UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
Sede Federata dell’Università degli Studi di Siena
Scuola di Specializzazione in Genetica Medica
Ruolo della consulenza genetica nella caratterizzazione clinica del
soggetto adulto
Relatore: Candidato: Prof.ssa Alessandra Renieri Dott.ssa Laura Dosa
Coordinatore della sede federata di Siena Prof.ssa Alessandra Renieri
Direttore della Scuola di Specializzazione Prof.ssa Sabrina Giglio
Anno Accademico 2012/2013
…Per Aspera ad Astra …
INDICE
1. La Consulenza Genetica ..............................................................pag. 5
2. Esperienza clinica complessiva ................................................. pag. 13
2.1 Consulenze preconcezionali ................................................................... pag. 15
2.2 Consulenze prenatali ............................................................................. pag. 17
2.3 Consulenze postnatali: pazienti con disabilità intellettiva isolata
o sindromica ................................................................................................ pag. 19
2.4 Consulenze postnatali: altre patologie .................................................. pag. 21
2.5 Consulenze oncologiche ......................................................................... pag. 25
3. L’impatto della consulenza genetica nella valutazione del soggetto
adulto ............................................................................................ pag. 27
4. Casi Clinici ................................................................................pag. 35
4.1 Pazienti adulti con disabilità intellettiva sindromica ............................ pag. 36
4.1.1 Caso 1 ............................................................................................. pag. 39
4.1.2 Caso 2 ............................................................................................ pag. 43
4.1.3 Caso 3 ............................................................................................ pag. 48
4.2 Pazienti adulti affetti da neoplasie ereditarie ......................................... pag. 53
4.2.1 Caso 4 ............................................................................................. pag. 55
4.2.2 Caso 5 ............................................................................................ pag. 59
4.3 Pazienti adulti affetti da patologie neurologiche ereditarie ad esordio
tardivo ................................................................................................... pag. 62
4.3.1 Caso 6 ............................................................................................ pag. 63
5. Discussione .............................................................................. pag. 66
6. Bibliografia ................................................................................ pag. 72
7. Pubblicazioni scientifiche ......................................................... pag. 88
7.1 Advances in Alport syndrome diagnosis using next-generation
sequencing ................................................................................................... pag. 89
7.2 Xq28 duplications including MECP2 in five females: Expanding the
phenotype to severe mental retardation ..................................................... pag. 98
7.3 Huntington's disease gene expansion associates with early onset
nonprogressive chorea ................................................................................ pag. 109
7.4 Ambiguous external genitalia due to defect of 5-α-reductase in seven Iraqi
patients: prevalence of a novel mutation .................................................... pag. 111
7.5 Unbiased next generation sequencing analysis confirms the existence of
autosomal dominant Alport syndrome in a relevant fraction of cases ...... pag. 116
7.6 Pregnancy in Alport syndrome: a report of two differently-evolving
cases. ........................................................................................................... pag. 123
8. Ringraziamenti ....................................................................... pag. 127
1. LA CONSULENZA GENETICA
La consulenza genetica rappresenta primariamente un delicato processo
comunicativo che viene guidato dal genetista clinico; esso costituisce infatti uno
strumento essenziale ed irrinunciabile attraverso il quale i pazienti affetti da una
malattia geneticamente determinata, o i loro familiari, ricevono le informazioni
relative alle peculiarità, alle modalità di trasmissione, al rischio di ricorrenza, alle
possibili terapie e alle opzioni riproduttive che concernono la loro condizione
[Fraser F.C., 1974]. I soggetti principali attorno ai quali prende forma la valutazione
genetica sono rappresentati dal consultando, ossia l’individuo che afferisce alla
consulenza per ricevere chiarimenti in merito ad uno specifico quesito clinico, ed il
probando, ossia il membro affetto della famiglia; in alcune situazioni tali figure
possono coincidere nella stessa persona. La procedura conoscitiva ed informativa
della consulenza genetica prevede la raccolta approfondita dell’anamnesi personale
e familiare del consultando/probando ed ha l’obiettivo di far comprendere i risvolti
diagnostici, la prognosi, le modalità di assistenza e terapia ed il rischio di ricorrenza
nei familiari, al fine di organizzare eventuali azioni preventive e raggiungere una più
cosciente pianificazione familiare [Harper P.S., 2004]. Gli elementi fondamentali
che costituiscono il nucleo della consulenza genetica sono rappresentati dallo studio
degli aspetti clinici e diagnostici senza tralasciare la raccolta dei dati anamnestici
familiari con la compilazione dell’albero genealogico, dalla individuazione delle
modalità di trasmissione ereditaria con la conseguente stima del rischio di
ricorrenza, dal processo comunicativo ed empatico con i consultandi che deve
includere la spiegazione delle opzioni disponibili e dei provvedimenti terapeutici e,
infine, dal supporto necessario al fine di effettuare una scelta consapevole
[Rantanen E. et al, 2008].
-Raccolta dati anamnestici personali e familiari e costruzione
dell’albero genealogico:
La consulenza genetica si articola in più sedute, generalmente una pre-test ed
una post-test genetico. Il primo incontro consente al consulente genetista di
prendere in esame la motivazione della richiesta di consulenza e, sulla base del
quesito diagnostico, di orientare specificamente la raccolta delle informazioni
cliniche necessarie. A tale scopo si procede ad una dettagliata registrazione della
storia medica personale del probando, avvalendosi di cartelle cliniche e delle varie
documentazioni sanitarie. Non minore attenzione viene prestata alla annotazione
delle informazioni cliniche relative ai diversi componenti familiari tramite la
ricostruzione dell’albero genealogico. Molto spesso infatti la codifica delle
informazioni genetiche tramite un codice grafico riconosciuto (Fig. 1) permette di
esprimere in maniera immediata, sintetica ed efficace l’informazione genetica,
rispetto ad un lungo ed elaborato elenco di informazioni.
Figura 1: Simboli comunemente utilizzati nella ricostruzione di un albero genealogico
La ricostruzione dell’albero genealogico dovrebbe articolarsi in almeno tre
generazioni e il suo scopo principale è quello di fornire una testimonianza
immediata ed inequivocabile delle informazioni genetiche di una specifica famiglia.
