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STORIA ANTICA E GRECA 233 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI ELEMENTI DI ® EDIZIONI E IMON S Dalla preistoria all’età ellenistica Gruppo Editoriale Esselibri - Simone

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STORIAANTICA E GRECA

233COLLANA TIMONE

ESAMI e CONCORSI

ELEMENTI DI

®EDIZIONIEIMONS

Dalla preistoria all’età ellenistica

Gruppo Editoriale Esselibri - Simone

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:

233 • Elementi di Storia Antica e Greca233/1 • Elementi di Storia Romana233/2 • Elementi di Storia Medievale (in preparazione)233/3 • Elementi di Storia Moderna233/4 • Elementi di Storia ContemporaneaPK 6 • Tutto StoriaPK 6/1 • Storia AnticaPK 6/2 • Storia Medievale e ModernaPK 6/3 • Storia Contemporanea33 • L’esame di Storia

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Testo a cura di Luca Oliverio

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.

(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Finito di stampare nel mese di novembre 2008dalla «Officina Grafica Iride» Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano - Napoli

per conto della ESSELIBRI S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Il volume offre un quadro completo della storia antica e greca, traccian-do un itinerario del periodo che va dalla preistoria alla dissoluzione dell’im-pero di Alessandro Magno.

In linea con gli orientamenti più avanzati della ricerca storica, il testo sisofferma sui momenti più significativi dell’evoluzione delle civiltà antiche,proponendo un panorama non solo degli eventi politici e militari, ma anchedegli aspetti più propriamente legati alla cultura, alla vita sociale, alla reli-gione e alle attività economiche delle varie società, cercando di cogliernel’identità. L’obiettivo di fondo è dimostrare che la conoscenza del passato ècondizione imprescindibile per l’analisi delle dinamiche proprie della real-tà contemporanea. La trattazione, condotta con un linguaggio semplice edessenziale, si avvale di strumenti che consentono al lettore di fissare megliole coordinate spazio-temporali degli avvenimenti descritti e i concetti rite-nuti topici; ogni capitolo, infatti, si chiude con una tavola cronologica det-tagliata e con un breve glossario.

Il testo si pone, dunque, come un valido sussidio per un apprendimentoal tempo stesso rapido ed efficace, rivolto agli studenti universitari e a quan-ti si accingono ad affrontare le prove orali dei concorsi pubblici e delleabilitazioni professionali.

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CAPITOLO PRIMO

LA PREISTORIA

Sommario: 1. Gli studi sulle origini dell’uomo e sulla nascita della civiltà. - 2. Lagenesi della Terra e l’evoluzione degli organismi viventi. - 3. Dall’età della pietraall’età dei metalli. - 4. Il passaggio dal villaggio alla città.

1. GLI STUDI SULLE ORIGINI DELL’UOMO E SULLA NASCITADELLA CIVILTÀ

Con il termine preistoria si indica il periodo che va dalle più remoteorigini della specie umana al sorgere delle prime civiltà urbane, o più esat-tamente, il periodo della storia umana per il quale non esistono testimo-nianze scritte. Lo studio della preistoria è stato condotto con criteri scien-tifici soltanto a partire dal secolo scorso; da pochi decenni la preistoria vie-ne considerata una disciplina a sé che necessita di metodi di indagine diver-si da quelli usati per la storia.

Nell’antichità il problema dell’origine dell’uomo era legato al mito, anche se l’idea di unosviluppo progressivo della specie umana è presente già in alcuni storici dell’età classica. È nelRinascimento che si risveglia l’interesse per la storia della civiltà. La scoperta dell’America eil contatto con le popolazioni «selvagge» del continente nuovo ripropongono agli scienziati ilproblema del passato dell’umanità.

Durante il Settecento, con l’Illuminismo, si ha un grande sviluppo delle scienze naturali esi intensificano i dibattiti scientifico-metodologici che hanno per oggetto l’uomo, la sua storiae le civiltà diverse da quella europea. Nel XIX secolo nasce l’antropologia come scienza,mentre il ritrovamento del cranio di Neanderthal nel 1856, che segue di due anni la primascoperta di palafitte nei laghi svizzeri, consente di fissare definitivamente il concetto di prei-storia.

Nel 1857 a Parigi si svolge il primo congresso internazionale di antropologia e di archeo-logia preistorica. Nel 1859 le teorie di Charles Darwin sull’evoluzione (esposte nell’operaSull’origine delle specie) suscitano negli studiosi e nell’opinione pubblica un nuovo interesseper le ricerche preistoriche e per la scienza antropologica.

In generale, si può certamente affermare che gli studi concernenti lapreistoria siano serviti a capire meglio il destino dell’uomo in quanto artefi-ce di civiltà.

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Capitolo Primo6

Il termine civiltà può avere molti significati, ma quello più comuneriguarda gli aspetti materiali e spirituali della vita di un popolo in un de-terminato momento con riferimento alle istituzioni politiche, al formarsidelle classi sociali e dei gruppi produttivi (contadini, commercianti, arti-giani etc.), alle abilità manuali, tecniche e intellettuali, all’uso della scrit-tura e all’elaborazione di idee religiose, alla pratica delle arti. Ogni voltache una civiltà è comparsa in qualche regione della Terra, questi elementisono stati presenti fino a formare un insieme coerente e omogeneo, unmodello di vita diverso da quello di altre regioni vicine o lontane nel tem-po e nello spazio.

Lo sviluppo delle prime civiltà di cui ci sia rimasta testimonianza è statofortemente influenzato dall’habitat naturale in cui ebbero origine. È il caso,infatti, della cosiddetta Mezzaluna Fertile termine coniato dall’archeologoamericano James Henry Breasted per indicare una regione storica del Me-dio Oriente che includeva l’Antico Egitto, il Levante (ampia area del Sudo-vest asiatico) e la Mesopotamia. Questa regione viene spesso indicata comela «culla della civiltà» poiché nelle valli fertili dei quattro fiumi che l’attra-versano (il Nilo, il Tigri, l’Eufrate e il Giordano) si svilupparono le primeciviltà agricole e i primi grandi popoli dell’antichità. Da qui, l’impulso civi-lizzatore s’irradiò verso l’India e la Cina e poi in tutto il bacino del Mediter-raneo.

È bene sottolineare, a questo punto, le differenze che intercorrono tra storia, storiogra-fia e preistoria.

La storia (dal greco istoría = indagine, ricerca) è il complesso delle vicende umane nelloro svolgersi secondo una successione cronologica e una concatenazione di cause e di effetti.

La storiografia è l’insieme delle opere scritte che mirano a valutare criticamente i fattistorici scientificamente accertati.

La preistoria, a differenza della storia:

— non viene ricostruita sulla base di fonti scritte;— non si serve di testimonianze intenzionali (i documenti con cui gli uomini intendono la-

sciare il ricordo di sé ai posteri);— viene ricostruita soltanto attraverso l’esame scientifico dei reperti archeologici.

Lo studio della preistoria si avvale dei risultati di alcune scienze speciali quali:

— la geologia, che permette di conoscere le trasformazioni subite dalla crosta terrestre attra-verso l’analisi dei diversi strati e di stabilire l’età dei corpi e degli oggetti ritrovati (crono-logia preistorica);

— la paleontologia, che cerca di individuare la fauna e la flora di epoche remote, attraversol’esame dei fossili, delle impronte e delle tracce lasciate da esseri viventi poi scomparsi;

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7La preistoria

— l’antropologia, che studia l’origine dell’uomo, le razze esistenti sulla Terra e quelle estin-te;

— la paletnografia, che analizza i resti delle età più remote (armi, utensili etc.) per ricostruireusi, costumi e forme di vita;

— l’etnologia, che studia le culture e le relazioni sociali di gruppi viventi o estinti;— le branche della linguistica che studiano il nesso tra la struttura della lingua e l’identità

culturale e antropologica della comunità dei parlanti.

2. LA GENESI DELLA TERRA E L’EVOLUZIONE DEGLI ORGA-NISMI VIVENTI

A) La formazione del sistema solare e i primi esseri viventi

Gli studiosi fanno risalire l’origine del Sole e di tutti i pianeti del no-stro sistema solare a circa 4,6 miliardi di anni fa, quando una gigantescanube (nebulosa solare) di gas e polveri interstellari iniziò ad addensarsi(collasso gravitazionale), forse a causa dell’esplosione di una vicina su-pernova.

Da questa contrazione si formò il Sole al centro della nebulosa, dove, acausa della maggiore gravità e quindi della maggiore densità, i gas raggiun-sero temperature tali da innescare fenomeni di fusione nucleare. Ma la nubenon collassò completamente su se stessa. Lontano dal centro, infatti, tempe-rature più basse consentono a composti e molecole più pesanti dell’idroge-no e dell’elio di condensarsi passando dallo stato gassoso allo stato liquido.Si innescarono, in questo modo, ulteriori fenomeni gravitazionali che por-tarono alla costituzione delle prime formazioni rocciose in orbita intorno alsole e, infine, dei pianeti come li conosciamo oggi.

Nel corso di milioni di anni gli strati più superficiali della Terra si raf-freddarono e i gas e il vapore acqueo, portati in superficie dalla imponenteattività vulcanica del giovane pianeta, si condensarono e formarono gli oce-ani.

L’ipotesi più accreditata è che la radiazione solare e le scariche elettri-che atmosferiche abbiano innescato reazioni che portarono molecole dimetano, di ossido di carbonio, ammoniaca ed acqua (tutti elementi di cuiera ricca l’atmosfera agli albori della Terra) a formare le prime molecoleorganiche, gli amminoacidi, i costituenti fondamentali delle proteine. Dalleproteine sono derivati i primi organismi viventi, i batteri procarioti, organi-smi monocellulari anaerobici. Questi, intorno a 3,6 miliardi fa, si trasforma-rono in batteri in grado di sintetizzare, attraverso il processo di fotosintesi,

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Capitolo Primo8

le sostanze indispensabili alla loro esistenza. Grazie alla fotosintesi, chesottrae carbonio all’atmosfera e restituisce in cambio ossigeno, essi trasfor-marono l’ambiente terrestre e diedero inizio all’evoluzione degli esseri vi-venti.

Nel corso di milioni e milioni di anni, gli organismi viventi perfeziona-rono i loro meccanismi di sopravvivenza e di riproduzione: comparverodapprima alcuni invertebrati marini, poi i primi vertebrati, fino ai vertebratiterrestri, seguiti da rettili e mammiferi.

B) Dalla scimmia all’uomo

La necessità di adattarsi all’ambiente — come spiegato da Darwin nel-l’ambito della sua teoria sull’evoluzione — ha determinato una differenzia-zione tra i mammiferi: si distinsero molti ordini, cioè gruppi di animali concaratteristiche comuni. Tra questi rivestono particolare importanza nello stu-dio sull’origine della specie umana i primati (le cosiddette protoscimmie),che sono considerati gli antenati dell’uomo.

Per molto tempo, infatti, si è ritenuto che l’uomo discendesse direttamente dalla scimmia.Oggi gli scienziati, pur riconoscendo dei tratti comuni tra le due specie, sostengono che nelcorso dei millenni si sia determinata una netta differenziazione che ha dato vita a due distintespecie genealogiche: quella delle scimmie e quella dei cosiddetti ominidi.

Il progenitore più antico della specie umana è il Ramapithecus, vissutotra quattordici e dodici milioni di anni fa.

Di esso sono stati trovati resti fossili in Asia e in Africa. Si tratta di unprimate con caratteri umanoidi. Viveva per lo più sulle piante e si presumeche i cambiamenti climatici, favorendo le specie più adatte alla vita terrico-la, ne abbiano causato l’estinzione provocando la comparsa del suo direttodiscendente, l’Australopithecus africanus, bipide, i cui resti, trovati in Su-dafrica e in Africa orientale, risalgono a un periodo compreso tra i cinque ei due milioni di anni fa. La comparsa di questo ominide sul pianeta coincidecon il periodo delle grandi glaciazioni ed è probabile che l’abbassamentodella temperatura e le conseguenti trasformazioni climatiche abbiano favo-rito le condizioni di sopravvivenza dei bipedi.

L’Australopithecus non era più alto di un metro, con un peso di circa 30chilogrammi e un volume cranico di circa 500cc. (superiore a quello dellescimmie, ma inferiore a quello dell’uomo che è di 1400-1500cc.). Si nutrivadei frutti della caccia e della raccolta servendosi di strumenti che la naturagli offriva: pietre scheggiate, ossa, corna e denti di animali. Viveva in comu-

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9La preistoria

nità formate da 20-30 individui e probabilmente si esprimeva attraversoemissioni di suoni che preludevano al linguaggio.

Dall’Australopithecus discende l’homo habilis che risale a circa duemilioni di anni fa, come dimostrano i resti fossili rinvenuti in Tanzania nel1961 nella gola di Olduvai. L’homo habilis ha una capacità cranica di 750cc.ed era in grado di ricavare, dalle schegge dei ciottoli, rudimentali strumentiche gli archeologi hanno chiamato choppers (asce).

Circa un milione e mezzo di anni fa comparvero strumenti più evoluti,detti amigdale per la caratteristica forma a mandorla, ricavati dalla selce odal quarzo. Le amigdale, pietre scheggiate sulle due facce, appuntite e abordo tagliente, che venivano usate anche come armi, sono opera dell’homoerectus, ritenuto il diretto discendente dell’homo habilis e la cui capacitàcranica raggiungeva i 1200cc. Al volume del cranio corrisponde una supe-riorità mentale che ha un’importanza notevole per la sopravvivenza dellaspecie e per il suo adattamento all’ambiente.

A circa 300.000-200.000 anni fa risale l’homo sapiens, di cui sono statitrovati i resti sia in Europa che nel Vicino Oriente. A questa fase dell’evolu-zione umana appartiene l’uomo di Neanderthal, i cui resti furono trovati inGermania in una località presso Düsseldorf verso la metà del secolo scorso.L’uomo di Neanderthal ha una capacità cranica simile alla nostra, anche seil corpo tarchiato e muscoloso testimonia le caratteristiche di una specieadattata alle basse temperature dell’ultima glaciazione.

Si suppone che le «genti di Neanderthal» siano vissute in Europa percirca 70.000 anni fino all’avvento dei climi più temperati e si sarebberoestinte circa 30.000 anni fa, incapaci di sopportare le temperature più calde,mentre 20.000 anni fa comparve l’homo sapiens sapiens, il diretto progeni-tore dell’uomo moderno. La sua presenza è testimoniata dal ritrovamento diutensili sempre più funzionali che rivelano l’evoluzione delle capacità tec-niche e dell’inventiva della specie umana.

C) Le ere geologiche

Occorre sottolineare che la comparsa dell’uomo sul nostro pianeta è re-lativamente recente se rapportata all’intera storia della Terra, la quale, a suavolta, viene suddivisa in cinque unità cronologiche, denominate ere geolo-giche: Archeozoica, Paleozoica, Mesozoica, Cenozoica e Neozoica.

Ogni era si articola in periodi e questi, a loro volta, in epoche, come sievince dallo schema che segue.

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Capitolo Primo10

Forme di vitacomparse Milioni di anni fa Ere Periodi Epoche

sulla Terra

Batteri Alghe da 3500 a 600 Archeozoica o ArcheanoSpugne Precambriana Algonchiano

Coralli e Felci da 600 a 220 Primaria o CambrianoPaleozoica Ordoviciano

SilurianoDevonianoCarboniferoPermiano

Sauri da 220 a 70 Secondaria o Triassico LiasInsetti Mesozoica Giurassico DoggerConifere Cretacico Malm

Pesci da 70 a 1 Terziaria o Paleogene PaleoceneFiori Cenozoica EoceneRettili OligoceneMammiferiUccelliAustralopithecus Neogene MioceneHomo habilis Pliocene

Homo sapiens da 1M di anni fa Quaternaria o PleistoceneHomo sapiens a oggi Neozoica Olocenesapiens

3. DALL’ETÀ DELLA PIETRA ALL’ETÀ DEI METALLI

La preistoria è stata suddivisa dagli studiosi in tre età principali:

— età della pietra;— età del bronzo;— età del ferro.

A) Età della pietra

L’età della pietra è stata divisa a sua volta in tre periodi:

1. Paleolitico (= della pietra antica), da 2,5 milioni fino alla fine dell’ulti-ma glaciazione circa 10 mila anni fa

2. Mesolitico (= della pietra di mezzo), fino alla nascita dell’agricolturaavvenuta circa 6 mila anni fa.

3. Neolitico (= della pietra nuova), fino all’abbandono della tecnologia dellapietra, che in alcune aree del mondo si verificò 5 mila anni fa.

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11La preistoria

La prima fase della preistoria coincide con il definitivo assestamentodella superficie terrestre. In questo periodo i primi ominidi sono soprattuttocacciatori e raccoglitori e si spostano da una regione all’altra in cerca dicibo (nomadismo). Costruiscono utensili rudimentali ricavandoli dalle selcie da ossa di animali. Solo successivamente apprendono la fabbricazionedella pietra scheggiata, che lavorano con altri materiali come il legno realiz-zando asce, scuri e altri strumenti di pietra, che fissano poi con giunchi eliane alla sommità di canne o di aste di legno.

Risalgono al Paleolitico la scoperta del fuoco e le prime manifestazioniiconiche, quali i disegni rupestri, i graffiti e le statuette di calcare.

Le glaciazioni dell’età paleolitica, dovute ad uno spostamento dell’assepolare, creano dei veri e propri «ponti continentali» sugli oceani e sui mari,collegando tra loro, temporaneamente, i continenti. Questi ponti vengonosommersi quando i ghiacci si ritirano. Durante l’ultima glaciazione, alcunigruppi provenienti dall’Asia, spinti dalla necessità di sopravvivere, si spo-stano dalla Siberia in Alaska attraverso lo stretto di Bering e rimangonoisolati nel nuovo continente quando i ghiacci si ritirano. Questi gruppi sonoprobabilmente gli antenati delle popolazioni «indiane» incontrate in Ameri-ca da Colombo e dagli altri esploratori.

Nel Mesolitico, lo scioglimento dei ghiacciai dopo le glaciazioni pro-voca l’innalzamento del livello del mare. La Terra si ricopre di acque e divegetazione acquatica e il clima più mite provoca un cambiamento nelpaesaggio e nella distribuzione della fauna, mutando le condizioni di ali-mentazione per i gruppi di umani. La nascita e l’affermarsi delle tecnicheagricole si deve probabilmente all’esigenza di diversificare le fonti di ali-mentazione per far fronte alle nuove sfide poste dal mondo post-glacia-zione. Il Mesolitico, i cui limiti cronologici sono piuttosto incerti, è unafase di transizione che dura finché il clima non si normalizza, permetten-do quella «rivoluzione agricola» che costituisce il punto di partenza del-la civiltà.

Il periodo più ricco di trasformazioni della preistoria è comunque l’etàneolitica o della pietra nuova, della pietra, cioè, non più scheggiata, malevigata. L’innovazione fondamentale di questo periodo è la nascita del-l’agricoltura, che segna il passaggio da un’economia di raccolta a un’eco-nomia produttiva. Alcune popolazioni nomadi si insediano stabilmente inprossimità delle zone di produzione del cibo: sorgono così i primi villaggi ele prime forme di vita sociale.

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Capitolo Primo12

La vita sedentaria permette lo sviluppo di una serie di attività connesseall’agricoltura, tra cui l’industria della ceramica, cioè la produzione dei vasidi argilla necessari alla cottura e alla conservazione dei prodotti della terra,e l’allevamento del bestiame. Si diffondono la filatura e la tessitura e l’uo-mo sostituisce le pelli di animali, che usava per difendersi dal freddo, con itessuti.

Nelle comunità dove la quantità di prodotti ricavati dall’agricoltura edall’allevamento supera il fabbisogno collettivo sorge il baratto, cioè loscambio di merci eccedenti con prodotti di cui la comunità ha bisogno.

Questa prima forma di commercio è praticata dapprima tra individui evillaggi vicini, e poi, grazie all’invenzione della ruota e del carro, anche traregioni distanti, mentre, con la costruzione delle prime barche, si sviluppa-no le comunicazioni fluviali e marittime.

La trasformazione della vita umana da un sistema nomade a unosedentario è più frequente dove le condizioni climatiche sono particolar-mente favorevoli a un’agricoltura produttiva. Gli stanziamenti delle comu-nità umane sono così più numerosi nel bacino del Mediterraneo e nelle fer-tili regioni della Mesopotamia. Qui nascono, infatti, le prime forme di civil-tà urbana. I villaggi più antichi sorgono in Medio Oriente e in Anatolia,mentre in Europa compaiono in un periodo più tardo. Nell’Italia meridiona-le si trovano reperti di villaggi trincerati, aree pianeggianti circondate dafossati scavati a scopo difensivo.

L’economia di villaggio modifica il rapporto tra uomo e ambiente: i bo-schi vengono abbattuti per far fronte alla richiesta di legname da costruzio-ne e per creare nuovi spazi all’agricoltura in espansione; scompaiono moltespecie di animali e inizia quella trasformazione accelerata dell’ambienteche si protrarrà con ritmo crescente fino ai nostri giorni, assumendo dimen-sioni preoccupanti.

B) L’Età del bronzo

L’ultima fase dell’età neolitica viene definita età calcolitica (età del ramee della pietra) ed è difficilmente separabile, dal punto di vista cronologico,dal contesto neolitico. La caratteristica di questo periodo è la lavorazionedel rame, che viene utilizzato come si trova in natura battendolo con stru-menti di pietra. Soltanto più tardi viene sperimentato il sistema di ricavarlodai minerali che lo contengono e di fonderlo per imprimergli, attraversostampi di materiali refrattari, le forme desiderate. In seguito l’uomo scopre

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13La preistoria

che, aggiungendo al rame una certa quantità di stagno, ottiene un metallomolto più resistente, il bronzo, che permette di realizzare strumenti comple-tamente nuovi: martelli, seghe, scalpelli, trapani etc.

Le tecniche di fabbricazione diventano però sempre più complesse, poi-ché, data l’assenza di qualsiasi strumento di misura, richiedono una lungaesperienza. La fabbricazione di armi e di utensili può essere eseguita perciòsoltanto da artigiani specializzati.

La nascita della metallurgia apporta cambiamenti profondi alla civiltà.Insieme all’oro e all’argento, il bronzo è utilizzato per la produzione di og-getti di lusso che costituiscono materia di scambio per i commerci. Sebbenel’invenzione della moneta coniata sia ancora lontana, i pezzi di metallo, aseconda del peso, cominciano a divenire il mezzo di valutazione per le altremerci.

Nell’età del bronzo si verificano ulteriori progressi anche nell’agricoltu-ra. Viene introdotto il sistema di rotazione delle colture per impedire l’im-poverimento del terreno e si inizia a far uso del cavallo e dell’asino.

L’aumento della popolazione, richiedendo una maggiore produttività,rende necessarie grandi opere di irrigazione e di canalizzazione. Ciò con-duce a una concentrazione degli insediamenti umani e alla divisione dellavoro.

Sorgono in questo periodo le prime grandi civiltà fluviali: in prossimitàdel Nilo, in Egitto; del Tigri e dell’Eufrate, in Mesopotamia; dell’Indo, nel-l’odierno Pakistan; dell’Huang-ho, nella Cina settentrionale.

C) L’Età del ferro

La scoperta del ferro, infine, rivoluziona il mondo preistorico determi-nando radicali trasformazioni in tutti gli aspetti della vita sociale. L’uso delferro è introdotto in Europa dall’Oriente, probabilmente in occasione diguerre. Sono gli Ittiti — antico popolo dell’Asia Minore — infatti, i primia conoscerne le tecniche di lavorazione e a trasmetterle agli altri popoli. Lascoperta del ferro consente la costruzione di armi migliori e di attrezzi piùresistenti e funzionali che danno un nuovo impulso alla produzione agrico-la.

L’età del ferro è caratterizzata da altre significative invenzioni: la lavo-razione del vetro, il diffondersi della ruota da vasaio, che rende più rapidala produzione del vasellame creando la prima industria «meccanizzata» del-l’umanità, la bardatura per i cavalli, la vela.

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Capitolo Primo14

4. IL PASSAGGIO DAL VILLAGGIO ALLA CITTÀ

Lo sviluppo della metallurgia, che viene applicata non solo all’agricol-tura, ma anche alla fabbricazione di armi e di oggetti di uso domestico, e laconseguente specializzazione delle arti e dei mestieri, produce una riorga-nizzazione territoriale, sociale e politica delle comunità umane che ha comerisultato la nascita delle città.

La città è diversa dal villaggio non solo per le dimensioni, ma soprattut-to per la differente organizzazione economico-politica. È un sistema dovenessuno è autosufficiente, ma dove il lavoro di ognuno è in funzione dell’in-tera collettività, secondo una struttura piramidale che comprende:

— il re, il quale ha la sovranità sulla città e sul suo territorio e concentranelle proprie mani il potere politico, economico e militare;

— i nobili, che stanno attorno al re, appartengono alle famiglie più illustri oalla stessa famiglia reale e sono alti funzionari dell’amministrazione,membri della casta sacerdotale, oppure occupano i gradi più elevati del-l’esercito;

— la classe intermedia formata dagli artigiani e dai commercianti, che vi-vono nella città, ma non hanno potere decisionale;

— gli addetti alla produzione di cibo, cioè gli agricoltori e gli allevatori,che si trovano alla base della piramide, i quali trattengono per la lorosussistenza una parte dei prodotti e devono consegnare il resto alla clas-se che vive nel palazzo.

I produttori continuano a vivere per lo più nei villaggi e sono esclusidalle questioni interne della città.

Un ultimo dato da evidenziare si riferisce al fatto che all’inizio dell’etàdei metalli compaiono pure le grandi costruzioni megalitiche (dal grecomegas che significa «grande» e lithos «pietra»), monumenti costruiti congrandi blocchi squadrati di pietra grezza.

Nell’Europa nord-occidentale sono diffusi i dolmen, così definiti daitermini bretoni doul (= tavola) e men (= pietra).

Fino alla metà del XIX secolo si riteneva che i dolmen fossero operadelle popolazioni celtiche. Soltanto alla fine del secolo gli archeologi stabi-lirono che si trattava di tombe destinate alla sepoltura collettiva e risalentialla fine del neolitico. I menhir — dal bretone men (= pietra) e hir (= lungo)— non erano invece monumenti funerari, pur avendo sicuramente un signi-ficato religioso. Sono massi monolitici, a forma di parallelepipedo oppure

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15La preistoria

cilindrici o conici, e di altezza variabile da due a dieci metri. Fa eccezione ilmenhir di Locmariaquer, in Francia, alto 20,5 metri. Sono caratteristici del-la Bretagna i gruppi di menhir allineati, mentre nelle isole britanniche sitrovano menhir disposti in cerchio (cromlech). Ve ne sono anche in Italia, inprovincia di Lecce, dove vengono chiamati pietrefitte, mentre si indicanocol nome di trulli le caratteristiche costruzioni cilindriche dal tetto a cono,anch’esse appartenenti ai monumenti megalitici, che si trovano numerosespecialmente ad Alberobello, in provincia di Bari.

Tavola cronologica

ca. 2,5 milioni - 10000 a.C.: Paleolitico: scoperta del fuoco; prime manifestazioni dell’arterupestre.

ca. 10000 - 6000 a.C.: Mesolitico: scioglimento dei ghiacciai; nascita delle prime.tecniche agricole.

ca. 6000 - 4000 a.C.: Neolitico: nascita dell’agricoltura (economia produttiva); pro-cesso di sedentarizzazione; diffusione della ceramica, dellafilatura e della tessitura; sviluppo dell’allevamento; uso delbaratto; invenzione della ruota.Ultimo periodo del Neolitico: Età del rame.

ca. 4000 - 1000 a.C.: Età del bronzo: si sviluppa la lavorazione dei metalli; nascitadelle grandi civiltà dell’Egitto, della Mesopotamia e dell’Egeo.

ca. 1000 a.C: Età del ferro: si passa dall’ambito della Preistoria a quellodella Storia.

GlossarioBaratto: è generalmente considerato come la prima forma storica di scambio commercialedi beni, molto anteriore alle forme di scambio monetario. Nel baratto il valore dei beni chesono oggetto dello scambio viene considerato equivalente fra le parti, senza ricorrere adun’unità di misura monetaria dei beni stessi. Il valore di equivalenza viene raggiunto attra-verso la considerazione qualitativa e quantitativa delle merci secondo l’accordo delle partiche per lo più si richiama a ragioni di reciproco fabbisogno. Con la lavorazione dei metalliman mano l’uso della moneta si è imposto nello scambio commerciale. Ritrovamenti ar-cheologici confermano che fin dal III millennio a.C. in Egitto e in alcune regioni orientali,pezzi di metallo (oro e argento) venivano usati come elementi di unità monetaria.

Primati: ordine di mammiferi adattati a una vita per lo più arboricola e secondariamenteterrestre, che presentano deambulazione bipede. Fanno parte dei primati tutte le scimmie,arboricole e antropomorfe, e l’uomo (l’unica specie che conduce vita al suolo con andaturabipede e stazione totalmente eretta).

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CAPITOLO SECONDO

GLI EGIZI

Sommario: 1. L’antico Egitto. - 2. I Tre Regni. - 3. La struttura sociale. - 4. La religio-ne. - 5. Le testimonianze della civiltà egizia.

1. L’ANTICO EGITTO

Tra le civiltà fluviali, quella egizia è la prima a essersi data una strutturapolitica stabile e unitaria. Alla fine del IV millennio a.C., infatti, quando nelVicino Oriente le regioni più progredite erano ancora organizzate in piccolecittà-stato, nella valle del Nilo nacque uno Stato accentrato fondato su unsaldo apparato burocratico.

Della civiltà egizia si conservano numerose testimonianze sotto formadi monumenti e documenti scritti. Nessun’altra civiltà ad essa coetanea ciha lasciato tracce altrettanto numerose della propria storia. Per questa ra-gione gli studiosi hanno avuto la possibilità di ricostruire il corso delle vi-cende di questo popolo con un ragionevole grado di sicurezza, sebbene lastoria dell’Egitto si dipani lungo un periodo di tempo di tremila anni.

I confini dell’Antico Egitto non differivano da quelli attuali: il Mediter-raneo a nord, il mar Rosso ad est e il deserto libico a sud e a ovest. Il Niloche attraversa il paese da sud a nord è sempre stata la maggiore fonte diricchezza del paese. Le sue acque, infatti, straripando a causa delle perio-diche piene, rendono fertili i terreni situati in prossimità delle sue rive. Comeaccade ancora oggi, le inondazioni del Nilo depositavano sul terreno unostrato di limo, sostanza fertilizzante ricca di minerali di alluminio, ferro,fosforo e potassio. La terra assume così una colorazione nerastra, da cuil’antico nome di Kemet ossia «terra nera» con il quale gli antichi popolidell’Egitto chiamavano la loro terra.

Gli Egiziani appartengono alla stirpe camitica, ma, nei frequenti contat-ti con le popolazioni semitiche, ne assimilarono molti caratteri.

Nella seconda metà del IV millennio il paese è diviso in due Statimonarchici: l’Alto Egitto a sud e il Basso Egitto a nord, fino al delta delNilo.

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L’unificazione sotto un unico re, avviene intorno al 3000 a.C. ad ope-ra di Menes, che stabilisce a Menfi la capitale del regno, punto di collega-mento fra i due regni preesistenti, sottolineando, così, la propria volontà diriconciliazione del paese.

La tradizione che fa di Menes il primo faraone risale a Manetone, sacerdote e storicovissuto tra la fine del IV e la prima metà del III secolo a.C. Manetone scrisse in greco, attingen-do a fonti locali, una storia dell’Egitto (Aigyptiaká) di cui ci sono giunti estratti in opere poste-riori (Giuseppe Flavio, Sesto Africano, Eusebio di Cesarea), nella quale disponeva i re egizi insuccessione ordinata, raggruppandoli per dinastie. All’inquadramento storico di Manetone sifa tutt’ora riferimento, così come è ancora valida la tradizionale scansione della storia egizia intre regni — Antico, Medio e Nuovo — intervallati da due periodi intermedi e seguiti dall’Epo-ca Tarda. Alle trenta dinastie è possibile aggiungerne altre tre contando il secondo periodopersiano, il periodo tolemaico e gli imperatori romani. Secondo Manetone, Menes diede vitaalla prima dinastia, formata da sette faraoni, e regnò per sessanta anni; sempre a lui lo storicogreco attribuisce la fondazione della città di Menfi, che sarà per molto tempo la capitale delregno. Altre fonti, tra cui la tavola di Abido e quella di Saqqara, la pietra di Palermo (docu-mento conservato nel capoluogo siciliano), il papiro reale di Torino ed una lista non completaincisa nella «Camera degli Antenati» di Thutmosi III a Karnak, concordano con le notizieriportate da Manetone. Secondo altre fonti, invece, tra cui una paletta per trucco ritrovata sulfinire dell’Ottocento nella città di Hierakompolis, a fondare la prima dinastia egizia e ad unifi-care il paese sarebbe stato Narmer. Alcuni studiosi identificano Narmer con Menes conside-randola la stessa persona, mentre altri sono propensi a credere che la figura di Menes sia piùvicina alla leggenda che alla verità storica e che sotto il suo nome si celi l’operato di piùsovrani, tra i quali Narmer.

Non sempre è stato possibile associare ai nomi forniti da Manetone un sovrano conosciutoattraverso altre fonti sia epigrafiche che archeologiche. Scarsamente affidabili sono le indica-zioni relative alla durata dei regni che risulta spesso sovrastimata: secondo Manetone le trentadinastie avrebbero governato l’Egitto per oltre 5.000 anni.

Dalla nascita dello Stato unitario fino alla conquista di Alessandro Ma-gno nel 332 a.C si succedono centinaia di sovrani per un totale di 31 dina-stie.

2. I TRE REGNI

La storia del regno egiziano è tradizionalmente divisa in tre grandi peri-odi, separati tra di loro da una fase di decadenza o di invasioni straniere.

A) Antico Regno

Viene chiamato Antico Regno (3000 - 2150 a.C.) il periodo compresotra l’unificazione dello Stato e la fine della VI dinastia, ricordato anchecome l’«età delle piramidi», perché le più imponenti piramidi egiziane

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vengono erette dai faraoni della IV dinastia, Cheope, Chefren e Micerino aGiza. Allo stesso periodo risale anche la costruzione dell’imponente Sfinge.

Sono questi secoli di prosperità durante i quali l’Egitto allaccia rappor-ti commerciali soprattutto con i popoli confinanti: i Nubi a sud, contro iquali, però, si organizzarono anche spedizioni militari per espandere i con-fini del regno, e i Libi a occidente.

Nella concezione del potere che si afferma e si rafforza durante l’AnticoRegno il faraone è figlio di Ra, il dio-sole di Eliopoli e adorato egli stessicome divinità. A lui spetta il compito di conservare l’ordine cosmico e in luisi accentrano tutti i poteri.

Alla fine dell’Antico Regno, l’Egitto attraversa un periodo molto tor-mentato. Il largo impiego nelle opere pubbliche di manodopera sottrattaall’agricoltura contribuisce ad aggravare una crisi economica dovuta alleinsufficienti inondazioni del Nilo, mentre nelle province lo strapotere deigovernatori determina una situazione di anarchia feudale. Il secolo e mezzodi disordini che travaglia l’Antico Egitto viene definito dagli storici «primoperiodo intermedio» (2150-2040 a.C.).

Nonostante la situazione politica molto conflittuale e incerta, questomomento della storia dell’Egitto è caratterizzato da un deciso rinnovamentointellettuale, che, probabilmente, si deve proprio alla debolezza del poteredel faraone.

Le opere letterarie dell’epoca, generalmente improntate a un amaro pessimismo, ci resti-tuiscono l’immagine di un mondo che ha perso il proprio centro. In un cosmo privo di punti diriferimento gli uomini si interrogano sul proprio posto nel mondo e sul proprio destino dopo lamorte, e nasce l’idea di un giudizio individuale con il quale il defunto dovrà rendere conto delproprio operato di fronte alla dea Maat, la divinità dell’equilibrio cosmico, dell’ordine e dellagiustizia.

B) Medio Regno

Alla situazione di disordine politico del «primo periodo intermedio»mettono fine i prìncipi di Tebe che ristabiliscono gradualmente un’unicasovranità su tutto il regno. La capitale viene trasferita a Tebe e ha così inizioil Medio Regno (o «periodo tebano»), collocabile tra il 2040 e il 1750 a.C.circa, che segna una fase di ripresa economica e politica, soprattutto gra-zie all’abilità di governo dei re della XII dinastia. Il controllo dei funzionariregi sulle varie zone del paese diventa meno rigido e viene raggiunta unanotevole espansione commerciale interna, mentre il commercio estero ri-mane monopolio del faraone. Si importano dai paesi del Vicino Oriente

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generi di lusso, come il legname di cedro dal Libano, il rame dal Sinai el’oro dalla Nubia.

Vengono realizzate in questo periodo grandiose opere idrauliche per rego-lare il corso del Nilo e conquistare nuove terre all’agricoltura; la più impor-tante fu la realizzazione di un grande serbatoio chiamato Lago di Meride.

Il controllo sulla Nubia, perduto durante i decenni di crisi, viene ristabi-lito da Sesostris I, il più grande faraone del Medio Regno, promotore anchedi una riforma amministrativa che risana il bilancio statale.

Nell’ultima fase del Medio Regno si assiste alla decadenza del poterecentrale e alla costituzione di vari regni indipendenti. La crisi politico-so-ciale («secondo periodo intermedio» dal 1750 al 1540 a.C.) contribuisceindubbiamente a favorire l’invasione degli Hyksos, un popolo di predoni distirpe semitica. Gli invasori assunsero il dominio diretto del Basso Egitto eassoggettarono parzialmente l’Alto Egitto. Tuttavia, non sembra che la do-minazione hyksos sia stata particolarmente dura per le popolazioni egizia-ne. Dalle testimonianze che sono giunte fino a noi, si può anzi dedurre che,sul piano amministrativo, i nuovi regnanti adottarono in toto le strutturepreesistenti e le affidarono molto spesso a funzionari egiziani. Dimostraro-no la stessa accortezza sul piano religioso e culturale: non vollero, infatti,estirpare i culti e le tradizioni autoctone, pur non rinunciando alla propriaidentità. Si deve, inoltre, agli Hyksos l’introduzione in Egitto del cavallo edel carro da guerra, fino ad allora sconosciuti. Nel corso della loro perma-nenza nel paese, vi si stanziarono anche gli Ebrei.

