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Giornate italo-francesi di psicomotricità e riabilitazione neuro psicomotoria: "I gesti che curano" Milano, 4, 5, 6 Aprile 2014 Éric PIREYRE, ISRP (Institut Supérieur de Rééducation Psychomotrice) Paris e Marseille, Paris VI, Lille, Toulon e Rouen Psicomotricista

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Page 1: Giornate italo-francesi di psicomotricità e riabilitazione ...In psicomotricità, questo ragionamento è senz’altro sempre valido. Ma Christophe e Agnès raccontano anche a loro

                             

Giornate italo-francesi di psicomotricità

e riabilitazione neuro psicomotoria:

"I gesti che curano"

Milano, 4, 5, 6 Aprile 2014

Éric PIREYRE, ISRP (Institut Supérieur de Rééducation Psychomotrice) Paris e Marseille, Paris VI, Lille, Toulon e Rouen Psicomotricista

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Il crollo e la paura del crollo Lo psicomotricista e la caduta

CHRISTOPHE HA CINQUE ANNI. È un bambino affetto da una severa iperattività che, nel suo caso, è mossa da alcuni elementi di tipo psicotico. L’équipe del CMPP (Centro Medico-Psico-Pedagogico) valida una terapia psicomotoria. Sono molto preoccupato perché spesso il bambino salta da un’altezza che a volte supera il doppio della sua statura, prendendo grossi rischi. È molto abile e non si fa male, ma preferisco rimanere vicino a lui. Per far fronte ad ogni evenienza, propongo le mie mani ma lui le rifiuta. Dopo aver saltato si lascia cadere giù e, soltanto dopo qualche seduta, capisco che fa il morto. A volte è totalmente ipotonico. Mi avvicino per proporgli il mio aiuto ma lo sento terribilmente angosciato. A volte riesce ad aprire gli occhi ma evita il mio sguardo. Alla fine si rialza da solo e, terrorizzato, ricomincia ad arrampicarsi e a buttarsi giù. È prigioniero di un’angoscia fenomenale che lo spinge a mettersi in pericolo. Non mi considera mai come una risorsa per aiutarlo. A volte appoggia la schiena alla lavagna e vi traccia col gessetto, scivolando giù, una linea verticale1. Come se non riuscisse a trovare un appoggio. Agnès, una studentessa, ha delle difficoltà con i tempi dedicati al rilassamento. Un giorno si alza durante un esercizio, pallida, lo sguardo perso. Aspetta che il resto del gruppo “ritorni” e racconta cosa le è accaduto. “Mi sentivo malissimo, avevo un lato più pesante dell’altro. Il lato pesante tendeva ad affondare “nel” tappeto. Il lato leggero mi dava l’impressione di “decollare”. A poco a poco, i due lati sono diventati pesanti. Ma non è tutto! Dopo un po’, ho avuto l’impressione di affondare nel pavimento, anzi, di sfondarlo. Ho avuto la sensazione che sarei caduta giù senza fine attraverso i piani. Posso uscire un attimo per favore?”. Per un attimo, Agnès ha perso i suoi appoggi. Alice gioca nel giardino mentre sua sorella maggiore è assorta in un libro che la bambina ritiene noioso perché “senza figure né dialoghi”. Lascia lo sguardo errare qua e là, quando vede affrettarsi un coniglio bianco con un orologio da tasca, che sparisce nella sua tana. Alice lo rincorre e, avvicinandosi troppo, scivola nella tana anche lei. La caduta di Alice si rivela lenta e ricca di incontri e di riflessioni. Lewis                                                                                                                          1 Alcuni bambini, quando sono invitati a disegnarsi, tracciano una linea verticale o una spirale.

