fatima mernissi. la terrazza proibita

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Fatima Mernissi La terrazza proibita Traduzione dall'inglese: Rosa Rita D'Acquarica 1996 Giunti Gruppo Editoriale, Firenze Prima edizione: marzo 1996 Si ringrazia Toni Marami per la preziosa consulenza in merito a questioni lingui stiche e terminologiche di questo testo. Indice I. I confini del mio harem Il. Shahrazad, il re e le parole III. L'harem dei francesi IV. Jasmina e la prima consorte V. Shama e il califfo VI. Il cavallo di Tam VII. L'harem dentro VIII. Lavapiatti acquatiche IX. Risate al chiaro di luna X. Il salone degli uomini XI. La seconda guerra mondiale vista dal cortile XII. Asmahan, la principessa cantante XIII. L'harem al cinema XIV. Femministe egiziane in terrazza XV. Il destino di Budr XVI. La terrazza proibita XVII. Mina, la senza radici XVIII. Sigarette americane XIX. Baffi e seni XX. Il sogno silenzioso delle ali e del volo XXI. La politica della pelle: uova, datteri e altri segreti di bellezza XXII. Henn, argilla e gli sguardi degli uomini I I confini del mio harem Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez, citt marocchina del nono secolo, cinq uemila chilometri circa a ovest della Mecca e solo mille chilometri a sud di Mad rid, una delle temibili capitali cristiane. Mio padre era solito dire che con i cristiani, e con le donne i guai nascono qua ndo non vengono rispettati i hudd, ovvero i sacri confini. Al tempo in cui nacqui , dunque, si era in pieno caos, perch n donne n cristiani volevano saperne di accet tare confini. E questo era evidente gi sulla soglia di casa, dove le donne dell'h arem discutevano e si accapigliavano con Ahmed, l'uomo a guardia della porta, me ntre per strada sfilavano i soldati stranieri che continuavano ad arrivare dal n ord e che si erano stabiliti proprio in fondo alla nostra via, tra i quartieri v ecchi e la Ville Nouvelle, la citt nuova che si stavano costruendo. Secondo mio padre, non era un caso che Allh, creando la terra, avesse separato uo mini e donne, e messo un mare a dividere cristiani e musulmani. L'armonia esiste quando ogni gruppo rispetta i limiti dell'altro conformemente a quanto prescrit to; passare quei limiti conduce solo al dolore e all'infelicit. E invece le donne, ossessionate dal mondo al di l della soglia di casa, altro non sognavano che di oltrepassarla, e andare a passeggio per vie sconosciute, mentr e i cristiani seguitavano ad attraversare quel mare, portando disordine e morte. Sciagura e vento freddo vengono dal nord; e noi preghiamo rivolti verso l'est. La Mecca lontana. La tua preghiera pu giungere fin l, ma devi sapere come concentrarti. A tempo debito, mi avrebbero insegnato a concentrarmi .I soldati spagnoli si erano accampati a nord di Fez. Zio Al e mio padre, che in c itt erano tanto potenti e in casa davano ordini a tutti, dovevano chiedere il per messo a Madrid, se volevano recarsi alla festa religiosa di Mawly Abdelsalam, vic ino a Tangeri, a trecento chilometri di distanza. Ma quei soldati fuori dalla no stra porta appartenevano a un'altra trib: quella dei francesi, cristiani come gli spagnoli, ma che parlavano un'altra lingua e vivevano ancora pi a nord. La loro capitale si chiamava Parigi e, nei calcoli di mio cugino Samir, doveva trovarsi a duemila chilometri da noi, due volte pi lontana di Madrid, e due volte pi feroce . Come i musulmani, i cristiani avevano l'abitudine di combattersi tra di loro; e ogni volta che spagnoli e francesi varcavano il nostro confine, per poco non s i ammazzavano a vicenda. Quando fu chiaro che nessuno dei due era in grado di st erminare l'altro, presero la decisione di tagliare in due il Marocco. Misero dei soldati dalle parti di Arbawa e dissero che, da allora in poi, chi andava a nor d doveva avere un lasciapassare perch attraversava il Marocco spagnolo, e chi and ava a sud doveva avere un altro lasciapassare, perch entrava nel Marocco francese . Chi non era d'accordo, rimaneva bloccato ad Arbawa, luogo arbitrario, dove una lunga sbarra - messa l appositamente - veniva chiamata confine. Eppure il Marocc o, diceva mio padre, esisteva indiviso da secoli, anche da prima dell'avvento de ll'Islam, cento e quaranta decenni or sono. Nessuno aveva mai sentito parlare di una linea che dividesse in due il paese. Il confine era una linea invisibile ne lla mente dei guerrieri. Il cugino Samir, che a volte accompagnava lo zio e pap nei loro viaggi, diceva ch e, per creare un confine, tutto quello che serve sono soldati che costringano la gente a crederci. Nel paesaggio di per s non cambia nulla. Il confine sta nella mente di chi ha il potere. Io non potevo andare a verificarlo di persona, perch lo zio e pap dicevano che una donna non deve viaggiare: viaggiare pericoloso e le donne non sono in grado di difendersi. In proposito, la teoria d ella zia Habiba - la quale era stata ripudiata all'improvviso e senza ragione da l marito amatissimo -era la seguente: Allh aveva mandato in Marocco gli eserciti del nord per punire gli uomini, colpevoli di aver violato i hudd che proteggono l e donne. Chi fa torto a una donna, viola i sacri confini di Allh. illecito far to rto a chi non pu difendersi. La poveretta pianse per anni. Educazione conoscere i hudd, i sacri confini, asscriva Lalla Tarn, direttrice del la scuola coranica dove, all'et di tre anni, fui mandata a raggiungere i miei die ci Cugini. La mia maestra aveva una frusta lunga e minacciosa, ed io ero perfett amente d'accordo con lei su tutto: i confini, i cristiani, l'educazione. Essere musulmani e rispettare i hudd sono una cosa sola. E per un bambino, rispet tare i hudd significa obbedire. Io desideravo tremendamente di compiacere Lalla T arn, e una volta che lei non era a portata d'orecchio chiesi a mia cugina Malika , di due anni maggiore di me, se poteva mostrarmi il punto esatto dove si trovav ano i hudd. Mi rispose che lei per certo sapeva una cosa sola: che tutto sarebbe filato liscio se avessi obbedito alla maestra. Hudd era tutto quello che la maest ra proibiva. Le parole di mia cugina mi aiutarono a rilassarmi e cominciai a god ermi la scuola. Ma da allora, cercare i confini diventata l'occupazione della mia vita. L'ansia mi divora ogni volta che non so individuare con esattezza la linea geometrica ch e determina la mia impotenza. La mia infanzia stata felice perch i confini erano di una chiarezza cristallina. Primo fu la soglia che separava il salone di casa dal cortile principale. Uscire in quel cortile al mattino non mi era permesso, fintanto che mia madre non si a lzava, e ci significava che, dalle sei alle otto, dovevo giocare senza far rumore . Potevo, se volevo, sedermi sulla fredda soglia di marmo, ma non dovevo unirmi ai giochi dei cugini pi grandi. Ancora nonsei capace di difenderti, mi spiegava la mamma, anche giocare una specie di guerra. E io, che avevo paura della guerra, mettevo il mio cuscino sulla soglia, e me ne stavo l seduta, giocando a al-masrya bi-'i-jals (alla lettera, "passeggiare seduta"), un gioco ch e inventai a quel tempo e che ancora oggi trovo molto utile. Per giocare occorro no solo tre cose. La prima starsene immobili da qualche parte, la seconda avere un posto per sedersi, e la terza, trovarsi in una disposizione di umilt tale da accettare l'idea che il proprio tempo non valga niente. Il gioco consiste nel con templare superfici familiari come se fossero estranee. Stavo l a sedere sulla soglia e osservavo casa nostra come se non l'avessi mai vi sta. La prima cosa da guardare era il cortile rigido e squadrato, dove ogni cosa era governata dalla simmetria. Persino la bianca fontana di marmo che si trovav a al centro, col suo perpetuo gorgogliare, pareva ammansita e sotto controllo. L a fontana era decorata, lungo la circonferenza, da un sottile fregio di ceramica bianca e blu, che riproduceva il motivo inserito tra le mattonelle di marmo qua drate del pavimento. Il cortile era circondato da un colonnato ad archi, con qua ttro colonne per lato, che avevano base e capitelli di marmo, e nel mezzo erano rivestite di ceramica bianca e blu il cui disegno riprendeva quello della fontan a e del pavimento. Vi si affacciavano quattro enormi saloni, che si fronteggiava no a due a due. Ogni salone aveva una grande entrata centrale che dava sul corti le, con due ampie finestre laterali. Al mattino presto, e durante l'inverno, i s aloni erano ben chiusi da battenti in legno di cedro intagliato a motivi floreal i. D'estate restavano aperti, e calava un sipario di drappi pesanti, trine e vel luto, che lasciava passare l'aria, riparando da luce e rumori. Le finestre del s alone avevano, all'interno, delle imposte di legno intagliato, simili alle porte , ma dall'esterno si vedevano solo delle inferriate di ferro battuto placcato in argento, sormontate da lunette di vetro dipinte a splendidi colori. Amavo quei vetri colorati per il modo in cui il sole, sorgendo, sfumava di continuo i rossi e i blu, e attenuava i gialli. Come i pesanti battenti di legno, anche le fines tre si lasciavano aperte d'estate, e le tende venivano calate solo di notte o du rante il riposo pomeridiano, a proteggere il sonno. Alzando gli occhi verso il cielo, si poteva ammirare un'elegante struttura a due piani dov'era ripetuto il geometrico colonnato ad archi del cortile, cui si agg iungeva, a completarlo, un parapetto in ferro battuto placcato d'argento. E fina lmente il cielo - sospeso al di sopra di ogni cosa, ma sempre rigidamente squadr ato, come tutto il resto, e saldamente racchiuso in un fregio ligneo a disegni g eometrici di una pallida tinta oro e ocra. Guardare il cielo dal cortile era un'esperienza travolgente. All'inizio, sembrav a tenuto a bada da quella cornice squadrata fatta da mani d'uomo. Ma poi il movi mento delle stelle del primo mattino, col loro progressivo dissolversi nelle pro fondit del blu e del bianco, si faceva cos intenso che dava un senso di vertigine. Di fatto, in certi giorni, specialmente d'inverno - quando i raggi porpora e ro sa shoching del sole scacciavano a forza dal cielo le ultime stelle che si ostin avano a brillare - si poteva facilmente restarne ipnotizzati. Con la testa piega ta all'indietro, a faccia a faccia con quel cielo squadrato, veniva voglia di an dare a dormire, ma proprio allora il cortile iniziava a riempirsi di gente che g iungeva da ogni parte della casa: dalle porte, dalle scale... oh, quasi dimentic avo le scale. Situate ai quattro angoli del cortile, erano importanti perch su di esse perfino gli adulti potevano giocare a una sorta di gigantesco nascondino, correndo su e gi per i lucidi gradini verdi. Di fronte a me, dal lato opposto del cortile, c'era il salone dello zio e di sua moglie, e dei loro sette figli, che era la riproduzione esatta del nostro. La m amma non permetteva alcuna distinzione che fosse pubblicamente visibile fra i du e saloni, nonostante lo zio fosse il primogenito e, pertanto, secondo la tradizi one, gli spettassero appartamenti pi ampi e lussuosi. Lo zio non era soltanto pi r icco e pi anziano di mio padre; aveva anche una famiglia pi numerosa. Noi - io, mi a sorella, mio fratello e i genitori - arrivavamo a cinque. La famiglia dello zi o era a quota nove (o dieci, contando la sorella di sua moglie