enrico ravaioli, senigallia sottosopra, premio archeologia urbana a senigallia 2011

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1 DA SENA GALLICA A SENIGALLIA, UN PROGETTO PER LA CITTÀ. LA CARTA DEL POTENZIALE ARCHEOLOGICO TRA TUTELA, VALORIZZAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE. ENRICO RAVAIOLI

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Il primo anno di lavoro della Convenzione per L'Archeologia Urbana di Senigallia attraverso la mappatura geofisica della città e l'indagine sistematica delle cantine.Premiato nel 2011 alla prima edizione del Premio per l'Archeolgia Urbana di Senigallia.Enrico Ravaioli si forma all'Università di Bologna e prosegue la ricerca con un dottorato presso l'Università degli Studi di Siena.

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DA SENA GALLICA A SENIGALLIA, UN PROGETTO PER LA CITTÀ. LA CARTA DEL POTENZIALE ARCHEOLOGICO TRA TUTELA, VALORIZZAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE.

ENRICO RAVAIOLI

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INDICE Uno scavo, una città? p. 4

Un progetto per la conoscenza di Senigallia p. 6

Archeologia urbana come storia della città p. 8

La valutazione del deposito archeologico p. 12

La cartografia storica: immagini di una città che cambia p. 14

La geofisica per l’archeologia p. 20

“L’Archeologia scende in cantina”: uno strumento per valutazione del deposito distrutto p. 24

Appendice: Schede p. 27

Considerazioni finali e prospettive future p. 45

Bibliografia p. 47

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UNO SCAVO, UNA CITTÀ?

L’archeologia costituisce una presenza ricorrente nella storia recente della città di Senigallia, menzionata più volte a partire dalla seconda metà del XIX secolo fino a tutto il XX secolo in concomitanza di sporadici ritrovamenti. La natura fortuita ed occasionale di questi ultimi non ha tuttavia permesso di delineare che una ricostruzione frammentaria delle vicende della città nel corso dei secoli. Per una maggiore comprensione del passato di Senigallia è stato necessario attendere lo scavo archeologico del Teatro La Fenice, avvenuto in occasione della ricostruzione dell’edificio all’inizio degli Anni ’90 del XX secolo (FIGURA 1). Per la prima volta un’indagine archeologica estensiva ha coinvolto un’ampia superficie all’interno del centro storico, fornendo importanti informazioni utili a delineare nuove ricostruzioni relative alla “forma” di Senigallia romana, oltre che a prospettare possibili sviluppi di ricerca sulla città medievale. Un sito archeologico di tale rilevanza ha tuttavia determinato una particolare situazione nell’ambito della ricerca locale, riproponendo una dinamica ricorrente nell’esperienza archeologica italiana, una sorta di assioma secondo il quale lo scavo più noto tende ad assumere una posizione prioritaria ed

una rappresentatività assoluta, avendo alcune implicazioni pratiche.

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FIGURA 1: L’area de La Fenice in corso di scavo: si può notare l’incrocio formato dalle due strade basolate (da VILLANI 2008, p. 39)

In primo luogo la rilevanza predominante del sito ha come conseguenza immediata quella di appiattire le altre indagini analoghe e di relegarle inevitabilmente ad un ruolo di contorno. Se da un lato è innegabile che lo scavo de La Fenice abbia avuto implicazioni fondamentali per la ricostruzione urbanistica della città, dall’altro è altrettanto vero che le potenzialità tratteggiate dagli scavi considerati “minori” si sono rivelate di importanza non certo inferiore, ma semplicemente di diversa dimensione nella prospettiva di ricerca. In seconda istanza tale tendenza implica una sostanziale selettività di temi di ricerca, con il prevalere di determinati filoni di indagine piuttosto che di altri, privilegiando gli studi sulla forma urbis della colonia romana piuttosto che, solo per fare un esempio, sul ruolo della città nell’ambito della Pentapoli bizantina, attestato solo dalle fonti scritte ma privo di conferme archeologiche. Dopo questa premessa forse la domanda proposta nel titolo del paragrafo apparirà meno oscura: uno scavo, una città? Per quanto il sito archeologico de La Fenice possa essere significativo per Senigallia, siamo certi che rappresenti un’immagine della città?

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UN PROGETTO PER LA CONOSCENZA DI SENIGALLIA

Questa semplice domanda implica un’altrettanto semplice

riflessione. Appare ovvio che un contesto urbano sia la risultante di una continua sovrapposizione di edifici che nel corso di anni e secoli si sono alternati e sommati fino a delineare l’aspetto attuale di una città, una sorta di organismo vivente che muta in funzione delle vicende storiche e sociali che lo interessano. Questa è in estrema sintesi la caratteristica ricorrente e peculiare della città storica italiana che rivela, sia nell’aspetto architettonico sia nell’impianto urbanistico, la memoria del proprio passato e delle proprie radici. Ogni singolo elemento concorre in misura variabile a delineare tale eredità culturale, giungendo in alcuni casi ad assumere un ruolo predominante. E’ quanto accade per le grandi città d’arte, il cui solo nome rimanda immediatamente per associazione di idee ad un singolo monumento che le caratterizza; tuttavia, benchè questo riferimento sia naturale e spontaneo, anche il turista più sprovveduto sa bene che non è possibile ridurre Roma al solo Colosseo oppure Venezia a Piazza San Marco. Allo stesso modo, ma su scala ovviamente diversa, ricondurre la storia di Senigallia, archeologica e non solo, ad un unico benchè significativo scavo pare sintomo di una limitata prospettiva, in

quanto rappresentativo di un unico settore del centro storico; è tuttavia vero che le altre esperienze di tipo archeologico non hanno restituito altrettante conoscenze sulla città dei secoli passati. Lo scavo de La Fenice finisce quindi con il rappresentare Senigallia in quanto non sussiste un’alternativa altrettanto rilevante. Siamo quindi di fronte ad un circolo vizioso senza vie di uscita oppure questa situazione può essere fonte di una riflessione più profonda sullo stato attuale delle ricerche? Sulla scorta di tale riflessione è maturata da più parti una nuova consapevolezza che ha preso sostanza sotto forma di un articolato progetto di archeologia urbana. La comunione di intenti e la lungimiranza delle persone e degli enti hanno fatto sì che la conoscenza della città diventasse una necessità primaria. La sottoscrizione della convenzione tra il Comune di Senigallia, la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche e il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna ha stabilito i presupposti per lo studio e la valorizzazione del patrimonio archeologico e storico della città1.

1 Per una preliminare relazione delle attività svolte nel biennio 2010-2011 si rimanda a www.archeologia.unibo.it/Archeologia/Ricerca/Progetti+attivita/ missioni+archeologiche/scaviitalia/Senigallia/default.htm.

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Non si tratta di un semplice progetto compilativo in cui confluiscano passivamente tutte le informazioni riguardanti la città, ma piuttosto di uno strumento flessibile di ricerca, di tutela e di valorizzazione volto alla conoscenza del passato di Senigallia attraverso i moderni metodi dell’indagine archeologica. La volontà dichiarata è dunque quella di realizzare uno strumento attivo su tre livelli di autonomi ma tra loro strettamente correlati, allo scopo di rispondere alle molteplici necessità che hanno come soggetto i beni archeologici, mettendo la città in grado di riappropriarsi del proprio passato e di investire sul proprio futuro. Senigallia non è esente da esperienze del genere e lo stesso scavo de La Fenice ne rappresenta un embrionale esperimento, in cui all’intrinseca scoperta archeologica si aggiunge un’implicazione inaspettata di portata innovativa, una valenza simbolica che testimonia il giusto compromesso tra lo sviluppo urbanistico e la conservazione/valorizzazione delle radici della città. Per la prima volta all’archeologia è stata riconosciuta una valenza paritaria rispetto alla pubblica utilità, esaltandone l’accezione di bene culturale come patrimonio comune.

