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Esistono molti tipi di organizzazioni, grandi e piccole, formali e informali, profit e noprofit. Queste diverse tipologie evocano realtà molto dissimili tra loro che però possono essere ricondotte a questa definizione: Un’organizzazione è un insieme di attività che hanno bisogno di essere gestite in modo coordinato per essere finalizzate e dirette in funzione del perseguimento dei fini per cui l’organizzazione è nata. Questa definizione pone subito l’attenzione sulla necessità nell’ambito dell’organizzazione di un progetto e di una attività organizzativo-gestionale che siano in grado di: - interpretare e perseguire i fini; - programmare, procurare e governare le risorse necessarie allo svolgimento delle attività L’ esigenza di progettualità e di azione organizzativo-gestionale, propria di qualsiasi realtà aziendale, è quindi indipendente da: - finalità - dimensione - settore operativo - business e situazione competitiva - risorse Sicuramente diverso sarà il modo in cui tale esigenza viene risolta e affrontata. La necessità si manifesta mano a mano che la complessità dell’organizzazione cresce sia sotto il profilo interno che esterno. Si intende per aspetto interno tutto ciò che è relativo ai fattori di produzione mentre si intende per esterno quello relativo alle relazione con l’ambiente in cui si agisce l’organizzazione e in particolare alle relazioni con il mercato per le organizzazioni- impresa. Il bisogno di progettalità e di azione organizzativo-gestionale trova quindi soluzione attraverso un sistematico processo organizzativo formalizzato in una specifica attività di organizzazione aziendale resa più strutturata e raffinata a seconda della complessità aziendale. Si può considerare, in sintesi, come il compito dell’organizzazione aziendale, intesa come funzione e attività aziendale, sia gestire la complessità che ogni organizzazione presenta affinché tutte le risorse e le varie attività diano corpo ad un sistema coordinato e finalizzato. Il progetto organizzativo – gestionale prende avvio e si sviluppa dalle scelte relative al posizionamento dell’organizzazione, al cosa fare come prodotto/servizio e a come ci si vuole caratterizzare nell’ambiente in termini di immagine e identità per raggiungere il fine percui l’organizzazione è sorta. L’ORGANIZZAZIONE COME IMPRESA La definizione di impresa ha visto nel tempo diverse modificazioni che hanno avuto lo scopo soprattutto di privilegiare gli aspetti che nei vari momenti storici ed economici risultavano essere più significativi e critici. Occorre notare come i termini impresa e azienda siano in ambito della letteratura economico gestionale generalmente usati come sinonimi, mentre nella letteratura giuridica e aziendale tali termini vengano usati in maniera differenziata. Secondo l’articolo 2555 il Codice Civile l’azienda indica il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di impresa intesa invece come attività economica organizzata al fine della produzione e dello

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Esistono molti tipi di organizzazioni, grandi e piccole, formali e informali, profit e noprofit. Queste diverse tipologie evocano realtà molto dissimili tra loro che però possono essere ricondotte a questa definizione: Un’organizzazione è un insieme di attività che hanno bisogno di essere gestite in modo coordinato per essere finalizzate e dirette in funzione del perseguimento dei fini per cui l’organizzazione è nata. Questa definizione pone subito l’attenzione sulla necessità nell’ambito dell’organizzazione di un progetto e di una attività organizzativo-gestionale che siano in grado di:

- interpretare e perseguire i fini; - programmare, procurare e governare le risorse necessarie allo svolgimento delle

attività

L’ esigenza di progettualità e di azione organizzativo-gestionale, propria di qualsiasi realtà aziendale, è quindi indipendente da:

- finalità - dimensione - settore operativo - business e situazione competitiva - risorse

Sicuramente diverso sarà il modo in cui tale esigenza viene risolta e affrontata. La necessità si manifesta mano a mano che la complessità dell’organizzazione cresce sia sotto il profilo interno che esterno. Si intende per aspetto interno tutto ciò che è relativo ai fattori di produzione mentre si intende per esterno quello relativo alle relazione con l’ambiente in cui si agisce l’organizzazione e in particolare alle relazioni con il mercato per le organizzazioni- impresa.

Il bisogno di progettalità e di azione organizzativo-gestionale trova quindi soluzione attraverso un sistematico processo organizzativo formalizzato in una specifica attività di organizzazione aziendale resa più strutturata e raffinata a seconda della complessità aziendale. Si può considerare, in sintesi, come il compito dell’organizzazione aziendale, intesa come funzione e attività aziendale, sia gestire la complessità che ogni organizzazione presenta affinché tutte le risorse e le varie attività diano corpo ad un sistema coordinato e finalizzato. Il progetto organizzativo – gestionale prende avvio e si sviluppa dalle scelte relative al posizionamento dell’organizzazione, al cosa fare come prodotto/servizio e a come ci si vuole caratterizzare nell’ambiente in termini di immagine e identità per raggiungere il fine percui l’organizzazione è sorta.

L’ORGANIZZAZIONE COME IMPRESA

La definizione di impresa ha visto nel tempo diverse modificazioni che hanno avuto lo scopo soprattutto di privilegiare gli aspetti che nei vari momenti storici ed economici risultavano essere più significativi e critici. Occorre notare come i termini impresa e azienda siano in ambito della letteratura economico gestionale generalmente usati come sinonimi, mentre nella letteratura giuridica e aziendale tali termini vengano usati in maniera differenziata. Secondo l’articolo 2555 il Codice Civile l’azienda indica il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di impresa intesa invece come attività economica organizzata al fine della produzione e dello

scambio di beni e servizi. L’azienda tradizionalmente definita come un’organizzazione di persone e di beni rivolta ad uno scopo produttivo può essere meglio definita in un concetto più recente come un’organizzazione economica che, mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse limitate, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e di servizi da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito (Sciarelli). Dalla definizione derivano i quattro elementi tradizionalmente riconosciuti come distintivi dell’azienda:

- la presenza di una organizzazione - lo svolgimento di processi di produzione - le relazioni di scambio con entità esterne - le finalità imprenditoriali del reddito

Questi elementi distintivi dell’impresa sono stati oggetto nei vari momenti economici di attenzione particolare da parte degli studiosi per meglio comprendere, studiare ed indirizzare i comportamenti aziendali nei confronti di elementi esterni ed interni in evoluzione e che rappresentano spesso il fattore critico del momento su cui l’impresa deve agire per trarne vantaggi strategici e possibilità di sopravvivenza: l’ambiente e il mercato, la coordinazione e le relazioni tra le funzioni specialistiche, lo svolgimento dei processi produttivi, le risorse intellettuali. Già da tempo la definizione di impresa come un sistema funzionale aperto socio-tecnico è accolta dalla dottrina, definizione che pone l’attenzione sia sulla natura sistemica dell’azienda sia all’importanza delle relazioni che l’impresa ha con l’ambiente che la circonda. L’impresa è un sistema funzionale perché costituito da elementi che devono essere specializzati e coordinati per poter insieme ottenere un comune risultato. L’attenzione alla natura sistemica dell’impresa ha lo scopo di porre l’attenzione sulla necessità che le singole funzioni aziendali, risposte specialistiche ad un problema aziendale, agiscano in maniera coordinata e interagente. Questa necessità deriva da spinte specialistiche che altrimenti portano l’organizzazione a dividersi troppo in parti separate poco dialoganti tra loro. L’azienda viene definita sistema aperto in quanto viene posta l’attenzione alla sua essenza di organizzazione che per vivere deve intrattenere rapporti e relazioni di scambio con altri sistemi esterni. Questo aggettivo vuole sottolineare la necessità dell’impresa di conoscere, dialogare ed interagire con l’ambiente che la circonda sempre più difficoltoso e turbolento.

