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Dune e spiagge sabbiose QUADERNI HABITAT 4

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Dune e spiagge sabbiose

Q UA D E R N I H A B I TAT

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Q UA D E R N I H A B I TAT

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I TO R I O

M U S E O F R I U L A N O D I S TO R I A N AT U R A L E · C O M U N E D I U D I N E

Dune e spiagge sabbioseAmbienti fra terra e mare

Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del TerritorioMuseo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

"Dune e spiagge sabbiose · Ambienti fra terra e mare"a cura di Sandro Ruffo

testi diPaolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti · Margherita Solari

con la collaborazione diAlessio De Biase · Luca Lapini · Lorenzo Chelazzi e Isabella Colombini (Tipologie di habitat)

illustrazioni diRoberto Zanellatranne 71, 79 (Nicolò Falchi) e 108 (Franco Mason)

progetto grafico diFurio Colman

foto diArchivio Museo Friulano di Storia Naturale (Ettore Tomasi) 53/1 · Paolo Audisio 6, 15, 22, 33, 34, 36, 37,41, 44/1, 44/2, 45, 46, 47, 48/1, 48/2, 48/3, 55, 56/2, 62, 64, 65, 67, 68, 73, 77, 81/2, 85/2, 87/1, 87/2,89/1, 89/2, 91, 98/1, 98/2, 100/1, 101/1, 103, 104, 112, 120, 130, 131, 133, 135, 137, 139, 141, 143, 145,148/1, 148/2 · Enrico Benussi 114/2 · Roberto Bigai 56/1, 146 · Maurizio Biondi 148/3 · Giuseppe Carpaneto 53/2, 92 · Achille Casale 113, 125 · Compagnia Generale Ripreseaeree 10, 20 ·Ulderica Da Pozzo 118 · Dario Ersetti 38 · Gabriele Fiumi 100/2 · Paolo Fontana 86, 101/2, 102, 109 ·Istituto Geografico Militare 19 · Luca Lapini 117 · Paolo Maltzeff 82, 85/1, 94, 97, 99/1, 107 ·Ugo Mellone 9 · Michele Mendi 116 · Giuseppe Muscio 17, 52, 151 · Roberto Parodi 56/3, 115/1, 115/2 ·Sandro Pignatti 42, 122/1, 122/2 · Paola Sergo 60 · Margherita Solari 31, 40, 51 ·Antonio Todaro 74, 75 · Elido Turco 129 · Augusto Vigna Taglianti 80, 81/1, 96, 99/2, 114/1, 148/4 ·Roberto Zucchini 110

©2002 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 06 9

In copertina: piste di coniglio selvatico (foto Paolo Audisio)

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Paolo Audisio

Aspetti geologici e geomorfologici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Paolo Audisio · Giuseppe Muscio

Paleogeografia e biogeografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti

La vegetazione delle spiagge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

Sandro Pignatti

Litorali sabbiosi e organismi animali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

Paolo Audisio

Problemi di conservazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119

Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

Margherita Solari

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

IndiceQuaderni habitat

1Grotte efenomenocarsico

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

6La macchiamediterranea

7Coste marinerocciose

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

12I prati aridi

13Ghiaioni erupi dimontagna

14Laghettid’alta quota

15Le faggeteappenniniche

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Le spiagge e le dune sabbiose costiere e subcostiere e gli ambienti umidi limo-so-sabbiosi retrodunali e litoranei ad esse spesso associati rappresentano, suscala mondiale, ecosistemi tra i più vulnerabili e più seriamente minacciati. NelMediterraneo e in Italia, fino a pochi decenni or sono, questi peculiari ambientierano sfuggiti in larga misura alla diretta distruzione e a forti perturbazioni, poi-ché le attività di colonizzazione umana delle aree costiere erano rimaste stori-camente concentrate per molti secoli quasi esclusivamente presso le foci dipochi grandi fiumi o entro baie protette. Sfortunatamente, nei tempi più recentiquesti ecosistemi sono invece stati esposti a molteplici e spesso combinati fat-tori di disturbo e di pressione antropica, quali l’inquinamento delle acquecostiere, la crescente urbanizzazione, gli incendi e, infine, lo sfruttamento turi-stico, agricolo, industriale (industrie termoelettriche), commerciale (attività por-tuali) ed estrattivo (cave di sabbia).Un altro potenziale fattore di pericolo potrebbe essere rappresentato, almeno inuna prospettiva di tempi medio-lunghi, dal paventato innalzamento del livellodei mari (legato al documentato innalzamento della temperatura media annua-le); questo fenomeno potrebbe ulteriormente minacciare, sul versante marino,questi ambienti già di per sé fragili e di limitata estensione, malgrado la struttu-ra piuttosto dinamica e la marcata naturale resilienza (capacità di recupero)delle comunità biotiche che li caratterizzano. Anche i marcati fenomeni erosividelle coste possono localmente avere un ruolo significativo nella riduzione spa-ziale di questi habitat, sebbene l’alternanza di fenomeni erosivi e deposizionalifaccia parte, a lungo termine, delle naturali dinamiche evolutive dei sistemispiaggia-duna.Tutte queste circostanze, combinate con la crescente e sempre più diffusadomanda di sfruttamento delle aree costiere da parte dell’Uomo, hannocomunque provocato una sempre più generalizzata frammentazione di questihabitat, creando un’urgente necessità di appropriate strategie di intervento e dimonitoraggio. L’acquisizione di migliori conoscenze di base sulle comunitàvegetali e animali degli ambienti delle spiagge e delle dune costiere sabbiose esulle dinamiche idrogeologiche e geomorfologiche, che ne governano la forma-zione e l’evoluzione, risponde dunque ad un’esigenza primaria nell’ambito del-le strategie di conservazione ambientale a livello sia nazionale, sia comunita-rio; anche la diffusione di tali conoscenze e la sensibilizzazione dell’opinione

7IntroduzionePAOLO AUDISIO

Le foci del fiume Irminio (Sicilia): uno dei tratti di costa sabbiosa di migliore qualità ambientale

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Per una necessaria scelta editoriale, in questo volumetto non verranno trattatidirettamente tutti quegli innumerevoli ed eterogenei organismi, strettamentemarini, che occasionalmente o regolarmente lasciano tracce di sé negli habitatlitoranei sabbiosi, sotto forma di resti spiaggiati o ammassi di materiale organi-co, se non nei casi in cui tali resti siano tipicamente utilizzati dagli animali sabu-licoli litoranei come alimento o riparo. Analogamente, saranno esclusi tutti que-gli organismi tipici dell’entroterra, che solo occasionalmente si rinvengono inspiagge o dune sabbiose, e la maggior parte di quegli organismi igrofili eurizo-nali (cioè legati ad ambienti umidi di piani vegetazionali differenti) non associa-ti esclusivamente ad ambienti sabbiosi umidi perilitoranei (salicornieti, giunche-ti, fragmiteti costieri, ecc.). Ovviamente non si tratterà nemmeno dell’enormenumero di uccelli che sono presenti o trovano rifugio, soprattutto in inverno, sul-le spiagge e alle foci dei fiumi, negli stagni e nelle lagune costiere salmastreinterdunali, né delle intere comunità acquatiche che caratterizzano questiambienti.Anche il complesso mesopsammon di sabbie e ghiaie sotto la superficie dellespiagge (ovvero l’insieme dei microscopici e spesso curiosi e specializzati orga-nismi animali che vivono abbondanti negli interstrizi tra i granelli di sabbia),essendo associato ad ambienti esclusivamente acquatici, benché di interfacciaterrestre/marino, non verrà dettagliatamente trattato in questo volume; gli inte-ressati a questo particolarissimo e molto interessante “mondo in miniatura” tro-veranno comunque qualche informazione nella relativa scheda (pagg. 74 e 75).Si tenterà invece di evidenziare gli elementi più rappresentativi e peculiari tragli animali e i vegetali che in Italia compiono la totalità o la maggior parte delloro ciclo vitale in questi habitat prevalentemente terrestri, e che ne caratteriz-zano i popolamenti naturali, insieme ai problemi di conservazione e di gestioneche li coinvolgono a livello di ecosistema, di comunità, o di singole specie.

9pubblica sull’urgenza di salvaguardare questi ecosistemi devono essere consi-derate priorità assolute.Va subito annotato che, per le peculiari condizioni ambientali e microclimatiche ela limitata estensione, gli ecosistemi delle spiagge e delle dune sabbiose costieresono in assoluto caratterizzati, ove confrontati con altri habitat terrestri, da comu-nità animali e vegetali semplificate, con relativamente basso numero di specie.Malgrado ciò questi ambienti, proprio per l’influenza degli stessi parametri abioti-ci fortemente limitanti e associati a condizioni generali di grande stress ambien-tale, hanno frequentemente selezionato elementi vegetali ed animali peculiari especializzati, fortemente adattati e spesso presenti esclusivamente in questihabitat ormai residuali. Queste circostanze hanno così prodotto, sia nelle comu-nità vegetali che in quelle animali (soprattutto ad artropodi), percentuali insolita-mente alte di elementi psammoalobi e psammobi specializzati (cioè associatiesclusivamente ad ambienti sabbiosi litoranei salsi o sabbiosi in generale) negliattuali ambienti dunali, retrodunali e di spiaggia, rispetto al totale di specie che necostituiscono in modo più o meno stabile le comunità biotiche.Di rilievo, nell’analisi delle comunità animali e vegetali degli ecosistemi dunali eretrodunali, è anche la frequente sovrapposizione di componenti floristiche efaunistiche di tipo xero-termofilo, psammofilo, o igrofilo, originatesi non solo inambienti strettamente litorali o perilitorali (macchie e garighe mediterranee osubmediterranee), ma anche in praterie steppiche, brughiere, in ambienti inter-ni sabbiosi salsi perifluviali o perilacustri, o di accumulo eolico.Parallelamente, le spiagge e gli ambienti dunali e retrodunali hanno poi costi-tuito e costituiscono frequentemente, soprattutto in Italia centro-meridionale enelle isole, un vero e proprio “effetto siepe” per molti organismi terrestri (soprat-tutto litoranei, ma non solo) trasportati passivamente o semi-passivamente suampi bracci di mare dalle correnti marine, dai venti o da alluvioni, specialmentedurante tempeste e fenomeni metereologici eccezionali.Il valore naturalistico di questi popolamenti litoranei, al di là della ricchezzaassoluta di specie, che è relativamente bassa, è quindi dato proprio dalla coe-sistenza di molteplici elementi di origine biogeografica differente, accomunatiperò da elevati livelli di specializzazione trofica, di esclusività e di fedeltà all’ha-bitat, e quindi da comuni caratteristiche di buoni “indicatori” della complessivaqualità biologica degli ecosistemi in cui siano ancora presenti.In questo volume verranno quindi analizzate le caratteristiche principali degliecosistemi dunali sabbiosi e retrodunali del nostro Paese sotto il profilo geo-morfologico, floristico, vegetazionale e faunistico, compatibilmente con l’enor-me variazione riscontrabile nella loro tipologia. Variazione ovviamente associa-ta alla grande estensione latitudinale e quindi bioclimatica lungo la Penisola enelle Isole, e all’influenza di molteplici e del tutto differenti fattori storici biogeo-grafici nella composizione dei popolamenti animali e vegetali locali.

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Il passaggio fra la costa sabbiosa e la macchia mediterranea

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La spiaggia è una stretta fascia fra terra e mare costituita prevalentemente dadepositi sabbiosi. Si tratta di una zona ad elevato dinamismo nella quale lasituazione di equilibrio che viene raggiunta deve tenere conto dei numerosi fat-tori che intervengono, suddivisibili in due gruppi: passivi (topografia dell’area,materiali presenti) e attivi (venti, moto ondoso, correnti marine, maree, apportifluviali, attività degli organismi, ivi compreso l’uomo!).Le spiagge sabbiose sono costituite da sedimenti clastici incoerenti di originesia alluvionale che marina, aventi granulometria fine ma non finissima (le sab-bie sono convenzionalmente costituite da frammenti di diametro medio inferio-re a 2 mm; quando i granuli hanno diametro di molto inferiore, compreso tra0,06 e 0,004 mm, si parla di silt (= limo); se è ancora inferiore si parla di argille;se invece è superiore ai 2 mm, si parla di ghiaie).Il termine “spiaggia” deriva da “piaggia”, a sua volta derivato dal latino “plaga”,che significa “estensione piatta” e dal greco “plagio”, che significa “laterale”, edal relativo verbo “piaggiare” (navigare lungo la costa), unito al prefisso “s” confunzione durativa. Con il termine di “duna” marina si definisce invece il settorelitoraneo o sublitoraneo normalmente stretto e allungato parallelamente allalinea di costa, caratterizzato da rilievi perlopiù di modesta entità (elevazione sulmare tra circa mezzo metro e una dozzina di metri in Italia, salvo qualche ecce-zione in Sardegna), formati dall’accumulo di sedimenti incoerenti per azioneeolica. Le dune sabbiose sono quelle costituite da sabbie più o meno incoeren-ti, in funzione sia della loro diversa antichità, sia della vegetazione presente, ingrado di compattarne almeno una certa percentuale degli strati più superficialied esposti. Il termine “duna” deriva dall’olandese medio “dune” che significasemplicemente “piccolo rilievo, collina, altura”.La maggior parte dei sistemi spiaggia-duna più estesi, stabili e complessi (e quin-di più significativi sotto il profilo biocenotico) si formano in coincidenza di tratti dicosta bassa caratterizzati verso l’interno dalla contiguità con più o meno ampiepianure, e verso il lato marino dalla presenza di fondali poco profondi.