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ARCHEOLOGIA URBANA COME STORIA DELLA CITTÀ

Il progetto si pone in linea con la tendenza europea prima ed italiana poi della tutela archeologica preventiva in ambito urbano. La progressiva espansione dei centri urbani pone amministratori pubblici e tecnici, così come ricercatori scientifici, davanti all’inevitabile necessità di dotarsi di strumenti di tutela tali da preservare la memoria del passato senza che quest’ultima rappresenti tuttavia un ostacolo per lo sviluppo urbano. Le città italiane costituiscono in tal senso esempi emblematici di questa conflittualità di intenti, da sempre in bilico tra necessità di sviluppo urbano e volontà di tutela di un diffuso patrimonio culturale. Il problema, affrontato da più parti ed a più riprese a partire dalla fine degli Anni ’702 del XX secolo e concretizzato solo a partire dagli Anni ‘803, pare non avere una risposta univoca ed esauriente, ma piuttosto continua a generare perplessità sia riguardo gli strumenti cartografici e le metodologie di ricerca utili a definire i parametri di definizione delle norme, sia sulle modalità di attuazione delle stesse. L’aspetto preventivo è il risultato di un lungo e complesso processo di riformulazione avvenuto all’interno del concetto di tutela, prima attuata solo in caso di “rinvenimento

2 ARCHEOLOGIA E PIANIFICAZIONE 1979. 3 HUDSON 1981.

fortuito”, ovvero quando gran parte del deposito archeologico era già stato asportato e si era in presenza di ritrovamenti di quantità e qualità tale da imporre l’intervento degli enti preposti. La prima esperienza del genere in Italia si è concretizzata solo nel 1989, quando Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e Comune di Modena diedero vita ad un inedito strumento di tutela preventiva, la carta archeologica del territorio comunale, che venne recepito dal Piano Regolatore Generale della città4. Appurato da tempo che il binomio archeologia-città sia da intendere come inevitabile, pare quindi necessario trovare un punto di accordo tra due antitetici soggetti. Da un lato le amministrazioni locali hanno ormai compreso il valore preventivo rappresentato dai moderni metodi della ricerca archeologica, recependone le indicazioni nel proprio Piano Regolatore Generale ed prevedendo in quest’ultimo norme volte alla tutela del patrimonio archeologico. D’altra parte le metodologie d’indagine archeologica si sono progressivamente affinate ed adattate alle peculiari condizioni di ricerca imposte da una moderna città. L’archeologia urbana5 costituisce un’esperienza di ricerca multidisciplinare applicata ad un contesto urbano attuale, ovvero all’ambiente che per definizione e tradizione, risulta maggiormente in contrasto con l’indagine archeologica.

4 BENERICETTI, GUARNIERI, MARINI CALVANI, NONNI, ORTALLI 2000, p. 13 5 Per una panoramica sull’argomento si rimanda a BROGIOLO 2000.

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Il contesto urbano è, per propria natura, una struttura dinamica e complessa in cui lo scorrere stesso del tempo lascia tracce materiali tangibili ed evidenti. Si tratta infatti di una sovrapposizione continua ed irregolare di eventi costruttivi e distruttivi che costituiscono la testimonianza diretta della vita di una città, quasi fosse un organismo vivo che cresce in orizzontale ma soprattutto in verticale. Lo sviluppo di una città è proporzionale alla formazione ed alla crescita del relativo deposito archeologico sepolto, costituito dalle testimonianze materiali di quanto è stato costruito, e distrutto, dall’uomo nel corso del tempo. In un tale contesto l’applicazione dei consueti metodi d’indagine archeologica incontra notevoli difficoltà dovute alla natura stessa della città: la limitata presenza di possibili spazi, la necessità di creare il minore impatto possibile sulla consueta vita urbana, la complessità dei depositi archeologici rappresentano solo alcuni dei più comuni limiti che la ricerca archeologica incontra in ambito cittadino. Nel tempo l’archeologia ha dovuto quindi sviluppare nuove metodologie d’indagine applicabili agli ambiti urbani, sempre più spesso lontane dal consueto scavo stratigrafico. Quest’ultimo è ormai destinato ad essere utilizzato in misura sempre maggiore come metodo di controllo, in ausilio a strategie d’approccio meno invasive e strumenti d’indagine basati su tecnologie geognostiche non distruttive. Si tratta di un approccio conoscitivo più cauto,

rispettoso delle necessità della città e dei suoi abitanti ma che non rinuncia per questo a perseguire i propri obiettivi primari di ricerca e valorizzazione. In termini pratici il progetto si configura come una sistematica indagine multidisciplinare volta al reperimento delle informazioni ritenute utili alla definizione della forma e della sostanza della città di Senigallia dalle origini (III secolo a.C.) fino alla fine del Rinascimento, utilizzando fonti documentarie di varia natura (storiche edite e da archivio, cartografiche, archeologiche, etc.) supportate da nuove indagini archeologiche (scavi puntuali e prospezioni geofisiche). La ricerca del noto rappresenta certamente il primo passo verso la conoscenza del passato della città, volta a reperire memorie ed informazioni di varia natura: così documenti d’archivio, cartografia storica, notizie di scavi e ritrovamenti di natura archeologica concorrono in eguale misura a delineare il profilo di Senigallia nel tempo. Si tratta in sintesi di raccogliere tutta una serie di informazioni sulla città che in sostanza esistono già e che necessitano solo di essere messe in relazione tra loro ed analizzate nell’insieme venutosi a formare. La volontà dichiarata è di realizzare uno strumento conoscitivo che superi le tradizionali posizioni specialistiche e rigide di una Carta Archeologica del centro storico, o meglio che conduca sì alla creazione di una mappatura puntuale delle evidenze

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archeologiche note, ma che sia inoltre corredata di tutte le informazioni di cui disponiamo relative alla storia della città. Si tratta certamente di un progetto ambizioso che non si limita al solo dato archeologico ma che partendo da questo mira ad acquisire informazioni anche sul patrimonio di memorie rappresentato dallo studio dell’edilizia storica, della cartografia dal Rinascimento all’Età Contemporanea, della letteratura scientifica di ambito storico ed urbanistico e di quant’altro possa rivelarsi utile a tratteggiare immagini della città nel tempo. La definizione di Carta Archeologica potrebbe quindi apparire riduttiva ed inadeguata a definire lo strumento conoscitivo che si va delineando, sebbene nel significato semantico del termine l’archeologia rappresenta a tutti gli effetti la disciplina che studia il passato in senso lato. La quantità di informazioni reperite nel corso della fase di raccolta dei dati necessita tuttavia di una gestione accurata allo scopo di procedere ad una sistematica analisi e ad una corretta contestualizzazione del dato. Possedere una moltitudine di informazioni relative a ritrovamenti archeologici avvenuti nel corso del XIX e del XX secolo rappresenta di per sé un elemento conoscitivo importante, ma il valore intrinseco del dato aumenta notevolmente se rendiamo possibile la messa in relazione reciproca dei diversi elementi per calarli in un preciso contesto territoriale. La necessità di creare un sistema informativo coerente

e funzionale ha imposto di affidare la banca dei dati pregressi ad un applicativo GIS (Geographic Information System), allo scopo di amministrarli ed elaborarli. I sistemi GIS costituiscono infatti uno strumento ideale per l’intero ciclo di trattamento dei dati, dalla fase preliminare di raccolta fino a quella finale di restituzione6, in quanto softwares in grado di presentare, analizzare e gestire elementi grafici e geografici, ovvero di realizzare una rappresentazione della realtà che permette l’archiviazione di dati ed attributi legati agli elementi rappresentati7. Il GIS rappresenta la soluzione adatta per la gestione, l’analisi e l’elaborazione di grandi quantità di dati, siano essi di natura grafica (immagini raster e vettoriali) oppure di carattere alfanumerico (database), collocandoli in un contesto geografico ben determinato, ovvero georiferiti; trattandosi di un sistema è inoltre caratterizzato dalla possibilità di far interagire le diverse tipologie di dati a vario livello, consentendo di ottenere elaborazioni grafiche e cartografiche. In estrema sintesi si tratta di uno strumento che consente l’archiviazione e la gestione delle informazioni archeologiche, capace inoltre di eseguire elaborazioni cartografiche tematiche ed analisi spaziali8. La finalità della gestione dei dati in ambiente GIS è principalmente 6 SALZOTTI 2009, p. 45. 7 NARDINI 2001, p. 2. 8 Per una sintesi sul GIS e le sue funzioni in ambito archeologico si rimanda a FISHER 1997; il recente BOGDANI 2009 propone con efficace sintesi le potenzialità dello strumento.

