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Titolo
Strategie d’investimento
sentiment nei mercati finanziari
Autore
Mirko Cavallaro
ATTENZIONE: tutti i diritti sono riservati a norma di legge. Le strategie
riportate in questo libro sono frutto di anni di studi e specializzazioni, quindi
non è garantito il raggiungimento dei medesimi risultati di crescita personale
o professionale. Il lettore si assume piena responsabilità delle proprie scelte,
consapevole dei rischi connessi a qualsiasi forma di esercizio.
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INDICE
INTRODUZIONE : “Le origini della borsa e
dell’attività speculativa” pag. 4
CAPITOLO I : “Le crisi finanziarie e
l’irrazionalità degli investitori” pag. 7
Il crollo in Olanda del 1636 pag. 8
La South Sea Company pag. 11
Il crollo di Wall Street del 1929 pag. 12
Il crollo del 1987 pag. 17
L'Euforia del 2000 e la bolla di internet pag. 21
Il caso Tiscali pag. 24
11 Settembre 2001 pag. 27
CAPITOLO II : “La teoria Random walk,
l’efficienza dei mercati e i limiti della
teoria economica” pag. 31
La teoria “random walk” pag. 31
La teoria dei mercati efficienti pag. 34
Il caso del long term capital management (ltcm) pag. 37
CAPITOLO III : “Analisi fondamentale e tecnica” pag. 42
L‟analisi fondamentale pag. 42
L‟analisi tecnica pag. 44
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CAPITOLO IV : “Un approccio complementare:
l’analisi comportamentale e il sentiment
finanziario” pag. 48
Behavioural finance (finanza comportamentale) pag. 49
Gli studi di Daniel Kahneman pag. 51
Herding behavior (il comportamento del gregge) pag. 55
Il sentiment e la sua analisi pag. 56
Il barometro del sentiment pag. 58
CAPITOLO V : “Il sentiment e l’analisi
delle sue componenti” pag. 61
Analisi della partecipazione pag .62
Analisi dello spessore del mercato pag. 63
Analisi dei mass-media pag. 64
Analisi dei sondaggi (risparmiatori, traders, investitori
istituzionali) pag. 66
Analisi della forza relativa pag. 69
Alcuni indicatori pag. 70
Conclusioni pag. 77
CAPITOLO VI : “Conclusione : ogni ciclo
ha la sua fase” pag. 73
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INTRODUZIONE
“Le origini della borsa e dell’attività speculativa”
La borsa nasce nel medioevo nella città Belga di Bruges ed il suo nome
deriva dal luogo dove i commercianti erano soliti incontrarsi per concludere
affari relativi a scambi di crediti o merci provenienti da paesi lontani: nella
piazza in cui i commercianti si incontravano per i loro affari c'era un palazzo
nella qui facciata c'erano scolpite tre borse: lo stemma della famiglia Van
Der Bourse, proprietari dell'edificio. Così i commercianti presero l'abitudine
di darsi appuntamento "à la Bourse".
Dopo il declino di Bruges ed in seguito della città tedesca di Anversa (verso
la fine del XVI secolo), fu Amsterdam a costituire dal 1609 il più grande
centro di affari e la prima borsa moderna d'Europa. Il diffondersi, intanto,
dei grandi centri mercantili di operazioni di prestito a favore di monarchi e
municipalità (già avviate sin dal sec. XIV nelle città italiane) aveva creato
una base di titoli di debito pubblico negoziabili, che erano entrati a far parte
degli affari di borsa. Nelle borse si iniziò anche a contrattare su quote di
comproprietà di quelle imprese che erano sorte stabilmente in forma di
società per azioni in seguito ai grossi guadagni conseguiti dalle compagnie
coloniali, nate tra la fine del secolo XVI e l'inizio del XVII in Olanda e
Inghilterra. Nel periodo successivo le città le cui borse funzionavano a pieno
ritmo, sia per quanto riguardava le azioni sia per quanto riguardava le
obbligazioni di stato, erano Londra, Amsterdam e Parigi. La nascita delle
ferrovie, il dispiegarsi della rivoluzione industriale in settori d'attività
implicanti imprese di rilevanti dimensioni, e lo sfruttamento crescente di
nuove fonti di materie prime in tutto il pianeta (che richiedevano una
mobilitazione associata di capitali su larga scala), portarono alla creazione
di un grande mercato di valori azionari, essenza della borsa moderna. Tutto
questo avvenne soprattutto a seguito della grande diffusione delle società
per azioni. I controlli e le limitazioni a cui fu sottoposto questo istituto, per
evitare che si diffondessero fenomeni speculativi e raggiri nei confronti dei
risparmiatori, ne ostacolarono per un certo periodo la sua diffusione in varie
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nazioni europee fino alla metà del XIX secolo. In seguito, invece, in Gran
Bretagna (1855), Francia (1867), Germania (1872) e altrove furono adottate
legislazioni favorevoli, e da allora la negoziazione di valori rappresentativi
di quote di comproprietà di società venne crescendo enormemente sino a
divenire, nei paesi europei ed extraeuropei, una delle forme più importanti
d'investimento del risparmio. La fine della guerra civile americana e le suc-
cessive iniziative in grande stile nel settore ferroviario e poi in quello
industriale avviarono la prestigiosa ascesa della borsa di New York, che
venne riorganizzata nel 1869. Da allora l'andamento della borsa divenne un
termometro essenziale dell'andamento delle varie economie: le principali
crisi economiche ebbero nella borsa il loro epicentro. La prima fu quella del
1873, seguita dalla crisi del 1890 e quella del 1907. Ma la più famosa della
storia fu la crisi del “venerdì nero” del 1929. Un‟altra grande crisi si registrò
nell‟ottobre del 1987.
Dopo la seconda guerra mondiale l'importanza della borsa, come centro di
mobilitazione del risparmio verso le iniziative economiche, si è in qualche
misura ridimensionata in seguito al diffondersi di una più vasta gamma di
istituti finanziari che forniscono mezzi alle imprese e al generalizzarsi stesso
del possesso azionario (notevole soprattutto in paesi come gli USA). Questo
fenomeno ha favorito la nascita di forme d'impiego del risparmio in azioni
(fondi comuni di investimento), le quali inducono il rischio e restringono i
margini di manovra più vistosi della speculazione.
Fin dalla sua nascita,la borsa è stata vista dai suoi operatori come un modo
per fare grandi guadagni , per creare un business; oggi la borsa controlla
grandi capitali in tutto il mondo e fa sempre più parte della vita quotidiana.
Il 3 marzo 2007, Bob Parker di Credite Suisse notava che l'industria del
risparmio gestito, dai fondi comuni, ai prodotti strutturati, agli hedge fund,
ai fondi immobiliari, al private equity, derivati esotici ecc. ha raggiunto nel
mondo i 70.000 miliardi di dollari.
L‟industria del risparmio gestito vive di commissioni: sulle obbligazioni
prende uno 0.8% medio, sulle azioni tra l‟ 1.5% e il 2.0% medio e su tutto il
resto molto di più anche del 5%. I fondi immobiliari ad esempio sono
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carissimi, private equity e hedge funds prendono anche il 7% o 10% su
quello che ricevono da un investitore.
Fatta una media intorno al 2% dei costi totali di commissioni e fees varie, su
70.000 miliardi gestiti: banche, fondi, hedge funds, private equity, incassano
1.500 miliardi l'anno in tutto il mondo.
E' diventata il più grosso business del pianeta e quello che cresce più in
fretta di tutti.
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CAPITOLO I : “Le crisi finanziarie e l’irrazionalità
degli investitori”
Così con la nascita della Borsa si era diffusa la consapevolezza di poter fare
guadagni facili, tuttavia la storia presenta esempi illustri di grosse crisi o
bolle speculative: grandi follie degli investitori e grossi crolli di valore.
Quando si compra un titolo azionario o un qualsiasi strumento finanziario
c‟è qualcuno che lo sta vendendo; perché ci sia la formazione del prezzo è
necessario l‟incontro tra compratore e venditore. Se il mercato, nella sua
globalità, pensa che lo strumento finanziario sia destinato salire, buona
parte degli investitori che lo posseggono saranno restii a cederlo, se non a
un prezzo che incorpori un premio per la loro lungimiranza.
Man mano che i prezzi salgono molti investitori si accorgono dell‟interesse
del mercato e iniziano a comprare, alimentando il rialzo con nuovi acquisti a
prezzi sempre maggiori. Quando la domanda è sostenuta e forte, la crescita
dei corsi appare inarrestabile, vorticosa, e non parteciparvi crea un‟ansia
maggiore rispetto a chi detiene i titoli in portafoglio. L‟eccesso di domanda
accresce il prezzo dello strumento finanziario, non il suo valore, anche se
spesso le due cose vengono confuse anche dal mercato, fino alla formazione
di livelli di prezzo troppo distanti dal valore reale del bene. Ed ecco che i
prezzi crollano.
Così possiamo definire una bolla speculativa come una fase di mercato
nella quale si assiste ad un considerevole aumento ingiustificato dei prezzi a
causa di una crescita repentina della domanda. La corsa all‟acquisto scatta
perché si formano “greggi” di investitori convinti che un nuovo prodotto,
una nuova tecnologia o una nuova società, potranno rivoluzionare il proprio
settore, offrendo cospicui guadagni con crescite senza precedenti. La
domanda diviene, così, emotiva piuttosto che razionale e l‟aspettativa cresce
autoalimentandosi con il proprio rialzo. Il prezzo si discosta dal valore e
incorpora un “premio aspettativa” enorme. Quando il mercato inizia ad
accorgersene, la discesa è repentina e violenta, e coglie inaspettati gli
investitori; le cause sono presto riconoscibili: i prezzi aumentano sempre più
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ed è difficile trovare nuovi investitori disposti a comprare a un prezzo così
elevato. Chi ha comprato all‟inizio del rialzo è spinto a vendere per
monetizzare il guadagno, soprattutto quando vede rallentare la crescita. Le
ottimistiche prospettive di guadagno precedentemente formulate, possono
essere riviste e ridimensionate.
Ecco alcuni esempi di crolli storici e di bolle speculative.
IL CROLLO IN OLANDA DEL 1636
La prima grande bolla speculativa della storia fu nei Paesi Bassi, ciò che la
rende così interessante è che l‟oggetto dell‟interesse collettivo era un fiore,
il tulipano, un articolo al quanto insolito.
I tulipani arrivarono in Olanda nel 1562, con
un carico giunto da Costantinopoli.
L‟interesse per questo fiore dalle diverse
colorazioni (ne esistono circa 160) divenne
una vera e propria mania che negli anni si
trasformò in una smodata e insensata ricerca
degli esemplari più “rari”. Maturò l‟idea che
tali fiori fossero pregiati, e qualcuno cominciò
a suggerirne l‟acquisto in un‟ottica
speculativa, considerato che il prezzo andava
aumentando col tempo (un po‟ come avviene
per i metalli preziosi o gli oggetti d‟arte).
Chrispijn Munting, cronista della Gazzetta di Harlem (Amsterdam), così
raccontava un fatto al quale aveva assistito:
"Oggi un contadino ha acquistato un singolo bulbo del raro tulipano
chiamato Vicerè, pagando per esso: otto maiali, quattro buoi, dodici
pecore, due carichi di grano, quattro carichi di segale, due botti di vino,
quattro barili di birra, due barilotti di burro, mille libbre di formaggio, un
letto completo di accessori, un calice d'argento e un vestito, per un valore
totale di 2.500 fiorini".
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Pian piano il prezzo stesso divenne l‟oggetto dell‟attenzione comune e
sempre più persone cominciarono ad acquistare bulbi per poterli rivendere
di lì a poco, realizzando cospicui guadagni. Pare che gran parte della
speculazione fosse dovuta a delle vere e proprie opzioni sui tulipani: i
commercianti compravano i diritti di aumentare le loro giacenze a un prezzo
prefissato e i coltivatori, per proteggersi da cadute dei prezzi, pagavano per
assicurarsi di poter vendere alla controparte a un certo prezzo. Nel 1636 il
mercato dei tulipani, aveva aperto empori anche nelle Borse di diverse città
e l‟entusiasmo era quello che di solito caratterizza i giochi d‟azzardo, con
moltissime persone che effettuavano scommesse sull‟aumento o la
diminuzione delle scorte di bulbi, un po‟ come avviene per i contratti futures
oggi.
La gente era convinta che quella passione generale per i tulipani sarebbe
durata in eterno e che da tutto il mondo sarebbero fioccati ordini di persone
abbienti per le quali nessun prezzo sarebbe stato troppo alto. E fu così: il
denaro arrivava sul serio da tutti i paesi. Intere proprietà venivano liquidate
per comprare bulbi e, di fatto, questo costituì la leva finanziaria per
contrarre sostanziosi mutui. Anche nelle città più piccole, in cui non era
presente una Borsa, venivano allestiti empori e organizzati “sontuosi
ricevimenti” a cui gente d‟ogni estrazione sociale partecipava per negoziare
la preziosa merce. Tutta l‟economia olandese fu trasportata da questo
fenomeno, ed anche i prezzi degli altri beni, come quelli di prima necessità,
aumentarono gradualmente. All'inizio le vendite dei bulbi avvenivano dalla
fine di giugno, quando si dissotterravano, fino a settembre, mese in cui si
ripiantavano. In seguito ebbero luogo tutto l'anno con l'impegno di
consegnare i bulbi in estate. Si finì così per commerciare "tulipani di carta",
vale a dire solo gli atti di acquisto, secondo il ben noto e rischioso gioco di
Borsa. Le frodi, poi, erano all'ordine del giorno in quanto non si poteva
certo stabilire dall'aspetto del bulbo se il tulipano sarebbe stato quello della
qualità e specie dichiarati dal venditore.
Nel settembre del 1636 i prezzi iniziarono a salire vertiginosamente.
L‟andamento rialzista proseguì nei mesi di novembre, dicembre e gennaio
raggiungendo valori esorbitanti. Il crollo arrivò nel febbraio del 1637. Dire
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quale fu la causa che invertì la tendenza rimane impossibile, resta il fatto
che qualcuno cominciò a sbarazzarsi dei bulbi di tulipano, scuotendo le
certezze degli altri operatori, i quali di lì a poco furono preda della nevrosi e
del panico e diedero inizio a forsennate vendite che trascinarono i prezzi ai
minimi. La folle corsa verso il rialzo si era dunque arrestata nell'arco di
pochi giorni. Nel breve volgere di sei settimane i prezzi crollarono del 90%:
utilizzando valori monetari attuali, è come aver pagato 50.000 euro un
singolo bulbo e vedere ridursi il suo valore a un solo euro nel giro di pochi
giorni. Come tutte le febbri altissime, anche questa scese di colpo lasciando
l'Olanda prostrata: la gente si stancò dei fiori che costavano più dei
diamanti.
Il 24 febbraio del 1637 si riunì
ad Amsterdam un'assemblea di
delegati delle principali città
olandesi per discutere il da
farsi. I giudici, in modo
unanime, si rifiutarono di
riconoscere la validità dei
contratti di compravendita di
tulipani stipulati prima del
novembre del 1636,
considerandoli alla stregua del
gioco d'azzardo: in pratica
questi debiti non erano esigibili
per legge. Nessuno onorò più i
contratti e intere fortune sfumarono all'istante. Per molti fu la rovina.
La febbre dei tulipani olandesi fu seguita da una depressione dalla quale fu
possibile uscire solo molti anni più tardi.
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LA SOUTH SEA COMPANY
Il caso della “compagnia dei mari del sud” si colloca poco prima della pace
di Utrecht che sancì la fine della guerra di successione spagnola. A causa
della guerra il debito pubblico inglese si era fatto nel corso degli anni
progressivamente più ingente, fino a raggiungere cifre astronomiche. Tale
compagnia venne fondata
nel 1711 da Robert Harley
(conte di Oxford), proprio
con lo scopo di rilevare
l‟ingente debito pubblico in
cambio di interesse e del
monopolio dei commerci
con le colonie spagnole nel
Sud America. La compagnia
assunse così su di sé gran
parte del debito pubblico, lo
stato pagava un interesse del
6% e concedeva il diritto di
emettere azioni da collocare
presso gli investitori e di
avere l‟esclusiva del
commercio e del traffico con
l‟America.