che spesso veniva in visita da Rabat, e che, da quando suo marito aveva preso una seconda moglie, a volte si tratteneva anche per sei mesi di fila) Ma mia madre, che detestava la vita comunitaria dell 'harem e sognava un eterno tete--tete con mio padre, aveva accettato quella che c hiamava una sistemazione critica (azma) solo a condizione che non venisse fatta alcuna distinzione fra le mogli: nonostante la disparit di rango, avrebbe goduto gli stessi privilegi della cognata. Lo zio rispettava scrupolosamente questo accordo perch, in un harem ben condotto, pi si ha potere, pi si deve agire con generosit. Lui e i suoi figli, in fin dei conti, avevano pi spazio, ma solo ai piani alti, lontano dal cortile, spazio pubbli co per eccellenza. Il potere non ha bisogno di manifestazioni eclatanti. Nostra nonna paterna, Lalla Mani, occupava il salone alla mia sinistra. Andavamo da lei solo due volte al giorno, una al mattino e una alla sera, per baciarle l a mano. Come tutti gli altri saloni, il suo era arredato con divani e cuscini ta ppezzati in broccato di seta, disposti lungo tutte e quattro le pareti; un grand e specchio, al centro, rifletteva l'interno della porta principale con i suoi dr appeggi sapientemente studiati, e un pallido tappeto a fiori copriva tutto inter o il pavimento. Non ci era permesso, per nessuna ragione, camminare su quel tapp eto con le babbucce - e men che meno con i piedi bagnati, cosa assai difficile d a evitare d'estate, quando il selciato del cortile veniva rinfrescato due volte al giorno con l'acqua della fontana. Le donne pi giovani della famiglia, come mia cugina Shama e le sue sorelle, amavano assolvere quell'incombenza giocando a la piscine, cio vuotando secchi d'acqua sul selciato e schizzando "per caso" la per sona pi vicina. Questo, ovviamente, incoraggiava i bambini pi piccoli -nella fatti specie, io e mio cugino Samir - a correre in cucina e ritornare armati con la ca nna dell'acqua. Quindi mentre tutti urlavano e tentavano di farci smettere, proc edevamo a un sistematico lavoro di schizzatura. Gli strilli finivano inevitabilm ente per disturbare Lalla Mani, che, alzando con stizza le sue tende, minacciava di andare a lamentarsi dallo zio e da pap quella sera stessa. Dir loro che pi nessu no, in questa casa, ha rispetto dell'autorit, diceva. Lalla Mani odiava i giochi d'acqua e i piedi bagnati, e se ci capitava di correre da lei per dirle q ualcosa dopo essere stati vicini alla fontana, ci ordinava sempre di fermarci l d ove eravamo. Non parlarmi con i piedi bagnati, diceva, vai prima ad asciugarteli. Pe r quanto la riguardava, chiunque violasse la Legge dei Piedi Asciutti e Puliti v eniva stigmatizzato a vita, e se avessimo osato procedere oltre, fino a insozzar le il tappeto a fiori, il nostro atto di insubordinazione ci sarebbe stato ramme ntato per molti anni a venire. Lalla Mani gradiva essere rispettata, vale a dire esser lasciata in disparte, elegantemente vestita , con il suo copricapo ingioi ellato, a sedere e a guardare in silenzio nel cortile. Amava essere circondata d a un pesante silenzio. Il silenzio era un lusso: il privilegio di quei pochi ele tti che potevano permettersi di tenere lontani i bambini. Infine, sul lato destro del cortile, si trovava il salone pi ampio e pi elegante d i tutti - il salone degli uomini, dove questi pranzavano, ascoltavano le notizie , concludevano gli affari e giocavano a carte. In teoria, loro erano gli unici d ella casa ad avere accesso alla grande radio che stava nell'angolo destro del lo ro salone, custodita in un mobile i cui sportelli venivano chiusi a chiave quand o l'apparecchio non veniva utilizzato (fuori, comunque, erano installati degli a ltoparlanti, perch tutti potessero sentire). Le uniche due chiavi della radio, mi o padre ne era certo, erano sotto controllo suo e dello zio. Tuttavia, cosa alqu anto curiosa, quando gli uomini erano fuori, le donne riuscivano regolarmente ad ascoltare Radio Cairo. Shama e mia madre danzavano spesso sulle melodie della r adio, cantando con la principessa libanese Asmahan "Ahw" (sono innamorata), quand o gli uomini non erano in vista. Ed io ricordo la prima volta che le donne usaro no la parola kh'in (traditore) per rivolgersi a me e a Samir: quando, a mio padre che ci chiedeva cosa avessimo fatto in sua assenza, raccontammo di aver ascolta to Radio Cairo. La nostra risposta svel l'esistenza di una chiave pirata. Pi speci ficamente, rivel che le donne avevano rubato la chiave per farsene una copia. Se s i sono fatte una chiave del mobile-radio, presto se ne faranno una anche del por tone, brontol mio padre. Ne nacque un affare di stato, e le donne furono interrogate una per volta nel salone degli uomini. Ma dopo due giorni di indagini, tutto quello che si concluse fu che la chiave doveva essere caduta dal cielo; nessuno sapeva di dove fosse venuta. Ciononostante, una volta che l'inchiesta fu archiviata, le donne se la presero c on noi bambini. Dissero che eravamo dei traditori, e che avremmo dovuto essere e sclusi dai loro giochi. Era una prospettiva orribile, e noi ci difendemmo spiega ndo che non avevamo fatto altro che dire la verit. Mia madre ribatt che alcune cos e erano vere, certo, ma nondimeno si dovevano tacere: dovevano essere tenute seg rete. E aggiunse che ci che si dice e ci che si tiene segreto non ha nulla a che v edere con le bugie e la verit. La pregammo di spiegarci dove stava la differenza,ma non seppe tirar fuori una risposta utile. Devi giudicare da sola l'impatto de lle tue parole, disse. Se quello che dici pu far male a qualcuno, devi star zitta. A nche quel consiglio non ci fu di nessun aiuto. Il povero Samir, che odiava esser chiamato traditore, si ribell e grid che era libero di dire quello che voleva. Io , come al solito, ammirai il suo coraggio, ma rimasi in silenzio. Decisi che, se oltre a dover distinguere tra verit e bugie (cosa che gi mi causava non pochi pro blemi) dovevo anche mettermi a distinguere questa nuova categoria di "segreto", mi sarebbe venuto un gran caos nella testa: era meglio rassegnarmi subito ad ess ere insultata spesso e abituarmi alla nomea di traditrice. Uno dei miei piaceri settimanali era quello di ammirare Samir che metteva in att o le sue ribellioni contro gli adulti, e sentivo che, se avessi continuato a sta re dietro a lui, non mi sarebbe accaduto mai nulla di male. Io e Samir siamo nat i nello stesso giorno, in un lungo pomeriggio di Ramadan, con un'ora appena di d ifferenza. 1. Lui nacque per primo, al secondo piano, ultimo di sette figli. Io nacqui un'ora pi tardi, nel nostro salone al pianoterra, primogenita, e sebbene m ia madre 1 Nel mese sacro di Ramadan, il nono del calendario musulmano, si osserva un dig iuno rituale dall'alba al tramonto. fosse esausta, insist che zie e parenti mi riservassero gli stessi rituali osserv ati per Samir. Aveva sempre rifiutato la superiorit maschile come illogica e del tutto antimusulmana -Allh ci ha creati tutti uguali, era solita dire. E quindi - mi raccont in seguito - quel pomeriggio la casa vibr una seconda volta al suono dei tradizionali yu-yu, 2, e dei canti di giubilo, tanto che i vicini si confusero e pensarono che in famiglia fossero nati due maschi. Mio padre era fuori di s dall a gioia: ero tutta paffutella, con una faccia da "luna piena", e decise immediat amente che sarei diventata una gran bellezza. Per stuzzicarlo, Lalla Mani gli di sse che ero un po troppo pallida, che i miei occhi erano troppo sghembi e i miei zigomi troppo alti, mentre Samir, aggiunse, aveva una bella tinta dorata, e i pi grandi occhi color nero velluto che si siano mai visti. Mia madre non disse nulla , ma non appena pot reggersi in piedi, corse a vedere se davvero Samir aveva gli occhi color nero velluto, e li aveva. Li ha tuttora, ma tutta la morbidezza del velluto scompare quando di cattivo umore. Mi sono sempre chiesta se quella sua c aratteristica di saltare su e gi mentre si ribellava ai grandi, non fosse dovuta semplicemente alla sua costituzione mingherlina. Per contro, io ero cos grassoccia che neanche mi veniva in mente di saltare quand o qualcuno mi infastidiva; anzi, scoppiavo in lacrime e correvo a nascondermi ne l caffettano di mia madre. Ma la mamma continuava a ripetermi che non dovevo las ciare a Samir il compito di ribellarsi anche per me: Devi imparare a gridare e pr otestare, proprio come hai imparato a camminare e parlare. Piangere davanti agli insulti come chiederne ancora. Preoccupata che potessi diventare una donna servi le, mia madre, in visita alla sua famiglia per le vacanze estive, chiese consigl io sul da farsi a nonna Jasmina, che era famosa per l'impareggiabile modo con cu i sapeva difendere le proprie ragioni. Questa le consigli di smetterla di fare pa ra2 Yu-yu un grido di gioia con cui le donne celebrano eventi felici, dalle nascit e e i matrimoni a fatti pi spiccioli, come l'aver portato a termine un ricamo, o la festa di una vecchia zia. goni tra me e Samir e di spingermi, al contrario, a sviluppare un atteggiamento protettivo nei confronti dei bambini pi piccoli. Ci sono molti modi per creare una forte personalit, disse la nonna. Uno quello di far sviluppare la capacit di sentir si responsabile per gli altri. Essere semplicemente aggressivi, e saltare al col lo del vicino ogni volta che ti pesta i piedi, un altro modo, ma di certo non il pi elegante. Incoraggiare una figlia a sentirsi responsabile verso quelli pi giov ani che vivono nella sua stessa casa, vuol dire darle spazio per costruirsi la s ua forza. Ricorrere a Samir per essere protetta pu andar bene, ma se lei scoprir i l modo per proteggere gli altri, potr usare quell'abilit anche per se stessa. Ma l' incidente della radio rappresent comunque per me una lezione importante. Fu allor a che mia madre mi parl della necessit di masticare le parole prima di dirle. Rigira ogni parola nella lingua per sette volte, con le labbra ben chiuse, prima di p ronunciare una frase, mi disse, perch rischi di rimetterci molto, una volta che le parole sono uscite. Pi tardi mi rammentai che, in una novella delle Mille e una no tte, una sola parola detta male poteva portar disgrazia al malcapitato che l'ave sse pronunciata facendo indignare il califfo, o il re. Poteva anche capitare che venisse chiamato il sayyaf, il boia. D'altro canto, le parole potevano anche essere la salvezza, per la persona abile a tesserle con arte. Questo quanto accadeva a Shahrazad, l'autrice delle mille e una storia. Il re stava per farle tagliare la testa, ma all'ultimo minuto, pro prio usando accortamente le parole, lei fu in grado di fermarlo. Non vedevo l'or a di scoprire come avesse fatto. Il Shahrazad, il re e le parole Un pomeriggio, verso sera, mia madre mi spieg con tutta calma il motivo per cui q uelle favole andavano sotto il nome di Le Mille e una notte. Non era un caso, in fatti, poich per ognuna di quelle notti - che furono tante - Shahrazad, la giovan e sposa, dovette raccontare una storia cos avvincente e accattivante da indurre i l re, suo marito, a mettere da parte il furioso progetto di farla giustiziare al l'alba. Ne fui terrorizzata. Mamma, vuoi dire che se al re non piace la storia di Shahrazad, far venire il sayyaf (\\ boia) ? . Continuavo a chiedere altre possibi