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Anno 119 30 OTTOBRE 2016 e Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di Pistoia Direzione, Redazione e Amministrazione: PISTOIA Via Puccini, 38 Tel. 0573/308372 Fax 0573/28616 e_mail: [email protected] www.settimanalelavita.it Abb. annuo e 45,00 (Sostenitore e 65,00) c/cp n. 11044518 Pistoia 38 V ita La G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,10 dal 1897 La Vita è on line clicca su www.settimanalelavita.it L’UOMO SUPERA SE STESSO Nel suo animo geme il desiderio dell’infinito e dell’immortalità PAGINA 2 IN ATTESA DEL 500° ANNIVERSARIO DELLA DIVISIONE TRA CATTOLICI E PROTESTANTI La lenta ricomposizione dello scisma che ha segnato la storia del nostro passato PAGINA 5 IL BILANCIO DELLA DIOCESI PORTATO ALLA CONOSCENZA DI TUTTI PAGINA 6 ASSEMBLEA PASTORALE DIOCESANA Una serata vissuta insieme dai delegati parrocchiali a cui il vescovo ha indicato le scelte pastorali del prossimo anno PAGINA 7-8 LA FINE DEL CAPORALATO Un passo di autentica civiltà PAGINA 13 L’ECONOMIA ITALIANA DI FRONTE A UN DRASTICO DILEMMA PAGINA 13 LA LIBERAZIONE DI MOSUL COME UN GRANDE SEGNO DI SPERANZA PAGINA 15 Vivente a breve scaden- za, morente perpetuo”: anche se incompleta, una bellissima definizione dell’uomo, colto in uno dei suoi aspetti più signi- ficativi, che purtroppo l’istinto della vita tende normalmente a far dimen- ticare. L’espressione del grande e dimenticato scrittore francese Victor Hugo rompe il muro dell’omertà e ri- mette le cose al suo posto. Lo voglia o no, l’uomo è segnato costitutivamen- te dal limite invalicabile della morte. Il sogno di poter vincere il grande nemico con la sua intelligenza e con la potenza dei mezzi tecnici messi oggi a sua disposizione, dopo reite- rati clamorosi insuccessi, dovrebbe essere accantonato per sempre. L’uo- mo non potrà mai vincere la morte. Un passaggio impossibile, un guado non superabile, un muro invalicabile. Meglio guardare altrove, per trovare altre soluzioni che possano acquetare la sua brama di felicità. Che certamente non è quella di non pensare alla morte, far finta che essa non esista, come aveva già rile- vato quel grande scrutatore dell’ani- mo umano che fu Biagio Pascal, il quale annotava nei suoi Pensieri: “Non avendo potuto eliminare la morte, l’uomo ha deciso di non pen- sarci”. La politica dello struzzo che, dinanzi al pericolo, nasconde la sua faccia sotto la sabbia, nell’illusione che in questo modo esso sparisca. La morte come tabù della cultura con- temporanea, non solo della cultura alta, ma anche della cultura popola- re, cioè dell’abituale modo di vivere e di pensare dell’intera collettività. Una cultura fondamentalmente ne- gazionista, nutrita di distrazione e di “divertissement”, che ha trovato la sua migliore riuscita nell’epoca del secolarismo, del materialismo pratico, dell’edonismo perfetto, do- minata dalla ricerca del successo e della propria affermazione. Una ca- tegoria assai diffusa di superuomini ben riconoscibili dai loro volti, dalle loro parole, dalla loro sicurezza, che vive come se non dovesse morire mai, inconsapevoli negatori della loro fi- nitezza. Basta guardarli in faccia per capire i sentimenti che hanno ormai preso possesso del proprio cuore. Noi, i moderni: così è intitolato uno dei libri più significativi del nostro tempo che richiama perentoriamente l’uomo alla coscienza dei suoi limiti, il cui superamento ha prodotto trop- pi guai per poter continuare ancora a percorrere incautamente la strada che ci ha condotto fin qui. Richiami che ormai si moltiplicano non sol- tanto in campo religioso, ma anche nel campo della filosofia e delle altre scienze umane. Si deve anzi dire che la convinzione dei limiti costitutivi della natura umana è stata partico- larmente diffusa dal pensiero con- temporaneo, non di rado addirittura in forme esagerate, vicine alla dispe- razione. Perdendo Dio, anche l’uomo, sua immagine, ha perduto se stesso. “Conosci te stesso” si trovava scritto a caratteri cubitali sul fron- tone del tempio pagano di Delfi. Una massima che anche l’uomo di oggi dovrebbe ricordare nel senso che essa aveva nella mente di coloro che l’avevano scritta. Che non pensavano affatto a un’affermazione trionfali- stica, come più tardi si tenderà a ri- tenere, ma piuttosto un richiamo alla coscienza della nostra finitudine che, una volta incautamente superata, ha prodotto guai personali e ambientali a non finire. Così pensavano i grandi filosofi dell’Ellade, come Platone e Aristotele. Ed è soprattutto il primo dei due, ritenuto dagli antichi come un precursore del cristianesimo, a prestarci le parole per venir fuori dalla situazione di impossibilità a cui rimane per sempre legata l’umanità destinata alla sconfitta della morte. In uno dei suoi più famosi dialoghi, il Critone, egli aveva tracciato un pia- no di salvezza legato all’immortalità dell’anima, ma, rimanendo la soluzio- ne incerta e aleatoria, aveva anche invocato la possibilità dell’offerta di una zattera venuta in nostro soccorso per attraversare serenamente il mare della vita e il passaggio della morte. La ragione che si appella alla fede, l’uomo, disperato “morente perpe- tuo”, che invoca una mano amica che lo porti a salvamento. Perché ciò che è impossibile alle sue forze, diventi possibile con la forza di uno più po- tente di lui. Un desiderio che è stato esaudito, un’invocazione che ha otte- nuto il suo effetto. Qualche secolo più tardi, Paolo risponderà a nome di tut- ti con le note parole: “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Gesù Cristo, il Figlio di Dio disceso nel tempo. Per questo siano rese eterne grazie a Dio, il quale ci ha liberato dal male che ci teneva schiavi per tutta la vita”. La notizia più bella e più gran- de dell’intera storia umana. Giordano Frosini Bentornata sorella morte San Francesco in punto di morte: “Laudato sì’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare”

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Anno 119

30 OTTOBRE 2016

e 1,10

Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p.D.L. 353/2003 (conv. inL. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di PistoiaDirezione, Redazionee Amministrazione:PISTOIA Via Puccini, 38Tel. 0573/308372 Fax 0573/28616e_mail: [email protected]. annuo e 45,00(Sostenitore e 65,00)c/cp n. 11044518 Pistoia

38VitaLaG I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,10

dal 1897

La Vita è on lineclicca su

www.settimanalelavita.it

L’UOMO SUPERASE STESSONel suo animo geme il desiderio dell’infinito e dell’immortalità

PAGINA 2

IN ATTESA DEL 500° ANNIVERSARIO DELLA DIVISIONETRA CATTOLICIE PROTESTANTILa lenta ricomposizione dello scisma che hasegnato la storia del nostro passato

PAGINA 5

IL BILANCIO DELLA DIOCESI PORTATO ALLA CONOSCENZA DI TUTTI

PAGINA 6

ASSEMBLEAPASTORALE DIOCESANA

Una serata vissuta insieme dai delegati parrocchiali a cui il vescovo ha indicato le scelte pastorali del prossimo anno

PAGINA 7-8

LA FINE DEL CAPORALATOUn passodi autenticaciviltàPAGINA 13

L’ECONOMIA ITALIANA DI FRONTE A UN DRASTICO DILEMMA

PAGINA 13LA LIBERAZIONE DI MOSUL COMEUN GRANDE SEGNODI SPERANZA

PAGINA 15

Vivente a breve scaden-za, morente perpetuo”: anche se incompleta, una bellissima definizione dell’uomo, colto in uno dei suoi aspetti più signi-

ficativi, che purtroppo l’istinto della vita tende normalmente a far dimen-ticare. L’espressione del grande e dimenticato scrittore francese Victor Hugo rompe il muro dell’omertà e ri-mette le cose al suo posto. Lo voglia o no, l’uomo è segnato costitutivamen-te dal limite invalicabile della morte. Il sogno di poter vincere il grande nemico con la sua intelligenza e con la potenza dei mezzi tecnici messi oggi a sua disposizione, dopo reite-rati clamorosi insuccessi, dovrebbe essere accantonato per sempre. L’uo-mo non potrà mai vincere la morte. Un passaggio impossibile, un guado non superabile, un muro invalicabile. Meglio guardare altrove, per trovare altre soluzioni che possano acquetare la sua brama di felicità.

Che certamente non è quella di non pensare alla morte, far finta che essa non esista, come aveva già rile-vato quel grande scrutatore dell’ani-mo umano che fu Biagio Pascal, il quale annotava nei suoi Pensieri: “Non avendo potuto eliminare la morte, l’uomo ha deciso di non pen-sarci”. La politica dello struzzo che, dinanzi al pericolo, nasconde la sua faccia sotto la sabbia, nell’illusione che in questo modo esso sparisca. La morte come tabù della cultura con-temporanea, non solo della cultura alta, ma anche della cultura popola-re, cioè dell’abituale modo di vivere e di pensare dell’intera collettività. Una cultura fondamentalmente ne-gazionista, nutrita di distrazione e di “divertissement”, che ha trovato la sua migliore riuscita nell’epoca del secolarismo, del materialismo pratico, dell’edonismo perfetto, do-minata dalla ricerca del successo e della propria affermazione. Una ca-tegoria assai diffusa di superuomini ben riconoscibili dai loro volti, dalle loro parole, dalla loro sicurezza, che vive come se non dovesse morire mai, inconsapevoli negatori della loro fi-nitezza. Basta guardarli in faccia per capire i sentimenti che hanno ormai preso possesso del proprio cuore. Noi, i moderni: così è intitolato uno dei libri più significativi del nostro tempo che richiama perentoriamente l’uomo alla coscienza dei suoi limiti, il cui superamento ha prodotto trop-pi guai per poter continuare ancora a percorrere incautamente la strada che ci ha condotto fin qui. Richiami che ormai si moltiplicano non sol-tanto in campo religioso, ma anche nel campo della filosofia e delle altre scienze umane. Si deve anzi dire che la convinzione dei limiti costitutivi della natura umana è stata partico-larmente diffusa dal pensiero con-temporaneo, non di rado addirittura in forme esagerate, vicine alla dispe-razione. Perdendo Dio, anche l’uomo,

sua immagine, ha perduto se stesso.“Conosci te stesso” si trovava

scritto a caratteri cubitali sul fron-tone del tempio pagano di Delfi. Una massima che anche l’uomo di oggi dovrebbe ricordare nel senso che essa aveva nella mente di coloro che l’avevano scritta. Che non pensavano affatto a un’affermazione trionfali-stica, come più tardi si tenderà a ri-tenere, ma piuttosto un richiamo alla coscienza della nostra finitudine che, una volta incautamente superata, ha prodotto guai personali e ambientali a non finire. Così pensavano i grandi filosofi dell’Ellade, come Platone e Aristotele. Ed è soprattutto il primo

dei due, ritenuto dagli antichi come un precursore del cristianesimo, a prestarci le parole per venir fuori dalla situazione di impossibilità a cui rimane per sempre legata l’umanità destinata alla sconfitta della morte. In uno dei suoi più famosi dialoghi, il Critone, egli aveva tracciato un pia-no di salvezza legato all’immortalità dell’anima, ma, rimanendo la soluzio-ne incerta e aleatoria, aveva anche invocato la possibilità dell’offerta di una zattera venuta in nostro soccorso per attraversare serenamente il mare della vita e il passaggio della morte. La ragione che si appella alla fede, l’uomo, disperato “morente perpe-

tuo”, che invoca una mano amica che lo porti a salvamento. Perché ciò che è impossibile alle sue forze, diventi possibile con la forza di uno più po-tente di lui. Un desiderio che è stato esaudito, un’invocazione che ha otte-nuto il suo effetto. Qualche secolo più tardi, Paolo risponderà a nome di tut-ti con le note parole: “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Gesù Cristo, il Figlio di Dio disceso nel tempo. Per questo siano rese eterne grazie a Dio, il quale ci ha liberato dal male che ci teneva schiavi per tutta la vita”. La notizia più bella e più gran-de dell’intera storia umana.

Giordano Frosini

Bentornatasorella morte

San Francesco in punto di morte: “Laudato sì’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare”

2 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVitaprimo piano

L’uomo sorpassa infinita-mente l’uomo». B. Pascal ha illuminato con l’espres-sione che non passa a

natura profonda del microcosmo dell’universo. Miseria e grandezza intessono la persona umana. Legato alla materia, impastato di peccato e di mediocrità, votato alla sofferenza e alla morte, l’uomo porta al suo fondo i segni di una ricchezza in-confondibile.

L’uomo superase stesso

La sua intelligenza procede di scoperta in scoperta senza soste e con sempre maggiore audacia; la sua volontà desidera il bene in tutta la sua ricchezza e in tutta la sua varietà; il suo attaccamento alla vita sfida il tempo e, nonostante tutto, si affaccia fiducioso all’eternità. Tutto il suo essere è costituzionalmente segnato e attraversato dall’infinità.

L’umanità nel suo complesso ha sempre preso coscienza di questo stato di cose. Al di là delle espres-sioni, la trascendenza dell’uomo appartiene alla cultura di tutti i popoli. Ma, nel corso del tempo, al-cuni pensatori si sono distinti nella descrizione e nella discussione delle meravigliose e infinite potenzialità che giacciono al fondo dell’animo umano.

«Anima est quodammodo omnia», ripetevano gli antichi, rendendo così omaggio alla insaziabile sete di conoscenza che ha contraddistinto l’uomo fin dalle sue prime appari-zioni sulla terra. «L’anima è in qual-che modo tutte le cose»: essa ten-de alla conoscenza universale: tutto quello che esiste dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, non escluso il sacrario stesso della vita, è oggetto di desiderio e possibile terreno di conquista. Intus-legere, ca-pire, leggere dentro gli avvenimenti e le cose è un desiderio incoerci-bile del suo spirito. Senza limiti e senza soste. L’impossibilità di oggi rimanda al domani, ma la sete non si estingue, la tensione non si placa. Misurata sull’essere, l’intelligenza dell’uomo è chiaramente spalancata sull’infinito. Il progresso segna le tappe di un cammino che oltrepassa gli orizzonti della nostra esperienza.

Altrettanto la sua volontà, la sua capacità di volere e di amare. L’insoddisfazione è la sua regola e insieme la sua condanna. Essa è commisurata sul bene assoluto sen-za limiti né di intensità né di tempo. E i beni che si incontrano sono sempre finiti e limitati.

C’è stato un pensatore cat-tolico del nostro tempo che si è distinto nell’analisi dei meccanismi della volontà umana: M. Blondel, il filosofo dell’azione. Tra la volontà intesa in tutta la sua prorompente energia (la volontà volente) e le sue realizzazioni effettive (la volontà voluta) esiste una radicale dispro-porzione, che lascia insoddisfatti e crea un problema. Il risultato raggiunto non esaurisce mai l’obiet-tivo che la volontà si era proposta. La conseguenza è un permanente stato di inquietudine e di tensione, che accompagna l’uomo in tutti i giorni della sua vita, una specie di coscienza infelice di hegeliana me-moria, che le energie semplicemen-te umane non riescono a vincere e superare.

« Una vocazioneall’infinito

Un desiderio irrefrenabile dell’animo umanoche non si rassegna alla sua fine

di Giordano Frosini

un desiderioimpraticabiLe

Il problema è, al fondo, quello del senso della vita, che è il punto di partenza del filosofo di Digione. Dall’analisi del meccanismo della volontà «scaturisce solo questa conclusione doppiamente perento-ria: è impossibile non riconoscere l’insufficienza di tutto l’ordine natu-rale, e di non avvertire un bisogno ulteriore; è impossibile trovare in sé di che soddisfare questo bisogno religioso. Esso è necessario, ma è impraticabile. Ecco, in termini nudi e crudi, le conclusioni del determini-smo dell’azione umana». Necessa-rio e impraticabile. Di qui l’apertura al soprannaturale:

«A rigore la nozione del soprannatura-le è questa: assolutamente impossibile e assolutamente necessario all’uomo trascende l’uomo; e lo sforzo supremo della sua ragione consiste nel vedere che egli non può, che non deve circo-scriversi a essa. È un’attesa sincera del messia ignoto, un battesimo di deside-rio che la scienza umana è impotente a provocare, perché questo bisogno è un dono. La scienza può mostrarne la necessità, non può farlo nascere».

L’uomo guarda sempre oltre.Un’impostazione sulla quale

si è a lungo discusso nei decenni trascorsi, ma nella quale non è difficile riconoscere le impronte di sant’Agostino e di Pascal e le conclusioni della teologia trascen-dentale di K. Rahner, di cui abbiamo già fatto cenno. Anche sant’Agosti-no, come sappiamo, all’inizio delle sue Confessioni, esprime con altre parole la stessa convinzione. Niente e nessuno può saziare il desiderio di felicità che Dio stesso ha scava-

to nel cuore dell’uomo. In questo senso, il dono soprannaturale è concepito come la risposta che Dio dà a se stesso all’interno dell’unico piano di salvezza, da lui portato a compimento lungo i tornanti della storia.

Viandante dell’assoluto, l’uomo avverte il bisogno di proseguire sempre oltre il suo cammino, anche se non sempre gli è chiaro dove esso lo porterà. Egli somiglia a colui che sulla spiaggia del mare guarda lontano sulla distesa dell’acqua fino all’orizzonte e oltre. La bella imma-gine è di Rahner:

«L’uomo, occupato sempre con i gra-nelli di sabbia sulla spiaggia, vive sulla riva del mare infinito del mistero».

In termini rahneriani:

«L’esperienza quotidiana e come un essere alle prese con granelli di sabbia (= il categoriale), ma essa - in quanto esperienza anche della verità, della libertà e dell’amore e di altre esperienze profondamente umane - è sempre anche un abitare “sulla riva del mare infinito del mistero” (= il tra-scendentale)».

Creatura di confine, egli è al di là delle cose, che costituiscono la trama quotidiana dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni. Un essere dis-centrato, una proiezione verso l’infinito, un’inquietudine in ricerca.

A. Camus in Caligola, dramma in quattro atti, comunica gli stessi pensieri, distinguendo fra i beni possibili, che esistono ma non sono proporzionati all’uomo, e il bene impossibile, proporzionato all’uomo ma inesistente. Bello e impossibile come la luna.

Del sentimento tragico della vita negli uomini e nei popoli rimane un docu-mento di rara potenza capace an-cora di scuotere e di far riflettere sul senso ultimo della vita umana.

L’analisi è limpida e spietata:

«L’universo visibile; quello che è figlio dell’istinto di conservazione, mi risulta stretto, è come una gabbia per me troppo piccola contro le cui sbarre la mia anima sbatte le ali; in cui mi manca l’aria per respirare. Di più, ogni volta di più voglio essere me stesso, e senza cessare di esserlo essere anche gli altri, addentrarmi nella totalità delle cose visibili e invisibili, estendermi nell’immensità dello spazio e prolun-garmi nell’eternità del tempo. Se io non posso essere tutto e per sempre, è come se non fossi, ma che almeno possa essere totalmente io, ed esserlo per sempre. Ed essere totalmente io, è essere tutti gli altri. O tutto o nulla!»

E ancora:

«Eternità! Eternità! Questo è l’anelito; la sete di eternità è ciò che si chiama amore tra gli uomini, e chi ama un altro desidera eternarsi in lui. Ciò che non è eterno non nemmeno reale».

E l’espressione si fa ancora più ardita:

«Essere, essere sempre, essere senza fine! Sete di essere, sete di essere di più! Fame di Dio! Sete di amore eter-nizzante ed eterno! Essere sempre! Essere Dio!».«Non voglio morire; non voglio e non voglio volerlo; voglio vivere sempre, sempre, sempre, e voglio vivere io, questo povero io che sono e che sento di essere ora e qui, e per questo mi angoscia il problema della durata del-la mia anima, della mia propria».

Un’immortalità impersonale, come quella ipotizzata da alcuni filosofi e da alcune religioni, non mi interessa, perlomeno, non soddisfa il mio desiderio di immortalità. Sono io, io con tutte le mie qua-lità e i miei limiti, io con la mia irripetibile personalità, che voglio rimanere per sempre. L’introspe-zione scende nelle regioni più pro-fonde dell’animo umano. La voce di Unamuno è la voce dell’uomo in quanto tale. Ognuno coglie in se stesso questa esigenza di infinità e di eternità.