In alcuni tipi di consulenze, con particolare riferimento alle dismorfologiche,
l’esame obiettivo cui si associa la misurazione dei parametri antropometrici e la
raccolta di materiale fotografico del probando a diverse età, rappresentano il fulcro
del processo. Un'accurata documentazione dei parametri auxologici e delle
caratteristiche faciali e somatiche, permette infatti di orientare il clinico
nell’inquadramento diagnostico del probando. Al termine della prima seduta
possono essere inoltre richieste ulteriori visite specialistiche nel probando e nei
familiari per confermare o escludere altri eventuali segni minimi della malattia.
I dati derivanti dalla raccolta anamnestica e dai dati clinici permettono, fin
dalla prima valutazione, di stimare il rischio di ricorrenza, ossia la possibilità che
una condizione patologica a base genetica presente nell’albero genealogico in uno o
più soggetti, si manifesti in altri membri appartenenti al gentilizio. Il calcolo del
rischio si basa sull’accertamento della modalità di trasmissione della condizione, sui
dati strumentali e di laboratorio disponibili e sulla posizione del probando
all’interno dell’albero genealogico; può essere espresso sotto forma di percentuale o
di frazione.
- Inquadramento diagnostico e test genetici
L’appropriato inquadramento diagnostico della situazione clinica in esame
costituisce la condicio sine qua non per il conseguimento di una corretta consulenza
genetica. In alcuni casi la diagnosi può essere esclusivamente clinica, ovvero basata
sulla valutazione del genetista clinico insieme ai dati derivanti dalle indagini
strumentali, in assenza di analisi genetiche a disposizione per la conferma. In altri
casi la diagnosi è raggiungibile tramite l’impiego di test genetici; infatti, grazie al
continuo progredire delle metodiche di laboratorio, alcune diagnosi che
precedentemente erano possibili solo clinicamente, hanno la possibilità di trovare
conferma grazie ad analisi genetiche. Per test genetico si intende l'analisi a scopo
clinico di DNA, RNA, cromosomi, proteine, metaboliti o altri prodotti genici per
evidenziare genotipi, mutazioni, fenotipi o cariotipi correlati o meno con patologie
genetiche umane [www.iss.it]. I test genetici possono essere schematicamente
suddivisi nelle seguenti categorie:
-Test diagnostici (o sintomatici): finalizzati alla conferma di una diagnosi clinica o
alla caratterizzazione di un quadro patologico sospettato, ma non definitivamente
inquadrato dalla obiettività clinica, in un individuo già affetto. Possono essere
effettuati durante il periodo prenatale o durante tutto l'arco della vita post-natale.
Talora un test diagnostico consente anche di effettuare valutazioni sulla prognosi
della patologia in esame. Infatti, nel test diagnostico la caratterizzazione delle varie
mutazioni e la successiva correlazione fenotipo-genotipo consentono spesso di
attribuire, a determinati genotipi, quadri clinici caratterizzati da gradi variabili di
gravità e diverso decorso.
-Test presintomatici: identificano una mutazione, in un soggetto asintomatico al
momento del test, che inevitabilmente porta alla comparsa di una malattia nel corso
della vita (malattie ad esordio tardivo). Il risultato del test genetico può consentire
di ridurre morbilità e/o mortalità, qualora siano disponibili forme di prevenzione
secondaria o adeguate terapie. Spesso la disponibilità di un test genetico non si
accompagna ad una migliore capacità di gestione clinica. Tuttavia, anche in questi
casi, la disponibilità di un test genetico potrebbe essere di aiuto per l'individuo a
rischio; infatti i risultati potrebbero fornire informazioni utili nell'effettuare scelte
su alcuni importanti aspetti della vita.
-Test predittivi di suscettibilità genetica: consentono l’individuazione di genotipi
che, in seguito all’esposizione a fattori ambientali scatenanti, comportano un rischio
più grande di sviluppare una determinata patologia.
-Test per l’identificazione degli eterozigoti: consentono di identificare gli eterozigoti
a livello di popolazione. Queste indagini finalizzate alla prevenzione della nascita di
omozigoti, quando effettuate in maniera corretta e soprattutto se associate ad una
larga diffusione dell'informazione, hanno avuto il risultato di ridurre l'incidenza
della patologia in esame.
-Test di Genetica Forense: riguardano l’accertamento di paternità o l’attribuzione di
tracce biologiche a determinati individui, con un grado di probabilità molto elevato.
Tali analisi si fondano sulla presenza nel genoma umano di un numero
straordinariamente elevato di regioni polimorfiche e di marcatori utili a riconoscere
tali regioni.
Tappa indispensabile ed obbligata che deve precedere l’esecuzione di
qualsiasi test genetico, è rappresentata dall’acquisizione del consenso informato. Si
tratta di un “accordo” che viene stipulato tra consulente e consultando per procedere
con il test genetico e si basa sulla conoscenza di ciò che il test stesso comporta e le
sue probabili conseguenze. I punti che devono essere illustrati al paziente per far sì
che venga acquisito un consenso informato devono immancabilmente
comprendere: lo scopo per il quale si effettua il test, senza tralasciare i limiti
dell’analisi stessa; i benefici e gli svantaggi derivanti dall’esito, in particolare è bene
sottolineare le implicazioni che il risultato può avere sulla salute del paziente stesso,
sulle scelte riproduttive e di impiego lavorativo e l’impatto sulle relazioni con i
familiari; la modalità e la tempistica della comunicazione degli esiti; i mezzi che
assicurano la privacy dei dati clinici e genetici. E’ ovvio che il processo di
somministrazione del consenso deve essere adattato alle capacità di comprensione
e al livello culturale dei pazienti con lo scopo di fornire informazioni chiare, semplici
ed oggettive.
-Comunicazione dei risultati e calcolo del rischio
Il successo di ogni consulenza dipende primariamente dal rapporto
comunicativo che si instaura tra medico e paziente. Le capacità relazionali del
genetista permettono di stabilire un rapporto di ascolto e di mediazione e di
assicurare al consultando gli strumenti necessari per compiere delle scelte
consapevoli ed autonome. In questa direzione, la “non-direttività” rappresenta il
dogma centrale della consulenza genetica e risiede nella capacità di far comprendere
che non esistono delle decisioni universalmente corrette o errate, ma delle scelte che
risultano essere giuste in funzione della specifica situazione del consultando.