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Carroll fa una lunga e minuziosa descrizione di questa caduta, che chiameremo crollo, paragonabile a quella sperimentata da Christophe e Agnès, e che possiamo osservare anche in un bebè sotto forma di crollo tonico durante un episodio di improvvisa rottura relazionale. Per il bebè, questo fenomeno non è patologico se non si presenta troppo spesso e se è ben tollerato. Tutti questi personaggi sperimentano, ognuno a suo modo, un fenomeno chiamato crollo. Il crollo rimanda all’annientamento del tono posturale, cioè della forma tonica che ci permette di stare in piedi e che garantisce un sostegno contro la forza di gravità ogni volta che cambiamo posizione o che compiamo un gesto. Tuttavia, occorre fare una distinzione tra il crollo (in quanto manifestazione tonica comune per un bambino) e la paura del crollo. La paura del crollo, quando è massiva, ostacola lo sviluppo dell’immagine del corpo e impedisce all’involucro corporale, in quanto costruzione psichica immediatamente consecutiva e necessaria al bebè per diventare un soggetto, di diventare “solido” e contenitivo. Se questa paura si manifesta, vuol dire che il crollo – tonico – si è già verificato. I pazienti che vivono con questa paura incontrollabile cercano di capire e temono nuove esperienze; non sono in grado di ricordare l’evento che ha avuto luogo in passato. Winnicott (2000) ne ha spiegato il meccanismo. Tuttavia, mentre descrive in modo preciso i meccanismi psichici della paura del crollo, allude solo brevemente a quello che succede nel corpo. La piccola Alice di Lewis Carroll illustrerà per noi una parte delle idee dello psicoanalista inglese, che disse anche lui: “Se c’è del vero in quello che sto per dire, i poeti del mondo se ne saranno già impossessati”. Winnicott e la paura del crollo Secondo l’autore, “cadere senza fine è un’angoscia dissecante primitiva”. “dissecante” viene dal verbo dissecare, mentre “primitiva” fa pensare agli albori della vita psichica. “Cadere all’infinito”2 è l’espressione usata da Lewis Carroll: “La caduta di Alice era molto lenta […]. Sarebbe mai finita questa caduta?”

                                                                                                                         2   Tutte le citazioni tratte da Alice nel paese delle meraviglie si riferiscono all’episodio della caduta nella tana del coniglio.

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Con la nozione di angoscia primitiva, ritroviamo le ipotesi precedenti riguardo all’immaturità fisiologica e psichica del bebè. Secondo Winnicott, “È possibile che il crollo abbia avuto luogo a uno stadio precoce della vita del soggetto”. E “Sostengo che la paura clinica del crollo è il timore di un crollo che è già stato sperimentato”. Il ruolo dell’”ambiente” è di aiutare il bebè a superare questa esperienza. Questo avviene tramite “un holding che diventa un handling al quale si aggiunge la presentazione dell’oggetto”. Quando tutto va bene, l’Io si organizza senza posizionamento particolare rispetto alla paura del crollo. Quando tutto va male - in quel caso, Winnicott non avanza nessuna ipotesi esplicativa – “l’Io organizza delle difese contro il proprio crollo; è dunque la sua organizzazione ad essere minacciata”. Al crollo si sostituisce la paura del crollo. Ciò significa che il soggetto tiene conto dell’eventualità del crollo, ha paura di quell’eventualità e si comporta in tal modo da evitarlo. Questo, naturalmente, in modo inconscio3. In altri termini, la paura riguarda un evento passato che non deve essere ripetuto ma di cui non sussistono tracce nella memoria: “Questa cosa del passato non è ancora avvenuta perché il paziente non era lì quando essa accadeva”. Con questa frase, Winnicott vuole dire che in quel periodo “il bambino non ha ancora dissociato il “non-Io” dall’“Io”. È troppo presto nella vita psichica, e soltanto una dissociazione ulteriore può permettere l’iscrizione di questo tipo di traccia nella memoria. Essere “soggetto” permette di comprendere in modo individualizzato (“l’integrazione” secondo Winnicott) i fenomeni soggettivi. Non esserlo non glielo permette. In psicomotricità, questo ragionamento è senz’altro sempre valido. Ma Christophe e Agnès raccontano anche a loro modo dei vissuti iscritti nel loro corpo: il tono “cede”. Non essendo più sostenuti dai muscoli, si ritrovano – o temono di ritrovarsi – a terra, nella terra, persino attraversando la terra. Una caduta senza fine che nessun appoggio                                                                                                                          3 Vedere il testo di Winnicott per precisare questa nozione particolare di « inconscio » in questo ambito.