Ma quando da morte Ma quando da morte passerò alla vita, sento già che dovrò darti ragione, Signore,e come un punto sarà nella memoriaquesto mare di giorni.Allora avrò capito come bellierano i salmi della sera;e quanta rugiada spargevicon delicate mani, la notte, nei prati,non visto. Mi ricorderò del licheneche un giorno avevi fatto nasceresul muro diroccato del Convento,e sarà come un albero immensoa coprire le macerie. Allorariudirò la dolcezza degli squilli mattutiniper cui tanta malinconia sentiiad ogni incontro con la luce;allora saprò la pazienzacon cui m’attendevi, a quantomi preparavi, con amore, alle nozze.

- Padre David Maria Turoldo -

«Eppure so e anche tu lo sai: baste-rebbe che l’impossibile fosse. L’impos-sibie. L’ho cercato ai limiti del mondo e ai confini di me stesso. Ho teso le mani, tendo le mani [...]. Non ho pre-so la via giusta, quella che bisognava prendere; e non arrivo a niente».

L’impossibile è irrangiungibile dalle sole forze dell’uomo.

L’anelito all’immortalità si iscri-ve evidentemente nello stesso or-dine di pensieri. Se vogliamo, esso sta alla base di tutto.

iL sognodeLL’immortaLità

M. De Unamuno ha sentito fortemente l’angoscia della finitez-za della vita umana. La sua opera

330 OTTOBRE 2016 n. 38VitaLa

icordi d’infanzia, fatti drammatici della Seconda guerra mondiale,

l’incontro con l’arte ovvero nel suo caso il cinema e quindi una lunga ed appassionante carriera di truccatore. Parliamo del nuovo libro di Francesco Freda dal suggestivo titolo “Una vita senza trucco. I miei primi 90 anni di cinema” edito da Sarnus per la serie Diari e Memo-rie, autobiografia dell’artista ricca di aneddoti e curiosità sul mondo dello spettacolo, ma soprattutto «la testimonianza appassionata di un uomo non comune che ha dedicato l’intera vita alla ricerca della bellezza» si legge in una nota informativa sull’opera in quarta di copertina del volume. Francesco Freda detto Franco nasce a Foligno (Perugia) ma si trasferisce con la famiglia a Roma. Verso la fine degli anni Quaranta, frequentata la sala trucco di Cinecittà, entra in una troupe cinematografica come assistente. Da lì un’irresistibile ascesa nel lavoro di truccatore che lo porta sui set di registi come Pietro Germi (“L’uomo di paglia”, “Il ferroviere”, “Divorzio all’ita-liana”), Michelangelo Antonioni (“La notte”, “Il deserto rosso”, “Professione: reporter”), Francesco Rosi (“Lucky Luciano”, “Cadaveri

I PRIMI 90 ANNI DI CINEMA DELL’ARTISTA

“Una vita senza trucco”Il nuovo libro del truccatore Francesco Freda

di Leonardo Soldati

R

L’ora del poverinoQuando tramonta il sole, e vien la seradi una giornata tutta di lavoroogni creatura si chiude per la notte:pure si chiudono i petali di un fiore.

Sotto il fardello delle cose sueun vecchio avanza lento sulla via.Ancora avanti e poi fuori le muraforse avrà modo di trovar riparo.

Ora già il sole è sotto l’orizzontee sei rintocchi si inseguono nell’aria.Questa del poverino è detta l’ora,è la vigilia: la prima della notte.

Ora le rondini scendono dal cieloed il riposo si spande sulla terra;sbocciano i sogni ad allietar le cullementre su in alto è l’alba della luna.

G. Sguazzoni

PoetiContemporanei

cultura

Una vita la sua «fatta soprattutto di amore e riconoscenza, -conti-nua Cicutto- anche per il fato che gli ha fatto fare incontri impor-tanti professionali ma soprattutto umani e il più importante di tutti quello con Anna, la compagna di una vita». Un libro pieno d’amore, da parte dello scrittore, anche per i suoi 90 anni di cari ricordi oltre che per la cultura ed in partico-lare per il colore, osserva Cicutto, consigliando “Una vita senza trucco” non solo agli appassionati di cinema bensì a tutti, «perché è un racconto pieno di storie e pervaso di un sentimento sempre più raro al giorno d’oggi: la grati-tudine». L’opera verrà presentata alla libreria Feltrinelli di Roma e successivamente anche a Pistoia.

La stella polareproposito d’immigra-zioni Norberto Bobbio scriveva nel 1994 che “indipendentemente dal

dibattito sul razzismo” di fatto “il contatto improvviso, impreveduto, di individui appartenenti a diverse tra-dizioni culturali, specie poi quando ‘i diversi’ alimentano una concorrenza nel mercato del lavoro, genera ine-vitabilmente conflitti etnici che si aggiungono a tutti gli altri conflitti da cui ogni società è lacerata”. Era un segnale premonitore. Sono trascorsi oltre venti anni e oggi si scopre que-sto passo in un inedito del filosofo morto nel 2004 all’età di 95 anni. Ai bordi della cronaca si coglie il segno di una preoccupazione intellettuale attorno a un fenomeno che in Oc-cidente sta sempre più scavando trincee e alzando muri. Bobbio, da una postazione culturale ben nota e andando oltre quelle che oggi sono espressioni di difesa e di paura, indi-cava due risposte possibili alla sfida delle immigrazioni: “L’assimilazione o il riconoscimento e conseguente regolamentazione di una società multiculturale”. E si chiedeva quali delle due potesse essere definita la soluzione di sinistra aggiungendo subito la domanda: “Si può dire che una soluzione è più di sinistra di un’altra?”. Lanciava la domanda se la distinzione “sinistra” e “destra” aves-se ancora significato politico. Non intendeva certo liquidare i due ter-mini a vantaggio del qualunquismo, dell’indifferenza e del disimpegno ma poneva una questione di fondo: quale risposta in termini di dignità umana si deve dare a un fenome-

Asconfitta di quanti formano “il pia-neta dei naufraghi”. Oggi il barcone dei naufraghi. Scrive Bobbio che “il mercato, nel momento in cui libera immense energie, crea enormi e intollerabili disuguaglianze”. Quindi “la vittoria del mercato non solo non rappresenta la fine della sinistra (e tanto meno la fine della storia) ma ricrea continuamente le condizioni per la sua perpetuazione”. Il mercato, che non si ferma ai muri, alle trin-cee e al filo spinato, continuerebbe all’infinito la sua opera di divisione e disuguaglianza. Ai bordi della cronaca si fanno spazio due considerazioni: la fuga dalla responsabilità dei mercati di fronte al fenomeno migratorio. La seconda richiama le parole e i gesti di un Papa fedele a quel Vangelo che non ha bisogno di cartelli di destra e di sinistra per indicare la via della solidarietà, del bene comune, della speranza. Non è dato di sapere se Bobbio sia arrivato a questa conclusione e non è corretto dare per scontato che ci stesse arrivan-do. Non compete a chi è ai bordi della cronaca interrogare la coscien-za altrui. Compete piuttosto cercare e seguire le tracce che collegano il sentiero di un filosofo al sentiero di un Papa e così scoprire che entrambi, pur nella diversità dei compiti, hanno camminato e camminano verso la pace e la giustizia guidati dalla stella polare di quell’uguaglianza che nasce dalla dignità di ogni essere umano.

Un inedito di Norberto Bobbio e il pensiero di papa Francesco sulle immigrazioni

di Paolo Bustaffa

eccellenti”, “Cristo si è fermato ad Eboli”, “Carmen”, “La tregua”), Billy Wilder (“Avanti”), Mario Bava (“I vampiri”, “La maschera del demo-nio”), Ettore Scola (“Brutti, sporchi e cattivi”, “Una giornata particola-re”, “La terrazza”, “La cena”, “Che strano chiamarsi Federico”) con il quale diventa grande amico. Mette così le sue mani di truccatore su celebri volti come quelli Katharine Hepburn, Ava Gardner, Marcello Mastroianni, Burt Reynolds, Jack Nicholson, Sophia Loren con la quale insatura un’amicizia che continua tutt’oggi. Lavora inoltre con registi più giovani come Carlo Alberto Biazzi (“Il viaggio di Simo-ne” e per i cortometraggi “Diva”, “L’attesa”, “Ricordi di un partigia-no”) e Gaetano Amalfitano per il thriller spiritualistico “Spiriti come noi”, quest’ultimo realizza un do-cumentario sulla carriera di Freda “Nel trucco del cinema italiano”. Questo è il quarto libro dell’au-tore, dopo le biografie “50 anni allo specchio senza guardarsi” Gremese 2005 e “L’artigiano della bellezza” Edizioni del Rosone 2014, oltre alla raccolta di poesie “L’amore non ha fine” Azimut 2009 dedicato alla moglie Anna Allegri, pistoiese, fondatrice della sartoria Annamode a Roma attiva tuttora nell’ambito del cinema e

del teatro internazionali. La prefazione è a cura di Roberto Cicutto produttore ed oggi presi-dente ed amministratore delegato di Istituto Luce – Cinecittà, che conosce Freda da quarant’anni: «Appartato, taciturno, con uno sguardo o con un cambio di colori-to dice più di tante parole. –scrive, sul truccatore- Sul set era un enigma. All’alba (da segretario di produzione mi capitava di essere come lui fra i primi a raggiungere il set), mentre fra gli specchi e le lampadine del suo luogo di batta-glia si preparava a realizzare i so-gni del regista, ti accoglieva con un saluto a voce bassissima, l’occhio ben attento a cogliere in te ogni segno (chissà quale) che avrebbe potuto essere in qualche modo premonitore degli umori della gior-nata (…) Attento, silenzioso, con i suoi strumenti di pronto intervento sempre in mano. Un protagonista carismastico e silenzioso del set». Cicutto paragona Frencesco Freda a Il Chance di Peter Sellers nel film “Oltre il giardino” perché come lui qualsiasi cosa succeda non cambia «il suo modo apparentemente distratto di guardare le cose e le persone, riuscendo però a toccarle nel profondo, a capirle e, magari non volendo, ad aiutarle a capire meglio la vita».

no sociale provocato da logiche di mercato, di potere, di sicurezza di pochi a scapito della sicurezza di molti? Il filosofo collegava “il futuro del socialismo” al tipo di risposta che si intendeva dare alla sfida migratoria ma, andando oltre le righe, emerge oggi che quello a cui Bobbio pensava non era tanto il futuro di una parte quanto il futuro del tutto: il futuro dell’umanità. Quando, ad esempio e sempre nell’inedito, richiama “l’ide-

ale dell’uguaglianza” raffigurandolo nell’immagine della “stella polare”, che lo guidava e “non è mai tramon-tata”, si riferisce alla responsabilità storica della sinistra ma si farebbe torto alla sua onestà intellettuale se la lettura delle sue parole si fermasse a una sponda e non prendesse il lar-go. Questo movimento del pensiero appare evidente quando afferma che la vittoria delle regole del profitto e del potere comporterebbe la

…Sono convinta che, anche nelle situazioni più difficili, se si ha il coraggio di allungare una mano, si trova sempre qualcosa da gustare…” Sono

le parole di Lucia Focarelli, un’artista poliedrica che nasce e si esprime nel silenzio del quo-tidiano, lontana e schiva anche dai luoghi della cultura ufficiale, ma soprattutto da quella appa-riscente e vuota. Pittrice, sceno-grafa, attr ice , direttrice di un Corso di teatro bambini, poeta (Premio “Il Ceppo”), drammaturga (suo è il dramma “Artemisia” andato in scena al Bolognini e al Teatro Moderno di Agliana). Nel 1999 esce una raccolta poetica dal titolo “La Treggiaia” che vince il 1° Premio al Concorso Nazionale di Poesia “Il Ceppo”, nel 2011 scrive una raccolta di storie di donne “I piedi lonta-ni”. Adesso per Edizioni Atelier di Pistoia con la prefazione di Claudio Rosati esce con un ‘racconto lungo dal titolo “La mi-lite ignoto”, un commovente inno contro la guerra. Ogni guerra.

Un racconto intenso che, nella prima parte, narra della fraterna amicizia fra tre giovani che nasce e si esprime du-rante la terribile ritirata di Russia. Pietro l’alpino, Gianni della milizia, Antonio il fante, fratelli di ‘pane e di neve’ che tornati in Patria, coinvolti nell’aberrante sfacelo della guerra, faranno scelte diver-se ed avranno destini diversi.

La seconda parte del libro narra l’incontro fra due donne, settant’anni più tardi: l’Elisa e la Rosa. La Rosa, più anziana, racconta all’Elisa, più giovane, la sua storia e il drammatico incontro avuto con i tre giovani quando aveva 15 anni, sul finire della guerra. Un incontro che devasterà per sempre la sua vita.

Il racconto “La milite ignoto” è stato presentato nella sala Terzani della Biblioteca San Giorgio di Pistoia, sabato 22 ottobre 2016.

(a.o.)

“La milite ignoto”

Il nuovo libro di Lucia Focarelli Bugiani

4 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVitaattualità ecclesiale

QUALE ECONOMIA

Papa Francescosulla questione socialeFlavio Felice e Fabio G. Angelini hanno scritto l’introduzione all’edizione italiana

(Etica e business. Un catechismo per chi fa impresa, Rubbettino Editore) di unvolume uscito negli Usa due anni fa, una studiata antologia di testi del magistero sociale della Chiesa, curata da Andrew V. Abela e Joseph E. Capizzi, che nel suo

insieme fornisce uno strumento prezioso di analisi e di guidadi Stefano De Martis

li scandali che investo-no il mondo dell’eco-nomia e della finanza hanno da tempo ruba-to la scena delle cro-

nache nazionali e internazionali a quelli che toccano primariamente la sfera dell’attività politica. Cer-to, molto spesso le due dimensio-ni sono, purtroppo, fortemente interdipendenti. E la diffusione e la rilevanza che questi fatti assumono sono così ampie che nell’opinione pubblica finisce per insinuarsi la convinzione che sia concretamente impossibile fare politica e fare impresa in modo onesto e funzionale al bene co-mune. Con una sottile quanto pericolosa distinzione: mentre per la politica appare evidente che i responsabili della cosa pub-blica almeno in teoria dovreb-bero esercitare il loro mandato in modo virtuoso e attento agli interessi dei cittadini, per l’at-tività imprenditoriale (intesa in senso lato) tutt’al più si chiede che i titolari rispettino norme e contratti e soprattutto paghino le tasse (il che sarebbe già tanto), dando quasi per scontato che debbano perseguire sopra ogni altro obiettivo il proprio interes-se particolare, a prescindere da ogni altra implicazione sociale.Le dottrine economiche più avanzate, invece, mettono bene in luce lo stretto rapporto che esiste tra virtù personali e com-petenze professionali e come un autentico sviluppo economico richieda un accorto e costante esercizio della responsabilità so-ciale d’impresa.

In questo intercettando una ri-flessione che la dottrina sociale della chiesa ha elaborato da de-cenni, aggiornandola via via anche ai mutati contesti storici.C’è una sorta di aforisma di Pe-ter Drucker, economista di fama mondiale scomparso nel 2005, che esprime in modo efficace questi concetti: “Se è vero che non è sufficiente che l’impresa faccia bene, ma deve anche fare il bene, è vero anche che per poter fare il bene deve aver fatto bene”. Lo citano Flavio Felice e Fabio G. Angelini nell’introduzione all’edi-zione italiana (Etica e business. Un catechismo per chi fa impresa, Rubbettino Editore) di un testo uscito negli Usa due anni fa, una studiata antologia di testi del ma-gistero sociale della chiesa, curata da Andrew V. Abela e Joseph E. Capizzi, che nel suo insieme for-nisce uno strumento prezioso di analisi e di guida. Felice e Angelini (il primo professore ordinario di dottrine economiche e politiche presso la Pontificia università

lateranense, il secondo profes-sore incaricato di costituzioni economiche comparate presso la Pontificia università della Santa Croce) individuano nel “concetto di inclusione” il “filo rosso” che “lega tutta la riflessione di papa Francesco sulla questione socia-le” e che “esprime anche il ponte che unisce il Magistero sociale di almeno tre degli ultimi Pontefici”.“Inclusione sociale – spiegano i due studiosi – significa, in primo luogo, non ammettere alcuna pre-tesa rendita, tanto meno mono-polistica, su alcuna fonte di red-dito e operare affinché nessuna pretesa rendita possa trovare una qualsiasi soddisfazione”. Ma signi-fica anche “educare alla cultura della condivisione e predisporre, a cominciare dal ricorso alle norme di rango costituzionale, un rigoroso sistema istituzionale che impedisca e punisca i tanti o i pochi, e comunque sempre troppi, percettori di rendite di monopolio; che si tratti di rendite politiche, economiche o cultu-

rali”. Il concetto di inclusione è utile anche per analizzare la qua-lità delle istituzioni, che non sono eticamente culturalmente neutre, e per mostrare come “il circolo vizioso delle istituzioni estrattive, che produce ‘caste’ e ‘oligarchie’ in modo ferreo e continuativo e che rende povera la maggioranza di della popolazione per il benes-sere e il potere di pochi, possa essere spezzato e sostituito dal circolo virtuoso delle istituzioni inclusive”. Ma poiché al centro di tutto, nel bene e nel male, c’è la persona, resta il fatto che “la responsabilità vada sempre ricercata in capo ai soggetti che effettivamente agiscono”. E qui torniamo al tema degli scandali da cui siamo partiti. Per Felice e Angelini non c’è dubbio: la miglio-re risposta ad essi è “l’emersione di leaderships virtuose in campo imprenditoriale, economico, istituzionale e sociale capaci di generare fiducia e, con essa, di innescare il circolo virtuoso delle istituzioni inclusive”.

G

C’è sempre qualcuno che ha fame e sete e ha bi-sogno di me. Non posso delegare nessun altro”. È

il monito di Papa Francesco per la prima delle opere di misericordia – “Dar da mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati” – illustrata nella catechesi dell’udienza generale di mercoledì scorso, a cui hanno partecipato 35mila persone. Nel mirino, il “cosiddetto benessere” che ci rende “insensibili” al povero che incrociamo per strada. Ma anche la cultura delle “donazioni generose”, che sono importanti ma rischiano di farci dimenticare che ogni povero “ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno”.

“Una delle conseguenze del cosiddetto benessere è quella di condurre le persone a chiudersi in se stesse, rendendole insensibili alle esigenze degli altri”.

Comincia con una denuncia, il Papa: il bersaglio sono i “modelli effimeri” con cui si illudono le per-sone, modelli che “scompaiono dopo qualche anno, come se la nostra vita fosse una moda da seguire e da cambiare a ogni stagione”. “Non è così”, la lezione di realismo cristiano: “La realtà va accolta e affrontata per quello che è, e spesso ci fa incontrare situazioni di bisogno urgente”. “Dare da mangiare agli affamati – ce ne sono tanti, oggi – e da bere agli assetati”, l’imperativo per la prima delle ope-re di misericordia: “Quante volte i media c’informano di popolazioni che soffrono la mancanza di cibo e di acqua, con gravi conseguenze specialmente per i bambini”.

Quella illustrata da Francesco è una vera e propria pedagogia: “La povertà in astratto non ci interpella”, il punto di partenza pronunciato a braccio: “Ci fa pensare, ci fa lamenta-re, ma quando tu vedi la povertà nella carne di un uomo, di una donna, di un bambino, bambino, questo sì che ci interpella”. Bisogna, allora, trovare il coraggio di dire no a “quell’abitudine che abbiamo di fuggire dai bisognosi, di non avvicinarci, o di truccare un po’ la realtà”, seguendo le “abitudini alla moda”. Al contrario, “non c’è più distanza tra me e il povero, quando lo incrocio”. “In questi casi, qual è la mia reazione?”, chiede il Papa alla folla dei fedeli: “Giro lo sguardo altrove e passo oltre? Oppure mi fermo a parlare e mi interesso del suo stato?”.

Fare “donazioni generose” è una “forma di carità importante”, ma “forse non ci coinvolge direttamen-te”, la tesi di Francesco. Invece, “quan-do, andando per la strada, incrociamo una persona in necessità, oppure un povero viene a bussare alla porta di casa nostra, è molto diverso”.

Il povero che incrociamo per strada “chiede solo il necessario: qualcosa da mangiare e da bere”: “Quante volte recitiamo il Padre no-stro, eppure non facciamo veramente

“Dar da mangiare agli affamati.Dar da bere

agli assetati”.Per Francesco, come per Benedetto XVI,

si tratta di un“imperativo etico”di M. Michela Nicolais

Un imperativoeticoattenzione a quelle parole: ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano’”.

La fede senza le opere “è morta, è incapace di fare opere, di fare carità, di fare amore”.