L’azienda è un sistema Socio-tecnico perchè è caratterizzato da una componente tecnica e da una componente sociale sicuramente di maggior rilievo perché il funzionamento dell’azienda è legato all’operare coordinato di una molteplicità di gruppi interni ed esterni tra i quali si sviluppano rapporti di collaborazione e di conflitto. Questo aspetto cooperativo-conflittuale dell’organizzazione è uno dei punti base per comprendere il funzionamento di qualsiasi struttura organizzativa Recentemente la letteratura ha aggiunto al concetto di sistema l’aggettivo “cognitivo” con la volontà di sottolineare l’importanza soprattutto della risorsa intellettuale. L’attenzione degli studiosi si è incentrata sempre più sulla necessità di privilegiare e attirare l’attenzione sulla valenza strategica delle capacità e delle conoscenze che l’azienda è capace di creare e mantenere al suo interno. Si vuole sottolineare come la vera ricchezza di una impresa non sia quindi solo il suo patrimonio materiale e tangibile ma soprattutto, ed oggi sempre di più, la vera ricchezza debba essere intesa come la capacità di creare valore per poter di rimanere competitiva e perdurare nel tempo. Oggi questa capacità si pensa sia da ricercare sopratutto nelle risorse intellettuali e intangibili La teoria aziendalista rivolge sempre più l’attenzione all’aspetto intangibile delle Immobilizzazioni immateriali delle organizzazioni aziendali osservando che proprio in queste si racchiudono le potenzialità di espansione del sistema aziendale. La vita aziendale si svolge secondo procedure ripetitive frutto dell’esperienza accumulata nel tempo e della capacità di tradurre i segnali di cambiamento mandati dall’ambiente.

La capacità di innovarsi dell’azienda sta proprio nel saper coniugare il sapere acquisito con valori di sviluppo secondo un processo autopropulsivo che sarà tanto più efficace quanto l’organizzazione potrà apprendere lavorando( learning by doing). La quantità e la qualità di conoscenza dell’impresa sono evidentemente legate al contributo degli uomini che ne fanno o ne hanno fatto parte e che diventano patrimonio comune aziendale. La ricchezza di una impresa, con le mutazioni del mercato e della tecnologia, è sempre più data dal sapere incorporato e di quelli che vi lavorano. Lo sviluppo dell’attività aziendale, notano sempre più studiosi, si sta dematerializzandosi in corrispondenza al prevalere dell’intelligenza quale fonte di sviluppo e innovazione. Quindi sembra si possa affermare che la natura dell’impresa, in un concetto più moderno, non è tanto quella di produrre in senso tecnico cioè di fabbricare ma quella di accumulare conoscenze che le permettono di poter scegliere le tecniche produttive, organizzative e i comportamenti più adatti per affrontare le nuove situazioni che via via si creano. La vera essenza dell’azienda può essere quindi individuata nel suo knowhow accumulato nel tempo.

Sciarelli e Rullani tendono a definire l’impresa come un sistema di conoscenze atto a produrre nuove conoscenze, come un sistema complesso aperto all’interno del quale si intersecano elemento tangibili ed intangibili, risorse finanziarie ed umane, mezzi tecnici ed intelligenze, beni materiali ed immateriali in un disegno finalizzato alla produzione

L’azienda quindi sistema aperto che vive dell’interscambio con il contesto ambientale, specifico e generale, deve saper interpretare i vincoli e le opportunità che le si presentano e saper elaborare delle scelte di fondo, un progetto e un’azione organizzativa- gestionale in grado di ottimizzare i propri risultati.

L’azienda tradizionalmente definita come un’organizzazione di persone e di beni rivolta ad uno scopo produttivo è meglio delineata in questa definizione più recente di Sciarelli : l’azienda è un’organizzazione economica che, mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse limitate, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e di servizi da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito. Dalla definizione derivano i quattro elementi tradizionalmente riconosciuti come distintivi dell’azienda ma declinati alla luce delle più moderne tendenze:

- la presenza di una organizzazione - lo svolgimento di processi di produzione - le relazioni di scambio con entità esterne - le finalità imprenditoriali del reddito

Questi tradizionali elementi distintivi dell’impresa sono stati via via oggetto, nei diversi momenti economici e sociali, di attenzione particolare da parte degli studiosi per comprendere, studiare ed indirizzare i comportamenti aziendali L’ambiente e il mercato, la coordinazione e le relazioni tra le funzioni specialistiche, lo svolgimento dei processi produttivi, le risorse umane e intellettuali hanno rappresentato, ognuno di questi o i loro rapporti, il fattore critico su cui l’impresa ha dovuto conce trarsi per trarne vantaggi strategici e possibilità di sopravvivenza. La lettura storica sia di organigrammi delle aziende di un settore o di organigrammi di una singola impresa possono dare in tal senso molte informazioni. L’esplicitazione in organigramma di una nuova funzione può spesso di fatto significare la necessità per una impresa di dare una risposta specialistica al fattore critico che in quel momento richiede la sua attenzione strategica. Si pensi ad esempio come negli anni 70 la gestione delle risorse umane sia passata, per una miriade di imprese, da compito della funzione amministrativa a specifica funzione aziendale.

La definizione di impresa di Sciarelli evidenzia come l’impresa svolga processi di acquisizione e di produzione di beni e di servizi da scambiare con entità esterna. In questa frase si può ravvisare anche da parte di uno studioso economico gestionale come Sciarelli il riconoscere come l’impresa anche industriale non sia più funzione di produzione bensì una struttura di governo in cui la funzione fondamentale sia quella di stipulare contratti oltre che quella di produrre. Tradizionalmente l’impresa considerata come funzione di produzione nella concezione taylor-fordista aveva dei confini fisici ben stabiliti che coincidevano con i suoi confini economici, tecnici, finanziari ed umani. Le imprese tradizionali avevano di norma una elevata verticalizzazione che avvalorava questo concetto di impresa- funzione di produzione. Con gli anni 70 si sono cominciati a diffondere processi di deverticalizzazione provocati dal fatto che le grandi imprese trovano più conveniente, a causa di mercati più complessi, affidare specifiche fasi di lavorazione o anche la produzione di componenti complessi dei propri prodotti ad altre imprese, in genere più piccole, che a loro volta possono affidare ad altre unità produttive fasi di lavorazione. Il risultato è la creazione di una rete di fornitori e di sub- fornitori relativamente stabile il cui legame giuridico è dato, oggi, sopratutto dai contratti che legano tra loro le diverse imprese. Occorre notare come nel tempo si sia passati da legami prevalentemente finanziari, come avviene nei gruppi che hanno rappresentato la prima fase del processo di decentramento, a legami contrattuali che più caratterizzano questa fase attuale del decentramento. Il diffondersi su scala mondiale del fenomeno del decentramento ha portato alla necessità di elaborare nuovi modelli capaci di tenere conto di queste spinte alla deverticolarizzazione rispetto al tradizionale modello tayloristico. In questa prospettiva nascono, soprattutto in America, scuole di pensiero che superano la visione di impresa come:

- entità organizzativa dai confini ben definiti, - con scopi istituzionali da perseguire, - dove gerarchia e burocrazia rappresentano le classiche strutture di comando e di controllo.

La teoria dei costi di transazione, teoria che nasce da una scuola di pensiero sorta in America per studiare le imprese economiche, amplia in maniera interessante e attuale il concetto di organizzazione. Il concetto di organizzazione, in questa impostazione, non è più legato al concetto di una singola unità con la sua forma burocratica bensì, per organizzazione, si può intendere qualsiasi modello stabile di rapporti tra soggetti siano essi individuali che collettivi. Pertanto il concetto di organizzazione comprende il mercato e le reti intese come forme ibride o intermedie di strutture organizzative. Williamson, il più noto e prestigioso esponente della teoria dei costi di transazione, concepisce l’impresa come una struttura di governo(governance) Concepire l’impresa come struttura di governo delle transazioni ha, inoltre, l’importante conseguenza di unificare campi di ricerca tradizionlmente sempre distinti quali l’economia d’impresa e la sociologia dell’ organizzazione. L ’impresa intesa come funzione di produzione vedeva le due discipline procedere su strade diverse. L’economia d’impresa si occupa tradizionalmente di come l’impresa ottimizza i profitti in rapporto a investimenti e processi produttivi. La sociologia dell’organizzazione analizza tradizionalmente l’organizzazione burocratica con le sue deviazioni e le relazioni tra soggetti e organizzazioni. Le decisioni dell’impresa, di fronte al dilemma comprare o produrre o di creare una rete di sub- fornitori, ha evidentemente una forte rilevanza sia organizzativa che economica- gestionale. In realtà tutte le scelte strategiche dell’imprese hanno sempre effetti non solo economici ma anche organizzativi, quello che spinge oggi ad un riavvicinamento tra le diverse discipline sta, secondo il mio parere, che le aziende hanno la necessità di trovare strumenti sofisticati di controllo e quindi le analisi dei

comportamenti delle imprese e dei suoi rapporti con l’ambiente sono importanti anche per l’aspetto aconomico.