C) Nuovo Regno

Sono ancora una volta i principi di Tebe i fautori della ripresa egiziana:essi cacciarono gli Hyksos e avviarono un periodo di espansione durante ilquale la potenza egiziana giunse all’apogeo (Nuovo Regno: 1540 - 1070a.C.) con l’assoggettamento della Fenicia, della Palestina e della Siria adopera del faraone Tutmosi III.

Vengono eretti in questo periodo i templi di Luxor e Karnak e le monu-mentali costruzioni funerarie della Valle dei re.

Le dinastie del Nuovo Regno dovettero fronteggiare il potere dei sacer-doti di Amon di Tebe che, avendo acquisito grandi ricchezze e influenza,minavano l’autorità degli stessi faraoni. Ma dovettero affrontare anche nuo-ve popolazioni e imperi — in particolare gli Ittiti e gli Assiri — che minac-ciavano dall’esterno i confini del regno.

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Durante l’ultimo millennio della sua lunga storia l’Egitto subì altre in-vasioni: degli Assiri (670 a.C.) dei Persiani (525 a.C.), dei Macedoni (332a.C.) e infine dei Romani (30 a.C.).

3. LA STRUTTURA SOCIALE

Sin dai tempi più antichi il paese fu diviso in distretti amministrativi oprovince, chiamati dai Greci «nomi». Ognuno di essi aveva una sua capitalee un tempio dedicato alle divinità locali.

Il potere assoluto era nelle mani del faraone, che lo esercitava nelle pro-vince per mezzo di governatori con un’organizzazione fortemente accen-trata.

Il rango più elevato tra i funzionari è quello che gli studiosi, usando untermine turco, chiamano visir. Fino alla XVIII dinastia vi è un unico visir intutto l’Egitto, ma in seguito questa carica viene ricoperta da due ammini-stratori, uno nel sud e l’altro nel nord del regno. Le competenze del visirsono molte: usando una terminologia moderna possiamo dire che egli èministro della guerra, degli interni, dell’agricoltura e di grazia e giustizia.

Funzionari e amministratori locali hanno un ruolo fondamentale nellavita del regno. Numerose testimonianze ci sono rimaste anche di abusi com-messi da questi ultimi nei confronti di sudditi di bassa condizione sociale.Ma sono gli stessi faraoni a emanare provvedimenti per proteggere i cittadi-ni di tutte le classi sociali dalle prepotenze di funzionari e soldati.

Del resto la difesa dell’ordine e della giustizia, anche nella forma di equità nei confrontidegli umili, era prerogativa principale del faraone. E non solo del faraone, a giudicare da quan-to scritto nei papiri del cosiddetto Libro dei morti, raccolta di testi di epoche diverse nei qualicompaiono in geroglifico formule magiche, inni e preghiere che dovevano accompagnare ildefunto nel suo viaggio nell’aldilà. Nel Libro dei morti viene illustrata l’idea di un giudizio cheattende tutti i defunti, per i quali costituirà titolo di merito non aver compiuto «iniquità inveceche giustizia», non aver sopportato di vedere il male, e non essersi accanito contro il povero.

In Egitto esisteva un diritto alla proprietà privata della terra, attesta-to da documenti che sono la base anche di eventuali passaggi di proprietà.Tuttavia si tratta di un diritto che aveva precisi limiti: la grande proprie-tà fondiaria, per esempio, non poteva superare i 100 ettari di estensione.

Generalmente si pensa a quella egiziana come ad una società rigidamen-te organizzata in caste separate, ossia priva di meccanismi di promozionesociale e di eguaglianza di diritti. In realtà, almeno per tutto l’Antico Regnonon era necessario appartenere ad una particolare classe sociale per diventa-

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re funzionari. Ed è vero in generale che, nel corso di tutta la millenariastoria della civiltà egizia, i faraoni hanno dovuto combattere la tendenzadi funzionari locali e sacerdoti a considerare il potere che esercitavanoe i benefici di cui godevano come ereditari.

Per esempio i monarchi della XVIII dinastia non solo abolirono i privi-legi di nobiltà e sacerdozio, ma fecero in modo che i funzionari venisseroscelti fra i migliori di ogni classe sociale e che i titoli nobiliari non fosseroereditari.

È solo con la fine del Nuovo Regno che il sistema delle classi socialidiventa rigido: si assiste al progressivo consolidarsi del potere e dei privile-gi dei nobili locali e dei templi e al peggioramento della condizione dei cetipiù poveri.

A parte funzionari e clero, la società egiziana era composta da artigiani,soldati, contadini e operai, e servi.

Gli artigiani erano orefici, ebanisti, tessitori, tintori e, soprattutto nellecittà del delta del Nilo, marinai che esercitavano il commercio con le piùvicine isole del Mediterraneo. Erano liberi cittadini che svolgevano il lorolavoro per le classi più ricche e partecipavano, anche se marginalmente, delloro benessere.

A giudicare dai documenti che ci sono pervenuti, la condizione dei mi-litari non era invece particolarmente invidiabile a causa della rigida disci-plina che veniva loro imposta. Sappiamo che l’Egitto aveva un esercito per-manente e che vigeva l’obbligo del servizio militare per i giovani. Moltimercenari stranieri militavano nelle armate del faraone, soprattutto comearcieri. Vi era anche un corpo di fanteria e, dopo che gli Hyksos introdusse-ro l’uso dei cavalli, i giovani di famiglia ricca venivano impiegati alla guidadei carri da guerra.

I contadini lavoravano per i privati, nelle terre del faraone o nelleterre appartenenti ai templi. In qualche caso potevano anche prendere inaffitto un terreno ed essere proprietari di qualche capo di bestiame. I lorocompiti erano scrupolosamente elencati in un vero e proprio contratto dilavoro depositato in un ufficio statale. Qualora i datori di lavoro non avesse-ro rispettato le clausole contrattuali potevano essere citati in giudizio neitribunali locali. Ogni anno, durante le piene del Nilo, i contadini che abita-vano le rive del fiume venivano convocati presso la «Grande Casa» (così gliEgiziani chiamano il palazzo reale) per lavorare nei cantieri delle piramidi,dei templi, e delle statue colossali.

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Più in basso di contadini e operai, addetti questi ultimi alle cave e alleminiere, nella scala sociale erano i servi, uomini e donne di proprietà delre, dei templi o dei privati. Gli uomini erano generalmente destinati allacoltivazione dei campi, le donne alla cura della casa. Per quello che si sa, leloro condizioni di vita non erano miserabili e si sono conservate testimo-nianze di decreti reali che, durante l’Antico Regno, proteggevano i servi chelavoravano nei templi.

Grande importanza nel sistema sociale rivestivano invece gli scribi, cheaffiancavano i funzionari nella contabilità e nella gestione degli affari. Gliscribi apprendevano fin dall’infanzia la complessa scrittura geroglifica, ilcalcolo, le mansioni amministrative e avevano il compito — necessario inuna società dove tutto è diretto dall’alto — di calcolare, inventariare e regi-strare le merci contenute nei magazzini.

Durante l’Antico Regno l’arte della scrittura veniva tramandata di padre in figlio: era,infatti, lo scriba a fare personalmente da maestro al proprio figlio. A partire dal Medio Regno,in alcune città nacquero le prime scuole degli scribi chiamate «case della vita» alle quali ibambini potevano accedervi all’età di quattro anni. Gli aspiranti scribi imparavano a leggere ea scrivere ripetendo a memoria, sotto la guida del maestro, i testi che servivano da manuali.Inizialmente scrivevano su frammenti di calce o ceramica, o di legno ricoperto di gesso, dalmomento che il papiro era un materiale molto costoso. L’apprendistato finiva verso i dodicianni e lo scriba oltre a saper scrivere doveva anche conoscere le leggi e avere nozioni di aritme-tica per calcolare le tasse. I sacrifici cui erano sottoposti i giovani per diventare scribi eranocompensati da un’invidiabile posizione sociale, basata sulla consapevolezza del potere checonferisce il «sapere», paragonabile solo a quello che l’arte della magia dà ai sacerdoti. L’im-portanza fondamentale di questa casta è dimostrata dal fatto che essa aveva una propria divini-tà tutelatrice: il dio Thot. Questi, rappresentato sia come babbuino che come ibis, era ritenutoinventore della scrittura e del calendario.

4. LA RELIGIONE

A) L’adorazione degli animali

Nella società egiziana la religione ha una grande importanza e condi-ziona tutta la vita del paese: dall’agricoltura, che è regolata dalle piene delNilo, alle questioni politiche, dove l’autorità suprema, il faraone, ha essen-za divina. I sacerdoti hanno un potere enorme nella società e spesso hannoinfluenza sullo stesso sovrano.

Nella fase preistorica della loro civiltà gli Egizi, come tutti i popoli pri-mitivi, adoravano la forza della natura e gli animali che vivevano nel bacinodel Nilo. Il culto del bue Api e della vacca Athor risale a questo periodo. La

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religione degli Egizi aveva, dunque, carattere «teriomorfico» (dal greco te-rion che significa «bestia»): accanto agli dèi che avevano sembianze uma-ne, vi erano divinità animali.

Il culto dell’animale sacro nasce in età primitiva, quando le comunità umane non hannoancora scoperto l’agricoltura e vivono di caccia e di raccolta. A questa fase della preistoriaappartengono i graffiti, che rappresentano animali, ritrovati sulle pareti delle caverne in locali-tà diverse. Disegnandone l’effigie sulla roccia o indossando le pelli dell’animale, il cacciatoredel Paleolitico credeva di appropriarsi così della sua forza, della sua velocità o del suo corag-gio. Questa credenza va scomparendo col passaggio dal nomadismo alla vita sedentaria e allacostituzione di società urbane, ma presso alcuni popoli sopravvive, anche se in forme diverse.

Nella società egizia la divinizzazione dell’animale, soprattutto a livellolocale, persiste anche dopo la rivoluzione agricola, quando la sopravviven-za umana non è più affidata solo alla caccia. La popolazione del Nilo con-serva queste antiche usanze e continua a imbalsamare i defunti e a conser-varli avvolti in pelli di bufalo, perché la forza dell’animale si trasmetta alKa, al fluido vitale dell’uomo, anche dopo la morte.

B) Il mito di Osiride

Mentre il culto degli animali sacri sopravvive anche in epoca più tarda,la divinizzazione dei fenomeni naturali viene personificata nella figura diOsiride che simboleggia la fertilità della Terra. Il faraone è considerato ap-punto il figlio di Osiride e della sua sorella-sposa, Iside. Egli si identificaperò anche con Ra, la divinità che rappresenta il Sole.

Secondo il mito, Gheb, dio della Terra, e Nut, dea del cielo, generarono Osiride, Seth,Iside e Neftis. Il trono andò ad Osiride e Iside dai quali nacque Horus. Osiride insegnò agliEgiziani a coltivare la terra, a lavorare i metalli e a vivere in pace.

Un giorno Osiride partì per portare la civiltà anche nel resto del mondo e, durante la suaassenza, lasciò la reggenza a Iside. Il fratello Seth, però, escluso dal trono, ordì continui ingan-ni per vendicarsi. Quando Osiride tornò dal suo viaggio Seth gli tese un tranello: lo rinchiuse inuna bara e lo abbandonò alle acque del Nilo. Dopo lunghe peripezie, Iside riuscì a recuperareil corpo del marito, si trasformò in falco e, agitando su di lui le ali, cercò di ridargli il soffiodella vita. Seth trovò il corpo di Osiride e lo tagliò in quattordici parti che sparse per tuttol’Egitto. Iside tornò a cercare i resti del marito e dopo immense fatiche riuscì a ricomporli. Conl’aiuto del dio Anubi, guardiano dei morti, imbalsamò il corpo e confezionò così la primamummia. Da allora Osiride governò il regno dei morti.

Nel periodo dinastico, quando nasce la società urbana, si assiste ad unaantropomorfizzazione della divinità: l’animale-Dio viene sostituito dal«capo» inteso come punto di riferimento simbolico della religiosità del po-

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polo. L’intera comunità si identifica nel faraone: il suo Ka diventa il Kadell’Egitto. La piramide, la tomba del faraone, è la casa del Ka, come la«Grande Casa» lo era quando il sovrano era ancora in vita.

C) L’immortalità e il giudizio divino

La morte non era considerata dagli Egizi come un’estinzione definitivadell’uomo: essi, infatti, credevano nella vita ultraterrena e gli stessi riti fu-nebri erano concepiti in virtù di questa credenza. Per ottenere la vita dopo lamorte, il Ka aveva necessità che il corpo del defunto fosse intatto: la mum-mificazione dunque serviva affinché il corpo fosse preservato dal disfaci-mento e la forza vitale potesse rientrarvi.

Il procedimento conservativo consisteva nell’asportare i visceri, ad eccezione del cuore eddei reni, che venivano avvolti in bende e conservati in quattro vasi, detti canopi. Il cadaveredopo essere stato trattato con balsami profumati e ingredienti vari, veniva avvolto in bende edeposto nel sarcofago, solitamente antropomorfo e fatto di legno o di pietra. Subito dopo ini-ziava la processione verso la tomba. Cibi, oggetti preziosi, armi circondavano la mummiaposta nel sarcofago perché il Ka, rientrando nel corpo, potesse godere di ciò che il popolo glioffriva e a tal scopo il sacerdote prima della chiusura della tomba procedeva al rito dell’apertu-ra della bocca del defunto. Anche il Libro dei morti veniva collocato di solito all’interno delletombe e talvolta fra le bende che fasciavano la mummia.

Il defunto iniziava il suo lungo viaggio nel mondo dell’oltretomba gui-dato da Anubi. Condotto nella Sala delle due Verità, egli doveva compariredavanti al tribunale di Osiride per conoscere la sua sorte futura. Davanti aldio e a quarantadue giudici il suo cuore veniva pesato insieme alla «piumadella verità» su una bilancia posta sotto il controllo del dio Thot, scribasupremo. Se il cuore era più pesante della piuma, simbolo della giustizia, ildefunto veniva dato in pasto ad un mostro dal corpo metà leonessa e metàippopotamo, chiamato Amit. In caso contrario, era ammesso nel regno diOsiride.

Con questa concezione dell’aldilà per la prima volta si afferma nellastoria dell’uomo la credenza per la quale la vita eterna dei defunti dipendedalla loro condotta terrena.

D) Il culto del dio Sole

A partire dalla XII dinastia viene introdotto il culto di Amon cherappresenta la fase più evoluta della religiosità nilotica, in quanto si tratta diuna specie di semi-monoteismo. Pur conservando i culti teriomorfici e na-turalistici, gli Egizi pongono Amon al punto più alto della gerarchia religio-

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sa ufficiale e ne fanno il sommo dio del pantheon tanto da essere assimilatoal dio del Sole, Ra, con il nome di Amon-Ra.

Nel XIV secolo a.C. il faraone Amenofi IV, preoccupato dell’eccessivapotenza raggiunta dai sacerdoti di Amon-Ra, tentò di sostituire il culto diquest’ultima divinità con quello del dio, Aton, simboleggiato da un discosolare. Egli stesso cambiò il suo nome da Amenophis (il cui significato era«pace di Amon») in Akhenaton (che significava «Aton è soddisfatto»). Lanuova religione, che metteva in crisi l’ordine sociale stabilito, fondato sulculto di Amon, ebbe però vita breve. Alla morte di Akhenaton, il nuovofaraone, Tutankhamon, ripristinò il culto di Amon-Ra.

Alla religione ufficiale si affiancano però sia una religiosità popolare che dava valore asuperstizioni e rituali «magici», sia una religiosità delle èlites intellettuali, che non ha nulla disuperstizioso, ma anzi è alla base di profonde riflessioni sulla morale, sull’onnipotenza divinae sul destino dell’uomo, di cui ci rimangono testimonianze risalenti già all’Antico Regno.

5. LE TESTIMONIANZE DELLA CIVILTÀ EGIZIA

A) La scrittura

In ambito culturale, gli Egizi forniscono un contributo notevole allo svi-luppo della scrittura.

Accanto alla pittografia, che nasce in Mesopotamia, la prima forma discrittura è l’ideografia, che si sviluppa contemporaneamente, verso il terzomillennio a.C., in diversi centri di civiltà: in Cina come nell’impero deiMaya. La pittografia associava a ogni simbolo la rappresentazione di unoggetto reale, mentre l’ideografia estese questa funzione anche alle idee percui il segno non era più solo la rappresentazione di cose, ma anche di con-cetti. Nell’antico Egitto la scrittura geroglifica (il termine geroglifico deri-va dalla parola greca iJerogliuvf" che significa «segno sacro») sintetizzòentrambi questi due sistemi di scrittura e ad essi aggiunse l’elemento fone-tico: ogni segno, dunque, assolveva a tre funzioni diverse come pitto-gramma, ideogramma e fonogramma.

Gli Egizi appresero probabilmente dai Sumeri la scrittura pittografica e crearono un siste-ma di segni per rappresentare tutti gli oggetti della loro civiltà corrispondenti ai disegni stiliz-zati di animali, figure umane, armi, strumenti, costruzioni etc. Con il passare del tempo questascrittura acquistò un carattere sempre più simbolico e il segno corrispondente a un oggettorimase a indicare non più l’oggetto, ma il suono pronunciato. Ad esempio, il disegno stilizzatodella mano passò, con l’uso, a indicare la lettera «d», perché questa lettera predominava nellaparola che corrispondeva a quel segno.

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Scrivere nell’antico Egitto era un’operazione complicata, perché com-portava la conoscenza di almeno 2.000 segni e richiedeva una grandeabilità grafica. Quando compare la scrittura, si crea così una frattura traquanti sono in grado di esprimersi tracciando segni sulle tavolette di argilla— e più tardi, sui papiri — e quanti sanno comunicare solo verbalmente.Gli scribi godono di grande prestigio nella società egiziana: sono funzionaridel faraone oppure sacerdoti e sono impiegati come capimastri nei cantieri,ufficiali dell’esercito, segretari amministrativi. Non devono prestare lavorogratuitamente come i sudditi più umili e ignorano la fatica fisica. Vivono astretto contatto con la classe dirigente e ne dividono i privilegi e il benessereoffrendo in cambio la propria cultura.

Nel mondo antico i materiali scrittori più usati erano le tavolette di argilla che venivanocotte dopo essere state incise con segni grafici. Presto, però, si rese necessaria l’adozione di unsupporto scrittorio che, accanto alle caratteristiche di durevolezza delle tavolette di argilla,presentasse anche maggiore flessibilità. Gli Egizi utilizzarono a questo scopo la corteccia delpapiro, una pianta dal fusto altissimo (da otto a dieci metri), con foglie a forma di ombrello,molto diffusa nelle zone paludose. La pianta del papiro, infatti, cresce abbondantemente sullerive del delta del Nilo. Dal suo stelo gli Egizi ricavavano delle sottili strisce che venivanodisposte l’una accanto all’altra in uno strato e poi erano coperte con un altro strato perpendico-lare al primo. Dopo averle essiccate al sole se ne ricavava una carta (chiamata con terminegreco khartès) che veniva avvolta intorno a un’assicella a formare il rotolo.

Col trascorrere del tempo, il papiro tende a dissolversi a causa dell’umidità, ma ciò nonaccade nel clima desertico delle regioni dove nacque la civiltà egiziana. Ecco perché, dopomigliaia di anni, possiamo conoscere notizie della storia e della cultura degli Egizi, mentre ilclima umido di altri paesi ha dissolto per sempre le più antiche fonti scritte della loro civiltà.

La decifrazione della scrittura egizia è stato un fattore determinante perla conoscenza della civiltà del Nilo. Fu il francese Jean François Champol-lion a chiarire il mistero della scrittura geroglifica eseguendo accurati studisulla stele di Rosetta, lastra in granito scuro che conteneva un testo redattoin lingua egizia e in greco, ritrovata nel 1799 presso la città portuale diRosetta, l’attuale Rashid. L’iscrizione in lingua egizia presentava sia la ver-sione in geroglifico che quella in demotico, una scrittura introdotta nel VIIsecolo a.C. come semplificazione di quella geroglifica e che era di uso co-mune.

Nel 1798 Napoleone condusse una spedizione in Egitto con lo scopo di annettere allaFrancia la Valle del Nilo colpendo il predominio britannico nel Mar Mediterraneo. La spedi-zione fu un disastro dal punto di vista politico e militare, ma segnò un momento fondamentalenella storia dell’egittologia. Le navi francesi non portarono in Egitto soltanto soldati, ma anche

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un buon numero di scienziati, ricercatori e studiosi. Il 17 luglio 1799 fu annunciata da alcunisoldati la scoperta a Rosetta di «iscrizioni che parevano di notevole interesse». Quando nel1801 i francesi furono costretti ad arrendersi agli inglesi, nacque una disputa sui reperti rinve-nuti dai primi: questi intendevano tenerli, mentre gli inglesi si opposero considerandoli il lorobottino. I francesi dovettero consegnare la stele ai vincitori, ma fu concesso loro di tenerne leriproduzioni. La stele nel 1802 fu conservata al British Museum dove ancora oggi è esposta.Basandosi sulle riproduzioni della stele, Champollion cominciò a studiare a fondo il copto, cheera la lingua nazionale dell’Egitto a partire dalla conversione del paese al Cristianesimo (IIIsecolo d.C.), convinto che fosse la chiave di lettura per sciogliere l’enigma delle lingue egizia-ne più antiche. Facendo il calcolo dei segni geroglifici, demotici e greci contenuti nella stelearrivò alla conclusione che la scrittura geroglifica non poteva essere puramente ideografica —in quel caso il numero dei segni sarebbe stato maggiore — ma i suoi segni dovevano avereanche un valore fonetico. Nel 1822 mettendo a confronto un cartiglio nel quale era stato iden-tificato il nome dell’imperatore Ptolemaios, cioè Tolomeo, e un’iscrizione incisa su un obeli-sco eretto in onore di Cleopatra in cui il nome della regina era scritto in geroglifico e in greco,ottenne la lettura di undici segni. Champollion continuò i suoi studi intraprendendo un esamecomparativo di tutti i nomi e titoli regali attraverso cui individuò altri segni. Per le sue scoperteChampollion fu nominato prima direttore della sezione di egittologia del Museo di Louvre esuccessivamente nel 1831 gli fu offerta la cattedra di egittologia all’Università di Parigi, mal’anno dopo morì a quarantun’anni.

B) L’architettura

La più imponente testimonianza del genio artistico degli Egizi è rappre-sentata senza dubbio dalle piramidi.

La piramide è la struttura architettonica caratteristica delle tombe realidell’Antico e del Medio Regno. Al suo interno veniva garantita la vita delsovrano nell’oltretomba; nelle vicinanze sorgevano a volte anche un tempioe altre costruzioni religiose. L’edificio racchiudeva la camera funeraria (tal-volta sotterranea), dove veniva deposta la mummia del faraone.

Le piramidi dimostrano che gli Egizi possedevano una tecnica costrutti-va di alto livello, tenuto conto della mancanza di attrezzi in ferro e di mac-chine per il sollevamento: gli strumenti erano in pietra e i blocchi da costru-zione, del peso di molte tonnellate, erano trascinati su scivoli e terrapieni, intempi molto lunghi e con impiego di un elevatissimo numero di uomini eanimali da tiro.

Molte delle imponenti costruzioni tombali dei faraoni si possono an-cora ammirare nella valle del Nilo. Le più antiche hanno una struttura agradoni.

Nella fase considerata «classica» della civiltà egiziana, tra la IV e la Vdinastia, furono erette le piramidi più grandiose: quella di Cheope, a Giza,

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Capitolo Secondo28

la più alta, raggiunge i 147 metri. La forma di questi edifici funebri, tenden-te verso l’alto, e la loro ubicazione, orientata secondo i quattro punti cardi-nali, rispecchiano il carattere divino attribuito al faraone e la tendenza acontrapporre la regalità della tomba del sovrano alla semplicità di quella deisudditi.

Per la costruzione della piramide, che sarebbe stato il suo monumento funerario, il faraoneappena salito al trono impiegava ingenti ricchezze e utilizzava la manodopera di un esercito dicontadini sottratti ai lavori agricoli. La costruzione iniziava mettendo allo scoperto lo spessozoccolo di pietra situato sotto la sabbia del deserto e tracciando un grande quadrato di circa260 metri di lato. Si scavava poi nella roccia una galleria che terminava in una grande cavitàsotterranea. In questo locale, che ospitava la mummia del faraone, veniva collocato un enormesarcofago di granito. Si ricopriva, poi, la cripta con grandi blocchi squadrati di calcare. Ognu-no di questi pesava circa due tonnellate e mezzo: nella piramide di Cheope ne furono impiegati2.300.000 per riempire i 123 strati che intercorrono tra il basamento e la vetta. Al suo interno lacostruzione si articola in una rete di corridoi e gallerie e i muri trasversali hanno la funzione dicontenere il materiale di riempimento.

Dopo una fase di crescita delle dimensioni del monumento, culminatacon la piramide di Cheope, l’uso di erigere questo tipo di costruzioni pro-seguì ancora per secoli, ma con forme decisamente ridotte, ed influenzòanche culture limitrofe. La costruzione dei grandi monumenti fu abban-donata dai faraoni dell’ultima dinastia: forse la minaccia sempre più fre-quente dei saccheggiatori di tombe diffuse l’uso di far innalzare edificifunebri meno appariscenti. Le ultime piramidi egizie innalzare furono quellerinvenute nel regno di Meroe, sulla riva orientale del Nilo, attribuibili al Imillennio a.C.

Tavola cronologica

ca. 3200 a.C.: Formazione dei due regni dell’Alto e Basso Egitto.ca. 3000 a.C.: Unificazione dell’Alto e Basso Egitto.ca. 3000 - 2150 a.C.: Regno Antico.

Costruzione delle piramidi di Giza durante la IV dinastia.ca. 2150 - 2040 a.C: Primo periodo intermedio.ca. 2040 - 1750 a.C.: Regno Medio.ca. 1750 - 1540 a.C.: Secondo periodo intermedio e invasione degli Hyksos.ca. 1540 - 1070 a.C.: Regno Nuovo.

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GlossarioFaraone: il termine, che deriva dal greco pharaò, significa grande «grande casa» e inorigine era usato in Egitto per designare il palazzo reale. L’adozione di questo termineriferito alla persona del re si affermò con la XXII dinastia. Il suo uso è divenuto comune perindicare i sovrani egizi attraverso Erodoto e altri storici greci, le cui opere, prima dellariscoperta archeologica, erano le uniche a conservare memoria della civiltà egizia.

Ka: per gli Egizi il ka era l’energia vitale o spirito destinato a continuare dopo la morte.Inizialmente il ka era un «doppio» della persona vivente, ma diventava indipendente dopola morte quando, ricevendo offerte funerarie veniva assicurata la sopravvivenza del defun-to. Il ka veniva rappresentato come una figura umana con le braccia alzate sopra la testa e ipalmi delle mani alla fronte. I sacerdoti che si occupavano dell’approvvigionamento e dellamanutenzione della tomba del defunto erano conosciuti come «sacerdoti di ka», e la tombastessa, che era considerata la casa del defunto dopo la morte, era chiamata «casa del ka».

Scritture egiziane: il termine geroglifico fu usato per la prima volta da Clemente di Ales-sandria, studioso greco del II secolo d.C. Tale sistema di scrittura è attestato principalmentesui monumenti, mentre su altri supporti come ad esempio i papiri si sono sviluppate formedi scrittura più semplici che hanno finito con l’abbandonare le rappresentazioni dell’imma-gine per assomigliare sempre più ai nostri segni di scrittura corsiva. La scrittura più anticaè quella chiamata ieratica, che a partire dal VII sec. a.C. viene sostituita dalla cosiddettademotica, una scrittura ancora più corsiva, nella quale non è più possibile risalire ai disegnie alle rappresentazioni della scrittura geroglifica.

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CAPITOLO TERZO

LE CIVILTÀ MESOPOTAMICHE

Sommario: 1. La Mesopotamia: «terra tra i fiumi». - 2. I Sumeri. - 3. Gli Accadi. - 4.L’impero di Hammurabi. - 5. Gli Assiri. - 6. Il secondo impero babilonese. - 7. La cittàdi Ebla.

1. LA MESOPOTAMIA: «TERRA TRA I FIUMI»

A) Crocevia di popoli

La regione mesopotamica è formata dal corno orientale della cosiddettaMezzaluna fertile (cfr. cap. 1), che dalla valle del Nilo si estende lungo laregione siro-palestinese fino al Golfo Persico. Delimitata a est dai montidell’Armenia e compresa tra il corso del fiume Tigri e quello dell’Eufrate,la terra in cui nacquero alcune tra le più significative civiltà del Mediterra-neo corrisponde pressappoco all’odierno Iraq. Furono i Greci a chiamarequesta zona Mesopotamia, ossia «terra tra i fiumi». Per un lungo tratto,infatti, il Tigri e l’Eufrate scorrono paralleli; anticamente si gettavano nelleacque del Golfo Persico con foci distinte, ma, col tempo, l’azione di deposi-to di materiali alluvionali ha dato vita alla regione paludosa dello Shatt-el-Arab e i due fiumi hanno unito il proprio percorso.

Fin dai tempi più remoti si sono alternati nella regione popoli diversi,provenienti soprattutto dalle zone desertiche dell’Arabia e dell’Altopianoiranico. Le cause di questo continuo stanziamento di popoli vanno ricercatesoprattutto nelle caratteristiche fisiche della regione: la mancanza di confininaturali e la fertilità del suolo dovuta alle periodiche piene dei due fiumisono le cause principali dell’insediamento di genti diverse, che, tuttavia,hanno dato origine a civiltà piuttosto omogenee.

Anticamente, il territorio compreso tra l’odierna capitale dell’Iraq, Ba-ghdad, e il Golfo Persico comprendeva la Terra di Sumer e la Terra diAccad. Più tardi tutta la Bassa Mesopotamia venne indicata con il nome diCaldea o Babilonia.

Nella valle del Tigri, invece, gli Assiri fondarono la loro capitale, Assur.

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31Le civiltà mesopotamiche

All’incremento demografico della Mesopotamia contribuisce l’immigrazione di altre tri-bù dai deserti occidentali, come gli Amorriti, i Gutei e gli Elamiti. Questi popoli semitici, chehanno in comune l’etnia, la lingua e la religione, fondano le loro civiltà adottando le formeorganizzative dei Sumeri, i primi abitatori della regione mesopotamica che abbiano datoorigine a una civiltà urbana.

B) Scoperte archeologiche

Fino al XIX secolo della civiltà mesopotamica non si conosceva quasinulla. È uno studioso italiano al servizio della Francia, Paolo Emilio Bot-ta, a iniziare le ricerche nella regione tra il Tigri e l’Eufrate. A risvegliareil suo interesse sono alcune collinette, piane alla sommità e ripide sui fian-chi, che si elevano nel deserto. Questi piccoli rilievi, come hanno dimo-strato più tardi gli scavi, sono formati dalle rovine stratificate delle anti-che città sepolte.

Un passo importante per la conoscenza delle civiltà mesopotamiche èstato costituito dal ritrovamento della cosiddetta biblioteca di Assurbani-pal, nel luogo in cui si ergeva il palazzo reale di Ninive, città assira chesorgeva sulla riva sinistra del Tigri.

Intorno alla metà del XIX secolo il francese Henri Layard ritrovò circa 30.000 tavolette diargilla su cui il sovrano assiro Assurbanipal (il Sardanapalo dei Greci) aveva fatto trascriverequello che costituiva allora tutto il sapere del tempo: opere scientifiche e letterarie, annotazionistoriche, nozioni di astronomia, di matematica, di scienze occulte etc. Le tavolette erano incisecon caratteri cuneiformi, il sistema di scrittura decifrato nel 1802 dallo studioso tedescoGeorg Friedrich Grotefend.

C) Dalla scrittura pittografica ai caratteri cuneiformi

La scrittura nasce con la città. La società urbana, che basa la sua esisten-za sui contatti, sugli scambi, sulle manifestazioni collettive, rende necessa-ria una forma di comunicazione più duratura del linguaggio verbale e ingrado di essere trasmessa a distanza. Inoltre, abbandonata la vita nomade eimparata l’agricoltura, con la proprietà e con gli scambi, si avvertì il biso-gno di contare, registrare, e, dunque, di scrivere.

Tra le prime forme di scrittura vi sono quelle pittografiche, delle quali sitrovano tracce in Mesopotamia. I sacerdoti sumeri registravano su tavolettedi argilla le merci consegnate al tempio tracciando con una canna appuntitadei segni analogici. Una testa di animale, seguita da uno o più cerchietti,indica il numero dei capi di bestiame, una spiga indica il grano etc.

Questo sistema di registrazione richiedeva, però, l’introduzione di nu-merosi segni e presentava inoltre l’inconveniente di non poter rappresentare

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Capitolo Terzo32

i concetti astratti. L’evoluzione delle forme politiche e sociali, gli aspettimagico-religiosi del culto, le prime scoperte scientifiche resero necessaria,invece, la codificazione scritta di concetti astratti.

Dalla scrittura pittografica si passa così alla scrittura logografica, for-mata cioè da simboli che esprimono parole e non più cose. In questo modosi riduce il numero dei simboli da utilizzare perché basta variare la combi-nazione degli elementi per ottenere significati diversi. Verso il 2500 a.C siarriva, poi, alla scrittura in sillabe che riduce ulteriormente il numero deisimboli e si semplifica anche la grafia: ogni sillaba viene indicata con unpiccolo segno a forma di cuneo, che si può ripetere e disporre in modidiversi per rappresentare una grande varietà di concetti. Nasce quindi lascrittura cuneiforme, anello di congiunzione tra gli antichi pittogrammi el’alfabeto introdotto più tardi dai Fenici.

2. I SUMERI

A) Ipotesi sulle origini

Come accennato, furono i Sumeri, abitanti della Terra di Sumer (BassaMesopotamia), a dare vita alla prima grande civiltà urbana di cui conservia-mo memoria scritta. Il nome Sumero fu dato agli antichi abitanti della Me-sopotamia dai loro successori, gli Accadi, popolazione di origine semiticastabilitasi nei territori a nord della terra di Sumer, mentre in realtà i Sumerichiamavano se stessi «Sag-giga», ossia «gente dalla testa nera».

Ancora oggi il problema della terra di origine dei Sumeri è rimasto irri-solto. L’ipotesi più accreditata è che essi siano migrati nella bassa Mesopo-tamia dalla Valle dell’Indo, via mare, o dalle montagne del Caucaso. In ognicaso la loro presenza nelle terre fra il Tigri e l’Eufrate risalirebbe sin dallafine del V millennio a.C., quando man mano si integrarono con le culturelocali e con le genti che già abitavano in quei territori.

Il primo documento scritto giunto fino a noi è infatti un’iscrizionesumera risalente ad un periodo che gli studiosi chiamano dei «regni proto-dinastici». Questa fase, che va dal 2900 a.C. circa al 2370 a.C., viene a suavolta generalmente suddivisa in 4 sottoperiodi (I-III Protodinastico e Pro-toimperiale). L’ipotesi più accreditata è che l’iscrizione appartenga all’ini-zio del Protodinastico II (ca. 2800 a.C.).

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33Le civiltà mesopotamiche

B) Le città-Stato e il re-sacerdote

La vita dei Sumeri era caratterizzata da un costante rapporto con le divi-nità, e ogni aspetto dell’esistenza umana era visto in funzione del culto del-le divinità. Le stesse città-Stato, che costituivano le unità fondamentalidell’organizzazione statale, erano costruite intorno a edifici monumentaliche avevano finalità prettamente religiosa.

È quindi corretta l’osservazione secondo la quale, nella visione dei Su-meri, le città-Stato sono unità economiche e amministrative, piuttosto cheunità statuali vere e proprie, perché mancano ad esse gli attributi della so-vranità e dell’autonomia appartenenti solo alle divinità. Il re è subordinatoal dio ed ogni sua azione è legittimata dal volere divino: senza il consensodella divinità le sue iniziative sono destinate a fallire.

Il rapporto stretto con la religione è evidente dal fatto che il sovranoaveva sempre funzioni religiose e qualifiche sacerdotali. Il re-sacerdote det-to lugal, ossia «uomo grande», aveva tra le sue mansioni principali l’obbli-go di conservare e restaurare i templi cittadini, oltre che garantire l’ordinesociale ed esercitare la giustizia.

Nel primo periodo del suo sviluppo — quello dei regni protodinastici — la civiltà sumeri-ca appare caratterizzata da una struttura statale piuttosto frammentata. Tra le varie città-Stato, quella di Nippur, dedicata a Enlil, una delle divinità principali del pantheon sumero,sembra godere di uno status e di un prestigio particolari, anche se non di una vera epropria supremazia politica. Questo fatto ha indotto alcuni storici a ipotizzare che, almenonella fase protodinastica, le città-Stato sumeriche fossero unite in una lega di tipo anfizionico,ma non ci sono prove definitive a sostegno di questa congettura.

Nella Grecia antica veniva definita anfizionia la lega di più città-Stato per la protezione ela difesa di un comune luogo di culto. In base all’ipotesi qui menzionata, quindi, durante laprima fase dello sviluppo della civiltà sumerica, le città-Stato, che pure erano caratterizzate dalculto di divinità locali, erano tenute insieme dalla comune devozione per il dio Enlil.

C) Le scienze e le arti

Nella cultura sumerica ogni cosa, per avere esistenza e consistenza, deveavere un nome: conoscerlo e usarlo significa acquistare potere su di essa,possederla. Antichi documenti sumeri sono costituiti da elenchi di pietre, dianimali, di piante, classificati in base alle proprie qualità esterne, che proba-bilmente gli studenti imparavano a memoria.

Dalle necessità della vita economica e associata nasce l’aritmetica, fon-data sulle unità decimali e su quelle sessagesimali (sessanta elementi), chepoi saranno usate in astronomia. Verso il I millennio a.C. i Sumeri formula-

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Capitolo Terzo34

no il concetto di una numerazione fondata sul valore della posizione dellacifra, che è alla base del nostro sistema decimale.

La geometria viene inventata per il bisogno di misurare i campi e gliedifici. L’anno solare è diviso in dodici mesi lunari (28 giorni), con un mesesupplementare inserito ogni tre anni circa. Per costruire edifici, templi ecase vengono usati mattoni di fango e di cotto, dando origine a un’architet-tura e massiccia, che viene poi decorata con argilla e, più tardi, con affre-schi.