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fisico può fermare. Il rilassamento è in realtà causato da uno stiramento delle fibre muscolari. Essendo più lunghe, occupano una superficie maggiore sul pavimento e assecondano la gravità. Più il muscolo è rilassato, meno è adatto a contrastare la gravità, quindi sembra più pesante. Al contrario, un muscolo contratto o poco rilassato sembra generare un vissuto di leggerezza. Cerchiamo di immaginare, a questo punto, le impressioni corporee di un bebè che presenta un’ipotonia assiale associata ad un’ipertonia di tutti e quattro gli arti. Per Alice, la storia del paese delle meraviglie è ambientata sotto terra, in profondità: “A questo punto poi ricominciò. ‘Mi domando se non finirò per attraversare la terra da una parte all’altra! Sarà buffo sbucare fuori fra la gente che va in giro a testa in giù! Agli Antidoti, mi pare […]. Scusi, signora, questa è l’Australia o la Nuova Zelanda?”. Per questo motivo possiamo parlare anche di paura della caduta, anche se la caduta è conseguente al crollo tonico. Fisiologia del crollo C’è il pallore di Agnès, ma alcuni pazienti, oltre ad un “annullamento” tonico come Christophe, avvertono un grande calore, a tal punto che provano un urgente bisogno di svestirsi completamente. Altri sembrano molto stanchi. Paul, 7 anni, chiamava questo vissuto una “tournade”, un “girado”. Queste manifestazioni sono neuro-vegetative e parasimpatiche. Possono far pensare all’epilessia, ma non è il caso. Gli studenti evocano in modo spontaneo la sincope vasovagale o delle vertigini. La letteratura non riferisce nulla a riguardo. La medicina somatica e gli psichiatri non si pronunciano4. Siamo ovviamente in presenza di un fenomeno psichico, visto che è legato alla relazione con l’altro e alle emozioni, nonché iscritto nel corpo. Seppure i nessi tra il tono e le emozioni siano stati ampiamente dimostrati, la “fisiologia” del crollo rimane molto sottile. È stato ipotizzato, tuttavia, un coinvolgimento dei gangli della base.                                                                                                                          4 Sarebbe interessante chiedere il parere dei cardiologi.

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I gangli della base I gangli della base sono delle strutture sottocorticali5 che fanno parte del sistema extrapiramidale, responsabile della regolazione del tono e dell’adattamento posturale, cioè del tono di attitudine. Questi gangli della base sono così strutturati: caudato, putamen, pallido, substantia nigra e nucleo subtalamico6. Il caudato e il putamen fanno parte del corpo striato, mentre il putamen e il pallido fanno parte del nucleo lenticolare (Ganong et al, 2012). Il pallido è quindi incluso nelle due strutture contemporaneamente. Il nucleo subtalamico, invece, ha un’azione inibitrice sulla motricità. Le patologie neurologiche riconducibili ai gangli della base possono essere il tremore nel morbo di Parkinson, l’acinesia o l’ipercinesia, ma anche alcuni disturbi del tono posturale7. Presiedono all’integrazione delle informazioni vestibolari e visive, all’acquisizione della postura eretta e agli adattamenti posturali. Regolano quindi il tono di attitudine (o posturale, in quanto mantiene la postura). Il pallido invia delle proiezioni discendenti verso il locus niger, i nuclei motori del tronco encefalico, la sostanza reticolata e il nucleo rosso. Queste proiezioni discendenti aprono le vie extrapiramidali che controllano il tono posturale e intervengono nella motricità degli arti. Lo Striatum ventrale e il pallidum ventrale permettono al sistema limbico, legato alle emozioni, e al sistema motorio di interagire. In effetti, “Il nucleo subtalamico, dal punto di vista anatomico, ha una posizione centrale nei circuiti associativi che coinvolgono i gangli della base, il talamo, la corteccia cerebrale e il sistema limbico. Dal punto di vista funzionale, è un regolatore potenziale di questi circuiti” (Temel, Blokland, Steinbusch e Visser-Vandewalle, 2005). Questo precetto è confermato da Tortora e Derrickson (2009): “I gangli della base potrebbero, in collaborazione con il sistema limbico, intervenire nella regolazione dei comportamenti emozionali”. E da Péron (2011):