lit per la povera ragazza; volevo delle alternative. Perch non poteva aver salva l a vita anche se al re non fosse piaciuta la storia? Perch Shahrazad non poteva di re semplicemente quello che voleva, senza doversi preoccupare del re? O perch non poteva rovesciare la situazione, e chiedere lei al re di raccontarle una storia avvincente ogni notte? Cos, almeno, lui avrebbe capito il terrore che si prova a dover compiacere qualcuno che ha il potere di tagliarti la testa. La mamma diss e che prima di cercare altre vie di scampo, dovevo conoscere tutti i dettagli de lla vicenda. Il matrimonio di Shahrazad con il re, disse, non era un matrimonio normale. Era stato celebrato in circostanze molto spiacevoli. Il re Shahriyar aveva scoperto sua moglie a letto con uno schiavo e, profondamente ferito e adirato, aveva tagl iato la testa ai due amanti. Con sua grande sorpresa, per, dovette accorgersi che il duplice assassinio non era bastato a placare la sua feroce collera. Vendicar si divenne la sua ossessione notturna. Sentiva il bisogno di uccidere altre donn e. Cos ordin al vizir, il pi alto dignitario di corte, che era anche il padre d Shahrazad, di condurgli una vergine ogni notte: lui l'avrebbe sposata, avrebbe passato la notte con lei, e all'alba ne avrebbe ordinato l'esecuzione. E cos fece per tre lu nghi anni, uccidendo pi di un migliaio di fanciulle innocenti, finch il popolo inso rse, levando la voce contro di lui, invocando maledizioni sul suo capo, e pregan do Allh di annientarlo, lui e la sua legge; ci fu forte strepito di donne e gran pianto di madri, i genitori fuggirono portando via le figlie, e nella citt non re st pi una sola ragazza con cui congiungersi carnalmente. 3. Congiungersi carnalment e, precis mia madre quando il cugino Samir prese a pestare i piedi reclamando a g ran voce una spiegazione, quando marito e moglie stanno insieme in un letto e do rmono tutta la notte. E venne il giorno in cui non restarono che due vergini in tutta la citt: una era Shahrazad, la figlia maggiore del vizir, e l'altra era Dunyazad, sua sorella min ore. Quando il vizir torn a casa, quella sera, pallido e preoccupato, Shahrazad g li domand quali pensieri lo assillassero. Lui le parl del problema, e la ragazza r eag in un modo che il padre non si sarebbe mai aspettato. Invece di supplicare il suo aiuto per aver salva la vita, Shahrazad si offr immediatamente di andare a p assare la notte con il re. Vorrei che tu mi dessi in matrimonio a questo re Shahr iyar, disse. O rimarr in vita, o sar il riscatto delle vergini musulmane, e la causa della loro liberazione dalle mani del re e dalle tue. Il padre di Shahrazad, che amava sua figlia teneramente, si oppose a un tale pro getto, e tent di convincerla a pensare a un'altra soluzione. Farla sposare con Sh ahriyar equivaleva 3 Citato dalla splendida traduzione The Book of the Thousand and One Nights di Richard F. Burton, edita privatamente dal Burton Club, in data sconosciuta (l'int roduzione datata 1865), vol. I, p.14. Tuttavia, la versione del Burton pu risulta re difficilmente comprensibile a causa della sua lingua arcaica. Per un primo ap proccio all'opera, sono disponibili recenti traduzioni di pi immediata comprensio ne; in italiano esistono diverse edizioni di Le mille e una notte, la pi autorevo le delle quali indubbiamente quella curata da Francesco Gabrieli per Einaudi, To rino, 1948 (ultima edizione, 1972). a condannarla a morte sicura. Ma, diversamente dal padre, lei era convinta di av ere un potere speciale, e di essere in grado di fermare l'eccidio. Avrebbe curat o l'anima travagliata del sovrano, semplicemente parlandogli di cose accadute a qualcun altro; lo avrebbe condotto per terre lontane, a osservare gli usi degli stranieri, cos da avvicinarlo all'estraneit che abitava in lui; lo avrebbe aiutato a vedere la sua prigione, il suo odio ossessivo per le donne. Shahrazad era cer ta che, se avesse potuto fare in modo che il re guardasse dentro di s, sarebbe na to in lui il desiderio di cambiare, e di amare ancora. Con riluttanza, il padre cedette, e quella stessa notte Shahrazad fu sposa di Shahriyar. 4. Appena introd otta nella camera del re, la donna inizi a raccontargli una storia meravigliosa c he, astutamente, lasci in sospeso nel momento pi denso di suspense, cos che Shahriy ar non pot sbarazzarsi di lei all'alba e le accord di vivere fino alla notte dopo, per poter finire il racconto. Ma la seconda notte, Shahrazad cominci a raccontar gli un'altra storia avvincente che, al giungere dell'alba, era ancora ben lontan a dalla fine, e il re dovette lasciarla vivere anche questa volta. Lo stesso acc adde la notte seguente, e quella dopo ancora, per mille notti in tutto, che equi valgono a poco meno di tre anni, fino a che il re non fu pi capace di immaginare la propria vita senza di lei. Nel frattempo, avevano gi avuto due figli, e dopo m ille e una notte, il re rinunci alla terribile abitudine di far tagliare la testa alle donne. Quando mia madre fin di raccontare la storia di Shahrazad, io le chiesi: Ma come s i impara a raccontare le storie che piacciono ai re? Mia madre mormor, come parlan do tra s e s, che le donne non facevano altro per tutta la vita. 4 Ho constatato con sorpresa che, per molti occidentali, Shahrazad solo un'amabi le e ingenua intrattenitrice che, abbigliata in favolose vesti, racconta storiel le innocue. Dalle nostre parti, invece considerata un'eroina coraggiosa, ed una delle nostre rare figure mitiche femminili. Sherazad una stratega dal pensiero p otente, che usa la sua conoscenza psicologica degli esseri umani per farli cammi nare pi in fretta e saltare pi in alto. Come Sindibad e Saladino, ci rende pi audac i e sicuri di noi stessi, del nostro potere di cambiare il mondo e le persone. Questa risposta non mi fu di grande aiuto, naturalmente, ma poi lei aggiunse che le mie opportunit di essere felice dipendevano tutte dal grado di abilit che avre i acquisito nell'uso delle parole. Saputo questo, io e Samir (che, in seguito al l'incidente della radio, avevamo deciso di evitare le parole sgradite che potess ero turbare i grandi) cominciammo a fare allenamento. Stavamo seduti per ore, a far pratica in silenzio, masticando le parole, facendole girare sette volte into rno alla lingua, e tenendo sempre d'occhio gli adulti per vedere se si accorgeva no di qualcosa. Ma nessuno si accorse mai di nulla, specialmente nel cortile, dove la vita era m olto severa e formale. Solo al piano di sopra le cose erano meno rigide. Lass, zi e e parenti, vedove o divorziate, coi rispettivi figli, occupavano un labirinto di stanze e stanzette. Il numero delle parenti che, di volta in volta, vivevano con noi, variava a seconda dei conflitti nelle loro vite. Lontane parenti, in ro tta coi mariti, venivano a cercare rifugio nei nostri piani alti per qualche set timana. Alcune di loro, si portavano i figli, e venivano col proposito di restar e per poco, giusto il tempo di dimostrare ai mariti che avevano un altro posto d ove andare, che potevano sopravvivere per conto proprio, e non erano in disperat e condizioni di dipendenza. (Molto spesso questa strategia si rivelava vincente, e quando facevano ritorno al tetto coniugale, le donne avevano un maggiore pote re contrattuale). Altre, invece, venivano a stare da noi per sempre, dopo un div orzio o qualche altro grave problema, e questa era una delle tradizioni per cuimio padre si preoccupava ogni volta che qualcuno attaccava l'istituzione dell'ha rem. Dove andrebbero le donne in difficolt?, era solito dire. Le stanze di sopra erano molto modeste, con pavimenti di piastrelle bianche e mu ri imbiancati a calce. La mobilia era scarsa: un po ovunque erano sparsi degli s tretti divani ricoperti di rozzo cotone a fiorami e cuscini insieme a stuoie di rafia facili da lavare. I piedi bagnati, le babbucce, persino le tazze da t roves ciate occasionalmente, qui non provocavano le stesse eccessive reazioni del pian o terra. La vita ai piani alti era molto pi facile, specialmente perch ogni cosa era accompagnata da hanan, una q ualit emotiva tutta marocchina che raramente mi capitato di incontrare altrove. d ifficile dare un'esatta definizione di hanan ma, fondamentalmente, si tratta di una sorta di tenerezza libera, gratuita, benevola, incondizionatamente disponibi le. Le persone che danno hanan, come la zia Habiba, non minacciano di riprenders i indietro il loro amore quando uno commette qualche involontaria infrazione, pi ccola o grande che sia. Al piano terra hanan si incontrava di rado, soprattutto tra le madri, che erano troppo impegnate a insegnare il rispetto dei confini per prendersi anche la briga di essere tenere. Il piano di sopra era anche il luogo dove andare per ascoltare le storie. Si sal iva, per centinaia di gradini lucidi, fino al terzo e ultimo piano della casa, e quindi alla terrazza, spaziosa e invitante, tutta imbiancata a calce, che vi er a annessa. Era l che la zia Habiba aveva la sua stanza, piccola e quasi completam ente spoglia. Suo marito si era tenuto tutta la roba del matrimonio, con l'idea che se avesse fatto tanto di alzare un dito e dirle che la riprendeva in casa, l ei avrebbe chinato la testa e sarebbe tornata di corsa. Ma non pu portarmi via le cose pi importanti che ho, diceva di tanto in tanto la zia Habiba, cio la mia risata , e tutte le storie fantastiche che so raccontare, quando mi trovo davanti un de gno uditorio. Una volta chiesi a mia cugina Malika che cosa intendesse la zia per "un degno uditorio", e lei mi confess di non averne idea. Dissi che forse avremm o dovuto chiederlo direttamente a lei, ma Malika rispose di no, meglio di no, pe rch c'era il rischio che si mettesse a piangere. La zia Habiba piangeva spesso se nza ragione; lo dicevano tutti. Ma noi le volevamo bene, 'e il gioved notte stent avamo a prender sonno, tanta era l'eccitazione alla prospettiva della sua fiaba del venerd sera. Di solito questa consuetudine finiva per creare scompiglio perch le storie duravano troppo, a detta delle nostre madri, le quali, per venire a ri prenderci, erano spesso costrette ad arrampicarsi per tutte quelle scale. E, una volta arrivate in cima, dovevano pure sentirci strillare, mentre i pi viziati tr a i miei cugini, come Samir, si rotolavano per terra, gridando che loro non avevano sonno, propri o per niente. Ma chi riusciva a rimanere fino alla fine della storia, cio fino a quando l'eroin a trionfava sui suoi nemici e riattraversava i sette fiumi, i sette monti, i sett e mari, aveva un altro problema da affrontare: ridiscendere le scale, la qual cos a incuteva spesso paura. Prima di tutto perch non c'era luce: gli interruttori pe r l'illuminazione delle scale erano tutti controllati da Ahmed, il portinaio, da l portone d'ingresso, e lui staccava la luce alle nove di sera, per segnalare a chi si trovava sulla terrazza che era ora di rientrare e che il via vai doveva u fficialmente cessare. Poi, perch un'intera popolazione di jinn (demoni) se ne sta va l fuori, appostata in silenzio, pronta a saltarti addosso. E infine, ma non me no rilevante, c'era il problema che il cugino Samir era cos bravo a imitare i jin n che spesso mi capitava di prenderlo per uno vero. In molte occasioni, per farl o smettere, dovetti