Giornale di Sicilia” dal 19 al 26 dicembre 1907. 4 Agli inizi del Novecento il cavalier Eugenio Intergu-

glielmi trasferì il gabinetto fotografico e la propriaabitazione in via Cavour, in un palazzetto ad angolocon piazza Valenti.

5 Cfr. G. Di Benedetto (a cura di), La città che cambia.Restauro e riuso nel centro storico di Palermo, Paler-mo 2001.

6 Il dato è tratto dal censimento del 1873 della Dire-zione Statistica del Municipio di Palermo.

7 Cfr. “Statistica delle Chiese della Città di Palermo esuoi dintorni dipendenti dalle soppresse corpora-zioni religiose che dovrebbero chiudersi al cultogiusta le determinazioni prese dalla CommissioneProv.le nella seduta 18 Settembre 1867”, Archiviodi Stato di Palermo (d’ora in poi ASP), Prefettura –Archivio Generale di Palermo, vol. 24.

8 Cfr. Delibera del Consiglio comunale del 6 ottobre1861, “Oggetto: votazione di tredici articoli scaturi-ti dalle proposte della Commissione per i lavoripubblici”. Il Consiglio approvava all’unanimità gliarticoli e disponeva l’ordine di priorità delle opereda realizzarsi, ASP, Prefettura di Palermo, anni1860-1865, vol. 273.

9 Articolo 8 della delibera del Consiglio comunale del6 ottobre 1861, ASP, Prefettura di Palermo, anni1860-1865, vol. 273.

10 Cfr. Rapporto della Commissione per le OperePubbliche al Consiglio comunale, 8 settembre1861, ASP, Prefettura di Palermo, anni 1860-1865,vol. 273.

11 G. Guarneri, Guida della città di Palermo, Palermo1902, p. 108.

12 Cfr. R. La Duca, Cercare Palermo, Palermo 1998,pp. 52-54.

13 G. Di Benedetto, G. Pizzuto, Il palazzo dei principiNaselli ad Aragona, Agrigento 1995.

14 ASP, Supplica di Baldassare Naselli, principe di Ara-gona, Real Segreteria di Stato presso il Luogotenen-te Generale di Sicilia, Incartamenti vol. 5312, Sog-giogatori del principe di Aragona.

15 Nel registro generale della Deputazione sono com-prese ben 67 famiglie patrizie tra cui: i Branciforteprincipi di Butera, i Lucchessi Palli principi di Cam-pofranco, i Burgio principi di Viallafiorita, i Reque-senz principi di Pantelleria, i Paternò Trigona mar-chesi di Spedalotto, i conti di Gallidoro, i Del Boscoprincipi di Castrofilippo e Belvedere, i Settimoprincipi di Fitalia, i Napoli principi di Resuttana, iCutelli marchesi della Rataja, i Termini di Baucina edi Montemaggiore, i principi di Granatelli, i Mi-gliaccio Moncada principi di Malvagna, i Calvelloduchi di Melia, i marchesi Ugo della Favara, i Ben-so duchi di Verdura, i Starrabba principi di Giardi-nelli, i Gioeni duchi d’Angio, i Filangeri principi diCutò, i Santostefano marchesi della Cerda, i princi-pi di Cassaro, i Colonna duchi di Cesarò, i Gravinaprincipi di Comitini, i Gravina di Montevago, i Bec-cadelli di Altavilla, i Gravina principi di Palagonia,i Celestri marchesi di Santa Croce, i Lucchesi PalliAragona principi di Furnari, i principi di Partanna.

16 La Casa Gesuita di San Francesco Saverio, dettadella “Terza probazione”, aveva sostituito insiemeagli ospedali già citati, l’antico “Ospedale Grande”situato nel trecentesco palazzo Sclafani.

17 G. Battaglia, Guida amministrativa di Palermo, Pa-lermo 1902, p. 155.

18 Cfr. Annuario generale del commercio, Palermo1973, pp. 315-316.

19 Cfr. S. Abbate Migliore, Annuario del Commercio edell’Industria della Magistratura e dell’Amministra-zione ossia almanacco degli indirizzi della città di Pa-lermo e dei comuni di Sicilia pel 1854, Palermo 1854.