In questo periodo storico, le
persone avevano grandi
aspettative verso le colonie, questo nuovo mondo pieno di ricchezze, una
zona vergine dove arricchirsi; l‟idea stimolò gli investitori che vedevano la
possibilità di fare enormi profitti; così ogni emissione di azioni fu un
completo successo. Le azioni vennero a costare cifre sempre maggiori senza
che ci fossero profitti reali in grado da giustificare tale incremento dei
prezzi. Si riponeva nella società fiducia illimitata.
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Il trattato di Utrecht nel 1713, garantì alla compagnia un solo viaggio
all‟anno; un commercio poco redditizio per le aspettative create dagli
investitori, tuttavia l‟interesse per l‟impresa non accennò a diminuire;
nemmeno dopo il 1718 anno in cui la Spagna, che cercava di ostacolare
l‟Inghilterra nei sui traffici, confisco le navi della South Sea Company.
Nonostante ciò gli investitori continuarono a vedere profitti a lungo termine.
Nel 1719 la compagnia propose di rilevare oltre la metà del debito pubblico
inglese (pari a 30.981.712 sterline) finanziando il tutto con nuove azioni,
che vennero ovviamente vendute subito.
E in effetti un aumento dei profitti di tale compagnia avvenne: le azioni
passarono dalla quotazione di 128 sterline nel gennaio 1720, a 220 sterline
in marzo, poi salirono a 550 in maggio, 890 in giugno fino a 1000 nel mese
di luglio. L‟impennata delle azioni proseguì fino a toccare la punta massima
di 1050 sterline. Subito dopo avvenne il crollo: dal valore massimo le azioni
precipitarono vertiginosamente del 90% in poche settimane. Gli investitori
furono presi dal panico, al quale seguì la rabbia nei confronti della
dirigenza, colpevoli di aver inganato gli azionisti vendendo poco prima del
crollo.
In questa bolla finanziaria vi erano molti elementi aberranti; in primo luogo
il massiccio indebitamento compensato da un modesto interesse, la
compagnia era nata infatti con l‟intento di vendere azioni al mercato più che
di fare profitti. In secondo luogo il business era inesistente, anche se
appariva estremamente innovativo, catturando l‟immaginazione degli
investitori che caddero nell‟errore di valutazione, anche grazie a campagne
di annunci ben orchestrate.
Dopo questo crollo il paese cadde in una profonda crisi economica che
interessò tutto il secolo.
IL CROLLO DI WALL STREET DEL 1929
Un eccellente esempio di come il mercato possa essere animato dal
comportamento della folla si ebbe in America negli anni 20‟.
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Quelli visti fin ora sono interessanti esempi di crollo verticale delle
quotazioni, ma il crollo del 1929 oscura tutti i precedenti episodi speculativi,
perché non riguarda un singolo titolo, ma l‟intera borsa valori più grande del
mondo: Wall Street.
Dopo la fine della prima guerra mondiale gli Stati Uniti godevano di un
periodo di grande benessere, uscivano vincitori e in tutto il paese si
diffondeva un benessere generale, si apriva un periodo prosperoso, di
grande fiducia ed entusiasmo.
Le cifre parlavano chiaro: fra il 1921 e il 1929, le industrie americane erano
aumentate da 183.900 a 206.700. Erano nate le prime industrie di
elettrodomestici, che con lavatrici, frigoriferi, radio ecc. avevano portato la
produttività industriale nel corso del decennio al 43%, ma con i salari che
erano saliti solo del 20%. Quindi la
differenza fra la crescita della
produttività e i salari, andava a
impinguare i profitti delle aziende di
ogni settore e ovviamente a far salire
in una forma anomala le proprie
azioni in Borsa.
La crescita convulsa, la politica del
denaro facile, la febbre del profitto,
contagiò un po‟ tutti, l‟aggiotaggio
dei titoli da parte degli agenti di
Borsa si diffuse in poco tempo: molti
operavano solo con il margin, con il
quale bastava anticipare il 10% del
valore totale del titolo. Ma lo squilibrio fra la produzione e il consumo, oltre
l‟insufficienza di mezzi di pagamento (il margin appunto) non poteva durare
all‟infinito. Prima o dopo qualcuno doveva pur tappare i buchi, che
normalmente chiudeva da una parte aprendone altri da un‟altra parte,
sempre più numerosi, a catena.
Il valore reale delle aziende non corrispondeva più al valore dei “pezzi di
carta” che giravano in Borsa, fra l’altro comprati allo scoperto. La grande
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azienda capitalizzata 1000 in realtà possedeva materialmente 100, magari
produceva, ma aveva già da tempo i magazzini pieni di merce invenduta;
ma almeno questa pur esisteva, aveva muri, macchinari, merci; mentre
alcune indagando si scopriva che avevano un basso in periferia, con dentro
una macchina da scrivere, un po’ di carte sul tavolo e sull’insegna c’era
scritto: “XY Company - Export Import con mezzo mondo” (Galbraith, “Il
grande crollo”).
Questa anomala situazione era iniziata nel secondo semestre del 1924.
L‟indice di produzione era a 134, a fine anno era salito a 181. A fine 1927
salì a 245. Ci fu un altro incredibile balzo e a fine agosto del 1929 l‟indice
toccò i 449 punti. Cioè il raddoppio in poco più di due anni, mentre i
consumi diminuivano per gli stipendi troppo bassi, cosicché alcune industrie
avevano un surplus di produzione e i magazzini pieni di invenduto.
Alcune grandi aziende nello stesso periodo di un anno, fecero dei clamorosi
exploit: il titolo “Radio” (che non aveva mai pagato un dividendo) passò da
85 a 420 dollari, il 500%, i “magazzini Ward” da 117 a 440, il “New York
Times” aumentò di 86 punti.
Da tempo i ranghi dei milionari si infittivano di giorno in giorno, e lo stile
di vita dei nuovi ricchi diventava sempre più stravagante. Per alcuni i soldi
erano come quelli del monopoli, per altri giocare in Borsa era come
giocare a dadi. Un giovane avvocato racconta “non avevo nemmeno un
soldo, mi feci prestare qualche somma dagli amici, ed ero pronto a far
l’affare utilizzando il margin, ossia quel sistema che permetteva di pagare
soltanto il 10% del valore delle azioni acquistate. Dopo pochi mesi giravo
con in tasca un milione di dollari in contanti, sempre pronto a fare altri
affari, o a comprarmi una macchina solo perché alla sera finito il lavoro
avevo perso il vaporetto per andare a casa”. (Galbraith, “Il grande crollo”).
Il Bull Market del mercato azionario americano degli anni venti, spinto
dalla prosperità economica e dalle “nuove tecnologie” di quel periodo come
l'automobile e la radio, registrò un'accelerazione euforica. Il mercato era
considerato “Invincibile”, la propensione al rischio raggiunse livelli estremi
con molti speculatori che si indebitavano oltre le loro capacità per acquistare
azioni.
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Nel 1923 le azioni negoziate furono 237 milioni; nel 1924, 280 milioni; nel
1925, 452 milioni; nel 1926, 449 milioni; nel 1927, 577 milioni; nel 1928,
920 milioni, e quasi altrettante nei sei mesi del fatidico 1929, cioè 827
milioni. I prestiti agli agenti di cambio (bisognosi di somme per le
liquidazioni quotidiane) da 3219 milioni del 1926, nei sei mesi del 1929
erano saliti a 8500 milioni (Coriere della sera, 31 ottobre 1929).
In sintesi le quotazioni delle azioni erano in salita da fine 1921 con delle fasi
laterali che inframmezzavano i rialzi; da quota 100, l‟indice Dow Jones
aumentò nel corso del 1925 fino a raggiungere i 160 punti, nel 1926 a
seguito del crollo immobiliare in Florida i corsi si calmarono e
lateralizzarono, per poi riprendere la corsa fino a 200 punti alla fine del
1927. Nel 1928 toccò quota 300 per arrivare nel 1929 a 370 punti ad azione,
si tratta di un rialzo del 370% in 8 anni.
La crescita dei prezzi ebbe 2 alleati fedeli: l‟aspettative di nuovi rialzi, si era
innescata una spirale pericolosa, i prezzi salivano in attesa di ulteriori rialzi,
e l‟acquisto a margine che era consentito e agevolato.
Lunedì 21 ottobre 1929 l‟indice Dow
Jones iniziò a manifestare i primi segni
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di nervosismo, il 22 ottobre, martedì, a inizio seduta, alcuni speculatori
iniziarono a vendere. Ma la mattina dopo, il 23 ottobre mercoledì, i primi a
vendere furono quelli che operavano con i “margin”. Per non correre
ulteriori rischi, cercavano di affrettarsi a incassare, correvano a vendere a
rotta di collo per colmare l‟enorme differenza che si andava creando di ora
in ora fra il valore delle azioni comprate allo scoperto nei giorni precedenti
(ancora da saldare) e la quotazione sempre più bassa del titolo che la
telescrivente senza pietà registrava. Pochi ancora sapevano del dramma che
stava per compiersi. Ma la notizia iniziò a diffondersi, giovedì 24 ottobre ci
fu il primo crollo, con i prezzi incapaci di trovare un supporto. A molti
investitori fu chiesto di rientrare dal margine e questo fece si che nuovi titoli
furono offerti al mercato; lunedì 28 ottobre le vendite ripresero copiose, ma
fu martedì 29 il giorno più devastante della storia di Wall Street, quel giorno
il mercato azionario americano perse il 10% dopo aver già perso il 12% il
giorno precedente. Questa data passò alla storia come il “martedì nero”: da
li in poi il mercato non si riprese più e continuò a scendere vertiginosamente
fino ai minimi storici.
Il crollo polverizzò in pochi giorni gran parte della ricchezza accumulata
dagli Stati Uniti dopo la Prima guerra mondiale e spazzò via tutta l‟euforia e
l‟ottimismo che avevano contagiato gli americani negli anni ‟20.
I primi titoli di giornale dell'epoca ovviamente enfatizzarono il repentino ed
imprevisto ribasso, non erano da considerare come un'opportunità d'acquisto
ma il segnale che il ciclo del sentiment si era girato .
A seguito del crollo vi fu una drammatica crisi economica che sfociò nella
grande depressione. Gli effetti furono devastanti, il commercio
internazionale diminuì considerevolmente, come i redditi, chi venne più
duramente colpito fu il ceto medio che aveva investito i propri risparmi in
borsa contribuendo all‟incremento dei corsi. Le industrie vedendo calare la
domanda di beni di consumo durevole, cessarono di commissionare
materiali, si verificarono ovunque riduzioni di personale e di salari,
alimentando una ulteriore spirale di riduzione dei consumi. Il panico arrivo
ad ondate anche ai piccoli risparmiatori che si precipitarono a ritirare i loro
risparmi dalle banche, creando una crisi di liquidità di ampie dimensioni.
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La produzione industriale scese di quasi il 50% tra il 1929 e il 1932. La
quotazione del Dow Jones perse circa l‟80% dai massimi, tornando ai livelli
di pre-crollo solo nel 1954, 25 anni dopo.
Ci volle un ventennio per assistere al superamento di quella quota di prezzo,
attesa che però diede i suoi frutti perché si innescò un boom dei prezzi che
ebbe il suo culmine il 25 agosto 1987 e che poi originò il più grande crollo
in un'unica giornata della borsa di Wall Street.
IL CROLLO DEL 1987
Dopo il crollo del 1929 gli Stati Uniti non avevano più vissuto una crisi così
grande, la ripresa fu lenta e graduale, ma nonostante tutto nei decenni
successivi il Dow Jones riprese punti.
Negli anni 80‟ verso la fine della guerra fredda, gli USA godevano di una
situazione economica favorevole, con lo sviluppo di nuove fabbriche
sempre più automatizzate. Si era andato a creare una situazione ottimale per
chi voleva investire, le quotazioni godevano di buona salute e stava
nascendo una situazione di euforia generale, lo stesso Reagan incentivava
l‟economia statunitense abbattendo le tasse. Gli americani erano ottimisti, si
vedeva ormai sconfitto il nemico russo e l‟affermazione dell‟economia e
della cultura occidentale in tutto il mondo (culminata con la caduta del muro
di Berlino nel 1989).
Grazie a questa solidità, gli investitori nutrivano grande sicurezza nel
mercato, ma lunedì il 19 ottobre 1987 l‟indice Dow Jones crollò senza alcun
preavviso. Un‟ondata di vendite fece precipitare l‟indice da 2246 a 1738
punti, in calo del 22,6 % in un solo giorno.
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Andamento dell’indice Dow Jones Industrial Average (DJIA)
Questa fu la peggiore flessione che un indice azionario americano avesse
mai registrato in una sola giornata:
Rank Date Percentage crash
1 19 October 1987 - 20.39
2 28 October 1929 - 12.34
3 29 October 1929 - 10.16
4 6 November 1929 - 9.92
5 18 October 1937 - 8.88
6 20 July 1933 - 8.70
7 21 July 1933 - 8.52
8 20 December 1895 - 8.28
9 26 October 1987 - 8.02
10 5 October 1932 - 7.59
11 12 August 1932 - 8.02
12 31 May 1932 - 7.84
13 26 July 1934 - 7.83
14 14 March 1907 - 7.59
15 14 May 1940 - 7.47
16 26 July 1893 - 7.39
17 24 September 1931 - 7.29
18 12 September 1932 - 7.18
19 9 May 1901 - 7.02
20 15 June 1933 - 6.97
21 16 October 1933 - 6.78
22 8 January 1988 - 6.76
23 3 September 1946 - 6.73
19
Il crollo di Wall Street fu contagioso e anche le piazze finanziarie europee e
asiatiche furono coinvolte nella crisi: la borsa australiana perse il 41,8%,
quella spagnola il 31%, quella inglese il 26,4%, quella canadese il 22,5%.
Persino la borsa italiana fu coinvolta nel crollo: I principali quotidiani a
tiratura nazionale uscirono il giorno dopo con i seguenti titoli (in grassetto e
a caratteri cubitali) in prima pagina.
Ma il crollo del 1987 ha delle caratteristiche particolari, che lo rendono
profondamente diverso, sia nel calo degli quotazioni che negli effetti che
generò, al crollo del 1929: per prima cosa la durata, mentre le perdite del
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‟29 ci misero 25 anni ad essere riassorbite, quest‟ultimo fu riassorbito in
pochi mesi e ci vollero meno di 2 anni per toccare un nuovo record storico.
Inoltre nel ‟29, se pur brusco, si ebbe un calo progressivo; nel 1987 il crollo
fu repentino e improvviso, e tutto in un‟unica giornata. Non vi fu un vero e
proprio motivo che stava dietro alle perdite; alcuni iniziarono a vendere
all‟apertura della Borsa, scatenando subito la reazione di altri che fecero lo
stesso, in poco tempo tutti cominciarono a vendere e le quotazioni
crollarono.
Fu una bolla che scoppiò tutta in un giorno perché non c‟erano ancora i
controlli sulle vendite: tutti si misero a vendere e le borse calarono di colpo.
Oggi se un titolo registra una variazione del -9% viene sospeso per eccesso
di ribasso dalle quotazioni, in maniera che gli investitori riacquistino la
calma. Nel 1987 questo non esisteva, le sospensioni per eccesso di
ribasso/rialzo iniziarono proprio in conseguenza di quel tragico giorno in cui
le borse persero oltre il 20%.
Terribili predizioni seguirono alla crisi finanziaria del 1987. Il crash avrebbe
causato una lunga recessione, forse anche una depressione come quella
seguita alla crisi del ‟29. La crescita dell‟occupazione si sarebbe arrestata. Il
tasso di disoccupazione sarebbe aumentato rapidamente. In effetti, in molti
casi, le crisi precedenti furono accompagnate da periodi di recessione o di
depressione.
Nessuna di queste cose accadde successivamente alla crisi dell‟ottobre
1987. Il tasso di disoccupazione diminuì più o meno costantemente dopo la
crisi. La crescita dell‟occupazione continuò ad aumentare, soprattutto nel
settore manifatturiero, nonostante le grandi società colpite dalla crisi
avessero iniziato a licenziare migliaia di persone. Il deficit della bilancia
commerciale continuò a diminuire. Non ci fu, pertanto, nessuna recessione
nei successivi due anni, nessuna crisi di liquidità del sistema bancario così
come nessuna preoccupazione per la solvibilità del sistema finanziario. In
realtà il settore dei beni e servizi non direttamente legati ai mercati azionari,
non furono coinvolti dalla crisi.