■ Struttura di una spiaggia

Tecnicamente, quindi, una spiaggia è la zona del litorale costituita da materialesciolto sottoposta ad un movimento indotto dal moto ondoso ed è, perlopiù, il

11Aspetti geologici e geomorfologiciPAOLO AUDISIO · GIUSEPPE MUSCIO

Dispersione dei sedimenti alla foce del fiume Tagliamento (Friuli Venezia Giulia)

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Descrizione geomorfologica di un sistema spiaggia - duna

mare dell’acqua di volta in volta spinta verso terra dalle onde sotto forma di flut-ti montanti); naturalmente si potrà determinare una battigia di alta marea e unadi bassa marea, con un’escursione verticale tra le due linee di battigia (cioè lelinee ideali che congiungono tra loro i punti della spiaggia di volta in voltabagnati dai flutti montanti) che nei mari italiani si aggira di norma intorno ad unatrentina di centimetri, salvo alcune eccezioni. All’interno della spiaggia emersapuò essere distinguibile un ulteriore gradino, la berma di tempesta, che indica illimite massimo raggiunto dai flutti montanti nell’ultima occasione di mareingrossato che abbia rimodellato la spiaggia in questione, preceduto di normada un breve pendio in brusca discesa, detto scarpa.La spiaggia intertidale è quella parte della spiaggia compresa tra il livello medioraggiunto dalle alte maree e il livello medio delle basse maree.Verso terra il suoprimo sottosettore coincide con la già citata battigia di alta marea. Di norma lafine del tratto che verso il basso delimita il trasporto di sabbia da parte dellarisacca in alta marea coincide con un ulteriore gradino, che appunto delimitasul versante marino la stessa area di battigia. Al di là di tale gradino è presentedi regola un così detto terrazzo di bassa marea, talora interessato dalla pre-senza di barre o scanni (modesti rilievi longitudinali, paralleli o subparalleli allariva), che si formano nella spiaggia temporaneamente sommersa in parte pereffetto delle onde, in parte per l’azione di eventuali correnti locali. I limiti supe-riore e inferiore della battigia sono ovviamente variabili, in funzione dell’altezzadelle onde e in relazione al momentaneo livello delle maree.La spiaggia sommersa o sottomarina è infine il tratto a mare più esterno delsistema spiaggia, quello compreso tra il livello medio delle basse maree e la

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risultato di una fase costruttiva, sebbene localmente si possano alternareperiodi o tratti sottoposti anche a fenomeni erosivi.L’estensione di una spiaggia è assai variabile: se è collegata ad una costa roc-ciosa essa può limitarsi ad una stretta striscia di sedimenti sciolti lungo la qualela roccia affiorante non ha un contatto diretto con il mare, per ampliarsi poi nellepiccole baie. In un sistema di delta o estuario la spiaggia può svilupparsi, soprat-tutto in lunghezza, sino ad ostruire parte del sistema stesso, ma è al bordo del-le estese pianure che le spiagge possono svilupparsi maggiormente con la for-mazione di vasti sistemi dunali. Convenzionalmente, la spiaggia si consideraestesa, verso l’interno, fino al limite raggiunto dalle onde di tempesta, mentreverso il mare la si considera estesa fino ad una profondità media pari a circa lametà della media della lunghezza d’onda durante le fasi di mareggiata. Si ritieneinfatti che lo spostamento delle particelle di sabbia provocato oltre tale profon-dità dal moto ondoso sia sostanzialmente trascurabile.Nell’ambito di questo tratto di litorale relativamente ampio, sempre a partire dallato terrestre verso quello marino, si possono convenzionalmente distingueretre settori, rispettivamente quello della spiaggia emersa (spesso chiamataanche arenile), della spiaggia intertidale e della spiaggia sommersa.La spiaggia emersa è l’area, normalmente appunto emersa, compresa tra illimite raggiunto dalle onde di tempesta e la così detta berma ordinaria, ovveroil gradino più o meno distinto, modellato dai flutti ordinari (in parte per erosionee in parte per accumulo) al limite interno della linea di battigia, dove per battigiasi deve intendere quel tratto della spiaggia più o meno inclinato verso il mare sucui avviene il moto alternato dei flutti montanti e della risacca (il ritorno verso il

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duna

duna

stagno interdunare

cresta della berma di tempesta cresta della berma ordinaria solco di battigiabattigia

piede della duna berma di tempesta

spiaggia emersa

berma ordinaria

spiaggia sommersa

barra barra

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Nel caso di spiagge prossime a foci fluviali, la grande disponibilità di materialiinerti consente di norma una facile rideposizione degli stessi nei settori litoraneicontigui, almeno in quelli con coste basse. Ampi depositi fluviali consentono ungrande rimaneggiamento dei detriti, con la separazione degli stessi in base alloro peso e in funzione della quantità di energia disponibile per il trasporto. Confondali di forte pendenza, la gravità agevola la discesa dei detriti verso il largo,spesso rendendoli indisponibili alla ripresa da parte del moto ondoso. Con fon-dali di debole pendenza, al contrario, varie linee di frangenti si formano al largo,e solo onde a bassa energia giungono presso la costa, che così spesso diven-ta paludosa, con prevalenza di argille e silt. Altrove la deposizione è fruttosoprattutto dell’azione combinata del trasporto sulla battigia, e del così dettotrasporto longitudinale, ossia quello parallelo alla riva.Per comprendere le dinamiche di trasporto degli inerti da parte delle onde, èutile analizzare alcuni aspetti della dinamica e della cinetica del moto ondosostesso. Le onde, come ben noto, sono perlopiù provocate dal vento, che tra-smette all’acqua superficiale una parte della propria energia, spingendola sottoforma di moto ondoso che si trasmette orizzontalmente secondo determinatedirezioni di propagazione, ortogonali alle creste delle onde stesse. In vicinanzadella costa, le onde possono subire cambiamenti di direzione, forma ed ener-gia, in funzione della natura, della pendenza e dell’orientamento dei fondali edella costa stessa. Particolare importanza riveste la formazione dei cosìddettifrangenti di spiaggia, quando l’acqua sospinta sulla cresta dell’onda supera lavelocità di propagazione dell’onda stessa, ricade formando un frangente, e conpiù o meno marcata turbolenza sfrutta la propria energia cinetica, risalendo la

15già indicata profondità media, attestata intorno alla metà della media della lun-ghezza d’onda durante le fasi di mareggiata. Anche nell’ambito della spiaggiasottomarina sono di norma presenti barre o secche più o meno marcate, pre-cedute da più o meno definiti affossamenti, denominati truogoli.Una spiaggia può in sintesi essere considerata un pendio di inclinazione varia-bile, in cui l’energia dei flutti si va a smorzare. Di norma tale pendio è tanto piùripido quanto più grossolano è il materiale incoerente trasportato e rimossocontinuamente dal moto ondoso; questo fenomeno è facilmente spiegabile intermini idrodinamici, considerando come la pendenza dell’area di battigia siadeterminata dal movimento alternato del materiale in risalita, sulla spinta delflutto montante, e in discesa, per azione della risacca. A parità di energia cine-tica, il trascinamento verso il basso può essere realizzato su un pendio appenainclinato per i materiali più fini come le sabbie, molto più inclinato per i materia-li più grossolani come le ghiaie o i ciottoli. Ovviamente il rimodellamento e il ria-dattamento della battigia di una determinata spiaggia si attesta di continuointorno ad un provvisorio e dinamico equilibrio.A livello della spiaggia emersa, dove la sabbia è di norma asciutta, può infinefar presa l’azione del vento, in grado di innescare il processo di costruzione emodellamento di eventuali dune e sistemi dunali sabbiosi.

■ Dinamica, formazione ed erosione di una spiaggia sabbiosa

Genesi ed evoluzione di una spiaggia sabbiosa sono strettamente correlate adiversi fattori, tra i quali i più rilevanti sono le possibilità di rifornimento di mate-riale detritico, la conformazione e la natura geologica delle aree litoranee conti-gue e le modalità di trasporto e di deposizione dei detriti da parte del motoondoso e delle correnti. Sono infatti il moto ondoso e secondariamente quellodelle correnti, gli agenti principali che modellano le spiagge, ma rilevante è,soprattutto per il tratto generalmente emerso, anche il ruolo giocato diretta-mente dall’azione eolica che, del resto, è la causa prima del moto ondoso.Minore è invece il ruolo giocato dalle maree anche se ad esse è, in taluni casi,legata una notevole estensione del tratto di spiagga definito come intertidale.Il rifornimento di materiale detritico può essere consentito dalla vicinanza di fiu-mi e corsi d’acqua che fungono da efficaci agenti di trasporto di sabbie, fanghie detriti alluvionali di varia natura e granulometria. Oppure può essere consen-tito dalla parallela erosione di tratti di costa contigui a quello in esame, per effet-to della natura omogeneizzatrice e regolarizzatrice del moto ondoso, che tendea smussare le sporgenze litoranee, prelevandone del materiale che viene poiridepositato ai lati della sporgenza stessa, frequentemente entro baie più omeno delimitate. Altro materiale sabbioso può infine essere prelevato ed erosoda bassi fondali esistenti presso la costa in esame o al largo di questa.

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Evidenti segni di erosione in una spiaggia siciliana

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spiaggia come flutto montante, fino all’esaurimento dell’energia cinetica. A que-sto punto per gravità l’onda recede sotto forma di risacca.Questa situazione muta di intensità nelle diverse stagioni: durante le forti mareg-giate invernali la forza dei frangenti è maggiore e parte della sabbia che costitui-sce la battigia può essere ripresa in carico dal moto ondoso e può formare una opiù barre nel tratto di spiaggia sommersa o essere trasportata verso il mareaperto. In estate questa situazione si inverte e le deboli onde della bella stagionefanno sì che questo materiale venga gradualmente ritrasportato verso la linea dicosta. Esiste quindi una notevole differenza fra la morfologia di una spiaggia sab-biosa nelle diverse stagioni: nel periodo estivo essa risulta generalmente piùampia per una maggior disponibilità di materiale sabbioso che, in inverno, èdepositato nel tratto sommerso sotto forma di barre più accentuate.

■ Struttura di una duna sabbiosa litoranea

Le dune sabbiose non sono altro che forme di accumulo di materiale sabbioso,di forma più o meno definita, e costruite principalmente per azione eolica. Sisono già viste in precedenza le principali condizioni di formazione di spiaggeemerse più o meno ampie, che consentono la successiva costruzione di dunelitoranee sabbiose, per rimozione eolica delle sabbie depositate dal moto ondo-so e in particolare dalle mareggiate. Le dune sabbiose costiere non differisco-no sostanzialmente, se non per la loro particolare posizione, rispetto a moltialtri tipi di dune, che si sviluppano perlopiù nell’interno di ampie masse conti-nentali, in situazioni di elevata erosione eolica dei substrati.

Si distinguono vari tipi di dune, in funzione del loro orientamento e della lorodisposizione relativa rispetto alla direzione dei venti dominanti. Le dune sabbio-se litoranee sono di norma dune trasversali, quindi con disposizione essenzial-mente ortogonale rispetto alla direzione dei venti dominanti, oppure si organiz-zano in dune paraboliche alle spalle di spiagge e baie sabbiose arcuate.Le dune costiere, a prevalente andamento trasversale, presentano il lato sopravento (di norma quello sul versante marino) con inclinazione inferiore rispetto a

quello sottovento (di norma quello sul versante terrestre). Infatti lungo il versan-te sopravento la sabbia è sospinta in salita per saltazione o per rotolamento,fino a raggiungere la cresta, da dove i singoli granuli cominciano a ricadere sullato opposto per gravità. Spesso le dune litoranee possono avere creste conandamento più o meno sinuoso, legato all’influsso di venti che soffiano alterna-tivamente in direzioni opposte o comunque contrastanti.Le dune sabbiose litoranee differiscono dalla maggior parte delle dune mobilidegli entroterra continentali essenzialmente per la presenza di vegetazionecostiera, che, tramite un effetto siepe, ne blocca più o meno efficacemente lapotenziale avanzata verso l’entroterra. Appena la vegetazione psammofila pio-niera attecchisce e si consolida, questa fa in modo che l’apporto eolico di altrasabbia ne veda l’accumulo e il consolidamento prevalentemente in situ, condi-zionando quindi enormemente l’evoluzione geomorfologica della duna stessa.Considerato che la vegetazione può instaurarsi in maniera stabile solo ad unadeterminata distanza della linea di costa, la genesi di una duna litoranea nonpuò che avvenire con una disposizione più o meno parallela alla stessa linea dicosta, in alcuni casi solo in parte dipendente dalla direzione dei venti dominan-ti che trasportano i granuli sabbiosi.

■ Dinamica e formazione di una duna litoranea sabbiosa

Le sabbie, erose, trasportate e ridepositate altrove dal moto ondoso e dai ven-ti, vengono sovente accumulate all’interno di insenature (le così dette spiaggedi fondo di baia, di norma con andamento più o meno arcuato), oppure vanno a

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I sistemi dunali di Is Arenas (Sardegna) sono tra gli esempi più imponenti sui litorali del nostro paese

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cordone litoraneo stesso che, se associato al continuo spostamento versomare della linea di costa (legato a sua volta, come abbiamo già visto, alla pre-senza di massicci apporti fluviali di materiali incoerenti), può comportarne latrasformazione in dune fossili sublitoranee (o paleodune). Questi ambienti sonoquasi sempre estremamente interessanti sotto il profilo naturalistico, e in deli-cato equilibrio evolutivo, legato alla inevitabile e continua trasformazione delsubstrato e dei suoli superficiali. I processi genetici dei tomboli possono far sìche questi vengano ad unire un’isola alla terraferma trasformando l’insieme inuna sorta di penisola. Caso classico è quello del Promontorio dell’Argentarioche è unito alla terraferma da due tomboli attivi e da un cordone litoraneo cen-trale sul quale sorge l’abitato di Orbetello. Questi tre cordoni litoranei hannocosì dato origine a due stagni costieri.

■ Natura del substrato delle spiagge e delle dune italiane

Dal punto di vista geomorfologico i sistemi spiaggia-duna vengono esaminatisoprattutto analizzando gli agenti modellatori e la granulometria degli elementiche le costituiscono. Nel momento in cui, però, spiagge e dune vengono consi-derate soprattutto come habitat, grande importanza assume la caratterizzazio-ne chimico-mineralogica del substrato, ovvero l’identificazione dei componenti

19costituire strisce di terra allungate, chiamate cordoni litoranei, che si formano inprevalenza in posizione laterale (sotto vento) rispetto ai punti di rifornimento disabbia, chiudendo insenature di bassa profondità, o unendo piccole isole pros-sime alla terraferma con la terraferma stessa, e creando in tal modo delle peni-sole. Quando tali cordoni litoranei sono in seguito sormontati da dune, essiprendono il nome di tomboli, come vedremo più avanti.I cordoni litoranei, chiamati anche col diffuso ma non sempre appropriato ter-mine di lidi, possono presentarsi come isole o penisole allungate, o essere con-giunti alla terraferma ad entrambe le estremità. Sovente i cordoni litoranei si ori-ginano a partire da scanni subacquei, ove ci sia abbondanza di rifornimento dimateriale detritico, che a poco a poco emergono sotto forma di dossi sabbiosi.Salienti sabbiosi di forma particolare, spesso cuspidati o subtriangolari, si for-mano invece quando due opposte correnti di trasporto di materiale detritico siincontrino in una zona intermedia, di norma in coincidenza di protrusioni litora-nee (capi) che separino linee costiere di differente orientamento.Di particolare rilievo sono i già citati tomboli, ovvero le formazioni dunali sab-biose che vengono modellate dal vento e in parte dal moto ondoso sui cordonilitoranei, per via della spesso ridotta estensione trasversale, che li rendeambienti particolarmente fragili e dinamici.Alcuni di questi tomboli evolvono peraltro verso un completo interramento del

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Geomorfologia di un’area costiera Foto aerea dell’area dell’Argentario con i tomboli che delimitano la Laguna di Orbetello (Toscana)

tombolo

spiaggia

laguna

isole di barriera

estuario

scogliera con spiaggia

spiaggia di cavità

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21minerali che costituiscono i singoli grani e, di conseguenza, il chimismo delsubstrato stesso. Come detto, i granuli che costituiscono i sistemi spiaggia-duna sono in prevalenza quelli depositati dai fiumi nel mare o direttamente nel-le spiagge e quindi la loro composizione mineralogica è funzione delle tipologielitologiche che affiorano nel bacino del fiume stesso. A questo dato fondamen-tale bisogna aggiungere la considerazione che i diversi litotipi, così come iminerali che li costituiscono, presentano differenti capacità di resistenza all’ero-sione ed al trasporto e, pertanto, a parità di granulometria hanno la possibilitàdi compiere un percorso maggiore i granuli più resistenti. Ad esempio essendoil quarzo, fra i minerali relativamente comuni, quello a maggiore resistenza,esso abbonda nelle spiagge originate da fiumi che hanno un percorso piuttostosignificativo in pianura.I granuli sabbiosi provengono dagli apporti fluviali ma la loro distribuzione nonè simmetrica rispetto agli sbocchi dei corsi d’acqua al mare. Le correnti marine,infatti, fanno sì che la dispersione avvenga in maniera asimmetrica. Riferendo-si ad esempio all’Alto Adriatico, i depositi fluviali tendono a sedimentare versooccidente rispetto alle foci: quelli dell’Isonzo giungono sino a Lignano, mentrequelli del Tagliamento giungono sino a Iesolo, ove si uniscono a quelli del Pia-ve. Questi ultimi, a loro volta si disperdono sino alla Laguna di Chioggia.In funzione delle province di alimentazione può variare sia la granulometria chela composizione mineralogica, e questi due valori sono in qualche modo legatifra loro. Sempre in riferimento alle spiagge dell’Alto Adriatico possiamo notareche quelle più settentrionali, i cui tributari drenano le aree alpine, presentanoclassi granulometriche al 95-99% comprese fra i 2 ed i 0,03 mm, mentre nellespiagge prossime agli estuari dei fiumi che percorrono i depositi marnoso-are-nacei dell’Appennino possono presentare percentuali significative di elementipiù fini (fra il 10 ed il 20% di granuli inferiori agli 0,03 mm).