Nel ricordarlo, Francesco ag-giunge una fotografia dell’esistente: “L’esperienza della fame è dura. Ne sa qualcosa chi ha vissuto periodi di guerra o di carestia. Eppure questa

esperienza si ripete ogni giorno e convive accanto all’abbondanza e allo spreco”.

“C’è sempre qualcuno che ha fame e sete e ha bisogno di me”, il suo appello: “Non posso delegare nessun altro. Questo povero ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno”. “Tutti siamo coinvolti in questo”, prosegue Francesco an-

cora una volta fuori testo.“Il poco che abbiamo, se lo affi-

diamo alle mani di Gesù e lo condivi-diamo con fede, diventa una ricchezza sovrabbondante”. Con queste parole il Papa, al termine della catechesi, ha sintetizzato “l’insegnamento” della parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci, “una lezione molto importante per noi”.

“Dar da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la chiesa universale”, ripete citando la Caritas in Veritate di Benedetto XVI:

“Attraverso il dar da mangiare agli affamati e il dar da bere agli as-setati, passa il nostro rapporto con Dio, un Dio che ha rivelato in Gesù il suo volto di misericordia”, chiosa Francesco.

530 OTTOBRE 2016 n. 38VitaLa

ggi c’è l’incontro di Gesù con Zaccheo; poco prima, all’ingresso di Gerico, Gesù aveva incon-trato un cieco dalla nascita. Per

ognuno c’è un momento in cui il Signore fa visita con la sua misericordia. “Oggi” Gesù si ferma a casa di Zaccheo; nello stesso “oggi” la salvezza entra in quella casa, in ogni casa, perché “in fondo Zaccheo è il nome di ognuno di noi” (Silvano Fausti).

Zaccheo è capo dei pubblicani e ricco: la legge escludeva i pubblicani dalla salvezza; il Vangelo esclude i ricchi. Zaccheo, dunque, è un peccatore pubblico, un caso impossi-bile. I discepoli gli impediscono persino di vedere Gesù. La ricerca di Gesù, da parte di Zaccheo sarebbe stata inefficace se non

fosse che, in realtà, era Gesù a cercarlo e a cambiargli nome: “È figlio di Abramo”.

Non solo entra in casa, ma desidera rima-nerci, trattenersi: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. È un rapporto stabile, profondo. Torna in mente il legame tra la vite e il tral-cio. Oggi nessuno è lasciato senza speranza.È una vicenda nella quale Gesù compie quasi tutti i passi in progressione: si ferma, porta lo sguardo su Zaccheo, lo chiama a scendere, gli chiede ospitalità… Sembra

descritta una vera strategia di conquista (un altro nome dell’evangelizzazione) mentre, dall’altra parte, c’è la crescita nella consa-pevolezza di aver bisogno del Signore, della ricerca di Lui, della gioia per l’incontro con Gesù e la determinazione a cambiar vita con gesti concreti e generosi. All’inizio Zaccheo era salito sull’albero con gesto di rifugio, di separazione; ora invece, dinanzi a tutti, si alza in piedi, dignitosamente.L’iniziativa è sempre di Gesù; lo era stato con la samaritana e col cieco; lo è con

Zaccheo, lo sarà col giovane ricco. E intanto, “tutti mormoravano”! Questo è il peccato di opposizione, il più duro da vincere. Que-sto è il clima nel capitolo di Luca che vede il Signore andare a Gerusalemme secondo la volontà di suo Padre; da essa viene il senso e il compito di quella giornata. La salvezza è opera di Gesù in obbedienza a Dio che lo ha mandato.

Eugenio Montale (Diario del 71) si è messo dinanzi a questa pagina, proprio “Come Zaccheo”:“Si tratta di arrampicarsi sul sicomoroper vedere il Signore se mai passi.Ahimè, non sono un rampicante ed anchestando in punta di piedi non l’ho mai visto”.

La Parola e le paroleXXXI domenIca del tempo ordInarIo

Sap 11,22-12,2; 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10

attualità ecclesiale

O

i sono segni di novità dissemina-ti nella storia del presente che bisogna saper leggere. Uno di questi “segni” è la commemora-

zione del quinto centenario della Riforma di Lutero. Per la prima volta, cattolici e luterani si ritroveranno in modo solenne a Lund, in Svezia, per fare memoria insieme. Sarà papa Francesco a suggellare con la sua presenza l’eccezionalità dell’evento insieme al vescovo Munib Younan e al reverendo Martin Junge, in rappresentanza della comunione mondiale delle 145 Chiese che fanno parte della Fede-razione luterana mondiale. È stata scelta la Cattedrale di Lund in Svezia come luogo della commemorazione perché è qui che la Fede-razione mondiale luterana (Lutheran World Federation, LWF) è nata 69 anni fa, nel 1947.

Sono passati 500 anni da quando nel 1517, Lutero affisse sul portone della catte-drale di Wittenberg le 95 tesi in cui pubbli-camente contestava la diffusa pratica della vendita delle indulgenze.

Sebbene sia stato ormai e da tempo accertato dagli storici che Lutero non aveva mai avuto intenzione di fondare una nuova chiesa, l’evolversi degli eventi portò a una

divisione del cristianesimo d’Occidente gene-rando conflitti, violenza e addirittura guerre, con conseguenze sentite ancora oggi. Per questo motivo gli anniversari dei centenari della Riforma sono stati fino a oggi fonte di polemica e confronto tra le due confessioni.

Quest’anno però sarà diverso: il 31 ot-tobre papa Francesco volerà in Svezia dove la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale hanno organizzato insieme una celebrazione commemorativa comune che include una funzione ecumenica nel duomo di Lund ed una manifestazione aperta a tutti nello stadio di Malmö.

È don Angelo Maffeis, docente di teologia sistematica e membro della Commissione internazionale del dialogo cattolico luterano, a spiegare l’originalità storica di questa com-memorazione comune. “Mi pare – dice – che sia un segno che nasce da una coincidenza singolare, quella tra i 500 anni della Riforma legati appunto alla pubblicazione delle tesi sulle indulgenze da parte di Lutero e i 50 anni del dialogo cattolico-luterano, cominciato nella stagione successiva al Concilio ed uffi-cializzato nel 1967”. Insomma, le novità che irrompono nella storia non sono mai casuali

ma sempre frutto di un paziente cammino di dialogo durato nel tempo e costellato di incontri che hanno portato anche ad accordi importanti, vere e proprie pietre miliari del movimento ecumenico come la dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione.

In questo tempo è cambiata profonda-mente anche la lettura dei fenomeni storici legati alla Riforma.

“Ci siamo lasciati alle spalle una prospet-tiva inevitabilmente condizionata dalla con-troversia confessionale”, spiega Maffeis, per cui da parte protestante, “Lutero viene rico-nosciuto come il padre della chiesa, colui che ha rinnovato l’annuncio del Vangelo in una condizione in cui era oscurato e deformato” mentre da parte cattolica “lo si accusava di essere colui che ha distrutto l’unità della chiesa trascinando tante persone nell’errore e nella eresia. La lettura oggi è più complessa e sfumata”.

Chi era allora Lutero e a cosa mirava la sua Riforma? “Lutero – spiega il teologo – era un monaco che ha dedicato la sua vita allo studio della scrittura e attraverso questo studio ha maturato la convinzione che in quel tempo l’annuncio centrale del Vangelo era

C

CATTOLICI E LUTERANI

Oltre tutti i pregiudiziIl 31 ottobre a Lund e a Malmö,

in Svezia, la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale

commemoreranno insieme, per la prima volta,

il cinquecentesimoanniversario della Riforma.

Fino ad oggi gli anniversari dei centenari della Riforma sono

stati fonte di polemica econfronto tra le due confessioni. Quest’anno però sarà diverso e la comune commemorazione di Lund - osserva il teologo Angelo

Maffeis - non è casuale,ma frutto di 50 anni di dialogo

di M. Chiara Biagioni

stato oscurato.Oggi la ricerca attuale mette in luce che

Lutero non intendeva iniziare un progetto di riforma per fondare una nuova chiesa ma per sottolineare la necessità di rinnovare la chiesa esistente”.

Quello che forse non è avvenuto è il passaggio successivo e le ricerche degli spe-cialisti non sono riuscite a tradursi in termini di coscienza condivisa. “La mia impressione – sottolinea Maffeis – è che soprattutto nella vulgata comune persistano ancora molti pre-giudizi per cui l’auspicio è che questo quinto centenario della Riforma possa servire a compiere questo passo”.

La necessità di una chiesa che si rifor-ma. “Per secoli – osserva Maffeis – questo termine è stato colto con sospetto perché evocava la divisione ecclesiale. Fu il Concilio Vaticano II a recuperare questo tema e a restituirgli legittimità”. Siamo agli inizi del movimento ecumenico quando si percepì chiaramente che i cristiani non potevano annunciare con credibilità il Vangelo se erano divisi. Oggi il tema si fa ancora più ‘caldo’ in un’Europa secolarizzata e post-cristiana dove più che le differenze confessionali, ad emer-gere come essenziale e urgente è il problema dell’annuncio della fede cristiana”.

L’arrivo a Roma di Papa Francesco ha ac-celerato i tempi proponendo come centrale questo sforzo di annuncio del Vangelo.

Papa Francesco – osserva il teologo – è “forse meno sensibile alle questioni classiche della teologia e della controversia di cui an-che i dialoghi si sono occupati ma credo che il suo documento programmatico da questo punto di vista sia l’Evangelii guadium con l’ap-pello alla chiesa perché ritrovi la freschezza dell’annuncio del Vangelo. Un compito con-diviso da tutti i cristiani perché attraverso la loro testimonianza, le persone possano, anche in un mondo secolarizzato come il no-stro, incontrare il Signore.

Un compito primario che riporta – con-clude il teologo – il movimento ecumenico al suo centro”.

6 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVita

Costi

Gruppo Conto Saldo conto Saldo gruppo

220 SPESE ATTIV. UFF. E GEST.VARIE 905.104,44

1 CURIA E PALAZZO 107.241,14

2 GESTIONE UFFICI DI CURIA 23.723,34

3 FONDO COMUNE DIOCESANO 178.906,50

4 UFFICIO CANCELLERIA 2.031,87

5 UFFICIO CATECH. 2.433,94

6 UFFICIO MISSIONARIO 2.310,11

7 UFFICIO CARITAS 101.808,15

8 UFFICI PASTORALI VARI 75.727,62

9 GESTIONE CASA G. GORI 577,50

11 GEST CASA ASSOCIAZIONI 2.252,39

12 GEST SETT LA VITA 53.345,44

13 GEST.CASA FERIE MONS. LONGODORNI 14.676,22

15 GEST MUSEO DIOCESANO 14.551,68

16 GEST MUSEO RICAMO 10.624,11

17 GEST SALA LETTURA 471,79

18 GEST CENTRO FAM. S. ANNA 205,54

19 GEST ER. MORANDI 345,36

20 GEST C.E.I.S 210,90

22 MENSA POVERI 51.403,49

24 GEST S. MARTINO PORRES 69.812,72

25 GEST CASA FAM. LA CONCHIGLIA 76.958,64

26 GEST PATRONATO TEMPIO 8.429,16

27 GEST.NE BIBL.CA LEONIANA 15.743,26

28 GEST.NE SALE DIDATTICHE 10.624,71

29 GEST.NE ARCHIVIO DIOCESANO 17.631,71

30 GEST.NE C. CULT MARITAIN 6.724,09

32 GEST CENTRO GIOVANI S. CUORE 32.534,86

33 GEST. CENTRO DIOC. ACC.ZA MIMMO 23.788,20

230 SPESE DEL PERSONALE 299.172,97

1 SPESE DEL PERSONALE 299.172,97

235 ALTRI COSTI PERSONALE DIP.TE 18.321,44

1 AL TRE SPESE DIPENDENTI 18.321,44

250 ONERI FINANZIARI 9.954,32

1 INTERESSI PASSIVI 9.954,32

260 ACCANTONAMENTI 83.178,71

2 ACCANTONAMENTO AMMORTAMENTI 67.328,71

3 ACC. E AMM.TO COSTI PLURIENN. 15.850,00

265 ACC.TO F.DO STABILIZZAZIONE 40.000,00

270 ALTRE COMPONENTI PASSIVE 2.554,10

1 ALTRE COMPONENTI PASSIVE 2.554,10

Totale Costi 1.358.285,98

Ricavi

Gruppo Conto Saldo conto Saldo gruppo

305 RICAVI ATTIV.UFF. E GEST.VARIE 355.701,05

1 UFFICIO CANCELLERIA 3.340,00

2 UFF MISSIONARIO 1.870,00

3 CARITAS DIOCESANA 21.809,98

4 UFFICIO CATECH. E SCUOLA 412,25

5 DA ALTRI UFFICI 0,00

6 GESTIONE CASA GINETTA GORI 2.250,00

9 GEST.CASA FERIE MONS. L. DORNI 14.677,00

11 GESTIONE MUSEO DIOCESANO 15.108,10

14 GESTIONE CENTRO FAM. S. ANNA 206,00

17 GEST SETTIMANALE LA VITA 20.660,00

22 GEST MENSA DEI POVERI 51.405,00

23 GEST.CASA FAM. LA CONCHIGLIA 76.961,16

25 GEST S. MARTINO DE PORRES 69.812,72

27 GESTIONE BIBLIOT LEONIANA 15.744,00

29 GEST ARCH.DIOCESANO 17.632,00

30 GEST.NE C. CULT. MARITAIN 5.500,00

33 GEST CENTRO DIOC. ACC. -MIMMO 23.790,00

34 GEST INVENT INFOR. DIOCESANO 10.000,00

36 ENTR. PROG. POLICORO REG.LE 4.522,84

310 UTILIZZO FONDI E CONTRIB. VARI 807.353,34

1 CONTRIBUTI ORDINARI 94.096,25

2 CONTRIBUTI STRAORDINARI 575.369,59

3 CONTRIBUTI SU STIPENDI 137.887,50

320 OFFERTE E PROVENTI VARI 462,63

1 OFFERTE 155,00

2 RIMBORSO SERVIZI 307,63

330 FITTI ATTIVI 22.234,12

1 FITTI ATTIVI 22.234,12

340 PROVENTI FINANZIARI 14.403,64

1 INTERESSI ATTIVI SU C/C 0,00

2 INTERESSI ATTIVI SU TITOLI 0,00

3 ALTRI INTERESSI ATTIVI 1.285,63

4 ALTRI PROVENTI 13.118,01

350 ALTRE COMPONENTI ATTIVE 108.614,45

1 ALTRE COMPONENTI ATTIVE 108.614,45

Totale Ricavi 1.308.769,23

PERDITA 49.516,75

Bilancio della Diocesi di PistoiaEsercizio: 2015 Periodo: 01/01/2015 – 31/12/2015

costi

Curia e Palazzo: € 12.787 spese Enel per uffici di Curia, uffici pastorali e palazzo Vescovile€ 8.560 spese per il riscaldamento€ 7.833 spese telefoniche€ 50.913 spese per imposte e tasse (IRES, IMU, TASI, TARI ecc.)

Gestione Uffici di Curia: € 15.436 spese per pulizie e rimborsi al se-minario;€ 3.247 rimborsi spese (viaggi, convegni ecc.)€ 5.710 competenze a professionisti

Fondo comune diocesano: € 61.964 rimborsi e compensi a sacerdoti stranieri per servizi nelle parrocchie€ 50.124 compensi a collaboratori laici e presbiteri

€ 13.357 stampati assemblea sinodale e Giu-bileo

Ufficio caritas:€ 281.623 con fondi, Microcrediti, Fondazio-ne Caript e Regione Toscana€ 14.870 per aiuti e sovvenzioni€ 62.549 per compensi e rimborsi al perso-nale e ai prestatori d’opera.Da rilevare che alla voce corrispondente dei ricavi, si ritrovano contributi e rimborsi pari a € 21.805

Uffici pastorali vari: € 36.152 spese per riscaldamento gestione calore 2014/2015

Gestione S. Martino dè Porres:€ 69.813 (trova copertura tra i ricavi)

Gestione Casa famiglia Conchiglia:€ 76.959 (trova copertura tra i ricavi)

Gestione settimanale La Vita: € 53.345 spese per tipografia, composizione giornale ecc.€ 20.000 contributo CEI 8‰

Spese del personale: € 309.127 di cui € 227.814 spese per stipen-di dipendenti Curia, uffici pastorali, caritas, casa conchiglia € 83.196 per contributi prev. e acc.to TFR

Interessi passivi: € 9.954 su scoperto di c/c bancari.

Accantonamenti: € 83.178, di cui € 67.329 per ammortamentie € 45.850 per accantonamenti su costi plu-riennali e f.do stabilizzazione

Nota esplicativa del bilancioricaVi

Utilizzo fondi e contributi vari:€ 89.630 dal versamento quota 3% sulle en-trate delle Parrocchie€ 194.000 contributi CEI 8‰ per attività Curia€ 67.000 contributo CEI 8‰ per attività pastorali€ 80.000 contributo CEI 8‰ per la Caritas€ 108.500 contributi vari CEI 8‰ uffici pa-storali e Curia

Contributi su stipendi: € 137.887, di cui € 128.252 rimborso su stipendi€ 9.635 rimborsi su contributi previdenziali

Altre componenti attive: € 108.615 transazione del maggior debito.

PistoiaSetteN. 38 30 OTTOBRE 2016

un tempo di attuazione creatiVae operosa

Dopo aver preso in considerazione attentamente i risultati del “tempo della ricezione creativa” e dopo aver valutato sul come muoverci ora, camminando in-sieme, è mia intenzione lasciarvi qualche indicazione operativa per quello che chia-merei il “tempo della attuazione creativa e operosa” degli Orientamenti pastorali che consegnai alla diocesi nel gennaio scorso.

Intanto, mi è parso opportuno dare una scansione al cammino del triennio. Tutto considerato, ritengo che questa scan-sione possa riprendere quella già presente negli Orientamenti pastorali e confermata in pieno nel tempo della ricezione degli stessi orientamenti (…) Pertanto questo primo anno del triennio, l’anno pastorale 2016 – 2017 sarà particolarmente dedi-cato al Padre, alla riscoperta di Dio Padre misericordioso. L’anno pastorale successivo, il 2017 – 2018 sarà invece dedicato particolarmente ai poveri, mentre il 2018 – 2019 ci vedrà impegnati particolarmente sulla comunità fraterna e missionaria.

tre anni per “camminare insieme suLLe aLideLLo spirito”

È proprio con questa frase “Cammi-niamo insieme sulle ali dello Spirito” che voglio esprimere ciò che siamo chiamati a fare in questo triennio. “Camminare insie-me” vuol dire “sinodalità”. Una sinodalità non da proclamare a parole ma da vivere in concreto e da imparare, perché ancora non l’abbiamo ben capita e appresa.

Si è concluso dunque il tempo della “ricezione creativa”: inizia ora il tempo della attuazione creativa e operosa”. Il metodo – che poi non è solo metodo ma anche sostanza – rimane il solito. Non ce ne può essere un altro per la Chiesa del Signore, è quello “sinodale”, quello cioè del discernimento passo dopo passo, discerni-mento che in questa nuova fase si applica non tanto a capire cosa fare ma come farlo.

L’anno deL padreL’anno 2016 – 2017 sarà dunque l’an-

no del Padre. La frase biblica che ci accom-pagnerà nel cammino di quest’anno sarà “Mi alzerò e andrò da mio Padre”, ripresa dalla parabola del Padre misericordioso (Lc 15,11-32). Davanti ai nostri occhi ci dovrà essere dunque la figura di quel Padre che ci abbraccia, ci riaccoglie nella sua casa, ci riveste dell’abito più bello e fa festa per noi che eravamo morti e siamo tornati in vita.

uno stiLe di aLLeanza tra parrocchie

Mi preme inoltre dirvi che “l’attuazio-ne creativa e operosa” degli Orientamenti dovrà realizzarsi sempre di più in alleanza tra parrocchie. Anche questa è ormai una scelta assodata per la nostra diocesi, anche se ancora lontana dal divenire prassi consolidata. Una parrocchia non può camminare da sola. Camminare insieme vuol dire anche collaborare strettamente tra parrocchie vicine. A livello di Vicariato o zone pastorali, di unità pastorali o alleanza

ASSEMBLEA DIOCESANA

Per camminare insiemesulle ali del Padre

Le indicazione pastorali per l’anno 2016/2017 elencate dal vescovo Tardellitra parrocchie.

indicazioni per iconsigLi pastoraLi

Per quanto riguarda i Consigli pastorali, ribadisco che sono un organismo importan-tissimo di comunione, per la partecipazione dei laici al cammino della Chiesa e per l’accompagnamento delle comunità sulle piste indicate dagli orientamenti pastorali del vescovo. È da preferirsi che i consigli pastorali siano unitari, a livello di parroc-chie in alleanza. In ogni singola parrocchia può invece rimanere un piccolo gruppo di consiglieri e collaboratori del parroco. Laddove il Consiglio ancora non c’è, ci si affretti a costituirlo. Da oggi intendo che tutti i Consigli attualmente esistenti o che saranno costituiti a breve, siano automatica-mente rinnovati fino al termine del triennio pastorale, quindi fino all’estate del 2019.