Nell’applicare la non direttività nel processo di consulenza genetica, va enfatizzato
non tanto l’atteggiamento del non dare consigli, ma un altro suo aspetto, ossia la
promozione di un funzionamento autonomo della persona. La non direttività deve
essere intesa come l’insieme delle procedure atte a promuovere nella persona
l’autonomia decisionale ed a rinforzare il senso di controllo sugli eventi di vita che
l’hanno condotta in consulenza [Clarke A.J., 1997].
Per supportare il paziente nel suo percorso, è buona pratica clinica esaminare
preliminarmente le implicazioni di un risultato positivo o negativo con il soggetto
stesso, prima dell'esecuzione del test. Al momento della comunicazione del risultato,
in special modo quando il risultato dell’indagine genetica potrebbe avere un
significativo impatto emotivo sul consultando, la consegna del referto dovrebbe
avvenire in presenza di un consulente psicologo e/o di altre figure specialistiche di
riferimento al fine di fornire informazioni complete e per chiarire dubbi o concetti
non compresi da parte del consultando. E’ dunque preferibile che la comunicazione
del risultato di un test venga effettuata in un nuovo incontro di consulenza genetica,
generalmente da chi ha gestito la fase precedente il test.
Oltre alla comunicazione verbale e diretta del risultato del test, viene fornita
al paziente una relazione scritta che circostanzi l’esito del test genetico effettuato,
fornendone una interpretazione in termini di entità dei rischi per il probando e per
i familiari. La relazione rappresenta un valido strumento che permette di aumentare
la percezione della diagnosi e delle sue implicazioni da parte del paziente e dei suoi
familiari e rende possibile la trasmissione invariata dell’informazione nell’ambito
della famiglia. Rappresenta inoltre un mezzo chiaro di comunicazione con il medico
di medicina generale e con gli altri specialisti. Non di meno, l’epicrisi genetica è un
documento atto all’ottenimento di specifiche prestazioni previdenziali e di
esenzione dalla spesa sanitaria.
In conclusione la consulenza genetica è dunque un atto medico che non si
rivolge solo al probando ma all’intero gentilizio; si tratta di un approccio che non
vuole essere affatto direttivo, non potendo e non dovendo influenzare le possibili
decisioni del probando o della famiglia. Le sessioni di acquisizione dei dati,
comunicazione dei risultati e valutazione del rischio globale dovrebbero infatti
fornire ai richiedenti gli strumenti necessari e sufficienti per effettuare scelte
consapevoli. Dalle prime valutazioni viene determinato il rischio di ricorrenza; una
migliore definizione del rischio si ottiene ovviamente alla conclusione del test
genetico avviato. La fase finale è rappresentata dalla comunicazione degli esiti delle
indagini genetiche e le possibili conseguenze al probando o ai suoi familiari (Fig. 2).
I motivi principali per cui è indicata una consulenza genetica sono:
- storia di infertilità di coppia ed aborti ripetuti
- gravidanze a rischio per cromosomopatie e/o malattie monogeniche
- esposizione a teratogeni in gravidanza
- difetti congeniti e/o disabilità intellettiva
- malattia ereditaria nota o sospetta in un paziente o in una famiglia
- test genetici predittivi di malattia ad insorgenza nell’adulto
- storia familiare di neoplasie con esordio precoce.
Figura 2: Il modello dei rapporti reciproci nel processo della consulenza genetica. (Da Veach et al, 2007)
2. ESPERIENZA CLINICA COMPLESSIVA
Il periodo formativo in Genetica Medica si è svolto nella Scuola di
Specializzazione presso la U.O.C Genetica Medica del Policlinico Universitario
“Santa Maria alle Scotte” di Siena, diretta dalla Prof.ssa Alessandra Renieri. Nel
corso dei cinque anni di studi, l’attività di specializzazione si è primariamente rivolta
alla consulenza genetica. Tale approccio ha consentito di ampliare conoscenze e
competenze attraverso un’ampia casistica di patologie genetiche, valutate attraverso
l’attiva partecipazione ad oltre 1000 consulenze genetiche.
L’attività clinica ha consentito quindi di annoverare una variegata pluralità
di casi spaziando dalle consulenze preconcezionali e prenatali a quelle postnatali.
Ciò ha richiesto una fattiva dedizione e un impegno costante grazie ai quali sono
state gettate le fondamenta per la graduale formazione di un bagaglio di capacità
analitiche e interpretative. La consapevolezza e la padronanza acquisite hanno
permesso una appropriata e corretta gestione delle valutazioni cliniche.
2.1. CONSULENZE PRECONCEZIONALI
Le consulenze genetiche preconcezionali (Tab. 1) sono per lo più rivolte a
coppie con problemi di fertilità, in attesa di sottoporsi a tecniche di procreazione
medicalmente assistita (PMA), o coppie con aborti spontanei ricorrenti. Lo scopo di
tali consulenze è quello di valutare se la causa dell’infertilità o della poliabortività di
coppia possa essere imputabile ad un’eziologia genetica, procedendo in tal caso con
indagini genetiche mirate.
Specificamente nei protocolli di PMA, in presenza di determinati elementi
clinici ed anamnestici indagabili dal genetista, vengono raccomandate l’analisi del
cariotipo e la ricerca di mutazioni a carico del gene CFTR, responsabile di forme
classiche o attenuate di fibrosi cistica, per entrambi i membri della coppia, mentre
per il partner maschile si effettua anche la ricerca delle microdelezioni del
cromosoma Y. Nelle coppie con abortività ripetuta, risulta indicata l’effettuazione
del cariotipo in entrambi i partners.
In altri casi le consulenze hanno riguardato coppie con patologie genetiche
che segregano nella famiglia o coppie di consanguinei per una migliore definizione
dei rischi di ricorrenza di condizioni genetiche.