Più volte i ricercatori si sono chiesti come mai il resto dell‟economia fosse
rimasto isolato dalla crisi azionaria a differenza delle precedenti crisi. La
21
risposta più frequentemente data riguarda l‟intervento dei banchieri centrali,
in particolar modo della Fed, che risposero immediatamente alla crisi
fornendo credito alle istituzioni finanziarie che lamentavano problemi di
liquidità dovuti al rapido capovolgimento dei valori azionari. Negli USA,
molte società annunciarono immediatamente programmi di riacquisto delle
proprie azioni, mostrando come il crollo delle azioni fosse infondato.
Inoltre, molto più importante, i corsi azionari non scivolarono ulteriormente
dopo l‟ottobre del 1987. Nel 1929, la crisi iniziale fu accompagnata da una
lunga sequenza di successivi ribassi azionari poiché le notizie riguardanti la
crescita economica tendevano a peggiorare. Nel 1987, le successive notizie
economiche furono positive e i mercati cominciarono a riflettere quelle
notizie.
L'EUFORIA DEL 2000 E LA BOLLA DI INTERNET
Un altro caso interessante si colloca verso la fine degli anni ‟90 e l‟inizio del
2000, periodo in cui si stavano diffondendo nuove tecnologie: internet
prendeva sempre più piede e molte società si specializzarono con sistemi
informatici. La New Economy, ossia il commercio elettronico, vendere in
rete prodotti e servizi, gestire un'impresa virtuale, rappresentava una
ricchissima fonte di opportunità; si stava diffondendo una situazione di
euforia finanziaria dettata da tutte queste nuove tecnologie che arricchivano
il mercato.
Tutto ciò alimentò le speranze e le aspettative degli investitori: la mania di
Internet e della New Economy erano enfatizzate anche dai giornali.
22
Tra il 1995 e il 2000, i titoli azionari legati al nuovo settore internet, ebbero
uno spettacolare e rapido rialzo in tutto il Mondo. La bolla scoppio nel 2000
facendo scendere le quotazioni lentamente ma in modo inesorabile; molti
investitori si rovinarono continuando ad acquistare mentre i prezzi
scendevano, incapaci di capire perché il mercato puniva delle società tanto
promettenti.
Per comprendere a fondo questo periodo, bisogna considerare che furono
stravolte tutte le regole classiche di valutazione delle società. Non vennero
infatti più considerati gli utili dall‟azienda, i beni materiali posseduti, la sua
liquidità o il suo livello di indebitamento; ma il valore veniva stabilito
considerando le potenzialità offerte dalla sua presenza o dalla sua attività su
internet, un territorio vergine da colonizzare al pari delle colonie dei mari
del sud. Vennero create società con i business più disparati, ma bastava
nominare il suffisso dei domini web “.com” per attirare gli investitori che
23
compravano a piene mani confidando in un rapido incremento dei prezzi,
che effettivamente c‟erano almeno all‟inizio.
Ma in realtà gli utili non esistevano, esistevano solo i buoni propositi per il
futuro, le società non guadagnavano quasi nulla, ma confidavano sul fatto
che internet sarebbe stato “il mondo nuovo” che avrebbe reso grossi profitti,
ampliando la possibilità di commercio. La “nuova economia” aveva
stravolto ogni criterio di valutazione aziendale fino ad allora conosciuto.
Anche in questa caso la massa si stava muovendo nella stessa direzione,
l‟euforia era data dall‟innovazione tecnologica e dall‟arrivo di un momento
nuovo, con i mass media che enfatizzavano questa situazione.
Uno dei problemi che si presentò fu il numero enorme di società create, che
aveva lo stesso obbiettivo, ossia quello di monopolizzare il proprio settore.
Ma non ci potevano essere più vincitori per ogni settore, perciò la maggior
parte delle compagnie era destinata al fallimento e all‟assorbimento da parte
del “leader” (attualmente ci troviamo in un‟economia basata sulle
“multinazionali”).
Così sin dai primi mesi del 2000 molte società saltarono, rilevate da altre
aziende. Queste notizie fecero scalpore, l‟acquisizione divenne un simbolo
di sfida della “nuovo economia” alla “vecchia economia”. L‟esplosione
della bolla fu dovuta anche ai risultati dei rapporti annuali e trimestrali
pubblicati nel marzo 2000, visti gli scarsi risultati presentati al mercato,
questo fu il primo inequivocabile segnale che l‟affare internet non era poi
così grande, e gli investitori più accorti se ne stavano rendendo conto.
Nonostante questi presupposti, alcuni imprenditori fecero enormi fortune
vendendo le loro società durante la bolla speculativa; alcuni collocamenti, in
piena fase di boom, resero possibile la vendita a prezzi esorbitanti.
La bolla scoppiò il 10 marzo 2000, quando l‟indice Nasdaq fece il suo
massimo intraday a 5132,52 per poi chiudere a 5048,62, un valore più che
doppio rispetto all‟anno precedente. Le vendite massicce iniziarono lunedì
13 marzo, provocando una reazione a catena di vendite alimentata da
investitori, fondi, ed istituzioni che liquidarono le posizioni. In soli 3 giorni
il Nasdaq perse quasi il 9% precipitando da 5050 a 4580. Il calo non fu
tuttavia improvviso e precipitoso come nel 1987, ma fu graduale e si
24
prolungo per i 2 anni successivi. Nel corso del 2001 lo sgonfiamento stava
procedendo a piena velocità, molte aziende cessarono di esistere dopo aver
bruciato tutto il loro capitale, spesso senza aver nemmeno avuto il minimo
profitto, semplicemente avevano finito i soldi.
Il grafico mostra il percorso del Nasdaq dagli inizi degli anni ‟90, dove le
aspettative legate alla “new economy” facevano lievitare le quotazioni del
titolo, per raggiungere il massimo nel marzo del 2000, da dove inizierà un
calo graduale fino al 2002.
Nei primi anni del 2000 si risentiva in borsa di questa crisi che aveva
interessato la situazione mondiale, furono anni duri per gli investitori.
IL CASO TISCALI
In questo panorama si colloca il caso di Tiscali: questa fu la prima azienda
innovativa nel settore di internet in Italia, ed ebbe un successo davvero
travolgente. Rappresentava la nuova frontiera delle comunicazioni, attiva
25
nei servizi web e nella telefonia fissa, si presentava come un nuovo colosso
delle telecomunicazione da contrapporre a Telecom. Così, ancora una volta,
si crearono grandi aspettative attorno all‟azienda, con grandi possibilità di
sviluppo per il futuro. Tiscali incarnava la classica società della “New
Economy”.
Il 27\10\1999 il titolo Tiscali fa il suo ingresso sul mercato azionario con un
prezzo che si aggirava indicativamente attorno ai 46€ ad azione. Questa
notizia era attesa con ansia dagli investitori, che aspettavano da giorni
quello che veniva definito il collocamento del decennio: in questo periodo
molti partecipavano a tutti i collocamenti di nuove società, sicuri di un
rapido incremento dei prezzi in poco tempo.
E in effetti fu così, dal primo giorno di contrattazione è subito evidente
l‟interesse degli investitori, che “rastrellano” il titolo: quello stesso giorno la
quotazione è di 46 € in apertura e di 73€ alla chiusura del mercato,
aumentando del 60% il suo valore. Nei giorni successivi il titolo continuò a
crescere velocemente, venendo in alcuni casi sospeso per eccesso di rialzo
(le sospensioni per eccesso di rialzo erano una cosa assolutamente normale
in quel periodo: a volte capitava di vedere la quasi totalità dei titoli del
nuovo mercato o del Numtel sospese per eccesso di rialzo. Bei tempi!). Così
Tiscali iniziò a quotare fin dai primi giorni di novembre 87€ ad azione;
verso metà mese il titolo venne sospeso di nuovo per poi riprendere le
quotazioni il 19\11\1999 raggiungendo quota 157,5€ ad azione. A fine mese
la società informa gli investitori che gli abbonati hanno raggiunto quota 710
mila e crescevano di 32 mila ogni settimana. Questi dati erano attesi con
impazienza dal mercato: i nuovi abbonati erano un indice di crescita
importante. Così la società godeva di un notevole sviluppo, gli investitori
caddero in una situazione di euforia, dettata anche dalle notizie che
arrivavano. Il titolo continuò a salire in modo spropositato per tutto il mese
di dicembre e passò dai 185€ di inizio mese ai 400€ del 27\12\99. La salita
non accennò a placarsi e in poco più di un mese le quotazione erano più che
raddoppiate: l‟8 febbraio erano arrivate a 875€ ad azione; in questa stessa
data il presidente di Tiscali Renato Soru dichiarò che le azioni erano,
nonostante tutto, ancora sottovalutate ed erano destinate a salire, si era vicini
26
al massimo storico. E infatti il mese di febbraio si chiude con la quotazione
di 951€. Fu il mese di marzo che segnò una data importante: il 06\03\2000 il
titolo raggiunge quota 1197€ un massimo assoluto. Il titolo era passato dai
46 € di ottobre ai 1197€ di marzo, un aumento del 2500% in poco più di 5
mesi dalla sua entrata in borsa, cifre pazzesche: gli investitori erano
impazziti ed euforici per i grandi guadagni finalizzati in pochi mesi. In
effetti chi avesse venduto in quel momento avrebbe fatto davvero grandi
affari, ma nessuno si sbarazzò del titolo, convinti che la salita non si sarebbe
mai fermata (ma si sbagliavano). Tiscali raggiunse il suo massimo, e allo
stesso tempo inizia la fase di calo delle quotazioni, che colse tutti gli
investitori di sorpresa. Da li a poco il titolo inizio a perdere repentinamente
tutto il suo valore, alla fine di marzo era già tornato a 575€ per arrivare alla
fine di maggio con le azioni che erano arrivate a 40€.
Da un massimo di 1197€ a 40€ in poco più di 50 giorni. La discesa fu
improvvisa e veloce quanto la crescita: gli investitori che comprarono
durante la fase crescente del titolo, furono poi incapaci di vendere quando
vedevano tale discesa, sperando che fosse solo una situazione momentanea e
che presto il titolo sarebbe salito di nuovo, si continuò a credere in Tiscali.
Ma non fu così, anzi il tiolo da 40€ scese a 30€ e poi a 15€.
27
Nel settembre 2004 il titolo quotava poco più di 2€. Ad oggi Tiscali vale
poco meno di 1,5€.
Il caso Tiscali ci racconta un'altra situazione in cui la massa si era mossa
verso una direzione, pompata dalle notizie, dal nuovo business e dalla
promessa di guadagno sicuro, ma le cui aspettative sono state deluse di
nuovo.
11 SETTEMBRE 2001
A volte i crolli delle quotazioni sono scollegati da un‟euforia precedente o
da una forte crescita delle quotazioni, ma possono avvenire per panico
emotivo.
Emblematico, a causa della sua imprevedibilità, è stato l‟attacco terroristico
compiuto negli Stati Uniti l‟11\09\2001. E‟ stato un evento drammatico per
tutta l‟umanità, tanto immane da modificare radicalmente il comportamento
e il rapporto tra gli esseri umani.
Questo evento catastrofico non poteva risparmiare l‟economia e con essa le
borse di tutto il mondo, che hanno reagito con vistosi e incontrollati
movimenti delle quotazioni, causati dal panico degli investitori.
Il mercato azionario in quel periodo non godeva di uno stato di grande
forza: la tragedia del 11 Settembre 2001 fu il colpo finale assestato ad un
28
mercato azionario già debole e provocò, considerata l'imprevedibilità
dell'evento, il classico "Panic Selling". Nel mese di settembre del 2001 i
riscatti sui fondi azionari, da parte dei risparmiatori di tutto il mondo,
raggiunsero record storici. Fu la classica reazione emotiva e causata da un
evento tragico, simile ad una guerra, ma molto più improvviso e violento in
questo caso.
La borsa di Wall Street era ancora chiusa quando avvennero gli attacchi, e
rimase chiusa per i 2 giorni successivi. Quella italiana rimase aperta, e la
reazione degli investitori non si fece attendere: dopo una prima fase di
sgomento, gli investitori di Piazza Affari reagiscono con modeste vendite,
non rendendosi ancora conto che non si trattava di un semplice incidente,
ma dopo poche ore seguì una fase in cui le vendite si intensificarono,
cessioni sempre più consistenti a prezzi calanti. Le quotazioni scendono
notevolmente e subentra il panico collettivo, l‟indice crolla in poche ore: in
un solo giorno il Mibtel perde il 7,42% e il Mib30 il 7,79% (era dal 1994
che non si registrava un panico simile).
Si scatenò il panico generale, così titolavano i maggiori quotidiani nazionali
il giorno seguente:
29
Eventi come il crollo della borsa a seguito degli attentati terroristici dell‟11
settembre sono totalmente imprevedibili, l‟attacco mostrò come il
movimento da panico riguardi in modo particolare, i titoli che erano in
relazione agli eventi: nel caso in questione, si parla di un attacco aereo,
quindi i titoli interessati riguardarono compagnie di trasporto aereo, gli
assicurativi e le agenzie internazionali di turismo.
Dopo l‟attacco il mondo occidentale si sentiva duramente colpito, si creò
una grande frenesia in borsa, la batosta fu grande, ci si dimostrò vulnerabili;
così gli investitori credevano che l‟economia mondiale sarebbe entrata in
crisi, le materie prime sarebbero aumentate, si investì più nell‟oro, ma
comunque bisognava sbarazzarsi dei titoli temuti a rischio. Molte vendite
furono così dettate dal panico ed ebbero natura emotiva.
Tuttavia finita la pressione ribassista le quotazioni trovarono un punto di
equilibrio e formarono un movimento laterale a cui fece seguito una
crescita:
L‟11 settembre rappresentò così un crollo dovuto ad un avvenimento
drammatico e improvviso, al quale fa seguito il panico generale e
30
l‟emotività. Tuttavia non si può parlare di crisi dato che la ripresa fu
immediata.
Tutti i casi citati fino ad ora dimostrano che a volte gli andamenti dei titoli
sono dominati da emozioni irrazionali, quali la speranza l‟avidità e la paura.
Il mercato rimane del tutto imprevedibile: anche periodi di crescita
economica molto forte, o di grande sicurezza, possono rivelarsi fallimentari.
31
CAPITOLO II : “La teoria Random walk, l’efficienza
dei mercati e i limiti della teoria economica”
I mercati finanziari sono dei sistemi le cui dinamiche appaiono tutt'ora
ignote alle scienze e prive di spiegazioni definitive. Questo perché i fattori
che influenzano il mercato non solo sono innumerevoli, ma soprattutto
perché l'influenza che essi esercitano varia e produce effetti differenti nel
tempo, oppure effetti analoghi ma di differente intensità. Capita poi che
determinati fattori che hanno sempre influito improvvisamente perdano
d'influenza, o addirittura che producano effetti contrari. Un altro aspetto
fondamentale è che nei mercati le variabili del tempo e della velocità sono
di primaria importanza, e determinano la differenza fra un buon
investimento e uno cattivo, fra un guadagno e una perdita.
LA TEORIA “RANDOM WALK”
I sistemi economici e finanziari in equilibrio sono soggetti a fenomeni
frattali, in altre parole al caos. Ci è voluto molto tempo prima che gli
economisti teorici iniziassero a studiare in modo approfondito i fenomeni
del caos; agli inizi degli anni 80‟ i ricercatori iniziarono a prendere sul serio
questo settore, studiando gli indicatori del caos economico e nel corso di
pochi anni furono fatte una serie di importanti osservazioni, che vennero poi
applicate alla finanza.
Ci sono indicazioni che esiste una imprevedibilità endogena sistematica di
lungo periodo in molti sottoinsiemi economici e finanziari. Anche quando i
meccanismi di controllo sono forti o il caos non appare all‟interno dei valori
parametrici considerati, gli impulsi di altri sistemi caotici faranno aumentare
l‟incertezza in modo considerevole. Per questo motivo c‟è un
riconoscimento sempre crescente del fatto che il caos deterministico possa
dare spiegazioni importanti per le previsioni economiche di lungo periodo, e
che i modelli lineari possano fornire un‟immagine inadeguata della realtà.
Studiare le bolle speculative, i mercati efficienti e la borsa in generale può
sembrare un‟impresa di appannaggio esclusivo degli economisti, ma gli
32
ultimi quindici anni di disquisizioni hanno lasciato spazio alle materie più
apparentemente lontane tra loro.