Formazione necessaria

Quanto detto e quanto dirò circa le indicazioni pastorali per l’anno, richiede – lo si capisce benissimo – un’attenzione del tutto particolare alla formazione degli animatori pastorali, dei vari responsabili di comunità, di gruppi, dei vari operatori pasto-rali. Solo con un laicato convinto nella fede, umanamente ed ecclesialmente maturo e ben preparato anche se nella semplicità dei modi, la chiesa pistoiese potrà varcare le soglie del futuro, dando vita a quell’insieme di piccole comunità cristiane di base che rappresentano l’autentico sviluppo delle nostre realtà parrocchiali in questo mo-mento storico. Validissimo ma non unico strumento di formazione resta la Scuola diocesana di teologia.

tra norma e discernimento

Le mie indicazioni segnalano quanto ogni comunità cristiana della diocesi e quindi ogni parroco che ne è responsabile debbono con convinzione mettere in atto. Hanno quindi carattere normativo. (…) Le mie indicazioni forniscono degli obiettivi pratici di cambiamento della prassi pastora-le attuale. Obiettivi sui quali ci si confronta, ci si misura. Ripeto però che le modalità concrete di attuazione, la misura della concretizzazione e i tempi, vanno indivi-duati in loco, attraverso un lavoro “sinodale” assolutamente necessario e già esso stesso esercizio di conversione pastorale.

indicazioni normatiVe per L’anno pastoraLe 2016/2017

Lavoriamo nei vicariati e nelle parroc-chie quest’anno per:1. riscoprire la bellezza dell’Eucaristia domenicale

2. imparare ad ascoltare e pregare il Padre3. diffondere i gruppi di Vangelo nelle famiglie4. vivere l’esperienza del Battesimo

testi di riFerimentoIntanto vi segnalo per così dire i “testi

base” di riferimento per il lavoro comuni-tario. Sono tre: 1. Il sussidio per la medita-zione della Parola di Dio che è incentrato sulla figura del Padre; 2. Gli Orientamenti pastorali da me dati che restano un riferimento importante, specialmente la premessa e la parte dedicata al Padre; 3. La Sacrosantum Concilium del Concilio Va-ticano II, nella parte generale, per aiutarci a ritrovare il senso della preghiera liturgica.

eucarestia domenicaLe

1. Rendere evidente che la liturgia domenicale, l’Eucaristia, è preghiera al Padre, dialogo di salvezza con Lui, per Cristo e nello Spirito Santo: ascolto, lode, intercessione, comunione. A tale scopo, sarebbe bene che l’Eucaristia domenicale fosse accuratamente preparata. I concetti fondamentali da acquisire e da vivere mi paiono principalmente questi:1) Il Padre ci ha convocati, personalmente e insieme;2) Il Padre ci parla attraverso le Scritture Sante ma soprattutto attraverso la sua Parola vivente che è Gesù Cristo;3) Noi, per Cristo, con Cristo e in Cristo, uniti nello Spirito Santo, guidati da Lui (sulle sue ali), diamo lode al Padre, ora e sempre e ci facciamo voce di ogni creatura con una preghiera di intercessione, in particolare per i poveri e gli scartati della società4) Ci riconosciamo figli e fratelli, protesi verso il ritorno glorioso di Cristo e il com-pimento del Regno, quei “cieli nuovi e terra nuova” di cui parla la Scrittura.5) Ci impegniamo a dar lode vera al Padre con la nostra vita piena di amore verso il prossimo in particolare verso gli ultimi e annunciando la Misericordia di Dio, lavo-rando per il Regno.

educazioneaLLa preghiera

2. Educare alla preghiera nello Spirito Santo. Realizzando in ogni parrocchia o meglio forse in ogni gruppo di parrocchie in alleanza, una “scuola di preghiera”, che permetta di farne concreta esperienza. Educando quindi all’ascolto della parola di Dio e all’adorazione, adulti, bambini e ragazzi del catechismo. In ogni parrocchia, o alleanza di parrocchie, occorrerebbe riuscire a organizzare mensilmente incontri di preghiera, possibilmente con l’adorazione eucaristica. Si potrebbe ripristinare anche la pratica dell’adorazione continuata (qua-

rantore) magari anche con la preghiera notturna. Che questi incontri siano momenti di preghiera di lode e adorazione ma anche di intercessione, accorata e insistente, per la pace, gli immigrati, i disperati, i poveri, per chi vive prigioniero del peccato, per i defunti. Andrebbero proposti poi almeno un paio di ritiri spirituali durante l’anno per tutti gli operatori pastorali, compresi i catechisti. Anche la proposta di “esercizi spirituali” parrocchiali aperti a tutti, dovrebbe essere presa in attenta considerazione.

gruppi di ascoLtodeLLa paroLa

3. Valorizzare, istituire dove non ci fossero, coltivare i gruppi di Vangelo nelle case; in un clima di preghiera, di lode e di supplica, rendendoli “cenacoli” di pre-ghiera, carità e vita cristiana. Come ho già detto, questi gruppi dovrebbero diventare delle vere e proprie piccole comunità di base. L’evoluzione delle nostre parrocchie storiche mi pare vada necessariamente in tale direzione. La parrocchia rimane certo anche ai nostri giorni una realtà validissima e indispensabile. Ha però bisogno di un pro-fondo rinnovamento in senso comunitario e missionario. I gruppi di vangelo possono essere il germe di questo cambiamento. Do-vremmo in particolare quest’anno provare a proporre tali gruppi ai genitori dei ragazzi del catechismo e dei bambini che ricevono il Battesimo. Per questi “gruppi di Vangelo” o da essi, potrebbe essere realizzata tra le parrocchie in alleanza, annualmente una “giornata della Bibbia” che promuova la necessaria e fondamentale conoscenza delle Sacre Scritture tra il popolo.

riFormadeL battesimo

4. Rivedere il processo di Iniziazione cristiana a partire dal Battesimo. Per ora ci fermiamo al Battesimo. In seguito si prenderanno in esame gli altri sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Per quanto riguar-da il Battesimo, ritengo che sia giunto il momento di prendere una decisione, dopo che per alcuni anni si è andati avanti con la sperimentazione.

Confermo con opportuni aggiustamen-ti la forma della celebrazione battesimale cosiddetta “in tre tempi”, con l’avvertenza però che non si tratta semplicemente di una riforma celebrativa ma di un modo per permettere un incontro, un dialogo e un accompagnamento pastorale delle famiglie che chiedono il Battesimo per i propri figli. È questo il vero obiettivo e se non si persegue questo scopo a poco varrebbe la sola riforma celebrativa.

In sintesi, mi sembrano importanti queste attenzioni:1) che ci sia accoglienza, ascolto e dialogo

“cuore a cuore” tra il sacerdote e i genitori che chiedono il Battesimo;2) che si facciano conoscere ai genitori alcuni membri della comunità, alcune famiglie cristiane della parrocchia, in modo che si stabilisca un’amicizia;3) che si invitino i genitori a prepararsi partecipando alla S. Messa domenicale, qualora non lo facessero già;4) che la preparazione specifica si faccia spiegando il significato del rito liturgico nelle sue varie parti, utilizzando anche il leziona-rio biblico proprio della liturgia battesimale;5) che si accompagnino i genitori nel cammino post battesimale, personalmente, andando ogni tanto a trovarli e invitandoli con costanza a gruppi di vangelo o ad altri appuntamenti parrocchiali.

La concorde linea in tutta la diocesi circa le date dei Battesimi, porterà in breve tempo a una consuetudine facilmente accettata dalla gente. Le date sono le seguenti: 1) ultima domenica di settembre; 2) Epifania; 3) Battesimo del Signore; 4) Veglia pasquale; 5) Domenica in albis; 6) Domenica della Trinità; 7) seconda dome-nica di luglio.

Per quanto riguarda i tre momenti celebrativi, ci si orienti in questo modo:1) La presentazione e i riti di accoglienza si faranno in una Eucarestia domenicale precedente di qualche settimana il Batte-simo, a discrezione del parroco;2) Il rito dell’esorcismo e dell’unzione pre-battesimale si possono fare in una messa domenicale e/o in celebrazioni separate con i soli genitori/padrini e familiari; o anche in celebrazioni feriali.3) la celebrazione del Battesimo avverrà nelle date sopra indicate e per tutti i bambini durante l’Eucaristia domenicale, senza distinzioni legate alla situazione matrimoniale dei genitori. Ove possibile sarebbe bene riscoprire la forma per im-mersione del Battesimo che è tra l’altro la prima forma proposta nello stesso rituale dei battesimi.

Mi pare inoltre quanto mai opportuno che durante l’anno liturgico si istituiscano dei momenti che coinvolgano tutta quan-ta la comunità allo scopo di sostenere il cammino post – battesimale dei bambini e delle loro famiglie.

Per quanto riguarda il Battesimo degli adulti, quando si presenti il caso, si ricordi che va contattato il Vescovo e con lui stabilite le tappe del sempre necessario Catecumenato. I riti di accoglienza e le unzioni pre-battesimali si faranno in par-rocchia ma la celebrazione del Battesimo e di regola anche della Confermazione e dell’Eucaristia avverrà in un’unica Liturgia in Cattedrale, per le mani del vescovo, durante la Veglia Pasquale.

8 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVitacomunità ecclesiale

ercoledì 19 ottobre l’apertura della Scuola di formazione teolo-gica – giunta a festeg-

giare i suoi primi 40 anni - è stata affidata al Vescovo di Pescia monsi-gnor Roberto Filippini, da quest’anno anche docente presso la scuola di Sa-cra Scrittura. Una presenza rilevante, che si affianca a quella di monsignor Tardelli, esperto di teologia morale, e che impreziosisce nel segno di una fruttuosa collaborazione le diocesi di Pistoia e Pescia.

Nella prolusione di inizio anno monsignor Filippini ha presentato il suo libro di recente pubblicazione “Il Vangelo della Pace” (Verucchio, Pazzini 2015). Un testo originato dalla passione per la pace e la non-violenza che Filippini ha coltivato per anni insieme ad un gruppo di giovani nel ricordo di Franz Jägerstätter, contadino austriaco condannato a morte per aver rinunciato a pren-dere le armi con l’esercito nazista e oggi beato. Una passione, quella per la pace, che ha coinvolto monsignor Filippini -allora don Roberto- anche

nell’elaborazione di un corso di laurea in scienze per la pace presso l’università di Pisa e poi sperimentato anche in altri atenei.

Si direbbe una parola quasi scon-tata per i cristiani, eppure parlare di pace – afferma Filippini- suscita ancora oggi un disagio doloroso, una indicibile pena per la distanza che corre tra il discorso della Montagna (“Beati gli operatori di pace”) o l’invito evangelico a porgere l’altra guancia e ciò che la stessa storia cristiana ha prodotto. Non sono mancate -precisa Filippini- figure emblematiche come Francesco d’As-sisi, Erasmo, fino ai contemporanei Camara, La Pira, padre Balducci, Tonino Bello. Non ci sono, poi, solo i cattolici: occorre riconoscere la scelta radicale per la pace degli altri cristiani: come i Quaccheri o Martin Luther King. I primi secoli del cristia-nesimo sono segnati da un’opzione netta e decisa per la pace, eppure, con la diffusione del cristianesimo e la nascita di un impero cristiano, è arrivata anche la soluzione del compromesso. Agostino ha aperto

autorevolmente questo spazio, non a partire dalla necessità della legittima difesa, bensì dall’esigenza di difendere il debole, cioè da un’inestinguibile sete di giustizia. Un’opzione dram-matica e sofferta, dunque, una sorta di dazio inesorabile da pagare alla natura umana. Così il ricorso alle armi è stato gradualmente conside-rato come un male minore da cui è impossibile sottrarsi, elaborato teologicamente nella teoria della guerra giusta. Un’opzione, a dire il vero, che la teologia ha sempre più circoscritto, al punto da restare quasi ipotetica. Durante i lavori del Conci-lio Vaticano II, infatti, sarà un paladino della tradizione e dell’ortodossia, come il cardinal Ottaviani ad affer-mare che una guerra giusta non è mai esistita. La stagione del Concilio ha indicato un punto di non ritorno nella scelta della pace. Giovanni XXIII con l’enciclica Pacem in Terris (1963) aveva aperto la strada, dichiarando la guerra “alienum a ratione”: una follia! Con papa Roncalli e il Concilio – af-ferma monsignor Filippini – la chiesa ha cominciato un nuovo discorso

sulla pace, un pensiero in positivo, che propone la pace non a partire dall’inevitabilità dei conflitti, ma da una profonda esigenza evangelica. Il magistero papale, da Giovanni Paolo II a papa Francesco ha confermato, talora con espressioni rimaste cele-bri, il ripudio della guerra. Ma Filippini non si è limitato ad un’indagine sto-rica sulla pace, elaborando piuttosto, una teologia che individua nella pace stessa il proprio del cristianesimo e che si fonda su alcuni versetti del secondo Capitolo della Lettera agli Efesini: “Lui (Cristo) infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fat-to uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia”. Una teologia della pace, dunque, che non è soltanto rifiuto della violenza, ma invito ad abbattere ogni divisione: una cifra che investe la missione stes-sa della Chiesa, chiamata, secondo Lumen Gentium 1, ad essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Il cammino verso l’unità tra tutti gli uomini, infatti, trova fon-

damento nella pace, nella scelta per l’opzione più esigente, quella che chiede una giustizia più alta, secon-do la misura della santità a cui tutti siamo chiamati con il battesimo. La prolusione di Filippini si è conclusa con tre suggerimenti concreti per la promozione del Vangelo della Pace: 1. L’elaborazione di una teologia della pace perché, sorretta dagli strumenti della ricerca teologica e universitaria, la fede possa essere interpretata secondo la categoria della pace, a partire dalla categoria ebraica, am-pia e universale, dello shalom. 2. Il dialogo ecumenico e interreligioso perché l’impegno della costruzione della pace, almeno tra cristiani, possa essere segno per il mondo intero e raggiunga una valenza simbolica capace di parlare a tutti. 3. L’invito a sostenere con sempre maggiore convinzione la scelta per la non violenza, nel desiderio di colmare la distanza tra la realtà e il discorso della montagna. Tre piste molto attuali e concrete, che spingono a coltivare la teologia per la costruzione del Regno.

Ugo Feraci

SCUOLA DI FORMAZIONE TEOLOGICA

La prolusione di monsignor FilippiniDa martedì 25 ottobre l’inizio dei corsi

M

Solo con un laicato convin-to nella fede, umanamente ed ecclesialmente maturo e ben preparato anche se nella semplicità dei modi,

la chiesa pistoiese potrà varcare la soglia del futuro, dando vita a quell’insieme di piccole comunità cristiane di base che rappresentano l’autentico sviluppo delle nostre realtà parrocchiali in questo mo-mento storico”. Poche righe, nella relazione che il vescovo di Pistoia, Fauso Tardelli, ha tenuto all convegno pastorale diocesano (“Camminiamo insieme, sulle ali dello Spirito”), nella imponente chiesa di San Francesco, con qualche centinaio di rappresen-tanti della Chiesa pistoiese.

Poche parole ma parole forti per una comunità sparsa su un territorio ampio e diversificato, diviso in 10 Vicariati su cui sono presenti 160 parrocchie per circa 230 mila abitanti (la grande maggioranza – in teoria – cristiani perché battezzati) potendo contare su un centinaio di preti dall’età media sufficientemente ele-vata per legittimare un interrogativo: cosa accadrà fra una dozzina di anni?

È vero che molte, fra queste 160 parrocchie, stanno ormai e da tempo solo sulla carta: retaggio di tempi antichi, sopravvivono solo nelle indicazioni formali facendo scendere di parecchio (diciamo sotto il centinaio) il numero delle parrocchie effettive. Ma dare un parroco a ogni parrocchia (e spesso si tratta di realtà con numeri bassi) è da tempo un problema con cui si confrontano i vescovi di Pistoia. E certo non solo questi.

Fu il vescovo precedente, Man-sueto Bianchi, nei suoi programmi pastorali, a stimolare l’avvio di quelle che furono chiamate “parrocchie in alleanza” tentando di far procedere

iL ritorno diteiLhard de chardinVenerdì 28 ottobre alle 21, in seminario, il centro culturale “J. Maritain” organizza un incontro dal titolo: “Il ritorno di Teilhard de Chardin”. Relatori saranno Edmondo Cesarini, consigliere e referente del gruppo romano dell’associazione italiana TdC e Gianluigi Nicola, direttore re-sponsabile della rivista “Teilhard aujour d’hui” Edition européen-ne”. Al termine delle relazioni seguirà il consueto dibattito.

“Wanted!”a san paoLoVenerdì 28 ottobre alle 21, pres-so la chiesa di San Paolo apostolo a Pistoia prende il via “Wanted!” il percorso per i giovani orga-nizzato dall’ufficio di pastorale giovanile diocesano. La prima serata,prevede la presentazione del programma e tante sorprese!Il programma annuale è il seguen-te:28 ottobre ore 21: chiesa di San Paolo, Serata Lancio24 novembre ore 21: in Semi-nario (Pistoia, via Puccini 36) “I Want. Guarda in cielo e conta le stelle”. Incontro con F. Vaccari, fondatore di Rondine.7-8 gennaio 2017 – “Time Out”. ritiro diocesano16 marzo 2017 ore 21: Basilica della Madonna dell’Umiltà, “Back to life“. Preghiera di riconcilia-zione.7 maggio 2017 ore 21: The Sun. Concerto testimonianza2 luglio 2017: “Let’s go!”. Uscita in montagna

cena senegaLese

“Una Scuola e un Pozzo in Afri-ca” sabato 29 ottobre alle 20, organizza, presso la parrocchia di Sant’Angiolo a Bottegone, la con-sueta cena senegalese.L’associazione opera da molti anni nelle Regioni Senegalesi del Fatick e della Casamance con un forte impegno di solidarietà nel campo dell’istruzione e della sanità con realizzazioni di tipo strutturale in scuole, dispensari, ambulatori, maternità e piccoli ospedali.Quest’anno ha iniziato a operare anche nella Regione di Thies por-tando materiale e strumentazione sanitaria (Ecografi, Ambulanze, Medicinali...) in una realtà dove i bambini dei villaggi della zona “non avevamo mai visto un uomo bianco”...L’obiettivo della cena è quello di acquistare una Piroga-Ambulanza (ca. 6.000 € di spesa totale) per il Villaggio di Mar Fafaco, sull’estua-rio del grande fiume Casamance.Durante la cena verranno illu-strate le varie attività in corso e i progetti futuri dell’associazione.

“ordo amoris”Venerdì 4 novembre alle 21, in seminario si terrà una tavola ro-tonda sul testo “Ordo Amoris” a cura di E. Natali e A. Spitaleri. Il testo è vincitore del primo premio nazionale di filosofia ‘Pra-tiche filosofiche’. Interverranno i professori: F. Gaiffi, I. Ginanni, E. Natali, D. Pancaldo, A. Spitaleri. Le conclusioni saranno del vescovo Fausto Tardelli.

Appuntamenti diocesani

ASSEMBLEA DIOCESANA

Indicazioni di lavoro

il profilo organizzativo-pastorale della Chiesa pistoiese in singolare, ma ine-vitabile, parallelo con quanto accade a tante comunità locali, sul piano civile-politico, con l’accorpamento dei Comuni.

Ma la Chiesa è una “ditta” strana e non sempre, per motivi vari, quello che in teoria sembra scontato, nella pratica risulta di facile traducibilità operativa. Mons. Tardelli insiste sulle parrocchie in alleanza ma nel lanciare le “indicazioni normative” per l’anno pastorale appena iniziato (centralità per l’Eucarestia, educazione alla preghiera, valorizzazione dei Gruppi di Vangelo nelle abitazioni private, revisione delle modalità sui Battesimi), butta giù, in un inciso che merita di es-sere estratto, quelle parole sul futuro delle parrocchie in un contesto – mai dimenticarlo – nel quale i “praticanti” effettivi (prescindendo cioè da alcuni momenti forti: Natale, Pasqua, un bat-tesimo o una cresima, un matrimonio o un funerale …) sono calati verso percentuali decisamente basse.