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Veduta aerea della fascia costiera sabbiosa dell’Adriatico nell’area fra Bibione e Bibione Pineta (Veneto) a sinistra si nota un’area allo stato naturale mentre a destra sono evidenti i segni dell’intervento antropico

La composizione mineralogica mostra comunque variazioni ben più significati-ve e complesse, ed i valori che vengono di seguito riportati sono medi e pura-mente indicativi. Nella fascia compresa fra Grado ed il Lido di Venezia domina-no gli elementi calcareo-dolomitici, con percentuali fra l’80 ed il 90%, con unafrazione di quarzo e selci presente attorno al 20%, coerentemente al fatto che ifiumi che alimentano queste spiagge drenano soprattutto formazioni rocciosecarbonatiche.Le spiagge alimentate da Brenta ed Adige mostrano un deciso aumento dellepercentuali di quarzo (attorno al 40%) e di altri elementi provenienti da vulcanitiacide (che diminuiscono poi nell’area romagnola) a discapito delle componenticarbonatiche (calcaree e non dolomitiche) che presentano valori attorno al 15-30%. Scendendo verso Marche ed Abruzzo si ha una debole ripresa dei carbo-nati (30-60%) con discesa della frazione quarzosa (20-40%). L’area campano-laziale presenta una significativa percentuale di feldspati (anche il 20%) conquarzo (25%) e carbonati attorno al 40%. I lidi toscani mostrano valori di carbo-nati bassi a Nord e Sud (attorno al 20%) con risalita nell’area centrale (50%). Siinverte la situazione del quarzo con valori alti agli estremi (oltre il 50%) e inferio-ri al centro (20%), mentre attorno a Follonica il quarzo raggiunge il 60%.Le spiagge della Sardegna settentrionale sono costituite prevalentemente daelementi carbonatici (dal 30 all’80%), con quarzo che varia dal 10 al 30%, men-tre spostandosi verso Sassari i valori di carbonato si riducono notevolmente(anche al 10%) a favore del quarzo che raggiunge il 40%, condizioni analoghea quelle che si ritrovano nel Golfo di Orosei. L’area di Alghero presenta notevo-li variazioni, ma è sempre dominata dall’insieme quarzo-carbonati. In tutte lecoste sarde diventa significativa la percentuale di ferro, presente con valorianche dell’1-3%. In Sicilia le coste dell’area catanese presentano elevati valoridi quarzo (oltre 60%) e pochi carbonati (20%).

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L’assetto biogeografico del nostro territorio affonda le sue radici nella comples-sa situazione della Penisola Italiana, profondamente incuneata nel bacinomediterraneo. Gli attuali assetti floristici e faunistici, non a caso fra i più ricchi ediversificati dell’intera Eurasia, sono condizionati, quindi, dall’evoluzione geolo-gica di quest’area che ha visto, negli ultimi milioni di anni, diverse e variabilipossibilità di connessioni fra differenti aree circum-mediterranee e europee.Una trattazione che riguardi spiagge e sistemi dunali italiani deve quindi allar-garsi all’intero Mediterraneo ed alla sua storia più o meno recente, risalendonel tempo almeno sino agli avvenimenti più importanti che ne hanno determi-nato l’attuale morfologia costiera e condizionato la struttura dei popolamentianimali e vegetali.

■ Il quadro paleogeografico, paleoclimatico e biogeografico

Nel Paleocene, all’inizio del Cenozoico, circa 65 milioni di anni fa, Europa eAsia erano separate l’una dall’altra da uno stretto braccio di mare epicontinen-tale (quindi di bassa profondità) che univa le attuali aree marine del Golfo Per-sico con il Mare Artico, passando a Est degli attuali limiti orientali dei Monti Ura-li (Mare di Turgai o Uralico). Contemporaneamente, l’attuale Mediterraneo eralargamente collegato verso Est con l’Oceano Indiano, formando così un mare,in parte epicontinentale, in alcuni punti relativamente stretto in latitudine maenormemente esteso il longitudine, noto con il nome di Tetide. La Penisola Ita-liana non si era ancora delineata, così come quella Balcanica, ed il clima lungoi margini della Tetide era in linea di massima di tipo tropicale o subtropicale.Verso la fine dell’Eocene, una quarantina di milioni di anni fa, il Mare di Turgai siprosciuga, consentendo un facile collegamento terrestre tra l’Asia e l’Europa,mentre lungo l’asse Est-Ovest permane ancora ampia la connessione marinatetidea.Nell’Oligocene, a partire da circa 36 milioni di anni fa, l’Eurasia era costituita daun ampio scudo che comprendeva la quasi totalità dell’attuale Asia settentrio-nale e l’Europa centro-settentrionale, mentre a Sud-Ovest dell’intero sistema sicominciavano ad organizzare e a riconoscere alcune zolle di terraferma, emer-genti dal mare, che avrebbero poi dato origine a buona parte delle attuali terreemerse del Mediterraneo settentrionale. Con l’avvicinamento della placca con-

23Paleogeografia e biogeografiaPAOLO AUDISIO · GIUSEPPE MUSCIO · SANDRO PIGNATTI

Vilucchio marittimo (Calystegia soldanella)

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Intorno a 15 milioni di anni or sono la parte occidentale della Tetide, in via diseparazione rispetto all’Oceano Indiano, si divide in due ampi bracci distinti: ilprimo, sud-occidentale, dà origine a quello che diventerà il vero e proprio MarMediterraneo, mentre il secondo, nord-orientale, chiamato Paratetide, estesofino ai settori sud-orientali della Germania e alla regione pannonica, passa inmodo relativamente rapido dallo stato di mare epicontinentale di bassa profon-dità a quello di un “Lago-Mare” salmastro (si veda il box “Marcatori di spiagge”a pag. 27). In seguito questo Lago-Mare progressivamente si prosciuga,lasciando infine solo una serie di grandi laghi salmastri, di cui il Mar Caspio e ilMar Nero (solo molto più tardi rientrato in connessione con il Mediterraneo pro-priamente detto) sono la principale testimonianza.Poco meno di 6 milioni di anni fa un altro avvenimento ha poi un impatto deva-stante sull’intera area Mediterranea: il più o meno ampio braccio di mare cheseparava la maggior parte dell’attuale Penisola Iberica e del sistema Betico-Rifano dalla massa continentale Africana, a causa del già ricordato abbassa-mento planetario dei livelli dei mari, combinato con un innalzamento delle areead esso prospicienti, si chiude abbastanza repentinamente, isolando quindi ilMediterraneo dall’Oceano Atlantico.Questo fenomeno, che sulla morfologia costiera ha prodotto conseguenze sol-tanto locali, mette rapidamente in evidenza il bilancio idrico netto pesantemen-te negativo del Mediterraneo. Infatti, a fronte di un apporto idrico medio di circa1400 chilometri cubi di acqua dolce all’anno (acqua dei bacini idrografici che

25tinentale Africana verso quella Euroasiatica si avvia l’orogenesi Alpina, ecomincia a stringersi verso Est il mare tetideo. Come in un macroscopico puzz-le, iniziano a comparire e a dislocarsi verso la loro posizione finale alcune tes-sere che andranno poi a costituire l’insieme della Penisola Italiana e delleGrandi Isole. Verso Ovest Corsica, Sardegna e Baleari sono ancora unite allearee catalano-provenzali, ma, già all’inizio del Miocene (circa 23 milioni di annior sono), cominciano a distaccarsi da queste per iniziare una migrazione che leporterà, nel volgere di una decina di milioni di anni, fino alla loro attuale posi-zione. Microzolle subparallele all’Arco Sardo-Corso-Balearico si muovono aloro volta, dando origine all’attuale Arco Calabro-Peloritano verso Est, e a par-te delle aree costiere e montane subcostiere dell’attuale Algeria settentrionaleverso Sud-Ovest. Contestualmente, già comincia a essere riconoscibile versoSud-Est la Penisola Salentina, con varie e ancora discusse connessioni oligo-ceniche con altre aree del Mediterraneo centro-orientale, balcaniche e anatoli-che occidentali.Sempre nel Miocene prosegue l’avvicinamento della placca Africana all’Euro-pa, attivando la formazione di altre importanti catene montuose verso Est; que-sto fenomeno coincide con un parallelo e globale abbassamento del livello deimari, principalmente dovuto alla crescita della calotta glaciale dell’Antartideoccidentale. La Tetide si chiude così progressivamente verso Est, consentendoun importante collegamento tra le faune e flore africane e quelle euroasiatiche,fino ad allora rimaste separate.

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Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Paleocene; marrone: aree emerse, grigio: piattaforme,azzurro: bacini marini. Viene indicata anche la posizione approssimata della zolla sardo-corsa

Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Miocene medio; marrone: aree emerse, grigio:piattaforme, azzurro: bacini marini

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La maggior parte deicoleotteri endomichididella sottofamiglia licoper-dini (= eumorfini) vive inambienti forestali, soprat-tutto nei paesi tropicali esubtropicali, dove questi pic-coli insetti si sviluppanosoprattutto a spese di fun-ghi arborei.Le Dapsa sono un piccologruppo di licoperdini, chesi sono invece curiosa-mente adattati ai cumuli didetriti vegetali lungo le spiag-ge o nei salicornieti costieri. Neltardo Oligocene, probabilmen-te a partire dalle aree tetidee nord-orientali, i più antichi rappresentanti diquesto genere cominciarono a diffon-dersi e a differenziarsi verso Ovest, riu-scendo a colonizzare con una certarapidità gli ambienti umidi sabbiosi peri-litorali dell’intera Tetide, dalle costenord-orientali dell’Atlantico a quellenord-occidentali del Pacifico. A seguitodi molteplici fenomeni di trasgressionee regressione marina, e seguendo l’e-voluzione dei margini costieri tetidei edel Paleomediterraneo, diverse popola-zioni e specie di Dapsa si ritrovarono di

volta in volta isolate anchein aree continentali inter-

ne, dove un tempo era giun-to qualche braccio di mareepicontinentale (come la

Paratetide). Altre furono invececoinvolte in fenomeni tettonici

di emersioni (es. Isole Cana-rie) o migrazioni (es. micro-zolle cabiliche in Algeriasettentrionale) di interisistemi insulari circum-

mediterranei. Lo scenariofinale vide infine il differenzia-

mento di una quarantina di spe-cie, molte delle quali distribuitelungo le coste dell’attuale Medi-

terraneo o della Macaronesia, ma consvariate entità ora isolate in aree conti-nentali abbandonate dal mare già damilioni di anni, e riadattatesi a ecosi-stemi umidi forestali o ripariali dell’in-terno.Sovrapponendo l’attuale distribuzionedelle Dapsa con quella delle aree mari-ne nel Miocene medio, una dozzina dimilioni di anni or sono, possiamo vede-re come questi curiosi e rari coleotteripossano “funzionare” come dei veri epropri “marcatori di spiaggia” dei paleo-sistemi costieri.

I marcatori di spiagge Paolo Audisio · Alessio De Biase 27insistono sul Mediterraneo + acqua meteorica rovesciata dalle piogge sullasuperficie del Mediterraneo stesso), il “Mare nostrum” manifesta una cessioneannuale all’atmosfera per evaporazione di quasi 4800 chilometri cubi di acqua,con un deficit netto annuale di poco meno di 3400 chilometri cubi. Consideran-do che il volume di acqua complessivo del Mediterraneo è valutabile intorno a3,7 milioni di chilometri cubi, è facile calcolare cosa accadrebbe anche ai gior-ni nostri se lo stretto di Gibilterra (ed eventualmente anche il Canale di Suez)fossero chiusi all’improvviso: nell’arco di un migliaio di anni l’intero Mediterra-neo si prosciugherebbe (3,7 milioni/3400=1088 anni; gli anni necessari potreb-bero essere anche meno, calcolando che le precipitazioni meteoriche nell’inte-ra area, inevitabilmente inaridita, si ridurrebbero localmente per trasferirsi più aEst).Ciò che accadde verso la fine del Miocene fu esattamente quanto descritto inquesta ipotesi dal sapore quasi fantascientifico: nel Messiniano, tra 5,6 e 5,0milioni di anni fa circa, il Mediterraneo si prosciugò in buona parte, le linee dicosta si spostarono in modo centripeto verso e intorno le aree di maggioreprofondità, e importanti collegamenti territoriali si instaurarono per alcune cen-tinaia di migliaia di anni tra il Nord Africa, la Penisola Iberica, la Sicilia, la Cor-so-Sardinia e l’Italia peninsulare. Il Tirreno e parte del Canale di Sicilia si tra-sformano in grandi laghi salati, dove i fiumi provenienti dalle terre emerse sca-ricano le proprie acque a quote di centinaia di metri inferiori rispetto al livellodegli oceani, scavando profondissime gole. Le conseguenze di questo prosciu-

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Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Miocene superiore (Messiniano); marrone: areeemerse, azzurro: bacini marini, chiaro: bacini evaporitici

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bruscamente con la formazione dell’istmo terrestre di Panama, che unisce l’A-merica meridionale con quella settentrionale, modificando il ciclo di trasportodelle correnti calde tropicali verso l’Atlantico settentrionale. Il conseguente raf-freddamento dell’Atlantico settentrionale, in combinazione con altri complessifattori di carattere astronomico, innesca la formazione dei ghiacci artici, il con-seguente raffreddamento di buona parte dell’emisfero settentrionale, e la bru-sca modificazione delle faune e delle flore sia europee che mediterranee insenso temperato, con la scomparsa o la massiccia riduzione della maggior par-te degli elementi xerofili, termo-igrofili o di origine subtropicale, sia a livello ter-restre che marino. Tra gli elementi terrestri, molti trovano però rifugio propriolungo le aree costiere marine e alle foci dei fiumi, dove permangono condizionitermiche e idriche più favorevoli.Intorno a un paio di milioni di anni or sono, all’inizio del Pleistocene, quindianche del Quaternario, i raffreddamenti climatici si fanno ciclici, e si manifesta-no le glaciazioni, con almeno sei picchi principali nell’estensione delle calotteglaciali che hanno interessato massicciamente l’emisfero settentrionale e learee euro-mediterranee in particolare. In ciascun ciclo glaciale, al raffredda-mento climatico corrisponde la formazione di ghiacciai estesi su ampi settoridel continente europeo, dello spessore anche di 1000-2000 metri a ridosso del-le aree alpine e scandinave, con conseguente sottrazione di enormi quantità diacqua dal mare e marcato abbassamento del livello marino, da valutare nell’or-dine del centinaio di metri o più, dovuto in parte anche all’aumento della den-