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relativa alla ricostruzione dell’assetto urbanistico della città in senso diacronico, evidenziando non solo le dinamiche che hanno interessato il centro urbano e l’evoluzione dello stesso ma anche il rapporto che è intercorso tra Senigallia ed il suo territorio, concretizzando tali concetti attraverso la cartografia tematica9. Nell’ambito del progetto la Carta Archeologica non rappresenta un punto di arrivo ma al contrario è da intendersi come il livello conoscitivo di base per proseguire verso un ulteriore approfondimento. La registrazione dei dati, l’interpretazione sistematica e la creazione di sistemi informativi aggiornabili e fruibili in tempo reale rappresentano alcuni degli strumenti che mirano a superare il tradizionale approccio conoscitivo vincolato a limiti di tipo topografico e cronologico, tendendo invece ad una diffusa conoscenza del contesto10. In tal modo è possibile superare il concetto di “rischio archeologico”, legato all’idea che l’archeologia costituisca un ostacolo per lo sviluppo urbanistico, a quello di “potenzialità archeologica”,11 connesso invece alla consapevolezza del valore culturale e civile rappresentato dall’eredità del nostro passato. Il bene archeologico deve essere considerato non solo per l’importanza che può rivestire nell’ambito urbano, ma anche per la scoperta in sé, per il valore

9 SALZOTTI 2008, p. 55. 10 BENERICETTI, GUARNIERI, MARINI CALVANI, NONNI, ORTALLI 2000, p. 15. 11 GELICHI 2008, p. 9.

intrinseco del ritrovamente che anche nella sua singolarità restituisce un frammento della storia della città. Tuttavia, al di là del significato simbolico rappresentato dal bene archeologico, il concetto di “potenziale” non è solo connesso all’accezione positiva del termine rispetto al più noto “rischio” di norma associato ai rinvenimenti archeologici. La potenzialità consiste infatti nella capacità dell’indagine archeologica di utilizzare strumenti conoscitivi tali da “prevedere” la presenza, l’estensione e la cronologia del deposito archeologico in determinate aree del centro urbano. La Carta del Potenziale Archeologico costituisce uno strumento radicalmente innovativo sia per contenuti sia per prospettiva, in quanto ha una valenza principalmente predittiva, ovvero rappresenta uno strumento cartografico che, sulla base delle evidenze archeologiche note ed attraverso nuove metodologie di indagine, ne interpreta l’impatto sul contesto territoriale12. La Carta del Potenziale Archeologico rappresenta quindi l’obiettivo che il progetto si propone di perseguire, allo scopo non solo di conoscere in modo approfondito le vicende storiche della città, ma anche di fornire Senigallia di uno strumento capace di coniugare la volontà di recuperare il proprio passato e di pianificare in modo consapevole il proprio futuro.

12 BENERICETTI, GUARNIERI, MARINI CALVANI, NONNI, ORTALLI 2000, p. 15.

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LA VALUTAZIONE DEL DEPOSITO ARCHEOLOGICO

Quando si fa riferimento al deposito archeologico si intende in

senso lato un bacino di terreno che in varie epoche è stato interessato da attività umane. All’interno di tale contesto si può individuare una sequenza stratigrafica, ovvero un continuo susseguirsi di strati di terreno e di strutture murarie che testimoniano l’alternarsi di attività costruttive e di eventi distruttivi, restituendo un’immagine della storia archeologica del sito. In sintesi l’archeologia si occupa di ricostruire il passato in base allo studio ed all’analisi delle tracce superstiti del passato stesso, procedendo a ritroso nel tempo a partire dalle evidenze più recenti fino a raggiungere quelle più antiche. La conoscenza del sottosuolo non è prerogativa del solo ambito archeologico ma anche e soprattutto della geologia e geomorfologia, discipline indispensabili per comprendere le dinamiche che hanno concorso alla formazione dell’attuale assetto morfologico di Senigallia. L’importanza del Fiume Misa e del terrazzo fluviale da questo formato si rivelano infatti determinanti nelle scelte che hanno portato all’assetto della città romana prima e medievale poi, oltre che nello stabilire le successive direttrici di sviluppo.

Un passo determinante per la stesura della Carta del Potenziale Archeologico è quindi rappresentato dalla conoscenza del deposito archeologico, ovvero dall’esplicitarne localizzazione, qualità e quantità, con la finalità di costituire la base cartografica per le successive elaborazioni che porteranno a definire la Carta del Potenziale Archeologico. E’ tuttavia necessario osservare che la valutazione del deposito non rappresenta un’esatta riproduzione della realtà archeologica presente nel sottosuolo, quanto piuttosto un’immagine potenziale della stessa, ovvero una restituzione quanto più possibile vicina all’effettiva situazione. Questa approssimazione è tanto minore quanto più sono raffinati i metodi d’indagine applicati alla ricerca, sebbene appare ovvio che una corrispondenza univoca sia possibile solo tramite uno scavo archeologico estensivo, eventualità pressochè impossibile in un contesto urbano. L’efficacia del potere predittivo è quindi funzionale al livello di qualità degli strumenti e della metodologia di ricerca, ed è bene sottolineare che l’assenza di valide alternative e l’uso consapevole concorrono ad indicarlo come il metodo di ricerca e di tutela più adeguato al contesto urbano. Per di più la situazione del deposito archeologico di Senigallia è apparsa complessa fin dalle prime fasi della ricerca, caratterizzata da un contesto stratigrafico peculiare, in cui nel caso di uno scavo archeologico risulta più probabile imbattersi in rinvenimenti di epoca romana piuttosto che in più recenti ritrovamenti medievali. Si tratta di una problematica comune nell’ambito dell’archeologia

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urbana, dovuta alla continuità di vita delle città che implica un alternanza di eventi costruttivi e distruttivi che modificano il deposito archeologico. Secondo tale principio è ovvio che gli strati prossimi alla superficie, e quindi quelli di più recente formazione, sono maggiormente soggetti a trasformazioni, mentre al contrario quelli più antichi e profondi rimangono pressochè intatti. Nel caso di Senigallia questo fenomeno pare essere estremizzato dalla concomitanza di due fattori che hannno concorso alla distruzione delle stratigrafie ascrivibili al Medioevo. Da un lato si è assistito ad un limitato innalzamento dei piani di calpestio a partire dall’epoca romana fino ai giorni nostri, fenomeno che probabilmente già nel passato storico della città ha comportato la perdita di notevoli quantità di deposito archeologico. Il secondo elemento che ha comportato la distruzione di parte del deposito archeologico è rappresentato dall’intensa attività edilizia che ha interessato il centro storico a partire almeno dal XVI secolo, accellerando in modo particolare dalla seconda metà del XIX secolo. Questa vitalità costruttiva corrisponde ad un’altrettanto rapida distruzione del deposito archeologico, ancora oggi percepibile nella constatazione che oltre la metà degli edifici del centro storico è dotata di cantine e ambienti sotterranei il cui scavo ha implicato la rimozione di tutto ciò che vi si trovava al di sotto. In una tale realtà la probabilità di imbattersi in depositi stratigrafici intatti di epoca medievale oppure ancor più recente è estremamente bassa, limitata forse alle sole aree non edificate come piazze e strade.

Tale complessa situazione implica tuttavia un aspetto di estrema importanza, ovvero la possibilità di raggiungere il deposito archeologico di epoca romana con relativa semplicità, dato che si è potuto constatare come in numerosi casi si trovi appena al di sotto dell’attuale piano pavimentale degli scantinati, quando addirittura non emerge dagli stessi. Ancor più significativa è la prospettiva di indagare agevolmente la stratigrafia precedente, reperendo dati sulla frequentazione preromana dell’area, destinata a chiarire l’entità dell’insediamento piceno precedente alla fondazione della colonia marittima di Sena Gallica. Gli scavi archeologici eseguiti nell’area de La Fenice ed all’interno della Rocca Roveresca hanno tuttavia restituito stratigrafie e materiali che coprono un arco cronologico estremamente ampio, testimoniando così l’esistenza di ampie aree che ancora conservano un deposito archeologico pressochè intatto. Di fronte ad una prospettiva del genere è stato valutato necessario pianificare una metodologia di indagine articolata su più livelli, contraddistinta da un approccio progressivo e multidiscilinare. Il primo passo della ricerca è stato rappresentato dalla creazione di un banca dati informatizzata contenente tutte le informazioni riguardanti la storia archeologica di Senigallia, ovvero i dati provenienti da scavi e rinvenimenti fortuiti avvenuti nel passato recente della città. Si tratta in sostanza di una rielaborazione dell’esistente carta archeologica urbana, arricchita

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di ulteriori informazioni desunte dalle fonti scritte e dagli studi archeolgici ed urbanistici più recenti.