Questione, ovvio, non solo “pi-stoiese”. E questione che non si-gnifica, certo, assenza di bisogni “spirituali”: questi, al contrario, restano rilevanti e sempre più lo saranno in un mondo dove tante certezze si sgretolano, bisogni antichi e moderni si moltiplicano, solitudini

e disperazioni aumentano (e chi era al convegno in San Francesco se ne è plasticamente reso conto in presa diretta), bisogni di “senso” cercano strade con una comunità cristiana che avrebbe una fonte eterna, Gesù Cristo, di freschezza e di significato da offrire alle tante disperazioni, alle molte attese.

Ecco, dunque, la riflessione sulle “piccole comunità cristiane di base” formate da “un laicato convinto e maturo” come “sviluppo autentico” di “realtà parrocchiali” che non sem-brano reggere le sfide del “momento storico”. Parola chiave, per questo nuovo laicato, sarà “formazione”.

Significativi alcuni numeri, emble-matici sulla realtà vera, letti da don Cristiano D’Angelo nella relazione sulla resa dei “questionari” (il conve-gno di venerdì 21 ottobre concludeva un periodo di coinvolgimento dal basso sugli Orientamenti Pastorali a suo tempo diffusi dal vescovo Tardelli e su cui le singole parrocchie avreb-bero dovuto lavorare in un clima di “ricezione creativa” indicando, tramite “questionari”, le priorità su cui si intende lavorare localmente). I parroci che hanno riconsegnato i questionari sono stati 32, espressione di 47 parrocchie corrispondenti a cir-ca il 44% della popolazione diocesana.

Mauro Banchini

930 OTTOBRE 2016 n. 38VitaLa comunità ecclesiale

abato 22 ottobre, in Catte-drale una concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Tardelli ha segnato

ufficialmente l’avvio della Comunità pastorale del Centro storico di Pistoia.

Abbiamo chiesto un approfondi-mento a don Giordano Favillini, parroco di San Bartolomeo e della Basilica della Madonna dell’Umiltà.

Forse è utile ribadire l’im-portanza della Costituzione della Comunità pastorale del Centro storico di Pistoia.

Perché il nostro vescovo ha ritenuto opportuno riunire come parrocchie in alleanza le chiese che sono collocate nel cuore della città? Quali sono le parrocchie interes-sate e quali sacerdoti lavo-reranno insieme nel centro storico?

Ovunque stanno nascendo le comu-nità pastorali o le Unità pastorali soprat-tutto nelle città dove si trovano in pochi metri parrocchie situate una accanto all’altra; realtà socialmente omogenee che possono essere riunite in un solo

progetto pastorale sotto la guida di un moderatore e di parroci che lavorano insieme. Questo accade perché ci sono meno preti e le esigenze aumentano.

Le parrocchie interessate sono: S. Bartolomeo, S. Filippo, S. Andrea, Madon-na dell’Umiltà, S. Giovanni Fuorcivitas, S. Paolo, SS. Annunziata, Spirito santo. Gli attuali parroci di queste chiese dovranno lavorare insieme… e questa è già una sfida. Con la prossima celebrazione di sabato 22 si preannuncia un cammino di intensa collaborazione tra sacerdoti, comunità e fedeli del centro storico.

Avete già in mente un pro-gramma pastorale?

Seguiremo il programma della dio-cesi, ovviamente adattato a questa real-tà. Ad esempio ci sarà un’unica Caritas, così come un unico gruppo di catechisti, un’unica pastorale giovanile, ecc.

Gli itinerari di iniziazione cristiana come saranno or-ganizzati e a chi occorrerà rivolgersi?

L’itinerario per l’iniziazione cristiana del ragazzi è coordinato da padre Pier-luigi attuale parroco di S. Paolo e a lui

SABATO 22 OTTOBRE

Il via ufficiale alla comunitàpastorale del centro storico

S

uali sono stati i moti-vi che hanno spinto il vostro gruppo scout ad intraprendere

il pellegrinaggio giubilare? Come si è svolto?

La scintilla che ha fatto scaturire nel-le menti di noi capi del gruppo Pistoia1 il nostro percorso di fede durante l’anno scout e il pellegrinaggio conclusivo a Roma è scaturita dalle parole del Papa al momento della indizione del Giubileo straordinario della Misericordia. Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo sprona il popolo di Dio a «te-nere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre». Nel nostro percorso di catechesi durante l’anno le opere di misericordia spirituali e corporali sono state riprese, approfondite e sono divenute strumento di riflessione e di stimolo per ognuno di noi. Come degna conclusione del percorso, e così come chiesto da Papa Francesco, è stato deciso di effettuare un pellegrinaggio che si è svolto l’8 e il 9 ottobre, coincidente con il Giubileo mariano; il pellegrinaggio ha

visto coinvolti la comunità capi, i ragazzi di clan e noviziato e i ragazzi più grandi del reparto. Il pellegrinaggio «segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e richiede impegno e sacrificio» nelle parole del Papa, è stato effettuato il sabato, con un percorso di circa 25km che ci ha portati dal paesino di Campagnano di Roma fino a La Storta, camminando su uno dei grandi percorsi che i pellegrini hanno attraversato nel corso dei secoli, vale a dire la Via Franci-gena. Il giorno successivo ci siamo recati a San Pietro per assistere alla Messa in San Pietro e, al termine, abbiamo attraversato la Porta Santa lasciandoci abbracciare dall’amore e dalla misericordia di Dio.

Come avete vissuto il pel-legrinaggio?

Il pellegrinaggio è stato vissuto in comunità, elemento fondamentale per la crescita dei ragazzi ma anche di noi capi adulti, e si è svolto su un percorso ricco di stimoli creati dalla bellezza della natura, simbolo dell’amore di Dio, e in-dotti dalla catechesi creata ad hoc per l’occasione. Si è riflettuto sulle necessità e sulle sfide che il mondo odierno ci pone,

8 E 9 OTTOBRE A ROMA

Pellegrinaggio diocesano degli scoutIl gruppo scout Pistoia 1 ha partecipato a Roma al giubileo mariano.

Ce ne parla Pietro Querci, caposcout del gruppoprima fra tutte la questione dei migranti, degli «stranieri» e del bisogno di usare tutta la nostra misericordia nei confronti di persone che, perché no, si possono definire pellegrini giunti ad una tappa fondamentale della loro vita e che, con i loro scarsi mezzi, cercano di raggiungere la meta di una vita migliore. Complessi-vamente l’atmosfera che si è respirata è stata molto positiva, con partecipazione attiva di capi e ragazzi al fine di rendere questa esperienza piena e ricca di nuove idee e stimoli da riportare nella comunità pistoiese.

Cosa vi portare dentro da questa esperienza?

Sicuramente questo pellegrinaggio ha portato a una significativa crescita di tutto il gruppo, andando a rafforzare ulteriormente le nostre basi cattoliche e far sì che anche i più giovani potessero sentirsi protagonisti di questo percorso sia fisico che interiore, in un mondo che troppo spesso li allontana da tutto ciò. Ci portiamo dentro la gioia di stare insieme, di affrontare la fatica aiutandosi l’un l’altro, in comunione con Dio. Ci sentiamo in questo modo di aver fatto le “prove generali” per mettere in pratica con tutto il gruppo ciò che possiamo dare, con la nostra misericordia, quando il mondo ce lo chiederà.

Q

ifficile è parlare di amore perché è necessario me-scolare pensiero, parole e azioni. E mettere insieme in

modo omogeneo questi tre aspetti della vita non è cosa facile.

Dobbiamo partire dal punto che l’amore non è soltanto una disposi-zione particolare verso qualcuno, o un forte riferimento interpersonale, o una attrazione fisica. Solo in questo modo è possibile capire le norme dell’etica cristiana nell’ambito sessuale, matrimo-niale e familiare.

L’amore è prima di tutto una realtà interiore, interna alla persona. Contem-poraneamente, però, è una realtà inter-personale, da persona a persona. Ma sia come aspetto interiore o rapporto interpersonale ha una propria parti-colarità evangelica ed un riferimento nella Scrittura.

Importante è comprendere l’impor-tantissimo testo del Concilio Vaticano II

che è la costituzione Gaudium et spes. Quando viene a parlare del matrimonio inizia con un titolo significativo: “Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione”. Prosegue con l’osser-vazione della vita contemporanea con tutte le distorsioni che l’amore fra marito e moglie, l’amore familiare, ha subito e subisce, soprattutto ai nostri tempi: “Però la dignità di questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l’amore coniugale è molto spesso profanato dall’egoismo, dall’edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre le odierne condizioni economi-che, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare” (GS 47). Il bene della persona e della società umana e cristiana sono stretta-mente connessi con una felice situazione della coppia coniugale e della famiglia.

Perciò da cristiani dobbiamo sempre impegnarci sinceramente nel favorire la formazione di queste comunità di amore, nell’accompagnare e sostenere coniugi e genitori nella loro fondamen-tale missione. I problemi e le difficoltà sono, oggi, forse più grandi di quando i Padri Conciliari scrissero 50 anni fa la Gaudium et Spes e sembrano quasi re-mare contro la continuità dell’istituzione famiglia cristiana. Però non sono molto diversi dal passato, anche da quello più remoto. Basta leggere la Lettera ai Ro-mani di san Paolo per rendersene conto: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pe-ricolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello” (Rm 8, 35,36).

Occorre quindi partire da tutte le mancanze, tutti gli errori, e tutte le di-storsioni che riempiono la vita del cristia-

no, cercando di leggere con attenzione il mondo in cui siamo chiamati a vivere.

Ricordiamoci che, dopo che nel 1968 papa Paolo VI pubblicò l’Humanae Vitae, si sollevò una voce quasi unanime dei settimanali e dei quotidiani per invocare l’uso dei contraccettivi e se ne faceva quasi un principio ed un impera-tivo sociale. Oggi gli stessi settimanali e quotidiani richiedono un aumento delle nascite. L’uomo è forse un meccanismo al quale dare facilmente degli ordini a livello così profondo, o questo è un orribile errore nella visione dell’uomo e dell’umanità intera?

Quindi al centro dell’uomo deve essere sempre il tema dell’amore, dell’insegnamento sul tema dell’amore, che dovremmo porre alla base della preparazione al matrimonio e dovrem-mo proclamare e predicare in modo autentico e evangelico.

Infatti l’insegnamento evangelico sull’amore viene riassunto prima di

L’ANGOLO DELLA FAMIGLIA

Cos’è l’amore coniugale?D

tutto nella Rivelazione, di cui fa parte. Le letture ce lo insegnano chiaramente: San Giovanni afferma: «Dio è amore» (1Gv 4,8); san Paolo ribadisce: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Perciò, parlando di amore cioè parlandone con la voce, con le labbra, e anche con tutto il corpo, dobbiamo sempre avere davanti agli occhi l’amore umano come reale par-tecipazione all’amore di Dio. Tutto il vero amore umano è reale partecipazione all’amore di Dio. Anche l’amore matri-moniale è partecipazione reale all’amo-re di Dio e lo è sempre perché l’amore di un uomo e di una donna attraversa tutte le tappe della vita, cominciando dall’adolescenza, fino agli anniversari che definiamo ‘nozze d’oro’ od anche di più. Tutta la ricchezza umana di questo amore non può nascere al di fuori di questa partecipazione all’amore di Dio.

Certamente, grazie a Lui, se così si può dire, l’amore si libera, si sprigiona, diviene pensiero, parola ed azione e possiamo parlarne con la voce, con le labbra e con tutto il corpo.

Paola e Piero Pierattini

ci si deve rivolgere.

Chi coordinerà l’attività pastorale del centro storico?

L’attività pastorale del centro stori-co viene coordinata da don Luca Carlesi arciprete della Cattedrale.

Il Consiglio pastorale è unico? Come è stato com-posto?

C’è un unico consiglio pastorale composto da tre rappresentanti laici da ogni parrocchia, i rappresentanti delle comunità religiose e i singoli parroci.

Anche per quest’anno la chiesa di San Paolo propone il cammino di nove primi ve-nerdì del mese. Da ottobre a giugno, il programma fa proprio riferimento al tema della città. Perché avete scel-to questo tema?

La parrocchia di S. Paolo ormai da circa 20 anni porta avanti l’itinerario dei nove primi venerdì pratica legata alla spiritualità del Sacro Cuore, alla quale è stata data una forte connotazione di ce-lebrazione evangelizzatrice. Averla resa una iniziativa della Comunità del centro storico è stato un modo per condividere con tutte le altre realtà questo cammino che si ritiene molto valido nell’ambito della nuova evangelizzazione.

Quali sono a suo avviso, le sfide più grandi per una pastorale cittadina?

Le sfide secondo me sono: far uscire le persone delle varie parrocchie da una mentalità campanilistica che tende a guardare solo al proprio ambiente, per portarle ad una coscienza di appar-tenere a una unica realtà pastorale che nasce con una forte connotazione missionaria, per rievangelizzare la no-stra città oramai secolarizzata, in preda ad una cultura laicista e consumistica, che ha perso il senso cristiano della vita. Poi è necessario far nascere nei presbiteri la volontà di lavorare insieme, abbandonando il vecchio stile per cui si lavorava in proprio, magari con un sottile atteggiamento concorrenziale. Occorre crescere nella dimensione del carico pastorale condiviso e far emerge-re i carismi di ciascuno nel rispetto delle diversità. Infine è fondamentale operare con un criterio missionario.

Daniela Raspollini

10 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVita

Questa è una realtà stra-ordinaria ed eccezionale». Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi,

inaugurando a Pistoia la nuova sala prove di Hitachi Rail Italy, un edificio lungo 200 metri e alto più

l «Miracolo», una delle opere più importanti e significative di Marino Marini è stata trasferi-ta pochi giorni fa dall’atrio del Palazzo Comunale di Pistoia

e al laboratorio Salvadori Arte di Sant’Agostino, per il restauro con-servativo, che durerà circa due mesi ed avrà un costo di 10mila euro, inte-ramente finanziato dal Rotary Club Pistoia-Montecatini Terme «Marino Marini». Si tratta, è stato spiegato, di un intervento molto significativo che rappresenta una tappa di avvi-cinamento al 2017, anno nel quale Pistoia sarà Capitale italiana della cultura. L’opera in bronzo, conser-vata nell’atrio del Palazzo comunale dal 1979, ha necessità di un restauro poiché esposta da oltre trent’anni agli agenti atmosferici. La scultura monumentale in bronzo, realizzata negli anni 1953/54, ritrae un cavallo nell’atto di disarcionare il cavaliere dopo essersi imbizzarrito per un evento improvviso ed è stata donata alla città da Marino Marini nel 1975. L’autore andava particolarmente orgoglioso di quest’opera che, per qualche tempo, è stata esposta in piazza del Duomo. Il «Miracolo» fa parte di un nucleo di opere (oltre un centinaio) che Marino Marini volle

RESTAURI

Avviati i lavoriper il «Miracolo» di Marini

Tornerà in tempo per Pistoia capitale della cultura

I

comunità e territorio

SCUOLE

Ancora tanti problemiper i plessi pistoiesi

Ma potrebbe esserci una soluzione a breveper il liceo artistico Petrocchi

ono tante le novità accadute nel mondo della scuola pistoiese nell’ultima settimana. Su tutte nuove proteste studentesche per due differenti motivi: il caos trasporti (con Copit che è finita nell’occhio del ciclone dopo che una ragazza si è fatta male ad un piede mentre cercava di

salire sull’autobus) ai disagi strutturali che impazzano al Liceo artistico Petrocchi.Riguardo il problema dei mezzi pubblici hanno manifestato la loro indignazione una cinquantina di ragazzi che si sono recati sotto la Provincia per far sentire la loro voce. Le scuole più rappresentate erano l’Istituto Fedi-Fermi e il liceo Forteguerri. “Siamo animali o esseri umani?” recitavano i loro slogan. A seguito della protesta la situazione sembra essersi regolarizzata. La prossima settimana ci dirà se questaregolarizzazione è solamente apparente o no.Ancora più complesso il discorso sulla situazione del Liceo Artistico e dei suoi problemi strutturali di cui abbiamo diffusamente parlato nelle ultime settimane: una delegazione di studenti ha infatti cercato di parlare, lunedì mattina, con il pre-sidente del Consiglio Matteo Renzi, in visita allo stabilimento Hitachi della nostra cittá. Gli studenti non hanno potuto incontrare il primo ministro, ma nella questione è intervenuto il Deputato del Partito democrattico, Fanucci: “gli investimenti ad oggi non sono tecnicamente possibili - dice - ma quello che conta è la buona volontá che ci stiamo mettendo. Non dimentichiamoci che la nostra Provincia sta vivendo una situazione di dissesto senza precedenti”. Da parte sua la Provincia,tramite il suo presidente Rinaldo Vanni, annuncia di aver chiuso il bilancio e che saranno presto disponibili 40.000 euro per interventi urgenti da fare al Petrocchi. Da parte loro gli studenti chiedono certezza e rapidità: “chiediamo da tempo - dice Bernard Dika, del Parlamento degli Studenti della Toscana - che le istituzioni abbiano il coraggio di fare cambiamenti concreti e che non si limitino a sottolineare quanto vorrebbero impegnarsi”. In tutto questo la settimana prossima è prevista pioggia: al Petrocchi si aspettano altri giorni di tempesta, nel vero senso dellaparola.

Lorenzo Vannucci

S

«

POLITICA

Il premier Renziin visita allo stabilimento

Hitachi di Pistoia

«Realtà straordinaria,spero che qui vada

come al Nuovo Pignonee che aumentino

i lavoratori»di Patrizio Ceccarelli

MARGINALITà

Emergenza freddoe disagio abitativo

Nasce un sistema di accoglienza integratoi rinnova la collaborazione tra Comune di Pistoia e le associazioni di volontariato per fronteggiare l’emergenza freddo e dare, quindi, riparo alle persone senza fissa dimora quando il termometro si avvicina allo zero. Trentasette i posti messi a disposizione per fronteggiare il disagio

sociale abitativo in inverno, grazie ad un finanziamento del Ministero dell’Interno con fondi Unrra - united nations relief and rehabilitation administration – fina-lizzati a fornire servizi di accoglienza abitativa, assistenza ai senza fissa dimora e distribuzione di alimenti.L’attivazione di un sistema territoriale articolato e integrato, capace di far fronte alla marginalità sociale più evidente nel periodo invernale, è stata raggiunta grazie alla partnership tra Comune, Caritas e Coeso (il consorzio che si occupa della gestione dell’albergo popolare). Il progetto Unrra, co-finanziato per metà dai partner del terzo settore, prevede il potenziamento del servizio di accoglienza notturna e di somministrazione di alimenti per i senza fissa dimora grazie all’articolazione di tre attività: accoglienza notturna, aumento dei posti mensa e creazione dello sportello marginalità. Per quanto riguarda l’accoglienza notturna, fino al 30 aprile il progetto utilizzerà due strutture: un appartamento in corso Amendola e una porzione del convento Santissima Annunziata in piazza dei Servi 4, mettendo a disposizione 25 posti ai quali si aggiungono i 12 posti dell’Albergo popolare per un totale di 37. I periodi di accoglienza sono stati differenziati in base alla situazione climatica. Dal primo ottobre al 30 novembre è in corso un’ospitalità notturna di breve periodo, quindi 7 giorni non rinnovabili. Dal primo dicembre al 30 aprile, la permanenza sarà estesa ad un massimo di 30 giorni rinnovabili dietro esame di una commissione appositamente costituita. La mensa a disposizione è la «Don Siro Butelli» in via San Pietro 36 nella quale, grazie ai fondi stanziati dal Ministero, sono stati aggiunti ulteriori 25 posti a quelli già disponibili, per un totale di 50 posti giornalieri.

Sdei capannoni circostanti, costato circa sei milioni di euro. «È stato un anno di grande lavoro – ha aggiunto Renzi, rivolgendosi ai dipendenti della fabbrica -, so che con il cambio da AnsaldoBreda a Hitachi Rail avete vissuto un po’ di inquietudine ma anche qui mi auguro succeda quanto è accaduto venti anni fa a Firenze con il Nuovo Pignone, dove (dopo il cambio di proprietà, ndr) i dipendenti sono aumentati».

Il premier ha poi parlato delle prospettive di lavoro della più im-portante azienda italiana produttrice di treni.

«Se sommiamo i chilometri delle metropolitane italiane – ha evidenzia-

to Renzi - sono inferiori a quelli di città prese singolarmente come New York, Parigi e Madrid, quindi per voi c’è ancora molto da fare e questo è positivo».

«Pistoia – ha aggiunto il premier Renzi - non è soltanto il passato, questo è il punto chiave della pre-senza qui del Governo oggi, degli investimenti di Hitachi, degli impegni di FS. È anche la capitale della cultura italiana del prossimo anno e saremo orgogliosi di lavorare in questa dire-zione, lo dico alla città, lavoreremo con grande convinzione e con grande determinazione in questa direzione».