                                                                                                                         5 Ritroviamo qui la predominanza, nelle patologie psichiatriche infantili gravi, di comportamenti riconducibili a delle strutture sottocorticali. Questo rinforza l’ipotesi di una fissazione al primo periodo della vita psichica, durante il quale la corteccia non è ancora funzionale, o lo è ancora poco. 6  Detto anche corpo di Luys.  7 Notare il ruolo non meno importante del cervelletto (paleocerebello) nella regolazione del tono posturale.

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“È ragionevole supporre che i circuiti striato-talamo-corticali siano coinvolti nel trattamento delle emozioni e che il nucleo subtalamico abbia un ruolo di prim’ordine in questi meccanismi”. Il nucleo subtalamico, nei gangli della base, è il nostro principale indiziato se vogliamo comprendere il crollo da un punto di vista fisiologico, perché è in grado sia di determinare un’azione inibitrice sulla motricità e il tono posturale, sia di intervenire nel trattamento delle emozioni. Senza troppi dettagli, in un testo che risale al 1967, Yacovlev e Lecours hanno valutato l’intervallo di sviluppo dello striato (e soltanto dello striato) al periodo che va dal terzo mese di vita ai 3 anni. È molto probabile che la maturazione del nucleo subtalamico avvenga in un intervallo simile. Il crollo potrebbe basarsi sui meccanismi subcorticali attivi nei primi mesi della vita. I gangli della base – tra cui il nucleo subtalamico – sono quindi strettamente collegati tra loro, in quanto presiedono, tra l’altro, al tono posturale e interagiscono con il sistema emozionale. È proprio nei momenti di grande emozione che il crollo si manifesta, e sono questi momenti che i nostri pazienti temono. Non si tratta di un vissuto emozionale di poco conto. Riguarda i vissuti di separazione. Pone la questione della “dipendenza”. Torniamo a Winnicott, che ha chiarito questo fenomeno. La dipendenza Secondo Winnicott, “il bebè passa da una dipendenza assoluta a una dipendenza relativa”. Nella prima forma di dipendenza, “la madre funge da Io-ausiliario”. Nella specie umana, il camino verso l’autonomia in tutti gli ambiti dello sviluppo è un processo lungo e lento. La fisiologia sensoriale della pelle – noi psicomotricisti lo sappiamo bene – può innescare un’illusione di fusione con il corpo dell’altro. Uscire brutalmente da questa illusione può scatenare, per esempio, dei vissuti ansiogeni di distacco di alcune parti del corpo. In altri termini, la dipendenza assoluta è iscritta nello sviluppo affettivo ma anche direttamente sul corpo. Quando Winnicott parla di dipendenza, allude probabilmente a questi fenomeni, quindi possiamo parlare di separazione. Tuttavia, non si tratta di una separazione depressiva legata alla perdita dell’oggetto differenziato, che denota una sofferenza morale, ma piuttosto di una separazione corporale, brutale e arcaica. Per un bambino portato patologicamente