20 Cfr. G. Guarneri, Op. cit.21 Secondo la relazione della commissione consolare

per il risanamento del centro storico il catoio vienecosì definito: “Un ambiente angusto, con il suolotalvolta nudo, spesso sottoposto al piano stradale,

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Note

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unica luce la porticina d’ingresso che dà in una tor-tuosa viuzza, o in un cortile; qualche fiata al di so-pra della porta un finestrino, mura umide, soffittobasso di legname, un tubo di creta ad un angolo chefunge da cesso, un misero fornello all’altro”. Inqueste abitazioni dalle condizioni igieniche più cheprecarie, conducevano la loro esistenza circa no-vantamila abitanti dei quasi duecentomila residentinel centro storico agli inizi dell’ottavo decennio del-l’Ottocento.

22 E. Onufrio, Guida pratica di Palermo, Milano 1882,p. 14.

23 La presenza di una “casina” ricavata sopra il bastio-ne Vega, appartenente ai principi Bonanno, è atte-stata sin dal 1673. Essa, per consuetudine familiare,era goduta dal primogenito del principe di Cattoli-ca che assumeva il titolo di duca di Misilmeri. A piùriprese la casina venne rinnovata e ulteriormenteingrandita.Importanti furono i lavori realizzati nel 1793 su pro-getto dell’architetto Domenico Fogazza Furetto edesecuzione dal mastro Salvatore La Gala.

24 In particolare si fa riferimento: alla incisione del“Prospetto della Piazza de’ Bologni di Palermo”, diAntonino Bova, contenuta nell’opera a stampa diArcangiolo Leanti, Lo stato presente della Sicilia,edita a Palermo nel 1761; alle incisioni di FrancescoCichè, allegate all’opera di Pietro Vitale, La Felicitàin trionfo sull’arrivo, acclamatione e coronatione del-le reali Maestà Vittorio Amedeo duca di Savoja e diAnna d’Orleans (Palermo 1714), raffiguranti i pro-spetti del Seminario dei Chierici, dei palazzi di Ca-simiro Drago presidente del Concistoro, del mar-chese di Geraci, del barone Tarallo; alle incisione diGiuseppe Vasi, contenute nell’opera di Pietro LaPlaca, La Reggia in trionfo per l’acclamazione, e co-ronazione della Sacra Real Maestà di Carlo, rappre-sentante i prospetti dei palazzi del principe di Bel-monte e di Antonino Agliata barone di Solanto

25 G. Di Benedetto, La riforma dei suoli: il piano per lavia Toledo, in M. Aprile, Palermo Panormus, 1996,p. 61.

26 Ibidem, p. 62.27 ASP, Programma per il progetto di Piazza Santo Spi-

rito, Ministero e Real Segreteria di Stato presso ilLuogotenente Generale della Sicilia, Interno (se-condo carico), filza 1472.

28 “I progetti relativi alla decorazione del largo SantoSpirito che il Consiglio Edilizio inviava all’Inten-denza il 14 aprile 1859 n. 222, del di cui autore si ci-tasi in quel foglio il solo architetto Patricolo, furonodallo stesso Intendente rassegnati al governo di allo-ra con rapporto del 27 aprile del 1859, n. 5054. Ciòho dovuto rilevare dalle carte della cessata Inten-denza esistenti nell’archivio di questa Segreteria delgoverno principale, dalle quali risulta ancora checon ministeriale del 2 agosto 1859 accennandosi il

recapito di quei progetti, ne venne restituito uno so-lo, quello cioè del Sig. Basile che meglio poi, in raf-fronto con gli altri presentati alla detta Intendenzafu superiormente prescelto con Ministeriale dell’11agosto 1859 n.4411 con alcune modifiche”, letteradel Pretore di Palermo al Presidente del ConsiglioEdilizio, Palermo 7 gennaio 1861, ASP, Prefetturadi Palermo, vol. 273, anni 1860/65.