«Non ci siamo dimenticati della questione amianto», ha detto poi il

premier, incontrando il coordinatore della Rsu, Marco Fontana, e dialogan-do con lui anche su altri temi, come l’aumento della produzione dei treni grazie ai nuovi contratti anche con Trenitalia e sulle prospettive occu-pazionali per il futuro.

«Questo è l’esempio di come è possibile trasformare un’azienda in crisi in un’azienda di successo, di come è stato possibile disconnettersi dal sistema assistenzialistico del

passato per passare ad un sistema premiante», ha sottolineato l’ammini-stratore delegato di Hitachi Rail Italy, Maurizio Manfellotto, rivolgendosi al premier Renzi. Manfellotto e l’ammi-nistratore mondiale di Hitachi Rail, Alistair Dormer, hanno poi regalato al presidente del Consiglio, a ricordo della visita fatta allo stabilimento di Pistoia, il «manettino» con il quale si guida l’Etr 1000, in costruzione nello stabilimento di Pistoia.

donare al Comune di Pistoia e che andò a costituire, nel 1976, il Centro di Documentazione dell’opera di Marino Marini, istituito nelle sale Affrescate del Palazzo Comunale. Nata nel 1983 la Fondazione Mari-no Marini per volontà della moglie dell’artista Marina, nel 1990 il Centro e la Fondazione stessa sono stati trasferiti nel Convento del Tau. In Palazzo Comunale è rimasto il Mira-colo e una Testa d’uomo dell’artista del 1927.

Tutte le opere denominate Mira-colo compaiono nel lavoro dell’arti-sta dopo aver vissuto la tragedia della guerra, durante la quale Marino ha potuto vedere gli orrori e la deva-stazione che questa ha lasciato. Egli

stesso descrive così i suoi miracoli: «Il cavaliere diventa sempre più inca-pace di padroneggiare il suo cavallo, e la bestia, nella sua ansietà sempre più feroce, si rende rigida invece di impennarsi. Credo sul serio che an-diamo incontro alla fine del mondo».

Anche da questo punto di vista, l’intervento di restauro può essere considerato anche una “anteprima” e un passaggio preparatorio in vista della grande mostra «Marino Mari-ni. Passioni visive», a cura di Flavio Fergonzi e Barbara Cinelli, che sarà realizzata dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia, d’intesa con il Co-mune, nell’ambito del programma di Pistoia capitale italiana della cultura 2017.

1130 OTTOBRE 2016 n. 38VitaLa comunità e territorio

o scorso week end l’Ente di Solidarietà Camposampiero ha festeggiato i suoi primi 70 anni della propria attività.

L’Associazione, la cui sede è in Via Antonelli, è nata infatti nel 1946 grazie all’impegno delle sorelle Angela e Delia Borgioli che fin dall’inizio hanno dato anima e cuore alle persone più sfortu-nate e più bisognose in modo particolare verso i ragazzi che alla fine della guerra non avevano più un sostegno delle loro famiglie.

La ricorrenza, in pratica, nel corso della due giorni di festeggiamenti ha ripercorso le tappe di questo lungo cammino che è anche parte importante della storia di Pistoia, in modo particola-re del Quartiere “Le Fornaci”, attraverso i ricordi e le testimonianze di tutti coloro che a vario titolo sono stati protagonisti di questo apprezzabile impegno sociale.

Nel corso delle due giornate di festeggiamento sono stati molti i mo-

menti da ricordare ; innanzitutto c’è stata l’inaugurazione del “Giardino della Speranza” all’interno della Scuola per l’infanzia “La Filastrocca” poi un Convegno con le riflessioni sul tema “Volontariato e Impresa Sociale” seguito poi dall’Assemblea dei soci dell’Ente e da una cena conviviale. Nel corso della seconda giornata (domenica 23 ottobre) il programma prevedeva, al mattino, una riflessione una riflessione sugli anni del Collegio partendo dalle storie vissute di due ex “ragazzi” della Camposampiero (Pierluigi Pardini e Alberto Bigagli) i quali hanno poi riportato in altrettanti libri le loro esperienze di quel particolare spac-cato della loro esistenza. La giornata è poi proseguita con un pranzo sociale e la possibilità di visitare la struttura.

Lunedì 24 , infine, in Piazzetta Giu-seppe Camposampiero (ex Piazzetta degli Umiliati) è stato ricordato, come ogni anno, il terribile bombardamento effettuato su Pistoia nel 1943 nel quale

perse la vita, tra gli altri, anche il Pro-fessor Giuseppe Camposampiero, colui che con i suoi ideali ispirò l’impegno delle sorelle Borgioli per dar vita ad un nuovo mondo senza più diversità sociali.

“I nostri locali – si legge in una nota della Camposampiero –sono stati per tantissimi anni e soprattutto fino ai primi anni settanta in un certo qual modo sinonimi di “casa” e per questo motivo, nelle tante stanze della Villa, è stata allestita una mostra a cura del “Gruppo Fotografico Fornaci “ per ripercorrere visivamente tutti i primi 70 anni di storia dell’Associazione, anche attraverso oggetti, documenti e vario materiale d’archivio”.

In entrambe le giornate infine è stato possibile anche visitare l’interno della struttura ed ammirare così la seicentesca Cappella Pagnozzi oltre alle ex officine ristrutturate oggi denominate “Fabbrica delle Emozioni”.

Edoardo Baroncelli

CAMPOSAMPIERO

70 anni di solidarietà

L

SPAZIO ARTE PISTOIA

Emilia Petri,opere in mostra

ostra personale di Emilia Maria Chiara Petri tenutasi presso lo Spazio Arte Pistoia - via Sant’Anastasio 13 “Dell’idea inespressa e del tutto scartabile”, evento promosso sul territorio dall’associazione Athena con

la collaborazione del fumettista Luca Genovese ed un’illustrazione ideata ad hoc per l’esposizione. «Questo progetto non esiste. Non è mai esistito se non nell’intenzione di esistere e al mio alternare eufo-ria insensata e totale annichilimento deve la sua inesistenza» dichiara l’autrice. Non si tratta di un progetto secondo Petri, è «un abbozzo scartato. Perché sempre uguale a se stesso nelle sue piccole, quotidia-ne, evoluzioni ed involuzioni; ridondante, malinconico. Come un’idea che mi perseguita e che non sa neanche spiegare le sue ragioni. –con-tinua l’artista- E forse non ha proprio ragioni, si basa su premesse irrazionali, caotiche e indistinte: cercarne di diverse significa sman-tellare pezzo per pezzo, ancora una volta, un organismo simbiotico senza riuscire ad analizzarlo, eppure continuare a demolire e scavare e sottrarre indefinitivamente. Sottrarsi alla consequenzialità logica e all’assillante ricerca di autogiustificazione, per cercare di smettere di sminuire percorsi e persistenti seppur fragili strutture, di frammenta-re e negare legami, affetti, identità, volontà». Tutto è scartabile secondo l’autrice perché «inevitabilmente per-fettibile, fallibile, quasi sempre inappropriato, mancante; tutto è tale se non per qualcuno che riesce ad amarne l’insieme, la totalità dei segni tracciati, di quelli assenti, dei solchi e delle concrezioni; tutto è deformabile, mediocre, se non da un certo punto, o attraverso un determinato sguardo, o in un dato, fatidico istante... che già è passato, che fatico a ricordare, ma c’è stato, di questo sono sicura. Tutto può apparire meraviglioso e subito, o talvolta nel mentre, insignificante. È processo artistico lo stesso sviluppo deformante, il fallimento e la frustrazione, l’insistere di un’idea nell’insensatezza del suo essere e nella fragilità e caducità di ciò che la supporta. Certo non c’è un vali-do motivo per portarla avanti. E non ci deve essere». Lei è. E rimane a guardarti. –osserva Emilia Maria Chiara Petri- Puntualmente ti sve-glia al mattino con la sua apprensione, ti ricorda la tua inconcludenza con voce flebile e insistente premura; ti accompagna il giorno con discorsi disarticolati che non si sa come riescano a convincerti, per poi stupirti e confonderti, alla sera, con un improvviso e contagioso entusiasmo per mirabolanti possibilità irrealizzabili, aspettando che tu, lungo tutta la notte, ne ritrovi inevitabilmente l’inconsistenza, i nessi mancanti, le premesse che non tengono. Aspettando che tu ricomin-ci, con il mal di testa del giorno dopo». Parlando delle motivazioni che spingono la pittrice dipingere, sul suo sito web personale (www.emcpetri.com) Emilia Maria Chiara Petri scrive «Dipingo perché os-servare è un’occupazione illuminante, ma io percepisco molto meglio quando non metto a fuoco e lascio che il mio occhio dimentichi di dover guardare; per poi esprimersi in quella concretezza che mi illude ancora una volta di costruire una possibilità di senso. Dipingo –con-tinua l’artista- perché mi commuove sentire come il colore prenda forma una volta asciutto. L’olio è un compagno inaffidabile, il giorno dopo mi rifletterà sotto una luce diversa e in un modo che non avevo previsto. Ha da sempre una lucentezza che mi affascina e insieme mi spaventa, e l’indulgenza e la magnanimità di chi non smette mai di of-frirmi nuovi tentativi per rimediare: a quello che non sono riuscita a dire. Non ho strategie per controllarlo, -conclude l’autrice- ma solo il tempo e la cura di aspettare che, asciugandosi, si riveli. E mi interpelli di nuovo».

Leonardo Soldati

M

par tire da quest’anno, nell’ottica di una sempre maggior collaborazione fra comuni e in modo da

offrire un miglior servizio a costi mi-nori, i corsi di educazione per adulti e quelli di musica verranno organizzati in collaborazione con tra il Comune di Agliana e quello di Montale. La sede principale dei corsi è presso Villa Smi-lea a Montale, ma altri corsi avranno sede al Laboratorio di Ceramica in Via Bellini, presso il PAAS di Agliana in via San MIchele e nei locali di via Mazzini.

È possibile iscriversi ai corsi sia all’Ufficio Cultura presso Villa Smilea, via Garibaldi 2/a Montale, sia all’URP del Comune di Agliana. Sul sito del Co-

A

l festival di antropologia del con-temporaneo «Pistoia - Dialoghi sull’uomo», che nel 2016 ha registrato circa 20.000 presen-

ze, promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dal Comune di Pistoia, ideato e diretto da Giulia Cogoli, sceglie come tema per il 2017 «La cultura ci rende umani. Movi-menti, diversità e scambi». La tematica proposta richiama la nomina per il 2017 di Pistoia capitale italiana della cultura, una responsabilità che il festival affronterà con un ricco programma nella sua ottava edizione dal 26 al 28 maggio 2017. «Il tema scelto quest’anno si può consi-derare il punto di partenza degli studi antropologici, - spiega Giulia Cogoli - la declinazione plurale del concetto di “cultura” rappresenta infatti non solo la principale acquisizione teorica dell’an-tropologia culturale, ma anche una delle grandi rivoluzioni conoscitive del Novecento. Oggi lo snodo cultura/culture è più che mai importante perché ben al di là dell’antropologia, nella letteratura, nella filosofia, nella scienza, nella musi-ca, nella storia hanno “fatto irruzione” autori provenienti da quelle “culture” che un tempo erano oggetto di studio. Pensiamo all’importanza della lettera-

PISTOIA DIALOGhI SULL’UOMO

«La culturaci rende umani»

È il tema scelto per l’edizione del 2017 della rassegna ideata da Giulia Cogoli. Istituita anche una Borsa di ricerca per studiosi under 35

I

AD AGLIANA E MONTALE

Corsi per adulti

tura post-coloniale o alla centralità dei dibattiti sul multiculturalismo e sul me-ticciato culturale. Ma allo stesso tempo è estremamente importante per i destini dell’Unione Europea come si possa te-nere insieme una visione unitaria della cultura europea (con le sue specificità, tradizioni, valori) con le culture nazionali o con quelle dei migranti di cui è e sarà composta».Sul tema dell’edizione 2017 è stata istituita dalla Fondazione CrPt una Borsa di ricerca under 35 per il miglior saggio scientifico. L’elaborato dovrà ri-spondere alla domanda: quali sono, nella contemporaneità, gli esiti delle molteplici collisioni, convergenze, confluenze tra le culture (intese in senso antropologico) e la cultura (intesa in senso classico) che

ci circonda? I brevi saggi (inediti, massi-mo 15.000 battute bibliografia inclusa), devono essere inviati entro il 30 marzo 2017 a [email protected]. La giuria che selezionerà il vincitore è composta dagli antropologi: Marco Aime dell’Università di Genova, Adriano Favole dell’Università di Torino; Emanuela Rossi dell’Università di Firenze; Stefano Allovio dell’Università Statale di Milano; Luca Iozzelli, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, e dalla direttrice dei Dialoghi Giulia Cogoli. Il vincitore, che riceverà una borsa di studio di 1.000 euro, sarà anche ospite del festival e il suo saggio sarà pubbli-cato nella collana “Dialoghi sull’uomo” edita da Utet.

Patrizio Ceccarelli

mune di Agliana è possibile scaricare il Pieghevole con l’offerta formativa e la la domanda di iscrizione. Tutti i corsi saranno attivati al raggiungimento di un minimo di 15 partecipanti. Le sedi e gli orari possono subire delle modifiche che saranno comunicate prima dell’inizio di ogni corso che può essere riproposto più volte durante l’anno in base alle richieste degli iscritti.

La quota di iscrizione annua al complesso delle attività di educazione degli adulti è di 15 euro.

È possibile effettuare il pagamento tramite bancomat e carta di credito presso l’Ufficio Cultura alla Smilea oppure tramite bonifico Bancario IBAN IT93H0626070450000000113C01 intestato a Comune di Montale o anche mediante versamento sul conto corrente Postale n. 112516 intestato a Comune di Montale.

Per maggiori informazioni è pos-sibile rivolgersi all’Urp del Comune di Agliana.

M. B.

12 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVitacomunità e territorio

Calcio - Basket

Tempi Supplementaridi Enzo Cabella

Non sanno nemmeno tirare i rigori’, dicevano all’uscita dallo stadio Mela-ni alcuni tifosi della Pistoiese, avviliti dopo l’errore dal dischetto di Gyasi nell’incontro col Como. In effetti,

quell’errore è costato parecchio alla squadra arancione: i tre punti sarebbero stati una efficace vitamina che avrebbe tonificato una classifica precaria e al tempo stesso avreb-be dato a tecnico e giocatori una maggior fiducia nelle proprie forze. Contro un avver-sario forte, che vantava il quarto posto in classifica ed era reduce da quattro successi consecutivi, la Pistoiese ha affrontato a viso aperto la gara, non demeritando sul piano del gioco e delle occasioni create nei con-fronti dell’avversario, malgrado si sia trovata in svantaggio dopo soli 13 secondi (!) dal fi-schio d’inizio. Insomma, pronti via e il Como ha messo subito il match sul binario più congeniale. Meno male che dopo nemmeno un quarto d’ora ci ha pensato capitan Co-lombo con un colpo di testa da campione qual è. Il punto guadagnato dalla Pistoiese non è comunque da buttare considerando la forza del Como, ma resta il rammarico per quell’errore dal dischetto, l’ultimo errore di una serie commessi dalla squadra, errori che hanno inciso largamente sul risultato. E ciò nonostante la squadra abbia quasi sempre giocato piuttosto bene. Si deve concludere, quindi, che la Pistoiese deve stare più atten-ta, essere pratica e cinica, perché è con i gol

che si raccolgono i punti e si migliora la clas-sifica. Che resta sempre fluida e, leggendo il calendario delle prossime partite, potrebbe subire altri scossoni in negativo. La squadra di Remondina, infatti, domenica giocherà a Cremona, in casa della seconda forza del campionato, avversario illustre e ambizioso, e la domenica successiva ospiterà allo stadio Melani l’Arezzo, che si trova nei quartieri alti della classifica (sesto posto). Questi due impegni, quindi, sono difficili e rischiosi. Colombo e compagni dovranno mettere in campo tutte le loro migliori qualità per con-quistare dei punti.

Pistoia Basket ha giocato a Caserta contro un avversario in decisa crescita. È stato un gradito ritorno di Vincenzo Esposito nella città dove è nato, ha vissuto, è diventato gio-catore e conquistato tante vittorie. Un tuffo nel passato per il coach biancorosso, che ha affrontato l’amico ed ex compagno di squa-dra Sandro Dell’Agnello, ora sulla panchina di Caserta. È stata, dunque, una sfida nella sfida, dura e spettacolare, che ha infiammato ed emozionato gli spettatori del palazzetto casertano. La società sta anche valutando il da farsi dopo la rinuncia all’infortunato Thornton. È arrivato Crosariol, che al de-butto in biancorosso non ha demeritato, ma Esposito e Iozzelli vorrebbero andare più sul sicuro, pensando magari anche alla prossima stagione.

talia – Milano – Pi-stoia. Ma potrebbe trattarsi di qual-siasi città, cittadina

o paese, anche il più sperduto, della Penisola. Perché Beppe Viola (nella foto), indimenticabile giornalista della Rai Tv, scrittore, umorista, sce-neggiatore, paroliere in una parola GENIO, ha vissuto poco (neppure 43 anni compiuti), ma lasciato tanto. Molto, davvero, caratterizzando un’epoca. La sua e di “Quelli che sono nati con i servizi della DS (che sta per Domenica Sportiva) di Beppe Viola”, ovvero i bambini/ragazzini degli anni Settanta/primissimi anni Ottanta racchiusi in questo gruppo, dal nome chilometrico, simile ai titoli dei film di Lina Wertmuller, ideato e creato sul social network Facebook dal giornalista scrittore pistoiese Gianluca Barni. Gruppo sorto nel 2009 e che da qualche anno organizza un paio di raduni all’anno, uno in tarda primavera l’altro in autunno, a Pistoia, tra l’altro prossima Capitale italiana della Cultura. Perché Beppe Viola, un po’ lo zio buono di quei ragazzini tricolori, è Cultura con la maiuscola, perché lo Sport, specie quello propugnato con serietà, ma senza esser seriosi da Viola è Cultura con la maiuscola. Vita & Sport da prendere con serietà, ma anche con allegria, scherzandoci sopra (che per arrabbiarsi avremo tempo nell’Aldilà). Vita & Sport che si ritroveranno domenica 13 novembre 2016 nello splendido scenario dell’H2 Sport a Pontelungo: si potrà pranzare e dia-logare in tutta calma dalle ore 13 alle 17 o, per chi vorrà godere di una giornata di completo relax, usufruire di piscina e Spa della struttura prima di mangiare in compagnia. Ci sarà, come al solito, tanta gente da tutta Italia: tutti uniti nel ricordo di Beppe Viola. Che da lassù darà una sbirciatina per poi chiosare con una battuta, irresistibile, delle sue. Una battuta di profon-da verità. Intanto, per chi volesse ulteriori informazioni o prenotare (ci saranno ben 2 menù, uno di carne l’altro di pesce) è possibile contattare il numero telefonico 3476337527. Prosit!

Gianluca Barni

RADUNI

Tornano “Quelli che...”ricordano Beppe Viola

I ‘

spor t pistoiese

1330 OTTOBRE 2016 n. 38VitaLa dall’ItaliaLAVORATORI AFRICOLI SFRUTTATI

Mai più schiavi.La legge sul caporalato

è un passo di civiltà

all’insegna dello slogan “mai più schiavi nei campi” che il governo canta oggi vittoria, vista la rapida

approvazione, meno di un anno, della nuova legge su lavoro nero e caporalato. Una legge fortemente sollecitata da sindacati, associazioni di settore, volontariato, che denun-ciavano da tempo le condizioni di grave sfruttamento e a volte violenza, offensive della dignità umana, in cui versano almeno 400.000 lavoratori, soprattutto migranti, nelle campagne italiane. Lavoratori che si spostano da una regione all’altra per raccogliere arance, pomodori, mele, ortaggi, a seconda di ciò che la stagione offre in quel periodo, pagati poche decine di euro al giorno, senza nessun tipo di tutele e in condizioni durissime.

Ma siccome la natura propone e l’uomo dispone, in Italia si sono moltiplicate nell’anno le situazioni difficili da gestire come il ghetto di Rignano in Puglia, gli scontri con la popolazione a Rosarno, i casi di prostituzione, violenza e disagio

abitativo nelle serre del ragusano.Quasi sempre il terzo settore,

il volontariato e i sindacati hanno cercato di sopperito alle carenze, organizzando iniziative di sostegno ai lavoratori sfruttati, come i 18 pre-sidi territoriali della Caritas italiana nell’ambito del “Progetto Presidio”, tra cui il campo della Caritas di Saluzzo per i lavoratori africani che raccolgono frutta o le numerose attività di sostegno e consulenza della Caritas di Ragusa. Dall’inizio del progetto ad oggi almeno 3.900 lavo-ratori sono stati aiutati ad emergere dallo sfruttamento.