D) La religione

Gli dèi adorati dai Sumeri hanno sembianze umane. Come abbiamo vi-sto la civiltà sumera è fortemente improntata al pensiero religioso, cui tuttoè subordinato. Gli dèi sono molti perché rappresentano le forze-guida del-l’umanità (politeismo primitivo). Il tempio o ziggurat si trova nel punto piùalto della città, per essere preservato dalle frequenti alluvioni e per accor-ciare le distanze con gli le divinità del cielo.

Per i Sumeri tutto ha origine dal caos primordiale generato da due forzeopposte: Tiamat, principio del male e signora delle acque dolci, e Abzu,principio del bene e padre del mare. Dall’unione di Tiamat e Abzu nacquerogli dèi, il cielo, la Terra e infine l’uomo.

An è il più grande degli dèi e il suo nome significa «cielo» o «splendente». Poi c’è Enlil, laforza attiva della natura che presiede ai temporali della pianura. Niu-Khursag, la dea dellaterra, ed Enki, dio delle acque della fertilità e delle attività intellettuali, completano il quadrila-tero degli dèi creatori. Ad essi si aggiunge un pantheon di cinquanta grandi divinità e numero-sissime altri dèi e demoni.

I Sumeri hanno dato origine a molti riti e a diversi miti. Al periodoprotodinastico si può far risalire la tradizione orale, trascritta e forse riela-borata solo in una fase tarda della civiltà sumerica, dell’epopea di Gilga-mesh. Mitico re dei Sumeri, Gilgamesh regnò sulla più antica città del-l’odierno Iraq, Uruk. La storia di questo personaggio, impegnato nellaricerca dell’immortalità, fu trascritta su undici tavolette d’argilla risalential VII secolo a.C., molto dopo il periodo in cui è ambientata la vicenda,conservate nella biblioteca del re Assurbanipal. Questo testo può essereconsiderato il più antico poema epico che ci è pervenuto, e in esso è con-tenuto anche il primo resoconto dell’episodio del diluvio universale de-scritto poi nella Genesi.

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35Le civiltà mesopotamiche

3. GLI ACCADI

A) L’impero sargonide

L’unificazione che le città-Stato dei Sumeri tentano più volte senza mairealizzare, viene raggiunta nel corso del III millennio a.C. da Sargon ilGrande, re degli Accadi. Le imprese di Sargon saranno rese poi famosedall’epopea mesopotamica, quando il dominio di questo sovrano si estende-rà dall’Assiria alla costa mediterranea della Siria.

Sargon è un alto funzionario del re sumerico di Kish. Verso il 2370 a.C., appoggiato da unacomunità accadica che vive in territorio sumerico, depone il re, rovescia la dinastia regnante einizia una serie di fortunate imprese militari grazie alle quali estende il suo dominio alla Meso-potamia settentrionale spingendosi ad Occidente fino alla penisola anatolica e ad Oriente finoall’Assiria. Con gli ingenti bottini di guerra che ottiene dalle città assoggettate Sargon costru-isce una nuova capitale, Akkad.

Dopo aver consolidato il proprio dominio, egli impone l’uso di una lin-gua semitica — chiamata appunto accadico dal nome di Akkad — non soloall’interno del suo regno, ma anche agli altri popoli sui quali si estendel’influenza militare e diplomatica degli Accadi. Il sumerico, tuttavia, nonmuore, ma sopravvive nella tradizione orale, nella cultura, nelle iscrizionidei templi e nei riti religiosi.

A Sargon succedono dapprima i figli Rimush e Manishtushu, che regna-no rispettivamente 9 e 15 anni, e poi il nipote Naramsin, il cui regno èlungo (39 anni) e glorioso come quello del fondatore della dinastia. Naram-sin fu il primo ad assumere il titolo di «re delle quattro parti del mondo».Questo nuovo appellativo del monarca allude a un’inedita concezione delpotere regale che emerge sì durante il periodo accadico, ma che è andatalentamente maturando già durante l’ultima fase protodinastica dell’imperosumerico. È l’idea di una monarchia universale estesa a tutte le terre cono-sciute, in cui al re vengono riconosciuti poteri e prerogative ben maggiori diquelli che avevano i monarchi della terra di Sumer. Sembra si possa consi-derare diretta conseguenza di questa nuova visione della regalità il fatto cheNaramsin attribuisca a se stesso onori divini, e che lo stesso facciano i resumeri che succedettero alle dinastie accadiche.

Tuttavia, in apparente contraddizione con i cambiamenti di mentalitàche abbiamo considerato, c’è il dato di fatto che i re accadi non solo conser-vano anche gli appellativi della tradizione sumerica, ma nella maggior partedei casi lasciano intatte le autonomie delle città-Stato. In altre parole, essi

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Capitolo Terzo36

non danno vita a un forte apparato amministrativo accentrato, ma pre-feriscono controllare il territorio assai vasto che hanno conquistato sfrut-tando sia vincoli di fedeltà e lealtà di tipo tribale, sia il forte esercito chehanno costituito e che è il maggior deterrente contro le ribellioni — chepure non mancano — delle città soggiogate.

Naramsin continua l’espansione militare di Sargon e giunge a distrug-gere il potente impero di Ebla in Siria.

B) La rinascita sumerica

La dinastia sargonide dura poche generazioni. Infatti, la vastità (perquei tempi) del regno è la causa della sua stessa fragilità. Già durante ilregno del figlio di Naramsin si assiste a un progressivo indebolimento deldominio accadico. Principale effetto dell’instabilità politica sono le inva-sioni dei Gutei, barbari delle montagne dell’est, che dilagano in Mesopota-mia, saccheggiando e depredando, e che prendono il controllo della regioneintorno al 2220 a.C. dando luogo ad un governo fragile e violento. Nono-stante ciò molte città hanno la possibilità di prosperare, grazie alla sostan-ziale autonomia di cui godono in cambio forse di un formale ossequio ainuovi regnanti.

È la città di Uruk, tradizionalmente uno dei centri più importanti dellaterra di Sumer, a prendere l’iniziativa contro gli odiati Gutei e a sconfigger-li. Ma la restaurazione del regno sumerico si deve alla ricca città di Ur, il cuigovernatore, Urnammu, fonda la III dinastia di Ur e crea un regno salda-mente organizzato. Nata nel 2112 a.C., la cosiddetta monarchia neosume-rica, si caratterizza:

— per un’organizzazione burocratica fortemente accentrata;— per una nuova concezione delle monarchia che, pur non distaccandosi

completamente dalla tradizione protodinastica, porta alle estreme con-seguenze l’idea di monarchia emersa durante il regno accadico;

— per la dinamica politica estera dei successori di Urnammu, che gui-dano ripetute spedizioni contro le popolazioni ad est del Tigri.

La rinascenza sumerica ha però breve durata. Verso il 2000 a.C. Ur vie-ne distrutta dagli Elamiti — popolazione proveniente dall’attuale Iran —mentre gli Amorrei, tribù nomade semitica, la cui penetrazione in Mesopo-tamia aveva provocato numerosi disordini sociali, hanno il sopravvento su-gli altri popoli e stabiliscono a Babil (Babilonia) la loro capitale.

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37Le civiltà mesopotamiche

4. L’IMPERO DI HAMMURABI

La fine del regno neosumerico segna l’inizio di un nuovo periodo digrande frammentazione politica, durante il quale numerose città, resesi au-tonome, diventano il centro di reami minori. Tra queste Babilonia, doveSumuabum aveva dato inizio ad una dinastia regnante, assume nel corso deidecenni una importanza e un prestigio sempre maggiori. Ma fu solo conl’avvento al trono di Hammurabi, nei primi anni del XVIII secolo a.C., chesi creano le condizioni perché Babilonia conquisti il dominio su tutta laMesopotamia, riunificando i territori che erano stati governati da Sargon. Ilre babilonese persegue con tenacia un’accorta e spregiudicata politica dialleanze e campagne militari grazie alla quale rafforza il potere e l’influen-za di Babilonia a discapito dei suoi stessi alleati che, durante gli ultimi annidel suo lungo regno vengono attaccati e sconfitti.

Hammurabi non si limita però a un’azione di conquista, in quanto rea-lizza l’unificazione dell’impero anche sotto il profilo giuridico e ammi-nistrativo attraverso l’emanazione di un unico testo legislativo per tutto ilpaese. Porta, infatti, il suo nome il famoso codice di leggi, che comprendenorme di diritto penale, civile e commerciale e può essere considerato unariuscita sintesi tra la più evoluta legislazione sumerica e le consuetudinitribali dei semiti, rinvenuto nel 1902 a Susa.

A lungo ritenuto un caso unico nella storia dei regni di quel periodo, ilCodice di Hammurabi appartiene in realtà ad una tipologia di documentoche sappiamo essere stata impiegata anche da altri monarchi del tempo.Non si tratta di un’assoluta eccezione, quindi, ma questo nulla toglie allasua importanza per la ricerca storica: in primo luogo perché è l’unico chesia giunto a noi quasi integralmente, sotto forma di iscrizione su una stelevotiva del tempio di Shamash a Sippar, e di frammenti e copie posteriori; insecondo luogo perché sembra essere molto più esteso di altri documentidello stesso genere. Anche se non l’unica, il codice è la fonte più preziosa diconoscenza della società babilonese del tempo.

Il codice è composto di poco meno di 300 paragrafi, preceduti da un prologo e da unepilogo. Recenti studi fanno ritenere che esso non sia un documento redatto a fini istituzionali,quanto piuttosto una raccolta di giudizi effettivamente emessi dai tribunali del regno e messiinsieme nell’ultimo periodo del regno di Hammurabi. Le disposizioni del codice, tuttavia, nondevono essere mai state vincolanti nell’effettiva pratica giurisprudenziale del tempo.

Come abbiamo detto le materie trattate sono molte, anche se non tutte vengono affrontatecon lo stesso grado di approfondimento.

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Capitolo Terzo38

In esso gli uomini sono divisi in tre classi: uomini liberi, semiliberi e schiavi. È tuttoradibattuto se queste classi vadano intese come fondate sul censo o sulla condizione delle perso-ne nei loro rapporti con lo Stato, anche se quest’ultima ipotesi sembra la più probabile. Lepunizioni per i crimini commessi sono distinte a seconda della classe sociale a cui appartengo-no l’offeso e l’offensore e nel campo penale vige la legge del taglione.

Le donne, anche se relativamente indipendenti (possono liberamente disporre della pro-pria dote), sono considerate proprietà del marito.

Molte delle leggi di Hammurabi regolano i contratti, le procedure agricole, i debiti, i pre-stiti e le retribuzioni del lavoro dipendente.

In effetti, questo codice, elaborato circa quattromila anni fa, tende a considerare tutti gliuomini uguali di fronte alla legge e, pur ribadendo la differenza tra schiavi e liberi, cerca disalvaguardare i diritti dei più deboli, invitando chi è oppresso a chiedere giustizia in base allalegge fatta dal sovrano giusto.

Dopo la scomparsa di Hammurabi, si alternano sul trono altri cinquere, ma verso il 1600 a.C. anche questa dinastia finisce per estinguersi;contemporaneamente Babilonia soccombe all’arrivo di genti straniere per-dendo il predominio sulla Mesopotamia che passa alla sua rivale del Nord,l’Assiria.

5. GLI ASSIRI

Mentre nella Mesopotamia meridionale si alternano le civiltà dei Sume-ri, degli Accadi e poi dei Babilonesi, nell’alta valle del Tigri inizia la suaascesa economica un popolo di cultura completamente diversa, quello degliAssiri. In origine essi sono mercanti che scambiano il rame e lo stagnodell’Anatolia con i manufatti e i prodotti agricoli della Mesopotamia. Inseguito fissano la loro dimora stabile nella valle del Tigri e fondano lacapitale Assur, che è anche il nome del loro dio.

A) Politica espansionistica

Grazie alle vantaggiose condizioni climatiche della zona, che permetto-no un’agricoltura produttiva, dopo il 2000 a.C. registrano un notevole incre-mento demografico e da questo momento iniziano una feroce politica espan-sionistica. Verso il 1800 a.C. il re di Assur controlla già l’alta Mesopotamiae ha assoggettato l’importante città di Mari.

La società assira ha un carattere essenzialmente militare e vede la classedei contadini dominata da una casta militare potente e feroce, formata dadignitari dell’esercito e da sacerdoti, al vertice dei quali sta un re, conside-rato l’«agente» del dio Assur sulla Terra. In nome del dio Assur gli Assiri

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39Le civiltà mesopotamiche

avviano una politica di annessioni che allarga in pochi anni i confini delregno, costituendo una potenza destinata a durare per cinquecento anni.

Per far fronte alle necessità del loro Stato gli Assiri impongono tributi atutti i popoli conquistati. Tuttavia, oltre al problema degli approvvigiona-menti, devono affrontare anche quello della manodopera per l’agricoltura eper le opere pubbliche. Le campagne militari, infatti, coincidono con la sta-gione dei raccolti e le guerre di conquista sottraggono manodopera al paese.I sovrani assiri risolvono questo problema introducendo la pratica della de-portazione dei popoli vinti. Così le popolazioni vicine vengono strappatealle zone di origine e condotte a coltivare territori sempre più vasti intornoalla capitale assira per garantire una base di benessere ai conquistatori.

L’espansione assira è opera di quattro re: Scialmanassar III, Tiglatpileser III, Assarhaddone Assurbanipal e inizia con il controllo delle vie commerciali tra la Mesopotamia e il Mediter-raneo per poi estendersi alle città fenicie e all’Egitto.

Con le ricchezze accumulate per mezzo dei saccheggi e attraverso la riscossione dei tributi,i sovrani assiri costruiscono nuove città, utilizzando l’opera di migliaia di prigionieri di guerra.

Intorno al 700 a.C. sorge Ninive, la nuova capitale che è la più grande città del tempo,contando circa 100.000 abitanti.

B) Fanatismo religioso

La potenza assira è basata su un’aristocrazia guerriera che deteneva lamaggior parte delle terre, mentre il resto della popolazione, suddivisa fracontadini e artigiani, conduceva una vita misera, priva di ogni diritto.Figura centrale attorno alla quale ruota tutta la società assira è il re, capoassoluto e anche figura religiosa. Elemento caratterizzante della cultura as-sira è, infatti, il fanatismo religioso: Assur è tutto, il dio, il paese, la capitalee in suo nome si compie ogni sorta di violenze pur di piegare gli altri popoli.Il re è il sommo sacerdote di Assur e ha il compito di guidare la «guerrasanta». Quelle degli Assiri sono, infatti, le prime guerre di religione dellastoria; in nome della divinità e della fede si compiono i crimini più efferati.

C) Il declino dell’impero

Il pugno di ferro usato dai sovrani assiri nei confronti delle popolazionisottomesse provoca continue ribellioni che, a lungo andare, finiscono perindebolire la compagine statale. La spietata energia che è uno dei fattorideterminanti dell’impero assiro ne costituisce anche il principale limite.L’impero del terrore si avvia in breve tempo verso una rapida decadenza:nel 612 a.C. i Caldei, gruppo di tribù semitiche, insieme con i Medi, una

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Capitolo Terzo40

popolazione delle steppe dell’Asia centrale che si era stanziata sull’Alto-piano iranico, distruggono la capitale Ninive, ponendo così fine al granderegno assiro.

6. IL SECONDO IMPERO BABILONESE

Sulle rovine dell’impero assiro si sviluppa nuovamente la potenza diBabilonia che si rende indipendente e giunge all’apice della sua grandezzadurante il regno di Nabucodonosor II (604-562 a.C.). Questo sovrano rie-sce per un breve periodo a riunificare la Mesopotamia, assoggetta la Siria edistrugge Gerusalemme, deportandone gli abitanti a Babilonia: è questa laben nota «cattività babilonese» degli Ebrei.

Per quanto riguarda la politica interna, Nabucodonosor realizza impo-nenti opere pubbliche, fra le quali sono celebri i giardini pensili e il palaz-zo reale di Babilonia, e ripristina gli antichi culti, come quello del dio Mar-duk, dopo il periodo di oscurantismo che aveva visto diffondersi il culto diAssur, introdotto dagli Assiri. Si deve inoltre, a questo sovrano l’ultimazio-ne della gigantesca ziggurat iniziata durante il regno del padre ed identifica-ta con la biblica Torre di Babele.

Alla morte di Nabucodonosor II, il regno attraversa una vera e propria crisidinastica, durante la quale molti monarchi furono rovesciati da congiure di pa-lazzo. L’ultimo re di Babilonia, Nabonedo, non solo dovette affrontare una gra-vi crisi interna, forse dovuta anche a sue presunte origini siriane, attestate dalladevozione verso il dio Sin, ma si trovò a dover fronteggiare anche la politicaaggressiva dei Persiani, sotto la quale Babilonia crolla definitivamente nel 538a.C., quando il re Ciro riduce la Mesopotamia a una provincia del suo impero.

7. LA CITTÀ DI EBLA

Tra il 1964 e il 1976 una missione archeologica italiana impegnata inSiria settentrionale scopre una città fino ad allora ignota, ma le cui impo-nenti rovine testimoniano una civiltà luminosa. È la città di Ebla, situata auna cinquantina di chilometri a sud di Aleppo nella Siria settentrionale.

Nel punto in cui sorgeva il palazzo reale gli archeologi hanno riportatoalla luce circa 15.000 tavolette contenenti documenti amministrativi, diplo-matici, militari, che costituivano l’archivio dello Stato. La scrittura è quellacuneiforme, usata dai popoli mesopotamici, ma la lingua risulta simile alfenicio e all’ebraico.

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41Le civiltà mesopotamiche

Ebla era il centro di un regno piuttosto esteso già nel 2400 a.C., cin-quant’anni prima, cioè, che Sargon fondasse l’impero accadico in Mesopo-tamia. Probabilmente fu proprio Sargon a sottomettere lo Stato eblaita, mentreuno dei suoi successori più tardi distrusse la città.

La prosperità di Ebla non dura più di un secolo, ma la sua civiltà presen-ta aspetti culturali e sociali che non si ritrovano presso gli altri popoli del-l’antichità. Ebla deve il suo rapido sviluppo all’eccellente posizione geo-grafica — che la pone all’incrocio delle più importanti vie che uniscono laMesopotamia al litorale della Terra di Canaan — a una florida agricoltura ea un artigianato molto sviluppato soprattutto nel settore tessile. Le stoffepregiate prodotte a Ebla raggiungono i mercati della Mesopotamia, dellaSiria e dell’Egitto. Il prestigio economico della città si riflette anche nell’or-ganizzazione sociale: la donna gode di una considerazione insolita nellesocietà di questo periodo e la regina affianca il re nell’amministrazione del-lo Stato. Un’equa ripartizione delle ricchezze provenienti dalle diverse atti-vità economiche assicura un diffuso benessere a tutta la popolazione.

Tavola cronologica

3500 a.C.: Prime notizie storiche sui Sumeri.2500 a.C.: Primo impero sumerico.2400 - 2150 a.C.: Impero accadico.2400 a.C.: Apogeo di Ebla.2250 a.C.: Distruzione di Ebla.1950 - 1850 a.C.: Secondo impero sumerico.1700 a.C.: Primo impero babilonese.1500 a.C.: Fine del primo impero babilonese.1100 a.C.: Gli Assiri invadono la Mesopotamia.700 a.C.: Fondazione di Ninive.612 a.C.: Distruzione di Ninive.538 a.C.: I Persiani conquistano la Mesopotamia.

GlossarioGilgamesh: questo eroe era in origine per due terzi un dio, ma come uomo lotta, crea,costruisce e alla fine muore. Il racconto delle sue imprese si diffonde in tutto il VicinoOriente, assieme alla raffigurazione artistica di Gilgamesh che strangola un leone, traman-data attraverso i millenni fin sulle cattedrali medievali d’Europa. Dal punto di vista siastorico che poetico il racconto delle avventure di Gilgamesh riflette un pensiero civilizzatoche s’interroga sulle caratteristiche del genere umano e dei suoi rapporti con la natura.

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Capitolo Terzo42

Semiti: termine usato per la prima volta verso la fine del XVIII secolo per indicare lepopolazioni citate nella Bibbia come discendenti di Sem, figlio maggiore del patriarcaNoè. Il termine da allora connota chiunque parli una lingua semitica, ossia un idioma ap-partenente alla sottofamiglia delle lingue afro-asiatiche. Le principali lingue semitiche sonol’arabo, l’amarico e l’ebraico. Tra le antiche popolazioni di lingua semitica vi erano quelleche abitavano nella regione di Aram, in Assiria, nell’area babilonese, nella terra di Canaan(inclusi gli Ebrei) e in Fenicia.

Terra di Canaan: termine che indica un’antica regione geografica comprendente l’attualeLibano, la Palestina, Israele e parte della Siria e della Giordania. Il nome deriva da quello diCanaan, nipote di Noè. Nel 1200 a.C. circa, la Terra di Canaan fu invasa dagli Ebrei che laribattezzarono «Terra di Israele». Una parte della regione, però, oppose una fiera resistenzaall’occupazione e continuò a lungo ad essere abitata da popolazioni canaanite.

Ziggurat: costruzione templare caratteristica delle religioni dell’area mesopotamia. Ha laforma di una torre piramidale a più piani sovrapposti (piramide a gradoni) che rientravanoformando delle terrazze spesso arricchite da giardini pensili. L’altezza massima era di 90metri e il tempio vero e proprio sorgeva in cima alla costruzione.

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CAPITOLO QUARTO

FENICI ED EBREI

Sommario: 1. La civiltà fenicia. - 2. Il popolo ebraico.

1. LA CIVILTÀ FENICIA

La denominazione di Fenici, che significa «rossi», per indicare i popo-li che vivevano nella striscia di terra più settentrionale della costa siriaca,si deve ai Greci. Le fonti antiche rimarcano più volte come la lavorazionedella porpora fosse una fiorente industria presso questo popolo e con ogniprobabilità i Greci chiamarono queste genti Fenici per la loro maestria nelcolorare le stoffe di rosso-porpora con una tintura estratta dal murice, unmollusco che si trova in abbondanza nel loro mare. Ma il loro nome po-trebbe avere avuto origine anche dal colore della loro pelle resa rossa dalsole.

La loro terra era conosciuta come Canaan e i Fenici indicavano se stessicome «Sidoni». Questo nome si trova anche in Omero; nell’Antico Testa-mento, inoltre, un re di Tiro, città situata lungo la costa del Libano, è chia-mato «re dei Sidoni». Ciò perché, fino al X secolo a.C., prima cioè del-l’ascesa della città di Tiro, la città dominante della Fenicia era Sidone.

Non esistono fonti dirette che descrivano il popolo fenicio. Possediamosolo alcuni frammenti, citati da autori tardi o appartenenti ad altre culture.

Si tratta di una popolazione semita che si stanzia nella zona dell’odier-no Libano intorno al 3000 a.C., proveniente da un’area asiatica non anco-ra identificata.

A) Organizzazione interna

Non abbiamo molte fonti su questa civiltà, ma, a quel che è dato sapere,non si può parlare di un regno unitario, bensì di un’insieme di città-Stato governate da regimi monarchici. Tuttavia, anche se non può esseresostenuto con prove documentali è credibile che in alcuni periodi della sto-ria fenicia le città siano state unite in qualche genere di federazione, guidatadi volta in volta da quella più influente e potente.

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Capitolo Quarto44

Una prova a sostegno di questa congettura è il celebre episodio del reSalomone che, per costruire il tempio di Gerusalemme, si rivolge al re diTiro, il quale gli invia tecnici provenienti non solo da Tiro, ma anche daSidone e Biblio.

Parrebbe, inoltre, che in alcune città-Stato organismi collegiali, in qual-che caso, forse, di natura elettiva, coadiuvassero il monarca nell’azione digoverno. Soprattutto nelle colonie occidentali, questi organismi darannoluogo, in seguito, alle magistrature dei «suffeti», che soppianteranno lamonarchia.

B) L’abilità nel commercio e nella navigazione

Nel primo periodo del loro insediamento sulle coste siriache i Fenici sidedicano all’agricoltura, ma la natura del terreno non si presta a tale attivitàe presto essi imparano a utilizzare i cedri delle foreste del Libano per co-struire agili imbarcazioni. Sono le esigenze economiche a trasformarli inabili commercianti: pur mancando, infatti, di una significativa produzioneagricola, essi sono rinomati come artigiani, in particolare per quel che ri-guarda le tecniche di colorazione dei tessuti, di lavorazione delle ceramichee del vetro e di lavorazione dei metalli e dei gioielli.

Per procurarsi frumento, vino, olio e i metalli per i manufatti, i Fenicidiventano navigatori e mercanti, imprimendo un carattere di modernità allaloro economia: tra i popoli antichi sono i primi a sviluppare un’economiabasata sull’industria artigianale e sul commercio. In questo sta il segretodella loro singolare autonomia.

I lunghi viaggi fanno dei Fenici degli intrepidi navigatori, pronti a rag-giungere nuove terre non per motivi politici, ma per reperire nuove fonti dimaterie prime necessarie allo sviluppo della propria potenza commerciale.

Oltre ad essere i più grandi navigatori del loro tempo, i Fenici furonoanche abilissimi costruttori di navi. Lo testimoniano gli Annali del faraoneTutmosis III quando riferiscono che, nella guerra contro i Mitanni — popo-lo stanziatosi nel nord della Mesopotamia — il faraone imbarcò le sue trup-pe su navi fenicie.

Per affrontare la navigazione d’alto mare i Fenici creano le imbarcazioni a chiglia che hannouna migliore tenuta del mare rispetto alle barche a fondo piatto e possono essere controllate megliocon la forza dei remi. Le navi fenicie sono lunghe circa venticinque metri, hanno una vela quadratesa fra due pennoni e un cavo tra la poppa e la prua che ne rafforza la tenuta. La velocità non superai due o tre nodi: ciò significa che in ventiquattr’ore possono coprire una distanza di circa cento

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45Fenici ed Ebrei

chilometri. L’equipaggio è di circa cinquanta rematori più gli uomini addetti alle manovre, il co-mandante, il secondo, il pilota. Un flautista scandisce per i rematori il ritmo di voga. La navigazionesi svolge usando come orientamento l’Orsa minore, che i Greci chiamano «Fenicia».

C) L’espansione nel Mediterraneo

Tra il III e il II millennio Ugarit, Biblo, Sidone, Tiro diventano impor-tanti scali commerciali sulla costa della Terra di Canaan e conservano l’au-tonomia nonostante le pressioni dei popoli limitrofi.

L’analisi di alcune iscrizioni fenicie data al IX secolo a.C. la creazioneprime colonie nel bacino del Mediterraneo. Tuttavia, si ipotizza che i pri-mi, occasionali viaggi di navi fenice in Occidente risalgano al XII secolo.

Nella storia della colonizzazione fenicia ebbe un ruolo molto importan-te Cipro, dove sono attestati insediamenti già durante il X secolo. L’isoladell’Egeo servì, infatti, come rifugio per le genti di Tiro, minacciate dallapotenza assira.

In Occidente i Fenici creano insediamenti a Utica, in Tunisia, e a Cadi-ce, sulla costa atlantica della Spagna, mentre nel IX secolo li troviamo aMalta, a Cipro e in Sardegna, e nell’VIII in Sicilia.

Per i primi secoli, la colonizzazione fenicia è molto diversa da quellagreca. In particolare essa è caratterizzata da uno scarso popolamento. Leloro colonie sono soprattutto scali marittimi ed empori commerciali, desti-nati ad ampliare e a potenziare la loro rete di traffici.

I porti devono inoltre offrire riparo alle navi e protezione contro gli attacchi dalla terrafer-ma; per questa ragione quasi tutte le città di origine fenicia sono situate su piccole isole e supromontori forniti di insenature. All’interno esse si sviluppano soprattutto in altezza con uncomplicato sistema di mura, torri, dighe e canali. Lo spazio che intercorre tra un porto e l’altroviene stabilito in base alla distanza coperta da un giorno di navigazione, in modo che durante lanotte i naviganti possano trovare riparo nella città. I navigatori fenici si spingono anche al di làdel Mediterraneo. Nel 600 a.C. circumnavigano l’Africa, nel 450 raggiungono l’Irlanda.

È soltanto verso la fine dell’VIII secolo a.C. che la situazione cambia.Sotto la pressione degli Assiri, infatti, gli insediamenti fenici del Mediter-raneo occidentale cominciarono ad essere più intensamente popolati.Poco meno di un secolo più tardi, una di queste colonie, Cartagine, acquisi-rà un ruolo di primo piano nelle vicende della civiltà fenicia e si trasformeràin un vero e proprio impero.

Per tutelare i propri interessi economici, le città fenicie tendono ad evitare il confronto mili-tare con potenze ostili e a sottomettersi al vincitore. I Fenici, dunque, non si facevano mai trasci-nare in guerra e tale atteggiamento fu tenuto più volte nel corso della loro storia, con gli Assiri, gli

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Capitolo Quarto46

Egizi e i Babilonesi, dai quali avevano riscattato il diritto al libero commercio, pagando il tributorichiesto. Addirittura quando i Persiani conquistano il loro territorio nel 539 a.C., i Fenici forni-scono flotte ai potenti vincitori, legando così la propria sorte a quella dell’impero persiano.

Lo sviluppo delle colonie fenicie

D) L’invenzione dell’alfabeto

Ai Fenici gli antichi attribuirono l’invenzione dell’alfabeto. In realtà furo-no i Greci a creare un sistema alfabetico simile a quello che usiamo oggi,dove ad ogni grafema (segno) corrisponde un fonema (suono), mentre la scrit-tura dei Fenici era di tipo sillabico: ogni segno corrispondeva non a un singo-lo suono, ma a una sillaba. L’alfabeto fenicio comprendeva circa 22 carat-teri consonantici. Questo sistema fonetico fu applicato ai segni cuneiformiche i Fenici appresero dai popoli della Mesopotamia grazie ai loro frequentiviaggi. Il nuovo alfabeto si prestava ad essere usato per i commerci più facil-mente che non la vecchia scrittura ideografica e perciò si diffuse in tutto ilMediterraneo. Ancora oggi a questo tipo di scrittura consonantica apparten-gono l’alfabeto arabo e quello ebraico che si servono di segni diacritici (cioèsegni che si aggiungono sopra e sotto le lettere) per indicare le vocali.

Un’ulteriore diffusione dell’alfabeto fenicio si deve ai Greci dell’AsiaMinore, che lo trasformarono, rendendolo simile a quello attuale. Dovendoscrivere in una lingua ricca di suoni vocalici che non potevano essere dedot-ti dal contesto, essi crearono nuovi segni per indicare tali suoni.

L’alfabeto dal quale derivò quello latino fu introdotto nella penisola ita-lica probabilmente dai coloni greci di Cuma e si diffuse in varie forme (etru-sco, osco, umbro, falisco, latino).

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47Fenici ed Ebrei

2. IL POPOLO EBRAICO

Le vicende legate alla nascita e allo sviluppo della civiltà ebraica sonoparticolarmente memorabili non tanto perché questo popolo — nei primisecoli della sua esistenza — sia stato in grado di esercitare un dominio po-litico-militare su vasti territori e per un lungo periodo di tempo (vedremo,anzi, che regni di Giuda e Israele ebbero vita alquanto tormentata), quanto,piuttosto, perché ad esso si deve l’elaborazione di una riflessione religiosadai caratteri assolutamente inediti nel panorama delle civiltà antiche. Il mo-noteismo ebraico, infatti, si distingue nettamente dalle forme religiose, im-prontate al politeismo, delle altre culture medio orientali.

È noto che tanto la religiosità egiziana, quanto quella di alcune civiltàmesopotamiche ha conosciuto una qualche forma di monoteismo. Ma si ètrattato di fenomeni episodici e circoscritti in quelle che, per il resto restanoculture profondamente politeiste.

A testimoniare l’importanza di questa nuova religiosità elaborata dagliEbrei, è il fatto che i libri del Vecchio Testamento, considerati sacri dallatradizione ebraica perché ispirati da Dio, ci sono pervenuti — caso unico trale culture palestinesi e siriane del I millennio a.C. — quasi integri, diven-tando uno dei capisaldi della cultura occidentale.

Per lo storico essi costituiscono una fonte preziosissima di informazioni e notizie sullaciviltà ebraica. Preziosissima, ma non sempre affidabile, in verità. Il Vecchio Testamento, l’uni-ca parte del canone biblico cristiano che appartenga alla tradizione ebraica, narra le vicendestoriche del popolo ebraico dal patriarca Abramo, i cui eredi, nel racconto biblico, diederoorigine alle 12 tribù di Israele, fino alla conquista di Gerusalemme ad opera del re babiloneseNabucodonosor (la cosiddetta «cattività babilonese»).

Dal confronto con fonti coeve risulta che la cronologia e le vicende bi-bliche possono considerarsi problematiche per quel che riguarda il periodofino al 1000 a.C.; abbastanza affidabili, seppure non molto precise, fino al700 a.C. e sicure per il periodo seguente.

A) L’ebraismo

Come sottolineato sopra l’ebraismo è una eccezione nel panorama reli-gioso del mondo antico. Il suo carattere fondamentale è la concezione diDio come assolutamente e radicalmente trascendente, superiore all’uo-mo e privo di qualsiasi limite o figura.

Altra caratteristica fondamentale che questa religione attribuisce a Dio èil suo universalismo, ossia egli è Dio di tutti gli uomini.

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Capitolo Quarto48

La predilezione che egli sembra accordare agli Ebrei deriva da un pattocontratto con questo popolo. Secondo gli Ebrei questa alleanza è efficacenelle concrete vicende storiche, sia quando Dio porta soccorso e aiuta il suopopolo oppresso, sia quando lo punisce inesorabilmente per la sua empietà.Nella Bibbia tutte le vicende storiche del popolo ebraico vengono conside-rate segno e conseguenza della presenza e dell’azione della divinità.

In questo rapporto personale e nella rigida fede nella volontà morale diDio risiede un’altra caratteristica assolutamente innovativa dell’ebraismo.Questa religione segna un’importante svolta nello sviluppo della civiltà oc-cidentale, poiché ammette per la prima volta che possa esistere un rap-porto stretto e diretto tra l’uomo e il suo Dio. È un credo basato su prin-cipi etici e pratici che lasciano poco spazio alla componente mistica, finorapreponderante nelle religioni professate; principi che saranno acquisiti daipopoli del Mediterraneo a partire dal I secolo d.C., con la graduale diffusio-ne del cristianesimo.

B) La storia

In base al racconto biblico la storia degli Ebrei comincia nell’area del-l’alto corso dell’Eufrate, dove il patriarca Abramo era giunto partendo dallaMesopotamia meridionale. La stirpe di Abramo giunge in Palestina e poi sisposta in Egitto dove viene ridotta in schiavitù. In effetti un gran numero ditesti egiziani e paleoassiri testimoniano della presenza in quell’area, in Siriae — in misura minore — in Palestina di tribù di seminomadi, la cui onoma-stica documentata si ritrova nei nomi ebraici dell’età patriarcale.

Se, dunque, la narrazione della Bibbia è sostanzialmente affidabile perquel che riguarda queste vicende iniziali, cronologicamente collocabili nelperiodo del Medio Bronzo, più difficile è identificare le coordinate cronolo-giche della migrazione in terra d’Egitto. Una congettura è che questo spo-stamento di tribù sia da attribuire ad una grave carestia e che si sia verificatotra il XVIII e XVII secolo, nel periodo in cui, come abbiamo visto (cfr. Cap.2), altre genti semitiche, gli Hyksos, penetrarono nei territori egiziani deldelta del Nilo. Altri studiosi però sostengono che l’ingresso delle tribù diseminomadi ebrei sia molto posteriore.

Nel II millennio a.C. inizia — durante il lungo regno di Rameses II cheli aveva oppressi costringendoli ai lavori forzati per la costruzione di alcunecittà — la migrazione dalla terra del Nilo verso la Palestina, narrata dallaBibbia nel libro dell’Esodo.

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49Fenici ed Ebrei

In questo periodo deve avere avuto inizio l’attività di Mosè, che concor-demente gli studiosi considerano l’iniziatore della religione ebraica.

Egli potrebbe avere subito l’influenza di concezioni ed esperienze eno-teiste maturate nell’ambito della cultura egiziana. Concezioni ed esperien-ze che sottopose a profondissima rielaborazione, arrivando a formulare l’ideadi un dio unico, creatore e universale.

Si ipotizza che Mosè abbia iniziato la sua predicazione presso nucleifamiliari accomunati da tradizioni condivise, che si consideravano legati davincoli di sangue.

Sembra certo, però, che lo stanziarsi degli Ebrei nei territori della Palestina non siastato, come la Bibbia racconta, un processo unitario e programmato, ma molto più com-plesso e di più lunga durata. Per giunta, non ha coinvolto solo gruppi provenienti dall’Egitto,ma anche altre tribù di seminomadi ebrei e si può inquadrare nel più vasto movimento migra-torio di popoli aramaici che, tra la fine dell’Età del Bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro, interes-sò la Siria e la Mesopotamia.

Infatti pare che ciascun gruppo ebraico avesse la propria tradizione in merito alle modalitàcon le quali si era insediato in Palestina. La narrazione biblica, quindi, rappresenterebbe latradizione di un solo gruppo, quello che nella Bibbia viene chiamato tribù di Beniamino.

Il popolo ebraico penetrò nella Terra di Canaan e passò alla conquistamilitare delle piccole città-stato che vi facevano parte passando da est, attra-verso il fiume Giordano.

Insediatisi stabilmente in Palestina gli Ebrei passano dalla pastorizia al-l’agricoltura e iniziano a maturare una spiccata coscienza della propria iden-tità culturale. In questo periodo inizia la vera e propria storia del loro popo-lo: eleggono dei giudici, capi scelti in virtù di elevate qualità morali e reli-giose; si organizzano nelle 12 tribù d’Israele; oltre all’agricoltura inizianoad esercitare il commercio. Devono, però, difendere il loro territorio dallemire degli altri popoli della regione, i Cananei e i Filistei.

Allo scopo di rafforzare la propria unità, intorno al 1020 a.C. le 12 tribùeleggono un re: Saul. Gli succede Davide, che sconfigge i Filistei e crea unoStato ebraico con capitale Gerusalemme.

Re Salomone, figlio di Davide, dà al piccolo Stato ebraico un’organiz-zazione accentrata, assai simile a quella delle grandi monarchie orientali:istituisce una burocrazia centralizzata e divide il territorio statale in di-stretti per effettuare la riscossione delle tasse, provvedimento che solleva ilmalcontento popolare. Durante il suo regno il popolo ebraico conosce unperiodo di notevole espansione economica grazie al commercio, soprattut-

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Capitolo Quarto50

to all’esportazione del rame; mentre resterà proverbiale il suo comporta-mento irreprensibile nell’amministrazione della giustizia.