William Ouchi, autore americano di origine giapponese asserisce che oltre al mercato e alla burocrazia c’è il clan come forma di governo delle transazioni. Questa terza possibilità è una forma molto complessa di controllo. Il clan, per funzionare come forma di governo, presuppone nei contraenti il senso dell’appartenenza e di forti legami ad una istituzione con tradizione, norme e valori comuni. La tesi di Ouchi è che solo il clan possa essere valido strumento per governare transazioni complesse. Chiaramente l’autore ha come modelli di comportamento economico le imprese del capitalismo asiatico in cui pochi grandi gruppi di affari aggregano una vasta rete di imprese diverse tra loro.

FINI E OBIETTIVI

La letteratura economica evidenzia vi sia una sostanziale differenza tra fine e obiettivo. Sciarelli1 propone questa distinzione tra il concetto di fini e il concetto di obiettivi:

I fini sono di contenuto molto più ampio e generale rispetto agli obiettivi e sono caratterizzati da alcuni attributi fondamentali quali l’universalità, la generalità e la permanenza nel tempo. Un fine deve essere comune a tutte le organizzazioni della stessa natura, deve comprendere quindi gli scopi più specifici di certi gruppi o attività e soprattutto deve rimanere costante nel tempo. Se, ad esempio, si assume che la massimizzazione del profitto sia la finalità a cui tende l’azienda, si accetta che lo sia per tutte le imprese.

Un obiettivo è una meta particolare, fissata in certe circostanze e in rapporto ad un periodo di tempo determinato, quindi caratterizzato da mutevolezza nel tempo e nello spazio e comunque subordinato alla finalità ultima perseguita.

Questa distinzione concettuale può servire a capire nell’analisi dei comportamenti imprenditoriali i nessi che esistono tra gli scopi finali dell’organizzazione con i traguardi che di volta in volta sono assegnati alla gestione aziendale.

Oggi in molte realtà organizzative si sente asserire che il fine o, per usare un termine che non gradisco, ma molto di moda, la mission aziendale sta nella soddisfazione del cliente/utente /paziente. In realtà non è che oggi le aziende siano mosse da moti di caritatevole attenzione nei confronti dei clienti. Oggi a fronte di mercati saturi e maturi le aziende devono porsi come obiettivo primario cercare di fidelizzare il cliente per poter ottenere il fine di sempre che è il profitto. La teoria della Qualità totale nelle sue varie varianti ed interpretazioni sembra aver originato questo equivoco. In realtà il modello, nell’ambito delle aziende, ha come fine aziendale il profitto ottenuto attraverso l’ottenimento di obbiettivi di breve periodo, tra i quali la soddisfazione del cliente è uno di essi.

L’azienda può essere vista come:.

- ORGANIZZAZIONE ECONOMICA - SISTEMA SOCIALE - STRUTTURA PATRIMONIALE Nell’ottica di organizzazione economica l’azienda ha lo scopo di soddisfare i bisogni umani attraverso l’utilizzo di risorse limitate. 1 Sergio Sciarelli; IL SISTEMA D’IMPRESA, pag 38

Vista come sistema sociale l’azienda è un insieme di rapporti sociali, di scambio, uno strumento per il soddisfacimento di necessità interne ed esterne che distribuisce la ricchezza creata. L’azienda, come struttura patrimoniale, è definita come un complesso di beni organizzati gestito per svolgere processi produttivi per produrre reddito Oggi in molte realtà aziendali si sente asserire che il fine o, per usare un termine che non gradisco ma molto di moda, la mission aziendale sta nella soddisfazione del cliente. In realtà non è che oggi le aziende siano mosse da moti di caritatevole attenzione nei confronti dei clienti bensì che obiettivo primario, oggi, a fronte di mercati saturi e maturi deve essere cercare di fidelizzare il cliente per poter ottenere il fine di sempre che è il profitto. La teoria della Qualità totale che sembra aver originato questo equivoco in realtà e il modello Toyota, l’applicazione per antonomasia di tale teoria, pongono come fine aziendale il profitto ricercato nell’ottenimento di obbiettivi di breve periodo tra i quali la soddisfazione del cliente è uno dei tanti. Vorrei quindi qui di seguito cercare di chiarire come vi sia una sostanziale differenza tra fine e obiettivo per poi passare ad analizzare l’influenza del soggetto economico sul significato di profitto.

Sciarelli2 propone questa distinzione tra il concetto di fini e il concetto di obiettivi:

I fini sono di contenuto molto più ampio e generale rispetto agli obiettivi e sono caratterizzati da alcuni attributi fondamentali quali l’universalità, la generalità e la permanenza nel tempo. Un fine deve essere comune a tutte le organizzazioni della stessa natura, deve comprendere quindi gli scopi più specifici di certi gruppi o attività e soprattutto deve rimanere costante nel tempo. Se, ad esempio, si assume che la massimizzazione del profitto sia la finalità a cui tende l’azienda, si accetta che lo sia per tutte le imprese.

Un obiettivo è una meta particolare, fissata in certe circostanze e in rapporto ad un periodo di tempo determinato, quindi caratterizzato da mutevolezza nel tempo e nello spazio e comunque subordinato alla finalità ultima perseguita.

Questa distinzione concettuale serve a capire nell’analisi dei comportamenti imprenditoriali i nessi che esistono tra gli scopi finali dell’organizzazione con i traguardi che di volta in volta sono assegnati alla gestione aziendale.

L’azienda può essere vista come:.

- ORGANIZZAZIONE ECONOMICA - SISTEMA SOCIALE - STRUTTURA PATRIMONIALE

Nell’ottica di organizzazione economica l’azienda ha lo scopo di soddisfare i bisogni umani attraverso l’utilizzo di risorse limitate.

Vista come sistema sociale l’azienda è un insieme di rapporti sociali, di scambio, uno strumento per il soddisfacimento di necessità interne ed esterne che distribuisce ricchezza creata.

L’ottica che si vuole qui prendere in esame è l’azienda come struttura patrimoniale gestita da una volontà imprenditoriale

L’azienda è definita come un complesso di beni organizzati e come un complesso gestito per svolgere processi produttivi per produrre reddito

Tre elementi si evidenziano in questa definizione:

- il capitale 2 Sergio Sciarelli; IL SISTEMA D’IMPRESA, pag 38

- la capacità imprenditoriale - il profitto

Evidentemente il fine che l’imprenditore si pone è ottenere il profitto, concetto composito e da interpretare sia in base al tempo che in base alla natura di chi detiene il potere di gestire l’azienda.

Di seguito vengono presentate alcune teorie sui fini aziendali per cercare di dare qualche contenuto al concetto di profitto.

TEORIE SUI FINI AZIENDALI E TIPOLOGIE DI SOGGETTO ECONOMICO

Un’azienda è l’espressione di una volontà imprenditoriale tesa ad ottenere determinate finalità. Spesso si parla di fini aziendali intendendo invece gli obiettivi perseguiti dal soggetto economico in quanto l’azienda è strumento ed emanazione di capacità imprenditoriali finalizzate verso certi risultati.

Il diverso soggetto economico non condiziona solo le scelte aziendali ma ne determina i fini. Allo scopo di dimostrare tale affermazione viene qui presentata una classificazione delle possibili tipologie di soggetto economico per poi mettere in evidenza come le diverse tipologie possano influenzare le finalità aziendali.