Ora la legge, che riscrive le norme precedenti, introduce pene più severe non solo per i “caporali” che reperiscono i lavoratori (reato di intermediazione illecita) ma anche per le aziende e i datori di lavoro (da 1 a 6 anni di carcere, aumentabili fino a 8 se c’è violenza e minaccia e multe da 1.000 a 2.000 euro).

La gravità della situazione viene stabilita sulla base di “indici di sfrut-tamento” molto più semplificati: è

È

È stata approvata a Montecitorio, in via definitiva, la legge Martina-Orlando contro il caporalato, che

introduce pene più severe, confisca dei beni e altre misure innovative contro chi sfrutta i lavoratori nel

settore agricolo. Un traguardo importante per creare una cultura della legalità e dare dignità alle persone

di Patrizia Caiffa

a scossa tellurica o gli aggiustamenti a colpi di cacciavite? L’econo-mia italiana da anni si

dibatte di fronte a questo dilem-ma: servono decisioni radicali, drastiche, di grossa portata per rivoluzionare un tessuto econo-mico che rimane solido ma da troppi anni arranca? Oppure ser-ve una serie di provvedimenti che cerchino di ottenere lo stesso scopo – una ripresa economica meno zoppicante – senza stravol-gimenti?Delle due opzioni, l’Italia finora ha sempre scelto la seconda: casomai è da valutare se lo abbia fatto bene, o no. Stando comun-que ai risultati, è più no che sì. Ma i fautori della scossa rivivificante non demordono: serve ben altro che un bonus qua, un taglietto di imposte là, una detassazione mi-rata o un super-ammortamento particolare. Sostanzialmente si guardano le esperienze straniere e si proclama: pure qui.L’Irlanda, messa in ginocchio dalla crisi economica del 2008, ha ripreso a volare grazie ad un mostruoso taglio delle imposte fisiche e aziendali, attirando in loco migliaia di aziende da tutto il mondo. La Grecia, per salvarsi, ha giocoforza compresso la spesa pubblica a livelli quasi insoste-

L ECONOMIA

Il grande dilemmaDecisioni radicali o provvedimenti senza stravolgimenti?

di Nicola Salvagnin

nibili; la Germania vola grazie a decise politiche del lavoro e a in-vestimenti ingenti sull’innovazione tecnologica; la Gran Bretagna ha ridotto le prestazioni di welfare, soprattutto a chi è senza lavoro. La Svizzera ha rivalutato la sua moneta (operazione non indo-lore), gli Stati Uniti infine hanno applicato una politica monetaria espansiva per dare fiato all’eco-nomia, a costo di far scoppiare la rana; cosa imitata un paio d’anni fa dalla Bce di Mario Draghi.Qui in Italia, i sostenitori della scossa guardano tutti verso la stessa direzione: un taglio della spesa pubblica; in contemporanea, un taglio altrettanto secco alle im-poste pagate da persone fisiche e aziende. Tutto ciò per lasciare più soldi in tasca agli italiani, attirare investimenti e per aggredire più seriamente la montagna del debi-to pubblico.Qualche tentativo propedeutico è stato fatto (ricordate le varie spending review elaborate da que-

sto o quell’economista incaricato da questo o quel governo?), salvo poi chiudere tutto in un cassetto e proseguire con azioni più blan-de.Il perché non è un mistero. Il taglio della spesa pubblica nell’im-maginario collettivo è la cancella-zione di rimborsi spese e di auto blu ai grossi papaveri politici e dirigenziali. Nella pratica, significa licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici, soprattutto al Mezzogiorno: insegnanti in primis, quindi dipendenti comunali, regio-nali, ministeriali; ridurre gli inve-stimenti nella sicurezza; scremare molto di più i 100 e passa miliardi di euro che costa la sanità ogni anno (meno esenti ticket, più pre-stazioni a pagamento, meno ospe-dali e servizi, ecc.), eliminare ogni forma di sovvenzione all’industria privata (quindi altri fallimenti, li-cenziamenti). Soprattutto mettere mano ancora una volta, ancora di più alla spesa previdenziale, che è la voce numero uno – dopo gli

stipendi del personale pubblico – di spesa dello Stato.Le cronache ci presentano una realtà opposta: nuovi bonus, au-mento della spesa previdenziale, assunzione di decine di migliaia di insegnanti. Ci sono ovviamente motivazioni politiche – è meglio dare che tagliare – ma anche una decisa opposizione a manovre scioccanti a cui non si crede. I danni sociali immediati sarebbero sicuri; i vantaggi, tutti da verifi-care. Come una terapia d’urto somministrata a un malato, lo può guarire come mettere al tappeto. E l’Italia ha passato questi anni di crisi tutto sommato senza dram-mi sociali, niente di quanto s’è visto nella vicina Grecia o anche nella Spagna che si è tirata su con una cura da cavallo, ma al costo di una disoccupazione giovanile vicina al 50%. E non è un caso che la Spagna sia da un anno senza un governo…Quindi, come direbbero i cugini spagnoli: adelante, ma con juicio.

tanto più grave se sussistono salari bassi e sproporzionati rispetto a qualità e quantità di lavoro, viola-zioni delle norme sulla sicurezza, su ferie e periodi di riposo, condizioni alloggiative degradanti e metodi di sorveglianza.

Condizioni aggravanti sono un numero superiore a 3 lavoratori reclutati, la presenza di minori e l’esposizione a situazioni di grave pericolo.

Altri aspetti innovativi sono la possibilità di confisca dei beni delle aziende agricole (come avviene per le organizzazioni criminali mafiose), gli interventi di sostegno ai lavora-tori (sportelli per l’immigrazione, centri per l’impiego e soggetti

abilitati al trasporto di persone), l’arresto in flagranza e l’estensione del Fondo antitratta anche alle vit-time del delitto di caporalato, visto che le persone sfruttate nei lavori agricoli sono reclutate con gli stessi mezzi illeciti.

La legge sul caporalato è quindi un passo importante per depoten-ziare il fenomeno dello sfruttamento e creare una cultura della legalità.

Ora, dopo il plauso all’unisono sono in molti a chiedere che all’ap-proccio repressivo sia affiancata anche la prevenzione, facendo co-noscere la legge ai soggetti coinvolti e promuovendo la qualità del buon cibo made in Italy. E soprattutto, che la legge venga applicata.

Valore sociale, forte volano

per l’economiadi Andrea Casavecchia

ggi il valore sociale è un forte volano per l’eco-nomia. Il nuovo sistema globale non ha cancellato

il territorio, ma ne ricerca le qualità e le risorse. La regola vale in partico-lare per la piccola e media impresa, il cuore produttivo del nostro Paese. Si è spostato il soggetto centrale della competizione nel mercato: non si punta alla concorrenza tra le singole aziende, ma tra livelli territoriali. Così il capitale sociale, quello culturale, quello infrastrutturale diventano importanti vantaggi.

Lo spostamento del baricentro ha una doppia faccia, se è vero in-fatti che c’è uno stretto legame tra azienda produttiva e il tessuto co-munitario con tutto il suo tesoro di stakeholders, è altrettanto vero che se fallisce un’azienda o se il territorio si depaupera di relazioni o di soggetti gli effetti dannosi si ripercuoteranno anche dall’altra parte.

La riflessione sul valore del socia-le come risorsa per ripartire, dopo la crisi, è stata oggetto di discussione nelle Giornate di Bertinoro per l’economia civile 2016: una conven-tion annuale in cui partecipano eco-nomisti, sociologi, statistici e politici. Nelle conclusioni dei lavori sono state avanzate alcune proposte per impostare una nuova ecologia dello sviluppo locale. Si tratta secondo gli esperti di incentivare pratiche per migliorare i consumi energetici, ampliare l’offerta di politiche per l’inclusione dei vulnerabili, promuo-vere legalità e responsabilità sociale anche con l’istituzione di agenzie di rating, avviare pratiche di governance partecipata.

Sono tutte proposte che vanno nella direzione di stimolare l’emer-sione di quel “genius loci” che caratterizza la specificità di un terri-torio. Ogni luogo ha una sua propria identità che nasce dall’integrazione di risorse naturali, di creatività personale, di cultura popolare, di professionalità particolari, originate da tradizioni che si intrecciano con la recezione delle innovazioni: dal vetro di Murano alla Ferrari di Maranello, ad esempio. A queste da una parte vanno affiancate le infrastrutture di collegamento da quelle digitali a quelle fisiche che creano le condi-zioni per connettere rete territoriale e rete globale; dall’altra parte vanno incentivate le infrastrutture sociali che arricchiscono le conoscenze, le competenze e il tessuto relazionale di una comunità locale.

Un’indagine condotta da Aiccon (Associazione Italiana per promozio-ne della cultura, della cooperazione e del no profit) ha sottolineato la percezione positiva della capacità, in dotazione alle organizzazioni di economia civile, di passare da spazi neutri a luoghi significativi. In parti-colare è emerso che la cooperazione e altre forme di imprenditorialità so-ciale sono considerati i soggetti più adeguati a realizzare attività volte alla rigenerazione delle aree periferiche. Per una nuova ecologia dello svilup-po locale ci sarà sempre più bisogno di fornire risposte complesse, perché dovranno comporre innovazione, flessibilità e sostenibilità.

O

14 n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVitadall’italiara i migranti in Italia c’è chi arriva e chi ritorna. È già da tempo, infatti, che a causa della crisi

economica ed occupazionale molti residenti immigrati di lunga data decidono di fare le valigie e tornare a casa. Si parla di circa 200mila per-sone cancellate dall’anagrafe della popolazione residente in Italia. Per chi non ha la possibilità economica di ricostruirsi una vita nel Paese di origine in maniera autonoma, da al-cuni anni sono attivi dei programmi europei che finanziano i cosiddetti “ritorni volontari assistiti”, aiutando cioè le persone al reinserimento socio-economico con contribuiti economici ed accompagnamento personalizzato. In sei anni, dal 2009 al 2014, grazie al Fondo europeo rimpatri, dall’Italia sono partite 3.919 persone. Dopo un blocco di un paio di anni l’Ue ha finanziato un nuovo Fondo asilo migrazione e integrazione (Fami 2014-2020), per 3.000 nuovi posti da giugno 2016 a marzo 2018, in diversi programmi di ritorni volontari assistiti. Tra i soggetti che se ne occupano c’è il Cir, il Consiglio italiano per i rifu-giati: con il progetto “Integrazione di ritorno 3” sta accompagnando 270 cittadini provenienti da Co-lombia, Ecuador, Perù, Ghana, Ma-rocco, Nigeria e Senegal. In passato ha seguito 101 persone. Il trend dei ritorni volontari assistiti è dunque in aumento ed in linea con la ten-denza generale a lasciare l’Italia.

Uno strumento utile per chi non trova integrazione. “La novità di questo nuovo bando – spiega Va-leria Carlini, ufficio stampa e coor-dinatrice del progetto ‘Integrazione di ritorno’ – è l’apertura anche a chi ha il permesso o la carta di soggiorno, oltre a chi ha ricevuto il diniego e gli irregolari, ai quali si dedica comunque grande atten-zione. I ritorni volontari possono diventare sempre più uno strumen-to di sostegno utile a quanti non trovano la strada di integrazione che cercano”. Inoltre, aggiunge, “se fatti bene, i ritorni volontari assistiti rappresentano una sorta di aiuto allo sviluppo per l’economia del Paese di origine”.

Le persone che possono

MIGRANTI IN AUMENTO

Tornare a casavolontariamente

T

Per i migranti che non riescono a trovare la stradadell’integrazione in Italia, esiste la possibilità dei “ritornivolontari assistiti” finanziati dal Fondo asilo migrazione e

integrazione. L’esperienza del Cir, il Consiglio italiano per irifugiati: con il progetto “Integrazione di ritorno 3”

sta accompagnando 270 persone.Le storie di successo, in un trend di aumento

di Patrizia Caiffa

ale il prezzo del petrolio: evviva! Le Borse esultano, i titoli azionari (non solo delle aziende del settore)

ne sono avvantaggiati, il prezzo alla pompa di benzina e gasolio sale, facendo felici i distributori e soprattutto lo Stato, che tassa i carburanti in ogni modo. Se il pieno si fa più caro, allora noi consumatori spenderemo di più: quindi crescerà l’inflazione, che è quasi sparita dall’orizzonte delle economie occidentali. La malattia opposta all’inflazione è la deflazio-ne, una spirale terribile che porta a un impoverimento generale e attorno alla quale stiamo ballan-do da troppo tempo. Tutto bene, dunque? Le mosse strategiche di Putin, i minori barili estratti, un inverno che si preannuncia freddo, insomma un prezzo al barile che è quasi doppio rispetto a quello di pochi mesi fa… tutto ciò è cosa buona è giusta? In parte, e in teoria. In teoria, si diceva, perché un’economia – per funzionare

S ECONOMIA

Aspettandola buona inflazione

Quella che dipende da aziende che fatturano, più posti di lavoro e potere d’acquistodi Nicola Salvagnin

bene – ha bisogno di un po’ di sana inflazione. Mario Draghi dalla Bce sta facendo di tutto per “scal-dare” un po’ i prezzi dell’eurozo-na. Un’inflazione al 2% significa che non c’è stagnazione, che la ripresa è in atto, che la gente spende più di prima riattivando i circuiti eco-nomici. Ma – come per i grassi che mangiamo – c’è inflazione e infla-zione. E quella creata dall’aumento del costo delle materie prime importate, è inflazione non troppo buona. Si tratta di spesa in uscita in più, di soldi che dalle nostre ta-sche si ri-trasferiscono ai forzieri di Paesi lontani da qui. Buon per

loro, ma per noi… Soprattutto, l’inflazione per essere buona deve nascere appunto da un’economia che va. Il che significa: aziende che fatturano, posti di lavoro nuovi, stipendi che crescono, maggio-re potere di acquisto. Tutto ciò che in realtà manca, e continua a mancare in Italia soprattutto, ma non solo qui. Il prodotto interno lordo, il famigerato Pil che misura la crescita economica in un Pa-ese, da noi ha l’encefalogramma quasi piatto. Fatichiamo a creare nuovi posti di lavoro (il Jobs Act ha soprattutto stabilizzato un po’ di precarietà) e, in generale, quelli

nuovi sono pagati meno di quelli che sostituiscono: una tendenza quasi generalizzata. E di rinnovi contrattuali con maggiori cifre in busta paga non se ne parla quasi ovunque. Quindi, se i soldi riman-gono quelli di prima, le maggiori spese per il carburante, il riscal-damento, i prodotti derivati… sono solo maggiori spese. Per le famiglie, per le aziende italiane. Non c’è da esultare troppo per la felicità delle Borse che hanno logiche di pura speculazione, com-pletamente sganciate dalla nostra vita. Che il caro-petrolio complica un pochino di più, e basta.

usufruire della misura vengono segnalati dalle associazioni e dalle comunità sul territorio. Il program-ma mette a disposizione servizi di orientamento, assistenza sociale e legale negli sportelli Cir di Roma e Milano, assistenza per l’organizza-zione del viaggio e un contributo economico di 400 euro a persona per le spese di prima necessità.

I piani di reintegrazione nel Paese di origine sono realizzati in partnership con organizzazioni non governative (il Cir collabora

con Oxfam, Cisp, ProgettoMondo-Mlal). Sono a disposizione 1.600 euro in beni e servizi per singoli o capifamiglia, più 800 euro per ogni familiare maggiorenne a carico e 480 euro per ogni minorenne. Ma come evitare il rischio che qual-cuno approfitti dell’opportunità economica anche se non ne ha re-almente bisogno? “Chi sceglie que-sta strada deve lasciare il permesso di soggiorno alla frontiera – precisa Carlini -. È una scelta definitiva: non è che dopo due mesi si può torna-

re in Italia”.Le storie di successo: la para-

farmacia della coppia peruviana. Tra le esperienze di successo, molte delle quali raccolte in un report, quella di una coppia di peruviani, tra i 40 e i 50 anni, entrambi infer-mieri. Manuel (sono nomi di fanta-sia) è arrivato in Italia nel 2009 per motivi di lavoro: le agenzie di col-locamento peruviane gli avevano anticipato il denaro per il viaggio, il vitto, l’alloggio e il corso di italiano, per poi rientrare dell’investimento

trattenendo i primi stipendi gua-dagnati. In Italia ha lavorato subito come infermiere a Cagliari, in una casa di cura. Poi a Como, in una residenza per persone disabili. Ma-nuel ha imparato subito l’italiano e acquisito nuove competenze professionali. Maria è arrivata in Italia l’anno dopo, e ha lavorato in una casa di riposo a Padova e in alcuni ospedali. Ma negli ultimi anni, a causa della crisi, non riusciva più a trovare un impiego. La coppia è costretta ad occupare una casa popolare sfitta, dove vivevano in-sieme alle due figlie. Gli unici aiuti erano quelli del Banco Alimentare e della Caritas. All’inizio lei riusciva a mandare i soldi ai familiari rima-sti a casa. Ma negli ultimi tempi ac-cadeva il contrario. In Italia la vita comincia a diventare troppo dura: decidono di tornare a casa per garantire un futuro migliore alle piccole, che hanno meno di due anni. Il sogno di aprire un’attività commerciale nel settore sanitario nella loro città, Juliaca, si realizza in breve tempo. Arrivano in Perù nel maggio di quest’anno e riescono ad avviare una parafarmacia, con servizi infermieristici privati, a po-chi passi da casa.

Una nuova vita in Ghana a 68 anni. John, 68 anni, è arrivato dal Ghana nel 2007, dove ha lasciato moglie e cinque figli. Quando viene segnalato al progetto è stanco di vivere in Italia, senza prospettive lavorative e lontano dai suoi affetti. La sua permanenza è stata molto dura ed ora si trova in condizioni di estrema difficoltà economica: vuole ritornare nel suo Paese per ricongiungersi con i suoi familiari e contribuire al benessere familiare. In Ghana vorrebbe gestire insieme alla moglie una struttura in cui vendere al dettaglio abiti usati. Lei è felice di riaccoglierlo e di rico-minciare una nuova parte di vita insieme. Il 22 maggio 2015 John ha felicemente riabbracciato la sua famiglia. Oggi gestisce a Kumasi un negozio con la moglie, coinvolgen-do anche i figli, per garantire loro un futuro. Il contributo del proget-to è stato utilizzato per acquistare la merce e trasportarla da Accra a Kumasi. La presenza di una forte rete familiare è stata essenziale per il successo del progetto.

Ritorno in Ecuador, in fuga dal compagno violento. Non mancano le storie di vulnerabilità, come quella di Imelda, arrivata in Italia nel 2009 lasciando in Ecuador due figli. Ha lavorato come badante, operaia, addetta alle pulizie, came-riera, cuoca in un ristorante. Ha anche trovato un nuovo compagno da cui ha avuto un bambino. Ma l’uomo si è purtroppo rivelato vio-lento e Imelda è finita in ospedale diverse volte prima di riuscire a separarsi. La situazione economica si è improvvisamente complicata, ha perso il lavoro, non è più riu-scita a sostenere i costi dell’affitto e dell’asilo per il figlio. Si è rivolta al progetto per tornare a casa. In Ecuador, dopo diverse difficoltà d’inserimento, dovute soprattutto alla mancanza di una rete familiare di supporto, è riuscita a stabilirsi in una nuova casa con i tre figli. Ha avviato un’attività di vendita di bibite e alimenti preparati in casa e i ragazzi frequentano tutti la scuola pubblica.

1530 OTTOBRE 2016 n. 38VitaLa

autoeLettriche in norVegiaIn Norvegia un accordo tra le quattro principali formazioni politiche prevede di imporre dal 2025 il blocco alle im-matricolazioni di auto con motore a combustione interna e la contestuale sostituzione di esse con veicoli elettrici a impatto zero. Primo produttore di greggio dell’Europa occiden-tale, la Norvegia si appresta ad avviare l’iter legislativo per l’approvazione del provvedi-mento. Nel paese scandinavo già prosperano le vendite di vetture elettrificate, grazie a una politica incentivante l’ac-quisto di auto “verdi” (imposte azzerate sulle compere, acces-so libero alle ztl, autostrade e parcheggi gratuiti): la quota di mercato si attesta sul 30%. Mentre Oslo sta attuando una rivoluzione planetaria, Parigi vuole eliminare dalla circola-zione le auto immatricolate prima del 1997 e, entro il 2020, i diesel più inquinanti.