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all’illusione della fusione, la separazione – corpo a corpo – è una prova difficile e temuta perché può produrre dei vissuti di distacco corporeo ma anche di crollo. Il momento in cui avviene una separazione, o in cui bisogna uscire da qualcosa – o da un luogo – diventa quindi molto pericoloso. Un pomeriggio, Laura, 7 anni, un caso molto simile a quello di Christophe, ha una forte crisi di angoscia nella sala d’attesa del Centro Medico-Psico-Pedagogico perché sono in ritardo all’appuntamento. Agitata, incoerente e ingestibile né dalla nonna che l’ha accompagnata né dal personale, manifesta poi la sua paura di crollare nella sala di psicomotricità. Altri bambini manifestano questa terrificante e “crollante” paura della separazione nei momenti di frustrazione. Opporsi con un rifiuto alla loro richiesta oggettiva la separazione contro la quale lottano disperatamente, a volte con degli episodi di onnipotenza che non sono altro che il tentativo di evitare un vissuto arcaico terrorizzante. Un adulto impreparato difficilmente riesce a reagire con calma, in modo terapeutico. Allo stesso modo, le transizioni sono dei momenti critici per il bambino: uscire dall’ortofonista e dover percorrere un lungo corridoio da solo per raggiungere la sala di psicomotricità può diventare un problema. La separazione dall’ortofonista è avvenuta serenamente? Lo psicomotricista è già nella sala? Se l’angoscia è troppo forte o se la situazione genera un crollo vero e proprio, il bambino si lascia cadere a terra. Cercare di tirarlo su, di portarlo, di trascinarlo o perfino di sgridarlo, come a volte succede nei negozi, per esempio, è un’impresa vana. Quale approccio terapeutico sarà necessario? Lo vedremo più avanti. E se Alice avesse vissuto un momento difficile di separazione mentre era nel giardino? Si annoiava, aveva caldo, la sua mente era intorpidita… altrettanti segnali neurovegetativi! Sua sorella era immersa nella lettura e non la guardava. Dov’era la madre di Alice? Dov’era suo padre? La bambina aveva dunque reagito con un diniego: “E a che serve un libro”, aveva pensato Alice, “senza figure e senza dialoghi?”. Figure e dialoghi non rappresentano un legame con l’altro? Alice si chiedeva poi... “... se il piacere di confezionare una collana di margherite sarebbe valso la pena di alzarsi e cogliere i fiori...”.

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Se poteva alzarsi, significa che era seduta8. Alzarsi per confezionare una collana, di nuovo la rappresentazione di una forma di legame con l’altro? Senza questo legame, qual è il rischio temuto, al di là del crollo? Crollo, morte, vuoto e non esistenza Winnicott associa la paura del crollo alla paura:

− Della morte: “La morte come annientamento”. − Del vuoto: “Il paziente teme l’aspetto terrificante del vuoto. Organizza la sua

difesa sottoforma di un vuoto sotto controllo, rifiutandosi di mangiare, di imparare […] oppure si riempie senza tregua con un’avidità compulsiva che sembra folle”.

− Della non esistenza: “l’esistenza comincia proprio a partire dalla non esistenza”.

Noteremo che Winnicott non va oltre “semplici” associazioni d’idee: il crollo gli fa pensare alla paura dell’annientamento, del vuoto e della non esistenza: “Non occorre cambiare molto la tesi generale della teoria del crollo se la si vuole trasferire alla paura specifica della morte”. “Il concetto di vuoto può essere visto con la stessa prospettiva”. “La ricerca di una non esistenza personale può essere esaminata con la stessa prospettiva”. La clinica psicomotoria dell’immagine del corpo dimostra che questi elementi hanno legami molto stretti con il crollo. Sono molto più potenti, in realtà, di quelli avanzati da Winnicott: non superare la tappa arcaica del crollo significa non solo sviluppare un’angoscia opprimente ma anche portare con sé la paura dell’annientamento e del vuoto. Significa anche non avere accesso alla costruzione della soggettività necessaria alla costruzione dell’identità. È rimanere nella non esistenza. L’annientamento è chiaramente interpretato da Christophe. A tal punto che mi sarà possibile pronunciare, dopo qualche tempo, la parola “morte”. E dopo qualche tempo ancora, potremo tutti e due permetterci di prenderla in giro. Anche Alice parla della morte: “Alice non volle lasciarlo cadere, per paura di ammazzare qualcuno sotto”9.                                                                                                                          8 Walt Disney, nel suo cartone animato, ha scelto di rappresentarla seduta su un ramo che la regge. Più avanti vedremo l’importanza degli appoggi. 9 Il vasetto di marmellata che aveva appena preso da uno scaffale.