letteralmente fingere di svenire. A volte, quando la storia durava per ore, le madri non comparivano, e la casa in tera piombava all'improvviso nel silenzio, pregavamo la zia Habiba di farci pass are la notte nella sua stanza. Lei srotolava il suo bel tappeto nuziale, quello che teneva sempre arrotolato con cura dietro la cassapanca di cedro, e vi stende va sopra un lenzuolo bianco pulito che, per l'occasione, profumava con una speci ale acqua di fiori d'arancio. Non aveva abbastanza cuscini che potessero fungere da guanciali per tutti, ma questo non era un problema per noi. Divideva con noi la sua grande coperta di lana pesante, spegneva la luce elettrica e metteva una grossa candela sulla soglia, dalla parte dei piedi. Se per caso qualcuno ha urgenza di andare al bagno, ci diceva, tenga a mente che questo tappeto l'unica cosa c he mi resta in ricordo dei bei tempi, quando ero una donna felicemente sposata. Cos, in quelle notti di grazia, ci addormentavamo ascoltando la voce di nostra zi a che ci apriva magiche porte a vetri su prati rischiarati dai raggi della luna. E quando, al mattino, ci svegliavamo, avevamo ai piedi l'intera citt. La stanza della zia Habiba era piccola, ma aveva una grande finestra con una vista che arrivava fino ai monti del Nord. La zia Habiba sapeva come parlare nella notte. Con la forza delle sole parole, c i conduceva a bordo di una grande nave che veleggiava da Aden alle Maldive, oppu re ci portava su un'isola dove gli uccelli parlavano come gli esseri umani. Cava lcando le sue parole, viaggiavamo oltre Sind e Hind (l'India), lasciandoci dietr o i paesi musulmani, vivendo pericolosamente, facendo amicizia con cristiani ed ebrei, che dividevano con noi il loro cibo bizzarro e ci guardavano fare le nost re preghiere, mentre noi li guardavamo recitare le loro. A volte andavamo cos lon tano che non c'erano pi dei: solo adoratori del sole e del fuoco, ma anche questi sembravano cordiali e amichevoli, quando ci venivano presentati dalla zia Habib a. I suoi racconti mi facevano venire voglia di diventare adulta ed esperta narr atrice a mia volta. Volevo imparare a parlare nella notte. III L'harem dei francesi Hudd per eccellenza, o confine assoluto, era il nostro portone di casa. Attravers are la soglia, sia per uscire che per entrare, era un atto da compiersi previa a utorizzazione. Ogni movimento doveva essere giustificato, e anche il solo fatto di avvicinarsi al portone aveva una sua procedura. Chi veniva dal cortile, dovev a prima percorrere un corridoio interminabile e, una volta in fondo, si trovava faccia a faccia con Ahmed il portinaio, che di solito stava assiso su un sof come un re in trono, col vassoio del t sempre l a fianco, pronto a far conversazione. Poich ottenere un permesso di uscita comportava immancabilmente una serie di comp lessi negoziati, si veniva invitati ad accomodarsi vicino a lui sul suo imponent e sof, oppure di fronte, debitamente rilassati sulla sua scombinata fauteuil d'Fr ansa, la logora sedia rigida e imbottita che si era comprato per due soldi in un a delle rare visite alla jtiya, il mercato delle pulci locale. Ahmed teneva spess o in grembo il pi piccolo dei suoi cinque figli, dato che si prendeva cura di lor o ogni qualvolta che sua moglie, Lz, era fuori per lavoro. Lz era una cuoca di prim' ordine, e occasionalmente, quando la paga era buona, accettava incarichi fuori d i casa nostra. Il portone della casa era un gigantesco arco in pietra con enormi battenti di le gno intagliato. La sua funzione era quella di tener separato l'harem delle donne dalla strada in cui camminavano uomini estranei. (Da questa separazione, ci ven iva detto, dipendevano l'onore e il prestigio dello zio e di pap). I bambini potevano uscire dal portone, a patto che avessero il permesso dei geni tori; le donne adulte, no. Mi sveglierei all'alba, diceva mia madre di tanto in ta nto, se solo potessi andare a passeggio di primo mattino, quando le strade sono a ncora deserte. A quell'ora, la luce deve essere blu, o forse rosa, come al tramo nto. Quale sar il colore del mattino nelle strade deserte e silenziose? . Nessuno rispondeva alle sue domande. In un harem, le domande non si fanno necessariament e per avere una risposta. Le domande si fanno tanto per capire quello che ci acc ade. Vagare per le strade liberamente era il sogno di ogni donna. La pi popolare delle storie narrate dalla zia Habiba, che veniva riservata alle occasioni speci ali, parlava di una "Donna con le Ali" che poteva volare via dal cortile ogni qu al volta lo voleva; e quando la zia la raccontava, le donne della corte si infil avano il caffettano nella cintura e danzavano con le braccia spiegate, come se s tessero per spiccare il volo. Restai confusa per anni, perch mia cugina Shama, di diciassette anni, era riuscita a convincermi che tutte le donne avevano delle a li invisibili, e che quando fossi stata pi grande sarebbero cresciute anche a me. Il portone di casa ci proteggeva inoltre da quegli stranieri che se ne stavano q ualche metro pi in l, su un altro confine, non meno pericoloso e affollato - quell o che divideva la nostra citt vecchia, la medina, dalla nuova citt francese, la Ville Nouvelle. Quando Ahmed era occupato a discutere o a farsi un sonnellino, io e i miei cugini sgattaiolavamo fuori dal portone per dare un'occhiata ai soldati francesi: indossavano delle uniformi blu, portavano i fucili in spalla, e aveva no piccoli occhi grigi sempre in allerta. Spesso cercavano di parlare con noi ba mbini, perch gli adulti non scambiavano con loro neanche una parola, ma noi erava mo stati istruiti a non rispondere. Sapevamo che i francesi erano avidi, ed eran o venuti da lontano per conquistare la nostra terra, sebbene Allh avesse dato lor o un bel paese, con citt operose, fitte foreste, verdi campi ubertosi, e vacche c os grasse che una sola dava tanto latte come quattro delle nostre. Eppure, chiss p erch, i francesi volevano di pi. Dato che abitavamo al confine tra la citt vecchia e quella nuova, potevamo vedere la differenza tra la nostra medina e la Ville Nouvelle dei francesi. Le loro st rade erano larghe e dritte e, di notte, si illuminavano tutte di luci sfavillant i. (Pap diceva che sperperavano l'energia di Allh, perch la gente non ha bisogno di tutta quella luce, in una comunit sicura). Avevano anche delle auto veloci. Le s trade della nostra medina, invece, erano strette, buie e a serpentina - cos tortu ose che, in quelle spire, le auto non potevano entrare, e gli stranieri che aves sero osato avventurarvisi non avrebbero trovato il modo di venirne fuori. Questo era il vero motivo per cui i francesi si erano costruiti una citt nuova tutta pe r loro: dover vivere nella nostra li spaventava. Nella medina, la maggior parte delle persone andava a piedi. Pap e lo zio possede vano dei muli, ma i poveri come Ahmed avevano solo degli asini; donne e bambini dovevano andare a piedi. I francesi avevano paura di andare a piedi e stavano se mpre chiusi nelle auto. Anche i soldati se ne stavano in auto quando le cose si mettevano male. Questo, per noi bambini, costitu motivo di sorpresa, perch ci rive l che anche i grandi potevano aver paura, proprio come noi. In pi, questi grandi c he avevano paura se ne stavano fuori, e presumibilmente erano liberi. Gli stessi potenti che avevano creato il confine, ora lo temevano. La Ville Nouvelle era i l loro harem; proprio come le donne, non potevamo camminare liberamente nella me dina. Quindi si poteva essere potenti, e al tempo stesso prigionieri di un confi ne. Nondimeno, i soldati francesi, che spesso, sulle loro postazioni, parevano tanto giovani, soli e spaventati, incutevano terrore all'intera medina: avevano il po tere ed erano in condizioni di farci del male. Mia madre mi raccont che un giorno, nel gennaio del 1944, il re Muhammad V, soste nuto dai nazionalisti di tutto il Marocco, and dal capo amministratore coloniale francese, il resident General, per porgergli formalmente una domanda d'indipende nza. Il resident General ne fu sconvolto. Come osate voi marocchini chiedere l'i ndipendenza! deve aver gridato, e, per punirci, comand ai soldati di attaccare la medina. I carri a rmati si aprirono una strada e si spinsero fra le viuzze tortuose fin dove poter ono arrivare. Il popolo rivolse preghiere in direzione della Mecca. migliaia di uomini recitarono la preghiera dell'ansia, che consiste in una singola parola ripe tuta per ore ed ore, quando ci si trova a fronteggiare una catastrofe: Y Latif, Y Latif, Y Latif! (Oh tu, il benevolo). Latif uno dei cento appellativi di Allh, il pi bello di tutti, secondo la zia Habiba, perch Lo descrive come fonte di tenera c ompassione, che sente il dolore umano e viene in soccorso. Ma i soldati francesi armati e intrappolati nelle stradine tortuose, circondati dai canti di Y Latif r ipetuto per migliaia di volte, si innervosirono e persero il controllo. Comincia rono a sparare sulla folla che pregava e, nel giro di pochi minuti, i cadaveri c addero uno sull'altro proprio sulla soglia della moschea, mentre, all'interno co ntinuavano i canti. Mia madre dice che, a quel tempo, io e Samir avevamo appena quattro anni e nessuno si era accorto che stavamo guardando fuori dal portone, m entre tutti quei cadaveri intrisi di sangue, vestiti con la jallabiyya bianca, l a veste rituale per la preghiera, venivano riportati alle loro case. Per molti me si, tu e Samir avete avuto incubi, diceva mia madre, e non potevate pi vedere il co lore rosso senza correre a nascondervi. Abbiamo dovuto portarvi al santuario di Mawly Idris molti venerd di seguito, perch gli sharif (uomini sacri) vi proteggesse ro dal male grazie ai loro rituali, e io dovetti mettere un amuleto coranico sot to il tuo cuscino per un anno intero, prima che tu tornassi a dormire normalmente. Dopo quel tragico giorno, i francesi cominciarono ad andarsene sempre in giro con le armi bene in vista, mentre mio padre dovette rivolgersi a molte conoscenz e per avere il permesso di tenere il suo fucile da caccia - permesso che gli fu accordato solo a patto che quando non era nella foresta, tenesse l'arma sotto ch iave. Mi sentivo smarrita di fronte a questi eventi, e ne parlavo spesso con Jasmina, la mia nonna materna, che abitava in una bella fattoria tra vacche e pecore e im mensi pascoli in fiore, un centinaio di chilometri pi a ovest, tra Fez e l'Oceano. Le facevamo visita una volta all'anno, e io le raccontavo di confini, paure e differenze, e del perch d i tutto questo. Jasmina sapeva molto sulla paura, su tutti i tipi di paura. Io so no un'esperta della paura, Fatima, diceva, accarezzandomi la fronte, mentre gioca vo con le sue perle e le perline di vetro rosa. E quando sarai pi grande, ti dir al cune cose. Ti insegner a superare le paure. Spesso, le prime notti in cui mi trovavo alla fattoria di Jasmina, non mi riusci va di prender sonno: i confini non erano abbastanza definiti. Non si vedevano da nessuna parte dei portoni chiusi, ma solo campi aperti, piatti e sconfinati, do ve i fiori crescevano e gli animali pascolavano in pace. Ma Jasmina mi spiegava che la fattoria era parte della terra originaria di Allh, che era senza frontiere , solo vasti campi aperti senza confini n limiti, e che non dovevo averne paura. Ma