29 Basile nella prima versione del suo progetto colloca-va la fontana in asse con la via Butera; di conseguen-za per ritrovare una corrispondenza tra il semicer-chio della conca a verde, da lui prevista, e il prospet-to sulla via Toledo dell’Ospedale di Santo Spirito,prevedeva il prolungamento di quest’ultimo verso laCasa dei Padri Teatini della Catena. Giachery inve-ce osservava come la ricerca di una corrispondenzaassiale con la via Butera era assolutamente seconda-ria rispetto alle relazioni geometriche da stabilirecon gli edifici del Cassaro. Per questo impose al Ba-sile “di prendere la lunghezza di quella parte delfabbricato di Santo Spirito, che forma la massa prin-cipale, e trasportata parallelamente, senza niunospostamento trasversale, servirsene da diametro delsemicerchio nella sua concavità e del bordo esternodella rampa in guisa tale che non alterandosi la lar-ghezza semicircolare diverrebbe più grande dellaproposta”. Cfr. ASP, Ministero e Real Segreteria diStato presso il Luogotenente Generale della Sicilia,Interno (secondo carico), Opere pubbliche comu-nali, filza 1617, anno 1860.

30 Cfr. Lettera dell’Intendente della Provincia di Pa-lermo al Luogotenente Generale di Sicilia, 21 aprile1860, ASP, Ministero e Real Segreteria di Stato pres-so il Luogotenente Generale della Sicilia, Interno(secondo carico), Opere pubbliche comunali, filza1617, anno 1860.

31 Cfr. ASP, Intendenza della Provincia di Palermo,Opere pubbliche a Palermo, anni 1859-1860, filze1168, 1187.

32 Il duca Giulio Benso della Verdura, che aveva pre-ceduto Salesio Balsano nella guida del Comune al-l’indomani della conquista garibaldina (28 maggio1860), si era fregiato, come da tradizione, del titolodi Pretore della città.

33 Cfr. “Quaderno con le condizioni per dare in appal-to le opere di murifabbro e scalpellino per la costru-zione della gradinata e dei plinti ed altro nello ingres-so del vicolo della Zecca dalla parte di Santo Spirito”(redatto dall’architetto comunale Pietro Raineri, Di-rettore dei lavori), Palermo 18 agosto 1861, ASP, Pre-fettura di Palermo, anni 1860-1865, vol. 273.

34 L’Ospedale Grande era stato abolito già nel 1852 etrasferito in parte nell’ex Casa Gesuitica di SanFrancesco Saverio all’Albergheria.

35 Nel 1850 l’architetto Carlo Giachery, per incaricogovernativo, redasse un progetto di ampliamento edi trasformazione dell’edificio. I lavori, iniziati lo

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stesso anno, proseguirono sino al 1853, alterando laconfigurazione planimetrica e l’aspetto complessivodell’originario palazzo nobiliare.

36 Con l’abolizione nel 1782 della Santa Inquisizione,iniziava per lo Steri e per le fabbriche adiacenti unnuovo periodo segnato dalla trasformazione in sedeprovvisoria del Rifugio per Poveri detto di “SanDionisio” e in sede dell’Impresa del Lotto, successi-vamente trasferita nel limitrofo palazzo Niscemi.All’inizio dell’Ottocento l’intero complesso vennetrasformato in Palazzo dei Tribunali.

37 Il progetto e la direzione dei lavori del nuovo Palaz-zo delle Finanze furono affidati all’architetto Em-manuele Palazzotto che li eseguì tra il luglio del1841 e l’agosto del 1844. Durante il governo borbo-nico l’edificio ospitò la Direzione Generale dei Ra-mi e dei Diritti diversi per la Sicilia, la Procura del-la Gran Corte dei Conti e il Governo della Cassa diCorte di Palermo.