29gamento a livello delle comunità biotiche sono, come ovvio, molto gravi soprat-tutto per gli organismi marini, che si trovano confinati in laghi iperalini e si estin-guono in grande percentuale per questa devastante “crisi di salinità”. Nelle fau-ne e nelle flore terrestri gli elementi più xerofili, termofili e alofili (tra le piante adesempio le Tamarix e molte chenopodiacee alofile) in gran parte di provenien-za nordafricana, medio-orientale o centroasiatica, si diffondono largamentesoprattutto lungo le aree costiere e subcostiere. Anche molti elementi piùmesofili e igrofili, pur trovando condizioni accettabili di sopravvivenza presso leaste fluviali, i bacini lacustri, e in aree montane, riescono comunque a utilizza-re queste nuove connessioni territoriali per colonizzare le aree del Mediterra-neo Occidentale, spesso dando poi origine a forme endemiche. Altri elementiriescono a giungere da Est verso la Penisola Italiana in formazione. Durante ilMessiniano e la sua fase arida conseguente al parziale prosciugamento delbacino Mediterraneo, che assume per ampi tratti un carattere di deserto salato,si assiste comunque a drammatici fenomeni di estinzione anche negli habitatterrestri, soprattutto nella flora.Alla fine del Miocene, circa 5 milioni di anni or sono, e con l’inizio del Pliocene,si forma lo stretto di Gibilterra, che segnerà da allora la presenza di un definiti-vo collegamento marino tra il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. Ben presto ilMediterraneo si riempie e le faune marine, in gran parte di origine Atlantica, locolonizzano con grande velocità. Il ripopolamento post-Messiniano degliambienti terrestri avviene sia per immigrazioni dalle aree vicine, sia per svilup-po dell’elemento autoctono che durante la fase arida aveva potuto mantenersisoprattutto sulle catene montuose e negli estuari dei sistemi fluviali che aveva-no potuto conservarsi. Sebbene il Messiniano abbia costituito una fase relativa-mente breve, lo sviluppo della flora e fauna mediterranee, quale noi oggi leconosciamo, è dunque in buona parte successivo a questi avvenimenti.La Penisola Italiana e la Sicilia si vanno formando nella loro facies attuale, e lelinee di costa si assestano intorno alle quote attuali, e in posizioni non del tuttodissimili da quelle odierne. Una marcata eccezione è rappresentata dall’Italiasettentrionale, dove un vasto golfo occupa la quasi totalità dell’area ora occu-pata dalla Pianura Padana, che emergerà solo più tardi, nel Pleistocene medio-superiore, circa 2 milioni di anni or sono. Si sono avute fasi marine più o menocorrispondenti a quelle attuali a partire dal Pliocene e fino all’Olocene: tuttaviaquesto avveniva in condizioni di clima subtropicale, e la flora aveva ad esempioun carattere molto differente da quello che noi oggi conosciamo, strutturalmen-te più simile a quanto possiamo invece riscontrare in alcuni settori del sudest-asiatico.Nel Pliocene il clima, inariditosi nel Messiniano, torna ad essere caldo-umido,ma va via via facendosi più temperato, consentendo l’arrivo da Est e da Nord dimolte specie animali e vegetali di origine continentale. La situazione peggiora

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Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Würmiano; marrone: aree emerse, azzurro: bacinimarini, verde: coltri glaciali più estese

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■ Il quadro bioclimatico attuale

Le spiagge e i sistemi dunali del nostro paese sono tutti affacciati sul Mediterra-neo (non si hanno sistemi significativi di dune interne): il popolamento di questiambienti va quindi inquadrato nel contesto biogeografico della regione mediterra-nea. Questo vale sia per gli animali che per le piante, anche se nei due casi sihanno, come vedremo fra breve, problemi biogeografici differenti.La zona biogeografica mediterranea viene definita dalle sue caratteristiche clima-tiche: temperatura media annua compresa tra 14° e 18° C, precipitazioni più omeno abbondanti (400-900 mm, ed anche localmente fino a 1500 mm e più) con-centrate nella stagione fredda, mentre in estate si ha un periodo arido di (2)3-5mesi. In nessun mese la temperatura media scende al di sotto di 0° C; precipita-zioni nevose e gelate sono rare e si verificano solo sporadicamente. Questecaratteristiche permettono la vita a specie sempreverdi, che possono continuarela fotosintesi anche nei mesi invernali e che si riproducono anche nell’ambientedelle spiagge. Queste condizioni sono oggi prevalenti in tutto il bacino mediterra-neo, ma non esclusive di questo, in quanto esse si manifestano anche in altrezone del mondo, come la California, il Cile centrale, alcune aree meridionali delSudafrica e alcuni settori dell’Australia occidentale e meridionale.

31sità media delle acque per effetto dell’abbassamento termico. Le linee di costadei mari meno profondi (come ad esempio l’Adriatico) si spostano quindi anchedi centinaia di chilometri, seguiti dalle loro faune e flore costiere e sublitoranee,consentendo brevi ma nuove connessioni o avvicinamenti territoriali tra i picco-li gruppi insulari subcontinentali, la Penisola Italiana, le aree Balcaniche setten-trionali, la Sicilia, il Nord Africa, e il sistema Sardo-Corso. Un grande numero dispecie di origine siberiana o centroasiatica penetra inoltre verso Sud-Ovest inEuropa e raggiunge il Mediterraneo, dove si stabilizza sia nelle aeree submon-tane, sia in quelle planiziarie più fresche e umide, anche a ridosso dei litorali.Negli interglaciali più temperati queste flore e faune lungo il Mediterraneospesso riguadagnano quota, in parte si estinguono localmente, ma alcuni ele-menti rimangono come relitti in aree planiziarie più umide, specialmente aridosso delle foci dei fiumi perenni. Contemporaneamente, specialmentedurante le fasi intermedie tra i picchi glaciali e i massimi miglioramenti climaticidegli interglaciali, importanti componenti di specie steppiche di origine centroa-siatica o asiatica sud-occidentale si spostano verso Sud e verso Ovest in Euro-pa, raggiungendo anche le aree costiere del Mediterraneo.Molti di questi elementi si estinguono nei glaciali successivi, molti altri all’apicedegli interglaciali si spostano in habitat steppici o parasteppici di quota, maalcuni sopravvivono e si adattano agli habitat strettamente litoranei, sia rupestriche dunali.Nell’Olocene, ben dopo la fine dell’ultima Glaciazione (quella di Würm, il cuiultimo picco glaciale è datato meno di 20.000 anni or sono), si assiste ancoraall’alternanza di minori picchi freddi e caldi. Un picco caldo importante sembrasi sia avuto intorno a 8.500 anni or sono, mentre un altro di un certo rilievo coin-cide con un periodo relativamente caldo tra i 5.000 e i 3.000 anni fa; in corri-spondenza di questo molte specie mediterranee, incluse parecchie tra quellead attuale distribuzione mediterraneo-atlantica che colonizzano più o menostabilmente le spiagge e i litorali sabbiosi, hanno potuto raggiungere latitudinirelativamente elevate dell’Europa nord-occidentale, sfruttando il clima litoraneoparticolarmente favorevole.Durante i secoli dell’Impero Romano il clima si mitiga nuovamente, con unaumento della temperatura abbastanza sensibile soprattutto in Europa centro-settentrionale, fino all’inizio del dodicesimo secolo, a partire dal quale cominciauna blanda fase di raffreddamento fino al diciottesimo secolo; da qui in poi siassiste, pur con alcuni brevi periodi in controtendenza, ad un leggero ma pro-gressivo aumento della temperatura, tuttora in atto. Sull’evoluzione a breve emedio termine del clima, e sulle potenziali conseguenze a carico degli ambien-ti litorali, si veda quanto discusso più avanti nel capitolo relativo alla conserva-zione e gestione degli ecosistemi sabbiosi costieri.

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Sistemi dunali stabilizzati dalla vegetazione lungo le coste della Sardegna sud-occidentale

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Tuttavia per ogni specie va fatto un discorso diverso, come in generale accadein molti aspetti della biologia. Infatti, Euphorbia paralias e Calystegia soldanellasono diffuse anche sulle coste atlantiche, hanno grandi capacità di diffusioneper semi o rizomi portati dal mare, ed una migrazione diretta è senz’altro pos-sibile. Per Ammophila la connessione occidentale è chiara, in quanto l’areale diquesta specie si estende sia nel Mediterraneo che sulle coste atlantiche, men-tre essa manca sul Mar Rosso e nell’Oceano Indiano; tuttavia le affinità di que-sta specie non vanno tanto in direzione di gruppi di altre graminacee litoranee,quanto piuttosto verso grosse graminacee di ambiente desertico. Elymusappartiene invece ad un gruppo con gravitazione distributiva nei deserti asiati-ci, che da questi ha potuto espandersi sulle coste atlantiche ed infine, con unviraggio a 180°, è rientrato nel Mediterraneo, come viene dimostrato dall’au-mento progressivo del numero cromosomico. Potrebbe essere un buon esem-pio di immigrazione post-messiniana.Quanto all’elemento orientale, esso va collegato al bacino tetideo, dunque adun ciclo evolutivo molto più antico di quello collegato all’Oceano Atlantico. Inparticolare, in questo contesto, l’elemento di base è rappresentato da specie diambiente di deserto salato, che ancora oggi è largamente diffuso nell’AsiaCentrale e nel Vicino Oriente, con chenopodiacee, plumbaginacee, zigofillaceeed alcuni gruppi di composite, giuncacee e graminacee. Un tipico adattamentomorfologico in questi gruppi è la succulenza e, dal punto di vista fisiologico, siha la tolleranza verso la salinità. Tuttavia questi adattamenti non sembrano di

33Per quanto riguarda gli ambienti litoranei italiani, si può osservare come nontutti siano però associati a territori con caratteristiche di vera mediterraneità.Infatti, come sopra ricordato, la mediterraneità viene definita dal clima, e nondalla posizione geografica.Nel nostro paese hanno clima mediterraneo le isole, tutte le coste occidentalidalla Liguria alla Calabria, e le coste joniche, così come la Puglia. Invece lecoste della Pianura Padano-Veneta si differenziano nettamente per un climapiù fresco (12°-13° C di temperatura media annua), ed un periodo estivo conpiogge scarse, ma abbastanza regolari. Dunque, l’Alto Adriatico ha clima di tipotemperato medioeuropeo, mentre nelle Marche, Abruzzo e Molise il clima haun carattere di transizione verso il tipo mediterraneo, che diviene prevalentesoltanto nella Puglia. Queste caratteristiche climatiche si riflettono anche su flo-ra, fauna, e soprattutto vegetazione. A queste caratteristiche generali del clima,si sovrappongono poi altri effetti, di carattere locale. Si tratta soprattutto, nelcaso delle spiagge, dell’azione termoregolatrice della massa idrica marina, chetende a riscaldarsi in estate e quindi a cedere calore durante i mesi autunnalied invernali, mentre in primavera-estate le acque, raffreddatesi durante l’inver-no, assorbono calore, temperando il clima litoraneo. Questa azione è partico-larmente sensibile lungo le coste dell’Adriatico, che, essendo poco profondo echiuso su tre lati, è un mare con maggiore tendenza al surriscaldamento duran-te i mesi estivi.

■ Il quadro fitogeografico

Gli elementi floristici nel bacino del Mediterraneo si ricollegano ai popolamen-ti associati ai continenti limitrofi (Africa ed Eurasia), a correnti migratorie occi-dentali oppure orientali e ad un’intensa attività di speciazione in situ (“elemen-to autoctono”). La componente endemica è globalmente abbastanza elevata,e può raggiungere, secondo le valutazioni di Quèzel e coll., il 25 % della flora.Su spiagge e dune la situazione è abbastanza differente, in quanto i gruppilegati all’ambiente continentale sono relativamente poco rappresentati, edanche l’endemismo autoctono è scarso: sembrano invece prevalere gli ele-menti associati a passate connessioni floristiche lungo una direttrice Est-Ove-st.L’elemento occidentale è costituito da specie ampiamente diffuse sulle costeatlantiche, o comunque collegate a gruppi della flora oceanica. L’ingresso nelMediterraneo di specie provenienti dalla costa oceanica si verifica, come visto,alla fine del Messiniano, con la definitiva apertura dello stretto di Gibilterra. Nonsi hanno prove dirette, ma si può ipotizzare che di questo gruppo facciano par-te Ammophila littoralis, Elytrigia juncea, Euphorbia paralias, Calystegia solda-nella.

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Salsola erba-cali (Salsola kali)

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avuto qualche importanza nella speciazione della flora delle spiagge. Effettiva-mente le piante delle spiagge vivono sempre ad un livello decisamente supe-riore a quello delle alte maree, e rimangono sottratte alle conseguenze di que-sto fenomeno, altrimenti tanto importante nel determinare la periodicità deifenomeni vitali, soprattutto negli animali.Va osservato che l’elemento autoctono nella flora delle spiagge e delle dune èrelativamente poco rappresentato: molte specie psammofile hanno distribuzio-ne mediterranea, ma non sembra possibile citare esempi di specie per le qualisi possa ipotizzare una origine per divergenza avvenuta nell’ambiente di spiag-gia, almeno per quanto riguarda la flora delle spiagge del nostro paese. Questaconstatazione è in acuto contrasto con la flora delle rupi costiere, dove al con-trario si ha un gran numero di specie endemiche, che limitano a volte il loroareale a pochi chilometri di costa, soprattutto nel genere Limonium (plumbagi-nacee), ma anche in altri gruppi del tutto diversi (Anthyllis, Antirrhinum, Cen-taurea, Dianthus, Erodium, Helichrysum, Primula, ecc.). Al contrario, le pochespecie endemiche sulle spiagge e dune sabbiose italiane sono per lo più diffe-renziazioni di elementi derivati da gruppi continentali, ad esempio Centaureatommasinii e Silene colorata.Pur con queste limitazioni, la flora dei litorali sabbiosi mantiene una sua grandepeculiarità: nessuna specie delle sabbie marine può venire ritrovata negliambienti continentali, e molto rari sono i casi di specie continentali che posso-no sopravvivere sulle spiagge. La flora dei litorali sabbiosi dunque rappresentaun unicum. Questo è particolarmente evidente lungo la linea di costa, dove ifattori selettivi dell’ambiente marino sono più forti. Invece, quando ci si adden-tra verso l’entroterra, compaiono gli elementi continentali, che sulle dune inter-ne tendono a diventare sempre più frequenti, fino ad essere del tutto prevalen-ti dove l’azione diretta del mare è scarsamente sensibile.Da questi rapporti si può concludere che la flora e la vegetazione delle spiag-ge non sono, come si potrebbe pensare, una differenziazione della flora conti-nentale, causata dall’azione del mare, ma qualcosa di completamente diffe-rente, originatosi perlopiù in aree lontane (in molti casi al di fuori del Mediter-raneo), che è venuto ad inserirsi tra il popolamento degli ambienti continentalied il mare. La vegetazione delle spiagge rappresenta dunque una sorta di dia-framma, oppure un’interfaccia che collega l’ambiente marino a quello conti-nentale.In conclusione, va osservato che i litorali sabbiosi ospitano una flora altamentespecializzata, che non trova nulla o assai poco di simile negli ambienti continen-tali, e per questo può essere interpretata come un punto focale della biodiversità;tuttavia questa flora è il risultato di processi che si sono sviluppati in maniera piùo meno uniforme su tutto il bacino mediterraneo, senza dare luogo ad una mas-siccia microevoluzione legata a singoli gruppi oppure a singole aree.