La natoin turchiaIl programma di difesa ap-prontato dalla Nato per fa-vorire la Turchia ha registrato la spedizione italiana nel sud dell’Anatolia di un sistema anti-aereo in grado di contrastare velivoli, missili da crociera e tattici, minaccia propria del confine turco del sud: sino al 2015 tedeschi e olandesi hanno piazzato i propri missili Patriot nell’area meridionale, un compito svolto da un’unità spagnola fino a giugno 2016 quando la missione è divenuta italiana. La crisi siro-irachena ed il più ampio aspetto del duello fra Usa e Russia hanno indotto gli Stati Uniti all’im-piego della portaerei Truman nel dispositivo che fronteggia l’Isis; insieme, nella zona del Mediterraneo centro-orientale, sono presenti due sottomarini nucleari e cacciatorpedinieri, è stata inoltre incrementata l’attività di sorveglianza aerea per la guerra elettronica e a fini di “intelligence”.

eLicotteristica russaIl primo prototipo dell’elicot-tero medio multiruolo Ka-62 della Russian Helicopters ha effettuato il suo debutto in volo presso la base dello stabilimen-to Progress Arsenyev aviation company. Per la prima volta nella storia del settore elicotte-ristico russo, il progetto è stato realizzato in collaborazione con aziende straniere: i motori sono della francese Turbomeca, così come francese (Zodiac Aerospace) è il sistema di alimentazione, ed austriaco è il sistema di trasmissione (Zo-erkler Gears GmbH & Co KG); è stato ideato per il trasporto di 14 passeggeri o di 2,5 ton-nellate di carico. È stato pure approntato l’aggiornamento dell’Mi-26T2, il più grande e potente elicottero del mondo, prodotto in serie, entrato in at-tività nel 1983 ed utilizzato da tredici forze aeree differenti ha una capacità di trasporto per carichi fino a venti tonnellate o per 90 soldati o per 60 barelle.

Dal mondo

dall’estero

d Aleppo, c’è stata una tregua umani-taria di 11 ore uni-laterale decretata

da Mosca e Damasco, nel corso delle quali, affermano le autorità governative siriane, i miliziani “terroristi” hanno avuto la possibilità di arren-dersi e di uscire dai quartieri orientali di Aleppo e per per-mettere ai civili, in particolare i malati e i feriti, di lasciare la zona grazie all’intervento della Mezzaluna rossa siriana e alle agenzie dell’Onu. Nei due giorni precedenti i caccia russi e siriani avevano interrotto i bombardamenti sui quartieri della zona Est della seconda città siriana, quelli controllati dai ribelli e per questo asse-diati da Damasco. Le bombe dei giorni scorsi non avevano risparmiato ospedali, forni e stazioni di pompaggio, provo-cando la morte di centinaia di civili. Ora con la tregua umanitaria ai ribelli che hanno aderito viene garantita “una fuga sicura” e l’opportunità “di salvare le loro famiglie”, usando dei corridoi di uscita in due zone del quartiere Bu-stan al Qasr e vicino alla Ca-stello road, nella parte nord di Aleppo. Un invito rispedito in parte al mittente dalle forze ribelli che avrebbero, secondo l’esercito regolare, lanciato tiri di artiglieria in direzione dei corridoi umanitari. Per l’ex Fronte al Nusra, l’organizza-zione jihadista ritenuta filiale siriana di al Qaeda, oggi deno-minata Jabhat Fateh al Sham, l’obiettivo di Mosca e del presidente Bashar al-Assad era quello di svuotare dai civili le zone da loro controllate, in modo da conquistare l’intera città. Da qui la decisione di proseguire nei combattimenti da parte dei jihadisti che – secondo l’agenzia russa filo-Cremlino Ria Novosti che cita abitanti locali – hanno minacciato di sparare ai civili che vogliono lasciare Aleppo. Il Ministero della Difesa russo, ha diffuso via web le immagini in diretta dei corridoi abilitati per l’evacuazione delle per-sone dal settore orientale di Aleppo. Poco dopo l’apertu-ra dei corridoi si vedevano solo lunghe file di bus verdi presumibilmente in attesa di portare via la gente in uscita dai quartieri ribelli, ma nessun movimento di persone.

“La tregua è in atto ma si registrano lanci di razzi dalla zona Est della città – ha rac-contato da Aleppo l’arcivesco-vo greco-cattolico monsignor Jean-Clément Jeanbart – pro-babilmente alcune fazioni dei ribelli non hanno interesse a fare uscire sia i civili che uomi-ni armati, quelli che vogliono approfittare di questa specie di amnistia offerta dal regime

A

Ma i jihadistisparano sui civili che vogliono lasciare la parte Est della cittàdi Daniele Rocchi

aveva annuncia-ta come “l’ora della vittoria” contro Daesh,

nel suo discorso alla nazione, il premier iracheno Haider al-Abadi, ma l’offensiva mili-tare avviata per riconquistare Mosul sembra già subire i primi rallentamenti. Dopo l’euforia del primo giorno sembra farsi spazio una più realistica cautela visto che le truppe irachene, con quelle peshmerga curde, con le mi-lizie paramilitari sciite quelle e degli altri alleati, circa 30 mila soldati, sostenute dagli aerei della coalizione interna-zionale a guida Usa, devono fare i conti con la resistenza dei combattenti dello Stato islamico, stimati in circa 6mila, asserragliati a Mosul e nei villaggi vicini, dopo aver disseminato il terreno di trappole esplosive, di cecchini e pronti a usare i civili come scudi umani.Un’offensiva studiata da mesi per riprendere la secon-da città irachena, un luogo simbolo di questa guerra siro-irachena, perché da qui Abu Bakr al-Baghdadi, il 29 giugno del 2014, dichiarò la nascita del Califfato. Abitata un tempo da circa due milio-ni di persone, oggi ne reste-rebbero solo poco più della metà. Sulla loro sorte si ap-punta l’attenzione delle Na-zioni Unite. Secondo l’Ocha, l’ufficio Onu per il coordina-mento degli affari umanitari circa 200mila persone po-trebbero essere costrette a

L’ LA LIBERAZIONE DI MOSUL

“Grande segnodi speranza”

Per un Iraq “unito e guidato da un governo forte”di Daniele Rocchi

fuggire nelle prime settimane dopo l’inizio dell’offensiva militare anti-Isis a Mosul. I combattimenti sono ancora lontani dalle zone urbane più popolate ma uno scenario più pessimistico dell’Onu parla di un milione di sfollati, con circa 700mila persone in cerca di un alloggio di emergenza. Per proteggere i civili in fuga, pre-cisa l’Ocha, sono stati allestiti rifugi per 60mila persone in campi e siti di emergenza e accelerato l’allestimento di ulteriori siti, con una capacità per circa 250mila persone. Secondo l’Unicef, l’offensiva esporrà a gravi rischi oltre mezzo milione di bambini e le loro famiglie. “I bambini di Mosul hanno già sofferto enormemente negli ultimi due anni. Molti potrebbero essere costretti a fuggire, rimanere intrappolati tra le linee di combattimento, o catturati nel fuoco incrociato”, sottolinea Peter Hawkins, rappresentan-te Unicef in Iraq. Sul terreno, intanto, i peshmerga da est, e le truppe irachene da sud hanno ripreso il controllo di alcuni villaggi, dedicandosi al consolidamento delle zone conquistate, situate tra i 20 e i 50 chilometri da Mosul. Sono ancora in corso invece

le operazioni per liberare Qa-raqosh, città a maggioranza cristiana che prima di essere occupata dallo Stato islamico aveva 50mila abitanti, quasi tutti fuggiti a Erbil, in Kur-distan, all’arrivo dello Stato islamico (agosto 2014). E nel capoluogo curdo centinaia di sfollati cristiani di Qaraqosh hanno gioito per le notizie dell’offensiva e si sono riuniti per pregare nella chiesa di Mar Shimon.“Speriamo che le operazioni per la liberazione della città di Mosul procedano in manie-ra spedita” dice l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e Kurdistan, monsignor Petros Mouche. “La liberazione di Mosul è un grande segno di speranza. Desideriamo ritor-nare nelle nostre case e riave-re i nostri beni, a Mosul come nei villaggi della Piana di Ninive. Amiamo questa terra e vogliamo testimoniarlo con la nostra presenza ma è ne-cessario che venga garantita la nostra sicurezza e quella degli altri abitanti. È impor-tante vivere in sicurezza con gli altri in rispetto e dignità”. Monsignor Mouche è arcive-scovo di Mosul dal 2011 e sa bene che nella città non ci sono più fedeli cristiani.

Prima dell’arrivo di Daesh a Mosul vivevano 12mila famiglie siro-cattoliche, altre erano nella Piana di Ninive, a Kirkuk, Bertella e Qaraqosh. Comunità che ben ricordano i loro martiri: monsignor Faraj Rahho, arcivescovo caldeo a Mosul, rapito e ucciso nel 2008; padre Ragheed Ganni ucciso insieme a tre diaconi, dai terroristi, il 3 giugno 2007, poco dopo aver celebrato la messa domenicale nella sua parrocchia di Mosul dedicata al Santo Spirito. Il pensiero dell’arcivescovo siro-cattolico guarda oltre, a dopo la libe-razione, quando “la priorità dovrà essere la riconciliazione nazionale. Possibile solo sotto un governo iracheno unito e forte.Non vogliamo vendette tra i musulmani, sciiti e sunniti, né contro le minoranze. – affer-ma convinto – non sappiamo cosa vogliono fare del nostro Paese, ma esso deve essere preservato nella sua unità. Vogliamo un Iraq unito dove tutti, sciiti, sunniti, cristiani e credenti di altre fedi vivano insieme nel rispetto e nella tolleranza. Da parte nostra ricercheremo dialogo e ricon-ciliazione con tutti”.

di Assad che prevede, a quanto si sa, anche il reinserimento nella società, i pieni diritti e la possibilità di tornare dai loro familiari. Cosa non gradita ai ribelli jihadisti, moltissimi dei quali non siriani, che rischia-no di vedere defezioni tra le loro fila.

Ci sono in Aleppo Est

molti ribelli siriani che hanno familiari nei quartieri con-trollati dal regime. Legittimo il desiderio di rivedere i loro cari e ricominciare a vivere. Se non li faranno uscire da Aleppo Est diventeranno dei veri e propri scudi umani. Così come gli oltre 100mila abitanti che attualmente vivono nei

quartieri della zona Est. Spero che l’ex Fronte al Nusra li faccia uscire. Diversamente sarebbero ostaggi”. Qualcosa, comunque, si sta muovendo, perché aggiunge l’arcivesco-vo, “negli ospedali della zona Ovest stanno affluendo molti feriti, ma non sappiamo da dove arrivino”. Anche nei

quartieri di Aleppo control-lati dalle Forze di Assad la tensione resta palpabile. “Il timore – conferma monsignor Jeanbart – è che per far saltare la tregua i jihadisti possano lanciare razzi e bombe. Da tempo noi subiamo attacchi e bombardamenti che arrivano dalla parte Est, con moltissimi morti e feriti. Ma di questo in Occidente non si parla molto. Ciò non significa che le bom-be e gli attacchi russi e siriani non colpiscano allo stesso modo ma certamente cadono bombe anche in questa parte di città. Si muore anche di qua”. Stando a quanto si vede sul terreno, per l’arcivescovo greco-cattolico, “la battaglia di Aleppo appare segnata per i jihadisti asserragliati nei quar-tieri Est. Con questa tregua speriamo che i civili possano uscire e trovare rifugi sicuri e sostegno umanitario”.

TREGUA AD ALEPPO

Al via la treguadecisa da Mosca

e Damasco

16 musica e spettacolo n. 38 30 OTTOBRE 2016 LaVita

LaV itaSettimanale cattolico toscano

Direttore responsabile:Giordano Frosini

STAMPA: Tipografia GF Press MasottiIMPIANTI: Palmieri e Bruschi Pistoia

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N. 8 del 15 Novembre 1949

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CHIUSO IN TIPOGRAFIA: 24 OTTOBRE 2016

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er i tipi Minimum Fax (23 euro) è usci-to in libreria un clas-sico della letteratura

cinematografica, “The name above the title”, l’autobiografia di Frank Capra, tradotta alla lettera “Il nome sopra il titolo”, dichiarazione con cui, un po’ civettuolamente, il regista voleva sottolineare che in tempi in cui il nome del produttore -fosse David O. Selznick, Irving Thalberg jr. o Louis B. Mayer- era come quello di un semidio, egli fu il primo a far apparire nei titoli di testa il suo nome prima di tutti. E con pieno diritto. Anche se nella altrettanto celebre prefazione di John Ford si afferma iperbolica-mente che egli è riuscito a scala-re la vetta delle arti, delle lettere e delle scienze, Capra negli anni Trenta è stato senza dubbio il regista più celebre e premiato del cinema statunitense nonchè l’incarnazione dell’American Dream. Partito da Bisacquino, provincia di Palermo, verso gli States, ancora bambino, con una famiglia di analfabeti, è riuscito a salire sulla carrozza del suc-cesso, non abbandonandola per

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Frank Capra, l’uomodel sogno americano

circa vent’anni, allorquando il suo cinema -ottimista, speranzoso, non frivolo tuttavia- parve irrime-diabilmente troppo distante dal periodo storico che ne aveva de-cretato il fenomenale gradimento e cioè il New Deal roosveltiano. Non si può capire la portata del cinema capriano se non si analizzano i motivi intrinseci tra

Storia e grande schermo: la Gran-de Depressione aveva ridotto il paese in frantumi, l’economia era al collasso, molte persone, avendo visto andare in fumo i risparmi di una vita, si erano suicidate in preda alla disperazione. Il cinema americano contribuì ad una sorta di risanamento morale con due generi quasi creati apposta per

le masse. Due episodi isolati vi sono poi nella carriera di questo intelligente e scaltro uomo di cinema, uno riuscito, l’altro no. “Arsenico e vecchi merletti”, girato nel ‘41 ma uscito solo nel ‘44, è una commedia nera di gusto eccezionale, in cui la mimica, al limite della caricatura, di Cary Grant, raggiunge apici straordinari, “Orizzonte perduto” (1937) è invece un episodio fantasy -cinque uomini capitati, in un disastro aereo, in un luogo incantato dove regnano la pace e l’eterna giovinezza- che però narrativamente non riesce a progredire. Tuttavia il regista, che sin qui si direbbe bravo, diviene grande con il film che gira nel 1946, che Steven Spielberg, non sbagliando, ha definito il più bel film per famiglie mai girato: “La vita è meravigliosa”. Impossibile non averne visto almeno un fo-togramma visto che passa tutti i Natali in tv. È un film che viaggia a velocità di crociera, sul sentiero della commedia, per la prima ora e mezzo; poi assistiamo, negli ultimi venticinque minuti, a quella che è la più vertiginosa impennata narrativa di tutta la storia del cinema. Quando George Bailey (ancora Stewart), sull’orlo del suicidio nel pieno disprezzo della propria venuta al mondo, viene preso per mano dall’angelo “di seconda classe” Clarence, che si deve guadagna-re le ali e che gli fa vedere come sarebbe stata orrenda la vita di tanta gente senza di lui, infine ritrovando la gioia di vivere, come in un’ equazione algebri-ca, si finisce a soffiarsi il naso tutte le volte. John Cassavetes ha riassunto la sua importante figura con questa frase :-Forse non è mai esistita un’America. Era solo Frank Capra-.

di Francesco Sgaranola triste occorrenza storica: il musical e la commedia -talora sofisticata, talora brillante. Capra ha bazzicato spesso la screwball comedy, condendola di intenti umanitari e di sentiment(alism)i patriottici, firmando film spesso epocali: “Signora per un giorno” è la storia di una barbona che viene aiutata da un gangster non troppo cattivo a farsi credere ricca nel giorno in cui le fa visita la figlia, cui ha sempre fatto credere per lettera di apparte-nere all’alta società. “È arrivata la felicità” e “L’eterna illusione”, protagonista qui Gary Cooper e là James Stewart, sono film sostanzialmente simmetrici, in cui la figura dell’uomo onesto, puro di cuore e idealista vince sulla malignità, l’ipocrisia e la falsità. Sebbene Capra abbia

obby Dorfman (Jesse Eisenberg) necessita di un cambiamento forte nella propria

vita: abita a New York, è il 1930. Suo fratello Ben (Corey Stoll) è un gangster, i genitori litigano sempre. Si trasferisce così a Los Angeles, dove trova lavoro come fattorino grazie allo zio Phil Stern (Steve Carell), agente cinematografico. Qui si innamo-ra di Vonnie (Kristen Stewart), ragazza bella e divertente ma già fidanzata; fa inoltre amici-zia con Rad Taylor (Veronica Parker Posey) proprietaria di un’agenzia di modelle e suo marito Steve (Paul Schneider), produttore. Vonnie viene lascia-ta dal fidanzato, così Bobby le propone di sposarlo e trasferirsi a New York, ma seppur tentata dall’idea lei manda all’aria il progetto. Bobby torna quindi da solo a New York, dove lavora per il fratello Ben che gestisce un night club. Il protagonista mo-stra inaspettatamente talento come impresario, rendendo il club rinominato Les Tropiques uno dei più frequentati della

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metropoli. A questo punto Rad gli pre-

senta Veronica (Blake Lively), che sposa. La vita per Bobby sembra avere un finale felice, ma una notte Vonnie, il cui interesse di Bobby per lei non è mai venuto meno, si presenta a Les Tropi-ques. Quarantasettesimo film di Woody Allen, “Cafè Society” ha la forma di un romanzo con alcuni momenti in cui il regista interviene in prima persona come voce narrante esterna, assumendo pertanto connotati tipici del romanzo quali pause, digressioni o tempi dell’azione accorciati.

Ciò permette all’autore di legare la sua diffidenza verso il mondo del cinema hollywo-odiano, di cui non condivide

arrivismo e superficialità, finte amicizie, pur amando suoi film, con la malinconia che si accom-pagna alla ricerca dell’amore, visibile nel velo di tristezza sui volti di Jesse Eisenberg e Kristen Stewart nelle rispettive parti, il cui esito può essere appunto una felicità mai pienamente goduta. Woody Allen affronta di nuovo la fragilità dei sentimenti umani, i compromessi che la vita porta ad accettare, le trap-pole del destino, i dilemmi della morale, ma con la consueta tenerezza che conferisce ai per-sonaggi, la tipica comprensione con cui guarda alle debolezze umane e l’immancabile ironia da rendere questo, come ogni suo film, un’opera unica.

Ambientata nell’America

degli anni ’30, tra New York dalla luce bianca ed Hollywood dorata ed arancio, con omaggio alla star più moderna dell’epoca Barbara Stanwyck e dall’epilogo aperto sconcertante e moderno, è una pellicola che tra gag ed intrecci sentimentali, destini e illusioni perdute dei personaggi nel mondo della cafè society, in realtà parla del presente, lasciando intendere sottotraccia più di quanto spieghi. Bravo Jesse Eisenberg, che il grande pubblico ha conosciuto per aver interpretato il creatore del social network Facebook Mark Zuckerberg sul grande schermo. Brava Kristen Stewart, con i costumi di Suzy Benzinger e suoi primi piani adoranti come fosse vista con gli occhi di Bobby.

CINEMA

“Cafè Society”, nuovo film di Woody Allen

Nelle sale italiane grazie a Warner Bros Pictures Italiadi Leonardo Soldati

vinto l’Oscar per questi due lavori, sulla stessa scia, un poco zuccherosa nel fiero tentativo di esaltare l’American way of life, è migliore il terzo episodio, più conosciuto, ovvero “Mister Smith va a Washington”, un James Ste-wart talmente nel ruolo che non ha poi più smesso di essere ri-conosciuto come l’uomo perbene del cinema americano classico. Ad Andrè Bazin andò di traver-so questo ricorso incessante al buonismo consolatorio (a palate anche in “Arriva John Doe”, elo-gio dell’uomo qualunque che alla fine la spunta), altri coniarono perfino il termine spregiativo “Capracorn” -sdolcinatura alla Capra. Il quale aveva ricevuto la prima statuetta dorata, insieme alle quattro più importanti, per “Accadde una notte”, sceneg-giato col fido Robert Riskin, commedia sentimentale in cui un reporter s’innamora di una ragazza altolocata, in fuga da un padre dispotico. La scena in cui Claudette Colbert dimostra a lui, indaffarato vanamente in mille mosse, come si possa rac-cattare un autostop mostrando appena un centimetro di calza, resta un highlight intramontabile. In un altro punto Clark Gable si toglie la camicia, lasciando trasparire il petto nudo. Pare che vi fu un calo impressionante delle vendite di biancheria intima maschile -tanto per dire come il cinema poteva allora influenzare