SOGGETTO ECONOMICO

Il soggetto economico3 può essere classificato in FAMILIARE SOGGETTO ECONOMICO PATRIMONIALE: BANCARIO PUBBLICO SOGGETTO ECONOMICO MANAGERIALE: AZIONARIATO DI MIN. AZIONARIATO DI MAGG. Il soggetto economico patrimoniale controlla l’azienda attraverso il patrimonio. Il soggetto economico familiare (imprenditore, famiglia o famiglie) si avvale quindi del proprio patrimonio per controllare l’azienda. Questa situazione è tipica delle aziende italiane e tale situazione ne ha condizionato sia la loro dimensione che il mercato finanziario italiano.

Il soggetto economico manageriale invece controlla l’impresa in assenza di un pacchetto di controllo maggioritario. Si verifica in presenza di presupposti quali: • dimensione molto elevata dell’impresa • presenza di investitori istituzionali molto autorevoli che necessitano di investire in titoli azionari

(enti previdenziali privati, assicurazioni) • mercato finanziario molto più sviluppato rispetto al sistema bancario. In sostanza le aziende sono pubblic companies. In Italia stanno, forse, nascendo, ma ad oggi la predominanza di imprese a soggetto patrimoniale, la mancanza dei grandi investitori istituzionali e il debito pubblico, ne hanno limitato lo sviluppo.

3 Giorgio Tagi, FINANZA AZIENDALE, p. 23.

E’ chiaro che i managers soggetto economico nella realtà delle pubblic companies abbiano finalità diverse rispetto al soggetto economico patrimoniale familiare di tipo tradizionale.

Si vuole sottolineare, inoltre, come il fenomeno della dissociazione fra gli organi di proprietà e di governo dell’impresa che si evidenzia come sviluppo della crescita dimensionale delle aziende porta alla tipologia di soggetto economico manageriale che rappresenterà, anche in Italia, la figura di soggetto economico più riscontrabile nella realtà aziendale.

Quindi sulle finalità del soggetto economico esistono diversità di interpretazioni derivanti dalla natura stessa del soggetto economico e dalla delega del governo di impresa da parte della proprietà. Si esporranno qui di seguito le teorie più note sui fini imprenditoriali nell’intento di dimostrare come la tipologia del soggetto economico le abbia prodotte e motivate4. Si presenteranno inoltre alcuni modelli d’impresa per cercare di far comprendere come le aziende dipendano dalle caratteristiche del soggetto economico e dell’ambiente culturale, sociale economico, interagenti tra loro. Inoltre si vuole evidenziare come certi obiettivi dichiarati dalle aziende siano obiettivi di breve periodo e come tengano conto dei conflitti dell’ambiente in cui l’azienda opera, mentre il fine ultimo rimane il profitto. Spesso, oggi, si sente dichiarare dalle aziende che il loro obiettivo sia la soddisfazione del cliente. Questo può essere considerato un obiettivo che tiene conto delle condizioni dei mercati odierni ma che non può rappresentare il fine aziendale.

TEORIA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO

Il profitto, secondo la teoria economica classica, è il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi. Attorno a questa impostazione ruotano diverse correnti che ampliano o interpretano in modo ampio il concetto di profitto, ma anche molte correnti critiche che mettono in discussione il concetto di profitto e il significato di massimizzazione.

Una prima teoria considera il reddito quale corrispettivo che spetta a colui che ordina l’impiego dei fattori produttivi, quindi lo considera una categoria economica simile al salario, alla rendita e all’interesse.

Un’altra vede il profitto come un premio di assicurazione per l’investimento del capitale quindi destinato a ripagare il rischio corso dall’imprenditore. Secondo Schumpeter il profitto è un premio che spetta a colui che promuove l’innovazione. Un’altra, infine, considera il profitto come il risultato dell’acquisizione di posizioni monopolistiche. Queste diverse impostazioni del concetto di profitto non devono essere viste come alternative ma come complementari in quanto nel concetto profitto possono essere associate e giustificate le impostazioni presentate. Comunque il concetto di profitto, sicuramente concetto composito, non viene messo in discussione né perde la sua ragione di essere in rapporto alla natura giuridica della proprietà. Si può, invece, discutere la sua misura e la sua destinazione in relazione alla azienda privata o pubblica, in un’economia chiusa o aperta. Il fine della redditività si collega a qualsiasi processo di investimento dato che risponde alla legge del tornaconto personale, legge comune all’intera società umana. L’obiettivo della massimizzazione, anch’esso discusso, deve essere letto tenendo in considerazione il fattore rischio e il fattore tempo per meglio riempire di significato l'asserzione di questa teoria. Si deve considerare comunque come nella pratica sia abbastanza complesso dare significato alla teoria della massimizzazione del profitto. Che cosa vuol massimizzare l’imprenditore? Il risultato di una o più operazioni o il risultato della gestione aziendale nel lungo periodo? La teoria classica può comunque giustificare l’agire dell’azienda imprenditoriale cioè avente come soggetto economico uno dei diversi tipi di soggetto economico patrimoniale.

4 Sergio Sciarelli; IL SISTEMA D’IMPRESA, p. 30.

LA TEORIA DELLA SOPRAVVIVENZA AZIENDALE

La critica più consistente alla teoria della massimizzazione del profitto è quella portata dagli economisti sociali che mettono in evidenza come l’avvenuta separazione tra la proprietà e il governo dell’impresa comporti mutamento dei fini della gestione stessa.

I proprietari sono infatti preoccupati di ottenere il massimo profitto dall’impresa mentre i managers sono invece preoccupati in primo luogo della sopravvivenza aziendale; Quindi il fine diventa quello di assicurare la continuità dell’azienda. Il profitto diventa il mezzo per ottenere il fine che è la continuità5.

Sicuramente questa teoria ambientata nelle aziende in cui il soggetto economico è di tipo manageriale meglio chiarisce i fini di tali aziende anche se comunque, secondo il mio punto di vista, il profitto rimane l’obiettivo primario in quanto senza di esso la continuità aziendale non può sussistere. Si tratta invece di capire la temporalità di ottenimento e il rischio che il soggetto economico vuole correre.

LA TEORIA DEL VALORE DELL’IMPRESA

Sempre alla ricerca di capire e interpretare l’agire delle imprese gli studiosi hanno inserito il tema della strategia del valore. Il fine dell’impresa sarebbe quello di massimizzare il suo valore, espresso in termini di capitalizzazione di borsa o di valore di mercato. Questa teoria vede l’azienda come un investimento che evidentemente deve rendere e che il mercato deve recepire come tale, quindi l’azienda sarà giudicata per il suo rendimento. L’ottica è abbastanza simile a quella della teoria della massimizzazione del profitto ma ambientata nella realtà delle pubblic companies e quindi in aziende il cui soggetto economico è di tipo manageriale con fini diversi dal soggetto economico patrimoniale.

Questa teoria6 ha una matrice tipicamente nordamericana che ha prodotto il modello aziendale di cui si dirà in seguito trattando di modelli aziendali.

La creazione e la diffusione del valore vengono ricercate soprattutto nel breve periodo perché sono i mercati finanziari che giudicano l’operato dei managers. Tale teoria che ha notevole diffusione in Europa ed in Italia7 non può essere evidentemente adatta a motivare il comportamento di imprese con soggetti economici patrimoniali familiari.

LA TEORIA DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE

Anche questa teoria si motiva nell’evoluzione manageriale dell’impresa e quindi nella necessità di capire le motivazioni che i managers hanno nel gestire le imprese.

Secondo tale teoria i managers sono più interessati all’espansione dell’impresa che si traduce nell’irrobustimento dell’organizzazione, nell’assunzione di una forza maggiore rispetto alla concorrenza, ottenendo così obiettivi di stabilità, di prestigio e di miglioramento economico.

5 Drucker e Galbraith. 6 Luigi Quatri, Economia delle Aziende Industriali, pag.7 7 Angelo Renoldi

Obiettivo primario diventerebbe così non il profitto ma il volume di affari8 che diventa l’indicatore del successo perché permette di migliorare gli sviluppi della carriera dei dirigenti, perché facilita i rapporti con le banche, i fornitori, ecc.