Eppure, alla morte di Salomone (933 a.C.), a causa di spinte centrifughee contrasti istituzionali, lo Stato ebraico si divide in due regni: quello diIsraele a nord, con capitale Samaria, e quello di Giuda a sud, con capitaleGerusalemme. Il regno di Israele conosce vicende molto turbolente, a causadi contrasti interni e della pressione delle popolazioni dell’est e del nord,che, sottomesse da Davide, alla morte di Salomone rivendicano e ottengonola loro indipendenza anche grazie al fatto che si era ricostituito il regnoaramaico di Damasco. Il regno di Giuda, invece, prospera prima di subire ladistruzione di Gerusalemme (586 a.C.) e la deportazione del popolo in Me-sopotamia ad opera di Nabucodonosor («cattività babilonese»).

Gli Ebrei tornano in Palestina quando Ciro, re dei Persiani, conquista laMesopotamia (539 a.C.). Nell’anno 1 d.C. l’imperatore Augusto trasformala Giudea in provincia romana, atto iniziale di una dominazione che costrin-gerà gli Ebrei a disperdersi nel mondo. La celeberrima «diaspora» vedrà ilpopolo ebraico stabilirsi in molteplici zone del Mediterraneo e d’Europa,ma sempre fermamente ancorato alle proprie tradizioni.

Tavola cronologica

c.a 3000 a. C.: I Fenici si stabiliscono in Libano.XVII-XVII sec. a.C: Abramo conduce gli Ebrei in Palestina.1600 - 1100 a.C.: Affermazione della città fenicia di Sidone.1200 a.C.: Gli Ebrei lasciano l’Egitto.1010 a.C.: Le 12 tribù d’Israele eleggono re Saul.1010 a.C.: Davide sconfigge i Filistei.965 a.C.: Salomone diventa re.933 a.C.: Divisione del regno ebraico in regno di Israele e regno di Giuda.IX sec. a.C.: Prime colonie fenicie nel bacino del Mediterraneo.814 a.C.: Fondazione di Cartagine.600 a.C.: I Fenici circumnavigano l’Africa.586 a.C.: Nabucodonosor distrugge il tempio di Gerusalemme, e dà vita alla

deportazione degli Ebrei in Mesopotamia539 a.C: I Persiani conquistano la Mesopotamia e Gli Ebrei tornano in Pale-

stina.450 a.C.: I Fenici raggiungono l’Irlanda.

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51Fenici ed Ebrei

GlossarioEnoteismo: si tratta di una forma di culto intermedia tra politeismo e monoteismo in cuiviene venerata in particolar modo una singola divinità senza tuttavia negare l’esistenza dialtri dèi che possono essere venerati anche se considerati inferiori.

Monolatria: molto simile all’enoteismo, la monolatria consiste nell’adorazione di una soladivinità tra le altre, ma esclude il culto di altri dèi.

Patriarca: nell’ebraismo è il titolo dei più antichi personaggi della Bibbia dai quali disceseil popolo ebraico. L’elenco e le vicende di questi antichi personaggi sono riportati nel librodella Genesi.

Suffeta: è il titolo della più alta carica di Cartagine, ma questa magistratura era presenteanche in altre città fenicie. I suffeti erano due, duravano in carica un anno e la loro impor-tanza era paragonabile a quella dei consoli dell’antica Roma. Il termine è presente anchein ebraico e in diverse altre lingue semitiche con significato di «giudice». Presso gliEbrei, infatti, questa carica fu per un certo tempo la magistratura suprema (i «Giudici»che appaiono nel Libro dei Giudici).

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CAPITOLO QUINTO

L’IMPERO CINESE E LA CIVILTÀ INDIANA

Sommario: 1. La Cina. - 2. L’India.

1. LA CINA

La presenza di una civiltà sulle rive del «Fiume Giallo» risale al VI mil-lennio a.C., come dimostra il rinvenimento di fossili e di utensili di pietranella valle dell’Huang-ho — nome del Fiume Giallo — e dello Yang-Tze-Kiang (o Fiume Azzurro), che scorre parallelo al primo.

Le antiche leggende della tradizione orale, che vengono raccolte e datate cronologicamen-te soltanto nel I millennio a.C., riferiscono che all’inizio della storia cinese si succedono tresovrani e cinque imperatori, che per secoli verranno indicati come modelli di buon governo.Essi avrebbero, infatti, dettato le prime norme di vita sociale e di diritto e avrebbero fattoeseguire lavori di bonifica e di canalizzazione delle acque dei fiumi.

I primi abitatori della Cina sono dediti prevalentemente all’agricoltura evivono in villaggi costruiti su terrazzamenti naturali lungo le rive dei fiumi.Le attività principali sono la coltivazione del riso e l’allevamento di animalidomestici. La popolazione agricola vive in ripari scavati nel suolo o costru-iti con paglia e argilla e si serve di utensili di pietra. Solo intorno al 2000a.C. i Cinesi iniziano a usare i metalli, nello stesso periodo in cui ha inizioin Egitto e in Mesopotamia l’età del bronzo.

A) Le dinastie ereditarie

La fase storica della civiltà cinese prende avvio con l’avvento delle di-nastie ereditarie, che si succederanno al governo del paese fino al 1912. Laprima dinastia storicamente accertata è quella degli Shang (ca. 1500 -1027 a.C.), durante la quale si sviluppa una civiltà di tipo urbano caratteriz-zata dalla lavorazione del bronzo e dalla comparsa della scrittura a carat-teri ideografici, la stessa che, con comprensibili modificazioni, è alla basedell’attuale sistema di scrittura cinese.

L’impero Shang è ancora un piccolo regno circondato da altri regni di minore importanza,basati su un’organizzazione agricola e sul sistema della schiavitù. È uno Stato che ha conno-

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53L’impero cinese e la civiltà indiana

tati feudali: i contadini, che rappresentano la maggioranza della popolazione, sono obbligati aversare tributi ai nobili.

La dinastia Shang lotta a lungo contro le tribù della Mongolia, dallequali apprende l’allevamento dei cavalli e l’uso del carro da guerra. Leincursioni di questi popoli, però, indeboliscono lo Stato degli Shang e nel Imillennio a.C. finiscono per travolgerlo.

In particolare, gli Shang cadono sotto il dominio delle tribù guerrieredei Chou, provenienti dalla Cina settentrionale, che fondano la dinastiapiù lunga della storia della Cina (1027 a.C. - 222 a.C.). Essi allargano iconfini dell’impero e fanno proprio il sistema feudale inaugurato dalla di-nastia Shang, consolidandolo all’interno del paese.

Progressivamente, però, i feudatari acquisiscono sempre più potere e sirendono indipendenti dalla dinastia regnante, la cui autorità presto si annulla.

Evento emblematico della perdita di prestigio da parte del potere centra-le è la distruzione, nel 771 a.C., della capitale (Chang’an) ad opera di tribùdi barbari.

Tra il 771 e il 481 a.C. il territorio cinese è suddiviso in numerosi Statiregionali, ciascuno dei quali, pur riconoscendo formalmente l’autorità delmonarca, ambisce ad acquisire l’egemonia. Essi danno vita a violente lotteche conoscono tra il VI e il III secolo il periodo di maggiore asprezza, pas-sato alla storia con il nome di Periodo dei Regni combattenti.

Nonostante, e quasi a dispetto della profonda instabilità politica, il Peri-odo dei Regni combattenti è ricordato per avere visto una notevole fioritu-ra non solo culturale ed artistica (per esempio, con la gigantesca figuradel filosofo Confucio e la grande poesia del poema Li-sao di Ch’ii Yiian)ma anche economica e tecnologica (per esempio, con l’introduzione distrumenti di ferro e di nuove tecniche agricole).

Ad esso porrà fine l’emergere del regno di Ch’in come potenza egemo-ne nel 249 a.C. Il monarca del regno di Ch’in assume il titolo di «Shi HuangDi» (Primo Imperatore) e si fa promotore di riforme e lavori pubblici fina-lizzati a consolidare l’unità dello Stato. La dinastia Ch’in fu la prima a re-gnare su scala nazionale eliminando gli stati feudali e operando per l’unifi-cazione del paese non solo dal punto di vista politico, ma anche giuridico.

B) La Grande Muraglia

Sarà il Primo Imperatore a far costruire la Grande Muraglia, l’impo-nente fortificazione che si distende lungo il confine nord della Cina.

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Capitolo Quinto54

La costruzione di muraglie difensive era, a dire la verità, una praticainiziata dai vari stati che si contendevano il potere, molto prima della con-quista del trono da parte di Shi Huang Di. Tuttavia, al primo imperatore sideve l’edificazione di ben 2.000 degli oltre 7.000 kilometri che costituisco-no la muraglia, che doveva proteggere l’impero finalmente unito dalle scor-rerie dei popoli nomadi.

È bene sottolineare, però, che l’aspetto attuale dell’opera — interamente in pietra contorri di guardia disposte ad intervalli regolari — si deve a lavori di rafforzamento iniziatisolo nel 1421 d.C. Nel III secolo a.C. essa era costituita per lo più da un semplice terrapieno eda torri di guardia da esso indipendenti, anche se già nei secoli immediatamente successivi sicominciò a rafforzarla con legno, sassi e ghiaia.

Fu, comunque, un’efficiente via di comunicazione in quanto sulla sua sommità scorrevauna strada lastricata facilmente percorribile da uomini e carri.

Canti popolari hanno celebrato per secoli questa incredibile opera umana, dichiarata dal-l’Unesco patrimonio dell’umanità.

C) Le dottrine religiose

Nel periodo tormentato dei Regni combattenti si diffonde in Cina unaoriginale corrente di pensiero, destinata a lasciare un’eredità fondamentalenello sviluppo della cultura e della religione del popolo.

Nel disordine generale prodotto dalle lotte feudali il maestro K’ung-fu-tzü, il cui nome viene più tardi occidentalizzato in Confucio, si fa promoto-re di una lotta per la riconquista della pace e dell’ordine universale. L’inse-gnamento di Confucio non è una vera e propria dottrina religiosa, mauna sorta di filosofia esistenziale, una lezione di comportamento, sia per igovernanti che per i governati.

L’insegnamento di Confucio ha costituito per duemila anni il codice di comportamentodella vita etica, religiosa e politica dei Cinesi. Col passare del tempo e con l’introduzione delbuddismo in Cina, l’insegnamento di Confucio è stato soggetto, tuttavia, a continue modifica-zioni che ne hanno alterato in parte il significato originario. Quella di Confucio è una moralearistocratica, che riflette la civiltà feudale del suo tempo. Sia i riti religiosi che la vita socialesono regolati da un rigido sistema di diritti e doveri. I princìpi di Confucio furono alla basedella politica imperiale dei Ch’in e costituirono l’ideologia della potente burocrazia.

Il confucianesimo, comunque, non è l’unica dottrina che si diffonde nel-la Cina antica. Dopo Confucio un altro saggio, Lao-Tzu, propone una nuovavisione del mondo, più spirituale e mistica rispetto al confucianesimo eal suo apparato di norme politiche e morali. Questa dottrina, il taoismo,prende il nome dal Tao, che Lao-Tzu e i suoi discepoli considerano il prin-

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55L’impero cinese e la civiltà indiana

cipio eterno di tutte le cose. Esso non è però una divinità separata dal mon-do, ma è l’elemento che costituisce tutte le cose. Al moralismo dei confu-ciani il Tao oppone un ideale di vita autonoma in cui ciascuno si conformaai ritmi della vita dell’universo, praticando amore, umiltà e temperanza. Laconcezione taoista dell’esistenza influenza anche la politica. Lo Stato, com-posto da uomini che si accontentano della propria condizione, deve essereguidato da un capo saggio che predichi per sé e per il suo popolo la modera-zione.

D) La civiltà cinese

Gli scavi archeologici eseguiti in varie zone della Cina nordorientalenell’ultimo sessantennio hanno permesso di accertare che, già molto primadel III millennio a.C., le popolazioni di quella regione piantavano alberi,praticavano l’agricoltura (basata principalmente sulla coltivazione del mi-glio), allevavano soprattutto maiali, conoscevano la tessitura e facevano usodel cuoio. In una provincia orientale della Cina sono stati inoltre scopertichicchi di riso e vomeri di aratro fatti con ossa di animali e risalenti a unperiodo compreso tra il V e il IV millennio a.C. Da quell’epoca i Cinesihanno conservato un particolare attaccamento alla terra: si pensi che, anco-ra oggi, il 60% della popolazione attiva cinese si dedica all’agricoltura.

Le tracce più copiose e, naturalmente, più certe della civiltà cinese sonoquelle rinvenute nella capitale della dinastia Shang e relative a un periodo incui era stata già inventata la scrittura (metà del II millennio a.C.), la qualeveniva spesso praticata su supporti quali le scapole dei buoi e sugli scudidelle tartarughe e usata per trarre oracoli (si parla per questa ragione di ossaoracolari). I testi decifrati mostrano, tra l’altro, l’interesse antichissimo deiCinesi per l’astronomia e la matematica; essi, comunque, si dedicaronocon profitto anche alla medicina.

Si è potuto accertare che presso quelle popolazioni era in uso un calen-dario basato sulle fasi lunari, con la suddivisione dell’anno in mesi. Unciclo di dieci numeri in ordine progressivo (detti «gli steli del cielo») e unciclo di dodici numeri (detti «rami della terra») indicavano i nomi dei giornie forse anche dei mesi. Sulle ossa oracolari sono state anche trovate notiziedelle eclissi e i nomi di alcune costellazioni, chiamate dai Cinesi «case dellaLuna».

La nomenclatura che abbiamo riferito rispecchia la delicatezza e la sen-sibilità di quelle popolazioni, cui va anche il merito di aver inventato —

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Capitolo Quinto56

oltre 3.000 anni prima di Cristo — la musica, da essi considerata «espres-sione dell’unione tra cielo e terra». L’importanza attribuita all’arte musicaleè testimoniata dal fatto che essa figurava tra le sei arti insegnate da Confu-cio (le altre erano: i riti, il tiro con l’arco, la guida dei carri, gli annali storici,il calcolo).

Ricca e raffinata è anche la ceramica che, già presente nel periodo neo-litico (III millennio a.C.), si traduce nelle splendide porcellane dell’epocaShang, quando — come si apprende da ritrovamenti del 1952 — erano inuso la ruota da vasaio e gli stampi. Nello stesso periodo (metà del II millen-nio a.C.), le donne coltivano il gelso per l’allevamento del baco da seta;legate a quest’attività sono pure la tessitura e la manifattura di stoffe pregia-te. Molto più tardi (II sec. a.C.) i Cinesi inventano la carta, che l’Occidenteconoscerà solo molti secoli più tardi, grazie agli arabi.

E) Lingua e scrittura

Nell’antica Cina si parlavano una molteplicità di dialetti, i quali, sebbe-ne facessero tutti capo a una lingua appartenente alla famiglia sino-tibetana,rendevano difficile la comunicazione tra le varie comunità. Fu questa laragione per la quale il fondatore dell’impero, Ch’in, provvide all’unifica-zione della scrittura.

Il cinese antico, come quello moderno, era una lingua monosillabica,composta cioè di parole formate da una sola sillaba, rappresentata grafica-mente da un ideogramma. Nella decifrazione delle ossa oracolari si sonocontati circa 5.000 ideogrammi, che, tenuto conto della naturale evoluzio-ne, sono ancora alla base della scrittura cinese.

I primi documenti scritti risalgono, come sottolineato in precedenza, alII millennio a.C. e si tratta di brevissime iscrizioni; di poco posteriore è unaraccolta di poesie (Libro delle odi) che rappresenta la prima opera storico-letteraria.

Con il confucianesimo e il taoismo cresce la produzione letteraria, pre-valentemente in forma di «massime» e «precetti». Bisognerà, comunque,attendere il II sec. a.C. per le prime compilazioni storiche.

2. L’INDIA

La penisola indiana che si protende nell’Oceano Indiano tra il Mar Ara-bico e il Golfo del Bengala vede fiorire tra il 2400 e il 1500 a.C. una culturadalle caratteristiche di urbanizzazione sorprendentemente evolute. Essa è

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57L’impero cinese e la civiltà indiana

conosciuta come «civiltà della valle dell’Indo» perché si sviluppa — comela coeva cultura sumerico-babilonese — nell’alluvio di un fiume, l’Indoappunto. Alla cultura sumera è legata anche da stretti rapporti commercialiattraverso l’emporio di Dilmun.

A) I Dravidi

La nascita della cultura della valle dell’Indo si deve ad una popolazionela cui origine rimane incerta (si suppone mongola), i Dravidi, stanziatisi inIndia a partire dal 4000 a.C. I due centri maggiori sono Harappa e Mohenjo-Daro, che congetture diverse vogliono appartenenti ora ad un solo regno (dicui Harappa sarebbe stata la città più importante) ora — ma è un’ipotesimeno probabile — a due regni differenti. Si sa, comunque, che le due città,distanti più di 500 kilometri l’una dall’altra, potevano comunicare graziealla navigazione dell’Indo.

Originariamente agricoltori, i Dravidi diventeranno abili costruttori dicittà.

Gli scavi documentano che il nucleo centrale delle città dravidiche vie-ne edificato sulla base di un preciso piano regolatore. Le indagini archeolo-giche hanno inoltre riscontrato la presenza di un sistema idraulico moltoevoluto: non solo le case erano dotate di pozzi, ma spesso anche di stanze dabagno e di un curatissimo sistema di condotte di scarico che corre al di sottodel livello stradale.

Le città hanno pianta quadrangolare, le case sono piuttosto spartane ecostruite su più piani, forse per limitare i danni di periodiche piene dell’In-do.

Oltre all’agricoltura, i Dravidi praticano la lavorazione dei metalli el’artigianato della terracotta e dell’avorio. Molto sviluppato è anche ilcommercio fluviale.

Rimangono oscure le ragioni della scomparsa di una cultura cosìevoluta. Si ipotizza che possano essere intervenuti fattori naturali, comedevastanti piene dell’Indo, o sconvolgimenti sociali, come l’invasione dipopoli esterni. Ma non è escluso che questi sconvolgimenti siano stati pre-ceduti da un periodo di decadenza politico-economica.

B) Gli Arii

Provenienti molto probabilmente dall’Asia centrale, gli Arii, pastorinomadi di stirpe indoeuropea, giungono in India in due ondate successive,

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Capitolo Quinto58

tra il 1500 e il 1000 a.C., stanziandosi prima nel bacino superiore del fiumeIndo e spingendosi, successivamente, nella valle del Gange e, infine, nelvasto tavolato del Deccan. Con i loro carri da guerra trainati da cavalli, gliArii ebbero facilmente ragione delle preesistenti popolazioni dravidiche.

Sappiamo molto poco degli Arii, sia perché queste popolazioni nonconobbero la scrittura se non molto tardi sia perché non si conservanomolte testimonianze archeologiche relative alla loro civiltà. Ciò che co-nosciamo si deve ai testi magico-religiosi dei Veda (di cui parleremo piùavanti).

Anche nella penisola indiana gli Arii continuano a dedicarsi alla pastori-zia, organizzandosi però in tante tribù agricole, destinate a trasformarsi poiin piccoli regni, con a capo, ciascuno, un sovrano assoluto, detto rajah.

Ciascuna di queste unità statuali era però organizzata sul territorio inmodo piuttosto complesso. Per quel che sappiamo gli Arii non perseguonoalcuna forma di accentramento amministrativo e politico: anzi, frequenticontrasti sia interni sia esterni e una conseguente instabilità rimarranno persecoli tratti costanti della regione. Complessa era anche l’organizzazionesociale, alla cui base era la famiglia patriarcale. Il sistema di relazioni socia-li tra le famiglie era il gotra. In età tarda da questa rete di relazioni emerseprogressivamente un sistema di caste, che, come vedremo si fece semprepiù rigido.

C) Le religioni

Poco o nulla si sa dell’antica religione dei Dravidi, mentre sembra certoche gli Indo-arii introdussero nelle regioni conquistate la religione vedica(da Veda che significa «sapere, conoscenza»), esposta in quattro libri sa-cri, raccolti e scritti in lingua sanscrita più tardi, sulla base di una tradizioneorale che risaliva al 1500 circa a.C.

Gli Indo-arii erano politeisti e adoravano gli astri e le forze della natura.I loro dèi principali sono: Varana (signore del mondo, degli dèi e degli uo-mini), Mithra (dio del bene), Indra (dio del cielo), Surva (dio del Sole),Agni (dio del fuoco). Al di sopra degli dèi sta però l’elemento fondamentaleda cui ha origine ogni forma di vita celeste e terrestre: il Brahman (essenzaeterna di tutte le cose).

La casta sacerdotale valorizza via via sempre più questo aspetto dellereligioni e attribuisce enorme importanza al rito, capace di conferire sia aglidèi che agli uomini forza e potenza.

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59L’impero cinese e la civiltà indiana

Pertanto, a partire dall’VIII sec. a.C., l’esegesi che i sacerdoti (o brah-mani) fanno dei libri Veda modifica in modo sostanziale la primitiva religio-ne, trasformandola nel brahmanesimo, che decreta, sia dal punto di vistareligioso che sociale, il predominio della casta sacerdotale.

La nuova religione venera una Trimurti («trinità»), costituita da Brahma(dio creatore), Vishnù (dio del bene) e Shiva (dio del male).

Dalla eterna lotta tra il principio del Bene e quello del Male scaturiscono per l’uomo lasofferenza e il dolore e, quindi, la necessità della purificazione. Questa può essere raggiuntaattraverso la trasmigrazione delle anime (o metempsicosi), cioè nella successiva reincarnazio-ne in corpi di uomini o di animali, fino al raggiungimento del nirvana (stato dell’individuo cheha estinto in sé ogni desiderio e passione).

Col brahmanesimo le caste diventano più rigide e ciò, alla lunga, si dimostra un serioostacolo allo sviluppo civile dell’India, essendo un fattore di conservazione sociale. Infatti,poiché non è possibile il passaggio da una casta all’altra, tutti rimangono legati allo stato socia-le e all’attività svolta dai padri e il matrimonio tra appartenenti a caste diverse viene rigorosa-mente proibito.

Le caste principali sono quattro (oltre alle numerose sottocaste):

— la prima è quella dei brahmani, o sacerdoti, cui è affidato, tra l’altro, il compito di conser-vare, studiare e interpretare i libri sacri; ai brahmani spetta anche la scelta del re, cheappartiene alla classe dei guerrieri, ma che viene preventivamente educato e preparato allasua funzione;

— alla seconda appartengono i satriya (o guerrieri), il cui compito principale consiste nelladifesa dei brahmani;

— la terza è costituita dai vaishya (agricoltori, mercanti e artigiani);— la quarta ed ultima casta — quella dei shudra — comprende i contadini e i servi.

Al di sotto delle caste si trovano i paria («schiavi, popoli vinti»).

Nel VI secolo a.C. il dispotismo oppressivo dei brahmani e l’eccessivoritualismo della vita religiosa provoca per reazione il sorgere di due nuovereligioni. La prima, il giainismo (da Jina che significa «il vittorioso», epite-to dell’asceta Mahavira che predicò questa religione), nega l’esistenza de-gli dèi e, quindi, l’origine divina dei libri Veda, ridimensionando, così, l’au-torità dei brahmani.

La seconda ha per fondatore il figlio di un rajah, Gautama, detto poi ilBuddha («l’illuminato»), che annuncia una nuova dottrina di salvezza. Se-condo il buddhismo, l’esistenza umana è fonte di dolore; il dolore è cau-sato dall’attaccamento al piacere. Per raggiungere la salvezza (estinzionedel dolore o nirvana) non è, quindi, necessaria la metempsicosi, ma basta ilsuperamento del desiderio, praticando la rettitudine in tutte le manifestazio-

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Capitolo Quinto60

ni spirituali e materiali. Da tale dottrina scaturisce l’eguaglianza tra gliuomini e, quindi, l’inaccettabilità delle caste. Le teorie del Buddha, aspra-mente combattute dai brahmani, ebbero larga diffusione, più che in India, inaltre regioni dell’Asia.

Un discorso a parte merita l’induismo (da Hindu parola con cui i Per-siani chiamavano il fiume Indo). Esso corrisponde, in senso stretto, all’evo-luzione religiosa dell’India dopo il periodo vedico ed è quindi databile nelIII sec. a.C. Tuttavia, con il termine induismo si vuole intendere oggi tutto ilmondo religioso indiano, nelle sue numerose e diverse manifestazioni, apartire dal secondo millennio a.C. L’induismo, infatti, più che una religioneben definita, è un complesso di dottrine, riti e credenze, cui non corri-spondeva (e non corrisponde, oggi) un’organizzazione di vertice della qualele varie comunità potessero considerarsi emanazione. Di qui, perciò, un cultomolto differenziato, ispirato alle più antiche tradizioni locali, se non addi-rittura familiari. Del resto, ancora oggi l’India è caratterizzata da una molte-plicità di lingue e di sette religiose.

D) La letteratura

Un aspetto molto importante della cultura indiana è costituito dalla let-teratura, che è la più antica e copiosa tra quelle delle stirpi indoeuropee. Aquesto patrimonio letterario appartengono:

— testi sacri, tra i quali, oltre ai libri Veda, vanno ricordati i Brahmana(commenti e interpretazioni dei brahmani ai Veda) e gli Upanishad (scrittifilosofici dell’induismo, divenuti poi la parte conclusiva dei Veda);

— narrazioni epiche, che comprendono i due grandi poemi Mahabharatae Ramayana. Il primo è composto da circa 250.000 versi ed è il piùampio della letteratura universale: corrisponde infatti a sette o otto voltel’Iliade e l’Odissea insieme. È, dunque, poco credibile che sia opera diun solo autore. In proposito, la tradizione ricorda il brahmano Vyasa,vissuto tra il II e il III sec. d.C., il quale, tutt’al più, avrebbe potutoraccogliere e riordinare materiale che risale, in parte, al VII sec. a.C. Nelpoema sono narrate, in particolare, le gesta per la conquista dell’Indo-stan. Il Ramayana narra, invece, le imprese di Rama, il conquistatore delDeccan. È attribuito a Valmiki (I sec. a.C.), ma anche questi ha, probabil-mente, solo riorganizzato materiale epico molto più antico.

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61L’impero cinese e la civiltà indiana

Tavola cronologica

ca. 6000 a.C.: Primi insediamenti nella valle dell’Huang-ho.III millennio a.C.: I Dravidi si stanziano nella penisola indiana.3300 - 1300 a.C.: Civiltà della valle dell’Indo.ca. 2000 a.C.: I Cinesi iniziano a usare i metalli.ca. 1500 - 1027 a.C.: Dinastia Shang in Cina (regno unitario).1500 - 1000 a.C.: Gli Arii invadono la penisola indiana.ca. 1500 a.C.: Comparsa della scrittura in Cina.1027 a.C. - 222 a.C.: In Cina la dinastia Shang viene spodestata dalle tribù guerriere dei

Chou.VIII sec. a.C.: Nascita del brahmanesimo in India.VI sec. a.C.: Nascita del giainismo e del buddismo in India.VI-III sec. a. C.: Periodo dei Regni combattenti in Cina.III sec. a.C.: Inizia la costruzione della Grande Muraglia.

In India nasce l’induismo.249 a.C.: Impero di Ch’in in Cina.II sec. a.C.: I Cinesi inventano la carta.

GlossarioConfucianesimo: è una delle maggiori scuole filosofiche, morali, politiche e, in un certosenso, religiose che la Cina abbia mai conosciuto. In esso non vengono mai trattate questio-ni che trascendono l’esperienza umana, quali la salvezza dell’anima e le conseguenze dellamorte, per questo motivo è difficile considerarlo una religione in senso stretto. Il confucia-nesimo fu imposto come dottrina di stato sotto l’imperatore Han Wudi (156-87 a.C.) ed èrimasto tale fino alla fondazione della Repubblica di Cina nel 1911.

Hindu: da questo termine deriva la parola induismo. Storicamente Hindu non faceva rife-rimento a un sistema di credenze religiose ma era il nome con il quale i Persiani indicavanoil fiume Indo. All’epoca della dominazione araba della regione indiana il termine fu usatoper designare gli indigeni indiani non convertiti all’Islamismo. Dopo la colonizzazionebritannica, Hindu fu impiegato per indicare un insieme variabile di credenze religiose.

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CAPITOLO SESTO

I POPOLI INDOEUROPEI

Sommario: 1. Le origini. - 2. Gli Ittiti. - 3. I popoli iranici: Medi e Persiani. - 4. Laciviltà minoica. - 5. La civiltà micenea. - 6. Lingua e scrittura a Creta e a Micene.

1. LE ORIGINI

Nel Vicino Oriente Accadi, Babilonesi, Eblaiti, Egiziani, Assiri, Ebrei,Fenici diedero origine a civiltà diverse, ma accomunate da affinità linguisti-che, da istituzioni politiche e sociali simili e da concezioni religiose che, adeccezione di quella ebraica, avevano un denominatore comune nel politei-smo e nella divinizzazione di aspetti della natura.

Nel II millennio a.C. si verifica un fenomeno nuovo che spezza l’omo-geneità etnica di questo mondo: la prima migrazione di popoli indoeuro-pei, provenienti da una zona compresa fra l’Europa e l’Asia, precisamentetra la valle del Danubio e gli Urali.

A) Unità linguistica

Il termine «Indoeuropei» viene usato per indicare, dunque, un gruppo dipopoli stanziatisi anticamente in un’ampia fascia che va dall’Asia occiden-tale fino all’Europa e che parlano lingue derivate da un unico ceppo; gliIndoeuropei costituiscono quindi, secondo gli studiosi, una famiglia lin-guistica, e non una razza omogenea.

Verso il 1200 a.C., con una seconda ondata migratoria, gli Indoeuropeidilagano in tutta l’Europa, talvolta fondendosi con i popoli sedentari cheincontrano, talvolta dando origine a nuove civiltà. Gli studiosi li hanno chia-mati Indoeuropei perché, dopo le due grandi ondate migratorie, i loro spo-stamenti interessano un’area vastissima che va dall’India alla Russia, al-l’Iran, alla Spagna, all’Italia.

Sono classificate come indoeuropee le lingue indiane (tra le quali il sanscrito), quelleiraniche, l’armeno, il frigio, il trace, il greco, il macedone, l’illirico, l’osco-umbro latino, lelingue celtiche, germaniche, balto-slave, l’ittito e il tocarico. Dalle numerose affinità tra questelingue, e da quanto conosciamo attraverso la documentazione storica e archeologica sui popoliche le parlavano, si possono individuare alcuni elementi comuni; ciò ha spinto gli studiosi acredere che essi possano derivare da un unico antichissimo popolo, la cui lingua originaria può

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63I popoli indoeuropei

essere solo ricostruita artificiosamente. In questa immensa area si diffondono lingue che deri-vano da un unico ceppo. La lingua che gli abitanti delle steppe dell’Asia centrale hanno portatoin Europa si fonde con quella dei popoli insediatisi nelle regioni europee originando idiomidiversi, ma che conservano una matrice comune.

Confrontando, per esempio, la parola madre col francese mère, con l’inglese mother, coltedesco motter e risalendo ai corrispondenti termini latino mater e greco méter, si giunge allaradice indoeuropea «mat», che designava la madre tra gli antichi popoli dell’Asia centrale.

Itinerario delle grandi migrazioni indoeuropee

B) Caratteristiche sociali e religiose

Studi recenti individuano la sede originaria del popolo indoeuropeo nel-la regione tra la Russia meridionale e il Turkestan, da dove le varie tribùsarebbero migrate in tempi diversi, a partire dal 3000 a.C., in cerca di altreterre più adatte alla soddisfazione dei propri bisogni. Durante i loro sposta-menti, esse dovettero incontrarsi o scontrarsi con popolazioni indigene pre-esistenti imponendo la loro superiore cultura materiale e spirituale.

Gli Indoeuropei, infatti, praticavano la pastorizia e l’agricoltura, maconoscevano anche il cavallo, fabbricavano vasi d’argilla (un tipo di bic-chiere campaniforme reperito in varie parti di Europa, è indizio di una dellepiù antiche migrazioni indoeuropee) e lavoravano la pietra e il rame. Tipica-mente indoeuropea sembrerebbe la struttura patriarcale della famiglia,

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Capitolo Sesto64

organizzata come un grande clan tribale attorno al pater familias. La socie-tà è fortemente gerarchizzata con le donne e gli schiavi relegati in unaposizione di subalternità. La loro religiosità aveva al centro un dio supremoluminoso con caratteristiche che saranno poi proprie, ad esempio, dell’Ahu-ra Mazda dei popoli iranici, dello Zeus greco o del Giove latino.

2. GLI ITTITI

A) L’insediamento nella penisola anatolica

L’arrivo degli Ittiti in Anatolia, dalle steppe a nord del Mar Nero attra-verso il Caucaso è di difficile datazione. Resti assiri del XVIII secolo a.C.documentano la presenza nella penisola anatolica di genti i cui nomi denun-ciano un’appartenenza linguistica indoeuropea: sono le prime testimonian-ze della presenza ittita nell’area che diverrà il centro del loro impero.

Nella zona centrale e orientale della penisola anatolica sono stati ritro-vati resti che indicano la presenza — molto prima dell’arrivo degli Ittiti —di culture ricche e vitali. Queste avevano dato luogo a civiltà cittadine lequali, a giudicare dai resti di lavorazioni artigianali in nostro possesso, ave-vano raggiunto un livello culturale e un tenore di vita assai significativo.Con le città dell’Anatolia gli Assiri avevano instaurato proficui e stabili rap-porti commerciali. Non a caso le testimonianze in merito alla presenza dellenuove popolazioni indoeuropee sono tratte dalla corrispondenza di mercan-ti assiri.

Come si erano innestati gli Ittiti nel tessuto della civiltà preesistente?Un’ipotesi credibile è che inizialmente le tribù indoeuropee costituisse-ro gli eserciti mercenari con i quali i sovrani locali si affrontavano incaso di dispute. La indiscutibile superiorità militare — in termini di tecni-che e strumenti — trasformò quelle popolazioni da semplici mercenari indominatori dell’intera area della penisola anatolica. Del resto, la potenzamilitare quale radice del potere sarà, come spiegato più avanti, la caratteri-stica peculiare della società e della civiltà ittita.

B) Dai trionfi militari al crollo dell’impero

La prima fase della dominazione ittita, il cosiddetto primo impero, hainizio nel XVI secolo a.C.

Il successo degli Ittiti è dovuto soprattutto all’uso del cavallo, che nelsecondo millennio è ancora sconosciuto ai popoli del Vicino Oriente, e del

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65I popoli indoeuropei

carro da combattimento, che si rivela uno strumento eccezionale su terrenipianeggianti.

Leggero e dotato di ruote a sei raggi, il carro da guerra è montato da un auriga e da duearcieri e viene lanciato a piena velocità contro gli schieramenti nemici. La conoscenza di que-ste tecniche belliche permette ai conquistatori ittiti di avere ragione rapidamente anche deipopoli che abitano le fertili pianure mesopotamiche.

Gli Ittiti estesero i loro domini anche nella Mesopotamia e nel 1530 a.C.giunsero a conquistare la stessa Babilonia, determinando il crollo del primoimpero babilonese dei successori di Hammurabi.

L’espansione del primo impero ittita subisce però una battuta d’arrestoad opera dei Mitanni o Hurriti, anch’essi probabilmente indoeuropei e pro-venienti dal Caucaso meridionale. L’impero ittita è indebolito in questo pe-riodo anche dalle contese tra i nobili per il trono.

Ricostituisce la potenza del regno il re Suppiluliuma, nel XIV secoloa.C., conquistando il territorio dei Mitanni e dando inizio al secondo impe-ro ittita. Le conquiste si spingono fino a minacciare l’Egitto; a Kadesh iconquistatori indoeuropei si scontrano con gli eserciti del faraone (1286a.C.).

Tanto la tradizione egizia quanto quella ittita ricordano trionfalistica-mente questa battaglia. Sembra, però, che il bilancio dello scontro sia statopesantissimo per entrambe le parti. Da allora i rapporti tra i due regni sinormalizzano, forse anche a causa del timore che in entrambi suscita lapotenza militare assira. Il re ittita Hattusil III, in particolare, instaura ottimerelazioni con l’Egitto che assicurarono decenni di pace in Oriente.

Dalla morte di Hattusil III, però, la potenza ittita comincia un’inesorabilee rapida decadenza: i «popoli del mare», di incerta provenienza, che hannogià invaso la Grecia si spingono in Asia Minore e, dopo aver distrutto la cittàdi Troia, penetrano all’interno della regione, mettendo fine all’impero ittita.

C) Organizzazione sociale e attività economiche

L’organizzazione statale degli Ittiti si configura come quella di una mi-noranza dominante in una monarchia di tipo feudale, per la posizione pre-minente che occupa in essa l’aristocrazia guerriera. Il loro Stato, però, nonha il carattere chiuso delle monarchie feudali, ma è caratterizzato da uninsieme di genti e di culture diverse che i sovrani indoeuropei devono am-ministrare ricorrendo a un’abile azione diplomatica. Le tavolette ritrovatenell’archivio del Palazzo di Hattusas ci hanno tramandato migliaia di lette-

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Capitolo Sesto66

re, trattati e documenti che testimoniano l’intenso scambio di relazioni di-plomatiche tra i sovrani ittiti e i popoli confinanti.

Anche il diritto testimonia l’impegno dei governanti di tenere uniti sottoil proprio dominio popoli diversi per cultura e istituzioni, come accadrà piùtardi con i Romani, anch’essi preoccupati di creare una salda organizza-zione statale.

Le due raccolte di leggi ittite giunte fino a noi testimoniano l’egemonia esercitata dallacasta dei guerrieri nella società; il diritto ittita dimostra, tuttavia, uno straordinario rispettoper la vita umana se lo si paragona alle leggi del Codice di Hammurabi, in quanto presso gliIttiti i reati, anche i più gravi, venivano puniti con ammende in denaro.

A differenza dei faraoni egiziani e dei re mesopotamici, il sovrano ittitanon ha carattere divino, né è un intermediario tra la divinità e il popolo,ma è un uomo eletto dall’assemblea dei nobili, i quali ne limitano il potereper tutto il periodo del regno. Anche quando, per rafforzare l’autorità delloStato, si attribuisce un’importanza maggiore alla funzione del re, cui ven-gono conferite prerogative sacerdotali per tentare di giustificarne la supe-riorità, la nobiltà continua a condizionare il potere monarchico.