35

particolare rilevanza per la flora delle spiagge e delle dune, perché, come sivedrà in seguito, le sabbie di questi ambienti litoranei hanno di norma un bassocontenuto di sale marino. Si tratta di una flora ampiamente diffusa negliambienti salati, sulle sponde lagunari, ma che sulle spiagge fa una comparsasporadica, e per lo più limitata ad ambienti marginali. Tra queste si potrebbericordare la chenopodiacea Salsola kali e forse anche la crucifera Cakile mari-tima, che però è molto diffusa anche sulle coste atlantiche.Nella flora dei suoli salati lagunari si nota una netta differenza tra gli ambientimediterranei e quelli dell’Europa temperata, causata dal fatto che sulle costeatlantiche si hanno oscillazioni tidali (di marea) molto forti, con escursioni per-sino di alcuni metri tra alta e bassa marea; nel Mediterraneo invece la marea,salvo poche eccezioni, è poco sensibile (perlopiù 2-3 decimetri). In Italia faeccezione l’Alto Adriatico, con maree abbastanza cospicue (70-90 cm e piùnelle sizigie), anche se non paragonabili a quelle dell’Atlantico; le alte maree aVenezia, come è noto, costituiscono comunque un problema gravissimo.Queste condizioni si riflettono anche sull’evoluzione della flora: nella Laguna diVenezia abbiamo densi popolamenti della graminacea Spartina stricta (= Spar-tina maritima), specie atlantica, che qui ha la sua unica enclave nella regionemediterranea; tra la flora algale va ricordato Fucus virsoides, l’unico rappresen-tante mediterraneo delle fucacee (alghe brune, con numerose specie sullacosta atlantica). Entrambe le specie sono strettamente legate alla vita inambiente tidale. Non sembra invece che queste condizioni ecologiche abbiano

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Vegetazione retrodunale con Limonium

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Un discorso diverso interessa invece lafauna delle dune e dei retroduna, siaaridi che umidi o salsi, dove, almenoper gli invertebrati più specializzati, tro-viamo delle differenze significative siatra quelli detritivori, saprofagi e psam-mofili o psammo-alofili, che tra quellifitofagi associati a piante psammofile.In questi casi sembra infatti che fattoriquali rarità, piccole dimensioni dellepopolazioni locali, elevata specializza-zione trofica, bassa capacità di disper-sione e frammentazione degli habitatabbiano interagito efficacemente, pro-ducendo con una certa frequenza ele-menti endemici ad areale ristretto oppure elementi ad areale frammentato erelitto. Come vedremo nell’ampio capitolo dedicato agli invertebrati, moltonumerose e di grande interesse conservazionistico e biogeografico sono infattientrambe queste tipologie distributive, con particolare riferimento a specie pre-senti lungo le coste meridionali di Sicilia e Sardegna, e ad alcuni settori occi-dentali della Penisola.Circa i tempi della penetrazione e dell’eventuale isolamento degli elementifaunistici litoranei nel nostro Paese, è veramente difficile tentare delle genera-lizzazioni. Mai come nel caso degli ambienti costieri, lo zoogeografo storicodeve continuamente subire gli “agguati” di talora sconcertanti e inattesi dina-mismi attivi e passivi presentati da molte specie; sarebbe insomma azzardatotentare di redigere elenchi di specie o generi la cui presenza negli ambienticostieri italiani sia certamente associabile a questo o quel fenomeno paleo-geografico o paleoclimatico. È lecito piuttosto segnalare alcune componentifaunistiche di un certo rilievo, per le quali è ragionevole ritenere che l’influenzadi questo o quel fenomeno paleogeografico o paleoclimatico sia stato poten-zialmente rilevante.Con queste doverose premesse, possiamo comunque ritenere che la maggiorparte della fauna strettamente litoranea italiana sia di origine relativamenterecente, probabilmente condizionata soprattutto dagli eventi paleoclimatici delQuaternario.D’altra parte, gli ambienti litoranei (quelli sabbiosi in particolare) hanno rap-presentato sia in senso figurato che reale “l’ultima spiaggia” per un grannumero di componenti floristiche e faunistiche dislocate dalle aree di origine,sotto la pressione dei severi cambiamenti climatici intervenuti durante il Plio-Pleistocene. Questo tipo di fenomeni ricorrenti è intervenuto con particolare

37■ Il quadro zoogeografico

Gli eventi biogeografici storici e i pro-cessi dinamici che hanno prodotto gliattuali popolamenti faunistici dei litoralisabbiosi italiani sono ovviamente moltosimili a quelli che hanno condizionato ipopolamenti vegetali, ma sostanzial-mente differenti sono state le conse-guenze in termini di tasso di endemi-smo, valori di ricchezza in specie erelittualità. In effetti nella fauna questedifferenze rispetto alla flora possonoessere scarsissime in alcuni casi, mamolto appariscenti in altri, in funzione

sia delle diverse tipologie ambientali prese in esame (fauna intertidale e dispiaggia sabbiosa umida, fauna dunale, fauna psammo-alofila o psammo-igro-fila delle lagune interdunali e dei salicornieti, ecc.), sia soprattutto dei singoligruppi tassonomici, dei rispettivi ruoli trofici, e delle rispettive velocità di spe-ciazione.Non vi è dubbio che la grande maggioranza degli elementi faunistici che vivonopiù a stretto contatto con l’interfaccia mare-terra (i componenti quindi delle fau-ne intertidali e di spiagge sabbiose umide), a prescindere dalle loro direttecapacità di dispersione attiva, siano specie ad ampia distribuzione, spessomediterranea o mediterraneo-atlantica, non poche essendo perfino cosmopoli-te o subcosmopolite. Ciò non deve stupire, considerando come molti di questiorganismi siano in grado di tollerare forti escursioni termiche, esposizione pro-tratta all’acqua di mare e stress fisiologici di varia natura; queste caratteristichene fanno degli elementi assolutamente adatti per spostarsi attivamente o esse-re facilmente trasportati in ambienti costieri tramite correnti marine, vento,uccelli, o attività antropiche.Nella maggior parte dei casi si tratta quindi di elementi specializzati ecologica-mente e troficamente, spesso esclusivi di questi ambienti, ma con grandipotenzialità di dispersione attiva e passiva e soggetti probabilmente a dinami-che di tipo metapopolazionale (ovvero costituiti da un insieme di popolazionilocali spesso piccole ma con elevate interconnessioni potenziali e grandericambio, soggette quindi a continui processi di locale estinzione e ricolonizza-zione). Questi elementi hanno dunque seguito piuttosto facilmente le spessodrastiche variazioni costiere del Mediterraneo e dell’Italia nel corso degli ultimimilioni di anni, manifestando di norma una scarsa propensione al facile diffe-renziamento specifico.

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Pimelia grossa (tenebrionidi), tipico elementosiculo-maghrebino

Sepidium siculum (tenebrionidi), endemitasiculo

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ambientale, fortunatamente, si possonoancora riconoscere in fasce come quellefra Bibione e Caorle o fra Chioggia eRavenna.Le spiagge si prolungano ancora su granparte della costa adriatica a Sud di Rimi-ni, nelle Marche ed Abruzzo fino ad oltrePescara, però in generale l’arenile formauna striscia abbastanza sottile, essendolimitato verso l’interno dalla ferrovia, dastrade, centri abitati e dalle superfici uti-lizzate da fiorenti attività orticole. Sempre

sull’Adriatico va ricordata l’ampia fasciasabbiosa che da Termoli si sviluppa fino aisettori settentrionali del Gargano.L’Adriatico meridionale e lo Jonio presen-tano una continua alternanza di costealte, rocciose e di lidi sabbiosi. Le spiag-ge sono estese con continuità solo a Suddi Manfredonia, poi nel resto della Pugliale coste sono per lo più rocciose, pur nonmancando importanti tratti residui di più omeno sottili sistemi dunali, soprattutto nelSalento (vedi foto). Più ampi e profondisistemi spiaggia-duna sono ancora pre-senti nel tratto fra Taranto, Metaponto ePolicoro (qui con pendenze medie fra 1 e1,5%), mentre spiagge di una certaestensione si sviluppano poi all’estuariodei maggiori fiumi (Piana di Sibari, Lidi diCatanzaro).Il basso Tirreno in Campania, Basilicatae Calabria presenta analoghe caratteri-stiche, con coste prevalentemente alte erocciose, alternate a brevi lidi sabbiosi(Piana di Gioia Tauro, Piana di Sant’Eufe-mia, Golfo di Policastro); le spiagge, alcu-ne di grande bellezza, hanno quindi sol-tanto sviluppo locale. Risalendo si incon-tra l’ampia Piana del Sele, che si esten-

de fra Paestum e Salerno, poi lespiagge riprendono a Nord della

Penisola Sorrentina solo inalcuni tratti lungo le

espansioni vulcani-che dell’area di

Napoli. Da Ter-racina versoNord ripren-de il dominiodei lidi sab-

biosi, interrottida alcuni promontorirocciosi (Circeo, Civi-

tavecchia, Argentario,Uccellina, Livorno, Punta

Ala, Piombino). I valori medidelle pendenza tendono a dimi-

nuire da Sud verso Nord (1% attor-no a Viareggio).

Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti

I forti interventi antropici a carico dellecoste, verificatisi soprattutto nel secoloscorso, fanno sì che ci si trovi a descrive-re l’estensione di sistemi di lidi sabbiosiche ben raramente sono completati dallezone dunali e retrodunali che dovrebbero,in condizioni naturali, integrarli. Dei circa7500 km di costa italiani, oltre 3000 sonoinfatti rappresentati da tratti sabbiosi più omeno utilizzati dall’uomo. Malgrado ciò,sulle coste italiane le spiagge sono distri-buite un po’ dovunque, sia come ampicordoni dunali, sia come spiaggette semi-nascoste nelle cale, magari sotto ampiescogliere rocciose o al margine di mode-ste aree portuali, talora raggiungibili sol-tanto dal mare.Le coste adriatiche presentano, di fatto,un lungo lido sabbioso che si estende daMonfalcone sino al Gargano, con la solaeccezione del promontorio del Conero(Ancona) e di alcune aree fra Ortona eVasto. Il tratto settentrionale di questolitorale sabbioso, interrotto dalle lagunedi Grado-Marano e Venezia-Chioggia,rappresenta il più ampio sistema di duneitaliano, ed è costituito da una serie dilitorali sabbiosi che si sviluppano inmaniera quasi continua da Grado a Rimi-ni. Le spiagge dell’alto Adriatico hannouna ridottisima pendenza, con valori che,riferiti al tratto fra la linea di costa e l’iso-bata 5 m, sono compresi fra 0,3 e 0,7 %per salire a valori oltre l’1% attorno aPesaro e compresi fra 3 e 8% nell’areaattorno al Monte Conero.L’intero sistema dunale è il risultato, aquanto sembra, di un lungo periodo distabilità del litorale, che si sarebbe avutoal termine della fase di riscaldamento cli-matico dopo l’ultima culminazione gla-ciale. Si ipotizza che la formazione diquesto sistema dunale risalga a circa5000 anni fa, quando il naturale abbas-samento della costa, in atto da tempigeologici, ha potuto essere equilibratodall’innalzamento dovuto all’isostasi inconseguenza della fusione della calotta

glaciale alpina. In quell’epoca il clima erapiù caldo di quello attuale e questoavrebbe permesso al leccio di espander-si sul litorale; esso rimane tuttora inpopolazioni isolate sulle dune di Mesola,Rosolina ed al Bosco Nordio di S. Annadi Chioggia. In seguito il Po ruppe il cor-done di dune e queste, oggi, sono sepa-rate dal mare da alcuni chilometri di ter-raferma; sul delta le foci del Po sonoavanzate molto addentro nell’area untempo occupata dal mare. A sua voltainvece il mare ha rotto la duna in varipunti, formando le lagune. La formazionedel delta e delle lagune sono avvenimen-ti di epoca storica e di essi ci rimangonoanche testimonianze da documenti deicontemporanei. Per secoli, a partire dalMedio Evo, la Repubblica di Venezia haattuato opere idrauliche imponenti permantenere la laguna: i tagli per deviare ifiumi che sboccavano in laguna ed iMurazzi come difesa a mare. Questeopere hanno contribuito a modellare illitorale e sono state proseguite fino aiprimi del secolo XX. Nonostante i cospi-cui interventi dell’uomo, il sistema didune dell’Alto Adriatico offre tuttora il piùampio sviluppo di spiagge del nostropaese; esse negli ultimi decenni sonodivenute sede di importanti attività turi-stiche, che hanno portato il benessere inun’area prima malarica e quasi disabita-ta, ma il cui peso ambientale è evidentea tutti. Alcune aree di notevole valore

Distribuzione spaziale dei sistemi spiaggia-duna italiani

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COSTE ROCCIOSE

COSTE SABBIOSE

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rilievo e con effetti di grande portata,specialmente nelle aree euro-mediter-ranee, dove una discreta percentualedei sistemi dunali è localizzata lungopenisole molto estese latitudinalmente(come quella italiana), o in grandi iso-le, che nei periodi catatermici (freddi)hanno rappresentato già nel loro insie-me delle importantissime aree rifugia-li. L’effetto combinato della “sindromedell’ultima spiaggia” e dell’abbassa-mento del livello dei mari durante i pic-chi glaciali, con le conseguenti ampieconnessioni territoriali sia verso Estche verso Sud-Ovest, hanno spessocausato una sovrapposizione multipladi componenti faunistiche e floristiche di tipo prevalentemente ma non esclu-sivamente xero-termofilo, originatesi non solo in ambienti strettamente litoralio perilitorali (macchie e garighe mediterranee o submediterranee), ma anchein praterie steppiche, brughiere, in ambienti sabbiosi interni perifluviali e peri-lacustri, o in aree salmastre interne. In questo senso non va probabilmentetroppo sottovalutato nemmeno il ruolo svolto proprio dagli ambienti dunali eretrodunali sabbiosi come stretto “istmo ecologico termofilo” durante i periodiglaciali. Ciò potrebbe avere consentito l’accesso perilitoraneo recente di nontrascurabili componenti alofile, igrofile ma anche moderatamente termofile,quindi non solo di provenienza settentrionale, ma anche sud-orientale (Balca-ni) e sud-occidentale (Sistema Sardo-Corso, Sicilia, Nord Africa), sfruttandole mutevoli continuità territoriali consentite dall’abbassamento dei livelli delmare.Soprattutto in alcune aree del Paese, come i settori meridionali della Penisola, laSicilia e la Sardegna, gli eventi del Messiniano, e in alcuni casi anche quelli oli-gocenici, hanno certamente lasciato un’impronta di grande rilievo, consentendol’ingresso di molti elementi xerofili, psammo-igrofili o psammo-alofili, perlopiù diorigine o a prevalente distribuzione nordafricana, saharo-sindica oppure asiaticasud-occidentale che, seppure con alterne fortune, hanno potuto sopravvivere edin molti casi differenziarsi localmente a livello specifico.L’insieme di queste circostanze ha comunque prodotto anche nella fauna per-centuali insolitamente alte di elementi specializzati (“specialisti” psammofili opsammo-alofili sia primari che secondari) negli attuali ambienti dunali, rispettoal numero totale di specie che attualmente ne costituiscono in modo più omeno stabile le comunità biotiche.