Vi è, inoltre, un rapporto molto stretto tra tasso di sviluppo e la massimizzazione del profitto in quanto l’aumento della dimensione passa attraverso una adeguata fonte di autofinanziamento.

Quindi non vi è antitesi tra questa teoria e quella classica della massimizzazione del profitto bensì delle condizioni affinché l’impresa sia redditizia. Come dice lo Sciarelli9 vi è l’esistenza nell’impresa di un sistema di obiettivi e quindi la necessità di stabilire fra essi un criterio di gerarchia. Tale gerarchia è destinata ad essere ordinata prevalentemente in funzione del fattore tempo. Nel corso della gestione si potranno perseguire obiettivi di breve periodo o di lungo, per cui a seconda del periodo osservato sarà possibile rilevare la preminenza dell’uno sull’altro comportamento. Si tratta di individuare qual è l’obiettivo di lungo periodo legato all’intera esistenza dell’azienda.

Per alcuni è il massimo profitto, per altri il massimo sviluppo dimensionale.

Quindi per alcuni il fine diventa il mezzo e viceversa.

TEORIA DEI LIMITI SOCIALI ALLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO

Si è detto che il concetto di profitto è un concetto composito nel senso che può essere inteso come il compenso per il lavoro imprenditoriale, come il premio per il rischio, come la contropartita dell’innovazione, come la rendita per la posizione monopolistica, ma c’è anche da precisare che obiettivo del soggetto economico è massimizzare il profitto, non inteso come risultato contabile, ma inteso come cash-flow. Questo perché la scelta della destinazione del cash-flow agli ammortamenti e al reddito/risultato del conto economico scaturisce da politiche di bilancio espressioni della volontà del soggetto economico. La realizzazione di questo obiettivo è ostacolata dalla conflittualità che contraddistingue la vita aziendale. I vari gruppi di attori (operai, fornitori, clienti, ecc.) che sono coinvolti nella gestione aziendale hanno ispirazioni diverse che pongono limiti nella scelta degli obiettivi e delle strategie. I conflitti possono essere originati da motivi e attori sia interni che esterni all’azienda. Relativamente a motivi e attori esterni all’azienda il prezzo, le modalità di vendita e i clienti; le politiche concorrenziali e i concorrenti; i prezzi , le modalità d’acquisto e i fornitori; il costo del danaro e i finanziatori, sono esempi significativi. Soprattutto la distribuzione dei ricavi tra le varie categorie sociali presenti in azienda è motivo interno di conflittualità. Diversa è la capacità in queste situazioni di composizione da parte dell’azienda e dipendono di volta in volta dalla sua capacità contrattuale, dalla legislazione vigente per la tutela della risorsa umana, ecc. La teoria dei limiti sociali al massimo profitto pone, quindi in rilievo l’aspetto conflittuale dell’organizzazione aziendale che è una coalizione particolare perché fra gli attori vi è non solo un rapporto di collaborazione ma anche di contrapposizione. Da ciò deriva che ogni impresa, pur avendo un fine primario o di lungo periodo persegue un insieme di obiettivi. Questi discendono dalle mete che ciascun gruppo sociale si pone nel partecipare alla vita aziendale. In generale si può affermare che il fine a cui il gruppo imprenditoriale tende nel lungo periodo è quello della massimizzazione del profitto che però può essere perseguito attraverso vie od obiettivi diversi che possono sembrare contrastanti nel breve periodo. Il Simon10 conclude che il profitto massimo a cui tende l’imprenditore si trasforma in un profitto soddisfacente cioè in un obiettivo reddituale che date le condizioni del mercato e dell’ambiente in generale risulti appagante in termini di investimento di tempo e di denaro nell’impresa.

8 Baumol. 9 Sergio Sciarelli, IL SISTEMA D’IMPRESA, p. 37. 10 Simon, COMPORTAMENTO AMMINISTRATIVO.

DIVERSI MODELLI D’IMPRESA

L’impresa capitalistica, dopo il fallimento delle organizzazioni fondate su utopie ideologiche, risulta essere l’unico mezzo per realizzare progresso economico e quindi il benessere sociale.

Secondo Guatri11 nel mondo si riscontrano e si contrappongono diversi modelli di impresa capitalistica, tra i quali i modelli nord- americano e giapponese sono considerati casi- limite della gamma.

MODELLO NORD-AMERICANO

Il soggetto economico è di tipo manageriale, sono generalmente pubblic- companies in una realtà economica caratterizzata da mercati finanziari molto attivi e con la presenza dei grandi investitori istituzionali.

E’ caratterizzato da questi elementi:

PRODOTTI

FEDE NELLA CONCORRENZA SU: SERVIZI

CONTROLLO DEL CAPITALE

RICERCA DEL PROFITTO A BREVE TERMINE

i managers sono valutati dal mercato, senza profitti a breve vedono messa a rischio la loro posizione.

FLUIDITA’ DEL LAVORO dipendenti e manager cambiano frequentemente per opportunità posto di lavoro e quindi non vi è fedeltà nei confronti dell’azienda, il permanere per un periodo lungo nella stessa azienda è un elemento negativo nel curriculum VARIABILITA’ DEI RAPPORTI COI FORNITORI l’azienda valuta i fornitori per il prezzo e le condizioni di fornitura mettendo in concorrenza i fornitori tra loro e scegliendo la combinazione ottimale di volta in volta. MASSIMIZZAZIONE DEL DIVIDENDO AGLI AZIONISTI NEL BREVE PERIODO

11 Economia delle aziende industriali e commerrciali EGEA Spa Milano 1992 pag.4

MODELLO GIAPPONESE Evidentemente tipico di questa area geografica è caratterizzato dall’adozione della strategia/filosofia Qualità E’ caratterizzato da questi elementi: FORNITORI RIGIDITA’ DI RAPPORTI NEI CONFRONTI: MANAGER AZIONISTI DIPENDENTI L’azienda ha con i fornitori rapporti di partnership stabili e continuativi, spesso rapporti a vita che non si interrompono per sole questioni di prezzo. I managers e i dipendenti aspirano a impieghi vitalizi, la fedeltà all’azienda è motivo di orgoglio e ben considerata sia in ambito aziendale che in ambito sociale ATTENZIONE AI RISULTATI DI LUNGO PERIODO Anche gli azionisti esprimono fedeltà al loro investimento nonostante un dividendo modesto, dando peso maggiore al capitain gain. Il tipo di rapporto che lega le aziende ai propri managers e ai propri azionisti permette di poter mirare a risultati di lungo periodo. Questa rigidità di rapporti unita a caratteristiche tipiche della realtà economica, sociale e culturale ha permesso al Giappone di conquistare ampie quote del mercato mondiale. In Europa la realtà è molto variegata. Difficile individuare un modello europeo, si possono invece individuare diversi modelli nei quali si possono leggere analogie con i modelli nord- americano e giapponese.

Il modello tedesco, ad esempio, ha diversi punti di contatto con quello giapponese. Tra i problemi dell’Europa unita vi è quello di individuare un modello comune d’impresa. La comunità europea ha cercato di spingere le imprese, attraverso le normative quali ad esempio le ISO 9000, verso la strategia Qualità nell’intento di rendere più competitive le aziende europee a livello mondiale. I differenti modelli di imprese riflettono le differenti realtà sociali ed economiche esistenti ancora in Europa.

In Italia, come già evidenziato, si può forse individuare nella piccola media impresa il modello tipico della nostra realtà. A fronte di un numero non molto elevato di grandi imprese vi è una miriade di piccole medie imprese vivaci, flessibili operanti nei mercati mondiali. In comune le aziende grandi piccole e medie hanno generalmente la stessa tipologia di soggetto economico cioè di tipo patrimoniale familiare.