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LA CARTOGRAFIA STORICA: IMMAGINI DI UNA CITTÀ CHE CAMBIA

Una parte integrante del progetto di valutazione del deposito

archeologico di Senigallia è costituito dallo studio della cartografia storica, fonte documentaria di primaria importanza per l’analisi dell’assetto urbanistico della città nel corso del Rinascimento. Infatti, mentre per quanto riguarda Sena Gallica le fonti archeologiche concorrono a delineare un’immagine ipotetica dell’insediamento urbano13, così come le fonti scritte svolgono un ruolo analogo per il periodo medievale14, per quanto concerne il Rinascimento e l’Età Moderna è la cartografia storica a rappresentare la migliore fonte documentaria disponibile. Nell’ottica della valutazione del deposito archeologico le carte storiche sono una fonte documentaria caratterizzata da molteplici livelli conoscitivi che, oltre a rappresentare un’immagine fedele del passato, forniscono anche informazioni sul contesto territoriale ed ambientale, oltre che su viabilità, toponomastica ed assetto urbanistico: tuttavia alcuni limiti formali ne impongono un uso cauto e oggettivo. In primo luogo è necessario distinguere tra 13 Per una panoramica sui rinvenimenti archeologici si rimanda a ORTOLANI, ALFIERI 1978 e STEFANINI 1991. 14 Si rimanda a VILLANI 2008 per una esauriente e puntuale trattazione delle vicende storiche ed urbanistiche di Senigallia nel Medioevo; per la città rinascimentale si veda RAGGI 1998 e RAGGI 2004.

raffigurazioni di tipo cartografico e piante topografiche: mentre le prime hanno un valore documentario spesso fine a sé stesso in quanto testimoniano una semplice immagine di un luogo, le seconde hanno la peculiarità di riprodurre l’originale con precisione metrica. Ad ogni modo un uso consapevole della cartografia storica permette di fruire di uno strumento di primaria valenza predittiva, testimonianza materiale di situazioni ambientali ed assetti territoriali ormai mutati rispetto all’originale. L’analisi delle carte storiche rappresenta quindi uno strumento di conoscenza dell’aspetto della città, oltre a fornire importanti indicazioni per quanto concerne la programmazione degli interventi e della ricerca. Persino le rappresentazioni cartografiche più recenti possono costituire un’importante fonte di informazioni sullo sviluppo della città, tanto da concorrere alla definizione della consistenza del deposito archeologico. In tal senso è emblematico il caso del ghetto ebraico di Senigallia, la cui demolizione avvenuta nella seconda metà del XIX secolo ha portato alla creazione dell’attuale Piazza G.Simoncelli: grazie alla cartografia catastale dell’inizio del XIX secolo è possibile conoscere lo sviluppo planimetrico dell’intero quartiere, consentendo di pianificare con precisione eventuali interventi di valorizzazione e di sviluppo dell’area (FIGURA 2).

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Lo studio comparato della cartografia storica consente inoltre di osservare la trasformazione di un medesimo oggetto di ricerca attraverso l’accostamento di diverse edizioni cartografiche.

FIGURA 2: Estratto del Catasto Gregoriano raffigurante il centro storico.

Questa possibilità consente, soprattutto per quanto riguarda i tempi più recenti, di notare variazioni urbanistiche ma anche, a scala minore, cambiamenti anche sostanziali nello sviluppo planimetrico dei singoli isolati. Così il confronto tra il Catasto Gregoriano del 1817-1818 ed il Catasto del 1931 permette di osservare alcune significative trasformazioni urbanistiche quali la costruzione del Foro Annonario sul sito del Fortino, la progressiva occupazione di ogni area libera posta all’interno delle mura e le demolizioni conseguenti al terremoto del 1930 (FIGURA 2).

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FIGURA 3: Estratto del Catasto del 1931 raffigurante il centro storico (da Piano Cervellati).

Nel caso di Senigallia la cartografia storica si rivela fondamentale per la conoscenza e la ricostruzione dell’assetto della città, in

particolare per quanto riguarda il sistema fortificato in epoca rinascimentale. In particolare la cinta muraria bastionata rappresenta l’elemento urbano meglio documentato, ritratto a più riprese a partire dal XVI secolo, tanto da essere perfettamente noto benchè conservato solo in parte. Queste raffigurazioni tuttavia esprimono molto più di quanto possa sembrare in apparenza, fornendo preziose informazioni anche sull’apparato fortificato precedente a quello roveresco, di cui altrimenti non si avrebbe alcuna memoria iconografica. Le mura medievali di Senigallia, attestate con certezza a partire dal 1085 ma forse risalenti ad un periodo precedente15, vennero in parte smantellate nel 1299 su ordine del Rettore della Marca16 e ricostruite con un nuovo tracciato a partire dal 144817 per volontà di Sigismondo Pandolfo Malatesti18. Il fulcro del sistema difensivo della città era localizzato in prossimità del litorale, dove già nel corso del Trecento era ricordata la presenza di un cassero, ovvero di un ridotto fortificato distinto dal circuito murario. Il fortilizio fu oggetto di interventi da parte del cardinale Edigio Albornoz tra il 1355 ed il 136019, poi trasformato in rocca a

15 VILLANI 2008, p. 22. 16 BONVINI MAZZANTI 2003, p. 174. 17 VILLANI 2008, p. 213. 18 BONVINI MAZZANTI 2003, p. 177. 19 VILLANI 2008, p. 168.

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partire dal 1454 fino al 1459 dai Malatesti20 e nuovamente dal 1479 al 1481 per volontà dei Della Rovere21. A questi ultimi è infine riferibile la costruzione della cinta bastionata, ben nota grazie alle numerose raffigurazioni cartografiche coeve.

FIGURA 4: Planimetria della città di Senigallia, opera del Sanmicheli, ascrivibile al 1530-1538 circa (da VILLANI 2008, p. 219).

20 VILLANI 2008, pp. 221, 234. 21 VILLANI 2008, p. 257.

La FIGURA 4 propone una planimetria della città recante il progetto di Michele Sanmicheli (1484-1559) per la creazione della cinta bastionata, realizzata tra il 1546 ed il 1596, sovrapposta al circuito murario malatestiano della metà del XV secolo. Si tratta certamente di un progetto di massima, ascrivibile al 1530-1538, in quanto sono riportati solo gli elementi utili alla definizione delle nuove opere difensive, quali la rocca, la cinta muraria precedente ed il corso del fiume; al contrario è completamente assente ogni tipo di apprestamento difensivo a nord del Fiume Misa.

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FIGURA 5: Planimetria della città di Senigallia, opera del Belluzzi, ascrivibile al 1546-1551 circa (da VILLANI 2008, p. 218).

Il successivo progetto (FIGURA 5), redatto da Giovanni Battista Belluzzi (1506-1554), ripropone una situazione analoga a distanza di pochi anni da quello del Sanmicheli: infatti la planimetria, databile al 1546-1551, è una riproduzione fedele della precedente, sebbene con poche trascurabili differenze.

Al Sanmicheli vengono anche attribuite altre due successive planimetrie che in apparenza testimoniano un più avanzato stato della progettazione, sebbene con maggior probabilità potrebbero rappresentare un sostanziale ripensamento all’iniziale progetto. La prima immagine (FIGURA 6) riproduce infatti la cinta bastionata nel suo definitivo assetto, completa della parte a nord del Fiume Misa in precedenza assente. Tuttavia la presenza di alcuni particolari resi con un tratto più marcato lascia ipotizzare che nei progetti del Sanmicheli fosse previsto un raddoppio dei semi-bastioni affacciati sul mare. E’ probabile che la variante del progetto non venne mai portata a compimento in quanto la rocca, posta a cavaliere tra i due semi-bastioni, doveva fornire un adeguato tiro di fiancheggiamento al versante orientale della cinta muraria, sostituendo di fatto i tradizionali bastioni. La planimetria è inoltre interessante per la presenza di alcuni elementi significativi, utili per la conoscenza della città alla metà del XVI secolo circa: in primo luogo è scomparsa la cinta muraria malatestiana rivolta a sud, elemento difensivo divenuto superfluo nell’ambito del rinnovato sistema fortificato ed ostacolo per l’espansione della città. Da ultimo è significativo notare un rettifilo stradale identificabile con l’attuale Corso II Giugno, evidentemente già elemento caratterizzante della forma urbana della città.

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FIGURA 6: Planimetria della città di Senigallia, opera del Sanmicheli, ascrivibile al 1530-1538 circa.

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FIGURA 7: Planimetria della città di Senigallia, opera del Sanmicheli, ascrivibile al 1530-1538 circa.

Di poco posteriore ed ancora una volta attribuibile allo stesso Sanmicheli è una planimetria che costituisce una variante della precedente, che riporta una situazione della città simile ma aggiornata per quanto concerne gli apprestamenti difensivi (FIGURA 7). Oltre al già osservato progetto di raddoppio del semi-bastione di sud-est, si può osservare la trasformazione del Fortino in semi-bastione, accoppiato ad un secondo sulla sponda settentrionale del Fiume Misa, a difendere la città da eventuali attacchi provenienti dal mare. Da ultimo, forse un’idea dell’ultimo momento, è interessante l’aggiunta apportata al bastione ovest di un orecchione proteso verso il fiume, a rafforzare la difesa della limitrofa porta con la possibilità di eseguire il tiro di fiancheggiamento ed allo stesso tempo proteggendola passivamente con la mole stessa della struttura. Analoghe strutture erano inoltre previste nell’ipotizzato bastione verso mare; le opere riportate dalla planimetria tuttavia non vennero mai realizzate. Ciò che risalta da questa breve analisi della cartografia storica, oltre alla tendenza ad una continua opera di rafforzamento dell’apparato difensivo di Senigallia nel corso del Rinascimento, è la ricorrente trasformazione dell’impianto urbano precedente in funzione della cinta muraria, a partire da quella malatestiana fino a quella roveresca.