come potevo andarmene in giro in aperta campagna senza essere aggredita? chie devo continuamente. E allora per aiutarmi a prendere sonno Jasmina invent un gioc o che mi piaceva tanto, un gioco che si chiamava mshiya fi 'i-khal' (la passeggia ta in aperta campagna). Mentre ero distesa, lei mi teneva stretta, e io mi aggra ppavo con tutte e due le mani alle sue perline di vetro, chiudevo gli occhi, e m i immaginavo di camminare in un campo di fiori infinito. Cammina piano, mi diceva Jasmina, cos puoi sentire il canto dei fiori. Senti, sussurrano salam, salam (pace , pace). Io ripetevo il ritornello dei fiori pi veloce che potevo, tutti i pericol i scomparivano, e cadevo addormentata. Salam, salam, mormoravo, con i fiori e con Jasmina. Subito dopo, era mattina, e mi risvegliavo nel grande letto di ottone d i Jasmina, con le mani piene delle sue perle e perline rosa. Da fuori giungeva l a musica delle brezze che sfioravano le foglie e degli uccelli che si parlavano tra loro, e in vista non c'era nessuno tranne re Farq, il pavone, e Tharwa, la gr assa oca bianca. Veramente, Tharwa era anche il nome di una delle mogli di mio nonno, quella che Jasmina pi detestava, ma io potevo chiamare quella donna Tharwa solo nel silenzio dei miei pensieri. Quando dicevo il suo nome ad alta voce, dovevo dire Lalla Thawr. Lalla , dalle nostre parti, il titolo di rispetto per le donne di una certa posizione, come Sid titolo di rispetto per tutti gli uomini importanti. Essendo una bambina, dovevo chiamare tutti gli adulti importanti Lalla e Sid, e b aciar loro la mano al tramonto, quando le luci venivano accese e si diceva ms'kum (buona sera) Ogni sera, io e Samir dovevamo baciare la mano a tutti quanti: lo facevamo il pi velocemente possibile, cos da poter tornare ai nostri giochi senza udire l'odioso commento: La tradizione si va perdendo Eravamo diventati cos bravi, che riuscivamo a sbrigare quel rituale a una velocit incredibile, ma qualche volta andavamo cos di fretta che finivamo per inciampare l'uno sull'altro, cadendo addosso alle persone che dovevamo riverire, o rovinand o miseramente sul tappeto. Allora tutti scoppiavano a ridere. La mamma rideva fi no a farsi venire le lacrime agli occhi. Poveri cari, diceva, sono gi stanchi di bac iare mani, e sono solo all'inizio. Ma Lalla Tharwa alla fattoria, proprio come La lla Mani a Fez, non rideva mai: era sempre seria, inappuntabile, formale. In qua lit di prima moglie di nonno Taz, godeva di una posizione molto privilegiata in se no alla famiglia. In pi, non le toccavano faccende domestiche ed era molto ricca: due privilegi che Jasmina non poteva soffrire. Non mi importa quanto ricca quell a donna, diceva, deve darsi da fare come ognuna di noi. Siamo o non siamo musulman i? Se lo siamo, allora tutti sono uguali. Lo ha detto Allh e lo ha confermato il suo Profeta. Jasmina mi diceva di non accettare mai l'ineguaglianza, perch contro ogni logica. Era per questo motivo che aveva dato il nome di Lalla Tharwa alla sua grassa oca bianca. IV Jasmina e la prima consorte Quando Lalla Tharwa venne a sapere che Jasmina aveva dato il suo nome a un'oca, si ritenne oltraggiata. Convoc il nonno Taz nel s uo salone - che, per la verit, era un palazzo indipendente, con tanto di giardino interno, una grande fontana e una splendida vetrata veneziana che occupava una parete di dieci metri. Il nonno ci and con riluttanza, trascinando i passi e tene ndo in mano una copia del Corano, tanto per far vedere che era stato interrotto nella sua lettura. Indossava i soliti ampi pantaloni bianchi di cotone, il suo q amis di chiffon bianco e la farajyya, pi le babbucce di cuoio giallo. 5. La jallab iyya, in casa, non la metteva mai, eccezion fatta per i giorni di visite. Fisicamente, il nonno aveva il tipico aspetto della gente del nord, dato che la sua famiglia era originaria del Rif. Era alto e dinoccolato, con un volto spigol oso, la pelle chiara, e un'aria molto distante e altezzosa. La gente del Rif fie ra e di poche parole, e il nonno detestava che le sue mogli piantassero liti e d iscussioni d'ogni sorta. Una volta, Jasmina provoc due dispute nel giro di un mes e, e il nonno le tolse la 5 Negli anni Quaranta, in Marocco, uomini e donne di citt vestivano quasi allo st esso modo, con tre capi di vestiario sovrapposti. Il primo capo, il qatnis, era molto morbido, in fibra naturale, ossia cotone o seta. Il secondo, il caffettano , era di lana pesante e si smetteva in primavera, quando cominciava a far pi cald o. Il terzo, quello pi esterno, era la farafyya una veste leggera, spesso traspare nte, con due spacchi laterali, da indossare sul caffettano. Quando uomini e donn e uscivano in pubblico, aggiungevano al vestiario un quarto capo, la jallabiyya, che era una veste lunga e molto ampia. Negli anni Cinquanta, con l'indipendenza, il modo di vestire in Marocco sub una rivoluzione. Per prima cosa , sia uomini che donne cominciarono a vestire all'occidentale in varie occasioni . Poi, lo stesso abito tradizionale fu trasformato e adattato ai tempi moderni. Era iniziata l'era dell'abito innovativo e personalizzato, e oggi, osservando un a via di una qualunque citt marocchina, non si notano due persone vestite allo st esso modo. Uomini e donne prendono in prestito l'uno dall'altro, e dal resto dell'Africa, c ome dall'Occidente. Per esempio, i colori brillanti, che un tempo erano prerogat iva esclusivamente femminile, ora sono portati anche dagli uomini. Le donne si m ettono la jallabiyya maschile e gli uomini indossano i bubus femminili, quelle a mpie vesti fluttuanti e ricamate che vengono dal Senegal e da altri paesi dell'I slam nero. E le giovani marocchine sono arrivate a inventare delle inedite m'mijallabiyya, molto sexy, ispirate a creazioni di stilisti italiani. parola per un anno intero, lasciando la stanza ogni volta che lei vi entrava. Do po quell'episodio, Jasmina non pot permettersi pi di una lite ogni tre anni. Quest a volta si trattava dell'oca, e tutta la fattoria era in stato di allerta. Prima di affrontare l'argomento, Lalla Tharwa offr al nonno un po di t. Quindi min acci di lasciarlo se il nome dell'oca non fosse stato immediatamente cambiato. Si era alla vigilia di un'importante festa religiosa, e Lalla Tharwa era tutta in tiro: tanto per rammentare a tutti il suo status di privilegiata, indossava la t iara e il leggendario caffettano a ricami di perle vere e granati. Ma il nonno e ra evidentemente divertito da tutta la faccenda, perch quando venne fuori l'argom ento oca, si mise a sorridere. Aveva sempre pensato che Jasmina fosse un po ecce ntrica, e in verit gli ci erano voluti degli anni per abituarsi a certi suoi comp ortamenti, come quella di arrampicarsi sugli alberi e starsene l appesa per delle ore - e di convincere, a volte, le altre mogli a raggiungerla l in cima, facendo servire il t alle signore sedute in mezzo ai rami. Ma quello che la salvava in o gni frangente, era il dono che Jasmina aveva di far ridere mio nonno: impresa no n da poco, dato che Sid Taz era un tipo piuttosto intrattabile. Ora, in mezzo al lusso del salotto di Lalla Tharwa, il nonno le sugger timidament e di rendere pan per focaccia e di chiamare Jasmina il suo cane, che era alquant o brutto - Questo costringerebbe la ribelle a cambiar nome all'oca Ma LallaTharwa non era in vena di scherzi. Quella donna ti ha proprio fatto un incantesim o, grid, se oggi gliela fai passare liscia, domani comprer un asino e lo chiamer Sid T az. Non ha nessun rispetto per le gerarchie. una piantagrane, come tutti quelli c he vengono dai monti dell'Atlante, e sta portando il caos in questa casa onorata . O lei da a quell'oca un altro nome, o io me ne vado di qui. Non capisco l'infl uenza che ha su di te. Non nemmeno bella - tutta secca e lunga che pare una brut ta giraffa. Che Jasmina non rispondesse ai canoni estetici del suo tempo, la pura verit. Lall a Tharwa, dal canto suo, di quei canoni era la perfetta incarnazione: aveva la p elle chiarissima, la faccia tonda da luna piena, e un bel po di carne addosso, s pecialmente in corrispondenza di fianchi, glutei e petto. Jasmina, al contrario, aveva l'incarnato bruno, abbronzato, dei montanari, il viso lungo con zigomi in credibilmente alti, e pochissimo seno. Era alta almeno un metro e ottanta, quasi quanto il nonno, e aveva le gambe pi lunghe che si fossero mai viste, ragion per cui era bravissima ad arrampicarsi sugli alberi e ad esibirsi in ogni sorta di acrobazie. Ma, sotto il caffettano, le sue gambe avevano l'aspetto di due stecch i. Per camuffarle, la nonna si era cucita un enorme paio di sarwal, o pantaloni da harem, con molte pieghe. In pi, aveva tagliato due lunghi spacchi ai lati del caffettano per darsi un po di volume. Sulle prime, Lalla Tharwa cerc di far rider e tutti delle vesti innovative di Jasmina, ma ben presto anche le altre donne de lla casa si misero a imitare la ribelle, perch i caffettani cos accorciati e con g li spacchi laterali davano loro molta pi libert di movimento. Quando il nonno and da Jasmina a lamentarsi per la faccenda dell'oca, lei non si dimostr molto comprensiva. E se anche Lalla Tharwa se ne fosse andata? disse; lui , certo, non si sarebbe sentito solo. Ti resterebbero sempre otto concubine, per prendersi cura di te!. Allora il nonno prov a corrompere Jasmina offrendole un gro sso bracciale d'argento di Tiznit, in cambio del quale avrebbe dovuto prendere l 'oca della discordia e farci un bel cuscus. Jasmina si tenne il bracciale, e disse al marito che voleva un po di giorni per pensarci su. Poi, il venerd succ essivo, torn sulla faccenda con una controproposta. Proprio perch l'aveva chiamata Lalla Tharwa, non poteva uccidere l'oca: non sarebbe stato di buon augurio! Tut tavia, propose, non l'avrebbe mai chiamata per nome in pubblico; lo avrebbe fatt o solo nella mente. Da allora in poi, venni istruita a fare lo stesso, e faticai non poco a tenere per me il nome dell'oca. Poi, ci fu la storia di re Farq, il pavone di casa. Chi mai darebbe a un pavone i l nome del famoso sovrano d'Egitto? Cosa aveva a che fare, il faraone, con quell a fattoria? Vedete, Jasmina e le altre mogli di mio nonno non avevano in simpati a il re egiziano, per il semplice motivo che minacciava continuamente di ripudia re la sua amabile consorte, la principessa Farida (dalla quale, alla fine, divor zi nel gennaio del 1948). Ora, che cosa aveva portato la coppia a questo impasse? Quale imperdonabile delitto aveva commesso la donna? presto detto: aveva partor ito tre figlie femmine, nessuna delle quali avrebbe potuto accedere al trono. Secondo la legge islamica, una donna non pu governare un paese - anche se qualche secolo prima era accaduto, diceva la nonna. Con l'aiuto dell'esercito turco, Sh ajarat al-Durr era salita sul trono d'Egitto dopo la morte di suo marito, il sul tano al-Salih: era una concubina, una schiava di origine turca, e rimase al pote re per quattro mesi, governando n meglio n peggio dei suoi predecessori e successo ri maschi. 