Un contributo importante è stato dato in passato dalla teoria Randow Walk
(percorso casuale):
Si consideri il “random walk” una serie temporale Yt che segue un percorso
aleatorio:
Yt = Yt-1 + ut
Con ut I.I.D. ( 0, ∂2u )
La varianza non condizionata del processo è V(Yt) = E(Y2t) = t, che
cresce in ragione di t, inoltre il random walk ha incrementi indipendenti (in
quanto Yt-1 – Yt è indipendente da Yt , Yt-1 , …).
L‟idea di base del processo random walk è che il valore di una serie domani
sia pari al valore di oggi più un valore imprevedibile: poiché il suo percorso
seguito da Yt è formato da “passi” aleatori ut . La media condizionata di Yt
basata sui dati fino al tempo t-1 è Yt-1 : dato E(ut|Yt-1, Yt-2, …) = 0,
E(Yt|Yt-1, Yt-2, …) = 0. In altre parole, se Yt è un processo ramdom
walk, la miglior previsione del valore di domani, è il suo valore di oggi.
Tale processo è non stazionario: se Yt segue un andamento stocastico, la
varianza aumenta nel corso del tempo e così cambia la distribuzione. La
varianza, inoltre, incrementa senza un limite; tuttavia una caratteristica del
processo random walk è che le sue autocorrelazioni campionarie tendono ad
essere prossime ad 1, infatti la j-esima autocorrelazione campionaria
converge in probabilità ad 1.
La teoria random walk sostiene, quindi, che i mercati funzionano "come se"
fossero governati da una legge casuale, in quanto le informazioni, che fanno
variare i mercati medesimi, impattano in maniera non prevedibile e quindi
casuale. Questa teoria è rafforzata dal fenomeno della globalizzazione dei
33
mercati in quanto l'impatto di ogni evento è potenzialmente moltiplicato
dalle interconnessioni delle vicende dei singoli
paesi o settori.
Si può capire meglio con un breve esempio: un uomo lancia una moneta. Se
esce testa, fa un passo avanti; se esce croce, ne fa uno indietro. Guardando
quest‟uomo si osserva un movimento continuo; lancia la moneta, si sposta,
lancia di nuovo la moneta, si sposta di nuovo. In altre parole, ogni iterazione
n è differente dall‟iterazione n-1. Dopo un numero N di iterazioni, tuttavia, è
probabile che l‟uomo non sia troppo lontano dalla posizione iniziale; anzi,
se N è sufficientemente grande la probabilità che vi sia molto vicino è alta.
Il valore atteso del random walk (cioè la media della distribuzione di
probabilità che lo governa) è appunto la posizione iniziale, e le occasionali
deviazioni (molti lanci di fila danno testa, e l‟uomo si sposta in avanti), se si
attende abbastanza a lungo, verranno controbilanciate da deviazioni di
segno opposto (molti lanci che danno croce). Un altro esempio per capire
meglio tale teoria potrebbe essere il seguente: avendo 2 dadi, si effettua un
numero casuale di lanci con risultati che possono variare dal 2 al 12.
Effettuando pochi lanci c‟è la possibilità di avere valori molto bassi o molto
alti (come 2,3,4 oppure 10,11,12), valori estremi, ma con un numero di lanci
sempre maggiore, che tende a ∞, avremo una concentrazione di valori medi
(5,6,7,8,9) fino a corrispondere al valore medio vero e proprio
(rappresentato dal numero 7), che corrisponde al valore atteso della
distribuzione.
34
Questo modello implica che l‟evoluzione del prezzo di uno strumento
finanziario è essenzialmente casuale e la migliore previsione del prezzo
dell'istante successivo non può che essere fatta sulla base del prezzo
precedente e delle informazioni disponibili al mercato. Pertanto i movimenti
dei prezzi e dei rendimenti non seguono alcun trend o regolarità, quindi i
movimenti passati non possono essere usati per previsioni future.
In finanza, sugli assunti delle ricerche condotte da molti centri universitari
tra cui William Sharpe e Eugene Fama, evidenzia che la formazione del
prezzo di una azione è indipendente dal precedente prezzo di mercato per
quella azione, e che la storia dei prezzi di quella azione non costituisce un
indicatore affidabile per i prezzi futuri di lungo periodo della medesima
azione. In poche parole il movimento dei prezzi sarebbe casuale ed
imprevedibile (processo stocastico).
LA TEORIA DEI MERCATI EFFICIENTI
Questa teoria sostiene quindi che i mercati sono efficienti, ossia che tutti gli
investitori hanno le stesse informazioni. Eugene Fama definì un mercato
finanziario efficiente quello in cui i prezzi dei titoli quotati rispecchiano
sempre e pienamente le informazioni disponibili. Secondo tale ipotesi,
quindi, un investitore qualsiasi non può pensare di battere regolarmente il
mercato e le risorse che impiega per analizzare, scegliere e negoziare titoli
sono sprecate. E‟ meglio invece operare con una strategia passiva,
detenendo semplicemente il portafoglio di mercato. L‟ipotesi dell‟efficienza
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dei mercati finanziari (Efficient Market Hypothesis, in sigla EMH), negli
anni successivi alla sua scoperta, fu un successo sia teorico che empirico.
Molte branche della finanza, come la security analysis, nacquero basandosi
sull‟EMH stessa. Tuttavia, negli ultimi vent‟anni, si è cominciato a
contestare sia le sue basi teoriche sia la sua evidenza empirica. Le forze su
cui si dovrebbe basare l‟efficienza dei mercati, come l‟arbitraggio, sono
probabilmente più deboli e limitate di quanto originariamente creduto.
Basandosi sulla nuova teoria e sulla nuova evidenza empirica, la finanza
comportamentale è nata come una visione alternativa dei mercati finanziari;
una visione in cui è contemplata la possibilità per il mercato di allontanarsi
in maniera significativa e durevole dall‟efficienza.
Secondo una formalizzazione proposta da Eugene Fama in un noto lavoro
del 1970 (“Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical
Work") , esistono tre distinte ipotesi di efficienza dei mercati:
1. Efficienza in forma forte: qualora i prezzi di mercato riflettono
l'informazione contenuta nella serie storica dei prezzi stessi, qualunque
altra informazione pubblica, nonché qualunque informazione privata;
questo accade quando alcuni operatori sono a conoscenza di informazioni
private/privilegiate.
2. Efficienza in forma semi-forte: qualora i prezzi di mercato riflettono tutta
l'informazione contenuta nella serie storica dei prezzi, più qualunque
altra informazione pubblica; i mercati incorporano tutte le informazioni
di pubblico dominio;
3. Efficienza in forma debole: qualora i prezzi osservati sul mercato
riflettono tutta l'informazione contenuta nella serie storica dei prezzi
stessi; in questo caso è possibile formulare una strategia di trading
basandosi solo sull'informazione contenuta nella serie storica dei prezzi, i
corsi incorporano tutte le notizie che possono essere tratte dal mercato
(prezzi e loro variazioni, quantità scambiate, ecc.): ciò è alla base della
validità dell'analisi tecnica, ma contemporaneamente ne vanifica
l'efficacia predittiva.
36
Quando si parla di forma forte, semi forte e debole si fa riferimento anche al
periodo temporale, nel senso che il mercato sconta perfettamente le notizie
in un arco di tempo più o meno lungo: per “Fama” l‟andamento della borsa
di domani è prevedibile solamente se hai la notizia prima del mercato
(insider trading) e quindi non è possibile prevederlo per chi non ha la
informazione, poi nel medio periodo gli investitori digeriscono
l‟informazione e quindi adeguano il prezzo alle loro aspettative razionali, e
nel lungo periodo il mercato assorbe totalmente la notizia ed il prezzo la
incorpora correttamente. Non prende in considerazione l‟emotività degli
investitori, ma li giudica pienamente capaci di interpretare la notizia nel
lungo periodo in maniera del tutto razionale ed efficiente, così che i prezzi
siano corretti.
Come scrive in un suo articolo il dott. Stefano Calamita (esperto di
psicologia finanziaria): "efficienza dei mercati" (detta anche "valutativa") ed
"efficienza informativa" sono due concetti diversi (come chiunque segue
operativamente i mercati può capire) ed è troppo semplicistico accomunarli
come viene fatto dai teorici economisti. Come se ciò non bastasse alcuni
economisti che sostengono tale teoria hanno fatto regredire l'importanza
della psicologia economica arrivando a dichiararne più o meno
espressamente la sua inutilità, in quanto "le componenti psicologiche
sarebbero immunizzate dalle semplici e precise leggi economiche dei
mercati finanziari ". Chi non condivide gli stili cognitivi e i comportamenti
dominanti e ottimizzanti è destinato secondo la Efficient Market
Hypothesis, a incorrere in gravissime perdite. Le componenti psicologiche
legate alla irrazionalità degli operatori/investitori, le componenti emotive,
ecc. sono "rumori" di intensità irrilevante per l'economista. Tuttavia la
Borsa è un "fenomeno" molto complesso ma prima di ogni aspetto è un
fenomeno sociale, in quanto messo in atto da soggetti umani, e quindi và
affrontato con metodologia psicosociale, per cercare di arrivarne a capo e
trarre conclusioni che ci possano essere di aiuto ai fini operativi. Il mercato
finanziario, a differenza della teoria, è caratterizzato da assenza di modelli
dominanti. La pluralità delle opinioni genera comportamenti di massa e
questi sono il risultato dei comportamenti di tanti individui: questi
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comportamenti che siano corretti o meno dipende non dal mercato ma da
noi, con il nostro "vissuto". Nella realtà gli investitori sembrano compiere
sistematici errori di valutazione ed effettuare scelte di investimento non
massimizzanti. I mercati sembrano mostrare significative e ripetute
allontanamenti dall‟efficienza e non riflettere sempre il valore corretto delle
attività finanziarie.
A mio avviso il mercato efficiente non esiste, le informazioni fanno variare
il mercato in una direzione piuttosto che in un'altra, e soprattutto tali
informazioni (a volte) sono in possesso di pochi che “controllano” il
mercato. Questo è vero specialmente in microeconomie come quella
italiana, dove molte aziende sono in mano a lobby famigliari. Quindi, si
potrebbe dire, che il mercato efficiente è più che altro un‟utopia.
IL CASO DEL LONG TERM CAPITAL MANAGEMENT (LTCM)
LTCM era un megafondo d'investimento speculativo diretto da premi
Nobel, Professori, ex governatori della Fed (banca centrale degli Stati Uniti
d'America), tecnici d'alto profilo. Era una società fondata all‟inizio del 1994
con sede nel Connecticut. Il fondo LTCM era un hedge fund, ossia un
fondo di investimento che nell'attuazione della propria strategia non è
soggetto ai vincoli tipici dei fondi tradizionali, può quindi operare in tutti i
mercati e con tutti gli strumenti finanziari ed in particolare può: vendere allo
scoperto, operare senza nessun limite con strumenti derivati, utilizzare senza
nessun limite la leva finanziaria; questo particolare hedge found utilizzava il
convergence trading, una strategia che generalmente si serve di titoli
obbligazionari e strumenti derivati per fini di copertura. Un fondo che parte
dal presupposto che vi sono inefficienze sul mercato, destinate a scomparire
nel lungo periodo. Il gestore punta su tali anomalie, sperando in un processo
di convergenza dei valori. La differenza tra i valori è di modesta entità e
offre un guadagno limitato. Ecco perché i gestori, che utilizzano tale
strategia, fanno considerevole uso della leva finanziaria per incrementare il
rendimento. L‟ LTCM utilizzava un modello finanziario, derivato dalla
38
ricerca scientifica più aggiornata, che permetteva di tracciare, in modo
straordinariamente fedele alla realtà, le curve dei tassi d‟interesse di mercato
e di individuare gli assets, che si discostavano dai valori teorici espressi
dalle curve. Questo "mostro" finanziario gestiva una ingente somma di
denaro derivante dai principali istituti finanziari americani ed europei, e
anche dei Fondi Pensione. Aveva capitali per 2,2 miliardi di dollari, ma
prestiti dalle banche per un valore di 125 miliardi di dollari, una leva di 55
volte. Con una leva simile, bastava un movimento avverso del 2 % per
perdere il 100% del capitale.
Nonostante lo spostamento di questi grandi capitali, il mondo del mercato
mobiliare rimane molto legato al rischio, alle fluttuazioni e
all‟imprevedibilità delle cose.
La gestione dell‟LTCM fu affidata a Robert Merton e Myron Scholes, che
ottennero il premio Nobel per l‟economia nel 1997. La strategia del
megafondo era quella di otenere un piccolo guadagno altamente probabile a
fronte di una grande perdita altamente improbabile. Ma le cose non
andarono proprio nel modo previsto.
Infatti i principali rappresentanti del mondo bancario mondiale sono stati
convocati d‟urgenza il 23 settembre 1998 alla Federal Reserve di New
York a contemplare il buco di parecchi miliardi di dollari causato dal
fallimento del Long Term Capital Management. La logica lineare della
finanza prospettava a quel punto due alternative: lasciare LTCM a se stesso,
rischiando che il mondo finanziario implodesse di colpo sotto una reazione a
catena di insolvenze, oppure tenerlo a galla con una robusta iniezione di
soldi da parte di un consorzio di banche. Nonostante l‟imperversare della
crisi di liquidità, le 14 banche convocate hanno ovviamente scelto di
"sopravvivere". Si sono accordate tra loro per rilevare LTCM versando
insieme 3,75 miliardi di dollari. Le prime conseguenze si sono avute il 29
settembre quando il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ha
abbassato il tasso d‟interesse dello 0,25%, portandolo al 5,25%, dando cioè
alle banche possibilità di disporre di "denaro facile" per far fronte alla
doppia crisi di liquidità. La scelta era obbligata. Sapevano tutti di essere
legati a doppio filo tra loro: le principali banche internazionali, gli
39
investitori in hedge funds e infine le banche centrali. L‟enorme bolla del
capitale fittizio che dominava i mercati mondiali doveva essere ripudiata in
blocco o rifinanziata, ma tale finanziamento andava incontro a
un‟iperinflazione senza precedenti storici. Infatti due settimane più tardi la
Fed ha dovuto decidere un‟altra inevitabile riduzione dei tassi d‟interesse.
Il fatto che a incorrere in questo fallimento siano stati proprio le migliori
menti della finanza mondiale dovrebbe far scattare qualche campanello
d‟allarme. L‟LTCM, come detto, raccoglieva personaggi importanti
dell‟industria dei servizi finanziari di Wall Street, banchieri con esperienza
nel sistema di controllo finanziario ed i migliori cervelli della matematica:
insieme avevano messo a punto uno dei più formidabili sistemi di
scommesse che si potesse concepire, capace di macinare profitti nell‟ordine
di miliardi di dollari. Il fondo disponeva di capitali oltre la soglia dei 100
miliardi di dollari, e secondo alcune valutazioni fino a 400. Quei capitali
provenivano dalle principali banche e investitori mondiali, da gente che, a
sua volta, avrebbe dovuto "saperla molto lunga". Puntando i capitali
rastrellati come garanzia, l‟hedge fund poteva impegnarsi in operazioni in
derivati per un volume superiore ai mille miliardi di dollari. Secondo il New
York Times, gli ispettori che hanno esaminato i conti di LTCM hanno
accertato che i depositi degli investitori, un capitale di 4,75 miliardi di
dollari, erano stati impiegati "come collaterale per l‟acquisto di titoli per 125
miliardi di dollari, per poi usare quei titoli come collaterale per partecipare
in transazioni finanziarie esotiche che ammontano a 1250 miliardi di
dollari".