La cartografia storica relativa a Senigallia tuttavia non rappresenta solo una semplice immagine capace di rivelare le dinamiche costruttive e distruttive che hanno modificato il tessuto urbano in un determinato momento storico, ma in alcuni casi può essere oggetto di un’analisi più accurata, condotta su un livello meno evidente a scala macroscopica ma maggiormente significativa per quanto concerne le finalità del progetto. E’ il caso di alcuni relitti urbanistici, ovvero di edifici, isolati ed assi viari che costituiscono una testimonianza diretta di situazioni urbanistiche da tempo scomparse. Il caso della chiesa di Santa Maria Maddalena pare particolarmente evidente: situato nell’area interessata dall’espansione settecentesca della città, l’edificio di culto costituisce un’evidente anomalia, una frattura nell’altrimenti regolare orientamento ortogonale degli isolati. In presenza di casi analoghi l’interpretazione di tali anomalie urbanistiche è certamente complessa, in quanto può trattarsi di un’eccezione al sistema consolidato così come al contrario possono costituire le ultime testimonianze di assetti ormai scomparsi. Nell’incertezza è opportuno utilizzare altre fonti documentarie per cercare di chiarire la situazione: così, nel caso di Santa Maria Maddalena, la ricerca archeologica ha fornito elementi utili alla definizione di un’ipotesi plausibile, ovvero che la peculiare posizione della chiesa, edificio ascrivibile al XVIII secolo, risente dell’influenza di strutture murarie preesistenti sulle quali si imposta e di cui mantiene l’orientamento. Nel caso della

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chiesa di Santa Maria Maddalena lo studio della cartografia rivela dunque un diretto rimando ad una situazione urbanistica scomparsa, ma questo rappresenta un elemento valido solo perché è possibile procedere ad una conferma attraverso altre fonti documentarie, come ad esempio quelle derivanti dal recente scavo archeologico di Via F.Cavallotti 24 (2010) che ha fornito importanti informazioni sull’assetto della città romana, confermando in modo indiretto le precedenti ipotesi.

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LA GEOFISICA PER L’ARCHEOLOGIA

Come è stato ricordato in precedenza il progetto si avvale di

molteplici metodologie di indagine, applicate al contesto di ricerca in funzione delle diverse situazioni riscontrate allo scopo di reperire la maggiore quantità possibile di informazioni relative al deposito archeologico. In particolare una significativa componente della ricerca è rappresentata dalle metodologie geofisiche d’indagine e della loro applicazione estensiva22. Si tratta di metodi diagnostici volti a misurare le variazioni di alcune proprietà fisiche del terreno, attraverso le quali è possibile individuare anomalie di tipo archeologico23. Nel corso dello svolgimento del progetto si è proceduto ad un’intensa campagna di prospezioni geofisiche integrate che ha impiegato i metodi georadar e geoelettrico per la mappatura geofisica di alcuni settori della città, finalizzate alla lettura del sottosuolo e alla valutazione preventiva del record archeologico 22 Le indagini sono state coordinate dalla Dott.ssa Federica Boschi del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, che si occupata anche dell’esecuzione delle prospezioni georadar. Le indagini geoelettriche sono state condotte dal Dott. Jacopo Nicolosi e dal Dott. Roberto Carletti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). 23 BOSCHI 2009, pp. 298 e sgg.

sepolto (FIGURA 8). Il carattere non invasivo di tali metodologie d’indagine, associato a tempi di acquisizione e di elaborazione piuttosto brevi, concorre a designare le prospezioni geofisiche come favorito strumento di ricerca in ambito urbano. Il vantaggio primario è rappresentato infatti dalla possibilità di “conoscere” il sottosuolo senza necessità di eseguire scavi, attività peraltro complessa in città, mappando ampie superfici in tempi relativamente brevi.

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FIGURA 8. Le indagini geofisiche eseguite nel centro storico: in giallo le aree indagate con il metodo georadar, in rosso i profili realizzati con il metodo geoelettrico.

Le aree investigate sono state selezionate per rispondere ad alcune domande storiche relative alla fisionomia della città antica e all’evoluzione del paesaggio. In particolare, con il georadar ci si è concentrati sulle zone di Corso II Giugno, Via Mastai, Via Arsilli, Via Cavallotti, i giardini della Rocca Roveresca, Piazza Saffi, Piazza Roma e Piazza Garibaldi, con lo scopo di raccogliere dati sulle fasi romane e medievali di Senigallia. Rilievi georadar di dettaglio hanno poi interessato le cantine della Parrocchia di San Martino e di alcune proprietà private lungo Via Mastai e Via Cavallotti (FIGURE 9-12). L’esecuzione delle indagini georadar all’interno delle cantine di Senigallia ha permesso di raggiungere direttamente il deposito archeologico, evitando che i livelli di accrescimento moderni creassero interferenze tali da impedire una corretta acquisizione dei dati. Le indagini geoelettriche hanno invece riguardato il giardino del Monastero delle Benedettine in Via dell’Angelo, con l’intento di individuare l’antico alveo del Fiume Misa, e i giardini della Rocca Roveresca, per lo studio delle variazioni dell’antica linea di costa (FIGURE 13-14).

Sebbene i dati acquisiti siano attualmente in fase di elaborazione, i primi risultati appaiono molto incoraggianti e, anche se in via preliminare, lasciano presagire interessanti prospettive di sviluppo per la ricostruzione della città e del paesaggio antichi.

FIGURA 9: Strumentazione per indagini georadar.

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FIGURA 10: Indagini geofisiche nelle cantine di Via Cavallotti 17.

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FIGURA 11: Acquisizione dei dati nei sotterranei del Convento di San Martino.

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FIGURA 12: Acquisizione dei dati nei sotterranei del Convento di San Martino.

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FIGURA 13: Strumentazione per indagini geoelettriche.

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FIGURA 14: Stendimento geoelettrico nel Monastero delle Benedettine.

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L’ARCHEOLOGIA SCENDE IN CANTINA: UNO STRUMENTO PER LA

VALUTAZIONE DEL DEPOSITO DISTRUTTO

Uno strumento ritenuto indispensabile per la valutazione

qualitatitva e quantitativa del deposito archeologico distrutto è rappresentato dalla ricognizione a campione delle cantine della città. L’attività, iniziata nel mese di novembre del 2010 e proseguita con una seconda campagna di ricerche nel maggio del 2011, ha coinvolto La diffusa presenza di ambienti sotterranei nell’ambito del centro storico ha indotto a procedere ad una sistematica mappatura degli stessi, allo scopo di valutarne l’impatto sul deposito archeologico. Se da un lato infatti le cantine rappresentano un evidente evento distruttivo a scapito del deposito archeologico, d’altra parte costituiscono anche un’opportunità preziosa per indagare il sottosuolo della città senza necessità di scavare. Infatti, come è già stato ricordato in precedenza, una caratteristica ricorrente del deposito archeologico di Senigallia è quella di presentare la stratigrafia relativa all’epoca romana alla quota pavimentale delle cantine, tanto che è un avvenimento piuttosto comune rinvenirne traccia. La ricerca condotta nelle cantine del centro storico di Senigallia potrebbe apparire un'attività marginale nell'ambito del progetto di stesura della Carta del Potenziale Archeologico. Tuttavia, pur

rappresentando una delle fasi preliminari, ne costituisce una componente imprescindibile sotto diversi aspetti. In primo luogo la presenza delle cantine rappresenta di per sé una testimonianza materiale dell'edilizia storica che nel tempo ha contribuito a delineare l'aspetto attuale di Senigallia, così come i sovrastanti edifici testimoniano le traformazioni del paesaggio urbano e urbanistico. Tuttavia l'importanza delle cantine non consta tanto nella struttura in sè, quanto piuttosto nelle conseguenze che la costruzione implica. Se in senso assoluto l'edilizia incarna l'attività costruttiva per definizione, dal punto di vista archeologico rappresenta un intervento fortemente invasivo rispetto al deposito antropico stratificato, causandone la distruzione nella maggior parte dei casi, occultandolo per lunghi periodi nelle migliore delle ipotesi. La mappatura delle cantine presenti nel centro storico di Senigallia riveste quindi un significativo valore archeologico che, sebbene in negativo, restitusce una visione quantitativa del deposito archeologico effettivamente conservato. Nella pratica la ricerca ha previsto un censimento a tappeto del centro storico di Senigallia, con una mappatura completa di scantinati, garages interrati ed ambienti sotterranei in genere. Nei casi in cui nelle cantine fossero presenti strutture murarie di