6. Ma, ovviamente, non tutte le donne musulmane sono astute e crudeli come Shajarat al-Durr. Per dirne una, quando il secondo marito di Shajarat al-D urr decise di prendere una seconda moglie, lei aspett che andasse nel bammam, cio nel bagno, a rilassarsi, e poi "si dimentic" di aprirgli la porta. Il calore e il vapore eccessivi, com'era prevedibile, causarono la morte del malcapitato. Ma l a povera Farida non era dotata di tanta efferatezza, e non era capace di manovra re nei circoli 6 Shajarat al-Durr prese il potere nell'anno 648 del calendario islamico (1250 d . C). dei potenti, n di difendere i suoi diritti a palazzo. Era di origini molto modest e; in un certo senso era un'indifesa, motivo per cui le donne della fattoria, di povere origini come lei, l'amavano e soffrivano per le sue umiliazioni. Non c' niente di pi umiliante, per una donna, che venire cacciata di casa, diceva Jasmina . Sci! Fuori! In mezzo alla strada, come un gatto randagio. Vi sembra un modo dece nte di trattare una donna?. Inoltre, aggiungeva Jasmina, re Farq, eccelso e potente com'era, non doveva saper ne gran che su come si fanno i bambini. Se ne fosse al corrente, affermava, saprebb e anche che sua moglie non ha nessuna colpa se non le nasce un maschio. Bisogna essere in due, per fare un figlio. E su questo, aveva proprio ragione - io lo sapevo. Per fare un bambino, la sposa e lo sposo devono mettersi dei bei vestiti, dei fiori nei capelli, e dormire in sieme in un letto molto grande. E dopo, tutto quello che sapevo era che, molte m attine pi tardi, in mezzo a loro, a carponi, camminava un bel bimbetto. La fattoria si teneva sempre aggiornata sui capricci coniugali di re Farq tramite Radio Cairo, e la condanna di Jasmina giungeva rapida e senza appello. Che razza di buon capo musulmano , diceva, uno che ripudia la moglie solo perch non gli fa un figlio maschio? Il Corano dice che soltanto Allh responsabile del sesso dei bamb ini. Se Il Cairo fosse una citt musulmana come si deve, re Farq verrebbe deposto d al trono! Povera, dolce principessa Farida! Sacrificata per pura ignoranza e van it. Gli egiziani dovrebbero ripudiare il loro re. E fu cos che il pavone della fattoria venne chiamato re Farq. Ma se condannare sov rani era cosa semplice per Jasmina, avere a che fare con quella potente rivale e ra un altro paio di maniche, anche dopo averla spuntata con la storia del nome d ell'oca. Lalla Tharwa era davvero potente, ed era l'unica fra le mogli di Sid Taz che fosse di nobili origini e nata in citt. Anche lei faceva Taz di cognome, ed era una cug ina del nonno; aveva portato in dote una tiara di smeraldi, zaffiri e perle grigie che veniva c ustodita in una grossa cassaforte all'angolo destro del salone degli uomini. Ma Jasmina, che, come tutte le altre mogli, era di modeste origini rurali, non si l asciava intimidire. Non riesco a considerare superiore qualcuno solo perch possied e una tiara, diceva. E poi, ricca com', anche lei sta rinchiusa in un harem, propri o come me. Io chiedevo a nonna Jasmina cosa voleva dire essere rinchiusa in un ha rem, e lei mi dava ogni volta una risposta diversa, il che naturalmente non face va che confondermi. A volte diceva che stare rinchiusa in un harem voleva dire semplicemente che una donna aveva perduto la libert di movimento. Altre volte diceva che un harem sign ificava disgrazia, perch una donna doveva dividere il marito con molte altre. Jas mina stessa doveva dividere il nonno con otto concubine, il che significava che per otto notti doveva dormire da sola, prima di poter abbracciare e stringere il marito, quando veniva il suo turno. E abbracciare e stringere il marito una cosa meravigliosa, diceva. 7. Sono felice quando penso che la tua generazione non dovr pi dividere i mariti. I nazionalisti che combattevano i francesi avevano promesso di creare un nuovo M arocco, dove l'uguaglianza fosse garantita a tutti. Ogni donna avrebbe avuto dir itto all'istruzione al pari degli uomini, come pure il diritto alla monoga7 A questo punto, sar forse utile introdurre una distinzione fra due tipi di hare m: i primi li chiameremo harem imperiali, e i secondi harem domestici. I primi f iorirono con le conquiste territoriali e l'accumularsi di ricchezza da parte del le dinastie imperiali musulmane, a partire dagli Omayyadi, una dinastia araba de l settimo secolo stabilitasi a Damasco, per finire con gli Ottomani, la dinastia turca che minacci le capitali europee dal XVI secolo fino al 1909, quando l'ulti mo sultano, Abdelhamid II, venne deposto dalle potenze occidentali e il suo hare m fu smantellato. Chiameremo harem domestici quelli che continuarono a esistere dopo il 1909, quando i musulmani persero il potere e le loro terre furono occupa te e colonizzate. Gli harem domestici erano in pratica delle famiglie allargate, come quella descritta in questo libro, senza schiavi e senza eunuchi, e spesso con coppie monogamiche, dove tuttavia sopravviveva l'usanza della reclusione fem minile. l'harem imperiale ottomano che ha esercitato sull'Occidente un fascino quasi ossessivo. questo harem turco che ha ispirato centinaia di dipinti orienta listi del diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo secolo, come il famoso Bagnoturco (1862) di Ingres, o le Donne turche al bagno di Delacroix (1854), o Nel gi ardino del Bey di John Frederick Lewis (1865). Gli harem imperiali, ovvero, queg li splendidi palazzi pieni di donne sontuosamente vestite e reclinate in pose la scive e indolenti, con schiavi sempre pronti e eunuchi a guardia dei cancelli, e sistevano quando l'imperatore, il suo visir, i generali, gli esattori delle tass e etc. avevano influenza e denaro sufficienti a comprare centinaia e a volte mig liaia di schiavi dai territori conquistati, e quindi provvedere alle ingenti spe se di gestione domestica. Per quale motivo l'harem imperiale ottomano ebbe un simile impatto sull'immagina rio occidentale? Una ragione potrebbe essere la spettacolare conquista ottomana di Costantinopoli, la capitale bizantina, nel 1453, e la conseguente occupazione di molte citt europee, come anche il fatto che gli ottomani erano i vicini pi prossimi e pi pericolosi dell'Occidente. Per contrasto, gli hare m domestici, cio quelli che seguitarono a esistere nel mondo islamico dopo la col onizzazione occidentale, sono piuttosto noiosi, perch hanno una forte connotazion e borghese e, come ho detto prima, sono poco pi di una famiglia allargata, con qu asi nessuna dimensione erotica degna di nota. In questi harem domestici, un uomo , i suoi figli e le loro mogli vivono nella stessa casa, uniscono le risorse, ed esigono che le donne non escano fuori. Come nel caso dell'harem che ha ispirato le storie di questo libro, gli uomini non hanno necessariamente molte mogli. Ci che definisce un harem come tale non la poligamia, ma il desiderio degli uomini di tenere le donne recluse, e il loro ostinarsi a vivere tutti nella stessa casa , invece di formare dei nuclei familiari separati. mia - un rapporto esclusivo e privilegiato col proprio marito. Di fatto, molti l eader nazionalisti e i loro seguaci di Fez avevano ormai una moglie soltanto, e guardavano dall'alto in basso chi ne aveva pi d'una. Pap e lo zio, che condivideva no le idee nazionaliste, avevano solo una moglie a testa. Un'altra istituzione combattuta dai nazionalisti era la schiavit, che all'inizio del secolo, sebbene i francesi l'avessero messa al bando, era ancora molto diffu sa in Marocco. Stando ai racconti di nonna Jasmina, molte donne del suo harem er ano state comprate al mercato degli schiavi. (Anche lei era dell'idea che tutti gli esseri umani fossero uguali, a prescindere dalla ricchezza, dal luogo di pro venienza e dal posto occupato nella gerarchia, nonch dalla lingua e dalla religio ne. Se uno aveva due occhi, un naso, due gambe e due mani, allora era uguale a c hiunque altro. Io le ricordavo che, contando le zampe anteriori di un cane come mani, anche lui sarebbe stato uguale a noi, e lei rispondeva prontamente: Ma cert o che uguale a noi! Gli animali sono come noi; l'unica cosa che non hanno la par ola!). Fra le donne di mio nonno che erano state schiave, alcune venivano da terre lont ane, come il Sudan, ma altre erano state rapite alle loro famiglie proprio in Ma rocco, durante il caos che segu l'arrivo dei francesi nel 1912. Quando il Makhzan , ossia lo Stato, non esprime la volont del popolo, diceva Jasmina, le donne pagano sempre un alto prezzo, perch si instaura un clima di vio lenza e di insicurezza. Fu esattamente quel che accadde allora. Il Makhzan e i s uoi funzionari, incapaci di affrontare le armate francesi, firmarono il trattato che conferiva alla Francia il diritto di governare il Marocco come un protettor ato, ma il popolo rifiut di arrendersi. Sui monti e nei deserti inizi la resistenz a, e la guerra civile si insinu nel paese. C'erano degli eroi, raccontava Jasmina, ma c'erano anche briganti d'ogni risma, arm ati fino ai denti, che spuntavano dappertutto. I primi si battevano contro i fra ncesi, e gli altri, invece, derubavano la gente. A sud, ai confini del Sahara, c 'erano eroi come Al-Hiba, e pi tardi suo fratello, che resistettero fino al 1934. Dalle mie parti, sull'Atlante, il fiero Moh u Hamd Zayyan riusc a tenere a bada l'e sercito francese fino al 1920. A nord, il principe dei combattenti, Abdelkarim, diede molto filo da torcere a francesi e inglesi, finch questi si allearono contr o di lui e solo cos riuscirono a batterlo, nel 1926. Ma vero anche che, durante t utto questo scompiglio, le bambine venivano portate via dalle famiglie povere de lle montagne e vendute agli uomini ricchi delle grandi citt. Era una pratica molt o diffusa. Tuo nonno era un brav'uomo, per anche lui ha comprato delle schiave. Aquel tempo era la cosa pi normale. Ora cambiato e, come molti notabili della cit t, appoggia gli ideali dei nazionalisti, compresi il rispetto della persona, la m onogamia, l'abolizione della schiavit, e tutte queste belle cose. Eppure, stranam ente, tutte noi mogli ci sentiamo pi vicine che mai, anche se le schiave di un tempo ha nno cercato di rintracciare e contattare le loro famiglie d'origine. Ci sentiamo come sorelle; la nostra vera famiglia quella che ci siamo costruite intorno a t uo nonno. Potrei anche cambiare idea su Lalla Tharwa, se la smettesse di guardar ci tutte dall'alto in basso perch non abbiamo tiare. Chiamare la sua oca Lalla Tharwa era per Jasmina un modo di contribuire alla cre azione di un nuovo Marocco, quel Marocco in cui io, sua nipote, avrei vissuto. Il Marocco sta cambiando alla svelta, bambina, mi diceva spesso, e continuer a cambia re. Quella predizione mi faceva sentire molto felice. Io sarei cresciuta in uno s plendido reame, dove le donne avrebbero avuto dei diritti, e la libert di abbracc iarsi e stringersi al marito tutte le notti. Tuttavia, sebbene Jasmina si lamentasse di dover aspettare otto notti per avere suo marito tutto per s, aggiungeva che non era il caso di lagnarsi troppo, perch l e concubine di Harn al-Rashid, il califfo abbaside di Baghdad, dovevano attendere novecentonovantanove notti ciascuna, poich Harn aveva un migliaio di jariya, giov ani schiave. Aspettare novecentonovantanove notti, diceva, non come aspettarne otto. Sono quasi tre anni! Perci le cose si stanno mettendo meglio. Fra poco avremo un uomo, una m oglie. 