Fanno parte del pankus, l’assemblea che elegge il re e ne avalla la suc-cessione dinastica, i capi delle famiglie più influenti per origine e ricchezza.I nobili, secondo una consuetudine che sembra anticipare le usanze del feu-dalesimo medioevale, distribuiscono terre ai loro sudditi, ne esigono servizie hanno alle loro dipendenze contadini, artigiani e servi.

Per quanto concerne invece le attività economiche, l’agricoltura è allabase dell’economia ittita: si coltivano orzo, frumento, vite, alberi da frutto;sono praticati anche l’apicoltura e l’allevamento di ovini e suini. Notevole èlo sfruttamento delle risorse minerarie (rame e argento).

La ricchezza dei giacimenti metalliferi dell’Asia Minore determina un fiorente sviluppodell’artigianato, oltre che nel settore della fabbricazione delle armi, nella lavorazione dei me-talli preziosi, come risulta dai numerosi oggetti rinvenuti nelle tombe.

Grazie alla favorevole posizione geografica della regione abitata dagli Ittiti, è attivo ancheil commercio.

Gli Ittiti praticano per secoli la lavorazione del ferro; dopo la cadutadell’impero, i loro fabbri diffondono quest’arte nei paesi in cui si trasferi-scono. Oggi, però, sembra piuttosto improbabile l’ipotesi che essi abbianoavuto il monopolio della metallurgia del ferro, come hanno sostenuto inpassato alcuni studiosi.

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67I popoli indoeuropei

È interessante notare come, almeno inizialmente, il ferro fosse considerato un materialeprezioso alla stregua dell’oro, e non venisse quindi usato per costruire armi.

Si conservano documenti risalenti ai primi tempi della presenza ittita in Anatolia (XVIIIsecolo a.C.) che parlano di scettri e troni di ferro. In realtà i resti di oggetti in ferro in nostropossesso contraddicono l’ipotesi che le popolazioni indoeuropee possedessero all’epoca leconoscenze tecniche necessarie a produrre manufatti in ferro di così grandi dimensioni. Tutta-via, il fatto che vengano menzionati proprio oggetti del genere dice molto del valore simbolicoattribuito al nuovo metallo.

3. I POPOLI IRANICI: MEDI E PERSIANI

A) La regione

L’area in cui si stanziano gli altri gruppi indoeuropei che sono tra i pro-tagonisti della prima ondata migratoria che interessa il Vicino Oriente, haun’estensione pari a tre volte la Francia ed è costituita da un vastissimoaltopiano centrale, prevalentemente desertico, circondato da montagne ripi-de, disposte in fasce di catene parallele dove la terra è più fertile.

Questi popoli indoeuropei chiamano se stessi Arii, cioè «signori», «no-bili». Il nome Iran, con cui si indica ancora oggi la regione da essi abitata,deriverebbe, infatti, dalla voce Airyanan («paese degli Arii»).

Durante l’età del ferro due principali gruppi di pastori nomadi si affer-mano come elemento dominante su tutto l’altopiano iranico: i Medi e i Per-siani. I primi si stabiliscono nella parte nordoccidentale dell’altopiano, trail mar Caspio e la Mesopotamia, mentre i secondi occupano la zona meri-dionale fino al golfo che da essi prende il nome di Persico.

B) L’impero medo

Inizialmente sono i Medi a imporre la propria supremazia, creando unvasto dominio che si estende fino alla Mesopotamia. Sono loro, infatti, adistruggere Ninive, la capitale dell’impero assiro, anche se dopo alcuni de-cenni sono soppiantati, come popolo egemone dell’intera regione iranica,dai Persiani.

Con il re Ciassare, che regnò dal 633 al 585 a.C. e si alleò con i Babilo-nesi contro l’impero assiro partecipando alla distruzione di Ninive (612 a.C.),i Medi formano un impero molto esteso che incorpora anche la Mesopota-mia settentrionale e la Cappadocia e ha per capitale Ecbàtana.

La mancanza di unità culturale e l’eccessiva diversità esistente tra lepopolazioni che facevano parte del dominio medo, rese l’impero dei Medipiuttosto fragile e ciò non tardò a rivelarsi alla morte di Ciassare. Il figlio

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Capitolo Sesto68

Astiage non è all’altezza del padre e con il suo regno inizia una fase didecadenza di cui approfitta un principe persiano vassallo, Ciro, che unificala Media e la Persia in un solo organismo statale sotto il predominio per-siano.

C) L’impero persiano

Ciro (558 a.C. - 529 a.C.) che fu poi detto il Grande, conduce una seriedi vittoriose imprese militari: abbatte il regno di Lidia e ne espugna lacapitale, Sardi; conquista Babilonia nel 538 a.C. e restituisce la libertà agliEbrei, concedendo loro di ritornare nella propria terra e di ricostruire Geru-salemme; sottomette la Siria, la Fenicia e la Palestina. A Ciro succede ilfiglio Cambise, che conquista l’Egitto, a sua volta seguito da Dario (522a.C. - 486 a.C.), con il quale l’impero persiano giunge il suo massimo splen-dore, non tanto per le conquiste di ulteriori territori — sotto di lui la potenzapersiana allargò i propri confini fino all’India — ma per la salda organizza-zione che seppe dare al vasto impero.

Dario suddivise, infatti, il suo dominio in 23 province dette satrapie (dal nome «satrapo»,ossia governatore) permettendo a ciascuna provincia di possedere leggi proprie, tradizioni ed unanobiltà locale. Stabilì un tributo in oro che ogni satrapia doveva versare all’erario centrale. Alcontrollo delle finanze in ogni provincia veniva posto un funzionario di assoluta fiducia del re.

Alla sua morte sale al trono Serse (486 a.C. - 465 a.C.), che combatte contro la Grecia perspezzarne l’egemonia nell’Egeo e in Asia Minore, considerata pericolosa per la Persia. Il regnodi Serse segna però l’inizio della decadenza dell’impero persiano, anche se, dopo la conquistamacedone e la formazione del regno ellenistico, esso rinasce come regno dei Parti, che ritro-veremo come irriducibili avversari dei Romani.

4. LA CIVILTÀ MINOICA

A) Il mito del Minotauro

Tra l’età del bronzo e quella del ferro fiorisce nell’isola di Creta unastraordinaria civiltà definita minoica, dal nome del mitico re Minosse, fi-glio, secondo il mito, di Zeus e di Europa e fondatore della monarchia cre-tese.

La leggenda, ricordata dallo storico Tucidide, narra che il re Minosse aveva avuto, perpunizione divina, un figlio dal corpo di uomo e dalla testa di toro, il Minotauro, e che pernasconderlo alla vista degli uomini, aveva fatto costruire un labirinto. Ogni anno sette giova-netti e sette fanciulle di Atene dovevano essere offerti in pasto al Minotauro, come tributo peruna sconfitta subita dai Greci.

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69I popoli indoeuropei

A partire da questa leggenda sono state fatte ipotesi in merito ad alcunecaratteristiche della storia di Creta:

— Minosse probabilmente non era un nome proprio, ma un appellativo delre, come faraone per gli Egizi;

— la figura del Minotauro si può spiegare con la consuetudine dei re cretesidi ornarsi di pelli di toro, simbolo di ricchezza e fecondità;

— il tributo dei quattordici giovani era in realtà un segno del predominio diCreta sulle città della penisola greca e un richiamo alla pratica dei sacri-fici umani, scomparsa poi con l’evolversi della civiltà;

— la leggenda di Teseo che uccide il Minotauro simboleggia la ribellionedei Greci alla dominazione minoica.

La verità è che i resti archeologici della civiltà minoica consentono benpoche congetture circa l’assetto politico interno e le forme di influenza chei regnanti dell’isola esercitavano al di fuori di Creta. Non è possibile quin-di confermare o confutare questa lettura del mito del labirinto.

Le stesse tracce di una presenza minoica in molte zone al di fuori di Creta (in particolare aCitera, un’isola vicina, che potrebbe avere ospitato un insediamento stabile) non sono conclu-sive in questo senso. Si deve inoltre tenere presente che il mito del Minotauro è solo parte di unpiù ampio racconto delle imprese di Teseo, antenato degli Ateniesi, che potrebbe essere statonarrato per legittimare il primato di Atene e per «competere» con le gesta di Eracle, associatead altre città greche ed in particolare a Sparta.

B) Periodizzazione

La civiltà che si sviluppa nell’isola di Creta risente degli influssi egizia-ni e orientali e influenza a sua volta la civiltà omerica e micenea (1600 -1150 a.C.), come hanno stabilito gli studi archeologici di Schliemann, Hal-bherr, Fabricius, Evans. Nella sua storia si distinguono tre periodi:

— antico minoico (3000-2000 a.C.);— medio minoico (2000-1600 a.C., l’età che produsse la celebre ceramica

di Kamares);— tardo minoico (1600-1450 a.C.).

Uno dei tratti distintivi della civiltà cretese è costituito dal fatto che gliabitanti dell’isola commerciano con civiltà del bacino del Mediterraneo (inparticolare quelle presenti nel Peloponneso e in Attica, nel Vicino Oriente ein Egitto), praticando talvolta anche la pirateria. Si esportano olio, grano,fichi, olive, miele, formaggio, pelli; si importano metalli con cui si lavoranofinemente oggetti, anche di oro, che vengono esportati.

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Capitolo Sesto70

C) L’architettura

I resti dei palazzi di Festo, Cnosso e Haghia Triada attestano un tenoredi vita raffinato e sfarzoso. Inoltre, l’assenza di una cinta muraria di prote-zione lascia pensare che la civiltà minoica fosse scarsamente militarizzata,o che non sentisse la necessità di proteggersi. Ciò ne decreta probabilmentela decadenza e la sparizione.

Il palazzo, oltre che residenza dei re, è anche il centro politico-ammi-nistrativo della città, la cui organizzazione è affidata a un’esperta buro-crazia: numerosi scribi registrano, su apposite tavolette, ogni atto della vitacivile.

L’imponente architettura dei palazzi cretesi, con il loro complicato intri-go di sale, corridoi e cortili, ne testimonia la funzione di centri della vitasociale. Essi comprendono, oltre agli uffici amministrativi, laboratori arti-giani, granai, frantoi e immensi magazzini che raccolgono i tributi in naturapagati dalle popolazioni sottomesse. Negli ampi magazzini si trovano i pro-dotti dell’isola, le anfore colme di olio e di vino, le merci destinate ai com-merci e quelle provenienti dai porti del Mediterraneo; nei teatri all’apertocircondati da gradinate si svolgono, durante le feste, i giochi acrobatici coni tori.

Il palazzo cretese si estende intorno a un vasto cortile lastricato dal quale partono numero-si ambienti, collegati tra loro da lunghi corridoi.

Costruiti a due o più piani, questi edifici hanno una pianta asimmetrica e si sviluppano sulivelli diversi, non seguendo la naturale pendenza del suolo, ma per mezzo di scavi eseguitinella collina. Numerose scale e terrazze uniscono i vari saloni, i magazzini, le sale del trono, lestanze da bagno ricche di affreschi e di suppellettili preziose. I complessi di Cnosso e di Festo,in particolare, rivelano un altissimo grado di abilità tecnica. La disposizione dei locali obbedi-sce a precisi disegni che tengono conto del clima, della luce, dell’aerazione degli ambienti edegli impianti idraulici.

D) La religione

Della religione cretese sappiamo molto poco. Un’interpretazione la vuolefondata sul concetto di fecondità e su una forte aspirazione alla vita ultrater-rena e alla felicità eterna. Tutto questo suggerirebbe un assetto sociale ditipo matriarcale. Alla Gran madre sarebbe attribuito ogni potere e anche ladivinità maschile, che ha come simbolo il toro, è subordinata ad essa.

Tra le feste di culto la più celebre sembra essere la tauromachia, dovegiovani di ambo i sessi si esibivano in acrobatici volteggi prima di decapita-re a fine sacrificale il toro con una scure a doppio taglio: la bipenne.

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71I popoli indoeuropei

Anche in questo caso, però, non abbiamo testimonianze scritte che par-lino di un rito del genere. Siamo di fronte, invece, a soltanto una delle pos-sibili ricostruzioni cui hanno dato luogo i dipinti e gli oggetti ritrovati inluoghi della vita religiosa minoica. In mancanza di testi che le confermino ole confutino, tutte le interpretazioni hanno pari dignità.

5. LA CIVILTÀ MICENEA

A) L’insediamento degli Achei in Grecia

Verso il 2000 a.C. i popoli indoeuropei si affacciano sul Mediterraneo.Mentre gli Ittiti si stanziano all’interno dell’Anatolia, altri gruppi si dirigo-no verso la penisola greca. Sono pastori e guerrieri e la loro comunità, comequella degli altri gruppi ariani, ha una struttura feudale, basata sulle assem-blee dei capi, uomini liberi e armati. Questi colonizzatori che si fondonocon le popolazioni preesistenti sono gli Achei di cui parla Omero ne l’Ilia-de, cioè gli Ahhijwa che i documenti degli archivi ittiti indicano come ipotenti vicini.

Pochi secoli dopo il loro insediamento, da rozzi e pacifici pastori essi sitrasformano in esperti navigatori che si volgono alla conquista delle isoledell’Egeo e delle fertili terre dell’Asia Minore.

Creta dista soltanto cento chilometri dalle coste abitate dagli Achei eperciò – lo abbiamo visto parlando della civiltà minoica – i navigatori crete-si frequentano i litorali del Peloponneso, come testimoniano gli oggetti dibronzo tipici dell’artigianato minoico rinvenuti in terra greca.

Questi contatti tra i due popoli contribuiscono a trasformare il sistema divita degli Achei. Anche essi iniziano a praticare il commercio marittimo e inbreve tempo la loro presenza nell’Egeo arriva a competere e a superare quellacretese.

B) Il regno di Micene

Dalla fine del XVI al XII secolo a.C. sorgono in Grecia diversi regniachei, il più noto dei quali è quello di Micene, che dà il nome alla civiltàdetta — appunto — micenea.

Come a Creta, anche nei regni micenei il palazzo reale è il centro del-l’attività politica, economica, culturale e artistica della comunità. Lìvengono raccolti e ridistribuiti alla popolazione grano, vino, olio, armi, tes-suti e oggetti lavorati. Questi prodotti provengono non solo dal lavoro dei

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Capitolo Sesto72

contadini e degli artigiani di palazzo, ma anche dalle esportazioni d’oltre-mare e dai bottini di guerra.

Benché i Micenei imitino i Cretesi nell’architettura e nello sfruttamento delle risorse (lacoltura della vite e dell’olivo e la metallurgia), la loro civiltà presenta un carattere completa-mente diverso. I resti delle fortificazioni e le scene di guerra riprodotte nelle opere d’arterimandano a una concezione di vita in cui la guerra ha un ruolo preponderante. Siamolontani, dunque, dalle eleganti e pacifiche abitudini cretesi. Il palazzo reale si sviluppa intornoal megaron, la sala dove si trova il focolare, e ha l’aspetto di una fortezza più che della residen-za lussuosa della corte.

C) Ipotesi sulla scomparsa della civiltà micenea

La fine della civiltà micenea sopraggiunge tra il XIII e il XII secolo a.C.Sopravvissuta – seppure ridimensionata – alla distruzione della maggiorparte dei palazzi alla fine del XIII secolo, la civiltà micenea scompare defi-nitivamente un secolo dopo.

Le cause di questo collasso ci sfuggono ancora, nonostante le ipotesiformulate colgano probabilmente parte della verità:

— potrebbe essersi trattato di catastrofici conflitti tra principi micenei o diguerre civili all’interno di ciascuna unità cittadina;

— potrebbe essersi verificato un evento naturale particolarmente dramma-tico come un cambiamento climatico che abbia compromesso irrepara-bilmente l’agricoltura micenea oppure un terremoto.L’ulteriore congettura che chiama in causa presunte invasioni di altre popolazioni della

Grecia sarebbe da scartare perché sembra improbabile che esse non abbiano lasciato alcunatraccia di sé nei siti micenei.

Essendosi trattato di un declino graduale, è probabile però, che le causeelencate abbiano agito insieme, dapprima creando forte instabilità e poiportando al collasso definitivo il popolo miceneo.

D) La religione

Nella religione di questa civiltà gli dèi sono rappresentati come uomini,per cui essa è antropomorfica (da ànthropos =uomo e morfè = forma).

Zeus è padre degli dèi — che abitano con lui sull’Olimpo — e degli uomini. Sua moglie èHera; i principali figli sono Athena, dea della sapienza, Ares, dio della guerra, Afrodite, deadella bellezza e dell’amore, Ermes, messaggero degli dèi e protettore del commercio, Febo,dio del Sole, della poesia e della medicina, Artémide, dea della caccia e del focolare, Demetra,dea delle messi. Poseidon, dio del mare, è, invece, fratello di Zeus.

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73I popoli indoeuropei

Gli dèi vivono come gli uomini e hanno le loro stesse passioni e i lorostessi desideri. Gli eroi sono glorificati come semidei. Vi sono, poi, moltedivinità intermedie, corrispondenti a fenomeni della natura. Il culto deglidèi si svolge all’aperto, senza templi, ed è curato da sacerdoti cui nonvengono attribuiti particolari privilegi. La religione, tuttavia, si modifi-cherà col tempo, tanto che si parla di religioni dei Greci (cioè di varietà didèi e di culti anche sul fondo comune di una concezione antropomorfica).

6. LINGUA E SCRITTURA A CRETA E A MICENE

Durante gli scavi del Palazzo di Cnosso, l’archeologo inglese ArthurEvans rinvenne un gran numero di tavolette di argilla incise con una scrittu-ra che egli chiamò «lineare B» per distinguerla dalla «lineare A», non anco-ra decifrata, e da un’altra scrittura cretese geroglifica. Le tavolette si eranoconservate pressoché intatte grazie agli incendi che distrussero i palazzi diCnosso e che resero l’argilla più resistente all’usura del tempo.

Le designazioni di «scrittura lineare A» (usata dal 1600 a.C. al 1400a.C.) e «scrittura lineare B» (dal 1450 a.C. al 1200 a.C.) sono state date adue sistemi di scrittura diversi adottati a Creta e poi in Grecia prima dell’in-troduzione dell’alfabeto. Il primo, con 85 segni, è diffuso in tutta l’isola diCreta, mentre testimonianze del secondo, costituito da 88 segni, nell’isolasono state rinvenute solo a Cnosso, seppure tale tipo di scrittura sia statoutilizzato anche nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene.

Dopo anni di ricerca da parte di diversi studiosi, la scrittura lineare B venne definitivamen-te decifrata nel 1952 da Michael Ventris e John Chadwick come una forma arcaica del greco.I due studiosi usarono un metodo combinatorio basato sullo studio dei singoli segni e dellaposizione che occupano nella parola. Si trattò di un risultato di grande valore scientifico perchéottenuto senza l’aiuto di testi paralleli, come avvenne, per esempio, nel caso dei geroglificiegiziani della Stele di Rosetta.

La diffusione della lineare A, un sistema di segni semplici e stilizzati,avviene durante il minoico medio, benché si conservi ancora l’uso di qual-che ideogramma.

La «lineare B» appartiene, invece, ad un periodo successivo, il cosiddet-to minoico recente (1450-1375 a.C.) e molti dei suoi segni sono simili aquelli della lineare A. L’aspetto più interessante di questa scrittura è il fattoche essa non si ritrova solo a Creta, come la lineare A, ma anche, comeaccennato in precedenza, in alcune località della Grecia continentale; siamo

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Capitolo Sesto74

dunque in un ambito più vasto: quello della civiltà greca primitiva traman-dataci dai poemi omerici.

La lingua delle tavolette incise in «lineare B» è un dialetto greco e risul-ta precedente di quasi un millennio alle prime iscrizioni propriamente gre-che, che risalgono solo al VII secolo a.C.

Tavola cronologica

3000 - 2000 a.C.: Minoico antico.2000 - 1000 a.C.: Prima migrazione dei popoli indoeuropei nel Vicino Oriente.2000 - 1600 a.C.: Minoico medio (età dei primi palazzi).1600 - 1450 a.C.: Minoico tardo (acme della civiltà minoica).1600 - 1150 a.C.: Civiltà micenea.1600 a.C.: Inizio del primo impero ittita.1530 a.C.: Gli Ittiti conquistano Babilonia1450 - 1100 a.C.: Dominio acheo su Creta.

Penetrazione achea in Asia Minore.1375 a.C.: Suppiluliuma re degli Ittiti.

Secondo impero ittita.1286 a.C.: Battaglia di Kadesh (Ittiti e Egiziani).1200 - 1100 a.C.: Fine dell’impero ittita.

Crisi e tracollo della civiltà micenea.633 a.C: Ciassare fonda l’impero dei Medi.558 a.C.: Ciro il Grande fonda l’impero persiano.546 a.C.: Ciro conquista il regno di Lidia.538 a.C.: Ciro il Grande conquista Babilonia.529 a.C.: Cambise succede a Ciro sul trono persiano.526 - 525 a.C: I Persiani conquistano l’Egitto.522 a.C.: Dario succede a Cambise sul trono persiano.

GlossarioSatrapia: Nell’antico impero persiano, la satrapia era il distretto governato da un satrapo,ossia un nobile che, nominato dal sovrano, aveva poteri amministrativi, militari e giudizia-ri. Il suo operato era posto sotto il controllo di funzionari imperiali. Le satrapie furonoistituite da Dario I per unificare amministrativamente le regioni conquistate. Anche se ne furidotta l’estensione, esse continuarono a sopravvivere in età ellenistica, e il termine di sa-trapo in Asia Minore seguitò a indicare il re.

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CAPITOLO SETTIMO

IL MEDIOEVO ELLENICO E LA GRECIA ARCAICA

Sommario: 1. Le origini della Grecia antica. - 2. La prima colonizzazione. - 3. Ilperiodo arcaico. - 4. La seconda colonizzazione. - 5. Le colonie greche dell’Italiameridionale.

1. LE ORIGINI DELLA GRECIA ANTICA

A) Migrazioni di popolazioni indoeuropee

Furono i Romani a chiamare Grecia la penisola che si protende a sud delMediterraneo tra il mar Ionio e l’Egeo. Tale penisola, che i suoi antichiabitanti chiamavano Ellade, è caratterizzata da una superficie montuosa, dacoste frastagliate e da numerosissime isole.

L’assetto politico della Grecia antica fu caratterizzato dalla presenza di un gran numero dicomunità politiche autonome e indipendenti. Questo elemento distintivo è stato spesso consi-derato una conseguenza diretta della particolare conformazione geografica della regione. Inaltre parole, i tanti confini naturali avrebbero motivato il nascere di numerosissimi centri citta-dini fra loro indipendenti.

Sul suolo greco, intorno al 2000 a.C. si stanziano, con migrazioni suc-cessive, popolazioni arie o indoeuropee provenienti dalle lontane regionidell’Est europeo.

Alcuni studiosi chiamano «Greci» le popolazioni autoctone dette pela-sgiche, ed «Elleni» le genti che a diverse ondate raggiunsero l’anticaEllade nel II millennio a.C.: gli Ioni, che sottomettono gli abitanti del luo-go (i cosiddetti pre-greci) e impongono loro il proprio modo di vivere e ipropri culti; poi, verso il 1600 a.C., gli Eoli e gli Achei. Questi spingono gliIoni verso l’Attica e si stabiliscono in Tessaglia e in Beozia (Eoli) e nelPeloponneso (Achei). Gli Achei danno origine alla civiltà micenea (1600 -1100 ca. a.C.) e iniziano i primi contatti con i Cretesi (cfr. Cap. 6).

Non è facile distinguere il contributo di questi tre popoli da quello pre-ellenico in questa fase di civilizzazione.

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Capitolo Settimo76

B) L’invasione dei Dori e i «secoli oscuri» della storia greca

La civiltà micenea, nonostante il suo splendido sviluppo, sparisce improv-visamente verso il 1100 a.C. probabilmente a causa dell’immigrazione dei Dori.

Gli anni che seguono l’invasione dorica sono considerati come un peri-odo oscuro della storia dell’antica Grecia caratterizzato da una profondacrisi culturale ed economica: decadono i centri più sviluppati e potenti; ilcommercio viene abbandonato; scompare la scrittura (non abbiamo più te-stimonianze scritte); si registrano spostamenti di tribù e guerre tra piccoligruppi all’interno del territorio ellenico. Per questo motivo gli storici chia-mano tale periodo medioevo ellenico (XII-IX secolo a.C.).

Recenti tendenze dell’archeologia hanno voluto riabilitare questo periodo della storia del-la Grecia arcaica sottolineando come non sia giusto descriverlo in termini di semplice involu-zione sociale e politica. Infatti, anche se alcune caratteristiche di decadenza delle comunitàgreche sono innegabili, la cultura preesistente sopravvive e continua nei «secoli oscuri» perriaffiorare alla fine di questa epoca, intorno al IX secolo a.C. Per spiegare la continuità cultura-le in quella che l’archeologia registra come una situazione di drammatico spopolamento deiterritori è stata formulata l’ipotesi di un cambiamento nel modello di vita delle popolazioni.Agricoltori prima, gli abitanti della Grecia avrebbero in questi secoli adottato un’economiapastorale, con uno stile di vita seminomade che lascia scarse testimonianze archeologiche.

2. LA PRIMA COLONIZZAZIONE

A) L’ondata migratoria verso l’Asia Minore

L’invasione dorica determina lo spostamento di alcune popolazioni gre-che verso le coste dell’Asia Minore già raggiunte dai coloni micenei, deter-minando, così, la prima colonizzazione greca e la conseguente diffusionedi tale cultura. A questa colonizzazione partecipano anche alcuni gruppi diinvasori dori che, facendo tappa a Rodi e a Creta, si stanziano sulle costemeridionali dell’Asia Minore. Queste popolazioni, tuttavia, conservano con-tatti con la terra d’origine e sono influenzate dallo sviluppo che vi avvienetra l’XI e il X secolo a.C.

Sia le popolazioni che si stanziano in Grecia sia quelle che si spostano inAsia Minore elaborano una nuova civiltà grazie allo scambio culturale cheavviene con le popolazioni indigene. Tale civiltà è fondamentalmente uni-forme fin dall’inizio del IX secolo a.C.

Altro elemento dell’espansione della cultura greca è costituito dalla lingua, che, anche seframmentata in tanti dialetti diversi ha una struttura grammaticale comune. Fra i vari dialetti siimpone l’attico, usato dalla maggior parte degli scrittori greci.

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77Il medioevo ellenico e la Grecia arcaica

Per quanto concerne l’organizzazione politica, si afferma un’aristocra-zia terriera: dominano la scena politica le famiglie nobiliari, i ghène, chedanno luogo a vere e proprie tirannidi.

La società è formata da nobili e sacerdoti, che costituiscono la classesuperiore e partecipano alle assemblee, e da una classe inferiore compostada contadini e piccoli commercianti, tenuti lontano dal potere politico.Esistono poi gli schiavi che occupano il gradino più basso della scala socia-le. L’assetto politico è quindi legato a fattori economici e, pertanto, l’odio diclasse è molto forte tra i ceti meno abbienti, che spesso lasciano la propriaterra per emigrare in Asia Minore in cerca di fortuna.

B) La civiltà ellenica delle origini

Il popolo greco ha sempre mantenuto una notevole autonomia sia cultu-rale che politica. Infatti, anche quando si spostano dai loro territori e vannoa colonizzarne degli altri, gli ellenici cercano sempre di imporre la propriacultura e quando sono obbligati a subire la dominazione di un popolo piùcivilizzato conservano una notevole autonomia. La civiltà greca, quindi, èla risultante dell’incontro di varie popolazioni con gradi di sviluppo(economico, sociale, politico) e con tradizioni culturali profondamentediversi tra loro.

I Greci riconoscono di appartenere a un’unica cultura. La lingua, anchese non è uguale per tutti gli abitanti dell’Ellade, ricca com’è di differenzedialettali, pur tuttavia è comune a questa civiltà. Intorno all’825 a.C. in Gre-cia è introdotto l’alfabeto fenicio.

Si tratta di un alfabeto fonetico che ogni regione ellenica adatta al proprio dialetto. Adifferenza della scrittura fenicia, però, quella greca trascrive anche le vocali e non solo leconsonanti. Questa innovazione porta a mutamenti radicali, che gli antropologi hanno studia-to, nel modo di riflettere e negli atteggiamenti mentali dei Greci.

È però solo alla fine del V secolo a.C. che l’alfabeto usato a Mileto vieneadottato da Atene e si afferma in tutte le comunità greche. L’alfabeto per-mette ai Greci di tramandare la propria cultura che fino ad allora era stataorale ed era rimasta affidata alla voce degli aedi. Intorno all’VIII secoloa.C. si colloca poi la trascrizione dell’Iliade e dell’Odissea.

Il medioevo ellenico, in campo artistico, si distingue soprattutto per laproduzione di ceramiche dipinte e di piccole sculture votive. Nella cera-mica si afferma lo stile protogeometrico, che presenta caratteristiche co-struttive e decorative diverse dalle precedenti creazioni micenee. La super-

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Capitolo Settimo78

ficie dei vasi è decorata da fasce orizzontali nere, sulle quali sono dipintimotivi geometrici. Verso il 900 a.C. si diffonde lo stile geometrico nelleisole dell’Egeo (Creta, Rodi), sulle coste dell’Asia Minore e nelle città do-riche del Peloponneso (Argo, Corinto).

3. IL PERIODO ARCAICO

A) Periodizzazione

Dopo il medioevo ellenico, che si conclude nel IX sec. a.C., gli studiosisuddividono la storia greca in quattro periodi:

— arcaico, dall’800-750 al 500 a.C., cioè dall’introduzione dell’alfabetoalle guerre persiane;

— classico, dal V al IV secolo a.C., corrispondente a un arco di tempocontraddistinto dal ruolo di primo piano svolto dalle città-Stato;

— ellenistico, dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla conquistaromana del bacino orientale del Mediterraneo;

— romano, dalla battaglia di Azio (31 a.C.) fino al tramonto dell’imperoromano.

B) La produzione artistica

Il secolo che segue il 750 a.C. si rivela fondamentale tanto per la storiagreca quanto per gli sviluppi del mondo occidentale. Durante il cosiddetto«periodo arcaico», un’eccezionale produzione poetica testimonia la fioritu-ra della civiltà greca.

Nel corso di questi secoli, cambia il ruolo della poesia e del poetanella società. Si afferma la poesia lirica, così chiamata perché destinataad essere cantata con l’accompagnamento musicale della lira, strumento acorda la cui tecnologia si perfeziona proprio in quegli anni. Essa può esse-re «monodica» o «corale», a seconda che venga cantata in a solo o da uncoro.

La «nuova» poesia viene cantata in occasione dei banchetti, delle gareatletiche per celebrare i vincitori, o nelle feste in onore degli dèi (in que-st’ultimo caso, l’esibizione è frequentemente corale ed accompagnata dalladanza). Di solito breve, essa, a differenza del canto omerico, non ha piùcome tema principale il racconto mitico, ma temi «universali» come l’amo-re oppure temi legati all’attualità politica. Pur rappresentando una fonteimportante, le allusioni alle problematiche contemporanee sono però spes-

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79Il medioevo ellenico e la Grecia arcaica

so troppo vaghe per permettere una ricostruzione precisa degli eventi cheispiravano i poeti.

Tra i più interessanti rappresentanti di questo genere va ricordato Archiloco, poeta, corsa-ro e mercenario di Paro vissuto nel VII secolo a.C.

Numerosi, poi, i poeti elegiaci — tra cui vanno ricordati Callino di Efeso, Solone di Atene,Mimnermo di Colofone, gli spartani Alcmane e Tirteo — così chiamati dall’uso del disticoelegiaco: strofe di due versi, l’esametro e il pentametro, con l’accompagnamento del flauto.

Tra l’VIII e il VII secolo giganteggia la figura di Esiodo — aedo e contadino — autore didue lunghi poemi in forma epica, ma lontanissimi, nello stile e nei contenuti, dai poemi ome-rici: Teogonia e Le opere e i giorni.

La produzione letteraria di questo periodo, che riveste particolare valorestorico, ha poi fornito un significativo aiuto agli studiosi per ricostruire l’evo-luzione della civiltà greca, il cui sviluppo, in ogni caso, appare assai disegua-le: nelle aree più avanzate della penisola greca, dell’Asia Minore e delle isoleegee, infatti, sono presenti numerose comunità ancora molto rudimentali ri-spetto alla città-Stato vera e propria, sebbene stabili e bene organizzate.

Verso la fine dell’età arcaica si assiste a una fioritura artistica spiegabilecon i contatti che i Greci hanno con il mondo orientale, con la produzione dimerci di lusso, con una crescita del sentimento religioso.

L’architettura religiosa, in particolare, subisce una forte spinta propulsiva.

Il tempio in origine presenta una struttura lignea o in mattoni costruita su un basamento dipietra e costituita da una semplice cella rettangolare (naos) divisa, talvolta, da una fila di co-lonne. Questa struttura architettonica si arricchisce, in età arcaica, di un colonnato, eretto sulbasamento, che circonda da ogni lato la cella e regge un architrave di pietra. Sono da menzio-nare templi come quelli di Paestum, Siracusa, Efeso.

La ceramica, influenzata dall’arte mediorientale, subisce una profondaevoluzione. Le figure sono dipinte in rosso su sfondo nero e la figura umanainizia a prendere il sopravvento sulla decorazione geometrica. La raffigura-zione del corpo umano diventa più realistica anche nella scultura. Verso il 670a.C. si viene ad affermare la scultura dedalica (dal nome del mitico re Deda-lo), caratterizzata dall’abbandono dello stile rigorosamente geometrico e dal-l’elaborazione di forme e dimensioni più vicine a quelle del corpo umano.

L’artista greco, quindi, è il primo a porsi il problema della forma, con loscopo di rappresentare nel modo più fedele possibile la realtà. L’arte consi-dera per la prima volta l’essere umano come individuo, come soggetto dellastoria. Anche la religione greca contribuisce a questo mutamento di pro-spettiva, assegnando agli dèi sembianze e sentimenti prettamente umani.

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Capitolo Settimo80

C) Le città-Stato

La ricerca storica e archeologica ci consegna una immagine assai fram-mentata dello sviluppo delle istituzioni cittadine, dalla quale non abbiamomodo di ricostruire i processi che portarono all’affermarsi in Grecia dellaforma politica della polis, ossia della città-Stato, che inizia ad apparire dal-l’VIII secolo a.C. La diffusione delle istituzioni cittadine, però, non è uni-forme in tutte le regioni della Grecia. Mentre, ad esempio, Atene riesce aunificare tutto il territorio dell’Attica, Tebe fallisce nell’analogo tentativo diunificare la Beozia, in cui sopravvivono ben 12 città-Stato.

Le piccole comunità, impegnate nella strenua difesa della propria autono-mia, determinano il proliferare delle città-Stato. Quando la dispersione deiGreci a Oriente e a Occidente sarà compiuta, se ne conteranno circa 1.500.

I grandi pensatori dell’età classica — teorici, politici e filosofi — dannoper scontato che la polis, o città-Stato, sia una forma ideale di civile convi-venza.

Una certa diseguaglianza nello sviluppo della polis appare, in ogni modo,evidente già nelle caratteristiche dell’urbanizzazione, la quale, nella formaclassica, prescrive che la città-Stato abbia un unico centro in cui, oltre adessere raggruppati i principali edifici civili e religiosi, si tengano le assem-blee cittadine: l’agorà, in seguito anche piazza destinata a ospitare il merca-to. L’acropoli, posta sul punto più alto della città, è presente in quasi tutte lepoleis e assolve invece a funzioni di difesa.

Le principali differenze tra le varie città-Stato consistono nell’organizzazione e nella di-stribuzione degli insediamenti abitativi: a Smirne, nell’Asia Minore, le case sono edificateall’interno delle mura cittadine, allo scopo di difenderle da eventuali attacchi da parte deipopoli confinanti; gli Spartani abitano, invece, in villaggi sparsi (o caserme); un terzo tipo dipolis presenta, infine, una netta separazione tra la parte urbana e il contado circostante. Tuttedifferenze, queste, che riflettono altrettante disparità di forza militare e di sviluppo economico:alcune popolazioni vivono di commercio e di attività manifatturiere; altre si dedicano all’agri-coltura; altrove, invece, il concetto di centro urbano e comunitario è pressoché sconosciuto.

D) Caratteristiche sociali e politiche della Grecia arcaica

Le varie poleis sono unite tra loro da un comune sentimento di «greci-tà», derivante dalla condivisione di miti, storia, culti religiosi e tradizioniculturali. Gli abitanti delle città-Stato si considerano non soltanto Greci (oElleni), ma anche membri di sottogruppi dell’Ellade, accomunati da unaserie di vincoli che si rinsaldano specialmente in caso di attacco esterno daparte dei popoli stranieri, considerati «barbari».

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81Il medioevo ellenico e la Grecia arcaica

Come abbiamo visto i processi che portarono alla nascita delle città sonoscarsamente conosciuti. Allo stesso modo poco si sa dell’evoluzione degliassetti istituzionali, politici e sociali all’interno delle città.

Dal fatto che non ci è pervenuta alcuna informazione riguardo a una loroeventuale destituzione sappiamo che alla fine del medioevo ellenico pro-gressivamente spariscono le figure di re e capi militari.

Il vuoto di potere viene colmato dalle oligarchie aristocratiche le qualirivendicano una serie di privilegi e un’autorità inviolabile in quanto discen-denti da eroi o, addirittura, da divinità pagane. Il loro potere effettivo derivafondamentalmente dal possesso della terra. Esso viene esercitato attraversouna serie di organismi collegiali e di magistrature.

Il sistema della proprietà in vigore in molte città e la legislazione suidebiti — per cui la persona che manchi di onorare il debito perde non sol-tanto la terra che possiede, ma anche la libertà personale — conducono dauna parte alla nascita del latifondo e dall’altra alla riduzione in servitù dimolti uomini liberi.