Tabella 1: Consulenze preconcezionali
TIPOLOGIA NUMERO
Infertilità
Poliabortività
Familiarità per aneuploidie, traslocazioni e micro-
riarrangiamenti cromosomici
Rischio di ricorrenza per s. di Alport
Azoospermia
Precedente feto con malformazioni
Rischio di ricorrenza per Beta-Talassemia
Rischio di ricorrenza per s. di Rett
Rischio di ricorrenza per Ipoacusia Ereditaria
Rischio di ricorrenza per s. della X fragile
Rischio di ricorrenza per FSHD
Rischio di ricorrenza per distrofia corneale
Rischio di ricorrenza per DMD
Rischio di ricorrenza per Gangliosidosi GM2
Rischio di ricorrenza per encondromatosi
Rischio di ricorrenza per disostosi spondilo-costale
63
38
11
9
9
7
5
5
4
1
1
1
1
1
1
1
TOTALE 158
2.2 CONSULENZE PRENATALI
Le consulenze genetiche prenatali (Tab. 2) sono rivolte a coppie a rischio di
malattia genetica (cromosomica o monogenica), al fine di acquisire informazioni
riguardanti il rischio di ricorrenza della condizione nella gravidanza in corso per una
scelta consapevole relativamente all’esito della gravidanza stessa (prosecuzione od
interruzione). Si prende in esame con la coppia la possibilità di procedere con
metodiche di diagnosi prenatale non invasiva (ecografia, test di screening) e/o
invasiva (villocentesi/amniocentesi), considerando rischi, limiti e benefici di
entrambe.
In particolare, per l’accesso alla diagnosi prenatale invasiva devono essere
soddisfatte due condizioni: 1) la malattia che si intende diagnosticare deve essere
identificabile in utero mediante un test specifico; 2) devono sussistere fattori di
rischio genetico per la gravidanza di entità tale da giustificare un test prenatale
invasivo.
L’indicazione principale per la consulenza genetica prenatale è rappresentata
dall’età materna avanzata (età al parto pari o superiore a 35 anni), che correla con
un rischio aumentato di cromosomopatia nella prole. Altre indicazioni sono
rappresentate da:
- precedente figlio con patologia cromosomica;
- genitore portatore di un riarrangiamento cromosomico bilanciato;
- genitori portatori di una mutazione responsabile di una malattia autosomica
recessiva;
- genitore portatore di una mutazione responsabile di una malattia autosomica
dominante;
- madre portatrice di una mutazione responsabile di una malattia X-legata;
- precedente figlio con difetto di chiusura del tubo neurale;
- malformazioni ecografiche fetali e/o ritardo di crescita intrauterino (IUGR);
- aumento del rischio di cromosomopatia fetale (>1:250), per positività al test di
screening.
Tabella 2: Consulenze prenatali
TIPOLOGIA NUMERO
EMA
Test di screening positivo
Esposizione a teratogeni
Rischio di ricorrenza per Beta-Talassemia
Malformazione fetale ecografica
Precedente figlio con cromosomopatia
Feto con anomalia cromosomica
Familiarità per cromosomopatia
Familiarità per ID
Precedente figlio con malformazioni
Rischio di ricorrenza per Fibrosi Cistica
Rischio di ricorrenza per Ipoacusia Ereditaria
Rischio di ricorrenza per s. di Alport
Rischio di ricorrenza per s. di Rett
Rischio di ricorrenza per Neurofibromatosi I
Rischio di ricorrenza per MEN1
Rischio di ricorrenza per Retinoblastoma
Rischio di ricorrenza per s. di Langer Giedion
Rischio di ricorrenza per Epidermolisi Bollosa
Rischio di ricorrenza per Favismo
Rischio di ricorrenza per Alfa-Talassemia
Rischio di ricorrenza per ARSACS
Rischio di ricorrenza per Ipocondroplasia
Rischio di ricorrenza per s. della X fragile
Rischio di ricorrenza per m. di CMT 1
Rischio di ricorrenza per s. da iperaccrescimento
Prenatale in donna con APECED
Prenatale in donna con esadattilia
Prenatale in donna con Sclerosi Multipla
Ovodonazione
228
22
15
12
7
7
6
5
5
4
4
4
3
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
TOTALE 341
2.3 CONSULENZE POSTNATALI: PAZIENTI CON DISABILITÀ
INTELLETTIVA ISOLATA O SINDROMICA
Le consulenze genetiche postnatali rappresentano percentualmente la
porzione maggiore degli accessi alla valutazione del genetista (Tab. 3).
Il bacino di utenza più rilevante è rappresentato da pazienti in età pediatrica
con un quadro clinico caratterizzato da disabilità intellettiva e/o disturbo pervasivo
dello sviluppo associati in misura variabile ad altre anomalie congenite
maggiori/minori. L’insieme costituito dalla puntuale raccolta dei dati anamnestici e
da uno scrupoloso esame obiettivo, volto alla individuazione di caratteristiche faciali
o somatiche peculiari, rappresenta il cardine sul quale viene imperniata la
consulenza allo scopo di riconoscere le sindromi genetiche note. Al termine della
valutazione si procede con la richiesta di test genetici mirati, qualora disponibili, per
la verifica del corretto inquadramento clinico. L’individuazione della eziologia della
condizione in esame permette al genetista di fornire ai familiari del probando una
migliore stima del rischio di ricorrenza della patologia in famiglia. Inoltre, sebbene
nella maggior parte dei casi la diagnosi genetica non influenza la terapia, può
perfezionare e adattare il follow-up del paziente.
Tra le sindromi genetiche note, l’attività clinica si è rivolta in particolar modo
ai pazienti affetti da sindrome di Cohen e alle pazienti affette da forme classiche e
varianti di sindrome di Rett, sindromi di cui l’U.O.C. di Genetica Medica di Siena è
centro di riferimento nazionale ed internazionale.
Nei casi in cui non è stato possibile porre uno specifico sospetto diagnostico,
l’impiego dell’analisi di array-CGH ha consentito di individuare sindromi emergenti
da microdelezione/microduplicazione [Bijlsma E.K. et al, 2012], riarrangiamenti
complessi e regioni di suscettibilità che possono intervenire come cofattori nello
sviluppo del quadro clinico.