8. Andiamo a dar da mangiare agli uccelli. Pi tardi 8 Nei fatti, la legge non mai stata cambiata. Oggi, a distanza di quasi mezzo se colo, le donne musulmane si stanno ancora battendo perch la poligamia venga bandi ta. Ma i legislatori, tutti uomini, dicono che una legge della shar'a, una legge religiosa, e non pu essere cambiata. Nell'estate del 1992, un'associazione di don ne marocchine (L'Union d'Action Feminine, la cui presidente, Lati-fa Jbabdi, gio rnalista e brillante sociologa), rea di aver raccolto un milione di firme contro la poligamia e il divorzio, divenne il bersaglio della stampa fondamentalista, che pubblic una fatwa, (un parere legale dato da un esperto in materia religiosa islamica), invocando l'esecuzione di quelle donne in quanto eretiche. Davvero, s i pu ben dire che il mondo musulmano regredito dai tempi di mia nonna, quando si parla di condizione femminile. La difesa della poligamia e del divorzio, da part e della stampa fondamentalista, in realt un attacco al diritto delle donne a pren der parte al processo legislativo. La maggior parte dei governi islamici, anche quelli che si dicono moderni, e le loro opposizioni integraliste, mantengono la poligamia nei codici di diritto di famiglia, non per ch sia particolarmente diffusa, ma perch vogliono dimostrare alle donne che le lor o esigenze non hanno il minimo peso. La legge non l per servirle, n per garantire loro sicurezza emotiva e diritto alla felicit. L'idea prevalente che le donne e l a legge non abbiano a che vedere tra loro; le donne devono accettare la legge de gli uomini, perch non possono cambiarla. La soppressione del diritto maschile all a poligamia starebbe a significare che le donne hanno voce in capitolo nel proce sso legislativo, che la societ non governata da e per i capricci degli uomini. L' atteggiamento dei governi islamici nella questione della poligamia un buon indic e di come accolgono le idee democratiche. E su questa base, vedremo che sono mol to pochi i paesi islamici al passo coi tempi in materia di diritti umani. La Tur chia e la Tunisia sono i pi avanzati. avremo un sacco di occasioni per parlare di harem Quindi, correvamo in giardino a dare da mangiare agli uccelli. V Shama e il califfo Cos' esattamente un harem? non era il tipo di domanda a cui gli adulti rispondesser o volentieri. Eppure insistevano sempre con noi bambini perch usassimo parole esa tte. Ogni parola, ci dicevano continuamente, ha un significato specifico, e va u sata solo per quel significato e per nessun altro. Tuttavia, se avessi avuto un' alternativa, avrei usato due termini diversi per l'harem di nonna Jasmina e peril nostro, tanto differivano l'uno dall'altro. L'harem di Jasmina era una fattor ia aperta, senza mura in vista. Il nostro harem di Fez, al contrario, era una sp ecie di fortezza. Jasmina e le altre sue compagne potevano cavalcare, nuotare ne l fiume, pescare pesci e arrostirli su fuochi all'aperto. Mia madre, invece, non poteva fare un passo fuori dal portone senza chiedere una serie interminabile d i permessi, e anche allora, tutto ci che era autorizzata a fare erano le visite a l santuario di Mawly Idris (il santo patrono della citt) e a suo fratello che abit ava proprio sulla nostra via; tutt'al pi, poteva recarsi a una festa religiosa. S enza contare che la povera mamma doveva sempre essere accompagnata da altre donn e di famiglia, e da uno dei miei cugini maschi. Cos, per me non aveva senso usare lo stesso termine per la situazione di mia nonna e per quella di mia madre. Ma ad ogni mio tentativo di saperne di pi sul termine "harem", seguivano amare di scussioni. Bastava soltanto pronunciare la parola, per sentir volare osservazion i sgarbate. Io e Samir discutemmo l'argomento, e arrivammo alla conclusione che, se le parole in generale erano pericolose, il termine "harem" doveva essere particolarmente esplosivo. Ogni volta che qualcuno aveva v oglia di scatenare un putiferio nel cortile, tutto quello che doveva fare era pr eparare del t, invitare due o tre persone a sedersi, lasciar cadere la parola "ha rem", e aspettare mezz'ora o gi di l: ed ecco delle signore eleganti e posate, avv olte in ampie vesti di seta ricamata, con ai piedi babbucce bellissime tempestat e di perle, trasformarsi d'un tratto in furie scatenate. Io e Samir decidemmo qu indi che, in qualit di bambini, era nostro dovere proteggere gli adulti da se ste ssi. Avremmo usato la parola "harem" con molta parsimonia, e raccolto con discre zione, cio osservando e basta, le informazioni che volevamo. Gli adulti si dividevano in quelli a favore dell'harem e quelli contro. Nonna La lla Mani e la madre di Shama, Lalla Radiya, appartenevano al partito pr-harem; mi a madre, Shama, e la zia Habiba erano del partito anti-harem. Spesso la discussi one veniva aperta da nonna Lalla Mani, la quale sosteneva che se le donne non fo ssero state separate dagli uomini, la societ si sarebbe fermata e nessuno avrebbe pi lavorato. Se le donne fossero libere di andarsene per la strada, diceva, gli uom ini smetterebbero di lavorare perch vorrebbero divertirsi. E purtroppo, continuava , il divertimento non aiuta la societ a produrre cibo e merci che servono alla so pravvivenza. Cos, se si voleva evitare la carestia, le donne dovevano stare al lo ro posto, ovvero in casa. Pi tardi, io e Samir tenemmo un lungo consulto sulla parola "divertimento" e deci demmo che, quando veniva usata dagli adulti, doveva avere a che fare con il sess o. Per volevamo esserne assolutamente sicuri, e cos ponemmo la questione a mia cug ina Malika. Lei disse che avevamo assolutamente ragione. Allora, dandoci il pi po ssibile un'aria da grandi, le chiedemmo: E cos' il sesso, secondo te?. Non che non lo sapessimo, solo che volevamo esserne sicuri. Ma Malika, credendo che non ne s apessimo nulla, butt le trecce indietro con fare solenne, si sedette sul divano, si mise un cuscino in grembo come fanno gli adulti quando devono riflettere, e d isse lentamente: La prima notte di nozze, quando tutti vanno a dormire, gli sposi se ne stanno da soli in camera da letto. Lo sposo fa sedere la sposa sul letto, si tengono per mano, e lui cerca di farsi guardare ne gli occhi da lei. Ma la sposa resiste, tiene gli occhi bassi. Questo molto impor tante. La sposa molto timida e spaventata. Lo sposo dice una poesia. La sposa as colta con gli occhi incollati al pavimento, e alla fine sorride. Allora lui la b acia sulla fronte. Lei tiene sempre gli occhi bassi. Lui le offre una tazza di t. E lei incomincia a berlo, lentamente. Lui le toglie la tazza di mano, le si sie de accanto, e la bacia. Malika, che giocava spudoratamente con la nostra curiosit, decise di fare una pau sa proprio sul bacio, sapendo che io e Samir morivamo dalla voglia di sapere se lo sposo baciava davvero la sposa. Baci sulla fronte, sulle guance e sulla mano non erano niente di insolito, ma sulla bocca era tutta un'altra storia. Tuttavia , decisi a dare una lezione a Malika, non tradimmo la minima curiosit e cominciam mo a bisbigliare tra noi, dimentichi della sua esistenza. Qualche giorno prima, la zia Habiba ci aveva detto che mostrare totale disinteresse quando qualcuno pa rla era, per i deboli, un modo efficace di acquisire potere: Parlare quando gli a ltri ti ascoltano gi un'espressione di potere. Ma anche chi ascolta in silenzio ea prima vista pu sembrare passivo, ha in realt un ruolo estremamente strategico, quello dell'uditorio. Che succede se il potente oratore perde il suo uditorio?. E infatti, Malika immediatamente riprese la sua dissertazione su quel che accade la prima notte di nozze. Lo sposo bacia la sposa sulla bocca. E poi giacciono in sieme nel talamo nuziale senza nessuno che guardi. Dopo di che, non facemmo pi dom ande. Il resto lo sapevamo. L'uomo e la donna si tolgono i vestiti, chiudono gli occhi, e dopo qualche mese arriva un bambino. L'harem rende impossibile a donne e uomini il fatto di vedersi reciprocamente e, in questo modo, ognuno procede con i suoi doveri. Mentre Lalla Mani tesseva le lodi della vita nell'harem, la zia Habiba fumava di rabbia; si vedeva benissimo dal modo in cui si aggiustava in continuazione il turbante, anche se non le si stava disfacendo. In quanto divorziata, per, non poteva contra ddire apertamente Lalla Mani, cos si limitava a mormorare le sue obiezioni tra s e s, lasciando a mia madre e a Shama il compito di dare voce al dissenso. Solo a c hi aveva potere era concesso di correggere apertamente il prossimo e contraddire le opinioni altrui. Una donna divorziata non aveva una vera casa, e doveva far accettare la sua presenza facendosi notare il meno possibile. La zia Habiba, ad esempio, non indossava mai colori vivaci, anche se a volte manifestava il deside rio di indossare ancora una volta la sua farajyya di seta rossa - cosa che non fe ce mai. Di solito portava colori grigi slavati o beige, e come trucco usava solo il kohl intorno agli occhi. I deboli devono essere disciplinati per evitare le u miliazioni, era solita dire. Mai lasciare che siano gli altri a ricordarti dei tuo i limiti. Si pu essere poveri, ma l'eleganza sempre alla portata di tutti. Quando mia madre voleva lanciare uno dei suoi attacchi alle idee di Lalla Mani, sedeva sul divano con le gambe ripiegate sotto di s, drizzava la schiena e si met teva in grembo un cuscino. Poi incrociava le braccia e la guardava dritto negli occhi. Mia cara suocera, diceva, i francesi non rinchiudono le loro mogli fra quatt ro mura. Le lasciano andare libere al sq (il mercato), tutti si divertono, e il l avoro va avanti lo stesso. Va avanti cos bene che i francesi si possono permetter e di equipaggiare dei forti eserciti e venire qui a spararci addosso. Quindi, prima che Lalla Mani potesse raccogliere le idee per passare al contratt acco, Shama presentava la sua teoria sull'origine del primo harem. E, arrivati a questo punto, la faccenda cominciava a farsi seria, perch sia Lalla Mani che la madre di Shama cominciavano a gridare che i nostri antenati venivano insultati e che le nostre sacre tradizioni erano messe in ridicolo. La teoria di Shama era molto interessante - io e Samir ne andavamo pazzie suonava pi o meno cos: un temp o gli uomini si combattevano l'un l'altro senza posa, e questo inutile spargimen to di sangue arriv a un punto tale che un giorno, di comune accordo, decisero di nominare un sultano che avrebbe avuto il compito di organizzare tutte le cose, di esercitare la sulta, l'autorit, e di dire agli altri cosa dovevano fare. Tutti avrebbero do vuto obbedirgli. Ma come faremo a scegliere tra noi chi far il sultano?, si domanda vano gli uomini ogni volta che si riunivano a discutere il problema. Rifletteron o a lungo e alla fine uno di loro ebbe un'idea. Il sultano deve avere qualcosa ch e gli altri non hanno, disse. Rifletterono un altro po, e poi un altro uomo ebbe un'altra idea. Potremmo organizzare una caccia alle donne, sugger, e l'uomo che pren der il maggior numero di donne, verr nominato sultano. Idea eccellente, concordarono tutti, ma come si far per provarlo? Quando comincere mo a correre per la foresta ad acchiappare donne, ci perderemo di vista. Ci serv e un modo per bloccare le donne una volta che sono prese, cos potremo contarle, e decidere chi il vincitore. E fu cos che nacque l'idea di costruire case: servivan o case, con porte e chiavistelli, per tenerci dentro le donne. Samir sugger che p oteva essere pi semplice legare le donne agli alberi, visto che avevano le trecce tanto lunghe, ma Shama disse che a quei tempi le donne erano molto robuste, per ch correvano nella foresta come gli uomini, e legandone due o tre allo stesso alb ero, c'era il rischio che questo venisse sradicato. Inoltre, legare una donna ro busta portava via tempo ed energie, senza contare che poteva anche graffiarti la faccia, o darti un calcio in qualche posto innominabile. Costruire le mura e fi ccarci dentro le donne, era molto pi pratico. E cos fecero gli uomini. La gara si organizz in tutto il mondo, e il primo round venne vinto dai bizantini. 