38 Le vicende edilizie del palazzo della Zecca risalgonoal 1699, quando il viceré duca di Veragnos, dopoaver acquistato alcune case nel piano della Marina,poneva lì la prima pietra dell’edificio da adibire aStabilimento della Regia Zecca. I lavori, diretti dal-l’architetto Giuseppe Massa, procedettero con ala-crità, e circa dopo un anno furono portati a terminecon un costo di 5.300 onze. Nel 1837 il palazzo ces-sava la sua attività divenendo sede, dopo circa un de-cennio, della Consulta Generale della Sicilia, istituitain Palermo con atto sovrano del 27 settembre 1849.Per tale ragione si resero necessarie alcune opere diriammodernamento e di trasformazione del comples-so edilizio che furono affidate all’architetto SalvatoreSalvaggio. Nel 1858 vi fu istituito l’Archivio dei notaidefunti. Soltanto dopo il 1860 venne adibito a sededegli uffici della Regia Intendenza di Finanze.

39 Con l’abolizione del carcere della Vicaria e la crea-zione di un nuovo penitenziario nel piano dell’Uc-ciardone, l’edificio della Gran Guardia fu adibito aposto di polizia. Di proprietà del demanio, era am-ministrato dall’Orfanotrofio Militare della provin-cia di Palermo che spesso lo dava in affitto. Dopol’unità d’Italia l’intero complesso fu alienato in favo-re di privati che lo ampliarono facendogli assumerel’attuale configurazione.

40 Col Reale Dispaccio del febbraio 1814, confermatoe migliorato con Regio Decreto del 1843, fu istitui-to un “grande archivio” in ogni capoluogo di pro-vincia per la raccolta di tutti i documenti provenien-ti dai vari archivi aboliti, dalle pubbliche ammini-strazioni allora vigenti, compresa la LuogotenenzaGenerale del regno.

41 N. Basile, Palermo Felicissima, Palermo 1939, vol.III, p. 112.

42 G. Di Benedetto, Il Castello a mare e la storia urba-na, in A. Torricelli, Il Castello a mare di Palermo, Pa-lermo 1993, p. 33.

43 L’avvocato Filippo Santocanale aveva acquistato ilpalazzo nel gennaio del 1847 dagli eredi di GaetanoBalestrini, incaricando successivamente Giovan Bat-tista Filippo Basile di redigere un progetto di rifor-ma complessiva dell’edificio. Il palazzo, in origine,era stato edificato da Margherita Galletti Onofrio suiresti della casina appartenuta agli Amato principi diGalati; fu quindi ereditato da monsignor GiovanniPietro Galletti, vescovo di Arcadiopoli, morto nel1791, e da questi venne in possesso ad AlessandroGalletti, principe di Soria e marchese di Santamari-na. Secondo quanto annotato da Francesco MariaEmanuele, marchese di Villabianca, nel suo Del Pa-lermo d’oggigiorno: «Nel recinto di questa casa vi fula porta antica di Palermo detta del Molo vecchio,che chiusa rimase all’apertura di porta Felice».

44 Atto di vendita del baluardo e della casina sopraPorta dei Greci di proprietà degli eredi di Giusep-pe Bonanno, principe di Cattolica, a Ergiminio Bo-nomo nel 1833, ASP, Notaio Salvatore Epiro Zum-mo, vol. 40835.

45 Erano eredi del principe Giuseppe Bonanno: i figliFrancesco Antonio (erede universale) e Marianna,la moglie Teresa Moncada, nella duplice veste di ve-dova e di tutrice del figlio interdetto Giuseppe, eSaveria Esposito, vedova, erede usufruttuaria di Sal-vatore Bonanno duca di Foresta, secondogenito diGiuseppe, nonché tutrice dei figli Francesco Paolo,Raffaella e Teresa Bonanno.

46 ASP, Notaio Salvatore Epiro Zummo, vol. 40835.47 Ibidem.48 ASP, Notaio Salvatore Epiro Zummo, vol. 40832,

atto del 9 giugno 1831.49 G. Caldara, Manuale Teorico pratico di architettura

civile, Palermo 1879.50 Ascp, Lavori Pubblici, sez. C-1, voll. 1881-1882, an-

no 1842-1854. Sul palchetto della musica cfr.: M. LiCastri, D. De Angelis Ricciotti, Il teatrino della Musi-ca al Foro Italico. Storia e restauri, Palermo 1997; G.Di Benedetto, Palchetto della Musica al Foro Italico,in Id., La città che cambia. Restauro e riuso nel centrostorico di Palermo, Palermo 2000, vol. I, pp. 493-500.