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Calicnemis latreillei (dinastidi),elemento specializzato psammo-alofilo adareale frammentato

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La Liguria presenta infine coste preva-lentemente alte cui si possono alternarebrevi lidi sabbiosi, soprattutto in corri-spondenza di piccole foci fluviali, carat-terizzati sempre da pendenze significa-tive (3-6%), e da sviluppo solo locale.Come visto, il secondo esteso comples-so di litorali sabbiosi peninsulari italiani sisviluppa sull’alto e medio Tirreno tra Via-reggio e la Piana del Sele. Le coste sab-biose tirreniche di questo ampio settoredifferiscono profondamente da quelleadriatiche, sia come morfologia, siasoprattutto nel popolamento vegetaleche è caratterizzato da un mediterranei-smo molto più marcato. Tra gli elementivegetali tirrenici che mancano sull’Adria-tico si possono ricordare una miriade diagamospecie di Limonium (i gruppi di L.multiforme, L. pontium, L. remotispicu-lum ed altri), la palma nana (Chamaero-ps humilis) ed Anthyllis barba-jovis, chetuttavia si concentrano sulle coste roc-ciose; anche sulle spiagge e nelle mac-chie litorali si hanno comunque specieche non risalgono il versante orientaledella Penisola.Anche sulle isole maggiori vi sonoampie spiagge, a volte assai ben con-servate, ma più spesso esposte ad unforte impatto turistico. In Sicilia (soprat-tutto in quella settentrionale) le costesono prevalentemente alte, ma vi sialternano lidi sabbiosi, generalmentebrevi, in corrispondenza delle baie edegli estuari fluviali. La pendenzamedia di questi lidi è generalmente

Distribuzione spaziale dei sistemi spiaggia-duna italiani

attorno all’1-2%. Nelle vicinanze diPalermo, Mondello e Sferracavallo,spiagge un tempo di grande bellezzaanche naturalistica, sono ormai in granparte urbanizzate; ancora di rilievo èinvece il sistema di spiagge del Golfo diCastellammare. Le uniche fasce sab-biose abbastanza continue, estese, e,come vedremo, in alcuni tratti ancora digrande rilievo ambientale, sono quelledel versante sudoccidentale dell’ Isolache si affacciano sul Canale di Sicilia(particolarmente importanti quelle deilitorali intorno a Gela), quelle del Sira-cusano e del Ragusano, e quelle dellaPiana di Catania.In Sardegna si possono ricordaresoprattutto le coste occidentali e meri-dionali dell’Isola, in particolare quelledel Golfo dell’Asinara, le spiagge con-nesse al Golfo d’Oristano e del Sulcis, ilPoetto, la spiaggia di Quartu. Dune dirara bellezza sono quelle di Is Arenas(vedi foto), a Sud di Oristano, alcunedelle quali sono alte decine di metri, equelle tra Marina di Arbus e Capo Peco-ra, sempre nell’Oristanese.Con questo elenco si sono indicati sol-tanto i più cospicui esempi di litoralisabbiosi, nei quali si possono trovareambienti di particolare interesse natura-listico, senza avere assolutamente lapretesa di completezza ed omettendomolte zone di grande interesse turisticoche però, proprio per questo, spessohanno ormai perduto gran parte del lorovalore ambientale.

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■ Le piante colonizzano l’arenile e la duna

Generalmente le spiagge interessano soprattutto chi va al mare per divertimen-to; può sembrare inatteso che esse abbiano un grande valore anche dal punto divista naturalistico e costituiscano una componente piccola ma importante dellanostra identità culturale. In particolare, la flora delle spiagge è già da secolioggetto di studio, per le sue caratteristiche biologiche ed ecologiche del tuttopeculiari. Nel 1787 J. W. Goethe, giunto da poco a Venezia, andava sul Lido,allora quasi deserto, per una prima presa di contatto con il litorale mediterraneo:fu in questa occasione, che, dall’osservazione del teschio di un bovino restituitodal mare, ebbe la prima intuizione della teoria vertebrale del cranio.Il litorale, nella sua fascia più esterna, a diretto contatto con il mare, il cosiddet-to bagnasciuga, è sempre privo di vegetazione. Qui infatti si hanno condizioniambientali che risultano proibitive a causa delle variazioni che si succedonocon estrema rapidità: con l’alta marea, oppure durante le mareggiate, l’acquamarina spazza il litorale, che rimane impregnato di sale, mentre quando il maresi ritira, la sabbia superficiale si secca quasi completamente; basta una brevepioggia, perché il sale venga rapidamente dilavato. In questa fascia si accumu-lano i detriti portati dalle onde: a seconda delle condizioni dei fondali antistantisono in generale costituiti da nicchi di molluschi oppure da alghe ed erbe mari-ne come zostera e posidonia. Su questi resti organici si sviluppa una faunamolto ricca, costituita in parte notevole da animali che si possono spostarerapidamente quando le condizioni si fanno sfavorevoli: specie marine che risal-gono nelle pozze e sulla sabbia umida, oppure uccelli ed insetti in grado divolare. Per le piante, che non hanno possibilità di spostarsi, questo ambiente èinvece del tutto inospitale: i semi vengono spazzati qua e là dal continuo rime-scolamento della sabbia, una plantula che eventualmente riuscisse a germina-re è sottoposta all’alternanza dello stress salino con l’alta marea e dell’atmo-sfera calda e secca quando la radiazione solare è più intensa. Queste sonocondizioni estreme, che nessun vegetale è in grado di tollerare. Per questi moti-vi, sull’arenile la vita è limitata alla componente animale. Soltanto nella fasciapiù interna, al di sopra del livello massimo di marea, e dove le mareggiate pos-sono arrivare soltanto in casi del tutto eccezionali, si possono osservare i primirappresentanti del mondo vegetale.

43La vegetazione delle spiaggeSANDRO PIGNATTI

Crucianelleto nell’area dell’Argentario (Toscana)

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45Le pioniere. Nella prima fascia, ingenerale a 50 m e più dalla linea dicosta, la vegetazione è costituita sol-tanto da specie a ciclo breve: si tratta dipiante che germinano in autunno oppu-re alla fine dell’inverno ed hanno unperiodo vegetativo che a volte dura sol-tanto 1-2 mesi, nel quale compiono lafioritura, producono frutti e quindi siseccano. Ai primi di giugno i frutti siaprono e lasciano cadere i semi che,coperti dalla sabbia, rimangono quie-scenti fino all’autunno. La specie piùcomune è il ravastrello marittimo (Caki-le maritima), una succulenta. Nellafascia più arretrata si nota la comparsadi graminacee perenni come gramignadelle spiagge (Elytrigia) e sparto(Ammophila), e la loro diffusione avviail processo di formazione della duna.L’occupazione del suolo effettuata daCakile è un fenomeno del tutto occa-sionale, nel quale si associano altrespecie a ciclo breve come la salsolaerba-cali (Salsola kali) e l’euforbia dellespiagge (Euphorbia peplis): la copertu-ra della superficie è molto bassa, spes-so appena il 5 % del totale, ed alla fine

del periodo vegetativo rimangono soltanto pochi sterpi secchi, che vengonoportati via dal vento; i semi nell’anno successivo germineranno probabilmentealtrove. Si tratta dunque di una fase pioniera del tutto instabile. Tuttavia essa ègià sufficiente a formare un ostacolo alla sabbia portata dal vento, che in qual-che punto comincia ad accumularsi.

Dune embrionali. In questo processo si inserisce Elytrigia juncea (più notacon il nome di Agropyrum junceum), che è una graminacea perenne psammo-fila, cioè adattata alla vita sulla sabbia. Essa ha la necessità di distanziare l’ap-parato radicale dalla falda profonda del suolo, che è costituita da acqua salma-stra, e soltanto i semi caduti su questi accumuli di sabbia producono piante ingrado di svilupparsi. A differenza di Cakile e Salsola si tratta di una specie cheproduce rizomi orizzontali: questi strisciano sulla sabbia oppure si propagano a

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Sparto (Ammophila littoralis)

Elytrigia juncea

Ravastrello marittimo (Cakile maritima)

Nella fascia più interna le spiagge han-no la tendenza a modellarsi e costituireondulazioni alte 4-6 m sul livello delmare: le dune. Nelle fasce sabbiose piùristrette può trattarsi soltanto di sabbiaaccumulata contro un argine oppure lascarpata della strada litoranea; doveinvece la formazione sabbiosa è ampia,le dune costituiscono una fascia profon-da centinaia di metri. Si tratta di unambiente il cui aspetto primigenio vieneimmediatamente percepito dal visitato-re, dove volentieri ci si ferma a campeg-giare, ed anche un obbiettivo classicoper le ricerche dei naturalisti.La prima interpretazione scientifica diquesto ambiente è dovuta ad uno stu-dioso francese, Kuhnholz-Lordat, cheattribuisce la genesi delle dune all’inte-razione tra vento e vegetazione, checostituiscono il “binomio dinamico”: inrealtà anche un terzo fattore è necessa-rio, e cioè la presenza di sabbia, perchése il suolo fosse roccioso le dune non sipotrebbero formare. Sembra dunquepiù realistico parlare di un trinomiodinamico:

Il trinomio dinamico Sandro Pignatti

Il vento, sostanzialmente la brezzamarina, che si ripete quasi ogni giorno,sposta la sabbia verso l’interno; lavegetazione che si impianta su questacostituisce un ostacolo e la sabbia siammucchia formando la duna. Quandosi hanno bufere con vento intenso leparti più elevate e più esposte vengonoinvece erose e la sabbia viene portatalontano, e questo processo è tanto piùintenso quanto più alta è la duna. Sistabilisce così un livello di compensa-zione, nel quale deposizione ed erosio-ne si equilibrano ed in questo modo vie-ne regolata l’altezza della duna. Sullecoste che fronteggiano gli oceani sipossono avere dune molto elevate, finoa 20-30 m e più.La duna è un ambiente del tutto specia-le. Le particelle della sabbia non sonoin grado di trattenere l’umidità e le pian-te debbono adattarsi ad un substratoquasi privo di acqua e che sotto l’azio-ne del sole può raggiungere temperatu-re elevate; invece la salinità è moltobassa, contrariamente a quanto sipotrebbe pensare, data la vicinanza delmare, in quanto il sale portato dall’aero-sol marino viene facilmente dilavatodalle piogge. Tutti i fenomeni della vitavegetale ed animale debbono essereregolati in modo da poter tollerare sen-za danni queste condizioni.

VENTO SABBIA DUNA

VEGETAZIONE

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ne. Non è raro, dopo queste burrasche, vedere piante di Ammophila completa-mente scalzate dal suolo e con le radici scoperte. In generale dopo questi trau-mi però la graminacea rimane vitale ed in poco tempo si deposita nuova sabbiache permette alle radici di riprendere la loro funzione vegetativa.Con la costruzione della duna la vegetazione psammofila raggiunge uno stadiodi maturità. Nell’ammofileto troviamo ancora: erba medica marina (Medicagomarina), assieme a vilucchio marittimo (Calystegia soldanella), zigolo dellespiagge (Cyperus capitatus), euforbia marittima (Euphorbia paralias), calca-treppola marittima (Eryngium maritimum), finocchio litorale spinoso (Echi-nophora spinosa), giglio marino comune (Pancratium maritimum), camomillamarina (Anthemis maritima), ginestrino delle spiagge (Lotus commutatus), vio-laciocca (Matthiola spp.) ed altre; la copertura sale di norma al 50-70 %.Anche la vita animale è abbondante, soprattutto per la presenza di numerosissi-mi esemplari di alcuni molluschi (in particolare Theba pisana): i nicchi vengonospostati facilmente dal vento ed accumulati sul fianco della duna, assieme aresti delle conchiglie spiaggiate sulla riva del mare. I nicchi vengono sbriciolatied il carbonato che li costituisce va ad arricchire il suolo.L’ammofileto è uno stadio durevole, pur nelle continue variazioni imposte dalvento, e si può mantenere indefinitamente. Le prime dune verso il litorale (dunebianche) sono le più esposte al vento marino, mentre le dune più interne (dunegrigie) sono maggiormente protette. Nelle dune più esposte le piante possonomantenersi solo con speciali adattamenti: Ammophila non viene mai sommer-

47qualche centimetro di profondità econsolidano il suolo sabbioso; i culmifioriferi sono alti 3-4 dm. Alla fase pio-niera segue così una vera e propriacolonizzazione: la differenza è essen-ziale, perché le piante di Elytrigia jun-cea si mantengono per molti anni el’occupazione del suolo diviene perma-nente; sull’ostacolo rappresentato daifusti di questa graminacea la sabbia sideposita formando piccoli accumuli, altitalora fino a pochi decimetri: le duneembrionali. Si offre così ad altri semi lapossibilità di germinare ad una certadistanza dalla falda salmastra e lavegetazione si propaga.Anche in questo caso la copertura del-la superficie rimane bassa, tuttaviaessa può raggiungere il 20-30 % del

totale. Inizia in questo modo un processo di auto-organizzazione: la vegetazio-ne si costruisce il proprio ambiente.

Formazione della duna. Un ulteriore processo di sviluppo si avvia quando sul-la duna embrionale compare un’altra graminacea psammofila perenne: lo spar-to pungente (Ammophila littoralis = A. arenaria). La differenza rispetto ad Elytri-gia juncea è importante, benché si tratti di specie della stessa famiglia. In Ely-trigia juncea i culmi crescono isolati e le foglie sono distanziate l’una dall’altra,flaccide e spesso aderenti alla superficie della sabbia; invece Ammophila harobusti culmi eretti, alti fino a un metro e mezzo, le foglie sono anch’esse eret-te e formano un cespo denso alto un metro e più. La pianta cresce formandouna copertura generale del suolo, che può estendersi su parecchi metri qua-drati, e dove è impossibile decidere se si tratta di un solo individuo oppure dimolti individui inestricabilmente mescolati. Questo costituisce una barriera allasabbia portata dal vento, che si deposita tra i fusti di Ammophila, alzando illivello della duna; fusti e foglie crescono a loro volta e la duna s’innalza. Il pro-cesso di auto-organizzazzione continua.La duna è un ambiente estremamente instabile. La sabbia si accumula allabase di Ammophila, mentre i lati della duna, in forte pendenza, sono spessosede di intensi processi erosivi. Sulle coste tirreniche, una singola libecciatacon forte vento, della durata di poche ore, può asportare strati di sabbia anchedi parecchi decimetri, che ovviamente vengono ridepositati su altre dune vici-

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Calcatreppola marittima (Eryngium maritimum) Camomilla marina (Anthemis maritima)

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si aggiunge lo spillone delle spiagge (Armeria pungens). Sulle coste dell’AltoAdriatico, da Grado a Rimini, si ha invece lo scabioseto, con Scabiosa argenteavar. alba (vedovina delle spiagge) e l’apocino veneto (Trachomitum venetum),mentre spesso la superficie della duna è coperta da un tappeto del muschioTortula ruraliformis, assieme a vari licheni: questa vegetazione crittogamica sisviluppa soprattutto nei mesi invernali, quando la sabbia è più umida, e puòarrivare anche ad una copertura totale del suolo. Anche le specie annuali sonomolto diffuse e soprattutto in primavera possono dare splendide fioriture, adesempio ononide screziata (Ononis variegata) e Silene colorata.È molto interessante notare come su queste dune consolidate possa compari-re, sia pure sporadicamente, qualche individuo di piante legnose, che normal-mente crescono come arbusti o alberi, ma qui rimangono in generale di picco-le dimensioni: qualche ginepro, leccio o lentisco sulle coste meridionali, oppurela ginestra (Spartium junceum, ginestra odorosa) sulle coste venete. Si tratta diuna tendenza che col tempo si affermerà sempre più fino alla formazione dellamacchia e della selva litoranea. Lungo le dune consolidate delle regioni meri-dionali compaiono con una certa frequenza anche altre leguminose arbustive,come la rara ginestra bianca (Retama raetam subsp. gussonei) in Sicilia o lecuriose efedracee del genere Ephedra (Ephedra fragilis ed E. distachya).Soprattutto lungo le dune nei pressi di foci fluviali lungo quasi tutta la Penisolae le Isole maggiori o in corrispondenza di ampie fiumare nel meridione, abbon-dano sovente anche le tamerici (Tamarix spp.).