Queste considerazioni sui fini e sui modelli aziendali sono finalizzati a comprendere meglio la teoria della Qualità totale e il modello organizzativo sotteso Total Quality. Negli anni ’80, come evidenzia Guatri12, si sono affermati due principi: la Qualità totale e la Creazione/ Diffusione del valore. Concordando con l’opinione dell’illustre economista credo che i due principi apparentemente contrapposti siano in realtà espressione di due aree necessariamente complementari della realtà aziendale. Il principio della Qualità Totale è espressione dell’area della produzione mentre il principio della/ creazione/ diffusione del valore è espressione dell’area della finanza. Da queste origini diverse ne deriva che i concetti della Qualità totale siano molto pragmatici, di tipo strettamente gestionali, legati sostanzialmente al mondo della produzione e alle risorse impiegate, mentre i concetti del principio della/ creazione/ diffusione del valore sono legati al concetto di azienda come investimento e analizzano l’azienda soprattutto sotto l’aspetto finanziario. Si potrebbe

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forse paragonare questa presunta contrapposizione a quella che agli inizi del secolo sembrava contrapporre la teoria “l’organizzazione scientifica del lavoro” proposta da Taylor alla teoria “la direzione aziendale” proposta da Fayol che proponevano punti di partenza percorsi nello studio e nella teorizzazione della realtà aziendale diametralmente opposti. L’americano Taylor partiva dall’analisi dell’officina, il francese Fayol partiva invece dall’analisi della funzione direttiva. Oggi queste due teorie vengono presentate insieme come teoria classica dell’organizzazione aziendale.

Sono dunque le decisioni di fondo che, guidando l’elaborazione del progetto organizzativo- gestionale, consentono di finalizzare l’azione aziendale o dell’organizzazione. Queste scelte devono poi tradursi in programmi operativi di gestione, quindi interpretate e tradotte in programmi specifici di azione che dovranno essere controllati. In sintesi si crea nell’organizzazione un sistema di obiettivi e di strategie che sono la premessa all’elaborazione del sistema di programmazione e di controllo delle azioni aziendali Il progetto organizzativo- gestionale è il processo integrato di scelte in merito alle seguenti variabili organizzative: 1) la struttura organizzativa 2) i meccanismi operativi 3) lo stile direzionale e la cultura aziendale 1) LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA Attraverso la sua progettazione e costruzione vengono divisi, distribuiti e coordinati i compiti, il potere e le responsabilità in azienda Si devono tener conto di vincoli di compatibilità, infatti si devono cercare soluzioni nel disegno della strutture coerenti e compatibili con: - scelte di fondo aziendali e le strategie aziendali - fattori produttivi materiali impiegabili : risorse tecniche, risorse umane, risorse finanziarie - risorse organizzative: meccanismi operativi e lo stile aziendale - il contesto ambientale La struttura organizzativa è inoltre il prodotto delle scelte di divisione e di coordinamento dei compiti in azienda. Nella sua progettazione occorre infatti risolvere due problemi fondamentali: - Divisione dei compiti - Coordinamento dei compiti stessi La divisione dei compiti consiste nella definizione di specifiche scelte di tipo orizzontale e verticali, intendendo per Divisione del lavoro di tipo orizzontale la distribuzione delle attività fra i membri dell’organizzazione mentre per Divisione del lavoro di tipo verticale la distribuzione dell’autorità ossia del potere direzionale fra gli organi aziendali I due campi non sono separabili, sono in rapporto di assoluta interdipendenza. La divisione orizzontale dei compiti può realizzarsi attraverso l’applicazione di diversi criteri, i principali: Criterio per funzioni Criterio per prodotto Criterio per area geografica Criterio per clientela o per processo distributivo Criterio per progetto Criterio per processo produttivo

Criterio numerico Criterio temporale Ovviamente i diversi criteri danno origine a strutture organizzative aziendali diverse e inoltre va messo in evidenza come i diversi criteri siano variamente combinabili e possano coesistere in uno stesso disegno strutturale La divisione verticale dei compiti determina invece la divisione dell’autorità e dei poteri Le scelte quindi sono relative alle risposte da dare ai seguenti problemi: - Quali sono i vari responsabili in azienda - Quale autorità devono esercitare - Su chi devono esercitarla - Come devono esercitarla In sostanza occorre definire il grado di accentramento/decentramento da realizzare in azienda. Il decentramento e l’accentramento sono due approcci di segno opposto che devono e possono convivere nella stessa struttura organizzativa La scelta di quale combinazione tra i due criteri costituisce il vero problema Si definisce delega di autorità la distribuzione del potere decisionale in azienda, è attraverso la delega che un organo superiore attribuisce ai propri subordinati: - la competenza di assumere certe decisioni e svolgere certi compiti operativi - la responsabilità di conseguire determinati e specifici risultati - la facoltà e l’autorità di gestire determinate risorse materiali e organizzative Per il buon funzionamento del processo di delega occorre che: - I compiti delegati vengano accettati e condivisi dal delegato - le motivazioni e le finalità che stanno alla base della delega vengano partecipate per ottenere un maggiore coinvolgimento La delega una volta concessa occorre che sia effettiva e non solo formale La divisione del lavoro porta alla distribuzione dei compiti (specializzazione) e dell’autorità tra i vari ruoli organizzativi Da ciò nasce l’esigenza di integrazione delle varie azioni aziendali in funzione del raggiungimento dello scopo aziendale, quindi l’esigenza di un’azione di coordinamento Il coordinamento rappresenta il secondo problema che deve essere affrontato nell’atto di progettare o modificare la struttura organizzativa in parallelo con la scelta dei criteri di divisione del lavoro. Il coordinamento infatti permette che i compiti assegnati ai vari organi: - producano il risultato desiderato - siano svolti secondo modalità programmate - siano svolti nei tempi previsti - siano svolti alle condizioni economiche più favorevoli Il coordinamento consiste nel predisporre opportuni strumenti di integrazione tra le diverse attività e i diversi livelli organizzativi affinché sia possibile una conduzione unitaria e integrata dei vari ambiti per perseguire le finalità prefissate.

Diversi sono gli strumenti di coordinamento che possono essere utilizzati e possono essere variamente catalogati. La classificazione qui proposta privilegia la modalità di coordinamento attuabile con l’utilizzo del meccanismo: - Meccanismi e strumenti personali incentrati sull’uomo - Meccanismi e strumenti impersonali incentrati su mezzi organizzativi Gli strumenti impersonali di coordinamento stabiliscono in modo formale i comportamenti e i risultati attesi da parte delle unità organizzative tra cui sono suddivisi i compiti Sono: - obiettivi - piani e programmi - procedure e mansionari La determinazione di un sistema di obiettivi e l’attribuzione degli stessi alle varie unità organizzative della struttura permettono agli organi organizzativi di muoversi in modo integrato verso i risultati attesi. I piani e i programmi tracciano le linee di azione che le diverse unità organizzative dovranno seguire nello svolgimento delle proprie attività Le norme procedurali e i mansionari indicano come specifici compiti che fanno parte di un dato programma operativo debbano essere realmente svolti. Gli strumenti personali di coordinamento possono essere : - di carattere individuali o di gruppo - di carattere stabile o temporale Tipici strumenti personali di coordinamento di carattere individuale sono i dirigenti e i coordinatori che attraverso la linea gerarchica garantiscono l’unitarietà di gestione e l’integrazione dell’azione organizzativa. I dirigenti con la loro attività ordinaria di programmazione, di comando e di controllo assicurano che le unità organizzative da loro dirette operino in modo coordinato verso le mete dell’organizzazione. Attraverso un intervento di tipo straordinario regolano il funzionamento del sistema organizzativo quando si verificano situazioni impreviste che rendono inefficaci i normali meccanismi di coordinamento. In tali situazioni si attiva il principio di eccezione come Fayol ha evidenziato nella sua opera. I coordinatori sono organi individuali appositamente delegati a funzioni di coordinamento relativamente sia a specifici progetti che a settori di attività aziendali, quindi possono essere chiamati ad operare sia in modo temporaneo che permanente. Inoltre possono essere soggetti sia interni che esterni all’organizzazione. Gli strumenti personali di coordinamento di gruppo possono essere catalogati a seconda che svolgano il loro ruolo di coordinamento in modo temporaneo che in modo stabile. Le riunioni, le commissioni e i comitati sono strumenti e organismi di coordinamento formati da soggetti facenti parte sia della struttura che di altra provenienza sostanzialmente con funzioni di assistenza, di consulenza o decisionali come nel caso dei comitati. La struttura organizzativa viene visualizzata attraverso l’organigramma che può essere inteso come lo schema descrittivo della struttura dell’organizzazione sia operativa che finanziaria. Le caselle dell’organigramma riferito alla struttura operativa indicano le funzioni e gli organi dell’organizzazione. Evidenziano lo sviluppo orizzontale e verticale cioè la distribuzione dei