Il problema non è, come si vorrebbe raccontare, che LTCM ha fatto un paio
di scommesse congegnate male sul tavolo verde dei derivati, ma il problema
vero è che quel tavolo si sta letteralmente disintegrando sotto le mani degli
scommettitori. Il fondo aveva scommesso sul fatto che a lungo termine si
sarebbe verificata una convergenza dei tassi d‟interesse delle principali
nazioni industrializzate, secondo i parametri definiti dal modello
matematico di Merton e Scholes. Dietro questo ragionamento c‟è il
presupposto teorico che ciò che è accaduto nel passato recente definisca ciò
che accadrà nel futuro, una logica alla base di quasi tutti i modelli
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computerizzati della finanza mondiale. La realtà, a differenza della logica
dei computer, non è lineare. I modelli computeristici che tengono conto di
tutte le analisi dei dati finanziari del passato non possono prevedere la realtà
che esiste al di fuori del loro universo lineare e statistico. All‟atto pratico, i
modelli finanziari di LTCM non erano in grado di prevedere gli scossoni
sistemici verificatisi in Asia ed in Russia, che hanno gettato il mondo
finanziario nel panico, ed hanno dato vita alla corsa dei risparmiatori ad
investire nei buoni del Tesoro tedeschi e statunitensi. Quella corsa ai beni
rifugio ha accentuato la differenza dei tassi d‟interessi, invece del presunto
riavvicinamento, determinando perdite colossali. La scommessa del fondo
era quella di aver investito in tassi d‟interesse russi a un determinato livello,
più basso della norma, credendo che sarebbe salito e tornato al suo valore
medio: in realtà però la Russia stava attraversando un grande momento di
crisi, così invece che salire questi tassi crollarono sempre di più, ma i gestori
del fondo continuavano a comprare utilizzando la leva finanziaria,
raddoppiando ogni volta il capitale investito, in modo da recuperare le
perdite in attesa di un rialzo (come nel gioco della “roulette”); questo però
causò la loro rovina e determinò il loro fallimento. Ciò che fa riflettere, è
che dopo questo fallimento la Russia iniziò una ripresa, così i tassi
cominciarono ad aumentare e a riavvicinarsi al suo valore di norma; così se
il fondo avesse avuto la forza e la disponibilità finanziaria per rimanere sul
mercato, avrebbe non solo recuperato le perdite, ma anche guadagnato
grandi capitali.
A seguito di quella crisi, LTCM ha perso la sua base di capitale che dai 4,8
miliardi dollari si è ridotta a 600 milioni di dollari. Registrando una perdita
netta del 44% degli investimenti. Il fatto preoccupante è che l‟errore
assiomatico che ha portato all‟impatto frontale con la realtà è lo stesso che
sta alla base di tutta la bolla speculativa mondiale dei derivati e di altre
attività speculative. L‟illusione di fondo è quella di poter congegnare una
realtà virtuale capace davvero di anticipare sistematicamente la realtà
autentica.
41
Il fondo chiuse definitivamente i battenti all‟inizio del 2000.
Il caso dell‟ LTCM ci fa capire che niente nel mondo della finanza è sicuro,
nemmeno uno dei più grandi fondi mondiali ha saputo esprimere stabilità.
Da ciò comprendiamo che i movimenti finanziari sono tutt‟altro che
prevedibili ma bensì controllati da fenomeni aleatori. Inoltre tutte le analisi
hanno il loro “tallone di Achille” nel verificarsi di eventi statisticamente
poco importanti o imprevedibili.
Il mercato si muove con un percorso “random walk” fatto di spostamenti
casuali e imprevedibili, dove non si possono prevedere andamenti o trend,
nel breve periodo questi spostamenti rendono irrazionale il mercato, ma nel
lungo periodo sappiamo che questi passi casuali si avvicineranno ad un
valore medio. L‟LTCM fa capire come esistano forze ed eventi che si
verificano nei mercati finanziari, nel breve periodo, che non sono
calcolabili da nessun sistema computerizzato ne prevedibili da nessun
premio Nobel o esperto di mercato. In un sistema dominato da molte
variabili (LTCM era un fondo che interessava la finanza mondiale) ogni
investitore è sottoposto al cambiamento imprevedibile degli eventi.
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CAPITOLO III : “Analisi fondamentale e tecnica”
I due approcci principali di analisi delle attività quotate sono l‟analisi
fondamentale e l‟analisi tecnica.
L’ANALISI FONADMENTALE
Per analisi fondamentale si intende una metodologia di analisi che si
propone di valutare il “giusto prezzo” di un‟azione. Consiste
nell'osservazione dell'oggetto scambiato, dei fattori che determinino il suo
prezzo: un bene quotato ha un proprio valore effettivo che il fondamentalista
ha lo scopo di determinare. Il mercato tende ad esprimere questo "giusto
prezzo" nella quotazione in modo più o meno rapido; se vengono
individuate delle distorsioni, l'analista dovrà comportarsi coerentemente ed
intraprendere azioni d'acquisto o vendita se il bene è sottovalutato o
sopravvalutato. In altre parole si parte dalle cause per prevedere gli effetti,
cioè l‟evoluzione dei prezzi. Quando il prezzo corrente è inferiore al prezzo
teorico si procede all‟acquisto; quando il prezzo teorico viene raggiunto si
vende. Purtroppo è molto difficile “pesare” correttamente tutti i fattori
rilevanti. Per di più, il rischio è di concludere la propria analisi quando il
movimento di prezzo è già terminato. Ma il problema maggiore è che questo
approccio presuppone un mercato razionale ed efficiente, mentre spesso
sono le emozioni e le “voci” a muovere i prezzi. In genere l‟analisi
fondamentale è valida per interpretare movimenti di lungo periodo (alcuni
mesi o alcuni anni) mentre le variazioni di breve periodo (infra-giornaliere o
comunque inferiori al mese) sfuggono al suo ambito. Quando il mercato sta
attendendo un dato particolarmente importante è necessario esserne
consapevoli per evitare brutte sorprese. Nell‟interpretazione dei dati
fondamentali bisogna ricordare che il mercato tende sempre ad anticipare,
cosicché spesso si verifica che quando vengono pubblicati dei dati positivi il
titolo scenda, perché era già salito in precedenza proprio in attesa di tali dati.
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Viceversa, quando un titolo scende molto in attesa di dati negativi, la
pubblicazione di tali dati è spesso occasione per un rimbalzo del titolo
stesso. “Buy on rumours, sell on facts”, ovvero comprare quando iniziano a
circolare attese positive, vendere quando tali attese si concretizzano e
diventano di pubblico dominio.
Il processo di analisi fondamentale si articola secondo diversi livelli di
generalità: innanzitutto viene effettuata un‟indagine strutturale, che esamina
l'ambiente macroeconomico di riferimento (analisi economica). Ricorrendo
a modelli di tipo econometrico, più o meno complessi, vengono interpretate
e descritte le relazioni che si instaurano tra le grandezze economiche
interessate, tramite un articolato intreccio di relazioni matematiche. Tuttavia
nessun trader può pensare di subordinare le proprie decisioni sulla base delle
indicazioni fornite da questo tipo di modelli. E' comunque auspicabile una
conoscenza di massima, volta perlomeno a stabilire i possibili effetti di
cambiamenti politico-economici nazionali e internazionali su talune
variabili determinanti il processo di valutazione di un titolo azionario.
Un secondo livello di approfondimento dell'analisi fondamentale è costituito
dall'indagine particolare: all'interno di essa si distinguono poi un'analisi di
tipo settoriale e di tipo aziendale. Tale studio è diretto ad identificare le
potenzialità economiche, finanziarie e patrimoniali della società, per operare
una stima corretta dei flussi di reddito associati a quel particolare titolo
azionario. Viene considerato dapprima il segmento di mercato, per tentare di
fornire una stima del livello di competitività dell'azienda: si
approfondiscono le relazioni tra domanda e offerta, nonché il grado di
concorrenza all'interno del settore, i costi ed il ciclo di vita del prodotto,
l'eventuale stagionalità della produzione, possibili effetti di
regolamentazioni nazionali o estere.
L'analisi fondamentale di tipo aziendale consiste invece nello studio
dinamico dei bilanci societari riferiti a più esercizi: attraverso comparazioni
storiche, valutazioni prospettiche e confronti con altre aziende appartenenti
allo stesso settore, si vuole indagare l'aspetto economico (capacità
dell'azienda di produrre redditi futuri), l'aspetto finanziario (capacità
dell'azienda di mantenere un persistente equilibrio tra fonti e impieghi) e
44
l'aspetto patrimoniale (capacità dell'azienda di conservare il proprio
patrimonio nel tempo).
A fini operativi divengono poi molto utili gli strumenti della cosiddetta
analisi finanziaria. Si studiano e si costruiscono indici di apprezzamento
borsistico, utilizzando sia dati provenienti dai bilanci societari sia dati di
mercato.
L’ANALISI TECNICA
L‟analisi tecnica ha un approccio diverso da quella fondamentale e si
dichiara del tutto incapace di individuare il “giusto prezzo” di una
qualsivoglia attività finanziaria. Non considera il mercato come un
meccanismo perfettamente razionale ed efficiente, ma ritiene che i fattori
emotivi quali l‟avidità, la paura, la speranza siano comunque sempre
presenti sia nella domanda che nell‟offerta, perché il mercato è fatto di
esseri umani che tendono a ripetere nel tempo comportamenti simili. Per un
analista tecnico non è quindi importante capire il “perché” di un certo
movimento di mercato, e neppure se sia “razionale” o meno: in tale ottica
nessuno può dire che un prezzo sia “troppo” alto o “troppo” basso, perché il
prezzo può rimanere su livelli poco razionali anche per un periodo lungo di
tempo, lungo a sufficienza per provocare grosse perdite a chi si fosse illuso
di essere il solo a conoscere il prezzo “reale”, “giusto”. L‟unico obiettivo è
cercare di essere dalla parte giusta nel momento giusto per minimizzare le
perdite e massimizzare gli utili. L'analisi tecnica è quindi lo studio
sistematico del comportamento dei mercati finanziari, principalmente
mediante metodi grafici, con lo scopo di prevederne l'evoluzione futura.
Consente di individuare dei livelli di entrata e di uscita dal mercato attraenti
sotto il profilo del “risk-reward” (rischio-beneficio), fornendo anche il
momento preciso per operare, ovvero il “timing”.
Spesso gli analisti tecnici sono in conflitto con quelli fondamentali. Tuttavia
i due approcci possono essere usati in modo complementare. Mentre
l‟analista fondamentale individua azioni o attività finanziarie che
dovrebbero essere profittevoli nel lungo periodo, l‟analista tecnico può
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fornire delle indicazioni sul momento più corretto per entrare sul mercato (il
“timing”), nonché un obiettivo di prezzo per chiudere la posizione,
auspicabilmente con un “take profit” (ovvero in utile) ma talvolta con uno
“stop loss” (ovvero in perdita). Per l‟operatività infra-giornaliera ed
inferiore al mese, sembra preferibile utilizzare solamente l‟analisi tecnica
perché movimenti di mercato così brevi e veloci non sono determinati da
fattori fondamentali. l'analisi tecnica si basa principalmente
sull'osservazione dei prezzi ed, in via subordinata, dei volumi trattati e
consiste nell'identificare un cambiamento di tendenza ad uno stadio iniziale,
e nel mantenere la posizione di investimento fino a quando l'evidenza dei
fatti non prova che la tendenza stessa si è di nuovo invertita.
I presupposti teorici dell‟analisi tecnica sono tre:
1) il mercato sconta tutto; i prezzi riflettono tutte le informazioni;
qualunque variabile rilevante, sia essa di carattere prettamente economico,
monetario o semplicemente politico, viene istantaneamente riflessa nel
prezzo di mercato. Non viene indagato su quali siano i fattori determinanti:
il prezzo viene accettato come sintesi perfetta di tutto ciò che riguarda
l'attività quotata. Vi sono certamente le più valide ed eterogenee motivazioni
che provocano il rialzo o il ribasso dei prezzi, ma non è indispensabile
conoscerle. Poiché ognuno di questi fattori si riflette nel movimento dei
prezzi (e dei volumi) di scambio, l'analisi di queste sole variabili nel tempo
è sufficiente per capire ed individuare la direzione del mercato. Il
presupposto di fondo è che i prezzi risultanti dall‟interazione tra domanda
ed offerta riflettono tutte le informazioni disponibili sul mercato, anche
quelle in possesso soltanto di un ristretto gruppo di persone. Per questo
motivo, l‟analista tecnico “puro” evita di considerare i dati fondamentali,
non perché li ritenga poco importanti ma semplicemente perché, se
importanti, saranno già riflessi nei prezzi.
2) la storia si ripete; questo secondo presupposto è di carattere
psicologico, e si basa sulla convinzione che, ad uno stimolo identico, gli
individui rispondano con una reazione ed un comportamento analoghi ed
46
immutati nel tempo. Attraverso lo studio di precedenti punti di svolta del
mercato, è possibile evidenziare alcuni particolari che servono ad
identificare i principali minimi e massimi. L'agire umano, e di conseguenza
l'andamento del mercato azionario, è estremamente complesso e non si
ripete mai in modo esattamente identico; ma il riproporsi di modelli di
comportamento (patterns) simili è sufficiente per permettere all'esperto di
individuare i punti critici principali. Ciò sostanzialmente significa
ammettere che l'andamento del prezzo passato abbia qualche possibilità di
ripetersi nel futuro; questo movimento dei prezzi tende a riflettere le
reazioni psicologiche dei partecipanti al mercato. La storia tende a ripersi
perché gli “attori” sono sempre gli stessi, ossia esseri umani che vogliono
guadagnare, hanno paura di perdere, muovendosi come un pendolo tra
l‟entusiasmo e la paura. Perciò il passato può dare delle utili indicazioni
anche per l‟avvenire. Analizzando i grafici di serie storiche si possono
individuare dei “patterns”, ovvero delle figure che tendono a risolversi con
maggior probabilità in una direzione precisa, aiutando quindi l‟analista
tecnico a formulare delle previsioni statisticamente fondate.
3) Validità dei trend; Il mercato non si muove in modo del tutto casuale o
erratico ma segue delle tendenze, dei “trend”. Un trend si presuppone intatto
fintantoché non dia dei chiari segnali di esaurimento o di inversione.
L‟obiettivo dell‟analista tecnico è individuare il trend in essere per assumere
posizioni nella direzione del trend stesso, e di non mettersi contro il
mercato. Una tendenza nei prezzi viene ritenuta valida fino a che non
appariranno netti segnali di inversione. E' fondamentale quindi identificare,
sin dal primo stadio del suo sviluppo, la tendenza che caratterizza il mercato
in generale e le singole operazioni in particolare, per operare coerentemente
con la direzione del trend che è stata individuata.
In analisi tecnica è bene, prima di entrare sul mercato e iniziare a investire,
farsi una propria strategia d‟investimento, basandosi sulle proprie esigenze o
sulle proprie aspettative. Con tale strategia si devono fissare determinati
livelli di guadagno o di perdite sopra o sotto i quali non si deve andare,
determinando quindi delle “stop gain” o “stop loss”, per fare si che questo
47
sistema di guadagni\perdite sia efficiente il rapporto è stabilito da questa
relazione: 1 guadagno deve essere in grado di recuperare 3 perdite. La
strategia che si costruisce ricopre così un ruolo importantissimo.
Per fare tutto ciò, l‟analisi tecnica dispone di tanti strumenti di valutazione
sui grafici: si può individuare se siamo in una fase rialzista, ribassista o
laterale; si studiano le media, ossia il numero fisso di valori assunto da uno
stesso strumento finanziario; gli oscillatori, che delimitano il trend in bande
entro le quali si svolgeranno la maggior parte degli spostamenti. Il
principale rischio è quello di voler anticipare il trend futuro secondo le
nostre aspettative derivanti dalle nostre informazioni. Il principale motivo
di perdita è il verificarsi di un evento eccezionale.
MERCATO
Valutare COSA tramite
L'ANALISI
FONDAMENTALE
CERCO
UN'ALTRA
ATTIVITA'
NON E'
CONVENIENTE
BUY/SELL COSA
WAIT
ATTIVITA'
FINANZIARIA
BUY/SELL QUANDO
Valutare il MOMENTO
IDEALE tramite
ANALISI
TECNICA
GRAFICA/ALGORITMICA
NON E' IL
MOMENTO
E' IL MOMENTO
ACQUISTO
VENDO
ANALISI TECNICA
FONDAMENTALE
NON CONTRAPPOSIZIONE
MA COMPLEMENTARITA'
BUY,
SELL
WAIT
,
48
CAPITOLO IV : “Un approccio complementare:
l’analisi comportamentale e il sentiment finanziario”
Oltre agli aspetti tecnici che regolano i mercati finanziari, si può parlare di
una e vera propria analisi psicologica degli investitori. Per questo si studia la
psicologia della finanza, ossia di come nel mercato si producano certi
fenomeni psicologici e di come si possa imparare a riconoscerli. Alcuni
meccanismi psicologici che creano il movimento dei prezzi sono razionali e
intelligenti, altri ridicoli e assurdi; questi movimenti si verificano con
regolarità.
Fin dalla comparsa della Borsa i movimenti di prezzo hanno sempre colto di
sorpresa gli investitori, molti hanno cercato di spiegare queste fluttuazioni e
la maggior parte dei teorici ha confermato quella che sembra la spiegazione
più naturale: nel lungo periodo i prezzi riflettono il valore reale, mentre nel
breve periodo riflettono spostamenti che devono essere considerati come
imprevedibili e casuali.