Le lacune interdunali. Nel paesaggio dunale stabilizzato si viene tuttavia aformare un ambiente di aspetto del tutto differente, modellato dallo scorrimentodell’acqua meteorica verso le vallecole interposte tra l’una e l’altra duna. Siavviano in questo caso dei processi che spostano materiale dal sommo delladuna alla base di questa: si tratta delle particelle più fini e della materia organi-ca derivante dal disfacimento dei vegetali. Inoltre l’acqua arricchita di anidridecarbonica ha funzione debolmente acida e scioglie il calcare presente nellesabbie oppure nei nicchi dei molluschi accumulati sulla duna. In questo modo siha un processo di dilavamento, la lacuna interdunale tende lentamente adabbassarsi e si compatta sempre più; nel suolo si accumula il materiale fine(limo e argilla) e l’acqua della falda ha maggiore possibilità di risalire per capil-larità. Dopo un tempo prolungato, che va misurato in decenni oppure un secoloo più, tra le dune consolidate si forma una fascia di ambienti umidi, a volte convero e proprio carattere palustre, almeno in inverno.Nella fascia interdunale flora e fauna sono del tutto differenziate rispetto all’am-biente di duna. Vengono a mancare i problemi meccanici generati dalla mobilitàdelle sabbie e dall’azione del vento ed il fattore selettivo primario diviene lacapacità di raggiungere con le radici la falda acquifera. Per questo si nota subi-

49sa dalla sabbia perché le sue fogliesono molto più lunghe di quanto si pos-sa accumulare in breve tempo; altrespecie sono invece annuali ed affidanola sopravvivenza ai semi. Negliambienti più protetti è permessa lasopravvivenza anche a piante che, peravere gemme prossime al terreno(camefite), potrebbero venire danneg-giate dai movimenti della sabbia. Siprepara così un ulteriore cambiamentodella vegetazione.

Le dune consolidate. Le dune dellafascia più interna hanno altezza simile aquelle che ospitano l’ammofileto, però sidistinguono per un profilo più dolce, confianchi in lieve pendio. Ammophila rima-ne presente anche in questa fascia,però in generale si tratta di individui didimensioni minori e con crescita menodensa. Il substrato anche qui è sabbio-so, tuttavia con una certa componentedi terra fine, così da risultare maggior-mente compatto. La copertura del suoloè più ampia che nelle fasi precedenti,grazie alla presenza di specie di piccoledimensioni. La deposizione di sabbiaportata dal vento qui è quasi completa-mente cessata, ed anche i processi ero-sivi, grazie alla copertura vegetale, sonoridotti: la serie dunale qui appare abba-stanza stabilizzata.Sulle coste mediterranee in questoambiente si ha il “crucianelleto”, conspecie psammofile lignificate alla basequali la camomilla marina, Crucianellamaritima (che dà il nome all’associa-zione), la santolina delle spiagge(Otanthus maritimus=Diotis maritima);nella Sardegna settentrionale a queste

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Ononide screziata (Ononis variegata)

Santolina delle spiagge (Otanthus maritimus)

Efedra (Ephedra sp.)

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to una prevalenza delle geofite, piante con rizomi sotterranei come giunco nerocomune (Schoenus nigricans), giunco marittimo (Juncus maritimus), giunco pun-gente (Juncus acutus) ed altre.Tuttavia qui si innesta un problema che finora ave-va avuto poco significato: la salinità. Le piante di duna utilizzano soprattutto l’ac-qua piovana e - come già detto - non hanno particolari problemi di resistenza allasalinità. Invece le piante delle lacune interdunali attingono alla falda che, data lapoca distanza dal mare, è infiltrata di acqua marina. In generale si tratta di acquasalmastra, cioè con salinità ridotta, però con forti variazioni stagionali: in inverno,quando le piogge sono abbondanti, l’ambiente ha acqua quasi dolce, in estateinvece, mancando le piogge, la forte evaporazione accentua la risalita dell’acquasalmastra, ed in superficie si concentra la salinità. La risposta delle piante a que-sto fattore ecologico può variare; troveremo quindi:- alofite obbligate (specie che vivono esclusivamente in ambiente con salinitàbassa ma più o meno costante): canna del Po (Erianthus ravennae), giunchet-to minore (Holoschoenus romanus), Juncus maritimus, Juncus acutus, Limo-nium caspium, piantaggine a foglie grasse (Plantago crassifolia);- specie alo-tolleranti (che di regola vivono in ambienti continentali, ma posso-no sopportare la salinità, purché bassa): centauro giallo (Blackstonia serotina),Centaurium spp., elleborine palustre (Epipactis palustris), genziana mettimbor-sa (Gentiana pneumonanthe), gramigna altissima (Molinia altissima), cannuc-cia di palude (Phragmites australis), piantaggine di Cornut (Plantago cornuti) egiunco nero comune.

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Come già affermato, il fattore ecologicoprimario per le piante di spiaggia è datodalla mobilità della sabbia per effetto delvento e dalla difficoltà di procurarsi l’ac-qua, e non dalla presenza di sale.Per comprendere il significato del salenell’ambiente della spiaggia, bisognatenere presente che la sabbia è un sub-strato costituito da particelle molto piùgrandi di quelle di un normale terrenoagrario o forestale. Nei suoli si possonodistinguere tre componenti, di diametroprogressivamente minore: sabbia, limoe argilla. Nei suoli dell’interno, limo eargilla prevalgono, nella spiaggia invecela sabbia costituisce il 100 % o quasi delsubstrato. I granelli di sabbia sono pic-coli e non arrivano a costituire una mas-sa compatta come le particelle di limo edi argilla: caratteristica essenziale dellasabbia è quindi di rimanere incoerente.Per questo la sabbia risulta estrema-mente permeabile all’acqua.Il sale è disciolto in grande quantità(concentrazione del 34-37 ‰) nell’ac-qua marina; non si tratta del solo clorurodi sodio, ma esso è accompagnato daquantità minori di altri cloruri, bromuri,solfati, ecc.L’acqua marina imbeve la sabbia e costi-tuisce una falda salata: le radici chepotessero raggiungerla non potrebberoassorbire acqua a causa dell’elevatapressione osmotica determinata dai saliin soluzione. Così le piante di duna sitengono lontane dalla falda salata eallungano le loro radici orizzontalmente,negli strati superficiali, formando una

Il significato della salinità Sandro Pignatti

rete sviluppatissima. L’acqua piovanainumidisce la sabbia, e le radici diAmmophila (vedi foto) e delle altre spe-cie psammofile sono in grado di cattu-rarla prima che scenda per gravità e simescoli alla falda salata. Dunque, lespecie delle dune utilizzano l’acqua del-le precipitazioni, come qualsiasi piantadell’interno, e non si avvantaggiano dal-la vicinanza dell’immensa quantità diacqua marina.Il solo apporto salino nell’ambiente del-le dune è dato dall’aerosol provocatodal moto ondoso: in prossimità dellacosta l’atmosfera porta una notevolequantità di acqua contenente sale inconcentrazione poco differente da quel-la dell’acqua marina. Però il frangeredella risacca sui lidi sabbiosi in regimedi brezza è un fenomeno limitato, alme-no da noi (sulle coste dell’oceano lasituazione può essere differente) e ladeposizione di sale si limita ad unafascia di qualche decina di metri, talorasolo pochi metri dal bagnasciuga. Ilfenomeno è più marcato durante le bur-rasche invernali e sulle coste rocciose,dove l’apporto salino può essere sensi-bile anche 100 e più metri al di sopradel livello del mare.L’acqua salata eventualmente portatadall’aerosol si deposita sulla superficiedella sabbia e sulle piante che vivono suquesta: l’acqua evapora ed il sale rima-ne in forma cristallina, dunque relativa-mente innocua per la pianta. Alla primapioggia il sale, che è solubilissimo, siscioglie, passa nella sabbia, fortementediluito, e non disturba ulteriormente lapianta. Per questi motivi solo raramentesi constatano danni da sale causati apiante della duna.Da queste considerazioni si può com-prendere perché le specie delle lacuneinterdunali, che attingono direttamentealla falda salmastra, risultino adattatead un ambiente del tutto distinto daquello della duna.

Composizione granulometrica della sabbia sulla duna di Punta Sabbioni, Venezia. In rosso la sabbia fine(200-50µ) e in blu la sabbia grossolana (1000-200µ)

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La vegetazione cespugliosa delle dune può venire osservata solamente in zonea clima mediterraneo: essa è costituita da ginepri di grandi dimensioni. Anche lespecie accompagnatrici sono per lo più arbustive, come lentisco, fillirea ed i cisti;ad esse a volte si unisce anche il leccio, però sempre a portamento arbustivo.Su antichi complessi dunali ormai consolidati si possono avere altri tipi di vege-tazione arbustiva, come la macchia a cisti oppure la macchia a lentisco ed olivoselvatico con la palma nana (Chamaerops humilis), il mirto (Myrtus communis),la fillirea a foglie strette (Phillyrea angustifolia), l’asparago pungente (Asparagusacutifolius) e l’edera spinosa (Smilax aspera). La macchia mediterranea èampiamente trattata nel relativo volume di questa collana.La selva litoranea è in generale costituita da pinete, tuttavia non si deve da que-sto dedurne che la vegetazione delle spiagge tenda naturalmente verso lapineta. Infatti nella maggior parte dei casi si tratta di pinete impiantate, o per lomeno mantenute tali, dall’uomo. Ce ne rendiamo conto anche dalle specie dipini che vi compaiono: Pinus pinea, P. pinaster e P. halepensis. Il primo è speciespontanea nella parte meridionale della Penisola Iberica e da noi compare sol-tanto come specie coltivata, salvo - forse - la pineta dei Peloritani in Sicilia. Ilpino marittimo (Pinus pinaster), nonostante il nome, è specie dell’entroterra,diffusa in Liguria e Toscana settentrionale; sulle dune della costa tirrenica inve-ce è in condizioni di coltura. Il pino d’Aleppo infine è spontaneo nelle zone piùcalde della Penisola e nelle Isole, però si presenta soprattutto in ambienterupestre, ed anche qui le pinete litoranee, come ad esempio a Palinuro ed in

53In questo ambiente si ha pure la pre-senza di una ricca avifauna, che contri-buisce a regolare i rapporti tra le specievegetali. Si può ricordare un episodiomolto significativo. Durante la secondaguerra mondiale a S. Nicolò di Lido, sullitorale veneziano, erano stati costruitidei bunker in cemento, nascosti tra ledune dell’ammofileto. Alla fine delleostilità (aprile 1945) vennero fattiesplodere e ne rimasero dei crateriprofondi alcuni metri; sul fondo di que-sti la falda formava un piccolo laghettosalmastro. Già nel 1950 si poteva con-statare come alcuni di questi laghettifossero stati invasi dalla palla-liscacostiera (Schoenoplectus litoralis), confusti alti più di un metro. Si tratta di unaspecie che nonostante il nome non è

esclusiva dei litorali, mai osservata sull’isola del Lido di Venezia, ma sporadica-mente diffusa alle foci dei fiumi dal Piave all’Isonzo. Le popolazioni più prossi-me distavano una ventina di chilometri; i frutti sono piccoli, sferici, lisci, nonpossono venire portati dal vento, e non avrebbero potuto arrivare galleggiandosulle acque, perché i laghetti di S. Nicolò erano privi di ogni connessione conaltre acque dolci o salate. La spiegazione più verosimile è un trasporto da par-te di uccelli, perché i frutti possono aderire al piumaggio, oppure più probabil-mente, attraverso il canale intestinale (disseminazione endozoocora). Rimanecomunque impressionante il breve tempo sufficiente perché questa specie riu-scisse ad occupare la nicchia vacante.Le zone umide interdunali ospitano una flora di grande valore ambientale e leinterazioni tra le specie a livello di comunità sono del tutto peculiari: però questiecosistemi sono ora in fase di rapida scomparsa, come in generale tutte lezone umide in Europa.

■ Macchia e selve litoranee

La vegetazione dei litorali sabbiosi raggiunge la sua forma più complessa nellafascia di transizione all’ambiente continentale, quando la superficie viene occu-pata da specie legnose: in generale una macchia di piante cespugliose costi-tuisce la fase pioniera, che, quando le condizioni diventano favorevoli, vienesostituita da foresta d’alto fusto.

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Pino marittimo (Pinus pinaster) Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) Pino domestico (Pinus pinea)

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almeno in parte: quindi il calore provocal’evaporazione dell’umidità contenutanella sabbia e contribuisce a renderlapiù secca; d’altra parte, la sabbia si sur-riscalda proprio per il fatto di esseresecca.Si nota un costante aumento dall’areni-le aperto alla duna ed infine all’ambien-te colonizzato dalle specie legnose(macchia e selva). Questo è dovuto alprogressivo accumularsi di una frazionedi terra fine (limo ed argilla), che riescea trattenere una crescente quantità diacqua; comunque si tratta di valoriestremamente bassi. In effetti, cometutti sanno, la sabbia durante le oremeridiane in superficie è del tutto sec-ca, almeno nei mesi estivi. Le radici sisviluppano in profondità, dove però ivalori di umidità restano molto bassi, ecomunque non possono attingere alla falda che è salina e risulterebbe tossica.Le temperature sulla spiaggia sono molto diversificate: ce ne rendiamo facilmen-te conto durante una giornata di vacanza al mare in estate. L’acqua del marepresso la costa può arrivare nei nostri mari a 22°-25° e sopra la superficie delmare la temperatura atmosferica è poco superiore, in generale tra 25° e 30°; sulbagnasciuga la continua evaporazione dell’acqua ha un effetto decisamente refri-gerante e le temperature possono essere anche inferiori. Però, quando ci si inol-tra sull’arenile, le temperature crescono rapidamente e verso il mezzogiorno benpochi riescono a camminare sulla sabbia a piedi nudi: la sensazione di dolore sul-la pianta del piede compare quando la temperatura della sabbia supera i 48°-50°.Sulla duna si possono avere temperature massime di 60° e più.Una prima generale conseguenza per le piante consiste in una drammatica dif-ficoltà di procurarsi l’acqua indispensabile per mantenere attivo il metabolismocellulare. Le alofite sono le piante che vivono sul fango lagunare salato. Essehanno un problema analogo e l’hanno risolto elevando la pressione osmoticadei liquidi cellulari: in questo modo riescono ad assorbire l’acqua della falda,lasciando il sale nel substrato. Questo tuttavia alle piante di spiaggia non riescedi alcuna utilità: infatti quando l’acqua nel suolo non c’è, non si può cercare diassorbirla, ed alzare la pressione osmotica non serve a nulla.Consideriamo ora i principali adattamenti delle piante di spiaggia a queste proi-bitive condizioni ecologiche. Va in ogni caso affermato chiaramente che ogni

55Sardegna a Porto Pino, sono probabilmente coltivate. Le pinete litoranee hannouno splendido effetto paesaggistico, ma dal punto di vista ambientale sonopiuttosto scadenti, fatta eccezione per quelle realmente naturali. Nelle pinete dirimboschimento in generale si ha un eccezionale accumulo di aghi sul terreno,ed essi soffocano o banalizzano il sottobosco: alla fine il pino rimane solo, inuna sorta di monocoltura. Soltanto mediante diradamenti successivi è possibi-le indurre la ripresa delle specie di macchia, ed avviare una conversione versola lecceta nella zona mediterranea.Sulla costa dell’Alto Adriatico, da Ravenna a Grado, dove il clima è del tipo tem-perato, le latifoglie arbustive (fillirea, corniolo, ligustro, ecc.) soppiantano pro-gressivamente il pino ed avviano il passaggio verso il querceto. Il tipo più com-plesso di vegetazione sulle dune più arretrate è costituito dalle querce: nellazona mediterranea si tratta del leccio (Quercus ilex), mentre sulla costa tirreni-ca e sull’Alto Adriatico si tratta di querceto misto con farnia, farnetto, cerro(Quercus robur, Q. frainetto, Q. cerris). Il querceto misto è un ambiente foresta-le di grande bellezza (cfr. il volume “Le foreste della Pianura Padana” di questacollana): gli individui più maestosi possono raggiungere 4-5 secoli di età edun’altezza di 18-25 m; la flora del sottobosco è ricca di specie arbustive, ma lamassima differenziazione è raggiunta dalla flora erbacea.Meno ricca è la flora della lecceta, perché in generale si tratta di un bosco mol-to fitto, nel quale il denso fogliame dello strato arboreo sottrae quasi completa-mente la luce al sottobosco. La specie dominante è il leccio, quercia sempre-verde, di dimensioni minori rispetto alle latifoglie (alta in generale 12-20 m), main questo ambiente estremamente rigogliosa (cfr. il volume “La macchia medi-terranea” di questa collana).