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Il vuoto, invece, è la preoccupazione di Laura che mi chiede di portarla “fino al soffitto” per poter guardare su e giù. Poi mi prega di farla “cadere ma piano”. Come Alice, dunque, la cui caduta era “Molto lenta”. Inoltre… “Ma con sua grande delusione il vasetto era vuoto”10. E, in riferimento al testo di Winnicott riguardo alla possibilità di organizzare delle difese che permettono di tenere “sotto controllo il vuoto rifiutandosi di mangiare o al contrario riempiendosi”: “Speriamo che si ricordino di darle (a Dinah, la gatta) il suo piattino di latte”. E “Ora dimmi la verità, Dinah: hai mai mangiato un pipistrello?”. Il controllo del vuoto può essere organizzato, come già detto, intorno all’apprendimento. È il caso di Alice: “Qua e là vide appesi quadri e carte geografiche”. E “Secondo me mi sto avvicinando al centro della terra. Vediamo un po’; sarebbero quattromila miglia di profondità, mi pare… (perché, sapete, Alice aveva imparato a lezione diverse cosette del genere…)”. E ancora “Ma a questo punto vorrei sapere a che Latitudine e Longitudine sono arrivata11”.

                                                                                                                         10 Sempre riferito al vasetto di marmellata.  11 Le maiuscole sono di Lewis Carroll.

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Qui, per il nostro psicoanalista inglese, la non esistenza... “fa parte di una difesa. L’esistenza personale è rappresentata dagli elementi della proiezione e il soggetto tenta di proiettare tutto quello che potrebbe essere personale”. Il libro, la collana, il vasetto di marmellata e il piattino di latte sono alcuni degli elementi proiettivi di Alice durante la sua caduta. Di fronte a tutti questi elementi concettuali, che cosa può proporre uno psicomotricista al suo paziente angosciato dal crollo? In psicomotricità Innanzitutto, possiamo dire che molto spesso questa angoscia è saliente nei comportamenti del bambino. Gli oggetti cadono, in atti mancati o meno. Il bambino stesso o una parte di lui cade, rimanendo a volte “incollato/a” per terra. Anche il contrario è possibile: il bambino fa di tutto per prevenire la caduta degli oggetti o del suo corpo. Costruirà delle torri o cercherà di arrampicarsi, di sfidare la gravità o ancora di prendere il volo agitando le braccia come se fossero ali12. Alice vi allude quando dice a Dinah: “Mi sa che di topi per aria non ne troveresti, ma potresti acchiappare un pipistrello, che assomiglia moltissimo a un topo, sai”. Messo di fronte a delle angosce che, per definizione, non capisce, il bambino presenta dei comportamenti che destano l’attenzione dello psicomotricista quando la via corporea si apre: il bambino, che non si fida né delle sue mani né dei suoi piedi13, non riesce ad appendersi, ad afferrare o ad appoggiarsi. La maggior parte del tempo, come abbiamo visto con Christophe, l’adulto non è percepito come rassicurante. Il bambino, non avendo fiducia, è imprigionato in una ripetizione vana di azioni nell’intento di essere salvato. Occorre fare delle precisazioni riguardo alla terminologia: che cosa significa esattamente “appendersi”, “afferrare” e “appoggiarsi”? È lì che lo psicomotricista interviene e mette in gioco il suo corpo.                                                                                                                          12 I tentativi di volo sono sempre capiti molto male dall’ambiente, in quanto rimandano alla caricatura della follia. 13 È frequente l’impressione che le mani non hanno presa o che i piedi fanno fatica a poggiare per terra (alcuni bambini camminano in punta di piedi, per esempio).  