Tabella 3: Consulenze postnatali: pazienti con disabilità intellettiva isolata o sindromica
TIPOLOGIA NUMERO
Altre forme di disabilità intellettiva isolata o sindromica
Sindromi da microdelezione/microduplicazione
Sindrome di Rett
Sindromi da iperaccrescimento
Regioni genomiche di suscettibilità
Sindrome di Cohen
Sindromi da disturbo della migrazione neuronale
Sindrome di Pitt-Hopkins
Riarrangiamenti cromosomici complessi
Sindrome di Noonan
Sindrome da deficit di creatina
Sindrome di Pallister-Killian
Sindrome di Floating-Harbor
Sindrome di Waardenburg
Sindrome di Coffin-Siris
Sindrome di Nicolaides-Baraitser
Sindrome di Silver-Russell
Mucopolisaccaridosi di tipo I
Sindrome di Fabry
238
16
14
6
6
5
5
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
TOTALE 304
2.4 CONSULENZE POSTNATALI: ALTRE PATOLOGIE
Le consulenze genetiche postnatali si rivolgono a persone affette da patologie
a prevalente interessamento neurologico e/o muscolare [Dosa L., Malandrini A. et
al, 2013] o di altri organi e apparati (scheletrico, oculare, cardiaco, polmonare,
renale o cutaneo) (Tab. 4).
In tale ambito, gran parte dell’attività è stata dedicata alle consulenze per i
pazienti affetti da sindrome di Alport, una nefropatia ematurica ereditaria ad
andamento progressivo, che risulta essere caratterizzata da peculiari alterazioni
ultrastrutturali della membrana basale glomerulare, talvolta associate a ipoacusia
neurosensoriale per le alte frequenze e/o a lesioni oculari, quali maculopatia e
lenticono anteriore [Artuso R. et al, 2012; Fallerini C. et al, 2013; Alessi M. et al,
2014].
Inoltre, nel campo delle consulenze postnatali, le visite hanno compreso non
solo soggetti affetti, ma sono state estese anche a familiari asintomatici, come nel
caso di molte malattie neurodegenerative. Per tali condizioni spesso non esiste una
terapia specifica e nel caso venga posta diagnosi non sono disponibili farmaci o
presidi medici che possano in alcun modo influenzare il decorso della patologia.
Pertanto nei familiari asintomatici, in considerazione delle implicazioni
psicologiche, legali e mediche che accompagnano la diagnosi presintomatica delle
malattie ereditarie, è stato adottato un apposito protocollo che prevede
l’effettuazione di un minimo di quattro incontri, in presenza del genetista e dello
psicologo che si articolano come indicato di seguito:
1° sessione di consulenza – individuale o di gruppo (familiare).
Raccolta dei dati clinici della famiglia.
Informazioni di tipo genetico-medico e sulle procedure.
Distribuzione dell’opuscolo informativo.
Tempo intercorrente: 2 settimane (minimo)
2° sessione di consulenza – individuale:
Accertamento dell’acquisizione delle informazioni di tipo genetico-
medico.
Colloquio psicologico individuale.
Discussione del colloquio.
Tempo intercorrente: 2 settimane (minimo)
3° sessione di consulenza – individuale:
Eventuale secondo colloquio psicologico individuale.
Prelievo di sangue.
Tempo intercorrente: 2 mesi (circa)
4° sessione di consulenza – individuale:
(preferenzialmente con accompagnatore di fiducia)
Comunicazione del risultato e commenti.
Tempo intercorrente: 2 mesi (massimo)
Durante tali incontri l’individuo con l’aiuto degli specialisti riflette sui
benefici e sui rischi che derivano dall’esito dell’indagine genetica, in particolare le
ripercussioni sulle scelte riproduttive e lavorative.
Tabella 4: Consulenze postnatali: altre patologie
TIPOLOGIA NUMERO
Malattie neurologiche
Polineuropatie ereditarie (HNPP/CMT)
Malattia di Parkinson
Corea di Huntington
Atassia spinocerebellare
Atassia di Friedreich
Paraparesi spastica
Paralisi periodica ipokaliemica
Demenza Fronto-Temporale
Malattie muscolari
FSHD
Distrofie dei cingoli
Distrofia miotonica
Distrofia muscolare di Duchenne
Malattie oculari
Atrofia ottica
Microftalmo
Malattia di Stargardt
Glaucoma congenito
Retinite pigmentosa
Albinismo oculare
Distrofia corneale
Malattie dermatologiche
Ittiosi
Nevo verrucoso gigante
Malattia di Darier
Piebaldismo
Malattie scheletriche
Bassa statura
Emiipertrofia
Disostosi spondilocostale
Malattie cardiovascolari
Dissecazione arteriosa familiare
CADASIL
17
8
7
3
2
2
2
1
14
1
1
1
4
2
2
2
2
1
1
2
2
1
1
3
1
1
6
2
Cardiomiopatia dilatativa
Sindrome di Klippel-Trenaunay
Malattie respiratorie
Fibrosi polmonare familiare
Fibrosi cistica
Malattie renali
Sindrome di Alport
Uromodulinopatia
Rene policistico
Rene a ferro di cavallo
Nefrocalcinosi
Altre
Emocromatosi
Ipermobilità articolare
Sindrome di Marfan
Sindrome di Ehlers-Danlos
Ipoacusia neurosensoriale
APECED
Disturbo della differenziazione sessuale
Febbre Mediterranea Familiare
Sindrome PHACES
Ipogammaglobulinemia
Trombofilia
1
1
3
1
78
4
2
1
1
8
6
4
2
2
2
2
1
1
1
1
TOTALE 214
2.5 CONSULENZE ONCOLOGICHE
Le consulenze oncologiche (Tab. 5) sono indicate per gli individui affetti da
eteroplasie e, nondimeno, sono rivolte anche agli individui con storia familiare
positiva per specifici tumori ereditari. Durante la visita vengono fornite spiegazioni
riguardo alle possibilità diagnostiche, preventive e terapeutiche e/o il rischio di
ricorrenza della patologia nella prole. Nella fase di valutazione del rischio genetico
si procede con la completa ricostruzione dell’albero genealogico e con la valutazione
della documentazione clinica relativa al consultando/probando e dei familiari che
hanno presentato neoplasie. La richiesta in visione degli accertamenti effettuati dal
probando e dai familiari risulta di prioritaria rilevanza in quanto è noto che il grado
di correttezza dell’informazione riferita è variabile, alto per i parenti di primo grado
(genitori, fratelli, figli) e per alcune patologie (es. carcinoma della mammella) ma
sensibilmente inferiore per diversi tipi di eteroplasie (es. neoplasie ovariche, renali
etc.) e per i parenti più lontani. Nell’ambito della consulenza oncologica, l’anamnesi
familiare risulta essere quanto mai un concetto dinamico poiché può variare nel
tempo e, quindi, i soggetti inizialmente ritenuti non eleggibili per un test genetico
possono essere meritevoli di rivalutazione in caso di cambiamento dell’anamnesi
oncologica personale e/o familiare.