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interesse archeologico si è proceduto al relativo rilievo topografico e ad un’accurata documentazione fotografica24. Allo stesso modo si è proceduto al posizionamento degli ambienti nel GIS, in modo da creare una cartografia tematica che restituisca un’immagine immediata delle aree in cui il deposito è già stato distrutto ed di quelle in cui al contrario potenzialmente si conserva. Si tratta in pratica di una prima uscita cartografica, realizzata in tempo reale in concomitanza con il progredire della ricerca, secondo il principio presenza/assenza, rappresentata con una bicromia. La ricognizione puntuale di un iniziale campione di ambienti nel corso della prima campagna de “L’Archeologia scende in cantina” ha consentito di calibrare al meglio i successivi sviluppi della ricerca, ovvero di stabilire dei parametri omogenei che sono poi stati applicati all’intero contesto dei sotterranei. L’iniziale ipotesi di effettuare ricognizioni in ogni singolo ambiente è stata scartata in primo luogo per la prevedibile mancanza di disponibilità da parte delle singole proprietà, elemento che pregiudicherebbe una copertura omogenea e completa. In secondo luogo si è ritenuto inutile raggiungere un grado di accuratezza così elevato, limitato peraltro solo ad alcuni ambienti a campione, individuati in base

24 La documentazione topografica è stata curata dal Dott. Michele Silani del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna che ha inoltre creato la piattaforma GIS per la gestione dei dati raccolti nel corso della ricerca.

alla disponibilità dei proprietari ma anche a necessità di ricerca (FIGURA 15). Lo sviluppo del progetto nell’immediato futuro prevede, al termine del censimento preliminare, di definire una serie di standard relativi alla profondità degli ambienti interrati. Questa elaborazione porterà ad una seconda cartografia tematica che tramite l’utilizzo di una gradazione cromatica rappresenterà le diverse profondità a cui è giunta la distruzione del deposito ed al contrario si conserva il deposito archeologico. La cartografia tematica sarà inoltre integrata dai dati archeologici noti derivanti dagli scavi archeologici condotti nel tempo, in modo da definire delle quote di riferimento per i singoli periodi storici, oltre che allo sviluppo planimetrico delle ricerche passate.

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FIGURA 15: Cantine e sotterranei oggetto della ricerca (giallo), di nuovi rilievi archeologici (arancio), di indagini geofisiche (rosso) e di scavi archeologici (verde).

Per ovviare all’impossibilità fisica di indagare in modo integrale le cantine del centro storico è stato necessario l’utilizzo dei catastini d’impianto dei singoli immobili ed in particolare quelli relativi agli ambienti sotterranei, allo scopo di reperire le planimetrie e lo sviluppo verticale degli stessi. Sia nel caso delle cantine oggetto di indagine sia di quelle solo censite, la ricerca ha consentito di ottenere un notevole standard qualitativo, che permette di valutare l’effettiva quantità di deposito archeologico distrutto con un elevato grado di precisione. La stessa fonte cartografica si è rivelata di primaria importanza anche per valutare l’impatto degli edifici privi di cantine sul deposito archeologico, stimando la profondità raggiunta dalle opere murarie in relazione alle caratteristiche della costruzione. Si tratta di un problema di complessa risoluzione, in quanto non è possibile valutare la reale profondità raggiunta dalle opere di fondazione poiché queste ultime non risultano visibili, imponendo quindi di applicare un metodo teorico per valutare l'impatto ipotetico degli edifici sul deposito archeologico sottostante. Appare ovvio che in questo caso il grado di precisione raggiunto è tutt’altro che affidabile, ma risulta comunque utile disporre di uno strumento di valutazione, sebbene suscettibile ad errori di margine di difficile quantificazione. Tuttavia l’edilizia storica di Senigallia presenta caratteristiche architettoniche peculiari e ricorrenti, spesso concentrate in aree omogenee del centro storico, in modo tale da favorire una valutazione ipotetica del deposito distrutto. In termini pratici, nei casi in cui non è stato

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possibile accedere direttamente alle cantine, si è proceduto a definire alcuni parametri di valutazione associati alla tipologia edilizia25, creando un’associazione diretta tra le caratteristiche costruttive di edifici del medesimo orizzonte cronologico e ascrivibili allo stesso stile architettonico. Una tale metodologia di indagine permetterà di ottenere una mappatura ibrida del deposito archeologico distrutto del centro storico, costituita da una parte da dati puntuali derivanti dalle ricognizioni dirette delle cantine, mentre dall’altra da una stima ragionata sul costruito non ricognito e privo di locali sotterranei.

25 In tale definizione si è rivelato un prezioso strumento il “Piano Cervellati” del Comune di Senigallia che rappresenta una testimonianza dell’edilizia storica del centro storico prima del terremoto del 1930.

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APPENDICE: SCHEDE

La ricognizione effettuata nelle cantine ha permesso di

individuare non solo alcune evidenze archeologiche, ma anche di reperire importanti dati utili alla ricostruzione degli assetti urbanistici della città ed alla formulazione di nuove ipotesi finalizzate alla pianificazione delle future ricerche. A seguito si riporta una selezione di casi di studio individuati nel corso della ricerca, suddivisi in base alla cronologia dei rinvenimenti, a partire dal Rinascimento ed a ritroso nel tempo fino all’età romana26. MEDIOEVO/RINASCIMENTO

ACQUEDOTTO ROVERESCO La ricognizione ha interessato una struttura sotterranea anomala, certamente rinascimentale, ovvero il lungo cunicolo che in origine alimentava la fontana monumentale di Piazza del Duca (FIGURA 16).

26 Colgo l’occasione per ringraziare chi ha reso possibile le ricognizioni, mettendo a disposizione le proprie cantine per le ricerche.

Interrotto a seguito della costruzione della Scuola Elementare Pascoli da cui peraltro vi si accede, il cunicolo non costituisce solo un’espressione della tecnica idraulica del Rinascimento, ma si è rivelato essere anche un’utile occasione per individuare un lacerto murario riferibile all’epoca romana (FIGURA 17).

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FIGURA 16: Acquedotto Roveresco, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 17: Acquedotto Roveresco, particolare della struttura muraria individuata.

VIA C.PISACANE 37-39 La cinta muraria cinquecentesca di Senigallia si conserva ancora in misura significativa al margine orientale ed a quello meridionale del centro storico, oltre che nell’area posta a nord del Fiume Misa, malgrado l’espansione settecentesca della città abbia causato il sistematico smantellamento della cinta bastionata sul versante occidentale. Di quest’ultima tuttavia si conserva gran parte della base a scarpa delle mura, inglobata negli edifici del XVIII secolo posti sul lato est di Via Pisacane (FIGURA 18). In alcuni casi all’interno delle corti e degli edifici moderni è ancora possibile osservare i contrafforti che sostenevano il paramento murario della cinta difensiva, privata del terrapieno interno per lasciare posto ai fabbricati settecenteschi; una situazione analoga è visibile anche nel cortile restrostante la Scuola Elementare Pascoli, mentre nel sotterraneo di Via Pisacane 26 si individua il muro a scarpa dello scomparso bastione prospicente al Fiume Misa. La presenza di un contrafforte nella cantina di Via Pisacane 37-39 (FIGURA 19) testimonia come le mura avessero un significativo sviluppo in profondità rispetto al piano del terreno circostante, in relazione alla presenza dell’ampio fossato difensivo che cingeva

la città. Un ulteriore esempio dei contrafforti cinquecenteschi è conservato all’interno dell’area archeologica de La Fenice che, addossata al Bastione di San Martino, ne testimonia la dimensione originaria.

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FIGURA 18: Via Pisacane 37-39, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 19: Via Pisacane 37-39, contrafforte delle mura Roveresche.