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Un po’ di terminologia Queste tre nozioni presentano delle sfumature molto importanti in clinica. Tutto è imperniato sul modo attivo o passivo con cui lo psicomotricista “porterà” il bambino. Appendersi significa “afferrarsi con le mani a un sostegno, attaccarsi”. Per Alice, i sostegni o appigli possibili si trovano nello scenario: “Allora guardò le pareti del pozzo, e notò che queste erano piene di credenze e scaffali14; qua e là erano appesi quadri e carte geografiche”. Afferrare significa “prendere e tenere stretto con forza”. La differenza tra i due termini, appendersi e afferrare, risiede quindi nell’essere attivi o passivi. Appendersi vuol dire essere appesi a un sostegno, in uno stato di sospensione passiva. L’oggetto appeso non fa sforzi per essere trattenuto. Al contrario, è sottoposto alla natura della sospensione che si fa carico di opporsi alla forza di gravità. Abbiamo scelto qui apposta un oggetto in quanto passivo. Afferrare, al contrario, implica l’uso delle dita. L’intento del soggetto che afferra è quindi attivo. Egli compie un’azione concentrando la sua forza fisica nelle sue dita o nelle sue mani15. Deve assicurare da solo la sua presa per contrastare la forza di gravità. Il termine “soggetto” è giustificato. Appoggiarsi significa “Porsi con il corpo o con una sua parte addosso a qualcosa che serva da sostegno”. Deriva dal latino “appodiare”, termine di architettura che rimanda alle nozioni di sostegno e di basamento. Appoggiarsi vuol dire essere portato da un sostegno situato sotto i piedi. E così finisce la caduta di Alice: “Quando a un tratto, tu-tum! Atterrò su un mucchio di ramoscelli e foglie secche, e la caduta finì”. Abbiamo dunque a disposizione tre termini per descrivere la natura del coinvolgimento corporeo da utilizzare nel nostro approccio terapeutico con questi bambini “crollati” o soggetti al crollo.

                                                                                                                         14 Appesi alla parete, quindi. 15 Graffiare e tirare qualcuno per i capelli possono essere visti come dei tentativi di afferramento.  

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Nella pratica Si tratta, per lo psicomotricista, di mettere in confidenza il bambino affinché si crei una certa forma di contenimento fisico. Rispettando le difese e le reticenze del bambino, lo psicomotricista diventa dapprima, nel corpo a corpo16, un dispositivo affidabile per appendersi, e poi un “sostegno” per afferrare. Una volta superate queste tappe, spesso il bambino chiede spontaneamente allo psicomotricista di prendere le sue mani e si mette a saltare a piedi uniti. Sperimenta in questo modo l’appoggio fisico del pavimento sotto i suoi piedi. Quando la relazione terapeutica arriva a questo punto, si può invitare ad uno scambio di sguardi, prima da lontano e poi da vicino. Il contenimento fisico può trasformarsi in contenimento psichico. Le parole, all’interno di questo processo, sono importanti ma non strettamente indispensabili, almeno all’inizio. Il gioco corporeo dei due attori protagonisti ha un effetto estremamente calmante sull’angoscia del crollo. Per il bambino, l’adulto diventa capace di rassicurare; è riconosciuto, identificato e la comunicazione non rappresenta più un rischio di crollo così incombente. La separazione non è più temuta come all’inizio. L’insorgenza di due forme di contenimento, fisico e psichico, permette la costruzione, ancora embrionale, dell’involucro psichico. Il bambino adotta comportamenti nuovi: “giochi” di apertura e di chiusura delle porte, esperienza della capacità di contenimento delle mani, maggiore accuratezza quando disegna e colora le forme chiuse, tratti più regolari nella scrittura e apertura alla comunicazione possono comparire in funzione dei livelli cognitivi del bambino. Il lavoro psicomotorio, tuttavia, non è finito e deve continuare, ma una tappa fondamentale del percorso terapeutico è stata superata. L’angoscia del crollo è quindi legata a un periodo molto precoce dello sviluppo affettivo, in cui l’immaturità del sistema nervoso centrale può facilitare l’insorgenza di fenomeni patologici proprio a causa della sua struttura. L’angoscia del crollo indica tuttavia un fallimento relativo rispetto a determinati legami tra corpo e mente. Éric PIREYRE, ISRP (Institut Supérieur de Rééducation Psychomotrice) Paris e Marseille, Paris VI, Lille, Toulon e Rouen Psicomotricista                                                                                                                          16 In un modo adeguato per entrambi.