Infatti, la diseguale distribuzione della proprietà, l’esiguità di terre fertili e le tecnicheagricole poco evolute rendevano le condizioni dei piccoli proprietari terrieri veramente miser-rime e li costringevano, in caso di scarso raccolto, a chiedere prestiti ai grandi proprietari. Perrestituire il debito il piccolo contadino doveva versare una quota del raccolto successivo alcreditore. Ma naturalmente uno scarso raccolto per due o più anni successivi causavano unrapido peggioramento delle condizioni del debitore, che presto si trovava a dover lavorare ipropri terreni e quelli del creditore ad esclusivo vantaggio di quest’ultimo.

Le diseguaglianze sociali e la natura in sé instabile del potere oligar-chico conteso tra le diverse famiglie dell’aristocrazia sono alla radice delfenomeno della «tirannide» nel VII secolo a.C.

«Tiranno» e «tirannide» sono parole che hanno per noi un’accezione puramente negativa,ma la nostra concezione di tirannide come potere assoluto e coercitivo di un solo individuo nonha molto a che vedere con l’idea che ne avevano i Greci del VII secolo a.C., quando per laprima volta apparve questa forma di governo.

È vero che furono i Greci stessi, in epoca classica, quando la polis aveva assunto unaforma democratica, a conferire sempre più una connotazione negativa al concetto di tirannide.Ma rimane il fatto che il poeta lirico Archiloco, per fare solo un esempio, usa la parola «tiran-no» per indicare semplicemente una persona che regna e che Pittarco tiranno di Mitilene ePeriandro di Corinto figurano nella lista dei Sette Sapienti, grandi personalità della politica edella filosofia del VII e VI secolo a.C.

Il tiranno proviene sempre da una famiglia dell’aristocrazia regnantee non è mai uno straniero. Egli conquista il potere in tempi di incertezza e di

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Capitolo Settimo82

conflitti sociali, ma la tirannide generalmente non dura che una o due gene-razioni ed è seguita da un ritorno al regime oligarchico.

Una volta conquistato il potere, il tiranno sospende le istituzioni oligar-chiche arrivando in molti casi a costringere all’esilio le grandi famiglie ari-stocratiche e a liberarsi fisicamente di alcuni loro membri.

Questo non significa, però, che la tirannide si configuri come un regime che cerca e sfruttail consenso popolare e che il tiranno possa essere qualificato come un demagogo. In questosenso va rivista l’ipotesi in base alla quale la tirannide preluderebbe alla creazione di istituzio-ni più propriamente democratiche. Nondimeno si deve spesso al tiranno il superamento delleproblematiche economiche e sociali che minacciavano la stabilità della città, attraverso unmiglioramento generale delle condizioni della popolazione. Ci sono anche casi, come quello diPisistrato ad Atene, in cui il nome del tiranno è associato ad una forte affermazione della cittàcome centro culturale di primo piano nell’ambito del mondo greco.

Un’altro radicale e fondamentale cambiamento del periodo arcaico si hanell’VIII secolo a.C. con la cosiddetta rivoluzione oplitica nell’ambito del-l’organizzazione militare.

Si tratta di un nuovo modo di fare la guerra che si basa sullo schiera-mento di formazioni serrate di opliti.

L’oplita è un fante protetto da uno scudo di un metro di diametro dettohòplon (da cui il nome), da un elmo, da una corazza in metallo e dagli schi-nieri, e armato di una lunga lancia dalla punta in ferro o bronzo e di unaspada corta a lama dritta o ricurva. Gli opliti venivano disposti in formazio-ne serrata, gomito a gomito, su più file di profondità (falange oplitica), ilfianco destro di ciascun fante era protetto dallo scudo del compagno che loaffiancava.

La falange oplitica fa appello ad un forte senso di solidarietà e disciplinatra i soldati. Protagonisti della guerra non sono più i campioni di eroismoche Omero canta nella sua poesia. Scrivono gli storici Claude Orrieux ePauline Schmitt Pantel: «La guerra è diventata un fatto collettivo, in cuimantenere bene la propria posizione è più importante che lanciarsi in im-prese individuali».

Questa nuova organizzazione della milizia è stata messa in relazionedagli storici con i cambiamenti sociali che hanno portato alla formazionedelle città-Stato, quando la comunità dei cittadini si allargò e il potere di-venne prerogativa di un più ampio numero di persone.

Altra figura importante della polis è quella del legislatore (nomotèta). Ilpiù famoso è certamente Solone, legislatore di Atene nel VI secolo a.C.

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83Il medioevo ellenico e la Grecia arcaica

Trattandosi di società basate sull’agricoltura, la principale preoccupazionedel legislatore è quella di fissare norme che riguardano le proprietà terriere.La necessità di regolamentare certe consuetudini, come per esempio il dirit-to ereditario, denota lo sforzo di una società di codificare leggi valide pertutti e non più legate all’interpretazione degli aristocratici.

4. LA SECONDA COLONIZZAZIONE

A partire dall’VIII secolo a.C., durante il periodo arcaico, i Greci inizia-no ad espandersi rapidamente, via mare, oltre i loro confini.

La principale causa del movimento migratorio è la necessità di trovare nuove terrecoltivabili. Le città della Grecia, infatti, per la scarsezza di terre fertili e la cattiva distribuzionedella proprietà e per effetto dei capricci del clima, non erano in grado di provvedere ai bisognialimentari di tutti gli abitanti. Questo spingeva parte della popolazione ad allontanarsi dallamadrepatria in cerca di aree fertili.

Ma la colonia era anche un centro di scambio commerciale (quello che i greci chiama-no empòrion), che nel tempo si trasforma in un insediamento stabile. E, d’altra parte essarappresenta anche un modo per risolvere i conflitti che potevano nascere all’interno delle fami-glie aristocratiche detentrici del potere, attraverso l’espulsione di una di esse.

Il movimento migratorio è organizzato e nasce dalla decisione di una città, confortatadalla consultazione dell’oracolo di Apollo a Delfi, di inviare un gruppo di abitanti a fondareuna colonia.

A capo della spedizione è l’ecista che ha un ruolo prettamente religioso: egli è responsabiledel fuoco sacro che, prelevato nella madrepatria dovrà essere portato nella nuova città, a testimo-nianza del legame delle due comunità. Nelle colonie che raggiungono fama e ricchezza spessoviene venerato come una divinità. I coloni, a loro volta, sono volontari, scelti uno per famiglia.

Le colonie sono completamente autonome. Il legame con la terra d’origine è dato dallalingua e dalla religione.

È da sottolineare che in quel periodo, rispetto alla madrepatria, le colonie si trovano in unaposizione di avanguardia nell’ambito della cultura e della politica. Da un lato, infatti, rappre-sentano la culla della riflessione filosofica che successivamente nel periodo classico conosceràgrandissimo sviluppo nella madrepatria e dall’altro, essendo meno vincolate alle tradizionidella loro terra di origine, esse fanno da laboratorio per gli ordinamenti istituzionali che ver-ranno poi ripresi nella Grecia vera e propria. Basti pensare che i primi legislatori sono cittadinidelle colonie dell’Italia meridionale.

Parallelamente, l’intera civiltà mediterranea si va uniformando. Gli As-siri, nel Vicino Oriente, consolidano una civiltà mercantile in grado di uni-ficare l’intera regione; i Fenici, grazie al commercio, rendono più facili eveloci i rapporti tra i paesi costieri del Mediterraneo; gli Etruschi portano inItalia la civiltà orientale; gruppi di coloni greci solcano le vie del mare siaverso Oriente sia verso Occidente.

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Capitolo Settimo84

Votati più al ruolo di mercanti che a quello di conquistatori, i Greci ver-so la metà dell’VIII secolo a.C. si stanziano in Siria, alla foce del fiumeOronte, dove hanno modo di apprendere le raffinate tecniche di lavorazioneartigianale e l’uso dell’alfabeto.

Continuano fruttuosamente, intanto, i contatti e i rapporti commercialicon la Siria, la Panfilia, la Cilicia. Nel VI secolo a.C. i Greci riescono asoppiantare gli Assiri nel predominio culturale sull’isola di Cipro. Soltantoin seguito si avranno contatti con l’Egitto, il cui grado di civiltà colpirà inmaniera determinante tanto i commercianti quanto gli uomini di cultura greci.Da parte loro, i faraoni dell’VIII e del VII secolo a.C. considerano i Grecipoco più che barbari.

A cominciare dall’VIII secolo a.C. i Greci sbarcano in Italia e in Sicilia,dapprima come commercianti di oggetti di lusso acquistati nelle botteghedel Vicino Oriente e barattati con schiavi e metalli, e in seguito come colo-ni-conquistatori.

5. LE COLONIE GRECHE DELL’ITALIA MERIDIONALE

La seconda fase dell’emigrazione greca interessa le coste dell’Italiameridionale dove sono fondate numerose colonie, che in breve diventanoassai potenti e floride. La più antica è quella di Cuma (750 a.C.), che fondaPuteoli e Neapoli. Più a sud Posidonia (denominata dai romani Paestum) edElea, famosa per la sua scuola filosofica.

Altrettanto importanti sono le città di Crotone, celebre per la scuola di Pitagora, e Sibari,nota per il lusso e le mollezze dei suoi abitanti; ma fra tutte si distingue Tàrento (Taranto), laquale vedrà stroncata la sua floridezza e potenza dai Romani nel II secolo a.C. I Greci fondanocolonie anche in Sicilia: la più antica è Nasso e la più florida Siracusa. Quest’ultima, fondatanell’VIII secolo a.C., raggiungerà poi il suo massimo splendore cinque secoli dopo, con unperimetro di 20 miglia e più di un milione di abitanti. I Greci raggiungono, inoltre, le costedella Sardegna, della Corsica, della Francia meridionale, della Spagna e dell’Africa.

Nei secoli VII e VI a.C. il Mediterraneo diventa un mare greco. Lecolonie sorgono, come già ricordato, su territori fertili, per cui diventano deiveri e propri magazzini di grano, vino e frutta. In seguito si specializzanoanche nella fabbricazione di stoffe, armi etc., tutti prodotti che scambianosia con le città della madrepatria sia con i Fenici e i Cartaginesi, i maggiorinavigatori dell’epoca. Lo sviluppo delle colonie è tale da superare le stessecittà di origine, tanto che ben presto diventano i centri più importanti dellacultura greca.

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85Il medioevo ellenico e la Grecia arcaica

Il commercio diventa una pratica molto redditizia e lo scambio dellemerci non avviene più ricorrendo al baratto, bensì alla moneta, il cui uso sifa risalire al VII secolo a.C., ad opera dei Greci della Ionia.

Tavola cronologica

ca. 2000 a.C: Invasione in Grecia di Ioni, Eoli e Achei.ca. XII - XI sec. a.C.: Invasione dei Dori e inizio del «medioevo ellenico».ca XII sec. a.C: Prima colonizzazione in Asia Minore.ca. 1100 a.C.: Inizia la «fase protogeometrica» della produzione di ceramica.ca. 900 a.C.: Inizia la «fase geometrica» della produzione di ceramica.IX sec. a.C.: Fine del «medioevo ellenico» ed espansione dei Greci nel bacino

del mar Egeo.ca. 825 a.C.: Diffusione del nuovo alfabeto d’origine fenicia.ca. 800 - 500 a.C.: Periodo arcaico della Grecia antica.

Sviluppo della poesia lirica.VIII sec. a. C: Formazione delle polis.

Rivoluzione oplitica.Seconda colonizzazione nel Mediterraneo orientale.

750 - 700 a.C.: Fondazione di numerose colonie nell’Italia meridionale.VII sec. a.C.: Si afferma la tirannide quale nuova forma di governo.VI sec. a. C:.: Solone legislatore di Atene.V - IV sec. a.C.: Periodo classico della Grecia antica.

GlossarioAedo: cantore professionista di poemi epici ed eroici, intonati con accompagnamento mu-sicale. L’aedo era una figura di grande spessore culturale che tramandava la memoria col-lettiva della società.

Ecista: nella Grecia antica, era un condottiero scelto dai cittadini per guidarli alla coloniz-zazione di una terra. Prima della partenza, l’ecista doveva consultare un oracolo, per scru-tare la sorte del viaggio da intraprendere. Una volta giunto nel luogo da colonizzare, fonda-va una città e ne scriveva la costituzione. Inoltre, doveva occuparsi della spartizione delleterre tra i coloni e governare la città. Dopo la morte, veniva adorato come un eroe e spessoentrava nel mito.

Oracolo di Delfi: è il luogo dove il dio Apollo faceva «sentire» la sua voce agli uominirispondendo alle loro domande e dispensando consigli. Si tratta sicuramente dell’oracolopiù importante del mondo greco — infatti il santuario di Delfi era chiamato «ombelico delmondo» — e quello su cui abbiamo maggiori notizie. Apollo trasmetteva la sua volontà perbocca di una sacerdotessa chiamata Pizia, che veniva scelta tra le fanciulle del popolo diDelfi e aveva il compito di ricoprire quel ruolo per tutta la vita. L’oracolo di Delfi raggiunse

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Capitolo Settimo86

il suo apogeo nell’età delle fondazioni delle colonie greche. Dopo l’affermazione del cri-stianesimo l’oracolo perse la sua importanza: a partire dal 391 d.C. alcuni editti emanatidall’imperatore romano Teodosio I decretarono la fine dei culti pagani e la chiusura delsantuario di Delfi.

Pelasgi: con questo termine si indicano le popolazioni autoctone che abitavano la penisolagreca, il mar Egeo e le coste anatoliche prima delle invasioni elleniche del II millennio a.C.Il nome Pelasgi fu usato per la prima da Omero: i Pelasgi sono, infatti, indicati nell’Iliadetra gli alleati di Troia.

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CAPITOLO OTTAVO

ATENE E SPARTA NEL VI SECOLO A.C.

Sommario: 1. Atene. - 2. Sparta. - 3. Arte, religione e cultura nel VI secolo a.C.

1. ATENE

A) Dalla monarchia al regime oligarchico

Nella Grecia arcaica, come testimoniano i poemi omerici, la città era uninsieme di genti (ghené) e di tribù. I capi dei ghené formavano la nobiltàterriera e ciascuno di loro aveva i suoi consiglieri. Intorno al 700 a.C. allamonarchia subentra un regime oligarchico con a capo gli arconti, magi-strati elettivi che si sostituiscono alla figura del re. Così come per le altre cittàdella Grecia anche nel caso di Atene non si hanno molte notizie sul periodomonarchico; è probabile che la monarchia ateniese sia decaduta lentamenteper effetto del cambiamento del tipo di economia e per l’ostilità dei nobili.

Originariamente eletti a vita, gli arconti vennero in seguito eletti ognidieci anni e infine, sembrerebbe a partire dal 682 a.C., annualmente.

Gli arconti sono nove, ciascuno titolare di ampi poteri decisionali. L’ar-conte principale è quello eponimo che dà il suo nome all’anno in corso e sioccupa dell’amministrazione civile e della giurisdizione pubblica e privata.Rivestono importanti funzioni anche l’arconte basileus — il termine nelperiodo monarchico indicava la carica di re — che sovrintende al culto reli-gioso; e l’arconte polemarco, responsabile dell’esercito.

Le funzioni legislative e giudiziarie sono affidate all’areopago (così chia-mato perché sorgeva sul colle di Ares = Marte), costituito da ex arconti erappresentanti dell’aristocrazia.

Allo stato delle ricerche non è ancora ben chiaro quali siano le prerogative di altri raggrup-pamenti dell’età arcaica. Uno di questi, per esempio, è la naucraria. La sua funzione sembre-rebbe essere legata al finanziamento della marina, visto che la parola naúkraros denota il capi-tano di una nave. Ma è solo un’ipotesi.

Esiste anche un’assemblea (ekklesía), che si riunisce quasi settimanal-mente per votare leggi, eleggere magistrati e discutere problemi di politicaestera.

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Capitolo Ottavo88

Il potere è concentrato nelle mani dei cosiddetti eupatridi («figli di no-bili padri»). Si tratta dei membri delle famiglie più nobili. A loro solo erapossibile accedere alla carica di arconte, oltre che ad alcune carichesacerdotali.

B) Le lotte sociali

Nel VII secolo a.C. l’Attica vive un periodo di trasformazioni decisive eAtene è sconvolta da gravi disordini, dovute non solo al forte squilibriosociale — soltanto i proprietari terrieri partecipano alla vita politica — maanche ai fortissimi contrasti tra le famiglie aristocratiche al potere.

Un fattore di profonda instabilità sociale è quella stenochoría («scarsità di terre») cheabbiamo visto essere la principale causa del movimento di colonizzazione dell’VIII secoloa.C. Questa penuria di terre fertili ad Atene era aggravata sia dal fatto che esse erano ripartitetra i cittadini in modo profondamente ingiusto, sia da un sistema di successione che prevedevache fossero suddivise fra tutti gli eredi, favorendo in questo modo un’ulteriore frammentazionedella proprietà.

I piccoli proprietari, in una situazione di questo genere, erano costretti, in caso di raccoltoscarso, a chiedere prestiti ai latifondisti, innescando quella dinamica di asservimento che ab-biamo già visto nel capitolo precedente.

Un episodio — uno dei pochi che conosciamo della storia del VII secolo a.C. — cheillustra il profondo antagonismo tra famiglie aristocratiche è, invece, il fallito tentativo di Cilo-ne di instaurare una tirannide con il sostegno di alcune famiglie aristocratiche e, forse delsuocero, Teagene, tiranno di Megara. Presa l’Acropoli, Cilone e i suoi vengono assediati dalletruppe guidate da un altro degli arconti in carica, appartenente alla famiglia degli Alcmeonidi.Questi, dopo aver persuaso i ribelli ad arrendersi con la promessa di fare loro salva la vita, limassacra senza pietà. Il sacrilegio del giuramento disatteso costa a tutta la famiglia degli Alc-meonidi l’esilio da Atene.

Nel 620 a.C. un thesmothete (legislatore), Dracone, è incaricato di fis-sare un codice di leggi scritte, che riporti l’ordine nell’Attica. Perché le sueleggi siano rispettate Dracone vi aggiunge pene così drastiche che, quandola sua legislazione verrà in larga parte annullata da Solone, di lui si ricorde-rà soltanto la severità delle punizioni. I provvedimenti draconiani, tuttavia,non si rivelano risolutivi nell’evitare i disordini e le lotte sociali.

Ad Atene, intanto, si sta lentamente delineando un nuovo assetto economico-sociale:quella fondiaria non è più l’unica forma di ricchezza. Lo sviluppo del commercio e le attivitàartigianali hanno creato nuovi ceti che misurano il proprio potere sulla base della moneta.L’introduzione della moneta è uno dei fattori principali dell’evoluzione della società atenie-se, che inizia a svincolarsi dal dominio dell’aristocrazia e ad allontanarsi dai rigidi schemidel mondo arcaico.

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89Atene e Sparta nel VI secolo a.C.

C) Le riforme di Solone

Nel 594 a.C. viene eletto come unico arconte, o riconciliatore, l’ari-stocratico Solone. Il nuovo arconte è un uomo di larghe vedute, ex coman-dante militare e autore di poesie elegiache. Pur appartenendo alla nobiltà, èstimato da tutti gli Ateniesi per la sua saggezza.

Nell’anno del suo arcontato, in cui è praticamente un dittatore, Solone,abroga il codice di leggi di Dracone, riscatta molti concittadini venduti comeschiavi all’estero, annulla i debiti agricoli dei contadini (la sesta parte delraccolto) e vieta la schiavitù per debiti.

Così Aristotele ne la Costituzione degli ateniesi descrive la situazione sociale che Solonedeve affrontare: «La città aveva allora un regime oligarchico ed era completamente in mano deimembri del partito nobiliare, mentre i poveri, i loro figli e le loro mogli erano servi dei ricchi,come dipendenti o come coloni, i quali, con un canone d’affitto consistente nella sesta parte delprodotto, lavoravano i campi dei ricchi. Tutta la terra era distribuita tra un numero ristretto dicoloni che, in caso di insolvenza, diventavano, insieme coi loro figli, servi della gleba ed eranoceduti ai prestatori di denaro che volevano degli esseri umani come garanzia, fino all’avvento alpotere di Solone, che divenne il primo campione del popolo. Era cosa ben difficile e dura il doverservire, per la maggior parte della popolazione, quando a questo si aggiungano anche le altrecause di disagio; perchè i servi non avevano, si può ben dire, alcun diritto».

I principali interventi attribuiti a Solone sono appunto quelli rivolti all’an-nullamento di tutti i debiti e alla soppressione della schiavitù per debiti.Si tratta, però, di provvedimenti che non incidono sulle ragioni della crisiateniese. Se da una parte, infatti, scontentano i latifondisti che si vedono pri-vati di manodopera gratuita, dall’altra non affranca i piccoli agricoltori dallapovertà perché non producono una ridistribuzione più equa dei territori.

Al celebre legislatore ateniese, inoltre, sono ascritti molti altri interventiche, però, la storiografia più recente colloca in fasi successive della storiadella città. Tra questi figurano i provvedimenti che riformarono l’intera strut-tura politico-sociale della polis, sopprimendo la tradizionale divisione tranobili e plebei a favore di un regime «timocratico», cioè basato sulla ric-chezza misurata in prodotti agricoli. I cittadini vengono divisi in quattroclassi secondo i proventi che ricavano dall’agricoltura e gli obblighi di cia-scun gruppo risultano diversi secondo il censo.

La prima classe è costituita dai pentacosiomedimni, coloro che ricevono dalle proprieterre perlomeno 500 medimni di grano all’anno (1 medimno = 52 litri).

La seconda classe è formata dai cavalieri (ippeis) con un reddito di 300 medimni.La terza classe è costituita dagli zeugiti (possessori di due gioghi di buoi), con 200 medimni.La quarta classe è composta da lavoratori (teti), che hanno un reddito inferiore a 200 medimni.

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Capitolo Ottavo90

Gli appartenenti alle prime tre classi devono provvedere al proprio ar-mamento personale e versare contributi allo Stato secondo i loro redditi.Tuttavia, ai maggiori obblighi corrispondono maggiori poteri in pace e inguerra, mentre quelli che fanno parte della quarta classe sono esclusi daogni funzione direttiva.

Solo gli appartenenti alle prime due classi possono occupare le carichepubbliche, ma tutti possono partecipare all’assemblea e prendere la parola.

Tradizionalmente a Solone sono attribuiti anche altri provvedimenti re-lativi alla revisione degli organi dello Stato, con la creazione di un tribu-nale, l’eliea, incaricato di giudicare i delitti che interessano la collettivitàstatale e l’istituzione di un Consiglio dei quattrocento (bulé), a capo del-l’ekklesía, come organo speciale, e di una commissione stabile con il com-pito di preparare le leggi da sottoporre all’assemblea per la votazione. L’areo-pago, poi, perde il suo carattere aristocratico, dal momento che gli ex arcon-ti che lo compongono possono anche non provenire da famiglie nobili.

D) Dalla tirannide di Pisistrato alla svolta democratica di Clistene

Le riforme di Solone non riescono a placare i contrasti tra le varie classisociali. Di questo stato di cose approfitta Pisistrato, un aristocratico ambi-zioso, che nel 561 a.C. s’impadronisce del potere e per tre volte riesce adiventare tiranno di Atene mettendosi a capo del partito popolare.

Sotto di lui Atene conosce un grande sviluppo in tutti i settori. L’espor-tazione della ceramica conquista i mercati del Mediterraneo e del mar Nero,viene intensificato lo sfruttamento delle miniere d’argento del Laurion, lacittà viene fortificata da mura e arricchita di opere d’arte.

Pisistrato attua la riforma agraria assegnando le terre ai contadini po-veri e sovvenzionando la riconversione agricola delle piccole proprietà; fa-vorisce anche i ceti medi cittadini, l’artigianato, l’industria della ceramica eil commercio. Miete successi anche in politica estera: riconquista Salaminastrappandola ai megaresi, stabilisce il predominio di Atene sul santuarioionico di Delo, stringe rapporti d’amicizia con le città confinanti, incorag-gia la fondazione di nuove colonie sulle rive dell’Ellesponto.

Per incentivare il sentimento patriottico, Pisistrato e il suo successore, il figlio Ippia, pro-muovono numerose manifestazioni religiose e culturali, dalle gare sportive alla lettura pubbli-ca dei poemi omerici, dalle Feste panatenee (in onore di Atena, protettrice della città) alleGrandi dionisiache (dedicate a Dioniso), da cui nascerà la consuetudine delle rappresentazio-ni pubbliche sovvenzionate dallo Stato. Nel suo palazzo il tiranno raccoglie una delle prime

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91Atene e Sparta nel VI secolo a.C.

biblioteche della Grecia e istituisce un comitato per dare all’Iliade e all’Odissea la forma lette-raria con la quale sono giunte fino a noi.

Pisistrato muore nel 527 a.C., lasciando il potere ai figli. Ippia, cheassume il governo della città, cerca di far leva sul prestigio del suo prede-cessore, continuandone la politica. Ma gli aristocratici, soprattutto quelli inesilio, aspirano a recuperare l’antico potere, mentre il partito democraticonon si accontenta dei progressi ottenuti e punta a una maggiore libertà epartecipazione alla vita politica. Nel 514 a.C. il fratello di Ippia, Ipparco,viene ucciso per motivi privati, sicché il tiranno inasprisce i metodi di go-verno. La potente famiglia degli Alcmeonidi, appoggiata dall’esercito spar-tano, rovescia la tirannide e costringe Ippia a lasciare la città e a rifugiarsipresso la corte persiana (510 a.C.).

Finita la dittatura dei Pisistratidi, Atene torna a essere sconvolta dalladiscordia, ma ormai la polis è molto diversa da quella di un secolo prima.Lo Stato è diventato più forte, le fazioni nobiliari sono sempre più deboli edivise, mentre le altre classi sociali hanno acquistato più forza economica esenso d’indipendenza.

Un tentativo di restaurazione della polis oligarchica da parte di un nobi-le gradito a Sparta fallisce e, nel 508 a.C., l’aristocratico Clistene, dellafamiglia degli Alcmeonidi, conquista il potere con l’appoggio del popolo. Ilre di Sparta Cleomene tenta inutilmente di impedire ciò, ma è respinto conil suo esercito dal popolo in armi.

Clistene avvia immediatamente una riforma che rimarrà in vigore per isuccessivi due secoli e mezzo. Egli si propone innanzitutto di liberare lacittadinanza dalle tradizionali pretese egemoniche dell’aristocrazia.

La riforma di Clistene mantiene la divisione in classi stabilita da Solone.La classe di appartenenza non è più determinata in base al prodotto agrico-lo, ma in base al reddito, cioè al denaro ricavato dalle proprie attività orendite, sicché anche commercianti e artigiani possono aspirare alle ca-riche pubbliche.

Clistene divide l’Attica in demi, piccole unità territoriali dove sono iscrittii cittadini e forse anche i forestieri residenti (meteci).

Tutta l’Attica viene divisa in tre regioni: la zona montuosa più povera (Diacrìa), la zonacostiera con un’economia basata sul commercio e l’artigianato (Paralia) e la fertile pianuracentrale (Pedia).

Ognuna di queste regioni viene divisa in dieci distretti e i 30 distretti che ne risultano sonoraggruppati a tre a tre, in modo da formare 10 tribù (phile) che rappresentino tutte e tre le

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Capitolo Ottavo92

caratteristiche socio-economiche dell’Attica. La tribù diventa così la base dell’ordinamentopolitico e militare ateniese. Perdono d’importanza i grandi proprietari terrieri della Pedia, iquali, dispersi come sono nei distretti e nelle tribù, non costituiscono più un pericolo per larepubblica.

Ogni tribù deve fornire un reggimento di opliti, comandato da uno stra-tega, e scegliere, tra i cittadini di almeno trent’anni, 50 rappresentanti dainviare ad Atene come membri del Consiglio dei cinquecento o bulé. C’èinfine l’ekklesía, assemblea del popolo formata da tutti i cittadini che abbia-no compiuto vent’anni, che controlla i magistrati e approva o respinge leproposte di legge della bulé.

L’ekklesía ha anche il compito di colpire eventuali tentativi di tirannideattraverso l’istituto dell’ostracismo volto a punire con l’esilio.

L’opera di Clistene è il ponte tra l’età arcaica e quella classica. Anche seci vorranno ancora diversi anni prima che la democrazia in Atene raggiungail suo apice, il riformatore ateniese pone le basi per una ridistribuzione delpotere. E lo fa in primo luogo «mescolando» gli Ateniesi — per usareun’espressione di Aristotele — cioè con una ripartizione dei cittadini che,mettendo insieme persone che svolgono professioni diverse e che proven-gono da aree distanti del territorio cittadino, impedisce alle grandi fami-glie aristocratiche di continuare a coltivare la rete di relazioni clientela-ri che alimentava il loro potere. Questo rimescolamento è la premessa peruna maggiore partecipazione della comunità alle decisioni politiche. Nellastessa direzione vanno le riforme istituzionali di Clistene, con la creazionedi consigli e magistrature in cui non solo gli interessi di tutte le tribù veniva-no equamente rappresentati, ma ai quali buona parte dei cittadini aveva po-tenzialmente accesso in qualità di membro.

È stato notato che il principio ispiratore dell’azione di Clistene è quella isonomìa che J.-P.Vernant considera un carattere distintivo della visione del mondo dell’uomo greco del VI seco-lo a.C., per la quale l’universo non più considerato come una struttura gerarchicamente ordina-ta, ma come il risultato dell’equilibrio di forze uguali. In questo senso l’isonomìa, e la ridistri-buzione del potere che ne consegue, è in nettissima opposizione alla tirannide e all’accentra-mento del potere nelle mani di uno solo.

Lo stesso istituto dell’ostracismo, una procedura radicale e in qualche caso ingiusta, ha lafunzione di allontanare coloro i quali acquisiscono troppa influenza nella vita pubblica e riba-disce il nuovo ruolo che l’assemblea dei cittadini ha assunto nella politica.

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93Atene e Sparta nel VI secolo a.C.

2. SPARTA

La storia della città di Sparta — il cui nome significa «terreno adatto allasemina» — è segnata dal lungo processo di conquista e annessione di terri-tori che dalla ricca valle della Laconia si estendono fino al Peloponneso ealla fertile piana di Messenia, conquistata nell’VIII secolo a.C. e definitiva-mente assoggettata nel 640 a.C. Nell’VIII secolo a.C. Sparta si trova cosìin una situazione che presenta elementi di singolarità rispetto alle altrecomunità greche:

— possiede un territorio più vasto di quello della maggioranza delle altrecittà-Stato;

— ha un limitato accesso al mare, dal momento che il porto di Gizio è a 35chilometri da Sparta, e presenta quindi un’economia a vocazione squisi-tamente agricola;

— ha un’ampia popolazione rurale, gli iloti, che, priva di diritti civili, costi-tuisce la manodopera agricola, liberando i cittadini dalla necessità diattendere alla cura dei campi.

Per gli Spartani essere cittadino significa in primo luogo essere ingrado di difendere la propria patria, cioè essere oplita.

Ma, nonostante la particolarità del suo percorso storico, Sparta vive lastessa temperie sociale che condurrà, per esempio, allo sviluppo delle istitu-zioni democratiche dell’Atene classica. Alle problematiche nate in quel con-testo gli Spartani danno una risposta originale, dotandosi finanche di unasorta di costituzione e di istituzioni alle quali si atterranno per tutto il perio-do classico.

A) La struttura socio-politica

La società spartana è divisa in tre gruppi: gli spartiati, cioè i discendentidegli invasori dori che posseggono le migliori terre e sono guerrieri; anche iperieci (abitanti dei dintorni) sono considerati cittadini spartani, godono deidiritti civili, possono esercitare mestieri e dedicarsi al commercio, ma nonpartecipare alla vita politica, militano nell’esercito, ma in un contingenteseparato; gli iloti, cioè i discendenti dell’antica popolazione della Laconia,i quali, come abbiamo detto, coltivano le terre degli spartiati e sono privi diogni diritto politico e civile.

Le terre sono divise in appezzamenti (clèroi) che sono di proprietà delloStato e ad esso ritornano — per essere ridistribuiti — alla morte del cittadino cui

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Capitolo Ottavo94

erano stati assegnati. La concessione dei terreni da parte dello Stato è subordi-nata all’espletamento di alcuni «doveri», tra cui il contributo alle spese pubbli-che; se ciò non avviene, il cittadino inadempiente perde i suoi privilegi.

Si tratta di un sistema che tende a mantenere stabili lo Stato e la societàe a evitare la mobilità sociale e la perdita di egemonia degli spartiati. Ma èanche una soluzione del tutto originale al problema della parcellizzazionedella proprietà e al conseguente impoverimento dei piccoli contadini.

Altro elemento di novità e singolarità della cultura spartana è il fatto chel’educazione dei cittadini è affidata allo Stato. Ai genitori non è permesso dieducare i figli: dai sette ai vent’anni il fanciullo viene affidato alle cure di unmagistrato, il paidonómos, ed è sottoposto a una disciplina via via più rigidaal fine di diventare un perfetto guerriero.

Gli spartiati sono destinati solo alla vita delle armi e non possono dedi-carsi né ai commerci né a qualsiasi altra attività. Essi costituiscono un’ari-stocrazia guerriera ideologicamente compatta; non fruiscono di una veraeducazione intellettuale, conducono una vita straordinariamente omogenea,tanto da definirsi omoioi (uguali), e sono abituati alla vita cameratesca e auna ferrea disciplina.

B) La Costituzione spartana

La tradizione fa risalire la Costituzione spartana al leggendario legisla-tore Licurgo, che avrebbe avuto l’ispirazione dall’oracolo di Delfi, e cheprobabilmente sarebbe vissuto tra il X e l’VIII secolo a.C. La Costituzionespartana, che non conobbe grandi mutamenti nel tempo, non era scritta mafu tramandata oralmente.

Sparta è una diarchia, con due re appartenenti alle famiglie degli Agiadie degli Euripontidi, che sono anche a capo dell’esercito.

La gherusìa è il consiglio degli anziani, che propone le nuove leggi,esercita le funzioni giudiziarie riguardanti reati di sangue o di tradimento,dirige la politica estera, gode di un enorme prestigio come garante dellacontinuità dello Stato e della fedeltà alle tradizioni. Il Consiglio degli anzia-ni si compone di 28 membri di nomina elettiva con carica a vita. L’età mini-ma per essere eletto è 60 anni, quando finiscono gli obblighi militari.

Il potere dei re è sottoposto al controllo di 5 efori, magistrati che vigila-no sulla corretta applicazione delle leggi e sulla vita pubblica e si occupanodelle cause civili. Gli efori sono eletti ogni anno dalla gherusìa tra tutti icittadini senza alcuna distinzione di censo o nascita.

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95Atene e Sparta nel VI secolo a.C.

Infine c’è l’apella, l’assemblea di tutti gli spartiati (omòioi) che abbianocompiuto i 30 anni e si riunisce nei giorni di luna piena. Nessuna legge puòentrare in vigore senza il consenso dell’apella, la quale elegge anche ghe-ronti ed efori e giudica gli spartiati inadempienti ai loro obblighi.

C) La Lega peloponnesiaca

L’organizzazione militare di Sparta è talmente superiore a quella di tuttigli altri stati greci che nel VI secolo a.C. il predominio spartano si estendesu tutto il Peloponneso.

L’espansionismo spartano serve ad alleggerire la pressione interna derivante dai pericolidi ribellione degli iloti, dei perieci e degli stessi spartiati esclusi dall’eredità delle terre o de-classati. Tuttavia, gli Spartani non riducono alla condizione di iloti i popoli assoggettati (Arca-di, Elidi, Argolidi) come hanno fatto nei secoli precedenti con i Messeni, per evitare rischi dirivolta, ma concedono loro la condizione di alleati subalterni.

Così, alla fine del VI secolo a.C., nasce la Simmachia peloponnesiaca,una lega militare che comprende gran parte delle poleis del Peloponneso, aeccezione di Argo e delle città dell’Acaia che non accettano il predominiospartano. La lega prende le sue decisioni a maggioranza e secondo un crite-rio di parità di tutti i membri, ma è Sparta ad avere la reale egemonia su diessa.

3. ARTE, RELIGIONE E CULTURA NEL VI SECOLO A.C.

L’ascesa politica ed economica di cui le poleis greche sono protagonisteincrementa la costruzione di edifici sacri e di opere pubbliche come nel-l’Atene dei Pisistratidi.

A Olimpia, Delfi, Delo, Eleusi sorgono santuari panellenici che richia-mano moltitudini di persone da tutta la Grecia. I templi e i recinti sacri siarricchiscono di statue che raffigurano atleti nudi (kouroi) e giovinette dalportamento elegante (korai).

Architetti, scultori, pittori e ceramisti ellenici trasformano progressiva-mente la loro ricerca e il loro modo di lavorare elaborando un’arte figura-tiva che ha come centro l’uomo e che rifugge dal mostruoso e dal gigante-sco assumendo come canone l’aspirazione all’armonia e alla misura.

I vasi attici a figura nera sostituiscono, dopo il 550 a.C., quelli corinzi,mentre, qualche decennio più tardi, gli artigiani ateniesi iniziano una produ-zione ceramica caratterizzata da figure rosse intersecate da linee nere e su

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Capitolo Ottavo96

fondo nero. Questo stile diventerà il più famoso e il più richiesto della Gre-cia classica.

In ambito culturale si assiste a un’eccezionale fioritura della poesia.Saffo e Alceo, entrambi nati nell’isola di Lesbo, sono i poeti più famosi.Altri poeti lirici sono Anacreonte e Simonide, che operano presso le cortidi Policrate di Samo e di Pisistrato; Alcmane; Teognide di Megara.

Intorno al VI secolo a.C. i primi scienziati cercano di spiegare il mondo non più attraversoil mito ma attraverso l’osservazione della realtà. Nasce, con la scienza, la filosofia, l’«amoredel sapere», cioè la riflessione sull’uomo e sul perché delle cose.

A Mileto sorge la prima scuola di filosofia, con Talete, Anassimandro e Anassimene checompiono studi di astronomia, matematica, geografia.

Pitagora di Samo, trasferitosi nella Magna Grecia, a Crotone, nel 530 a.C., compie im-portanti scoperte matematiche e inaugura una approfondita riflessione nel campo più specificodella ricerca filosofico-religiosa. Ipotizza la «metempsicosi», cioè l’esistenza di un’anima di-stinta dal corpo, destinata a liberarsi da esso dopo una serie di trasmigrazioni.

Il misticismo pitagorico avrà un grande influsso sui pensatori greci dell’età successiva. Se-nofane di Colofone, trasferitosi in Sicilia nel 545 a.C., respinge la concezione degli dei, simili auomini, affermando l’esistenza di un principio divino inconoscibile che muove il mondo.