Analisti, economisti, consulenti finanziari e giornalisti fanno previsioni ma
nonostante ciò sono sempre indietro rispetto al mercato. Analisi e previsioni
sono delle riflessioni su quello che il mercato aveva già capito tempo prima,
dato che è sempre avanti rispetto alle notizie. Generalmente non è la notizia
che crea i prezzi, ma sono i prezzi che creano la notizia. Alla chiusura di una
giornata di contrattazioni, tutti iniziano a dare argomentazioni per spiegare
una deviazione del prezzo, o un‟alterazione del trend, fatti già accaduti ore
prima.
Il mercato, inoltre, può reagire velocemente agli eventi ma potrebbe anche
comportarsi in modo bizzarro, emozionale e guidato dai capricci del trend in
cambiamento; in alcuni periodi i prezzi potrebbero fluttuare in relazione alla
situazione finanziaria e agli interessi degli investitori, oscillando tra
l‟isterismo collettivo e l‟indifferenza, più che in base al valore reale delle
azioni. Gli sforzi dei singoli investitori di essere razionali potrebbe di
conseguenza costituire un comportamento irrazionale. Per quanto si cerca di
costruirsi una strategia o di prevedere le mosse del mercato non si potrà mai
avere padronanza assoluta di tali movimenti, il mercato è irrazionale e non
vi è scienza che da totale controllo su di esso.
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BEHAVIOURAL FINANCE (FINANZA COMPORTAMENTALE)
Per “finanza comportamentale” si intende lo studio dei comportamenti degli
operatori sui mercati finanziari internazionali, valorizzando una prospettiva
“psicologica”, nel tentativo di spiegare, e quindi interpretare, svariati
comportamenti non “ortodossi”, tenuti dagli stessi agenti.
In realtà, la “finanza comportamentale” non è stata in passato, nè per il
momento è tuttora, una teoria unitaria, esposta esplicitamente e strutturata
organicamente.
Tuttavia, questa lacuna “strutturale” può essere considerata come un
elemento non solo fisiologico, e quindi non eludibile senza conseguenze
dannose, ma soprattutto propulsivo della stessa “finanza comportamentale”,
in quanto l‟evoluzione e l‟adattamento sono caratteristiche proprie del
comportamento umano. Queste stesse proprietà lo rendono allo stesso
tempo difficilmente riconducibile a modelli teorici, almeno utilizzando gli
strumenti teorici tradizionali.
Analizzando l‟evoluzione dei mercati finanziari si evince facilmente che il
comportamento delle persone (professionisti e non) sia lontano dalla
razionalità. Questo comportamento fa si che i mercati finanziari siano
tutt‟altro che “efficienti”.
Eugene Fama nel 1970 concepì le basi su cui fondare la teoria
dell‟Efficienza dei mercati:
1) Perfetta coerenza tra gli operatori
2) Diffusione immediata delle informazioni
3) Immediato adeguamento dei prezzi ad ogni nuova notizia
In pratica il livello attuale dei prezzi sconterebbe tutte le informazioni note e
non note in grado di determinare il movimento del mercato, di conseguenza
il futuro delle quotazioni sarebbe influenzato da eventi accidentali ed
imprevedibili: i prezzi cioè avrebbero un “cammino casuale” (Random
Walk), come già detto in precedenza.
Se quindi la variazione dei prezzi sarebbero governate dal caso, qualsiasi
tentativo di prevedere il futuro movimento di mercato sarebbe del tutto
inutile.
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Diversi furono i punti di vista di molti economisti ed esperti di finanza al
riguardo della Teoria del Random Walk, il più eclatante fu quello di Robert
Shiller (professore alla Yale University e autore di libri famosi) che disse al
riguardo:“La teoria dell‟efficienza dei mercati è l‟errore più rimarcabile
nella storia della teoria economica”.
La cosiddetta Behavioural Finance, portata avanti da diversi studiosi quali
Daniel Kahneman, Amos Tversky e Richard Thaler, vuole essere un modo
per superare la rigidità della teoria del Random Walk e per cercare di
spiegare i fenomeni reali che si verificano sui mercati finanziari.
I contributi dei suddetti studiosi hanno dimostrato che il comportamento
degli operatori, e di conseguenza dei mercati finanziari, seguono logiche
molto lontane da quelle ipotizzate da Fama. Sulla base degli studi di questi
esperti della Behavioural Finance, la maggioranza degli operatori nel tempo
tende a sovrastimare le proprie capacità, mettendo in pratica frequentemente
scelte irrazionali le quali sono influenzate dai movimenti di breve termine
dei prezzi.
Il comportamento irrazionale verso i mercati finanziari si amplifica tra i
risparmiatori ovunque si trovino in America piuttosto che in Europa.
Analizzando ad esempio l‟analisi dei flussi di cassa dei fondi comuni
italiani, s nota la tendenza dei risparmiatori a sbagliare sempre il “timing”
negli investimenti: i capitali entrano nei fondi azionari dopo che questi
hanno registrato performance significative dopodiché confluiscono verso i
fondi obbligazionari dopo che i mercati azionari sono andati particolarmente
male.
I risparmiatori si fanno guidare quindi dai rendimenti passati per prendere le
decisioni sui loro investimenti, sono convinti che per il fatto che “il mercato
è cresciuto, quindi continuerà a crescere”. Le conseguenze di questo
comportamento a livello di performance sono enormi.
Un‟analisi su 18 anni (dal 1984 al 2002) di sottoscrizioni-riscatti e switch
di fondi comuni azionari negli Usa ha dimostrato che l'investitore medio
americano ha ottenuto rendimenti annui di molto inferiori rispetto alla
generalità del mercato. Dal 1984 al 2002 l‟indice S&P 500 è cresciuto del
793%, il 12,2% su base annua, mentre il rendimento del fondista medio è
51
stato solo del 62,2% ossia il 2,6% su base annua. Se ne deduce quindi che il
rendimento dell'investimento dipende molto più dal comportamento
dell'investitore che dall'andamento del fondo scelto o dai mercati (dati
“sentimentcharts”).
La finanza comportamentale e l'economia comportamentale sono campi di
studio strettamente legati, che applicano la ricerca scientifica nell'ambito
della psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche e
come queste si riflettano nei prezzi di mercato e nell'allocazione delle
risorse. Entrambe si interessano della razionalità, o meglio della sua
mancanza, da parte degli agenti economici. La “finanza comportamentale”
si è sviluppata come “ramo” della teoria neoclassica a partire dagli anni ‟50.
Questa disciplina, però, solo a partire dalla metà degli anni ‟70, grazie a
nuovi e più approfonditi studi, ha ottenuto “visibilità” sufficiente, negli
ambienti accademici, acquisendo lo status di “teoria”, per riuscire poi a
proporsi con sufficiente credibilità presso gli “esperti” del settore.
Il merito di questa “evoluzione” va indubbiamente ai professori di
psicologia Amos Tversky e Daniel Kahneman.
GLI STUDI DI DANIEL KAHNEMAN
Daniel Kahneman (Tel Aviv, 1934) rappresenta oggi la personalità
scientifica di maggior rilievo nella vasta recente ripresa di studi
all‟intersezione tra discipline economiche e psicologiche. Psicologo per
formazione (la sua prima laurea nel 1954 è in Psicologia e Matematica alla
Hebrew University di Gerusalemme), la esperienza di insegnamento e di
ricerca di Kahneman (ormai da diversi anni nell‟Università di Princeton)
interessa vasti settori della psicologia, dal cognitivismo alle neuroscienze.
Lo straordinario rilievo che gli sviluppi dei suoi studi hanno nel tempo
acquisito nelle applicazioni economiche gli ha guadagnato la attribuzione
del premio Nobel per l‟Economia nel 2002 per i risultati ottenuti nel
realizzare la integrazione di conquiste della ricerca psicologica entro la
Scienza economica, con speciale riferimento alla formazione del giudizio e
ai processi decisionali in condizioni di incertezza. La nascita del campo
52
disciplinare della economia cognitiva, oggi in pieno sviluppo, non sarebbe
certamente pensabile senza i suoi studi.
Il suo obiettivo era quello di esplorare il mondo che “sta dietro” alle scelte e
alle decisioni di un individuo, ossia il mondo delle preferenze. La nuova
disciplina cognitivista che ne scaturisce può essere intesa come analisi
alternativa alle teorie economiche fino ad allora conosciute.
Il rapporto tra economia e psicologia ha radici antiche e ha conosciuto
storicamente complesse dinamiche. Ottocento e Novecento arricchiscono la
vicenda di appassionanti e complesse interazioni tra psicologia ed
economia: Heinrich Gossen, Stanley Jevons, Carl Menger, Maffeo
Pantaleoni, Friedrich Hayek ne forniscono, dal lato dell‟economia, esempi
di sicuro rilievo sino a giungere ai nuovi paradossi di Maurice Allais negli
anni Cinquanta nel Novecento.
Nonostante questi sviluppi, tuttavia, occorre rilevare che in Economia ha
finito col prevalere una impostazione separatista/autonomista rispetto ai
rapporti con la psicologia.
Con gli studi di Kahneman, il rapporto tra economia e psicologia torna ad
essere al centro dell‟attenzione; dalle sue ricerche è potuta emergere la
effettiva possibilità di intendere compiutamente perché e soprattutto come la
razionalità sia limitata e quali meccanismi psichici producano le effettive
credenze e preferenze degli agenti. I suoi studi forniscono un vasto
assortimento di casi rilevanti nei quali la teoria economica prevalente ha
dato cattiva prova nello spiegare il comportamento umano, così da avallare
spesso argomentazioni fuorvianti.
Tutta un‟ampia serie di applicazioni comportamentali alla finanza,
testimonia la fecondità di una nuova impostazione dell‟analisi economica
affiancata ad un maggiore realismo psicologico. Nel nostro paese al pari del
resto d‟Europa questi studi sono largamente divenuti oggetto di riflessione
e di ricerca con forte intensificazione proprio negli anni più recenti.
Lo sviluppo del lavoro scientifico di Daniel Kahneman si può schematizzare
in due fasi distinte se pur strettamente connesse.
Una prima fase ruota attorno a un “programma di ricerca” che conduce e
approda alla teoria del framing delle decisioni ossia della loro
53
“contestualizzazione” (il termine framing si riferisce ad un processo
inevitabile di influenza selettiva sulla percezione dei significati che un
individuo attribuisce a ciò con cui interagisce), teoria che a sua volta si
compone o presuppone numerosi elementi. In un lavoro che risale al 1986
Amos con Tversky :“Rational Choice and The Framing of Decisions”, gli
autori argomentano che “descrizioni alternative di un problema decisionale
danno spesso origine a preferenze diverse, contrariamente a quanto richiede
il principio di invarianza sul quale si fonda la teoria della scelta razionale”.
Vi sono in effetti regole ben individuabili sperimentalmente che governano
le conseguenze del framing delle decisioni. Ne segue che due diverse
modalità o due diversi contesti, pur logicamente equivalenti, di porre un
problema, conducono i decisori a scelte diverse. In particolare, poiché gli
individui mostrano sperimentalmente più spiccata sensibilità per le perdite
che pei guadagni (un principio che verrà poi denominato di loss avversion
da Kahneman e Tversky) un framing che pone l‟accento sulle perdite
derivanti da un‟opzione rende quell‟opzione meno attraente.
La prima parte tratta dunque , come si può intuire, di specificazioni della
razionalità limitata, specificazioni appunto che non fanno altro se non
riflettere routines mentali, ossia i pregiudizi insiti nel funzionamento della
mente; si tratta, in altre parole, di una teoria della formazione delle
preferenze.
Il passaggio da ricchezza a variazioni di ricchezza è usato come veicolo di
utilità, vi è inoltre un‟avversione alle perdite, ossia che la reazione alle
perdite è sistematicamente più forte della reazione a corrispondenti
guadagni. Questa impostazione scaturisce da una analisi della percezione e
del giudizio che mette in evidenza come, per natura, l‟apparato percettivo
umano sia sintonizzato su variazioni piuttosto che su grandezze assolute.
Queste caratteristiche (relazionalità ed enfasi sulle variazioni) conducono a
cogliere gli elementi di quella che qui individuiamo come la seconda fase
del pensiero di Daniel Kahneman, ricollegabile con gli sviluppi in tema di
economia e felicità. In questa parte si è dato crescente rilievo alla misura del
benessere e della felicità. Lo studio del rapporto tra economia e felicità si
basa sulla vistosa distorsione che affligge le economie contemporanee e che
54
consiste in un eccesso di risorse destinate a fenomeni di comfort (che si
accompagnano a un atteggiamento passivo nel consumatore) a scapito di
una più adeguata destinazione di risorse a fonti di stimolo e di
felicità. Trattasi di fenomeni macroscopici benché tuttora assolutamente
invisibili agli strumenti misurativi correnti adottati dalla macroeconomia.
Kahneman è convinto che uno studio più attento delle emozioni, degli
affetti, delle sensazioni e in generale delle esperienze edoniche, sia oggi
indispensabile per fornire una base più seria e costruttiva a considerazioni di
ordine benesseristico e felicifico. Solo in questo modo si potranno superare
le insufficienze mostrate dagli strumenti e dalle misurazioni a disposizione
della teoria economica. Emerge l‟insufficienza delle misure
macroeconomiche fondate sulla stima del reddito o prodotto interno lordo di
un sistema economico. Le ricerche hanno soprattutto lo scopo pratico di
fornire un indicatore alternativo rispetto al reddito, un “indice del benessere
nazionale”, che possa sostituire il reddito come indicatore standard di
benessere. Gli sviluppi più recenti in tema di economia e felicità hanno
messo in evidenza la importanza di distinguere tra l‟uso dei beni e il
coinvolgimento nelle relazioni umane.
Tali studi hanno dimostrato che un investitore prende delle decisioni,
valutando anche il suo benessere e quindi la sua felicità; alcuni esempi: un
uomo entra sul mercato in una posizione, dopo poco ha già guadagnato più
del doppio, una somma magari insperata fino a qualche tempo prima,
tuttavia preso dall‟entusiasmo non vende perché vuole guadagnare
abbastanza per potersi comprare una casa ed essere felice. Viceversa lo
stesso uomo perde una grossa somma di denaro e il mercato non accenna a
risalire, la sua reazione sarà quella di aspettare ad uscire per recuperare le
perdite, se uscisse ora la somma persa andrebbe a “intaccare” il suo
benessere e i suoi confort.
Le prospettive aperte dalle analisi di Kahneman offrono l‟occasione per
rinnovare approfondire le teorie economiche classiche. L‟interazione tra
psicologia ed economia getta oggi nuova luce sull‟importanza e sui limiti
del ragionamento economico e consente di comprenderne nuove potenzialità
ed applicazioni.
55
Non si tratta di uno studio che da totale informazione sulle decisioni da
prendere nel mercato, ma bensì di un analisi complementare che può essere
affiancata ai mezzi tecnici già in nostro possesso per costruire una migliore
strategia di trading.
HERDING BEHAVIOR (IL COMPORTAMENTO DEL GREGGE)
Il mercato si muove in funzione del comportamento del gregge che non è
altro che la somma dei comportamenti individuali di ogni investitore-
traders, proprio come le “pecore” all‟interno del loro gregge. Questa
situazione viene identificata con il nome di Herding Behavior (Prechter,
2001), comportamento del branco.
Gli studiosi di questo comportamento hanno identificato nell‟incertezza e
nell‟insicurezza le molle che spingono l‟investitore a cercare notizie e
conferme sulle prospettive dei mercati finanziari da altri soggetti in
particolare i mass-media, come giornali e televisione, non potendo in ogni
caso verificarne l‟esattezza ed affidabilità. Per il gregge di investitori è
quindi molto più importante che cosa viene detto e non chi lo dice.
Questo comportamento si registra anche nei confronti dei cosidetti “guru
della Finanza”, la massa degli investitori è sempre alla ricerca di un “leader”
che abbia le idee chiare sul futuro dei mercati finanziari e che quindi possa
guidarli nel prendere le loro decisioni.
Facendo un‟analisi storica delle principali bolle finanziarie è evidente che
un comportamento unidirezionale della massa di risparmiatori ha portato a
forti rialzi e successivi forti ribassi. In particolare nel periodo di forte rialzo
era difficile non adeguarsi al comportamento del gregge anche per
l‟investitore cosiddetto “contrarian”, è quindi evidente che in situazioni
anche estreme e di esagerata irrazionalità è sconsigliato andare “contro” al
mercato.