compiti specialistici e dell’autorità derivante dalle scelte effettuate per dar vita al progetto organizzativo- gestionale. L’organigramma riferito alla struttura finanziaria mette in evidenza i rapporti e le relazioni tra le aziende che compongono il gruppo rappresentato. Le tecniche e le simbologie grafiche che possono essere utilizzate per visualizzare la struttura organizzative sono molteplici, vi sono molte forme di organigramma tra cui le più usate sono sicuramente: - organigramma verticale - organigramma orizzontale - organigramma misto - organigramma circolare Modelli classici di ordinamento verticale Modello gerarchico Si basa sul principio gerarchico che ottiene il coordinamento delle linee operative aziendali o attraverso la valorizzazione del rapporto di autorità e di subordinazione. In questo modello vengono garantiti i principi classici dell’unità di direzione e di comando e viene assicurata la certezza delle responsabilità, dei ruoli, dei rapporti. Punti di forza del modello gerarchico: - semplicità dei rapporti - certezza delle responsabilità - certezza nella trasmissione degli ordini - facilità delle comunicazione e rapidità del flusso informativo - elevato grado di ordine interno - possibilità di motivare i subordinati attraverso la scalata della scala gerarchica Punti di debolezza del modello gerarchico - perdita di flessibilità operativa - perdita di contatto tra il vertice e la base all’allungarsi della scala - burocratizzazione - mancanza di specializzazione degli ordini superiori

Modello funzionale È la struttura prevista da Taylor nel suo modello organizzativo. Esalta la specializzazione introducendo il principio della specializzazione direttiva. Nel modello tayloristico il controllo su una mansione viene effettuato da 8 responsabili ,ognuno specialista in un ambito specifico contenuto nella mansione svolta Punti di forza del modello funzionale - favorisce la specializzazione - pone attenzione costante sulle varie funzioni Punti di debolezza del modello funzionale - confusione nel momento del controllo e quindi nelle responsabilità - difficile coordinamento tra i vari specialisti - disorientamento degli esecutori

Il modello gerarchico funzionale Questa struttura viene costruita da Fayol prendendo esempio dalla struttura militare, il generale viene affiancato dallo stato maggiore che lo informa e lo aggiorna su tutte le situazioni da affrontare. Al difetto sostanziale, la scarsa specializzazione, del modello gerarchico puro pone rimedio affiancando agli organi di line organi di staff con alto contenuto specialistico. Punti di forza del modello staff-line - unità di comando - rapidità di decisione - formalizzazione delle responsabilità - precisa separazione dei ruoli - disciplina - apporto specialistico di esperti Punti di debolezza del modello staff-line - difficili rapporti tra gli organi di staff e di line - gli organi di staff possono essere poco efficienti per mancanza di autorità - gli organi di line possono non accettare l’attività degli organi di staff

Organizzazione per prodotto Questa struttura presenta una specializzazione del lavoro e una organizzazione delle risorse per filoni operativi facenti capo ad un prodotto specifico o a una linea di prodotti Questo tipo viene realizzato frequentemente nelle aziende che si trovano a gestire prodotti tra loro differenziati quindi disomogenei in mercati relativamente omogenei. La specializzazione può interessare sia il piano direzionale sia quello intermedio che quello di base Se applicato a livello direzionale si crea una struttura per divisioni

L'organizzazione per progetto

Il criterio per progetto viene attuato attraverso l’aggregazione delle risorse e la distribuzione dei compiti in distinti filoni operativi, ognuno dei quali corrisponde ad uno specifico progetto. Il presupposto per l’applicazione di questa organizzazione è di dover eseguire prodotti unici richiedenti un tempo ben definito per la loro realizzazione. La differenza con l’organizzazione per prodotto è proprio nel tempo; nell’organizzazione per prodotto la divisione è attuata stabilmente, mentre quella per progetto è attuata per periodi di tempo limitati anche se molto lunghi. Si pensi ai tempi lunghi nell’edilizia per realizzare grandi opere. Formule strutturali: - modello a sviluppo semplice - modello a matrice Modello a sviluppo semplice Si organizzano tante autonome linee organizzative quanti sono i progetti. Ciascuna linea ha un proprio vertice che ha la responsabilità del progetto e che per la gestione operativa viene assistito dagli organi di staff centrali. Questa struttura è utilizzata nelle grandi imprese edili.

La struttura a matrice unisce la divisione per progetto con il criterio del coordinamento delle risorse. Di solito viene attuata unendo al criterio per progetto il criterio per funzione Con questo modulo le aziende ottengono un importante fattore di flessibilità Il coordinamento dei compiti La divisione del lavoro porta alla distribuzione dei compiti (specializzazione) e dell’autorità tra i vari ruoli organizzativi Da ciò nasce l’esigenza di integrazione delle varie azioni aziendali in funzione del raggiungimento dello scopo aziendale, quindi l’esigenza di un’azione di coordinamento Il coordinamento permette che i compiti assegnati ai vari organi: - producano il risultato desiderato - siano svolti secondo modalità programmate - siano svolti nei tempi previsti - siano svolti alle condizioni economiche più favorevoli Strumenti di coordinamento - Meccanismi e strumenti personali incentrati sull’uomo - Meccanismi e strumenti impersonali incentrati su mezzi organizzativi Strumenti impersonali di coordinamento - obiettivi - piani e programmi - procedure e mansionari Strumenti personali di coordinamento - di carattere individuali o di gruppo - di carattere stabile o temporale Ottiche di progettazione della struttura

Ottica top-down Processo di progettazione strutturale di tipo discendente Sviluppo della struttura organizzativa dal vertice alla base Ottica bottom-up Processo di progettazione strutturale di tipo ascendente Sviluppo della struttura organizzativa dal basso in alto Mezzi per formalizzare la struttura organizzative La struttura organizzativa viene visualizzata attraverso l’organigramma Organigramma = schema descrittivo della struttura aziendale

Evidenziano lo sviluppo orizzontale e verticale cioè la distribuzione dei compiti specialistici e dell’autorità Vi sono altri mezzi di formalizzazione della struttura organizzazione quali: - i mansionari o job description - i funzionigrammi - le norme procedurali o procedure - manuale organizzativo questi strumenti integrano la valenza informativa dell’organigramma per disegnare in modo compiuto la struttura organizzativa. I mansionari o job description consistono nella descrizione delle funzioni di ciascuna posizione organizzativa e delle relative responsabilità. I funzionigrammi definiscono il ruolo e il contributo specifico dei vari organi. Le norme procedurali o procedure sono uno strumento descrittivo, di ordine e di chiarezza, per esprimere come certi compiti debbano essere svolti e con quali competenze debbano essere chiamate in causa le diverse posizioni organizzativi. Vengono espresse attraverso documenti organizzativi denominati flow chart Il manuale organizzativo riunisce le scelte e gli strumenti organizzativi attuate dall’azienda quindi le scelte relative alle variabili organizzative quali la struttura adottata, i meccanismi operativi, lo stile direzionale e la cultura organizzativa. In esso trova espressione la strategia organizzativa perseguita dall’azienda unitamente alle job desciption, ai funzionigrammi e alle norme procedurali 2) I MECCANISMI OPERATIVI I meccanismi operativi sono un insieme di regole che fanno funzionare operativamente il sistema aziendale permettendogli di raggiungere il proprio fine e che agiscono fortemente sul comportamento delle risorse umane impiegate I tipici meccanismi operativi sono: - il sistema di programmazione e di controllo di gestione - il sistema informativo - il sistema di gestione delle risorse umane Il sistema di programmazione e di controllo di gestione Il sistema di programmazione e di controllo di gestione definisce in via preventiva i risultati operativi attesi ( performance) delle singole unità organizzative e dell’organizzazione nel suo complesso. Permette di verifica nel corso della gestione aziendale la conformità dei risultati reali ottenuti rispetto a quelli standard di riferimento. Tale sistema introduce in azienda un processo di verifica di conformità e un meccanismo di autoregolazione (feed-back) che permette di segnalare le eventuali disfunzioni per cercare in tempo di attivare azioni in grado di riallineare il sistema. Il sistema informativo permette ai vari organi ed ai responsabili di assumere le decisioni di propria competenza consapevoli delle varie alternative della scelta da effettuare e permette inoltre ai vari organi ed ai responsabili di verificare l’adeguatezza delle scelte e quindi delle azioni intraprese.