Se l’anamnesi personale e familiare del paziente risulta suggestiva per una
determinata sindrome da predisposizione tumorale, si propone l’esecuzione del test
e si fanno presenti le misure di prevenzione più specifiche. Anche nell’ambito delle
consulenze oncologiche deve essere dedicata particolare attenzione all’effettuazione
delle consulenze presintomatiche per le implicazioni diagnostico-interpretative e
soprattutto etico-psicologiche, come già ribadito nei precedenti paragrafi.
Tabella 5: Consulenze oncologiche
TIPOLOGIA NUMERO Tumori ereditari della mammella e dell'ovaio
Sindrome di Lynch
Retinoblastoma
Familiarità per tumori
Neurofibromatosi
Poliposi adenomatosa familiare del colon
Carcinoma gastrico familiare
Casi isolati di tumori multipli
Melanoma familiare
Sindrome di Gorlin
Sindrome di Von Hippel-Lindau
25
13
12
9
6
2
2
1
1
1
1
TOTALE 73
3. L’IMPATTO DELLA CONSULENZA GENETICA NELLA
VALUTAZIONE DEL SOGGETTO ADULTO
La genetica gioca un ruolo fondamentale in ogni ambito della scienza medica
e delle patologie umane; tuttavia tale evidenza non risulta supportata dalla presenza
di un adeguato numero di professionisti che sappiano districarsi tra le nozioni
genetiche di base e i meccanismi scientifici sui quali si fondano i test genetici. E’
inoltre necessario non solo saper padroneggiare i principi scientifici sui quali si
fonda il progresso genetico, ma anche rendere più comprensibile e chiara ai
consultandi ed ai loro familiari la complessa natura del test genetico [Jacobs L.A. et
al, 1999].
Solo negli ultimi anni, a causa soprattutto del continuo sviluppo di test
presintomatici per malattie genetiche ad insorgenza nell’adulto, gran parte del
dibattito della comunità scientifica si è rivolto verso l’analisi della modalità di
impiego di tali test e la redazione di linee guida che indichino chiaramente i criteri
di appropriatezza della consulenza genetica e di inclusione dei pazienti nei
programmi di screening genetico.
In prima istanza tali raccomandazioni riguardano un tema quanto mai
attuale, ossia il ruolo del genetista nell’ambito delle consulenze genetiche
oncologiche (CGO). Basti solo pensare che nel 2000, la Società Italiana di Genetica
(SIGU) ha approvato un documento di consenso sulle condizioni minime per la
consulenza genetica in oncologia con l’obiettivo di individuare gli scopi e gli aspetti
peculiari della CGO (Figg. 3-4), seguito nel 2013 da un nuovo documento, espresso
congiuntamente con la Associazione Italiana Oncologi Medici (AIOM), in cui
vengono rese note alcune considerazioni su aspetti qualificanti e critici del percorso
di consulenza genetica oncologica allo scopo di fornire un documento di riferimento
utile agli oncologi, ai genetisti ed altri professionisti della salute coinvolti nei
percorsi di CGO.
Figura 3: Obiettivi ed aspetti qualificanti della CGO (tratto da Consulenza genetica e test genetici in oncologia: aspetti critici e proposte di AIOM - SIGU, 2013)
Figura 4: Condizioni minime della CGO (tratto da Consulenza genetica e test genetici in oncologia: aspetti critici e proposte di AIOM - SIGU, 2013)
Un altro campo di applicazione della consulenza genetica rivolta al soggetto
adulto riguarda indubbiamente le malattie neurologiche ad esordio tardivo.
Sebbene in generale la maggior parte delle condizioni genetiche esordiscano durante
l’infanzia o l’adolescenza, per ciò che riguarda le malattie neurogenetiche
generalmente le prime manifestazioni cliniche iniziano nell’età adulta e presentano
un decorso progressivo. Le analisi molecolari per queste condizioni non solo
risultano importanti per la conferma genetica della diagnosi clinica ma possono
essere utilizzate anche a scopo predittivo. La potenzialità del test molecolare di
predire in soggetti in buono stato di salute la comparsa dei sintomi, a volte molto
gravi e senza una effettiva possibilità di guarigione o trattamento, rende obbligatorio
prestare la massima attenzione nella applicazione di tali analisi e nella formazione
del personale medico deposto alla spiegazione ed alla erogazione del test stesso
[Quintáns B. et al, 2010]. Inoltre la non corretta interpretazione del risultato di un
test genetico può indirizzare verso una errata diagnosi oppure può condurre verso
una terapia non appropriata o, ancor peggio, può portare a delle decisioni
riproduttive non consapevoli. Solo in tempi relativamente recenti sono state stilate
delle linee guida per la diagnosi molecolare di alcune delle più frequenti malattie
neurologiche su base genetica come la corea di Huntington [Losekoot M. et al,
2012], i disturbi del motoneurone, le neuropatie periferiche e le distrofie muscolari
[Burgunder J.M. et al, 2011], la malattia di Parkinson [Crosiers D. et al, 2011] e di
Alzheimer [Goldman J.S. et al, 2011].