56
IL SENTIMENT E LA SUA ANALISI
Avendo analizzato l‟irrazionalità dei mercati finanziari, che da sempre
caratterizzano la storia economica mondiale, e la psicologia applicata alla
finanza, che ricopre un ruolo importante affiancando le normale analisi e
teorie economiche, è evidente che capire da che parte si muovono gli
investitori diventa una variabile molto importante: in altre parole il
sentiment.
Questo valore rappresenta l'aspettativa positiva o negativa di una tipologia
d‟investitore (gestore professionista, traders, risparmiatore) rispetto alle
prospettive del mercato; tale aspettativa viene evidenziata non solo nei soliti
sondaggi, ma anche attraverso l'operatività effettiva sui mercati. Le
operazioni di acquisto e vendita dei tanti strumenti finanziari (azioni, fondi,
etf, opzioni e futures) concluse ogni giorno da tutti gli investitori sono i dati
che servono per comprendere e analizzare il sentiment del mercato
L‟analisi del sentiment è una metodologia che ricerca sistematicamente gli
errori degli investitori, più o meno evoluti, nella valutazione e nella
previsione dei mercati finanziari. Non deve essere presa come un approccio
alternativo all‟analisi tecnica e/o fondamentale e neppure deve contraddire
le più blasonate teorie di portafoglio basate sull‟efficienza dei mercati. Se
l‟analisi tecnica ha la capacità di individuare i trend ed i loro target mediante
i supporti e le resistenze; e l‟analisi fondamentale permette di valutare
correttamente lo stato di salute di una economia o il valore di una società
sopra/sotto valutata; l‟analisi del sentiment, ha come obiettivo quello di
individuare i punti di inversione dei mercati finanziari analizzando il
comportamento degli investitori: la loro emotività è spesso contraddistinta
da momenti di grande ottimismo/euforia (segnale di vendita) a cui seguono
fasi di pessimismo/panico (segnale di acquisto).
Infatti, secondo la teoria di Markovitz, i mercati finanziari nel lungo periodo
sono efficienti e crescenti, ma nel breve, riteniamo che si possono creare
delle distorsioni tali da creare delle inefficienze sulla spinta dell‟irrazionalità
degli investitori che comprano quando dovrebbero vendere e vendono
quando dovrebbero comprare. Humphrey B. Neil nel suo libro “The art of
57
contrary thinking” scrisse: “Quando tutti la pensano allo stesso modo è
probabile che siano tutti in errore”.
Analizzando i tanti indicatori del sentiment ricavati dai sondaggi, dalle
interviste, dalle aspettative, dal ratio tra acquisti e vendite dei vari strumenti
finanziari come opzioni call e put, i rydex, gli etf , i fondi ed altri grafici
sempre aggiornati giornalmente, si possono avere informazioni molto utili.
Ma se l‟analisi del sentiment offre indicazioni relative all‟emotività e alla
posizione degli investitori, deve essere comunque coadiuvata con altre
analisi come lo spessore e la partecipazione. L‟analisi dello spessore
permette di individuare mediante indicatori, se il trend in atto è sano oppure
maturo per una inversione perché i volumi in acquisto o vendita sui titoli
che compongono l‟indice di riferimento non supportano il trend. Questo
accade per esempio quando a fare crescere o scendere la media dell‟indice
sono pochi titoli sui quali sono concentrati i volumi e le performances,
quando l‟interesse viene a cessare perché i prezzi sono diventati troppo alti
o si hanno notizie contrastanti a quelle che hanno motivato le attenzioni
degli investitori, l‟indice prenderà la direzione del trend che caratterizza la
maggioranza dei titoli. L‟analisi della partecipazione valuta il numero di
azioni sopra le principali medie mobili a 50 e 200 giorni: è utile per valutare
la partecipazione dei titoli al trend in atto. Questi dati saranno meglio
approfonditi nel “capitolo V”.
Questa trilogia di analisi (sentiment, spessore e partecipazione) ha come
caratteristica quella di non analizzare i prezzi come l‟Analisi Tecnica o i dati
macro come la Fondamentale, ma i flussi giornalieri sul mercato o singoli
strumenti finanziari, il comportamento dei traders, le aspettative dei gestori
e le posizioni degli istituzionali, per individuare nei vari mercati finanziari,
punti di inversione del trend che permettono di impostare strategie a basso
rischio. Certamente prevedere l‟andamento dei mercati azionari non è facile
e nemmeno districarsi con sicurezza tra i tanti indicatori spesso
contraddittori tra loro.
L‟analisi del sentiment ci da l‟indicazione di come si muovono gli
investitori sul mercato, e ci dice che quando una massa si sta muovendo
tutta in una stessa direzione (considerata la più ottimale), spesso ci sarà
58
un‟inversione di trend: quindi se il mercato è in una situazione di euforia e
ottimismo, dove tutti comprano, quello sarà il momento di vendere, perché
tale segnale indica che, anche se ci si trova in un trend rialzista, a breve
potrebbe esserci un‟inversione di corso.
Al contrario, quando ci si trova in una situazione di pessimismo e sfiducia,
dove inizia una fase di vendita, quello è un segnale di acquisto, perché
anche se ci troviamo in un trend ribassista, a breve potrebbe verificarsi
un‟inversione positiva e quindi un rialzo delle quotazioni.
IL BAROMETRO DEL SENTIMENT
Il Barometro del Sentiment è il risultato finale di una serie di elaborazioni
matematiche sui diversi indicatori e modelli. I valori che contribuiscono alla
realizzazione di questo strumento sono presenti nelle seguenti categorie:
Put/Call Ratios ed Open Interest Ratios sul Cboe ed Ise
Commitments of Traders (indicatori che elaborano le posizioni sui
futures)
Indice di Volatilità delle opzioni (indice Vix)
Asset dei Rydex Funds ribassisti e rialzisti
Sondaggi sul Sentiment degli investitori e dei traders
Questo barometro ha uno storico di quasi 10 anni ed oscilla all‟interno di
bande ben definite che segnalano l‟ottimismo ed il pessimismo del mercato
azionario mondiale. Le bande rosse segnalano le zone di rischio dove si
registra ottimismo, viceversa le bande verdi segnalano le zone di
pessimismo dove si concentrano le opportunità d‟investimento .
La linea nera è l‟indice di riferimento lo s&p500
59
Valori inferiori a 30 indicano un estremo ottimismo, al contrario valori
superiori a 70 indicano un estremo pessimismo.
Nel grafico questi valori sono evidenziati dalle due bande che ingabbiamo
il movimento dell‟indicatore; la linea rossa rappresenta un segnale di
prudenza, in quanto il troppo ottimismo da parte dei traders sta a significare
che il trend è maturo, mentre la linea verde rappresenta un segnale di
acquisto in quanto il pessimismo è tale per cui il mercato è pronto a ripartire
per una nuova fase rialzista. È evidente che tra i due segnali quello
maggiormente indicativo è il verde, mentre il rosso rappresenta un segnale
di rischio piuttosto che di inversione del trend, il
quale può avvenire anche con considerevole ritardo, ma è pur sempre
molto indicativo per chi dovesse aprire delle posizioni nuove.
60
Questo è lo stesso grafico di cui sopra, con cerchiati i momenti cruciali di
inversione del trend sulla base dell‟ottimismo e pessimismo contrassegnati
dalle bande verdi (pessimismo) e rosse (ottimismo). Deve essere letto in
termini contrarian, nel senso che quando gli investitori sono ottimisti
bisogna vendere (cerchio rosso) e quando sono pessimisti bisgogna
comprare (cerchio verde).
Dati e tabelle “Sentimentcharts”.
61
CAPITOLO V : “Il sentiment e l’analisi delle sue
componenti”
L‟analisi del sentiment è una metodologia nata dagli assunti della finanza
comportamentale, con l‟obiettivo di rendere operativi i motivi per cui i
risparmiatori commettono sempre gli stessi errori di valutazione e di
comportamento nell‟investire i propri risparmi, ora spinti dall‟avidità ed
altre volte dalla paura. Per rendere ancora più esaustiva questa metodologia
si è voluto analizzare anche il comportamento degli investitori più evoluti e
non solo i risparmiatori.
Gli indicatori di sentiment sono un valido strumento per meglio tarare le
proprie strategie d‟investimento o speculazioni di breve termine.
Infatti, l‟acquisto di un azione/fondo/etf avrà più probabilità di successo se
effettuata in momenti di sentiment del mercato di riferimento molto
negativo e, viceversa, è opportuno rivedere le proprie strategie rialziste nei
casi in cui si riscontra un eccesso di euforia.
Gli indicatori di sentiment più usati (da chi segue questa metodologia) fanno
riferimento al mercato azionario Usa a cui tutti gli altri mercati azionari
sono prevalentemente correlati. La trasparenza del mercato finanziario Usa
offre un notevole numero di dati sul sentiment e sullo spessore del mercato
azionario. Non si può dire lo stesso dei mercati europei ma qualcosa sta
cambiando. Non tutti gli indicatori sono uguali, ognuno ha una sua
caratteristica, per cui, alcuni sono in gradi di individuare i massimi del
mercato di riferimento, mentre altri, sono più precisi nell'individuare i
minimi.
Altra caratteristica importante degli indicatori di sentiment è rappresentata
dalla loro varietà. Per questo sono generalmente divisi in categorie sulla
base della loro peculiarità.
62
ANALISI DELLA PARTECIPAZIONE
I mercati azionari non si muovono come una linea retta, ma piuttosto,
secondo un movimento a zig zag che è caratterizzato, secondo il momento,
da pressioni in acquisto o in vendita.
Per valutare il particolare momento in cui gli indici si trovano e quindi la
validità del trend in atto, si può analizzare la partecipazione al movimento
dei titoli di un dato indice o settore. Gli indicatori/modelli di partecipazione
permettono di valutare quanti titoli presenti in un indice azionario sono
sopra la loro media a 200 giorni (per analisi di lungo periodo) o alla
loro media a 50 giorni (per analisi di medio periodo), permettono inoltre, di
valutare la partecipazione dei titoli di un dato indice o settore secondo
l'analisi point and figure (Bullish Percent Index). In breve, un mercato
azionario non può proseguire un trend positivo se non è supportato dalla
63
maggioranza dei titoli che compongono l'indice in contestuale rialzo; se così
non fosse, bisogna attendersi l'esaurimento del trend ed una sua inversione,
in accordo con la maggioranza dei titoli. Mentre, in un mercato ribassista,
constatare che le pressioni in vendita si registrano su di un numero sempre
più esiguo di titoli, significa che il trend negativo è prossimo alla fine. Gli
operatori più accorti stanno accumulando su un numero sempre maggiore di
titoli costruendo quindi una divergenza positiva rispetto all'indice di
riferimento che registra nuovi minimi.
ANALISI DELLO SPESSORE DEL MERCATO
Un‟ulteriore modo per analizzare il “sentiment” del mercato è quello di
analizzare il flusso di capitali che entrano ed escono dal mercato finanziario
di riferimento, questo avviene attraverso l‟analisi dei volumi. Ad esempio:
come la benzina serve all‟automobile per muoversi, i nuovi volumi in
acquisto sono il carburante per sostenere la crescita dei prezzi delle azioni.
Si tratta, in questo caso, di un comparto dell‟analisi tecnica tradizionale,
l‟analisi dello spessore o dell‟ampiezza del mercato (detto anche Market
Breadth) servono per determinare la partecipazione delle azioni al
movimento del mercato.
Oltre ai volumi in acquisto ed in vendita, è indispensabile analizzare: il
numero di azioni che chiudono al rialzo (advances) o al ribasso (declines); i
nuovi minimi ed i nuovi massimi a 52 settimane.
Un mercato contraddistinto da una marcata direzionalità dovrebbe essere
confermato da un elevato numero di titoli che registrano variazioni coerenti
con il movimento. Ad esempio: un mercato al rialzo “sano” è accompagnato
da tante azioni che registrano crescite moderate dei prezzi. Un mercato toro
(“bull market”) debole è caratterizzato da un ristretto numero di azioni al
rialzo, dando l'apparenza falsa che tutto procede per il meglio. Questo tipo
di divergenza segnala spesso un massimo del mercato toro.
Un'interpretazione simile si applica anche nelle fasi di mercato orso (“bear
market”), in cui l'indice continua a scendere mentre poche azioni stanno
partecipando al ribasso.
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ANALISI DEI MASS-MEDIA
Grande importanza hanno gli input esterni a cui gli individuo sono esposti
ogni giorno: piccoli investitori o traders risultano essere influenzati
particolarmente dalle opinioni espresse dai mass-media, che speso
accomunano un pensiero della massa:
• I mass media rappresentano la principale fonte di informazione.
• In genere le informazioni sono ritardate o comunque sono quelle che
fanno vendere i giornali.
• I giornalisti non sono dei buoni operatori.
• I giornali scrivono di cosa è accaduto, per guadagnare in borsa
bisogna sapere cosa accadrà.
A volte un titolo di giornale può essere utilizzato come indicatore di
Sentiment o indicatore Contrarian.
Come illustrato in precedenza nei grandi crolli economici storici, i giornali
sono sempre stati un punto di partenza per il panico o l‟euforia degli
investitori. Gli esperti americani in materia di sentiment, come Woody
Dorsey, li chiamano i "cover indicator" gli "indicatori della copertina". Una
componente interessante dell'analisi del Sentiment è l‟analisi dei titoli di
giornale. Questo tipo di analisi riveste una notevole importanza soprattutto
considerando che, e le indagini statistiche stanno a dimostrarlo, una elevata
percentuale di risparmiatori prende decisioni d'investimento sulla base di
quello che leggono sui giornali.
Pur considerando fondamentale il contributo divulgativo e d'informazione di
molti giornali finanziari è dimostrato che moltissimi risparmiatori investono
sui mercati azionari quando sono già saliti molto, motivati dai giornali i
quali enfatizzano il periodo positivo. Al contrario vendono quando gli stessi
giornali sono pieni di notizie catastrofiche o negative sulla Borsa, ed invece
è proprio quello il momento migliore per cominciare a considerare un
acquisto di azioni e fondi azionari a prezzi ragionevoli.
E' ormai evidente come gli analisti, gli economisti, intervistati dai giornalisti
alla ricerca di commenti o previsioni sui mercati, siano molto spesso in
65
ritardo rispetto all'evoluzione dei mercati. Le notizie riportate soprattutto dai
giornali finanziari, frutto anche di analisi molto approfondite, il mercato le
ha spesso già assimilate e scontate nei prezzi molto tempo prima. In poche
parole, il mercato è avanti rispetto alle notizie. Quindi gli articoli anche dei
giornali finanziari specializzati nella maggior parte dei casi non fanno altro
che confermare il “sentiment” dominante dei mercati. Purtroppo i
risparmiatori non aspettano altro che sentire notizie che confermano la
tendenza positiva/negativa in atto per agire di conseguenza.
Alcuni esempi:
PANICO NEL 1998
66
EUFORIA NEL 2002
ANALISI DEI SONDAGGI (RISPARMIATORI, TRADERS,
INVESTITORI ISTITUZIONALI)
Sulla base dei sondaggi si possono trarre delle conclusioni, prendendo
spunto da quei grafici che si trovano in una situazione interessante. I grafici
devono essere interpretati con un‟ottica di medio termine: estremo
pessimismo è un segnale di acquisto e viceversa estremo ottimismo è un
segnale di vendita.
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L‟analisi contrarian parte dagli indicatori più semplici per arrivare all‟analisi
dei Cot (Commitement of Traders), dove il comportamento dei traders viene
analizzato non con i sondaggi, ma secondo le vere posizioni aperte in
futures confrontate con quelle aperte degli istituzionali.
I sondaggi del Sentiment, o anche chiamati indicatori di aspettative sono,
stati definiti diversi anni fa al fine di monitorare la percentuale di rialzisti e
ribassisti rispetto ad un dato mercato finanziario. Quelli più conosciuti
riguardano le aspettative dei mercati azionari. Di questi sondaggi se ne
contano ormai a decine, e vengono realizzati da diverse società e siti
finanziari sia in Usa che in Europa. L‟obiettivo è quello di prevedere il
comportamento dei diversi operatori di un dato mercato registrando le loro
intenzioni d‟investimento.