51 Andrea Gigante e Vincenzo Trombetta discendeva-no da due note famiglie di architetti (Andrea e Teo-doro Gigante, Pietro Trombetta) ed erano stati en-trambi allievi di Giuseppe Venanzio Marvugliaavendo frequentato i corsi di Architettura Civiledella Facoltà Filosofica e Letteraria dell’Universitàdegli Studi di Palermo, rispettivamente, nel 1808-1809 e nel 1811-1812.

52 Cfr. ASP, Notaio Gaetano Bonerba da Palermo.53 Cfr. L. Giachery, Piazza Marina e alberghi di Paler-

mo nel secolo scorso, Palermo 1923.54 Cfr. R. La Duca, Il Castello a mare di Palermo, Pa-

lermo 1980.

NOTE

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55 Cfr. G. Di Benedetto, Il Castello a mare e la storiaurbana, in A. Torricelli, Op. cit., pp. 21-36.

56 Le notizie sulle proprietà dei palazzi sono tratte daASP, Regia Delegazione Speciale per la compilazionedei Catasti, estratti degli articoli del Catasto riferibi-li ai possessori di beni immobili, Palermo: Manda-mento Castellammare, sezione urbana “U”.

57 G. Di Martino, Cenno sulla gran Dogana e Casa Sa-nitaria sul prolungamento del braccio della Garitta,di una nuova statera matematica e di un novello tea-tro per Palermo, Stabilimento tipografico Carini, Pa-lermo 1853.

58 Cfr. G. Di Benedetto, La scuola di architettura di Pa-lermo, 1779-1865, Roma 2007; G. Cianciolo Cosen-tino, Serradifalco e la Germania, Benevento 2004.

59 Cfr. G. Di Benedetto, Il “Bureau” architettonico del-la Sovrintendenza Ponti e Strade: una scuola di spe-cializzazione post laurea, in «Lexicon» n. 0, dicem-bre 2000.

60 Cfr. G. Di Benedetto, La scuola di architettura di Pa-lermo, 1779-1865, cit.

61 Cfr. «Inventario del Museo di Antichità e Belle Artidella regia Università degli Studi di Palermo», inArchivio di Stato di Palermo (d’ora in poi ASP),Commissione Suprema Pubblica Istruzione, Affari ge-nerali, vol. 539, anni 1837-1852; «Rapporti per l’ac-quisto delle opere del pittore Velasquez, della colle-zione Testa, del museo del barone Astuto e di unquadro appartenente a Gioacchino di Marzo», inASP, Commissione Suprema Pubblica Istruzione, Af-fari diversi, vol. 512, anni 1826-1860.

62 Cfr. «Verbali dei Congressi della Regia Deputazio-ne dell’Università degli Studi del 13 giugno 1859 edel 30 luglio 1859», in ASP, Commissione SupremaPubblica Istruzione, Affari diversi, vol. 512, anni1826-1850.

63 Il successivo smembramento delle collezioni del Mu-seo Nazionale, in particolare della sezione medieva-le e moderna, consentirà la creazione della GalleriaNazionale (oggi Regionale) di Palazzo Abatellis.

64 Cfr. Archivio Generale dell’Ateneo di Palermo (d’o-ra in poi AGAP), «Stato dei soldi, soprasoldi, in-dennità ed altri averi dovuti ai seguenti Professoried impiegati [...]», Cautele della Regia Universitàdegli Studi di Palermo, Salariati, anno 1846.