Un ulteriore ambito di indagine di cui si occupa il consulente genetista
riguarda il percorso diagnostico del soggetto adulto affetto da disabilità intellettiva
(ID) isolata o sindromica. La richiesta di accesso alla consulenza genetica per tali
condizioni risulta tuttavia al momento piuttosto limitata; ciò è imputabile sia ad un
moderato interesse dell’ambito familiare verso la definizione diagnostica di un
soggetto ormai adulto sia per un inesatto o generico inquadramento derivante da
una pregressa valutazione medica errata. La valutazione del soggetto adulto
costituisce altresì per il genetista motivo di stimolo ed impegno per un’approfondita
indagine conoscitiva in quanto, a causa dello sporadico accesso da parte di tali
pazienti, risultano ancora modeste le conoscenze delle peculiari caratteristiche
clinico-fenotipiche. D’altra parte è stata solo recentemente superata la profonda
frattura che separava i termini “sindromi genetiche” e “gestione del paziente”;
infatti, solo qualche decennio fa, il ruolo del genetista consisteva nel mero esercizio
diagnostico mentre la presa in carico del paziente era principalmente sintomatica e
demandata all’attenzione del medico di medicina generale o degli altri specialisti.
Fortunatamente molto è cambiato da allora e il rinnovamento non ha investito
soltanto l’ambito medico o scientifico, ma anche la società. E’ ormai universalmente
riconosciuto che gli individui affetti da una sindrome genetica, con o senza ID,
dovrebbero, se possibile, essere trattati. Ciò si è tradotto, in linea generale, con un
miglioramento globale della qualità di vita dei pazienti, sia dal punto di vista della
salute fisica che dal punto di vista dei rapporti sociali. In aggiunta a ciò, il notevole
progresso medico-scientifico ha cambiato l’approccio alle condizioni genetiche; in
particolare la continua scoperta di nuovi geni e della loro funzione ha permesso di
cambiare l’atteggiamento nei confronti delle sindromi genetiche (Fig. 5): da oscure
e singolari “curiosità” a disordini che possono essere razionalmente analizzati in
termini di eziopatogenesi e per i quali poter formulare una potenziale terapia. Ed
infine, una quantità sempre crescente di informazioni viene continuamente
acquisita in merito alla loro evoluzione e alle conseguenze in termini di storia
naturale di tali condizioni (Fig. 6); ciò costituisce una essenziale premessa per lo
sviluppo di un approccio globale al management del paziente sindromico, con
particolare attenzione all’andamento a lungo termine della malattia anche nel
soggetto adulto.
Sulla base della continua sfida e dello stimolante impegno proposti
dall’applicazione della consulenza genetica al soggetto adulto, nel corso dell’iter
formativo è stato quindi dedicato particolare interesse alla gestione di una variegata
casistica di pazienti di tale fascia di età.
Fig
ura
5:
An
no
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(Da
Dy
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20
13)
Figura 6: Variabili associate alle malattie, alla ridotta aspettativa di vita e alle le cause di morte in alcune sindromi rare selezionate. (Da Dykens EM, 2013)
4. CASI CLINICI
4.1 PAZIENTI ADULTI CON DISABILITÀ INTELLETTIVA SINDROMICA
Le richieste per una valutazione genetica dei pazienti adulti affetti da ID
sindromica rappresentano ancora una minima porzione del totale degli accessi,
seppure siano in lenta crescita. Fino a qualche tempo fa, la limitata domanda per
tale tipologia di consulenza genetica poteva essere riconducibile all’atteggiamento
di indifferenza e di rinuncia che la società e la comunità scientifica spesso assumono
nei confronti di tali soggetti. Recentemente tuttavia tale trend sembrerebbe essere
stato lentamente sovvertito. In particolare, il miglioramento dell’aspettativa di vita
della popolazione generale ha investito anche i soggetti affetti da ID (Fig.7) [Coppus
A.M., 2013; Dykens E.M., 2013; Williams M.S., 2007].
Se fino a qualche decennio fa tale coorte di pazienti non raggiungeva l’età
adulta o senile, attualmente gli individui adulti con ID costituiscono una minima ma
crescente e significativa quota della popolazione e pertanto la conoscenza della
sintomatologia e delle eventuali complicazioni dell’età senile rappresentano il punto
di partenza per concretizzare fattivamente un’appropriata gestione sanitaria di tali
soggetti. Dalla revisione della letteratura scientifica appare evidente come negli
adulti con ID risulta più alta la presenza di condizioni mediche spesso misconosciute
come problemi visivi ed uditivi, obesità, epilessia, disturbi dermatologici, patologie
dentali, disturbi comportamentali e cognitivi, condizioni gastrointestinali ed è
7255
7182 87
70 7255
6950 55
ASPETTATIVA DI VITA (ANNI)
Massima Età
Figura 7: Aspettativa di vita di alcune frequenti condizioni con ID. (Riprodotto da Coppus AM, 2013)
parimenti elevato il bisogno di terapie farmacologiche a lungo termine [Haveman
M. et al, 2011].
Il passaggio dalle cure mediche pediatriche a quelle dedicate all’adulto
rappresenta un processo decisamente impegnativo e delicato che necessita senza
dubbio di miglioramenti, al fine di evitare una non corretta gestione del paziente
affetto da malattia rara [Taylor M.R. et al, 2006]. In particolare viene richiesto
sempre più frequentemente ai pediatri, che ricevono una specifica formazione
nell’ambito delle cure da erogare ai bambini affetti da condizioni sindromiche, di
facilitare la transizione verso l’assistenza medica per gli adulti [Blum R.W., 1993;
Hallum A., 1995; Olsen D.G. et al, 2004]. Tuttavia è ovvio comprendere che, da un
lato, gli specialisti pediatri non riescono ad assolvere da soli a tale funzione;
dall’altro lato, gli internisti e i medici di medicina generale possiedono una limitata,
se non totalmente assente, esperienza con i soggetti con ID sindromica, sebbene
conoscano a fondo i comuni problemi di salute degli adulti e degli anziani.