La caratteristica prevalente di questi sondaggi è che sono realizzati in modo
molto semplice porgendo poche domande sulle prospettive di rialzo o
ribasso di un certo indice di borsa, materia prima o valuta. Sono settimanali
nella maggior parte dei casi e raramente mensili. Ovviamente il campione
oggetto del sondaggio, a seconda che si tratti di risparmiatori, traders,
investitori istituzionali, determina risultati leggermente differenti nello
stesso contesto di mercato. Un risparmiatore si orienterà verso un certo tipo
di titoli molto sicuri, per proteggersi e non incombere in cambiamenti
repentini del mercato; un trader è un investitore più esperto, conosce i titoli
e gli andamenti, è quindi più predisposto al rischio; un investitore
istituzionale è un operatore economico che effettua considerevoli
investimenti in maniera sistematica e cumulativa, disponendo di ingenti
possibilità finanziarie, quindi la conoscenza del mercato in questo caso sarà
ancor più dettagliata ed approfondita.
In linea di massima comunque alla base dell‟analisi di questi sondaggi vi è
il fatto che, anche se diversi tra loro, i vari gruppi di investitori si
comportano in modo molto simile nei periodi di svolta del mercato
azionario; in particolare, sembrano comportarsi in modo sbagliato nei punti
d‟inversione: esageratamente ottimisti sui massimi e, viceversa,
particolarmente pessimisti sui minimi.
68
Questi sondaggi vanno presi con le dovute cautele e solamente in un ottica
di medio-lungo termine. I motivi sono diversi: la maggior parte dei sondaggi
sono settimanali, un periodo di 5 giorni di mercato aperto in cui la volatilità
dei mercati azionari può essere anche molto elevata, e le risposte dei
partecipanti possono essere molto differenti a seconda che la giornata, in
cui il soggetto ha trovato il tempo di rispondere al sondaggio, sia positiva o
negativa; il partecipante al sondaggio non necessariamente esprime un
giudizio a cui fa seguire dei fatti concreti, esempio: un intervistato si
esprime in termini ribassisti ma per diversi motivi non è in grado di aprire
posizioni ribassiste su di un indice azionario.
Discorso diverso è da farsi per i sondaggi aventi come campioni dei gestori
o analisti professionisti. Questi sondaggi sono molto più approfonditi e
complessi di quelli tradizionali e riescono a dare un fotografia molto più
particolareggiata del mercato azionario, ad esempio se c'è maggiore
ottimismo sul settore energetico piuttosto che su quello tecnologico.
L‟analisi condotta su questi sondaggi ha evidenziato che i migliori segnali di
questi indicatori si verificano quando si evidenzia un‟aspettativa divergente
all‟andamento del mercato azionario di riferimento. In pratica i partecipanti
al sondaggio esprimono una sorta di “incredulità” o meglio “non vogliono
accettare” l‟andamento del mercato. Ad esempio: all‟inizio di una fase
positiva del mercato azionario dopo un periodo di prolungato ribasso (come
nella primavera del 2003) i partecipanti ai sondaggi rimangono ancora
prudenti se non addirittura scettici verso una continuazione del rialzo, in
questo caso è altamente probabile che il mercato continui a crescere.
69
ANALISI DELLA FORZA RELATIVA
Il concetto di Forza Relativa è il confronto di una serie storica di dati (titolo
o indice) con la stessa oppure con un'altra serie storica di dati. La forma più
usata è quella di comparare un titolo presente in un indice di mercato o di
settore con l'indice stesso: comead esempio comparare Microsoft con
l'indice S&P 500; in questo modo si scopre quanto e da quando Microsoft
sta sopraperformando o sottoperformando l'indice S&P 500. Esistono in
proposito dei modelli di selezione dei titoli sulla base della loro Forza
Relativa rispetto all'indice generale che vengono utilizzati per la creazione
di portafogli di fondi.
Un altro utilizzo della Forza Relativa nell'analisi tecnica è quello di
comparare un indice settoriale con l'indice di mercato, al fine di scoprire
quali settori hanno maggiore forza rispetto al mercato nel suo complesso.
I metodi di calcolo della Forza Relativa sono tre:
1) Calcolare il ratio tra l'ultimo valore di una serie ed un valore della stessa
serie risalente a x giorni precedenti. Questo metodo viene utilizzato per
stilare poi una classifica di titoli o indici tra cui si scelgono i migliori.
IIll CCiicclloo ddeell SSeennttiimmeenntt
70
2) Calcolare il ratio tra il valore di una serie (es. indice di settore) con il
valore di un'altra serie (es. indice di mercato), in questo modo si ottiene
un'altra serie-indice che avrà un andamento nel tempo in funzione della
variazione delle due serie. Su questo nuovo indice (Forza relativa X/Y) si
potranno effettuare delle analisi utilizzando medie mobili, indicatori o
trendlines in modo da ricavarne dei segnali operativi.
3) Calcolare la variazione percentuale a x giorni di una serie (es. indice di
settore) e sottrarla alla variazione percentuale a z giorni di un'altra serie (es.
indice di mercato), in questo modo abbiamo un raffronto assoluto di quanto
in percentuale la prima serie sta sovraperformando o sottoperformando la
seconda serie.
Questi confronti permettono di capire se gli investitori istituzionali (le
cosidette mani forti) stanno investendo sulle aziende tecnologiche ad alto
potenziale di crescita oppure no.
ALCUNI INDICATORI
Ci sono diversi indicatori che cercano di misurare il cosiddetto sentiment del
mercato. Generalmente si basano sul monitoraggio e la previsione dei flussi
di denaro. Alcuni esempi:
Specialist/Public: Come dice lo stesso nome è un rapporto che mette in
relazione il sentiment degli specialist con quello degli operatori meno
informati. Si tratta di un rapporto tra i quantitativi di vendite allo scoperto
effettuate dal „pubblico‟ e quelli degli specialisti. In questo rapporto i
minimi dell‟indicatore di solito corrispondono con i massimi del mercato e
questo ci fa capire come, spesso, i momenti di cambiamento del mercato
sono segnati da grande consenso o sfiducia della grande massa degli
operatori, che segnala che il mercato sta andando nella direzione opposta.
Short interest ratio: Si tratta del valore complessivo delle azioni che
vengono vendute allo scoperto. Se si sono venduti grandi quantità di azioni
71
allo scoperto, dato che ogni posizione deve essere „coperta‟, questo è
chiaramente una indicazione di aspettativa.
Margin debt: Il margin debt è il denaro preso in prestito presso le banche
utilizzando titoli come garanzia. Per questo si può considerare un buon
indicatore della fiducia del mercato. Quando i mercati salgono gli operatori
diventano più fiduciosi e per cercare di sfruttare al meglio il movimento del
mercato ricorrono al margin debt per investire ulteriormente.
Questi sono solo alcuni dei modi per avere una indicazione del sentiment
del mercato, è chiaro che questi indicatori possono essere solo un utile
completamento di una strategia di trading per capire meglio l‟orientamento
generale del mercato, ma non possono essere considerati determinanti in
una qualsiasi decisione operativa.
CONCLUSIONI
L‟Analisi del Sentiment ricerca l‟irrazionalità degli investitori per generare
rendimenti con un rischio inferiore e più controllato, e‟ un valido strumento
per meglio tarare strategie di Market Timing.
Da questa analisi capiamo che per quanto riguarda le strategie di
investimento, si deve tener conto di una componente finanziaria e di una
puramente psicologica: è una materia molto astratta, dato che di un titolo noi
conosciamo il suo andamento passato ma non quello futuro e possiamo solo
stabilire una periodicità degli eventi basandoci sui dati già in nostro
possesso (random walk), quindi tutti i calcoli e le valutazioni che possiamo
fare verranno fatte sul passato, gli eventi futuri sono imprevedibili; e qui si
colloca l‟importanza del sentiment: studiando gli andamenti di un titolo
capiamo che ci sono alcuni eventi che si ripetono (specialmente in lungo
periodo), i più grandi movimenti sono dettati dai “sentimenti” degli
investitori (nel breve periodo). Per questo allo studio della finanza si è
affiancato lo studio della psicologia dell‟investitore, dato che chi interviene
sul mercato trova molto interessante lo studio dei movimenti determinati da
72
queste variabili, e si è dimostrato che si possono riscontrare o prevedere dei
movimenti dettati dalla componente psicologica o comunque limitare i
rischi.
L‟analisi del sentiment è molto utile per chi interviene sul mercato e si deve
tenere in considerazione questo dato quando si studiano delle strategie.
73
CAPITOLO VI : “Conclusione: ogni ciclo ha la sua
fase di mercato”
La storia economica è suddivisa in cicli dalla durata più o meno lunga: ogni
periodo ha una sua fase di mercato, determinata dagli eventi che
accompagnano quel momento storico.
Di seguito riporterò l'indice “Dow Jones industrial” che comprende i 30
titoli industriali più importanti del mercato americano: è il più vecchio
indice nella storia delle borse, e da indicazione dei trend di lungo periodo
del „900, poiché rispecchia la situazione economica internazionale.
Questo ciclo va dal 1929 al 1950, e ha una durata di 21 anni: inizia con il
crollo delle quotazioni dovuto alla crisi americana del 1929, in cui l‟indice
raggiunge i minimi storici nel 1932. Dopo questa data il titolo ebbe una
buona ripresa fino al 1936; eravamo vicini all‟inizio della “seconda guerra
mondiale”. Ma nel 1942 si registrò un nuovo crollo delle quotazioni
(comunque minore rispetto a quello del ‟29), anno in cui gli Stati Uniti
sembravano sconfitti dal Giappone e quindi vicini alla resa. Tuttavia grazie
74
ad alcune vittorie strategiche, gli USA riuscirono ad uscire da questa
situazione critica e a concludere da vincitori il conflitto mondiale, per
questo si nota una ripresa del titolo dal 1942 fino al 1947. Mentre l‟entrata
in guerra fu positiva per le aziende, dato che lo stato immette nuova
liquidità per produrre armi e beni per l‟esercito, i costi durante il conflitto
diventano alti e talvolta insostenibili, se questa situazione si prolunga per
molto tempo, e si genera un periodo di crisi. Questo è ben evidente
dall‟andamento del titolo dal 1936 al 1947.
C‟è comunque da considerare che la grande depressione lasciò un segno
molto importante durante questa fase, infatti le perdite dovute a quel crollo
vennero riassorbite in 25 anni.
Nella sua complessità, possiamo definire questo ciclo in fase ribassista,
anche se dal 1932 in poi inizia una fase di lenta crescita che continuerà
anche dopo il 1950.
Dal 1950 al 1965, si ha un ciclo della durata di 15 anni: è subito evidente
una fase rialzista. Se pur con qualche piccola perdita (nel ‟57 e nel ‟62), il
rialzo è netto in questa fase. Questi erano anni prosperosi per l‟economia
americana in cui la crescita fu lunga e costante. Tuttavia quando i mercati
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sono in fase rialzista, alcuni ribassi sono fisiologici, spesso senza un motivo
vero, servono solo a fare “pulizia” sul mercato.
Il ciclo che va dal 1966 al 1982, ha una durata di 16 anni: presenta una fase
laterale, in cui si alternano perdite e guadagni. La più grossa perdita si nota
nel 1974 con un crollo graduale del 44% iniziato nel 1972. Questi erano
anni caratterizzati da eventi economico-politici rilevanti per l‟economia
internazionale: crisi petrolifera, guerra del Vietnam, scandalo Nixon.
Tuttavia anche se siamo in fase laterale, il valore finale di questo ciclo è
sensibilmente più alto rispetto il valore iniziale e continuerà a salire per tutto
il periodo successivo.
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Dal 1983 al 2002 abbiamo un ciclo della durata di 19 anni: si nota subito
una fase rialzista, in questa fase il rialzo è più netto e veloce rispetto alle
precedenti e maggiore in termini di guadagno. Durante questo ventennio si
ebbero le maggiori innovazioni tecnologiche e scientifiche, per questo la
crescita economica è stata così forte.
Si notano 2 ribassi ben evidenti: nel 1987, anno in cui la borsa americana
crollò di colpo in un solo giorno, causando complessivamente una perdita
del 32 %, ma con una ripresa abbastanza veloce (2 anni); e nel 1998 con la
bolla speculativa dell‟LTCM che causò una perdita del 18%.
Dai massimi del 2000 inizia poi una fase ribassista, dovuta alla bolla dei
tecnologici, che si protrae fino alla fine di questo ciclo e persiste in quello
successivo.
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Oggi ci troviamo in un ciclo, iniziato appunto nel 2002 e non ancora
concluso, in cui si nota una fase laterale.
All‟inizio del ciclo si risente ancora dello sgonfiamento della bolla
tecnologica iniziata nel 2000, inoltre la recessione dovuta all‟attacco delle
“twin towers” nel 2001 e la successiva tensione prima dello scoppio della
guerra in Iraq, comportano un andamento ribassista fino al 2003.
Dopodichè avviene una ripresa che dura fino al 2007; ma con la crisi del
sistema finanziario ed immobiliare avvenuta subito dopo, e in cui ci
troviamo ancora, inizia una nuova fase ribassista. Oggi le prospettive non
sono tanto rassicuranti: dopo il fallimento di “Lehman Brothers”, una delle
più importanti società d‟investimenti americana, avvenuto nel settembre
2008, è iniziata la crisi dei mercati azionari europei ed internazionali in cui
ci troviamo proprio in questo momento. Le prospettive, ad oggi, sembrano
far capire che la fase ribassista iniziata nel 2007 sia destinata a continuare:
dai massimi del 2000 il mercato azionario ha sperimentato una fase laterale
rialzista con i minimi nel 2002, ed un tentativo di nuovi massimi nel 2007
da dove è iniziato un corposo ribasso ancora in atto, che ha riportato i prezzi
al valore del ‟99, a conferma del ciclo laterale. In conclusione si può
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confermare l‟andamento ciclico degli indici, che alternano fasi rialziste a
fasi laterali, che servono come periodo di accumulo per sostenere il ciclo
successivo, e viceversa le fasi laterali servono come consolidamento dei
prezzi raggiunti nella fase precedente.
Ogni ciclo economico è quindi determinato da eventi storici che lo fanno
variare verso una determinata direzione, nessuno è in grado di prevedere
questi spostamenti o dove si muoverà il mercato in futuro; tuttavia può
utilizzare una serie di dati che aiutano a comprendere meglio le dinamiche
finanziarie, che sono tantissime. Quindi più si ha padronanza di questi mezzi
tecnici meglio si affronta il mercato.
Come discusso nella mia analisi, ci sono diverse componenti utili e
interessanti, che possono aiutare a costruirsi una strategia di mercato: una
parte puramente statistica, che riguarda l‟andamento casuale del mercato e
la sua efficienza; una parte psicologica che tiene in considerazione gli stati
d‟animo e le reazioni degli investitori a determinati eventi. Tutti questi
elementi sono di grande aiuto per muoversi sul mercato, ma non danno
totale e assoluta padronanza degli andamenti, dato che non esiste una
scienza esatta su questa materia.
Credo, infine, che l‟analisi del sentiment sia uno strumento fondamentale
per costruire una buona strategia di trading: conoscere e analizzare questo
dato ci da informazioni sull‟emotività degli investitori, e sul loro effetto nei
mercati. Dopotutto il mercato azionario è un fenomeno sociale, fatto di
uomini e quindi è sottoposto a emozioni umane.
Concludo citando una frase di Sir Isaac Newton che pronunciò dopo aver
perso una grossa somma di denaro nella bolla speculativa della “South Sea
Company”:
“Posso calcolare il moto dei corpi, ma non la pazzia degli uomini”.
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Sitografia
www.sentimentcharts.it
www.informazionefinanziaria.it
www.performancetrading.it
www.fabiolongo.com
www.professionefinanza.com
www.businessonline.it
www.wikipedia.it
www.einvestimenti.it
www.saperinvestire.it
www.finanzacomportamentale.it
www.investireoggi.it
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Bibliografia
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Pirola 2005
Psicologia della finanza, Lars Tvede, ed. Etas; 2001
Econometria. Volume I; Attilio Gardini, Giuseppe Cavaliere, Michele Costa,
Luca Fanelli, Paolo Paruolo; ed. Franco Angeli; 2001
Introduzione all’econometria; J.H.Stock, M.W.Watson; ed.Pearson; 2005
Professione Trader - Trasformare il trading in una professione; Stefano
Fanton; ed. Scalping School; 2008
Il grande crollo; Galbraith John K.; ed. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli; 2003
L'Analisi Tecnica; Valerio Peracchi; ed. Hoepli; 2007
Principi di analisi fondamentale; Claudio Zimarino; ed.Nuova Economia;
2001