VIA G.M. MASTAI 14 I sotterranei di Palazzo Mastai conservano solo una parte del proprio originario sviluppo planimetrico, alterato profondamente dal terremoto del 1930, a causa del quale alcuni ambienti sono stati parzialmente obliterati allo scopo di consolidare le fondazioni dell’edificio (FIGURA 20). Malgrado tale situazione è stato tuttavia ritenuto opportuno eseguire una ricognizione puntuale degli scantinati, anche in relazione alla datazione dell’edificio, ascrivibile nelle sue forme attuali al Rinascimento. E’ stato dunque possibile individuare un vasto ambiente adiacente a Via F.lli Cattabeni che, malgrado evidenti interventi di consolidamento condotti in tempi recenti così come in passato, conserva ancora le tracce evidenti dell’assetto precedente. In particolare si è potuta osservare un piano in mattoni che costituiva la pavimentazione della stalla del palazzo (FIGURA 21). Nel medesimo ambiente si è inoltre osservato un diffuso utilizzo di conci e blocchi di pietra, alcuni dei quali certamente di recupero da strutture di epoca precedente, posti in opera a costituire un contrafforte (FIGURA 22).

FIGURA 20: Via Mastai 14, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 21: Via Mastai 14, strutture pavimentali riferibili alla stalla.

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FIGURA 22: Via Mastai 14, blocchi lapidei di recupero.

VIA G.M. MASTAI 20 Il vasto ambiente sotterraneo, articolato in diversi ambienti comunicanti, è localizzato tra Via A.Maierini e Via N.Sauro, prospiciente a Via Mastai (FIGURA 23). Interamente realizzata in mattoni, la cantina ha rivelato fin da un’analisi preliminare la presenza di alcuni blocchi di grandi dimensioni impiegati alla base dei muri perimetrali. Un’accurata pulizia delle pareti e del piano di calpestio, in parte pavimentato, ne ha rivelato la reale natura, in un primo momento ritenuti blocchi di pietra di reimpiego, forse recuperati da strutture di epoca romana. In realtà si tratta di una gettata di opera cementizia, realizzata con ciottoli fluviali, mattoni frammentati e ghiaia legati da abbondante malta, identificabile come la fondazione di un edificio precedente a quello attuale (FIGURA 24-26). Sebbene non ci siano elementi tali da permettere una datazione precisa delle strutture rinvenute, pare essere evidente che queste non siano ascrivibili all’epoca romana, quanto piuttosto al Medioevo/Rinascimento. L’edificio attuale mantiene infatti il medesimo orientamento di quello precedente su cui si imposta, sebbene non ne riproponga con esattezza lo sviluppo planimetrico.

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La peculiare posizione dell’edificio, posto nel centro della città attuale ma anche di quella medievale e rinascimentale, porta ad ipotizzare che l’assetto urbanistico dell’area non abbia subito sostanziali trasformazioni nel corso dell’Età Moderna e Contemporanea, conservando il precedente sistema viario e la scansione degli isolati. Inoltre la presenza di strutture murarie post-classiche conservate lascia aperta la possibilità di individuare, ed in prospettiva di indagare, un’ampia porzione di deposito archeologico parzialmente intatto, consentendo potenzialmente di acquisire informazioni sulla città romana in un settore del centro storico di Senigallia altrimenti sconosciuto.

FIGURA 23: Via Mastai 20, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 24: Panoramica della cantina di Via Mastai 20.

FIGURA 25: Via Mastai 20, prospetto nord-est.

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FIGURA 26: Via Mastai 20, particolare del conglomerato.

EPOCA ROMANA/PREROMANA

PIAZZA G.GARIBALDI 3 Prospicenti Piazza Garibaldi, l’Episcopio e le sottostanti cantine occupano una parte di rilievo nelle ricognizioni effettuate, in quanto hanno restituito una serie di strutture murarie dalla complessa articolazione ed interpretazione (FIGURA 27). A seguito di un’accurata analisi si è potuto stabilire che le strutture più recenti sono state realizzate in seguito alla costruzione del complesso episcopale, già missione gesuita del XVIII secolo, e paiono essere in relazione con il ciclo della lavorazione dell’uva e della successiva produzione del vino; la parziale conservazione delle strutture murarie tuttavia impone un’ulteriore verifica dell’ipotesi (FIGURA 28). Al di sotto dell’impianto produttivo si articolano inoltre alcuni lacerti murari e pavimentali, ascrivibili con ogni probabilità ad un edificio di epoca romana. La ricognizione dello scantinato dell’Episcopio ha rappresentato l’occasione di eseguire un’accurata pulizia delle strutture, in passato già oggetto di un intervento di scavo, seguita da un puntuale rilievo topografico e fotografico; nel corso delle attività è stato possibile recuperare materiale ceramico riferibile alle prime fasi di occupazione della colonia di Sena Gallica (FIGURE 29-31).

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Un elemento di estremo rilievo emerso nel corso delle ricerche è costituito dall’orientamento delle strutture individuate, analogo sia a quelle rinvenute nello scavo di Via Cavallotti, sia alla chiesa di Santa Maria Maddalena, peraltro entrambe poco distanti dall’Episcopio. Questo dato ha grande importanza se considerato nel contesto di questo settore della città, dove forse ha avuto origine la colonia romana oppure dove, anche in relazione ai materiali rinvenuti, potrebbe attestarsi un insediamento precedente alla fondazione romana del III secolo a.C.

FIGURA 27: Piazza Garibaldi 3, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 28: Piazza Garibaldi 3, strutture produttive.

FIGURA 29: Piazza Garibaldi 3, strutture produttive (a sinistra) sovrapposte a muri e pavimenti romani (a destra).

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FIGURA 30: Piazza Garibaldi 3, muro romano (in primo piano).

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FIGURA 31: Piazza Garibaldi 3, muro romano (in primo piano).

VIA F.LLI BANDIERA, CONVENTO DI SAN MARTINO I sotterranei del Convento di San Martino (FIGURA 32) sono noti da tempo (1961) per aver restituito reperti di epoca romana, in particolare una pavimentazione in opus spicatum, ovvero realizzata con piccoli mattoni posti di taglio a spina di pesce. Lo scavo per la realizzazione delle cantine, particolarmente profonde, con ogni probabilità ha cancellato ogni altra traccia di strutture murarie e stratigrafie ascrivibili all’epoca romana (FIGURE 33-34). Il piano pavimentale si conserva in pianta per una esigua estensione sebbene sia individuabile in sezione al di sotto delle fondazioni del convento in almeno due degli ambienti sotterranei. La sezione archeologica esposta evidenzia la tecnica costruttiva della pavimentazione, stesa al di sopra di una gettata di cocciopesto di allettamento, a sua volta posto a regolarizzare una massicciata di ciottoli e frammenti di arenaria (FIGURA 35). Oltre al pavimento in opus spicatum i sotterranei di San Martino conservano la base di una grande struttura monumentale di identificazione ed attribuzione cronologica incerta. Si tratta di un’imponente gettata di calcestruzzo, realizzata con malta tenace, ciottoli e mattoni frantumati, forse posta in opera contro un paramento di cui non si conserva traccia. Il peso della struttura è

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tale da aver causato il collasso della pavimentazione su cui si imposta, peraltro già in disuso al momento della costruzione (FIGURA 36-37). La struttura, ascrivibile genericamente ad epoca post-classica, è forse da identificare con il basamento di una torre riprodotta in un disegno della fine del XVI secolo (FIGURA 38), posta in adiacenza della chiesa di San Martino, edificata nel 1572 all’interno delle mura roveresche27.

27 VILLANI 2008, p. 53.

FIGURA 32: Via F.lli Bandiera, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 33: Via F.lli Bandiera, opus spicatum.

FIGURA 34: Via F.lli Bandiera, opus spicatum.

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FIGURA 35: Via F.lli Bandiera, opus spicatum in sezione.

FIGURA 36: Via F.lli Bandiera, fondazione in conglomerato.

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FIGURA 37: Via F.lli Bandiera, opus spicatum collassato sotto il peso della fondazione in conglomerato.

FIGURA 38: Disegno della fine del XVI secolo riproducente la chiesa cinquecentesca di San Martino e la retrostante torre (da VILLANI 2008, p. 55).

VIA C.B. CONTE DI CAVOUR 20 La cantina di Via Cavour 20 ha restituito alcune strutture murarie di grande interesse per quanto riguarda la ricostruzione dell’assetto urbanistico di Sena Gallica (FIGURA 39). Si tratta di due lacerti murari, realizzati con frammenti di tegole (FIGURE 40-41), che presentano un’orientamento simile a quello già individuato nell’area de La Fenice, diverso quindi da quello dell’Episcopio e di Via Cavallotti 24. Si delinea così l’ipotesi di due diversi schemi urbanistici, testimonianza forse di altrettante

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distinte fasi dell’insediamento romano, credibilmente ascrivibili a tempi successivi. E’ interessante notare che il materiale con cui è realizzata la cantina è in prevalenza di reimpiego, recuperato dallo spoglio di strutture murarie romane: pur trattandosi di una pratica diffusa nelle cantine del centro storico, solo in questo caso il fenomeno assume proporzioni simili. La cantina conserva inoltre un pozzo romano ancora in uso, realizzato mediante la posa in opera di grandi cilindri di laterizio a formare la canna del pozzo. All’interno della cantina si trovano anche altri due pozzi, uno dei quali tuttora in uso.