■ Adattamenti

Per comprendere il significato degli adattamenti delle piante delle spiagge, èanzitutto necessario approfondire alcuni aspetti dell’ecologia del tutto particola-re di questo ambiente. Infatti esso presenta per le piante condizioni che posso-no venire considerate estreme, cioè ai limiti della sopravvivenza per la maggiorparte delle specie della nostra flora, e per questo si può ritenere che le psam-mofite (cioè le piante delle sabbie) debbano superare stress che sulla maggiorparte delle altre piante avrebbero conseguenze letali. Come si è già visto nellepagine precedenti, questi stress non derivano tanto dalla salinità, nonostante lavicinanza del mare, ma dalla secchezza dell’ambiente e dal calore. La secchez-za è dovuta soprattutto al fatto che la sabbia, per le caratteristiche fisiche deigranelli che la compongono, trattiene l’acqua piovana solo in piccola parte ecomunque per breve tempo. Il calore è dovuto alla radiazione solare, diretta-mente incidente sulla superficie della sabbia. I due effetti sono connessi tra loro,

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Euphorbia peplis, un’euforbiacea prostrata suuna duna siciliana

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● Annualità. Un adattamento di tipo temporale e non morfologico è dato dalristretto periodo vegetativo. La vita si svolge nel breve periodo invernale-prima-verile, quando le piogge sono più frequenti ed il calore non raggiunge i picchiestivi: Euphorbia peplis, Ononis variegata, Pseudorlaya pumila (lappola dellespiagge), Silene colorata, Vulpia fasciculata (paleo delle spiagge).Probabilmente gli adattamenti più importanti sono però di carattere ecofisiolo-gico, riguardano cioè la capacità di compiere determinati processi vitali anchein condizioni estreme di secchezza e disidratazione, tuttavia su questo argo-mento siamo ancora scarsamente informati.

■ Successione della vegetazione

La vegetazione, come ogni oggetto vivente, è un sistema aperto, in continua tra-sformazione. L’immagine che noi possiamo avere della vegetazione non è dun-que statica ma essenzialmente dinamica. Si parlerà quindi di “successione”quando, come scrive Mc Cormick: “…in un determinato sito differenti fitocenosi(ossia aggruppamenti vegetali) si presentino in successione temporale”.Si tratta cioè di formazioni vegetazionali che prendono il posto l’una dell’altra inun alternarsi ben definito e per nulla casuale.L’insieme delle associazioni che regolarmente si presentano in una successio-ne costituisce una serie (ad esempio la serie dal cakileto alla macchia).Le spiagge sono un classico esempio per gli studi sulle successioni: su questoargomento Kuhnholtz Lordat ha fondato la sua teoria del binomio (o trinomio)dinamico, ed addirittura Lancisi per primo, già nel sec. XVIII, propose la “suc-cessione” come modello scientifico. Ridotta ai suoi termini essenziali, il succe-dersi della vegetazione delle spiagge può venire esemplificato come in figura.

57pianta ha una propria strategia diversada quella di ogni altra e che, comun-que, su questo argomento ne sappia-mo ancora ben poco; possiamo soltan-to limitarci ad alcuni esempi:● Succulenza. Le piante di spiaggiache posseggono parti carnose, nellequali possono conservare una riservad’acqua, sono relativamente poche, adesempio Calystegia soldanella, Cakilemaritima.● Pelosità. Le foglie ed i fusti giovanisono coperti da un feltro compatto dipeli, che protegge la pianta da unaeccessiva traspirazione, ad esempioOtanthus maritimus, erba medica mari-na (Medicago marina).● Rizomi striscianti sotto la sabbia. Gliapparati radicali vengono sottratti alletemperature troppo elevate della coltresabbiosa. Li si può osservare nellepiante di tipo graminoide di quest’am-biente: Ammophila littoralis, Cyperuscapitatus, Elytrigia juncea, Sporoboluspungens. Queste specie presentano labase del culmo avvolta da un manicot-to di guaine fogliari secche, ed anchequesto può costituire una protezionedal surriscaldamento. Presentano unapparato sotterraneo ben sviluppato,pur non essendo graminacee, ancheEryngium maritimum, Euphorbia para-lias, Echinophora spinosa e il gigliomarino comune (Pancratium mariti-mum).● Foglie coriacee. La spessa cuticulae la scarsità di stomi limitano la perditad’acqua per traspirazione, come avvie-ne in Salsola kali, Echinophora spino-sa, Crucianella maritima, Eryngiummaritimum.

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Erba medica marina (Medicago marina) Serie della vegetazione in un sistema di spiaggia-duna

Finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa)

Giglio marino comune (Pancratium maritimum)A

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VEGETAZIONE

AZIONE DEL VENTO

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rispetto alla situazione di sessant’anni prima. In questo periodo di tempo si èeffettivamente avuta la successione delle associazioni come mostrato nelloschema (pag. 57), però in maniera molto più caotica, con continue azioni e rea-zioni. Nel complesso, il modello diacronico appare più realistico, anche se piùcomplicato; ma sappiamo tutti che i fenomeni vitali sono complicati.La successione nella vegetazione trova una spiegazione nelle progressive varia-zioni delle caratteristiche del substrato. Quando si percorre la duna sembra chela sabbia sia sempre uniforme, invece precise analisi fisiche e chimiche possonorivelare differenze molto significative che ci permettono di comprendere comeavvengano le fini variazioni in questo ambiente. Non si può in questa sede entra-re nei dettagli, tuttavia sembra sufficiente fornire qualche dato sulle variazioni del-le dimensioni delle particelle che compongono la sabbia (vedi pag. 50).Si nota come l’arenile privo di vegetazione abbia la sabbia più grossolana (dia-metro da 200 a 1000 micron); le dimensioni dei granelli rimangono quasi iden-tiche nell’agropireto, mentre nell’ammofileto si ha una netta diminuzione; nelloscabioseto ed ancor più nelle lacune interdunali la sabbia grossolana divienemolto meno abbondante e viene in gran parte sostituita da sabbia fine con par-ticelle a diametro inferiore a 200 micron. A queste si accompagnano le paralle-le variazioni del microclima (vedi grafico sopra), e combinando questi due datiè possibile definire una nicchia ben precisa per ciascuna delle associazioniconsiderate.

59Questo modello, che evidenzia la serie dal cakileto alla macchia, è sufficiente-mente chiaro ed è facilmente riscontrabile in moltissimi esempi nel Mediterra-neo e sulle coste oceaniche, tuttavia esso lascia un po’ insoddisfatti: infattidescrive cambiamenti che riscontriamo nella vegetazione percorrendo un tran-setto lineare, dalla riva del mare verso l’interno. È lecito però chiedersi doverisieda il dinamismo di tipo temporale, se cioè la successione avvenga sia nel-lo spazio (dal litorale verso l’interno) che nel tempo, nel corso degli anni. Larealtà è infatti molto più complessa.Per chiarire le cose si possono confrontare due modelli, rispettivamente sincro-nico e diacronico, che in questo caso rappresentano diversi livelli di approfon-dimento nella comprensione del fenomeno:● Sincronico. L’insieme della vegetazione vista in un momento dato, corrispon-de sostanzialmente allo schema di pag. 57.● Diacronico. La successione, come ci appare quando venga seguita nel corsodegli anni, decenni, secoli; ad esemio in un sistema ad elevata dinamicità comequello spiaggia-duna, in uno stesso punto si possono susseguire, anche in lassidi tempo relativamente brevi, associazioni vegetazionali differenti.In realtà i fenomeni biologici hanno in generale andamento ciclico, ed anche lasuccessione presa in esame rientra in questo modello.Ad ogni passaggio di stagione e via via negli anni (a meno di grossi turbamen-ti esterni, quali catastrofi naturali o interventi antropici) i vari tipi di vegetazione(che nel modello sincronico appaiono stabili nella loro posizione) si stabilisconosu posizioni più avanzate. Alla fine avremo di nuovo un modello sincronicouguale al precedente ma il tutto è frutto di un processo diacronico che si è svol-to durante decenni.Ogni anno la vegetazione ha una determinata crescita, poi seguono fioritura,fruttificazione, alcune piante perdono le foglie, altre si seccano completamen-te, poi nell’anno successivo il ciclo riprende con crescita, fioritura, ecc., peròsu posizioni un po’ più avanzate, e poi avanti, avanti, si passa da uno stadioall’altro, da un’associazione all’altra. Si ottiene quindi lo schema precedente,sincronico, ma il processo è intrinsecamente diacronico: esponendolo inmaniera sincronica il fenomeno viene linearizzato e se ne perde la comples-sità.In effetti può anche succedere di aver l’occasione di osservare il fenomeno inserie diacronica. Sulla spiaggia di Punta Sabbioni, presso Venezia, vennecostruito, ai primi del sec. XX, il molo foraneo per evitare l’insabbiamento delporto. Esso, secondo la cartografia del tempo, si addentrava nel mare su fon-dali di 1-2 metri. Dopo la costruzione del molo, la sabbia ha cominciato adaccumularsi sul lato ad Est. Nel 1950-52, in occasione di rilevamenti sullavegetazione, la spiaggia era avanzata nel mare di oltre 500 m rispetto a quan-to verificato nel 1937-39. Oggi la linea di spiaggia è di oltre un km più avanzata

58

ARENILE

40 °C39 °C38 °C37 °C36 °C35 °C34 °C33 °C32 °C31 °C30 °C29 °C28 °C27 °C26 °C25 °C24 °C23 °C22 °C21 °C20 °C

ore 09 ore 10 ore 11 ore 12 ore 13 ore 14 ore 15 ore 16 ore 17 ore 18 ore 19

AGROPIRETO AMMOFILETO SCABIOSETO

Variazione della temperatura in un sistema spiaggia-duna

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decisamente rispetto a quella della flo-ra italiana considerata nel suo com-plesso.In particolare, per quanto riguarda laforme biologiche si nota che sullespiagge prevalgono specie annuali especie erbacee con organi sotterranei,mentre nella flora italiana il gruppo pre-valente è costituito dalle erbaceeperenni.Più complessa appare la situazioneper quanto riguarda i corotipi: le medi-terranee (specie meridionali) sonoampiamente rappresentate in entrambii casi, ma le specie settentrionali, moltoabbondanti nella flora italiana, sullespiagge sono ridotte ad una compo-nente del tutto secondaria; invece sullespiagge sia le specie occidentali chequelle orientali sono decisamente piùabbondanti che nel totale della nostraflora.

61■ L’origine della flora litoranea

Alcune evidenze ci permettono di ipo-tizzare che l’origine della flora litoraneasia molto antica: infatti si ritrovano simi-li gruppi e adattamenti sui due lati del-l’Atlantico settentrionale, in Europa eNordamerica, quindi si può supporreche questa vegetazione fosse già esi-stente nel Terziario quando gli scambifloristici tra i due continenti erano anco-ra possibili.Alcuni casi possono venire discussi:Elymus farctus s.l. è un gruppo (cheinclude anche gli affini generi Agropy-rum, Elytrigia ed Eremopyrum) con-centrato negli ambienti subdeserticidell’Asia Centrale; si hanno diversesottospecie distribuite sulle coste atlan-

tiche e sulle spiagge mediterranee. Sembra, dai dati cromosomici, che il tipoatlantico sia quello ancestrale, mentre la stirpe diffusa nel Mediterraneo rap-presenterebbe l’ultimo arrivato nell’evoluzione del gruppo.Anche in Ammophila si hanno sottospecie distinte sulle coste atlantiche emediterranee, qui però si tratta probabilmente di un gruppo di derivazione occi-dentale. Più problematica è l’interpretazione di Juncus litoralis, che è stretta-mente collegato a J. acutus, specie decisamente alofila, largamente distribuitasui suoli salati. J. litoralis è invece strettamente localizzato nell’ambiente dellelacune interdunali, su suolo sabbioso salmastro: è stato lungamente ritenutospecie endemica in Italia (con il nome di J. tommasinii) ed altrove confuso conJ. acutus.Da questi ed altri esempi sembra di poter confermare che la flora delle spiag-ge mediterranee si sia sviluppata in epoca relativamente recente, probabil-mente dopo il Messiniano, cioè durante gli ultimi 5 milioni di anni, anche inconnessione con le continue variazioni di livello del Mediterraneo durante leglaciazioni.Questa flora litoranea non è composta da un numero molto elevato di specie:nelle figure a destra, vengono rappresentati i grafici costruiti sulla flora dellespiagge vicino a Venezia, che comprende in tutto 110 specie. Sono state ana-lizzate sia le forme biologiche (cioè gli adattamenti rispetto alla stagione avver-sa) che i tipi corologici (cioè la distribuzione geografica delle singole specie).Tanto le forme biologiche che i tipi corologici hanno una distribuzione che varia

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Incidenza percentuale delle forme biologichenella flora delle spiagge, a Venezia (sinistra) enella flora d’Italia (destra).Azzurro: specie annuali; rosa: erbe con rizomisotterranei; giallo: erbe perenni; verde: arbustinani; marrone: cespugli e alberi.

Incidenza percentuale dei tipi corologici nellaflora delle spiagge, a Venezia (sinistra) e nellaflora d’Italia (destra).Azzurro: specie occidentali; rosa: speciemeridionali; giallo: orientali; verde: speciesettentrionali; marrone: specie eurasiatiche;arancio: specie cosmopolite ed esotiche.

Variazioni delle forme biologiche nella successione delle spiagge a Venezia. In rosso: specie erbaceeannuali; in blu: erbe perenni; in verde: cespugli ed alberi

VEGETAZIONEPIONIERA

AGROPIRETO AMMOFILETO SCABIOSETO LACUNEINTERDUNALI

LACUNEINTERDUNALI

SELVALITORANEA

100

80

60

40

20

01

90

49

35

26

16 15

310

15

49

61

10

1 1 1 1

70

12 2

Giunco pungente (Juncus acutus)