65 Cfr. Archivio Notarile distrettuale di Termini Imere-se Palermo (d’ora in poi ANT) Carlo Giachery, «Re-lazione preventiva di tutte le opere necessarie onderidurre il magazzino esistente nel prospetto del RealOrto Botanico sulla dritta, nella forma e decorazio-ne simili a quella che si adotteranno nel nuovo ma-gazzino da erigersi dall’altro lato e per come vienenel disegno indicato», contratto di appalto stipulatodal notaio Michele Tamaio il 9 luglio 1938; cfr. Car-lo Giachery, «Piano d’arte da cui si rileva il modo co-me costruirsi un magazzino a seconda del disegno

che al presente si accompagna in uno degli angoli delprospetto del Real Orto Botanico addossato al muroche lo divide dalla Villa Giulia», contratto di appal-to stipulato dal notaio Michele Tamaio, cit. I lavori dicostruzione furono assegnati dal capo mastro Giu-seppe Rosano e vennero ultimati nell’agosto del1839. Cfr., AGAP, Cautele per conto dei Regi Studida gennaio a dicembre 1839, vol. 61, tomo II.

66 Cfr. Relazione delle opere redatta da Carlo Gia-chery ed allegata al contratto d’appalto stilato dalnotaio Michele Tamaio il 6 agosto 1845, ANDT. Ilavori furono eseguiti dai capi mastri Michele Man-dalà e Antonio La Grotta che li ultimarono nel feb-braio del 1846, cfr. AGAP, Cautele per conto dei Re-gi Studi, anno 1846, vol. 68.

67 Cfr. AGAP, «Relazione di varie opere […] eseguitedal capo Mastro Salvatore Casano […] al fine di re-staurare taluni devasti prodotti dalla caduta dellabomba e da quelli prodotti dalle squadre che vi sog-giornarono durante due mesi […]», 11 maggio 1848,Cautele per conto dei Regi Studi, anno 1848, vol. 70.L’ordigno esploso dai cannoni borbonici avevasquarciato la volta degli uffici della Cancelleria.

68 Cfr. AGAP, Cautele per conto dei Regi Studi, anno1850, vol. 72.

69 Le opere furono appaltate dal capomastro Giusep-pe Patricolo, cfr. AGAP, Cautele per conto dei RegiStudi, anno 1854, vol. 76.

70 Cfr. Relazione di accompagnamento al progetto diun teatro anatomico nei locali dell’Ospedale Grandedi Palermo elaborato da Carlo Giachery, ASP, Mini-stero e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenen-te Generale di Sicilia, Interno, vol. 2568, anno 1852.

71 G. Bozzo, Biografia del prof. Carlo Giachery, in«Nuove Effemeridi Siciliane di Scienze, Lettere edArti», Palermo 1869-1874, pp. 373-380, 422-428.

72 Cfr. «Relazione del progetto che si presenta da noiinfrascritti architetti per la esecuzione del nuovoTeatrino di Musica nel Foro Borbonico secondo ilnuovo modello in stile gotico fatto d’ordine di SuaEcc. il Duca di Sammartino Intendente» del 30 ago-sto 1829, firmata da Domenico Cavallari Spadafora,Alessandro Emmanuele Marvuglia e Nicolò Raineri,in Archivio Notarile distrettuale di Palermo (d’orain poi ANP), Notaio Girolamo Lionti, vol. 3535.

76 Alcune di queste colonne provenivano dal prece-dente teatrino di Paolo Amato.

74 Cfr. «Relazione del progetto che si presenta da noiinfrascritti architetti per la esecuzione del nuovoTeatrino di Musica nel Foro Borbonico secondo ilnuovo modello in stile gotico fatto d’ordine di SuaEcc. il Duca di Sammartino Intendente» del 30 ago-sto 1829, in ANP, Notaio Girolamo Lionti, cit.

75 Al momento della sospensione dei lavori era statorealizzato il primo dei due ordini di cui doveva com-porsi il teatrino.

PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ ENTRO LE MURA

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76 Quattro colonne del demolito teatrino neogotico,dotate di nuovi capitelli dorici, furono, in seguito,utilizzate per incorniciare il portale d’ingresso del-l’Ospizio di Beneficenza («Deposito di Mendicità»)nella Villa Oneto di Sperlinga a Malaspina. Cfr.scheda Ospizio di Beneficenza nella Villa Oneto diSperlinga, a cura di G. Di Benedetto, in M. Giuffrèe M.R. Nobile (a cura di), Palermo nell’età dei neo-classicismi, Palermo 2000; M. Li Castri, D. De An-gelis Ricciotti, Il Teatrino della Musica al Foro Itali-co. Storia e restauri, Palermo 1997.