FIGURA 39: Via Cavour, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 40: Via Cavour, struttura muraria realizzata in tegole.

FIGURA 41: Via Cavour, struttura muraria realizzata in tegole.

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FIGURA 42: Via Cavour, pozzo romano.

VIA F.CAVALLOTTI 24 Lo scavo archeologico di Via Cavallotti28 ha avuto il merito di rilanciare l’interesse di Senigallia per l’archeologia, oltre ad aver reso possibile l’acquisizione di importanti dati sull’assetto della città in epoca romana (FIGURA 43). La cantina ha infatti restituito un piccolo ma complesso deposito archeologico che conserva parte di un isolato abitativo, costituito da diversi ambienti delimitati

28 Lo scavo, diretto dal Prof. Giuseppe Lepore del Dipartimento di Archeologia dell’Universitàdi Bologna, è stato condotto dal Dott. Tommaso Casci Ceccacci con la collaborazione del Dott. Fabio Visani e Francesco Belfiori; lo studio dei materiali è stato eseguito dalla Dott.ssa Gilda Assenti.

da muri realizzati in tegole e pavimentati con frammenti di laterizi (FIGURE 44-46). La presenza di strutture murarie realizzate in ciottoli fluviali, sovrapposte alle precedenti, testimoniano che con ogni probabilità l’edificio abbia avuto una lunga continuità di vita, caratterizzata da trasformazioni significative degli spazi interni. Lo scavo ha restituito un pozzo che presenta le medesime caratteristiche costruttive di quello situato nella cantina di Via Cavour 20, sebbene sia stato reso inutilizzabile da un dolio destinato a conservare derrate alimentari (FIGURA 47); limitrofo si conserva un secondo pozzo, realizzato con colli d’anfora (Figura 48). Le stratigrafie individuate nel corso dello scavo hanno evidenziato un’orizzonte cronologico del III secolo a.C. ma con un’occupazione del sito precedente che risale almeno al VI secolo a.C. Il diverso orientamento delle strutture murarie individuate dallo scavo forse deve la propria origine dalla presenza di tali preesistenze, subendo poi una variazione solo nel III secolo a.C. al momento della fondazione della colonia romana di Sena Gallica.

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FIGURA 43: Via Cavallotti 24, localizzazione nel contesto del centro storico.

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FIGURA 44: Via Cavallotti 24, muri in tegole.

FIGURA 45: Via Cavallotti 24, muri in tegole.

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FIGURA 46: Via Cavallotti 24, pavimentazione in laterizio.

FIGURA 47: Via Cavallotti 24, pozzo tagliato da dolio.

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FIGURA 48: Via Cavallotti 24, pozzo realizzato con colli d’anfora.

VIA F.CAVALLOTTI 34 La cantina vinicola annessa all’Opera Pia (FIGURA 49) costituisce un caso a parte rispetto quelli appena esposti e per questo merita idealmente il ruolo di chiusura di questa breve panoramica.

FIGURA 49: Via Cavallotti 34, localizzazione nel contesto del centro storico.

La cantina testimonia infatti un’occasione persa per la città, dato che per la costruzione della stessa, tra il 1952 ed il 1954, si è proceduto allo sbancamento di una vasta area del centro storico

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ed alla conseguente perdita di informazioni circa questo settore della città. Se da un lato si tratta di un avvenimento piuttosto comune in quegli anni, d’altra parte è impossibile fare ameno di osservare che la reale dimensione della gravità dell’evento è testimoniato dall’entità dei materiali rinvenuti nel corso dello scavo, frammenti architettonici in parte noti e conservati, riferibili ad un edificio pubblico o di culto di epoca romana (FIGURE 50-51).

FIGURA 50: Via Cavallotti 34, frammenti architettonici.

FIGURA 51: Via Cavallotti 34, frammenti architettonici.

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CONSIDERAZIONI FINALI E PROSPETTIVE FUTURE

I risultati preliminari appena esposti lasciano intravedere una situazione certamente di difficile interpretazione, resa ancor più complessa a causa della frammentarietà dei dati in nostro possesso e dalla necessità vincolante di non creare una frattura tra la vita quotidiana della città e lo svolgimento della ricerca stessa. Tuttavia i primi risultati appaiono estremamente incoraggianti e ci spingono a proseguire nella direzione ormai intrapresa: l’utilizzo di metodologie d’indagine speditive e non invasive, connesse ad un attento studio dell’assetto della città, sta consentendo di analizzare in modo estensivo il centro storico e quindi di reperire informazioni prezione che abbiano non solo un valore scientifico in sé ma che siano rappresentative di tutto il contesto urbano. Senigallia è una città che lega la propria immagine all’importante ruolo del turismo balneare, motore dell’economia locale per una significativa parte dell’anno. Tuttavia la vita di una città non si realizza e di certo non si conclude nell’arco dei tre mesi estivi, ma al contrario ritrova sé stessa nei restanti nove in cui il turista classico è una presenza marginale mentre gli abitanti locali possono riappropriarsi della propria Senigallia.

Il centro storico, già di per sé ricco di testimonianze del proprio passato, possiede una ricchezza intrinseca che si trova appena al di là del visibile, anzi spesso appena al di sotto dei nostri passi. L’archeologia, la sua tutela e soprattutto la sua valorizzazione rappresentano una potenziale forza di rilancio economico per la città, oltre a costituire una riappropriazione della propria identità storica. Futuro e passato che si coniugano in un presente volto a perseguire le diverse necessità di una città moderna e vitale, nel rispetto di ciò che è stata. Il limite formale dall’archeologia è sostanzialmente rappresentato dall’intrinseca incapacità di produrre ricchezza ed al contrario di avere un costo economico ed un impatto sociale notevole: le fasi di ricerca e di scavo, il successivo restauro, la musealizzazione, la manutenzione costante costituiscono una voce passiva nei bilanci di privati ed enti pubblici, senza contare i disagi arrecati alla vita di tutti i giorni della città. D’altra parte l’archeologia ha dalla sua parte una grande potenzialità di creare indotto, ovvero di produrre e distribuire ricchezza alla città in modo indiretto, ad esempio prolungando la stagione turistica oltre il canonico trimestre estivo e rappresentando un’alternativa alla consueta offerta turistica. La ricchezza tuttavia non riguarda solo l’ambito economico ma può essere intesa anche come arricchimento della vita culturale e sociale della città.

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L’equipe di archeologi che stanno conducendo la valutazione del deposito archeologico di Senigallia svolgono un’attività che principalmente è finalizzata alla conoscenza del passato della città, alla tutela ed alla possibile valorizzazione dello stesso in accordo con le necessità e le realtà di una città attuale. Non si tratta quindi di creare una frattura tra la Senigallia moderna e la Sena Gallica romana, quanto piuttosto di trovare un compromesso, o meglio ancora un accordo, tra i due livelli sovrapposti della città. Nei prossimi mesi le indagini relative al deposito archeologico della città proseguiranno seguendo i filoni di ricerca illustrati, approfondendo i temi più sensibili e perseguendo l’obiettivo di delineare un profilo diacronico dell’assetto urbano, ricostruendo quindi le principali trasformazioni urbanistiche avvenute nell’arco della vita di Senigallia. Nella pratica si procederà ad una puntuale trasposizione della cartografia storica in ambiente GIS, in modo da sovrapporla alle rappresentazioni cartografiche attuali della città, allo scopo di individuare le trasformazioni della città nel tempo. La prosecuzione delle indagini geofisiche assicurerà invece l’aquisiszione di dati diretti riguardanti le caratteristiche qualitative del deposito archeologico, indirizzando così eventuali ricerche puntuali; allo stesso modo la ricognizione delle cantine darà l’opportunità di valorizzare alcune situazioni note in sé ma allo

stato attuale dei fatti poco o per nulla analizzate nel più ampio contesto urbano. La finalità dichiarata è pertanto di riuscire a produrre la Carta del Potenziale Archeologico di Senigallia, che costituirà uno strumento esaustivo e funzionale alle diverse esigenze della città, sia che si tratti di sviluppo urbanistico ed edilizio, sia di valorizzazione del patrimonio culturale. La possibilità di aggiornare costantemente la cartografia archeologica consentirà di mantenere lo strumento vitale, adeguato alle necessità contingenti della città e migliorabile in base ad eventuali modifiche apportate alla legislazione vigente oppure a nuove direttrici di ricerca e metodologie di indagine.

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