9. Questi, che erano i peggiori fra tutti i romani, confinavano con gli arabi nel Mediterraneo orientale, dove non perdevano occasione per umiliare i loro vic ini. L'imperatore di Bisanzio conquist il mondo, prese un altissimo numero di don ne e le rinchiuse nel suo harem, per dimo9 Per un divertente scorcio sugli harem dell'Impero Romano, vedi Sarah B. Pomero y, Donne in Atene e Roma, trad. di Laura Comoglio, Torino, Einaudi, 1978. strare a tutti che era il capo. L'Oriente e l'Occidente si inchinarono a lui. L' Oriente e l'Occidente lo temevano. Ma poi, col passare dei secoli, anche gli ara bi cominciarono a imparare come si conquistano terre e donne. Diventarono bravis simi, e sognarono di poter conquistare anche le terre dei bizantini. Fu il calif fo Harn al-Rashid che, alla fine, ebbe questo privilegio: nell'anno 181 del calen dario islamico (798 d. C.), sconfisse l'imperatore romano, e prosegu conquistando altre parti del mondo. Quando ebbe messo insieme un harem da un migliaio di jar iya, o giovani schiave, costru un grande palazzo a Baghdad e le chiuse tutte l den tro, in modo che nessuno potesse dubitare che il Sultano era lui. Gli arabi dive nnero i sultani del mondo, e misero insieme ancora pi donne. Il califfo Al-Mutawa kkil ne cont quattromila. Al-Muqtadir alz la cifra a undicimila. 10. Tutti ne furo no molto colpiti - gli arabi diedero ordini e i romani si inchinarono. Ma mentre gli arabi erano occupati a rinchiudere le donne, i romani e gli altri cristiani unirono le loro forze e decisero di cambiare le regole del potere nel Mediterraneo. Collezionare donne, dichiararono, non aveva pi importanza. Da quel giorno, il sultano sarebbe stato quello che riusciva a costruire le armi e le ma cchine da guerra pi potenti, comprese armi da fuoco e grandi navi. Solo che i rom ani e gli altri cristiani decisero di non dire niente agli arabi di questo cambi amento delle regole; lo avrebbero tenuto segreto, tanto per far loro una sorpres a. Cos gli arabi dormivano sonni tranquilli, credendo di conoscere tutte le regol e del gioco del potere. A questo punto Shama smetteva di parlare, balzava in piedi e iniziava a mimare l a storia per me e per Samir, ignorando del tutto Lalla Mani e Lalla Radiya che p rotestavano a gran 10 La dinastia degli Abbasidi, la seconda dell'impero musulmano, dur cinquecento anni, dal 132 al 656 del calendario islamico (750-1258 d. C.). Fin quando i Mongo li distrussero Baghdad e uccisero il califfo. Harn al-Rashid fu il quinto califfo degli Abbasidi; govern tra il 786 e l'809 d. C. Le sue conquiste divennero legge ndarie, e il suo regno considerato l'apice dell'et d'oro musulmana. Il califfo Al -Mutawakil era il decimo della dinastia (847-861 d. C.), il califfo Al-Muqtadir era il diciannovesimo (908-932 d. C.). voce. Intanto la zia Habiba storceva la bocca per non far vedere che stava sorri dendo. Poi Shama si tirava su il suo qamis di pizzo bianco per liberare le gambe , e saltava su un divano vuoto. Si stendeva come per dormire, seppelliva la test a sotto uno dei grossi cuscini, si metteva i capelli rossi sulla faccia lentiggi nosa e diceva: Gli arabi stanno dormendo. Quindi chiudeva gli occhi e cominciava a russare; ma un attimo dopo tornava a saltar su, si guardava intorno come fosse appena uscita da un sonno profondo, e fissava me e Samir come se ci vedesse per la prima volta. Gli arabi, finalmente, si sono svegliati, giusto qualche settiman a fa!, diceva. Le ossa di Harn al-Rashid sono diventate polvere, e la polvere si mi schiata con la pioggia. La pioggia corsa gi sino al fiume Tigri, e di l al mare, d ove le cose grandi diventano piccole, e si perdono nella furia delle onde. Un re francese regna, ora, su questa parte del mondo. Il suo titolo President de la r epu-blique Franfaise. Ha un enorme palazzo chiamato l'Eliseo, e - udite udite! ha solo una moglie. Nessun harem, che si sappia. E quell'unica moglie passa il tempo a girare per le strade con una gonna corta e una profonda scollatura. Tutt i possono guardarle il petto e il di dietro, ma nessuno dubita, neanche per un a ttimo, che il Presidente della Repubblica Francese sia uno degli uomini pi potent i del paese. Il potere degli uomini non si misura pi dal numero di donne che ries cono a imprigionare. Ma questo suona nuovo nella medina di Fez, perch gli orologi sono ancora fermi al tempo di Harn al-Rashid!. Poi, Shama tornava con un balzo sul divano, chiudeva gli occhi, e affondava di nuovo la faccia nel cuscino di seta a fiori. Silenzio. Io e Samir andavamo matti per quella storia di Shama, perch lei era un'attrice veramente brava! Io la guard avo sempre da vicino, per imparare ad accompagnare le parole con i movimenti. Si dovevano usare le parole e, al tempo stesso, bisognava muovere il corpo in un m odo particolare. Ma non tutti erano rapiti come me e Samir dalla storia di Shama . Sua madre, Lalla Radiya, sulle prime era sgomenta, poi offesa, soprattutto qua ndo Shama menzionava il califfo Harn al-Rashid. Lalla Radiya era una donna di lettere e leggeva libri di storia, cosa che aveva imparato da suo padre, famosa autorit religiosa di Rabat. Lalla Ra diya non amava la gente che si prendeva gioco dei califfi, soprattutto quando si trattava di Harn al-Rashid. O Allh, gridava, perdona mia figlia che attacca di nuovo i califfi! e che confonde i bambini! due peccati ugualmente mostruosi. Poveri p iccoli, avranno una visione talmente distorta dei loro antenati, se Shama persev erer nel suo errore. Lalla Radiya, allora, chiedeva a me e Samir di sederci vicino a lei, per corregg ere la versione della storia e farci amare il califfo Harn. Era il principe dei ca liffi, ci diceva, quello che conquist Bisanzio e innalz alta la bandiera dell'Islam sulle capitali cristiane. Insisteva anche che sua figlia era del tutto in errore per quanto riguardava gli harem: erano un'invenzione bellissima. Tutti gli uomin i rispettabili provvedono alle loro donne - cos che queste non debbano andare per le strade insicure e piene di pericoli - e danno loro bei palazzi con pavimenti di marmo e fontane, buon cibo, bei vestiti, e gioielli. Che altro occorre a una donna per essere felice? Solo le donne di condizione sociale inferiore, come Lz, la moglie di Ahmed il portinaio, hanno bisogno di lavorare fuori di casa per gua dagnarsi da vivere. Quelle a cui questo trauma viene risparmiato, sono delle pri vilegiate. Spesso io e Samir ci sentivamo sopraffatti da tutte queste opinioni contradditto rie, e cos cercavamo di organizzare un minimo le nostre informazioni. I grandi er ano proprio disordinati! Un harem ha a che fare con gli uomini e le donne - e qu esto un fatto. Ha anche a che fare con case, mura e strade - e questo un altro f atto. Tutto ci era molto semplice e facile a visualizzarsi: metti quattro mura in mezzo a una strada, e avrai una casa. Poi, metti le donne nella casa e lascia g li uomini fuori, e avrai un harem. Ma cosa accadrebbe, provai a chiedere a Samir , se mettessimo gli uomini in casa e lasciassimo andar fuori le donne? Samir dis se che stavo complicando tutto, proprio quando stavamo arrivando a capirci qualc osa. Cos acconsentii a rimettere dentro le donne e fuori gli uomini, e andammo avanti nella nostra inchiesta. Il problema era che le mura e t utto il resto funzionavano bene per il nostro harem di Fez, ma non si adattavano affatto all'harem della fattoria. VI Il cavallo di Tam L'edificio che ospitava l'harem della fattoria era molto grande, aveva un solo p iano, la pianta a forma di T, ed era circondato da laghetti e giardini. Il lato destro della casa era riservato alle donne, quello sinistro agli uomini, e una s ottile recinzione di bamb alta un paio di metri segnava i hudd (i confini) fra le due parti della casa. Questa, in realt, si componeva di due edifici molto simili tra loro, costruiti retro su retro, con facciate simmetriche e spaziosi colonnat i ad archi che mantenevano freschi i saloni e le stanze pi piccole, anche quando fuori faceva caldo, ed erano perfetti per giocare a nascondino. I bambini della fattoria, molto pi spericolati di quelli di Fez, si arrampicavano su quelle colon ne a piedi nudi, e saltavano gi come piccoli acrobati. Inoltre, non avevano paura dei rospi, delle lucertole e degli animaletti volanti che parevano sempre salta rti addosso ogni volta che attraversavi il corridoio. Il pavimento era fatto di piastrelle bianche e nere, e le colonne erano decorate con un mosaico la cui rar a combinazione di giallo pallido e oro piaceva molto a mio nonno, e che non mi e ra mai capitato di vedere in nessun altro luogo. I giardini erano delimitati da inferriate alte e sottili, in metallo lavorato, con cancelli ad arco che, all'ap parenza, erano sempre chiusi, ma bastava spingerli per avere immediato accesso a i campi aperti. Il giardino degli uomini era adorno di pochi alberi e di molte siepi fiorite che tradivano una cura attenta e meticolosa. Il giardino delle donn e aveva tutto un altro aspetto: era sovraccarico di alberi strani e piante bizza rre e animali d'ogni genere, perch ognuna delle mogli di mio nonno rivendicava per s un pezzetto di terreno come proprio giardino personale, e vi coltivava ortaggi e allevava galline, anatre e pavoni. Nel giardino delle do nne non si poteva fare una passeggiata senza sconfinare sulla propriet altrui, e gli animali inseguivano gli intrusi dappertutto, anche sotto i portici del colon nato, facendo un baccano del diavolo, in stridente contrasto col silenzio monast ico che caratterizzava il giardino degli uomini. All'edificio principale della fattoria, si aggiungeva una serie di padiglioni sp arsi un po dovunque tutto intorno. Jasmina viveva in uno di questi padiglioni, a destra della casa. Era un dettaglio su cui aveva molto insistito con il nonno, spiegandogli che doveva stare il pi lontano possibile da Lalla Tharwa. Quest'ulti ma aveva il suo padiglione indipendente situato nel complesso principale, con sp ecchi da muro a muro, soffitti decorati in legno intagliato e dipinto, specchier e e candelabri. Il padiglione di Jasmina, invece, consisteva in una stanza spazi osa e molto semplice, priva di ogni lusso. A lei di questo non importava nulla, fintanto che poteva starsene lontana dall'edificio principale, avere spazio a su fficienza per i suoi esperimenti con alberi e fiori, e allevare ogni sorta di an atre e pavoni. Il padiglione di Jasmina aveva anche un secondo piano, costruito appositamente p er Tam, una donna venuta dal nord, fuggita dalla guerra che infuriava sui monti d el Rif. Jasmina si era presa cura di lei quando era ammalata, e le due donne era no diventate buone amiche. Tam arriv nel 1926, dopo la sconfitt