Alla fine del VI secolo (500 a.C.) il mondo greco si è affermato ormai intutta la sua originalità e con forti elementi di differenziazione rispetto alleciviltà del Vicino Oriente, dalle quali aveva attinto elementi culturali e reli-giosi.

Tavola cronologica

X - VIII sec. a.C.: Costituzione di Licurgo a Sparta.ca. 700 a.C: La monarchia ateniese viene sostituita da un regime oligarchico.682 a.C.: La carica dell’arconte diventa annuale.640 a.C.: Sparta conquista la Messenia.620 a.C.: Dracone dà vita ad un codice di leggi.VI sec. a.C.: Predominio spartano su tutto il Peloponneso e costituzione della Lega

peloponnesiaca.Fioritura culturale in Grecia.

594 a.C.: Solone è eletto arconte.566 a.C.: Sono istituite ad Atene le Feste panatenaiche.561 - 527 a.C.: Tirannide di Pisistrato.527 - 510 a.C.: Tirannide di Ippia.514 a.C.: Uccisione di Ipparco, fratello di Ippia.508 a.C.: Rifoma di Clistene.

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97Atene e Sparta nel VI secolo a.C.

Glossario

Ostracismo: si tratta di un’istituzione giuridica della democrazia ateniese volta a punirecon un esilio di 10 anni quanti erano ritenuti pericolosi per lo Stato. L’ostracismo consiste-va in una votazione che avveniva una volta l’anno nell’ambito della quale i nomi dei citta-dini da ostracizzare venivano scritti su dei cocci chiamati ostraka. Perché la votazionefosse valida, vi dovevano partecipare almeno 6.000 cittadini e la persona che riceveva unamaggioranza dei voti veniva bandita dalla città; qualora fosse rimasta avrebbe pagato conla morte la sua disobbedienza. Il cittadino esiliato perdeva il diritto di partecipare alla vitapolitica, ma le sue proprietà non subivano alcuna confisca e poteva nominare una personache gestisse i suoi affari durante la sua assenza.

Simmachia: nell’Antica Grecia era un’alleanza di tipo militare nell’ambito della qualetutti i componenti avevano uguali diritti. Solitamente una simmachia durava soltanto per ilperiodo necessario: una volta venute meno le circostanze per le quali era nata, infatti, ognipolis recuperava la propria piena libertà di azione.

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CAPITOLO NONO

LE GUERRE GRECO-PERSIANE

Sommario: 1. L’Impero persiano. - 2. La prima guerra greco-persiana. - 3. Il secondoconflitto. - 4. Il prestigio ateniese e l’espansione in Oriente.

1. L’IMPERO PERSIANO

Con la caduta di Ninive nel 612 a.C. inizia la decadenza della potenzaassira a vantaggio dei Medi, una popolazione proveniente dalle regioni cau-casiche che, guidata dal re Ciassare, si insedia sull’altopiano iranico concapitale Ecbatana (cfr. Cap. 6).

Tutta questa area raggiunge però una omogeneità civile, economica eculturale, nell’arco di circa trent’anni, con Ciro il grande, re dei Persiani(558-529 a.C.). Prima della sua ascesa al trono, il principato di Persia eravassallo dei re dei Medi che governavano l’area nordorientale dell’attualeIran. Nel 550 a.C. Ciro conquista la Media, nel 547 la Lidia del re Creso,che viene trasformata in una satrapia, e nel 538 l’impero babilonese.

Concede agli Ebrei, che il re babilonese Nabucodonosor aveva deporta-to, di ritornare in patria e di ricostruire il tempio di Gerusalemme. Ciro, cheè considerato il principale artefice di una potenza politico-militare destinataa durare fino alla conquista di Alessandro Magno, muore nel 529 a.C., in uncombattimento contro le popolazioni nomadi dei confini orientali.

Gli succede il figlio Cambise, che occupa l’Egitto nel 525 a.C.e tentauna spedizione in Etiopia che si risolve in un disastro. Il successore, Dario,estende il dominio persiano sia verso Oriente, arrivando fino in India, siaverso Occidente. Qui volle ottenere il controllo della Tracia, regione sud-orientale dell’attuale penisola balcanica, dalla quale popolazioni di nomadisciti partivano per fare razzie lungo le frontiere dell’impero. Con Dario l’im-pero raggiunge la sua massima estensione.

Il regno persiano è un’autocrazia retta dal «grande re, re dei re, redei territori sui quali vivono popoli diversi, re di questo grande e vastomondo», come si legge nell’iscrizione sulla porta di Persepoli. Il re esercitaun potere assoluto, considerato di origine divina, ma nei fatti questo potereè limitato dai privilegi delle famiglie nobili.

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99Le guerre greco-persiane

Il «re dei re» è affiancato da un consiglio di nobili e funzionari di corte, mentre il popolopersiano è esentato dalle tasse e forma la parte scelta dell’esercito, la guardia del re (gli immor-tali) e le truppe di controllo del territorio dell’impero.

Per favorire le comunicazioni fra le province del suo vasto impero, i numerosi Stati tribu-tari e la capitale Susa, Dario fa costruire un’imponente rete stradale.

I funzionari regi percorrono le strade dell’impero per controllare satrapi e Stati tributari.Nell’impero esiste un sistema monetario aureo e argenteo.

Con i Persiani si afferma nel Vicino Oriente una concezione sovranaziona-le del potere. Essi ereditano e perfezionano la cultura dell’amministrazione digrandi territori inaugurata dal impero sumerico e accadico. Nell’impero prevalel’elemento persiano, ma, una volta adempiuti gli obblighi e pagati i tributi, ipopoli sottomessi godono di una certa autonomia culturale e religiosa.

I Persiani adorano le forze della natura, tra cui il dio Mitra, un culto che so-pravviverà alla caduta dell’impero, penetrando anche in Italia nel I secolo d.C.

Proprio nel periodo della formazione dell’impero, in Persia si diffondela religione predicata da Zarathustra e fondata su un dio della luce e dellaverità (Ahura-Mazda) in conflitto con la forza del male (Ahriman).

I principi dello zoroastrismo, che influenzerà poi anche alcune filosofie oc-cidentali, sono contenuti nell’unica opera letteraria di questo popolo, l’Avesta.

L’Impero persiano

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Capitolo Nono100

2. LA PRIMA GUERRA GRECO-PERSIANA

A) La risposta persiana alla rivolta di Mileto

Quando Ciro conquista la Lidia, le città greche della Ionia e dell’Elidedevono riconoscere la sovranità del «re dei re». Ma gli Ioni mal sopportanoil dominio persiano

Nel 499 a.C. il malcontento dei Greci sfocia in una rivolta che da Miletosi estende ad altre città ioniche. A guidare l’insurrezione è Aristagora, ti-ranno di Mileto che, rivoltandosi contro il satrapo di Sardi, spera nell’aiutodelle principali poleis greche contando sull’unanimità di intenti, ma riesce aottenere solo 20 navi da Atene e 5 da Eretria.

Le ragioni della rivolta di Mileto non sono del tutto chiare. C’era sicuramente l’insoffe-renza per la dominazione persiana, ma anche il fatto che il controllo dell’impero di Dario suBisanzio e lo stretto dei Dardanelli, territori dove si trovavano le antiche colonie di Mileto,comprometteva i commerci della città ionia, riducendone molto la ricchezza.

A rendere poco chiara la situazione è la testimonianza dello storico greco Erodoto cheafferma che Mileto non era mai stata tanto ricca come sotto la dominazione persiana, escluden-do apparentemente la motivazione economica della guerra.

I Greci, all’inizio del conflitto, sembrano avere la meglio e riescono adespugnare Sardi, ma alla fine devono arrendersi alla superiorità di uomini emezzi della potenza persiana, anche perché Ateniesi e Eretriesi si ritiranodalla lotta. Nel 494 a.C. i Persiani distruggono Mileto e deportano in Meso-potamia gli abitanti sopravvissuti, come monito contro eventuali tentativi diribellione.

L’interesse dei Persiani nei confronti delle città della Grecia continentale è alimenta-to da Ippia, figlio ed erede del tiranno ateniese Pisistrato. Deposto e allontanato da Atene,egli aveva trovato rifugio presso la corte persiana e, desideroso di tornare al potere nella suacittà, aveva cercato di suscitare consensi nei confronti dei Persiani nell’assemblea dei cittadiniateniesi (ekklesía).

In seguito, l’impero di Persia consolida le sue conquiste in Tracia e neiterritori degli Stretti dei Dardanelli.

B) La battaglia di Maratona

Quando finalmente l’attenzione di Dario si rivolge contro Atene ed Ere-tria, le poleis della Grecia devono scegliere: combattere per la libertà o sot-tomettersi. La Tessaglia e la Beozia, che hanno governi aristocratici, vengo-no a patti col nemico, mentre le altre poleis scelgono la lotta pur di difende-re la propria indipendenza.

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101Le guerre greco-persiane

Nel 490 a.C. una flotta persiana distrugge Eretria e Mileto; poi si dirigeverso la costa orientale dell’Attica e getta le ancore sulla costa di Maratona,a pochi chilometri da Atene. Quest’ultima è già in allarme, ma Milziade,uno degli strateghi ateniesi, riesce ad ottenere che si esca in forze contro ilnemico, affinché l’esercito non venga influenzato dalla tensione che gravasulla città.

Gli Ateniesi schierano sulle colline 9.000 opliti, mentre vengono chiestiaiuti a Platea e a Sparta. Platea invia 1.000 opliti, che, sommati a quelliAteniesi, formano un totale di 10.000, contro l’esercito ben più numerosodei Persiani. Gli aiuti da Sparta non arrivano in tempo, perché una festareligiosa impone una tregua d’armi.

Milziade convince gli altri strateghi ateniesi a seguire una tattica di at-tacco improvviso, mentre i generali persiani rinviano lo scontro sperandoche gli avversari capitolino, spaventati dalla loro superiorità numerica (l’eser-cito persiano aveva quasi il doppio dei soldati). Milziade ordina di sferrarel’attacco appena arriva la notizia che un esercito spartano, formatosi spon-taneamente, è in marcia verso Atene.

Il centro dell’esercito greco non regge all’impatto con i Persiani, ma lesue ali convergono all’interno sfondando lo schieramento nemico.

Nel 490 a.C. nella piana di Maratona si svolge uno scontro memora-bile della storia militare antica. Gli Ateniesi sconfiggono il potente eserci-to persiano, riportando, peraltro, un limitato numero di vittime, mentre gliSpartani arrivano solo a battaglia terminata.

Gli invasori pensano di muovere di sorpresa con la flotta contro Atene,ritenendola sguarnita di soldati. Quando si accorgono dell’errore, poiché lacittà è già stata raggiunta dai vincitori di Maratona, rinunciano alla spedi-zione e fanno rotta verso l’Asia Minore.

La tradizione vuole che i cittadini di Atene fossero avvertiti della vittoria del loro esercitoda un messaggero che percorse di corsa i 42 chilometri che separano la piana di Maratona dallacittà, morendo di sfinimento dopo aver portato a termine la sua missione.

3. IL SECONDO CONFLITTO

A) Temistocle e i preparativi militari

Se prima di Maratona i Persiani consideravano la situazione greca unproblema marginale, dopo il fallimento della prima spedizione ciò non è piùpossibile.

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Capitolo Nono102

Dario inizia a compiere grandi preparativi militari, interrotti nel 486 a.C.dalla sua morte. Il successore Serse (486-465 a.C.), nato dalla seconda mogliedi Dario, Atossa, figlia di Ciro, progetta una nuova campagna contro la Gre-cia. Nel 481 a.C. si trasferisce a Sardi con un imponente esercito e ammassanavi da guerra ioniche e fenicie.

Anche ad Atene si procede ai preparativi di guerra. La direzione politicaviene affidata a Temistocle, il quale, impiegando le entrate fornite dalle mi-niere d’argento del Laurion, costruisce in poco tempo una flotta di 200 trire-mi, equipaggiate con rematori reclutati tra gli strati più umili della popolazio-ne e con i teti, che non prestano servizio militare. La scelta degli Ateniesi dimobilitare anche la popolazione più povera della città, che non avrebbepotuto militare nelle schiere oplitiche, è una mossa senza precedenti nellastoria greca e segnerà un mutamento radicale nel modo di condurre la guerra.Se durante la prima guerra persiana Atene era stata in grado di mobilitare unesercito di 10.000 persone, da ora in poi potrà mobilitarne molte di più.

Ma l’impero persiano non sta a guardare. Serse decide ben presto diriprendere le ostilità, anche se organizzare l’offensiva richiederà anni. Ilnuovo monarca vuole infatti assicurare al suo esercito un adeguato supportologistico e per questo farà costruire due ponti di barche sullo stretto dell’El-lesponto, tra il mar Egeo e il mare di Marmara, e ammasserà viveri e mate-riali sulla costa tracia. Inoltre, le dimensioni dell’esercito mobilitato sonoenormi e la flotta raggiungerà le 1.207 unità.

Nonostante i propositi bellicosi, però, Serse non rinuncia a perseguire lavia diplomatica per sottomettere le città greche, proponendo loro l’alterna-tiva di una resa pacifica. Un’alternativa che convince molte città della Tes-saglia e della Beozia, mentre incontra la ferma opposizione delle altre co-munità, e di Atene e Sparta in particolare.

L’ormai prossimo conflitto con il grande impero di Persia rappresentaun elemento di coesione per le città greche. Tant’è che nel 481 a.C. sul-l’istmo di Corinto viene convocata un’assemblea di tutti gli Stati perorganizzare la difesa della Grecia. Sono presenti 31 Stati, ma, tra gli altri,mancano all’appello Argo, per la sua ostilità verso Sparta, e Tebe. Di comu-ne accordo viene stabilita la sospensione dei contrasti esistenti tra i sin-goli Stati e viene definita la competenza per il comando militare degli eser-citi confederati, che tocca a Sparta.

Nella primavera del 480 a.C. Serse muove da Sardi alla testa di un pode-roso esercito marciando con le truppe di terra lungo le coste dell’Egeo, mentre

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103Le guerre greco-persiane

la flotta avanza parallelamente per rifornire l’esercito. Perché il piano abbiasuccesso occorre superare l’ostacolo di una navigazione non sempre agevo-le a causa delle tempeste che si abbattono frequentemente lungo quelle co-ste, oltre che fronteggiare la difesa greca. Temistocle individua subito ilpunto debole del piano persiano e propone ai Greci di attaccare prima laflotta, che trasporta gli approvvigionamenti, così da bloccare i rifornimentiall’esercito in marcia. Ma la flotta nemica è superiore per numero, per cuibisogna attirarla in acque strette, dove la superiorità numerica e l’abilità delcontingente fenicio saranno inutilizzabili.

B) L’esercito spartano alle Termopili

Mentre le navi greche si dirigono a nord, verso il canale di Eubea, unpiccolo esercito dovrà tentare di ritardare l’avanzata degli avversari affron-tandoli al passo delle Termopili, al confine meridionale della Tessaglia, unvarco di circa 15 metri tra la montagna e il mare, nel quale Serse è obbligatoa passare per procedere parallelamente alla sua flotta.

Lo scontro navale presso il Capo Artemisio, un promontorio all’imboc-catura del canale di Eubea, si conclude senza vincitori né vinti. Intanto,presso le Termopili un limitato contingente di truppe, comandato dallo spar-tano Leonida, blocca per due giorni l’esercito persiano. La responsabilitàdel re spartano è grave: se cadono le Termopili i Persiani possono invaderela Grecia. Serse tenta l’aggiramento per prendere alle spalle l’esercito gre-co, cosa che gli riesce solo grazie al tradimento di un disertore spartano,Efialte. Leonida rimane con 300 spartani e 700 tespiesi a contrastare il pas-saggio dei Persiani, e sacrifica se stesso e il contingente lacedemone perconsentire agli altri di ritirarsi in ordine.

C) La vittoria greca di Salamina

Dopo la catastrofe delle Termopili i Greci sono costretti ad arretrare. Letruppe del Peloponneso si ritirano oltre l’istmo di Corinto; gli Ateniesi ab-bandonano la città e si rifugiano sull’isola di Salamina, seguiti dalla flotta.È qui, nelle acque strette dell’isola di Salamina, che Temistocle prevede dibattere i Persiani separando la flotta dall’esercito.

Il piano che non è riuscito a capo Artemisio questa volta si realizza: laflotta persiana viene distrutta nelle acque prospicienti Salamina, tra l’iso-la e la terraferma: Serse perde 200 navi contro le 40 dei Greci ed è costrettoa portare in Asia quella parte dell’esercito che non può più contare sul rifor-nimento delle navi.

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Capitolo Nono104

Ma nonostante la vittoria di Salamina, la guerra continua. Nell’estatedel 479 a.C. il generale Mardonio (cui Serse, rientrato in Asia, aveva lascia-to il comando dell’esercito) si insedia a Platea preparandosi all’attacco, dopoun’incursione in Attica che aveva costretto le autorità politiche ateniesi arifugiarsi nuovamente a Salamina.

A Platea nel settembre del 479 a.C. si combatte una battaglia che segnaun punto di svolta nella guerra.

I Greci, con 38.700 opliti e 70.000 fanti leggeri sotto il comando dellospartano Pausania, si preparano alla guerra. È uno scontro durissimo, chevede Focesi, Beoti e Tessali combattere sotto bandiera persiana, ma infine iGreci hanno la meglio, riuscendo a imporre pesanti perdite ai Persiani, no-nostante la loro superiorità numerica e l’abilità della loro cavalleria. Nellostesso giorno anche la flotta persiana è sconfitta a Micale da quella grecasotto il comando dello spartano Leotichida.

Anche se le guerre persiane si concluderanno formalmente solo nel 449a.C., con la pace di Callia, dopo Platea l’iniziativa passa decisamente inmano ai Greci e a partire dal 479 a.C. il suolo greco non vedrà più incursionida parte persiana.

Dopo la disfatta il grande esercito di Persia si dirige verso l’Asia Mino-re, mentre la notizia delle vittorie greche provoca nelle poleis sotto il domi-nio persiano insurrezioni a catena che portano alla cacciata dei funzionaripersiani e all’adesione all’alleanza ellenica.

La Grecia continentale è finalmente libera.

4. IL PRESTIGIO ATENIESE E L’ESPANSIONE IN ORIENTE

A) La leadership di AteneMolti storici sono concordi nell’affermare che esiste un rapporto causale tra la vittoria

contro i Persiani e la grandezza di Atene nel V secolo a.C. Se i Greci fossero stati sconfittisarebbero venute meno tutte le condizioni per lo sviluppo culturale che fece della città greca ilcentro della civiltà del tempo e un modello per le epoche successive. L’arte, la letteratura, latragedia attica non avrebbero potuto fiorire in una città sconfitta dai Persiani.

Come abbiamo detto le vittorie greche di Platea e Micale non pongonoimmediatamente fine alla guerra con l’impero di Persia, che continua a mi-nacciare le città greche della costa dell’Anatolia. Per far fronte alla minac-cia esse sollecitano l’aiuto delle comunità della Grecia continentale, cheinviano una flotta al comando dello spartano Pausania, il quale, nipote del

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105Le guerre greco-persiane

re Leonida I e reggente in vece del figlio minorenne di questi, riesce a ricon-quistare Bisanzio ai Persiani. Tuttavia, ben presto l’arroganza dei suoi at-teggiamenti e il sospetto che stia trattando segretamente con la Persia con-ducono ad un suo allontanamento dal comando. Richiamato a Sparta, Pau-sania viene accusato di tradimento, murato vivo e lasciato morire di famenel tempio di Atena dove aveva cercato rifugio.

In seguito a questi eventi, le città della Ionia chiedono agli Ateniesi diassumere il comando della lega. Atene è la città che presenta i principalirequisiti per ricoprire un ruolo da leader nell’ambito della lega: ha conse-guito grande prestigio nelle guerre persiane e, a differenza di Sparta, possie-de una flotta. Quest’ultima, inoltre, non sembra interessata a contrastare ilprimato marittimo di Atene perché deve far fronte ai problemi interni deri-vanti dalle tendenze democratiche che da Atene iniziano a diffondersi nelPeloponneso: Argo si dà una Costituzione democratica, così come l’Arca-dia e l’Elide, che escono dalla lega peloponnesiaca.

B) La lega marittima delio-attica

Nel 478 a.C. si giunge, su proposta dell’ateniese Temistocle, alla firmadi un trattato di alleanza in funzione antipersiana (simmachia). Viene cosìcostituita la lega marittima delio-attica, con centro a Delo e sotto l’ege-monia ateniese. Lo scopo della lega è mantenere una flotta per continuarela guerra contro l’impero di Persia. Delo appare come la sede ideale per laposizione geografica e per la presenza del santuario dedicato ad Apollo. Quisi riunisce ogni anno l’assemblea delle poleis confederate e qui è conserva-to il tesoro della lega. Il contributo dei federati consiste in un contingen-te navale, ma chi non è in grado di fornirlo può versare un contributoannuo in denaro (phóros). Alla lega aderiscono progressivamente quasitutte le città della Ionia, dell’Eubea, delle Cicladi occidentali e di altre isolee regioni dell’Egeo.

Temistocle, che in realtà mira a sconfiggere Sparta, ormai potenza anta-gonista di Atene, fa costruire una solida cinta di mura, fa fortificare il portodel Pireo e lo collega con la città. I conservatori ateniesi, però, vedendo inSparta l’unica forza capace di porre un freno all’avanzata democratica, siraccolgono attorno a Cimone, figlio di Milziade. Con l’appoggio dell’areo-pago i conservatori prevalgono, impongono l’alleanza con Sparta e costrin-gono Temistocle stesso, colpito da ostracismo (470), all’esilio presso Arta-serse I, re dei Persiani.

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Capitolo Nono106

Nel 476 a.C. il comando della flotta viene affidato a Cimone, che intra-prende la riconquista delle isole greche ancora occupate dai Persiani. Libe-rate le coste della Tracia meridionale, Cimone si impadronisce dell’isolettadi Sciro e costringe Corinto a entrare nella lega delica. Infine, nel 470 a.C.,distrugge la flotta persiana sulle rive dell’Eurimedonte e occupa le zonecostiere della Caria e della Licia.

I Persiani sono sconfitti, ma lo spirito unitario che aveva caratterizzatole lotte della lega attica va declinando. Atene consolida il suo primato e sievidenziano sempre di più i contrasti con Sparta.

Tavola cronologica

559 - 530 a.C.: Regno di Ciro.530 - 521 a.C.: Regno di Cambise.499 a.C.: Rivolta di Mileto contro i Persiani.498 a.C.: Rivolta degli Ioni.486 - 465 a.C.: Regno di Serse.480 a.C.: Battaglia delle Termopili.

Battaglia di Salamina.479 a.C.: Battaglie di Platea e Micale.477 a.C.: Costituzione della Lega delio-attica.470 a.C.: Battaglia dell’Eurimedonte.

Esilio di Temistocle.

GlossarioZoroastrismo: è una delle più antiche religioni e la più importante dell’Iran prima dell’af-fermazione di quella islamica. Essa prende il nome dal suo fondatore Zoroastro, meglioconosciuto come Zarathustra, vissuto in Persia tra il VII ed il VI secolo a.C. Lo zoroastri-smo presenta numerosi elementi in comune con la religione vedica indiana e combina ele-menti di monoteismo e dualismo. Nodo centrale è la continua lotta tra Bene e male. Agliinizi della creazione, il Dio Supremo, Ahura Mazda — da cui deriva la parola Mazdeismoaltro nome con cui è chiamata questa religione — è opposto ad Angra Mainyu (o Ahriman)uno spirito malvagio delle tenebre, portatore di violenza e morte.

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CAPITOLO DECIMO

L’ETÀ DI PERICLE

Sommario: 1. La riscossa democratica e il programma di Pericle. - 2. La civiltà grecadel V secolo a.C.

1. LA RISCOSSA DEMOCRATICA E IL PROGRAMMA DI PERICLE

Gli errori commessi in politica estera dal leader aristocratico Cimone —in particolare l’aiuto offerto a Sparta per reprimere un’ennesima rivolta de-gli iloti — scatenano la controffensiva dei democratici guidati da Efialte edal giovane Pericle. Conseguenze di questa «riscossa» democratica sono lariduzione dei poteri dell’areopago e l’ampliamento dei poteri della bulè edell’ekklesía.

L’esilio di Cimone, accusato di essere filospartano, e l’assassinio di Efialteconsentono l’ascesa al potere di Pericle che, in un primo momento, parteci-pa alla guida del partito democratico insieme ad altri politici e poi, dopo il461 a.C., diviene capo dei 10 strateghi.

Figura interessante e discussa, Pericle è un aristocratico, membro della famiglia degliAlcmeonidi. La statura politica e la portata delle sue riforme democratiche hanno fatto di luiuna sorta di emblema della democrazia. Al di là dei risultati del suo governo, si presenta comeun personaggio dotato di un’intelligenza fuori dal comune, politico integerrimo, abile oratore,uomo colto e raffinato.

Pericle entra in scena in un momento cruciale della vita ateniese, av-viando una politica che si sviluppa su due piani distinti. Da un alto, infatti,inaugura una politica interna imperniata su riforme democratiche e sul-la promozione dello sviluppo artistico e culturale, e dall’altro una politicaestera volta a imporre il predominio ateniese sull’Egeo, che però, dopo iprimi anni di gloria, decreterà il crollo di fine secolo.

A) Le riforme per la democrazia

L’opera riformatrice di Pericle inizia con l’emanazione di un provvedi-mento che ha lo scopo di allargare la partecipazione alla vita politica di tuttii cittadini aventi diritto, cioè di tutti gli iscritti al registro dei demi. Tale

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Capitolo Decimo108

provvedimento, chiamato mistoforìa, consisteva nell’assegnazione di uncompenso (misthós) ai cittadini che esercitavano funzioni pubbliche; in que-sto modo anche le persone meno abbienti — che fino ad allora, per motivieconomici, erano state impossibilitate a partecipare alla vita politica — po-tevano ricoprire una carica pubblica. Altra conseguenza della politica de-mocratica è la perdita di potere dell’areopago, le cui funzioni vengono limi-tate al giudizio nei casi di delitti di sangue. Gran parte dei poteri passa al-l’ekklesía, i cui membri sono tutti i cittadini maschi al di sopra dei 18 anni,e alla bulè, consiglio costituito da cittadini sorteggiati, il cui incarico hadurata annua.

Alla base delle riforme democratiche promosse da Pericle c’è il princi-pio dell’uguaglianza di tutti i cittadini. Non si dimentichi, però, che icittadini costituiscono la minoranza della popolazione dello Stato, compo-sta per buona parte da schiavi e meteci. Cittadino ateniese, infatti, è solocolui i cui genitori sono a loro volta cittadini ateniesi e, pertanto, anche lademocrazia ateniese, in quest’ottica, potrebbe essere definita «oligarchica».

È lo stesso Pericle a farsi promotore nel 451 a.C. della riforma che rende le condizionidi accesso alla cittadinanza ateniese più restrittive, limitando così ulteriormente il numerodi abitanti che godono dei diritti politici.

Del resto Pericle, come Cimone, era un aristocratico ed era imparentato con due delle piùimportanti famiglie di Atene, i Buzygai e gli Alcmeonidi. Pur senza disconoscere il fatto che lesue riforme potenziarono le istituzioni democratiche di Atene, è possibile dare una lettura piùcompleta della sua opera politica, mettendola in relazione con l’affermarsi di nuovi gruppisocio-economici alternativi al tradizionale ceto di grandi proprietari terrieri, rappresentati daCimone.

Si può ipotizzare che la stessa istituzione del misthós, l’indennità destinata ai cittadini chesvolgevano incarichi pubblici, avesse la funzione di minare il potere politico dei proprietariterrieri, basato sulle clientele create attraverso l’elargizione di doni alla popolazione. Secondoquesta interpretazione, il misthós sarebbe stato lo strumento usato da Pericle per rompereil vincolo di dipendenza tra l’aristocrazia terriera e il démos.

B) La politica estera

Il disegno politico di Pericle mira ad affermare la supremazia di Ateneper far fronte a un eventuale scontro con Sparta. Per realizzare questo pro-getto sono però necessarie alcune condizioni: occorre potenziare la flotta eintensificare i traffici anche per favorire quella parte della popolazione cheha interesse all’espansione sul mare; bisogna persuadere gli alleati a nondissociarsi dalla Lega di Delo; è necessario sostenere i democratici nellecittà alleate instaurando governi amici; bisogna, infine, insediare guarnigio-

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109L’età di Pericle

ni militari (phrouraí) nelle città conquistate ai barbari e in quelle degli alle-ati ribelli. Nel 454 a.C. il tesoro della Lega viene trasferito ad Atene con ilpretesto che Delo non offre più garanzie di sicurezza. L’egemonia atenieseha ormai tutte le caratteristiche dell’imperialismo.

In politica estera, dunque, Pericle si impegna su due fronti: da unaparte si scontra con gli Spartani — contro i quali intraprende la primaguerra peloponnesiaca — dall’altra sfida i Persiani, appoggiando le rivol-te degli Egiziani.

Si è fatto riferimento ad una «prima guerra peloponnesiaca» per distinguerla dal secondoconflitto — preso in esame nel prossimo capitolo — che scuoterà la Grecia a partire dal 431a.C. e segnerà l’inizio del declino delle città-Stato. Ma in realtà quelli dal 462 al 445 a.C. sonoanni intensi, caratterizzati da un confronto serrato tra le due potenze egemoniche che, però,solo in alcuni casi sfocerà in scontri militari diretti.

I rapporti tra Sparta e Atene furono sufficientemente buoni fino al 462, forse anche perchéSparta doveva affrontare l’opposizione di Argo e degli Arcadi alla sua egemonia nel Pelopon-neso.

In quell’anno un forte terremoto, che miete numerose vittime in Laconia, innesca la rivoltadegli iloti di quella regione e, in seguito, della Messenia. Per far fronte alla crisi, Sparta chiedeaiuto alle città del Peloponneso e ad Atene, ma, spinta forse dal sospetto che gli Ateniesi potes-sero in realtà favorire i nemici, rispedisce indietro il contingente di 4.000 uomini posto sotto ilcomando di Cimone. Tale atteggiamento fu considerato un affronto da Atene che, non soloostracizzò Cimone (cfr. cap. 9), maggiore promotore della decisione di inviare le truppe, mastrinse anche nuove alleanze con gli avversari di Sparta, in primo luogo Argo.

Da questo momento in poi la lotta per l’egemonia in Grecia si fa sempre più esplicita conAtene e Sparta che cercano di sfruttare i dissensi e gli antagonismi che minavano la soliditàrispettivamente della Lega peloponnesiaca e della Lega di Delo.

Questa politica, in un primo tempo fruttuosa — Atene infatti afferma lapropria supremazia sulla Beozia, sulla Focide, sulla Locride e su Egina —alla lunga si rivela troppo gravosa per lo Stato ateniese, tanto da spingerePericle a scendere a compromessi con i Persiani. Infatti, la Pace di Callia(dal nome dell’ambasciatore ateniese che la stipula) sancisce la rinunciadegli Ateniesi all’espansione nel Mediterraneo e impegna i Persiani a rinun-ciare a ogni tentativo di penetrazione nell’Egeo.

Nel 445 a.C. Atene è costretta a stringere accordi anche con Sparta. Lapace stipulata tra le due poleis, stabilisce una tregua di trent’anni e il ri-corso all’arbitrato in caso di conflitto. Ciascuna «potenza», inoltre, ricono-sce l’area di influenza dell’altra: da una parte la supremazia marittima diAtene, dall’altra l’egemonia di Sparta sul Peloponneso.

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Capitolo Decimo110

2. LA CIVILTÀ GRECA DEL V SECOLO A.C.

Grazie allo straordinario sviluppo della letteratura, dell’arte e della filo-sofia nel V secolo a.C., della cultura dell’età di Pericle si hanno maggioritestimonianze rispetto a qualsiasi altro periodo della storia greca. Atene di-venta il centro in cui operano scrittori, filosofi e artisti, e dove i Sofisti inse-gnano l’arte del parlare ai giovani che intendono intraprendere la carrierapolitica. L’impulso dato da Pericle all’architettura e all’arte ha lo scopo dicelebrare la potenza e lo splendore di Atene. Sull’agorà sorgono nuove co-struzioni, il porto del Pireo viene ampliato e rimodernato, a Olimpia vieneeretto il tempio di Zeus. Con i mezzi finanziati dai tributi degli alleati Peri-cle avvia una vasta opera di ricostruzione degli edifici sacri distrutti durantele invasioni dei Persiani. Tra il 447 e il 438 a.C. viene eretto sull’acropoli ilPartenone, in onore di Atena Parthenos, protettrice della città. Il tempio,costruito da Ictino e Callicrate, è ornato dai rilievi di Fidia, il più grandescultore del tempo.

Alla dea Atena sono dedicate le Panatenee, mentre in onore di Dionisovengono celebrate le Grandi dionisiache, le feste nelle quali il popolo assi-ste a rappresentazioni teatrali sotto forma di tragedie e commedie.

Sia la tragedia che la commedia portano sulla scena i valori sui quali si fonda la vitasociale della polis. La prima è incentrata sul rapporto tra l’uomo e il destino o la divinità e hauna funzione catartica, cioè di purificazione dell’animo dalle passioni; la commedia mette inscena problemi e personaggi della vita di tutti i giorni. Il più importante commediografo del Vsecolo a.C. è Aristofane che attacca con la sua satira sferzante la corruzione dei potenti, i vizidegli uomini e persino gli stessi dèi.

Con Eschilo, Sofocle ed Euripide la tragedia raggiunge l’espressionepiù significativa dello spirito della polis greca. Nelle tragedie di Eschilo(525-456 a.C.) si afferma la necessità dell’uomo di sottostare alla potenzadegli dèi e alla superiorità delle leggi della città; nelle opere di Sofocle (496-406 a.C.) l’eroe sconta con la sofferenza il fatto di emergere sugli altri pervirtù; Euripide (485-406 a.C.), rivelando l’influenza della filosofia dell’epoca,mette in discussione tutte le certezze, dipingendo gli dèi come forze crudelie capricciose.

La letteratura del V secolo a.C. decreta lo sviluppo di nuovi generi, tracui la storiografia. Il primo grande storico è Erodoto di Alicarnasso (484-430 a.C.) che nei nove libri delle sue Storie esalta l’eroismo ateniese duran-te le guerre persiane. Tucidide (460-404 a.C.), nella sua opera La guerra del

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111L’età di Pericle

Peloponneso, inaugura un metodo che sarà preso a modello dalla storiogra-fia occidentale dei secoli successivi.

Tavola cronologica

478 - 454 a.C.: Costituzione dell’impero marittimo ateniese.461 a.C.: Esilio di Cimone.

Pericle diventa capo dei 10 strateghi.Morte di Efialte.

457 - 449 a.C.: Prima guerra peloponnesiaca.454 a.C.: Il tesoro della Lega di Delo viene trasferito ad Atene.451 a.C.: Riforma di Pericle che sancisce regole restrittive per avere la cittadinanza

ateniese.449 a.C.: Pace di Callia.447 - 438 a.C.: Costruzione del Partenone ad Atene.445 a.C.: Pace trentennale tra Atene e Sparta.

GlossarioMisthós: indennità riconosciuta ai cittadini ateniesi che svolgevano incarichi pubblici. Isti-tuita nel 450 a.C., essa originariamente viene riservata solo ad alcune cariche e ai membridi alcune assemblee, ma verso la fine del V secolo viene estesa all’assemblea di tutti icittadini (ekklesía).

Phrouraí: guarnigioni di soldati ateniesi dislocate nelle città alleate in tempo di guerra e incaso di ribellione.

Sofista: originariamente il termine sophistés (= sapiente) era sinonimo di sophòs (= sag-gio) e si riferiva ad un uomo dotato di grande cultura e conoscitore di tecniche particolari.A partire dal V secolo a.C. si sviluppa una nuova corrente filosofica, la Sofistica, che siinterroga principalmente sulle problematiche relative l’uomo (antropocentrismo sofista)dal punto di vista etico, politico e gnoseologico. I Sofisti facevano professione di sapienzae la insegnavano dietro compenso, suscitando per questo motivo scandalo tra i loro con-temporanei. In realtà quella del Sofista è la prima figura di educatore che si guadagna davivere vendendo il suo sapere.

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CAPITOLO UNDICESIMO

LA SECONDA GUERRA DEL PELOPONNESOE IL DECLINO DELLE CITTÀ-STATO

Sommario: 1. La ripresa delle ostilità tra Sparta e Atene. - 2. La guerra civile. - 3. Laspedizione in Sicilia e il crollo dell’impero ateniese. - 4. L’ascesa di Tebe e il tramon-to dell’egemonia spartana.

1. LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ TRA SPARTA E ATENE

A) Le cause del conflitto

Nel 445 a.C. un patto trentennale di non belligeranza tra Sparta eAtene, che divide il mondo ellenico in sfere di influenza, assicura un perio-do di relativa pace. L’accordo però viene infranto sedici anni dopo a causadelle tensioni create dagli opposti imperialismi, soprattutto quello ateniese.

Atene, infatti, inizia una serie di provocazioni contro due città alle-ate di Sparta, Corinto e Megara.

La provocazione nei confronti della prima è duplice. In primo luogo,Atene accetta di prestare aiuto a Corcira, colonia di Corinto, nel conflittoche la oppone alla madrepatria in relazione alla città di Epidamno, a suavolta fondata da Corcira. Il secondo episodio riguarda invece la città di Po-tidea che fa parte della Lega di Delo, ma rifiuta di accettare l’aumento delphóros imposto da Atene, la quale, per tutta risposta, la cinge d’assedio. Aquesto punto Potidea chiede aiuto alla madrepatria Corinto.

La disputa con Megara sorge, invece, a seguito del decreto ateniese, for-temente voluto da Pericle, relativo al divieto di accesso ai porti di Atene e aquelli delle poleis della lega delica imposto ai megaresi; un decreto chemina alla radice gli interessi dei megaresi, la cui principale risorsa econo-mica è il commercio.

B) Lo scoppio della guerra

Nel 432 a.C. Corinto e Megara chiedono l’aiuto di Sparta.Nella primavera dell’anno successivo inizia la guerra. Gli Spartani posso-

no contare sull’appoggio della Beozia, della Locride e della Focide, oltre chesui contrasti tra democratici e aristocratici in alcune poleis della lega attica.