77 Cfr. M. Patricolo, Osservazioni sul progetto del nuo-vo Teatro per Palermo pubblicato nell’ottobre del1841 dirette agli illustri Decurioni di questo Comune,Console, Palermo 1845.

78 L’idea di un teatro, chiamato pretenziosamenteVauxhall, da realizzarsi a piazza Marina, nasce dal-l’iniziativa di alcuni nobili palermitani riuniti in unasocietà presieduta dal principe di Trabia. Il proget-to, redatto da Dufourny e comprensivo dei costi, fuaccantonato a causa della esigua somma raccolta daisottoscrittori dell’iniziativa. I disegni lasciati dall’ar-chitetto francese sono comunque di estremo inte-resse. In particolare si fa riferimento ad alcune an-notazioni sul modo in cui dovevano essere realizza-te le decorazioni, ricorrendo, per esempio, a citazio-ni tratte dai monumenti della città: «utilizzare la lu-netta araba della Zisa». Cfr. L. Dufourny, Diario diun giacobino a Palermo 1789-1793, Op. cit.

79 M. Patricolo, Cenno sul progetto di un nuovo teatroper Palermo, Palermo 1841.

80 «[…] pure molte risorse esso ci offre all’allargamen-to di cui parlasi e precisamente del fianco destro dichi guarda il prospetto, […] colà con buon succes-so possono concentrarsi gran parte delle principaliofficine, mentre, nella porzione centrale del pro-spetto, un nuovo fabbricato servirà a racchiudere ivari ingressi come il portico, i vestiboli le scale, le sa-le ed altri corpi necessari. Ad ottenere poi una piaz-za ben proporzionata e all’uopo confacente, con mi-nore agevolezza lo atterramento di quelle piccoleproprietà che servono a chiudere parte dello spazioscoverto (sic!) aggregato al palazzo dei principi diFitalia», M. Patricolo, Osservazioni sul progetto delnuovo teatro per Palermo, cit., p. 7.

81 M. Patricolo, Op. cit., p. 6.82 Ibidem.83 Archivio Storico del Comune di Palermo (d’ora in

poi ASCP), Sulla Costruzione del teatro, Delibera-zioni del Decurionato di Palermo, n. 76 del 9 ago-sto 1851.

84 Ibidem.85 Ibidem.86 G. Di Martino, Op. cit., p. 13.87 Ibidem.

88 Cfr. A.J. Lima, Op. cit., G. Fatta. M.C. Ruggieri Tri-coli, L’età del ferro, Palermo 1983.

89 Cfr. scheda Carcere nell’Arsenale al Molo, a cura diG. Di Benedetto, in M. Giuffrè e M.R. Nobile (a cu-ra di), cit.

90 Cfr. scheda Carcere nella Quinta Casa di probazioneal Molo dei Padri Gesuiti, a cura di G. Di Benedet-to, in M. Giuffrè e M.R. Nobile (a cura di), cit.

91 Il generale Vito Nunziante, dopo i moti del 1820, inconsiderazione del fatto che nel quartiere dellaConceria si erano rifugiati molti dei «perturbatoridell’ordine pubblico», ordinò la chiusura dei nume-rosi sotterranei e il trasferimento, fuori città, delleattività di conciatura delle pelli.

92 N. Basile, Palermo Felicissima, vol. III, Palermo1938, p. 258.

93 Cfr. ASP, «Pianta e prospetto in cui si dimostra ilprogetto di ridurre le due Piazze dette della Conce-ria e di S. Margherita in una gran Piazza per uso dimercato eseguito d’ordine di S. E. Sig. TenenteGen. Nunziante, e del Direttore della Real Segr.aIll.e Signor Marchese Pasqualino».