Il sistema di gestione delle risorse umane gestisce la risorsa umana, risorsa sempre più strategica per l’azienda La risorsa umana costituisce un patrimonio fondamentale per l’azienda e un campo specifico da trattare attraverso un intervento organizzativo pianificato. 3)LO STILE DIREZIONALE E LA CULTURA AZIENDALE Schien sostiene che la leadership e la cultura siano due aspetti della aspetti della medesima realtà, analizzare la leadership di una organizzazione vuol significare analizzare la sua cultura e viceversa. Dagli anni 70 nelle grandi imprese si è rilevata la tendenza a passare da controlli di tipo prevalentemente burocratici a più sofisticati strumenti di controllo basati sulla interiorizzazione da parte dei dipendenti dei valori e degli obiettivi dell’impresa in cui lavorano. Tale tendenza può essere spiegata da situazioni sempre più complesse e turbolenti dell’ambiente in cui le imprese operano. La sempre maggiore saturazione e maturazione dei mercati spingono le aziende a cercare anche al loro interno innovazioni organizzative che le spingono ad abbandonare metodi, strumenti e tecniche di derivazione tayloristica e a ricercare nuovi modelli organizzativi. Nella letteratura, soprattutto sociologico- organizzativa da tempo compaiono studi ed analisi sulle organizzazioni che privilegiano gli aspetti culturali, simbolici, riflessivi e i processi di conferimento di senso. Vengono definiti “approcci morbidi”a cui possono essere ricondotte diverse scuole che affrontano lo studio delle organizzazioni sotto questi profili. Tuttavia si possono sintetizzare in approcci culturalismi e approcci interpretativi che rappresentano gli estremi di una varietà di posizioni intermedie. Gli approcci culturalisti o oggettivisti partono dal presupposto che le organizzazioni possiedono una propria cultura intesa come un giacimento che si è progressivamente accumulato nel tempo e che il suo studio sia la strada per capire il funzionamento sia delle organizzazioni che dei soggetti che ne fanno parte. All’estremo opposto vi sono gli approcci soggettivisti o interpretativi che partono dal presupposto che la realtà esterna sia soltanto una costruzione sociale risultante dal conferimento di senso che i soggetti traggono dal flusso delle loro esperienze. Schien, oggettivista, definisce la cultura cumulativa, consensuale e pragmatica nel senso che nasce in modo spontaneo e in maniera diffusa dall’esperienza di tutto il gruppo e che si trasferisce in modo analogo ai nuovi partecipanti all’organizzazione. La cultura può essere analizzata attraverso i suoi aspetti fondamentali che l’autore individua in questi tre livelli: - gli artefatti - i valori espliciti - gli assunti di base Gli artefatti sono il livello più superficiale e sono gli elementi più facilmente osservabili, ma non sempre altrettanto facilmente decifrabili, di una organizzazione quali: il gergo, l’abbigliamento, i simboli, i rituali ecc. Ad un livello più profondo vi sono i valori espliciti dell’organizzazione che sono relativi a discorsi della leadership che li crea e li fa circolare per rafforzare il senso di appartenenza e di solidarietà, per legittimare le scelte dell’organizzazione, per creare consenso tra i membri. Gli assunti di base, il livello più profondo, così chiamati da Schien sono le convinzioni profonde ed inespresse che riguardano alcune convinzioni fondamentali, che si possono variamente combinare tra loro, sulla natura umana come ad esempio: - il rapporto con la natura di dominio o di armonia, - le concezioni pessimistiche o ottimistiche della natura umana

- le concezioni democratiche o autoritarie dei rapporti umani La cultura può in sintesi essere definita come il controllo di terzo livello, definendo quello coercitivo di primo livello e quello di secondo livello quello burocratico-gerarchico. Il sociologo culturalista israeliano Kunda nelle sue analisi sulla Tech( l’impresa esaminata è in realtà la Digital) associa al concetto di cultura quello di ideologia e avverte che un capitalismo sviluppato, con immense risorse finanziarie, tecnologiche, conoscitive e manageriali può pervenire ad un controllo delle persone estremamente più capillare e sottile di quanto avveniva in passato. Tutta la ricerca di Kunda può essere letta come una analisi della fenomenologia che scaturisce dallo scontro tra il tentativo aziendale di colonizzare le coscienze e le ambigue risposte che i dipendenti mettono in atto a risposta della condotta aziendale. Rappresenta i criteri che l’azienda intende attuare e a cui ciascun imprenditore/ manager e , quindi, gli organi superiori aziendali devono ispirarsi nella gestione del proprio ruolo e nelle loro attività di programmazione, di organizzazione, di comando e di controllo Lo stile direzionale è una importante variabile organizzativa Condiziona il tipo di rapporti interni all’azienda e quindi condiziona il clima aziendale Lo stile direzionale può essere visto come l’insieme di principi, di valori, di modi di essere ed esprime il carattere, la personalità quindi la cultura aziendale Condiziona il modo di prendere le decisioni Condiziona il modo di organizzare il lavoro Gli ” stili” di direzione Lo stile autoritario Si basa su una struttura fortemente accentrata del potere decisorio Si esercita mediante il comando ed il controllo Principio di fondo è l’esistenza di un rapporto gerarchico Il capo impone le sue decisioni Caratteristiche: - il sistema informativo è di tipo accentrato, accessibile solo alla direzione - il sistema di programmazione e di controllo è di tipo top-down - tutte le decisioni che contano vengono prese dal capo - i compiti vengono preordinati e distribuiti dalla dirigenza - la gestione dl personale viene condotta sulla base di principi gerarchici - la valutazione viene attuata dal capo su apprezzamenti soggettivi lo stile partecipativo Si basa su una struttura decentrata del potere decisorio Si esercita mediante i principi di delega e dell’autocontrollo Principio di fondo è il coinvolgimento dei subordinati nel processo decisorio Il capo esercita un ruolo di impulso, di coordinamento Il capo assume figura di leader Caratteristiche:

- il sistema informativo è di tipo distribuito, l’informazione è gestibile e accessibile dai vari

organi - il sistema di programmazione e di controllo è di tipo bottom-up - tutte le decisioni vengono prese attraverso un coinvolgimento diretto dei subordinati - i compiti vengono organizzati in modo flessibile indicando oltre al risultato da raggiungere le

alternative per svolgerli, lasciando al gruppo la scelta dei criteri di distribuzione interna dei compiti

- la gestione dl personale viene condotta motivando e incentivando la partecipazione - la valutazione viene organizzata sulla base di parametri oggettivi e controllabili Quale modello? Non vi è uno stile di direzione migliore in assoluto Lo stile di direzione rappresenta una condizione organizzativa che varia da azienda ad azienda e che può variare nella stessa azienda in funzione: - Risorse umane - Risorse tecniche - Risorse organizzative - Specifica situazione interna - Situazione esterna - Contesto culturale Chi deve elaborare e gestire tale progetto? Il sistema azienda ha la necessità di un’attività direzionale che elabori, realizzi e controlli l’attività organizzativa più adeguata a garantire il raggiungimento degli obiettivi aziendali Già il Fayol aveva individuato come l’attività direzionale abbia tra le sue numerose responsabilità quella di dirigere e coordinare . quindi spetta sicuramente al management attraverso l a propria funzione direttiva elaborare, realizzare, controllare l’attività organizzativa più adeguata per garantire il raggiungimento delle finalità fissate.