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113La seconda guerra del Peloponneso e il declino delle città-Stato

La guerra viene combattuta su diversi fronti ed è una guerra di logora-mento che metterà a durissima prova le capacità di approvvigionamentodell’una e dell’altra parte.

Entrambi gli schieramenti scelgono la strategia dello scontro indiretto, in quanto Spartadispone di un’ingente forza terrestre, mentre Atene possiede la più potente flotta della Grecia.

Periodicamente i confederati peloponnesiaci seminano distruzioni nei territori dell’Attica,mentre gli Ateniesi, al sicuro all’interno delle Lunghe mura realizzate da Pericle, compionoincursioni sulle coste del Peloponneso e accolgono tra le loro fila gli iloti insofferenti deldominio spartano.

Nel 430 a.C. Atene è colpita da una terribile pestilenza — favorita dall’ammasso di popo-lazione entro le mura cittadine — durante la quale muore lo stesso Pericle (429).

2. LA GUERRA CIVILE

Dopo la morte di Pericle (429 a.C.) il fronte politico cittadino si spacca:da un lato i ceti emergenti che vogliono il proseguimento della guerra persalvaguardare i loro interessi commerciali, guidati dal generale Cleone,dall’altro il partito aristocratico conservatore, rappresentato da Nicia, fau-tore di un accordo con gli Spartani.

A Mitilene gli oligarchici impongono l’alleanza con la Simmachia pelo-ponnesiaca, ma Atene assale la città (427 a.C.), mette a morte i responsabilidel tradimento e riduce in schiavitù tutti gli abitanti. La stessa cosa avvienenell’isola di Corcira. Sempre nel 427 a.C. Platea, alleata degli Ateniesi, èsconfitta mentre una spedizione ateniese viene inviata in Sicilia in appoggioalle città minacciate da Siracusa, amica di Sparta.

Il 424 vede crescere il malcontento degli alleati di Atene, la quale, biso-gnosa di maggiori risorse, aumenta ancora il phóros. Nello stesso anno lacittà subisce una pesante sconfitta (con la perdita di più di 1.000 opliti) neipressi di Delo ad opera dei Beoti.

In seguito gli Spartani conquistano la penisola calcidica, raggiungibilevia terra, con un esercito di opliti guidati dal generale Bràsida. Intanto inAtene prevale il partito pacifista di Nicia e nel 422, dopo uno scontro pressoAnfipoli, in cui muoiono sia lo spartano Bràsida che l’ateniese Cleone, tuttie due sostenitori della guerra, iniziano le trattative per la pace che vienefirmata nel 421 a.C. (Pace di Nicia).

Gli accordi lasciano scontenti tutti quegli Ateniesi che hanno interesse auna politica imperialistica e di nuovo in Atene si fronteggiano due fazioni:quella che vorrebbe la pace, capeggiata da Nicia, che non considera Sparta

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Capitolo Undicesimo114

un pericolo, e quella espansionista guidata dal nipote di Pericle, Alcibiade.In questa situazione quella che doveva essere una pace cinquantennale sitrasformerà in una tregua di pochi anni.

Il trattato negoziato da Nicia prevede:

— che la pace duri 50 anni;— che ciascuna parte restituisca i territori occupati e i prigionieri;— che i contrasti futuri vengano risolti da negoziati o arbitrati.

Tuttavia, molte città decidono di non firmare l’accordo e le stesse Atene e Spartadisattendono la clausola del trattato che prevede l’abbandono dei territori conquistati.

3. LA SPEDIZIONE IN SICILIA E IL CROLLO DELL’IMPEROATENIESE

A) Atene contro l’egemonia di Siracusa

Nel 418 a.C. la guerra riprende nel Peloponneso dove Argo si mette a capodegli oppositori di Sparta (Mantinea e gli abitanti dell’Elide) e crea una nuovaconfederazione con la quale Atene stipula un’alleanza. Dopo una serie di scon-tri, gli alleati vengono sconfitti da Spartani e Arcadi nella battaglia di Mantinea.

Intanto in Sicilia l’egemonia di Siracusa (alleata degli Spartani) si faceva sem-pre più insopportabile, tanto che la città di Segesta chiede l’intervento di Atene.

Anche in questa occasione l’assemblea ateniese diventa teatro dello scon-tro tra Alcibiade e Nicia. Il primo, che difende posizioni interventiste, gra-zie alle sue doti di abile oratore riesce a persuadere l’ekklesía prospettando-le una facile vittoria, la possibilità di un salario per coloro che avesseroservito come soldati, e facendo leva sui vantaggi economici che l’espansio-ne territoriale può assicurare.

Nel giugno del 415 a.C. la flotta ateniese (134 triremi, 5.000 opliti, 1.500fanti e numerose navi da carico) al comando di Alcibiade, Nicia e Làmacoparte per la Sicilia. Ma Alcibiade è improvvisamente costretto a ritornare adAtene, perché coinvolto in un processo con l’accusa di sacrilegio. Tuttavia,per sfuggire a un’eventuale condanna a morte, si rifugia a Sparta e di qui —dando ancora una volta prova di cinismo e spregiudicatezza — esorta glispartiati a riprendere la guerra contro Atene, portando aiuto a Siracusa.

B) La sconfitta ateniese

In Sicilia le operazioni militari, nonostante l’arrivo dei rinforzi (413), nonhanno successo. Non solo non si riesce a espugnare Siracusa, ma la flotta

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115La seconda guerra del Peloponneso e il declino delle città-Stato

viene annientata, e i 40.000 Ateniesi scampati via terra vengono costretti allaresa o catturati. I pochi che non vengono uccisi subito, troveranno la mortenelle cave di marmo siracusane. Anche Làmaco, Nicia e Demostene, coman-dante della flotta di rinforzo, non sopravvivono alla spedizione.

La battaglia di Siracusa è la disfatta più catastrofica mai subita da Atene.Nonostante la sconfitta, Atene decide di continuare la guerra. Nel 413

a.C., seguendo i consigli di Alcibiade, il re spartano Agide invade l’Attica evi installa una fortificazione per sbarrare la strada ai rifornimenti prove-nienti dall’Eubea e per offrire rifugio agli schiavi attici che vogliono sottrar-si al dominio di Atene. Inoltre gli Spartani, con l’aiuto dei satrapi persiani,allestiscono una flotta nell’Egeo orientale e diventano così una seria minac-cia per l’egemonia ateniese sui mari.

Gli Ateniesi riescono a conseguire due vittorie navali (411 e 410 a.C.) e nel 406 Atene vinceuna terza battaglia navale presso le isole Arginuse, ma le continue perdite di uomini e mezzirendono la situazione sempre più grave. Atene, inoltre, è costretta a concedere agli alleati, perevitarne la defezione, una riduzione dei tributi, diminuendo così le entrate dell’erario.

L’assemblea popolare comincia a prendere decisioni insensate: gli am-miragli vincitori delle Arginuse vengono condannati a morte per non averripescato i cadaveri delle vittime di un naufragio avvenuto in battaglia.

Nel 405 a.C., infine, gli Spartani occupano l’Ellesponto dopo aver vintoad Egospotami. Atene, assediata per terra e per mare e ridotta alla fame, siarrende (404). I vincitori chiedono la consegna della flotta e la demolizionedelle Lunghe mura, che rendevano la città inespugnabile da terra. Una guar-nigione spartana presidia l’acropoli, nella città s’insedia un governo conser-vatore e il tramonto del modello politico ateniese ha come ripercussione lacaduta dei governi democratici di tutta la Grecia.

All’interno delle poleis greche viene meno quel sentimento di coesionecivile che aveva unito le città contro il nemico persiano.

Alcibiade è l’uomo-simbolo di questa crisi di valori dell’Ellade: passato disinvoltamentein campo spartano per mettersi in salvo, vagabonda per tutta la Grecia mettendosi al serviziodel miglior offerente, finché, dopo aver trovato rifugio presso i Persiani, viene raggiunto eucciso dalla vendetta degli Spartani.

Le lotte per l’egemonia, tuttavia, vedono impegnate le città greche pertutta la prima metà del IV secolo a.C.

Sparta, dopo la vittoria su Atene, inaugura una politica imperialista lan-ciandosi in un’impresa molto simile a quella tentata dagli Ateniesi e finisce

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Capitolo Undicesimo116

per esercitare sulle poleis greche una leadership non meno dura di quellaateniese, ma che si rivela poco capace di soddisfarne i bisogni. L’ostinazio-ne a conservare e a consolidare la supremazia terrestre e navale sarà fatale eporterà alla rovina la città dei Lacedemoni (371 a.C.).

C) Il governo dei Trenta tiranni ad Atene

Dopo la resa di Atene, Lisandro, il generale spartano che ha condottol’assedio della città, impone all’ekklesía di conferire i pieni poteri a unacommissione di 30 oligarchi capeggiati da Crizia, ex democratico e disce-polo di Socrate. I Trenta governano in modo spietato: condanne a morte econfische si susseguono senza sosta, tanto da meritare ai membri della com-missione l’epiteto di «Trenta tiranni».

Soltanto 3.000 cittadini godono dei diritti civili contro i 43.000 del tem-po di Pericle. La situazione non può durare a lungo; solo l’anno dopo, infatti(403 a.C.), numerosi fuoriusciti rifugiati a Tebe tornano in patria guidati daTrasibulo e provocano una rivolta popolare che caccia i tiranni e ripristinale istituzioni democratiche.

4. L’ASCESA DI TEBE E IL TRAMONTO DELL’EGEMONIASPARTANA

Attorno a Tebe si forma la coalizione antispartana più forte. Altre leghedi questo tipo compaiono in Tessaglia, in Acaia, in Etolia e in Arcadia, doveviene costruita la Megalopoli (la «città grande») in funzione antispartana.

L’ascesa tebana di questo periodo è dovuta soprattutto all’abilità e allalungimiranza di capi come Epaminonda e Pelopida. Quest’ultimo è il fon-datore del «battaglione sacro», una formazione di guerrieri votati alla mor-te, destinata a contrastare i temibili opliti spartani.

Atene e Tebe si alleano contro Sparta con alterne vicende, mentre nellalotta per l’egemonia della prima metà del IV secolo a.C. s’inseriscono avarie riprese i Persiani di Artaserse.

A) Il declino della potenza spartana

L’egemonia spartana si rivela ben presto assai più dura di quellaesercitata da Atene. In tutte le città che cadono sotto il suo dominio, Spartaimpone governi oligarchici e vi installa guarnigioni incaricate di riscuoteretributi. Del resto, a Sparta governa una ristretta aristocrazia di «uguali» (glispartiati), che conserva il potere con le armi e con il terrore e non con il

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117La seconda guerra del Peloponneso e il declino delle città-Stato

consenso dei cittadini. La classe dominante conduce una rigida politica dioppressione contro gli iloti e i perieci e contro quanti non hanno proprietà.La città si regge su un’economia chiusa e arcaica, dove manca la spintainnovatrice dei commerci: in un’epoca che conosce già le monete d’oro, aSparta circola ancora la moneta in ferro.

La staticità delle strutture sociali produce una crescente diminuzione della natalità: glispartiati che alimentavano le file dell’esercito si riducono sempre più di numero, passandodagli 8.000 del V secolo ai 2.000 del 371 a.C. In queste condizioni l’egemonia di Sparta sullaGrecia è sempre più difficile, anche se i Lacedemoni contano sull’appoggio — soprattuttofinanziario — persiano.

Ma il tradizionale alleato degli Spartani, una volta che Atene non costituisce più una mi-naccia, comincia ad avvicinarsi alla città e a guardare con interesse ad Argo, Tebe e Corinto.C’è da dire, però, che l’impero persiano mostra evidenti segni di crisi. Ciro il Giovane dappri-ma cerca l’aiuto di Sparta per detronizzare il fratello Artaserse (in cambio gli Spartani speranodi ottenere l’egemonia sulle poleis), ma poi abbandona l’alleanza con i Lacedemoni e organiz-za contro Sparta una flotta comandata da Conone (l’ammiraglio greco sconfitto a Egospota-mi), formata da contingenti ateniesi, tebani, argivi e corinzi (397 a.C). Conone, tornato adAtene, ricostruisce le Lunghe mura, grazie a finanziamenti persiani, e riarma la flotta.

B) «La pace del re»

Questa confusa situazione sembra risolversi nel 386 a.C. con la cosid-detta «Pace del re» chiamata così detta perché il re persiano Artaserse IIimpone alle cinque maggiori città della Grecia (Sparta, Atene, Argo, Corin-to, Tebe) le sue condizioni: le città greche dell’Asia Minore saranno reseautonome, tranne alcune colonie ateniesi. Sparta riallaccia l’alleanza con laPersia, ma rinuncia a ogni progetto di espansione in Oriente, in cambio delcontrollo su gran parte della Grecia continentale.

La «Pace del re» non riesce a frenare l’imperialismo spartano, che vienecontrastato in tutta la Grecia con la formazione di unità territoriali semprepiù estese da opporre ai Lacedemoni. Nel 379 a.C. Pelopida ed Epaminondarovesciano il governo oligarchico, mettono in fuga la guarnigione spartana,ricostituiscono la democrazia e danno vita alla Lega beotica. Gli Spartaniallora, per punire Atene che aveva accolto i profughi tebani, occupano ilPireo; ma l’impresa fallisce, segnando l’inizio del rapido declino dell’ege-monia spartana.

C) L’antagonismo tra Sparta e Tebe

All’egemonia di Sparta segue quella di Tebe, che però ha vita moltobreve (371-362 a.C.). Mentre Atene ricostituisce, nel 377, un’alleanza di

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Capitolo Undicesimo118

poleis, questa volta però su basi di parità (seconda lega delio-attica) e concontributi volontari e di modesta entità, scoppia la guerra tra Sparta e Tebe.Sparta invia un esercito di opliti in Beozia, sicura della propria supremaziamilitare, ma trova ad accoglierli l’esercito di Epaminonda.

Questi ha elaborato una nuova e vincente tattica di guerra che, con ilmassiccio rafforzamento dell’ala sinistra della falange, gli permette di farebreccia nelle file nemiche fino a sopraffarle alle spalle.

A Leuttra nel 371 a.C. gli Spartani subiscono una sconfitta catastroficadalla quale non si riprenderanno più. Come conseguenza le poleis allonta-nano i presidi spartani, Argo ristabilisce un governo democratico, le cittàdell’Arcadia costituiscono una lega ed Epaminonda invade il Peloponneso.

D) Il crollo del predominio tebano

Tuttavia, nonostante possa contare su un buon esercito e su grandi gene-rali come Epaminonda e Pelopida, Tebe non riesce ad affermare una pro-pria egemonia perché manca di una tradizione politico-militare comequella ateniese o spartana.

Nel 364 a.C. Pelopida muore in Tessaglia, a Cinocefale, e due anni dopoEpaminonda viene mortalmente ferito a Mantinea, nel Peloponneso, in unoscontro con gli Spartani. A venti anni dalla nascita, l’alleanza messa in piedidagli Ateniesi nel 377 era già compromessa dal nuovo imperialismo di Atene.Ma questa volta la città non ha le forze per sostenere una politica aggressiva,come in passato. Nel 357 a.C. gli alleati sospendono i pagamenti e due annidopo rivendicano la completa indipendenza, mentre riprende l’offensiva per-siana. La Grecia esce dal periodo di egemonia tebana più disgregata di prima.

Tavola cronologica

445 a.C.: Patto trentennale di non belligeranza tra Sparta e Atene.432 a.C.: Corinto e Megara chiedono l’aiuto di Sparta contro Atene.431 a.C.: Inizio della seconda guerra del Peloponneso.430 a.C.: Pestilenza ad Atene.429 a.C.: Morte di Pericle.427 a.C.: Gli Ateniesi assalgono la città di Mitilene.

Gli Spartani distruggono la città di Platea.421 a.C.: Pace di Nicia.418 a.C.: Riprende la guerra del Peloponneso.415 a.C.: Spedizione ateniese in Sicilia.413 a.C.: Il re spartano Agide invade l’Attica.

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119La seconda guerra del Peloponneso e il declino delle città-Stato

411 a.C.: Vittorie ateniesi a Cinossèma e Cizico.406 a.C.: Battaglia delle Arginuse.405 a.C.: La flotta ateniese è distrutta a Egospotami.404 - 403 a.C.: Governo dei Trenta tiranni ad Atene.403 a.C.: Trasibulo restaura la democrazia ad Atene.397 a.C.: Conone si allea con i Persiani in funzione antispartana.394 a.C.: Conone restituisce le Lunghe mura del Pireo ad Atene.386 a.C.: Le principali città greche sottoscrivono la «Pace del re».379 a.C.: Epaminonda e Pelopida danno vita alla Lega beotica.377 a.C.: Ricostituzione della lega marittima a guida ateniese (seconda lega delio-

attica).Scoppio della guerra tra Sparta e Tebe.

371 a.C.: Epaminonda batte gli Spartani a Leuttra.364 a.C.: Morte di Pelopida.362 a.C.: Vittoria tebana nella battaglia di Mantinea.

Morte di Epaminonda.

GlossarioLunghe Mura: nel V secolo a.C. quando il Pireo assunse grande importanza, Temistocledecise di intraprendere la costruzione di una poderosa cinta muraria, che fu portata a termi-ne sotto Pericle nel 431 a.C. circa. Le Lunghe Mura si univano a nord con le mura difensivedi Atene, in modo da formare una via di comunicazione protetta fra la città e il suo porto.Nel 404 a.C. la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso portò allo smantellamentodelle Lunghe Mura da parte degli Spartani vincitori. Successivamente esse furono ripristi-nate da Conone nel 394 a.C.

Oligarchia: è una forma di governo in cui il potere è detenuto da un ristretto numero dipersone. Sin dall’antichità il termine che deriva dal greco olígos, (=pochi) e archía (= go-verno) ha avuto una connotazione negativa. Aristotele riteneva che l’oligarchia fosse ilgoverno dei ricchi e in questo senso, dunque, la considerava come una degenerazione del-l’aristocrazia. Ancora oggi prevale questa accezione negativa del termine in quanto gover-no di una fazione che agisce esclusivamente in base ai propri interessi.

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CAPITOLO DODICESIMO

ALESSANDRO MAGNO E GLI STATI ELLENISTICI

Sommario: 1. Filippo II di Macedonia. - 2. Alessandro e la conquista dell’imperopersiano. - 3. L’espansione verso Oriente e la morte di Alessandro. - 4. I regni elleni-stici.

1. FILIPPO II DI MACEDONIA

A) L’espansionismo macedone

Nel IV secolo a.C. i Macedoni costituiscono una popolazione affine aiGreci per stirpe e lingua, distribuita su un territorio di circa 30.000 kmq. Laclasse dirigente macedone è un’aristocrazia guerriera dove il re è il primotra i pari, chiamati eteri, che combattono al suo fianco in tempo di guerra elo consigliano in tempo di pace. L’autorità del monarca si basa sul suo ruolodi sacerdote (il re stesso offre quotidianamente sacrifici agli dèi) e sulle sueabilità di stratega militare.

Milizie macedoni facevano parte dell’esercito messo in campo dallaPersia durante le guerre contro le città della Grecia. E la Macedonia appro-fittò della ritirata dell’esercito del Gran Re per estendere il proprio controllosull’Alta Macedonia e sulla Macedonia orientale fino al fiume Strimone (aest della penisola calcidica).

Filippo II, della stirpe degli Argeadi, regna dal 359 al 336 a.C. A Tebe,dove in gioventù è stato ostaggio, ha appreso l’arte militare dei Greci allaquale si è ispirato per organizzare la sua fanteria.

È Filippo a inventare la famosa falange macedone, uno schieramento di fanteria di 16.000soldati, riuniti in ranghi compatti (16 file) e muniti di lance lunghe circa sette metri, le sarisse,che formano un muro di punte di ferro da opporre al nemico. Sul piano tattico Filippo fa uncostante uso combinato di tutti i reparti del suo esercito, dalla flotta alla falange, dalla fanterialeggera agli arcieri, e mette a frutto le evolute tecniche di assedio di cui i Macedoni sono inpossesso.

Quando sale al trono il regno è in una situazione di grave crisi, poiché èminacciato da tutti i lati, dagli Illiri a ovest, dai Traci ad est, dai Peoni norde — a sud — dagli Ateniesi, i quali in quegli anni sono impegnati in guerra

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121Alessandro Magno e gli Stati ellenistici

contro gli alleati della confederazione (Guerra degli alleati) e cingono d’as-sedio la roccaforte strategicamente fondamentale di Anfipoli. Filippo af-fronta in tempi diversi — e sconfigge — tutti i suoi avversari, tenendo abada con la diplomazia gli altri. Nel 358 a.C. batte i Peoni, poi gli Illiri. Inseguito, nel giro di poche settimane ha ragione di Anfipoli.

L’espansione macedone inizia con l’occupazione della Tracia e dellericche miniere d’oro del Pangeo, le quali assicurano a Filippo una notevolepotenza finanziaria. Contando su un’abile attività diplomatica, ma soprat-tutto sulla forza e la compattezza del suo esercito, Filippo s’inserisce nellediscordie tra le città-Stato greche e occupa la Tessaglia, minacciando la zonadegli Stretti dove Atene ha degli interessi.

Nella polis ateniese la situazione è controversa: il partito filomacedone,come tutte le altre città governate da aristocratici, considera Filippo un possi-bile re per una Grecia ormai dilaniata dai conflitti interni. Il partito guidato dalgrande oratore Demostene, invece, mette in guardia gli Ateniesi contro l’espan-sione macedone. Le orazioni in cui si rivolge ai cittadini ateniesi per ammo-nirli sul pericolo rappresentato dal re di Macedonia sono note con il nome diFilippiche. Nel 339 l’oratore riesce finalmente a persuadere gli Ateniesi adallearsi con Tebe per contrastare l’avanzata macedone e nel 338 a.C. gli eser-citi si scontrano a Cheronea, in Beozia. La superiorità tattica dei Macedo-ni, già vista nelle battaglie dei mesi precedenti, ha subito ragione degli av-versari: il «battaglione sacro» tebano viene annientato dalla carica degli eteria cavallo comandati dal figlio del re, il diciottenne Alessandro.

B) La Lega di Corinto

Dopo la sconfitta di Cheronea la polis sopravvive nel mondo grecosoltanto come struttura socio-politica, ma il vero potere è ormai nellemani dei Macedoni. Nel 337 a.C. Filippo convoca a Corinto tutte le cittàpeninsulari ad eccezione di Sparta e fonda la Lega di Corinto con il compitodi assicurare la pace interna e difendere la Grecia dai Persiani. A Filippoviene affidato il comando supremo e da questo momento egli esercita undominio assoluto sulle città greche.

La lega dichiara guerra alla Persia per liberare le città greche del-l’Asia.

Naturalmente, la guerra viene iniziata su proposta di Filippo, il quale vuole approfittare delmomento propizio rappresentato dalle lotte di successione cominciate all’indomani dell’assassi-no di Artaserse III (338), che si concluderanno nel 336 a.C. con l’ascesa al trono di Dario III.

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Capitolo Dodicesimo122

Durante le operazioni di sbarco il re macedone viene ucciso da un uffi-ciale della guardia. Gli succede il figlio Alessandro, non ancora ventenne.

La Macedonia alla morte di Filippo II (336 a.C.)

2. ALESSANDRO E LA CONQUISTA DELL’IMPERO PERSIANO

Il giovane Alessandro coniuga le eccezionali virtù militari ereditate dalpadre con la raffinata educazione che gli ha impartito il suo maestro, il filo-sofo Aristotele.

Alla morte di Filippo i suoi avversari pensano di aver gioco facile del-l’inesperienza del giovane re: Atene e Tebe si coalizzano in funzione anti-macedone, ma Alessandro rade al suolo quest’ultima e costringe gli Atenie-si a fare atto di sottomissione (335 a.C.).

Nella primavera del 334 a.C. varca l’Ellesponto con 40.000 uomini evince i Persiani in un primo scontro sul fiume Granico. L’anno successivo,a Isso, sbaraglia l’esercito persiano comandato dallo stesso Dario, il qualesi dà alla fuga abbandonando al nemico la madre, la moglie e tre figli assie-me a un immenso bottino.

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123Alessandro Magno e gli Stati ellenistici

A questo punto Alessandro potrebbe raggiungere facilmente la capitale dell’impero, mateme che le navi persiane possano bloccargli i rifornimenti e decide di eliminare le basi feniciemarciando verso l’Egitto. Durante l’avanzata riscuote i tributi dovuti ai Persiani ma evita re-quisizioni e saccheggi e rispetta le tradizioni indigene. Soltanto la città di Tiro, che gli chiudele porte, viene espugnata dopo un lungo assedio e gli abitanti massacrati. Nel 332 a.C. il remacedone porta a termine la conquista dell’Egitto e fonda sul delta del Nilo una città cheporta il suo nome, Alessandria. L’oracolo di Siva, un’oasi del deserto egiziano, lo saluta comefiglio di Zeus, riconoscendogli, come per i faraoni, un’origine divina.

Nella primavera del 331 a.C. il giovane condottiero, dopo aver guidatole sue truppe fino alla Mesopotamia settentrionale, sconfigge nuovamentel’esercito di Dario presso il villaggio Gaugamela. Il re persiano fugge, maviene ucciso da un suo cortigiano, mentre Alessandro occupa Susa, la capi-tale dell’impero, accolto dovunque come un liberatore e un semidio.

A Persepoli si impossessa del tesoro dello Stato e dà alle fiamme il palazzoreale, vendicando la Grecia contro i Persiani in qualità di capo della Lega diCorinto: da questo momento la potenza persiana è definitivamente sconfitta.

3. L’ESPANSIONE VERSO ORIENTE E LA MORTE DI ALESSAN-DRO

Dopo la conquista dell’impero persiano Alessandro riprende la marciaverso Oriente con un esercito che è ormai formato più da elementi orientaliche da Greci e Macedoni. Congeda le truppe della Lega di Corinto, conside-rando concluse le guerre persiane e allaccia rapporti con i regnanti dellaBattriana e della Sogdiana. Il suo ideale è la fondazione di un imperomultinazionale che comprenda il mondo ellenico e quello asiatico ed eglistesso assume sempre di più le caratteristiche di un sovrano orientale: ripri-stina la prosky vnesis (obbligo per i sudditi di prosternarsi davanti a lui), spo-sa una principessa orientale, Rossane, e nel 324 a.C. proclama ufficialmentela propria origine divina.

Sempre nel 324 il giovane imperatore riprende la via dell’Oriente conl’intenzione di estendere la sua conquista fino alla foce del Gange, ma laparte macedone dell’esercito, stanca della faticosa marcia, si rifiuta di se-guirlo. Alessandro rientra a Susa e persegue nella sua opera di consolida-mento dello Stato e di potenziamento della macchina militare. Nel 323 a.C.si reca a Babilonia dove progetta una spedizione per discendere l’Eufrate etraversare il mar Rosso per installare delle colonie nei porti più importanti,ma una febbre malarica ne causa la morte a soli 33 anni.

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Capitolo Dodicesimo124

Non fosse stato per la sua repentina morte, Alessandro avrebbe potuto forse portare acompimento l’opera che aveva iniziato. Durante le lunghe campagne militari che lo porterannoai limiti del mondo conosciuto egli aveva dato prova non solo di eccelse abilità militari maanche di lungimiranza e avvedutezza politica, trasformando ogni suo atto pubblico in un gestofortemente simbolico (come, ad esempio, il pellegrinaggio presso l’oracolo di Zeus Ammonein Egitto, dove verrà dichiarato «figlio di Ra») e intuendo che l’idea stessa di regalità, cosìcome era concepita in Macedonia, dovesse subire radicali mutamenti in un impero delle di-mensioni di quello che stava creando.

Già l’esercito, vittoria dopo vittoria, aveva cambiato la sua costituzione. Ora fra i «compa-gni» non c’erano solo i soldati macedoni e i greci, ma anche gli epigoni, giovani asiatici adde-strati alle armi alla maniera macedone ed educati alla greca.

Come l’esercito era diventato misto così nei quadri dirigenti dovevano figurare tutte lepopolazioni del nuovo impero. Di questa aristocrazia mista il re avrebbe potuto fidarsi e sisarebbe avvalso di essa per governare il vasto territorio di cui era entrato in possesso e in cuicoabitavano numerosissime civiltà diverse. Alessandro aveva imparato dai Persiani che pergovernare un tale crogiuolo di culture occorreva che esse non si sentissero minacciate dalgoverno centrale. Per questa ragione egli non impose mai amministratori macedoni ai popoliassoggettati, preferendo la continuità dei governi locali.

4. I REGNI ELLENISTICI

A) Lo smembramento dell’impero macedone

L’improvvisa morte di Alessandro lascia l’impero privo di un erede ingrado di mantenere il potere. Uno dei suoi generali, Perdicca, designatocome suo successore dall’imperatore morente, prende le redini dell’imperoe chiama al governo i più fidati collaboratori di Alessandro: Antigono, Tolo-meo, Seleuco, Eumene e Antipatro. Ma l’ambizione di questi capi fa sì chela collaborazione fra di essi risulti impossibile e la storia politica di questoperiodo è caratterizzata dalla lotte di potere tra i vari successori (diadochi).Dopo l’assassinio di Perdicca si assiste alla divisione dell’impero tra cin-que diadochi: Cassandro, figlio di Antipatro, ottiene la Grecia e la Macedo-nia, Tolomeo l’Egitto, Seleuco Babilonia e la Siria, Lisimaco la Tracia eAntigono l’Asia Minore. Presto essi assumono il titolo di re e i contrastiproseguono per trent’anni, finché nel 301 a.C. il grande impero di Alessan-dro viene diviso in tre Stati: la Macedonia tocca agli Antigonidi, la mag-gior parte dell’Asia Anteriore ai Seleucidi e l’Egitto ai Tolomei.

Verso la fine del III secolo a.C. si assiste a un periodo di relativa stabili-tà. Nascono nuovi regni, come quello di Pergamo, sotto Attalo I, che sirende indipendente dalla Siria, e quello dei Parti, destinato a durare fino allaconquista romana.

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125Alessandro Magno e gli Stati ellenistici

Le poleis greche governate da oligarchie conservatrici compiono un ul-timo tentativo di riscossa e si riuniscono nella Lega etolica e nella Legaachea allo scopo di liberarsi dal giogo macedone. Nel 222 a.C. una confe-derazione di Achei e Macedoni sconfigge gli Spartani e per la prima voltanella sua storia la città lacedemone è occupata da un nemico.

B) La civiltà ellenistica

Un periodo così travagliato dal punto di vista politico qual è l’età elleni-stica coincide sul piano economico-sociale con una fase di grande prosperi-tà. Le città conoscono un notevole sviluppo, si realizzano imponenti operedi urbanizzazione. In Egitto ingegneri greci ristrutturano il porto di Ales-sandria e vi costruiscono un faro alto 120 metri; il golfo di Suez viene colle-gato al delta del Nilo mediante lo scavo di un canale.

Prosperano l’industria e il commercio con la produzione di ceramiche,oggetti in vetro e in bronzo, tessuti preziosi e del papiro per la diffusione deilibri.

Dall’incontro della cultura greca con quelle orientali, nacque una nuo-va civiltà chiamata Ellenismo, la cui caratteristica fondamentale fu lasua universalità: elementi greci si fusero e si adattarono a tradizioni asia-tiche ed egiziane contribuendo alla nascita di una cultura comune a popolidiversi.

Con l’età ellenistica la cultura greca penetra in Oriente e vi subisce nuovi influssi che larendono più raffinata e cosmopolita. Tutte le scienze, dalla filosofia alla retorica, dalla medici-na all’astronomia, ricevono un forte impulso, come testimoniano le ricche biblioteche chesorgono in questo periodo ad Alessandria e a Pergamo. L’interesse della filosofia ellenisticaper i temi dell’etica individuale trova espressione nello stoicismo di Zenone e nella rifles-sione di Epicuro, dottrine che troveranno seguaci anche nella cultura romana. La poesia viveuna nuova stagione di grande creatività con le opere di Callimaco, Apollonio Rodio, Teocri-to, mentre il teatro ateniese riprende vigore con la commedia nuova di Menandro.

Nelle arti figurative si diffonde il fenomeno del mecenatismo. Affreschie sculture dalle linee tecnicamente perfette ornano gli edifici pubblici e pri-vati. L’iniziatore della scultura ellenistica è Lisippo, autore di un celebrebusto di Alessandro Magno, che inaugura un’interpretazione più dinamica esciolta della figura umana.

Compie grandi passi, infine, la ricerca scientifica: l’astronomia con Era-tostene di Cirene, il grande Tolomeo e Ipparco di Nicea, la matematica e lageometria con Archimede e Euclide.

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Capitolo Dodicesimo126

Tavola cronologica

359 a.C.: Filippo II re di Macedonia.358 a.C.: Filippo II sconfigge i Peoni.353 a.C.: Filippo II interviene in aiuto dei Tessali.352 a.C.: Filippo II attacca la Lega di Olinto.351 a.C.: Prima Filippica di Demostene.346 a.C.: Pace di Filocrate tra Filippo e Atene.338 a.C.: Filippo II sconfigge i Greca a Cheronea.337 a.C.: Nasce la Lega di Corinto.

Filippo II prepara una spedizione contro i Persiani.336 a.C.: Alessandro diventa re di Macedonia

Dario III sale al trono dell’impero persiano.335 a.C.: Alessandro Magno rade al suolo la città di Tebe.334 a.C.: Spedizione di Alessandro contro la Persia.

Alessandro sconfigge i Persiani nella battaglia di Granico.333 a.C.: Alessandro sconfigge i Persiani nella battaglia di Isso.332 a.C.: Alessandro porta a termine la conquista dell’Egitto.331 a.C.: L’esercito persiano è sconfitto da Alessandro nella battaglia di Gaugamela.

Uccisione di Dario.327 - 324 a.C.: Campagna di Alessandro in India.324 a.C.: Alessandro rientra a Susa.323 a.C.: Morte di Alessandro.323 - 301 a.C.: Lotte tra i diàdochi e divisione dell’impero.222 a.C.: La Lega achea sconfigge gli Spartani.

GlossarioDiadoco: con questo nome veniva designato ognuno dei successori immediati di Alessan-dro Magno. In un secondo momento, il termine è stato utilizzato alla corte dei Tolomei diEgitto per indicare un dignitario di rango più modesto.

Eteri: gli eteri costituivano una formazione di cavalleria pesante nell’esercito macedone, ilcui nome significava «compagni del re». Si trattava per lo più di nobili arruolati distrettoper distretto ed equipaggiati con pesanti corazze. Durante il regno di Filippo II e del figlioAlessandro Magno, essi occupavano il primo posto a destra nello schieramento dell’esercito

Proskyvnesis: significa «prosternazione». Considerato una prerogativa della regalità nel-l’impero di Persia, viene ritenuto nel mondo greco un onore riservato solo agli dèi. Il pro-sternarsi davanti ad un altro uomo era infatti per i Greci una pratica totalmente barbarica evergognosa e ciò spiega la forte resistenza opposta alla decisione di Alessandro Magno diintrodurre questa usanza anche in Grecia.

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INDICE GENERALE

Capitolo Primo: La preistoria

1. Gli studi sulle origini dell’uomo e sulla nascita della civiltà .............. Pag. 52. La genesi della terra e l’evoluzione degli organismi viventi ............... » 73. Dall’età della pietra all’età dei metalli ................................................ » 104. Il passaggio dal villaggio alla città ...................................................... » 14

Capitolo Secondo: Gli Egizi

1. L’antico Egitto ..................................................................................... » 162. I Tre Regni ........................................................................................... » 173. La struttura sociale .............................................................................. » 204. La religione .......................................................................................... » 225. Le testimonianze della civiltà egizia ................................................... » 25

Capitolo Terzo: Le civiltà mesopotamiche

1. La Mesopotamia: «terra tra i fiumi» .................................................... » 302. I Sumeri ............................................................................................... » 323. Gli Accadi ............................................................................................ » 354. L’impero di Hammurabi ...................................................................... » 375. Gli Assiri .............................................................................................. » 386. Il secondo impero babilonese .............................................................. » 407. La città di Ebla .................................................................................... » 40

Capitolo Quarto: Fenici ed Ebrei

1. La civiltà fenicia .................................................................................. » 432. Il popolo ebraico .................................................................................. » 47

Capitolo Quinto: L’impero cinese e la civiltà indiana

1. La Cina ................................................................................................ » 522. L’India ................................................................................................. » 56

Capitolo Sesto: I popoli indoeuropei

1. Le origini ............................................................................................. » 622. Gli Ittiti ................................................................................................ » 64

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Indice generale128

3. I popoli iranici: Medi e Persiani .......................................................... Pag. 674. La civiltà minoica ................................................................................ » 685. La civiltà micenea ................................................................................ » 716. Lingua e scrittura a Creta e a Micene .................................................. » 73

Capitolo Settimo: Il medioevo ellenico e la Grecia arcaica

1. Le origini della Grecia antica .............................................................. » 752. La prima colonizzazione ..................................................................... » 763. Il periodo arcaico ................................................................................. » 784. La seconda colonizzazione .................................................................. » 835. Le colonie greche dell’Italia meridionale ............................................ » 84

Capitolo Ottavo: Atene e Sparta nel VI secolo a.C.

1. Atene ................................................................................................... » 872. Sparta ................................................................................................... » 933. Arte, religione e cultura nel VI secolo a.C. ......................................... » 95

Capitolo Nono: Le guerre greco-persiane

1. L’Impero persiano ............................................................................... » 982. La prima guerra greco-persiana ........................................................... » 1003. Il secondo conflitto .............................................................................. » 1014. Il prestigio ateniese e l’espansione in Oriente ..................................... » 104

Capitolo Decimo: L’età di Pericle

1. La riscossa democratica e il programma di Pericle ............................. » 1072. La civiltà greca del V secolo a.C. ........................................................ » 110

Capitolo Undicesimo: La seconda guerra del Peloponneso e il declinodelle città-Stato

1. La ripresa delle ostilità tra Sparta e Atene ........................................... » 1122. La guerra civile .................................................................................... » 1133. La spedizione in Sicilia e il crollo dell’impero ateniese ..................... » 1144. L’ascesa di Tebe e il tramonto dell’egemonia spartana ....................... » 116

Capitolo Dodicesimo: Alessandro Magno e gli Stati ellenistici

1. Filippo II di Macedonia ....................................................................... » 1202. Alessandro e la conquista dell’impero persiano .................................. » 1223. L’espansione verso Oriente e la morte di Alessandro .......................... » 1234. I regni ellenistici .................................................................................. » 124

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