94 Nino Basile, nel suo libro Palermo Felicissima, vol.III, sostiene che i lavori ebbero inizio il primo feb-braio 1822. In realtà, la prima stesura del progettodi Di Martino, accompagnata dalla relazione esti-mativa dei costi, è del 16 marzo 1822. Il progettodefinitivo venne approvato con Real Rescritto del12 aprile 1823.

95 Nel giugno del 1898, tutte le opere d’arte e gli arre-di sacri custoditi nella chiesa di Santa Margheritafurono trasferiti nella vicina chiesa di Santa Ninfadei Crociferi, divenuta parrocchia.

96 Le facciate di entrambi gli edifici, che sorgevano apiazza San Domenico (già piazza Imperiale), co-struite secondo uno stesso disegno, vennero realiz-zate tra il 1736 e il 1737 con il concorso finanziariodel Tribunale del Real Patrimonio.

97 Cfr. ASP, Ministero e Real Segreteria di Stato pres-so il Lugotenenete Generale di Sicilia, Lavori Pub-blici, vol. 1021. Il progetto fu approvato con mini-steriale del 27 novembre 1843 per una spesa di6.300 ducati. I lavori di realizzazione furono appal-tati da capomastro Giuseppe Mirabella e si conclu-sero il 28 giugno 1844.

98 Cfr. G. Di Blasi, Storia cronologica dei Viceré, Luogo-tenenti e Presidenti del Regno di Sicilia, Palermo1842; A. Gallo, Notizie intorno agli architetti sicilia-ni ed esteri soggiornanti in Sicilia dai tempi antichi fi-no al corrente anno 1838, ms. della Biblioteca Cen-trale della Regione Siciliana ai segni XV H 1.4.

99 ASP, N. Puglia, «Capitoli per condurre a compi-mento le opere necessarie alla decorazione dell’ap-partamento di S.M. detto del Duca di Calabria inquesto Palazzo a Palermo […]» del 7 aprile 1832.

NOTE

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100 Sui lavori di restauro eseguiti da Nicolo Puglia sulprospetto della Torre Pisana e sulla Cappella Palati-na cfr. D. Malignaggi, Documenti, in AA.VV., Il Pa-lazzo dei Normanni, Palermo 1991, pp. 307-311; A.Abbadessa, Tre allievi di Giuseppe Venanzio Marvu-glia, Palermo 1999, pp. 43-47; M. Giuffrè, M.R. No-bile (a cura di), Palermo nell’età dei neoclassicismi,Palermo 2000, pp. 47.

101 Sino alla prima metà del secolo XVII il piano dellaCorte o del Pretore corrispondeva con l’attualepiazza Bellini.

102 Cfr. A.M. Fundarò, Giuseppe Damiani Almeyda. Trearchitetture tra cronaca e storia, Palermo 1999.

103 Cfr. AGAP, Francesco Saverio Cavallari, Progetto diripari dell’imposta sinistra di chi guarda l’Abside dellaCappella del Real Palazzo di Palermo con le modificheproposte dalla maggioranza della Commissione, Paler-mo, Palermo, agosto 1873, ms. non inventariato.

104 Ibidem.

105 AGAP, G.B. Filippo Basile, Parere sul modo di ripa-razione del peduccio della Cappella palatina, Palermo28 aprile 1873, ms. non inventariato.

106 «Il Precursore di Palermo – Giornale politico quo-tidiano», 19 marzo 1873. Sull’attività di architetto,archeologo e teorico di Francesco Saverio Cavalla-ri si veda G. Cianciolo Cosentino, Francesco Save-rio Cavallari architetto, tesi di Dottorato di Ricercain Storia dell’Architettura e conservazione dei Be-ni Architettonici, Università degli Studi di Paler-mo, 2003.

107 Cfr. N. Basile, Sulla pretesa della cupola della Catte-drale di Palermo. Il sigillo plumbeo e il Tempio diGualtiero II, in «Giornale di Sicilia» del 29 marzo1934; N. Basile, La cupola immaginaria della Catte-drale di Palermo, Palermo 1935.

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