Un ulteriore problema è costituito dalla difficoltà, riscontrata da diversi
clinici, di avere una visione d’insieme delle problematiche mediche complessive di
un unico paziente, tendendo a cristallizzare l’operato nel proprio ambito di
competenze; ciò vale non solo per gli adulti affetti da ID in quanto, in generale, le
cure mediche per gli adulti affetti da condizioni croniche risultano molto spesso
frammentarie e riduttive. Negli ultimi tempi, per molte condizioni croniche comuni
sono stati sviluppati dei programmi assistenziali dedicati; mentre, salvo rarissime
eccezioni, non esistono approcci sanitari altrettanto efficaci per i pazienti adulti
affetti da ID. Si rende quindi fondamentale e necessario tra queste figure
professionali il ruolo del genetista clinico come trait d’union che favorisce, grazie al
suo bagaglio di conoscenze nell’ambito delle malattie rare, il processo di transizione
dalle cure mediche pediatriche all’assistenza per i soggetti adulti.
Un ulteriore aspetto degno di nota è rappresentato dalla formulazione della
diagnosi eziologica. E’ noto che precedentemente agli anni Settanta, i tentativi
sistematici di studiare, comprendere e categorizzare l’eziologia della ID sindromica
risultavano essere veramente rari. A conferma di ciò, le cause dei quadri clinici
complessi che vengono più spesso riferite ai soggetti nati in quegli anni, sono
rappresentate da problemi non meglio definiti durante la gravidanza o il parto
oppure da condizioni infettive durante l’infanzia, per la quasi completa totalità non
circostanziate da un’effettiva riprova tramite documentazione clinica. E’ d’obbligo
altresì puntualizzare che, tra i pazienti pediatrici, la rilevanza della diagnosi
eziologica è ampiamente compresa ed accettata ed è essenziale per programmare il
piano terapeutico, definire la prognosi e fornire un’adeguata informazione alla
famiglia: si sta infatti assistendo ad un notevole abbassamento dell’età media di
diagnosi fino ai primissimi anni di vita; inoltre, nel caso in cui non venga
precocemente formulata una diagnosi, esiste tuttavia una sorta di “rete di
salvataggio” rappresentata dai servizi pediatrici ed educativi dell’infanzia.
Purtroppo per i soggetti adulti tale “rete” tende a dissolversi con l’ingresso nella vita
giovane adulta in quanto non risulta presente la medesima consapevolezza tra gli
internisti e la stessa capillare organizzazione dei servizi sanitari. Nell’ambito dello
studio eziologico, i genitori ed i parenti degli affetti giocano un ruolo non meno
fondamentale: è stato infatti osservato che, in linea generale, risultano meno
coinvolti nella ricerca di una diagnosi genetica nella tarda infanzia rispetto a una
diagnosi precoce. Infatti gran parte dei familiari dei soggetti adulti con ID maturano
la convizione che non risulterebbe di alcuna efficacia o giovamento pervenire ad una
diagnosi per l’affetto, in quanto ritengono che l’inquadramento genetico non si
traduca in una effettiva modifica degli interventi assistenziali. D’altro canto tale
atteggiamento non rispecchia complessivamente quello assunto da altrettante
famiglie che comprendono l’importanza di ricevere finalmente “una risposta” per i
loro figli ormai adulti, che si traduce in ulteriori risorse di supporto e informazione
offerte anche dalle associazioni sindrome-specifiche.
Il crescente interesse della comunità scientifica e dei familiari nei confronti
delle malattie rare si è tradotto negli ultimi anni in una progressiva focalizzazione
della letteratura sulla storia naturale delle patologie genetiche con particolare
attenzione in merito alle problematiche che si riscontrano nel soggetto adulto
[Vogels A. et al, 2014; Brioude F. et al, 2013; Coppus A.M., 2013; Scheermeyer E.,
2013; Smpokou P. et al, 2012; Bedeschi M.F., 2011; Saal H.M., 2011; Battaglia A. et
al, 2008; Peeters K. et al, 2008; Clayton-Smith J., 2001].
Verranno quindi descritti alcuni casi didattici ed esemplificativi relativi a
soggetti adulti trattati durante l’attività clinico-formativa presso la U.O.C. Genetica
Medica di Siena.
4.1.1 Caso 1
Giunge alla nostra osservazione il paziente #1 all’età di 22 anni per
accertamenti in merito a ID e caratteristiche faciali peculiari. Torna in follow-up
all’età di 28 anni.
Il paziente #1 [Wieczorek D. et al, 2013] è nato a termine da parto spontaneo
eutocico a seguito di gravidanza normodecorsa. Alla nascita il peso era di 3750 g
(90° cnt) e la lunghezza di 57 cm (>90° cnt). Il paziente ha presentato ipotonia
congenita, ritardo dello sviluppo psicomotorio con maggiore compromissione del
linguaggio, crisi convulsive a partire dall'età di 18 mesi, controllate dalla terapia
farmacologica e disturbo del comportamento, caratterizzato da iperattività e deficit
dell’attenzione. Viene inoltre riferita stipsi.
La RMN encefalo, la valutazione uditiva, la visita oculistica con esame del
fondo oculare, l'ECG e l'ecocuore vengono riferiti nella norma.
ESAME OBIETTIVO (Fig. 8):
Altezza 180 cm (75°-90°cnt)
Peso 85 Kg (90°-97°cnt)
COF 56 cm (75°cnt)
Facies allungata
Capelli radi con attaccatura bassa in regione temporale
Naso con ponte prominente e con punta larga, narici spesse e anteverse
Filtro corto e ampio
Macrostomia con atteggiamento a bocca aperta, labbra carnose con labbro superiore
ad arco di cupido e labbro inferiore everso
Prominenza delle articolazioni IFP delle mani, sandal gap bilaterale
Eczema/dermatite atopica ed aumentato wrinkling cutaneo
Figura 8: Paziente #1. Notare la facies allungata con lineamenti grossolani, le labbra prominenti, l'ispessimento delle articolazioni IFP delle mani e la presenza del sandal gap.
Figura 9: M: Alcuni pazienti dai 15 ai 18 anni con diagnosi di s. di Nicolaides-Baraitser (da Sousa SB et al, 2009)
ANALISI EFFETTUATE:
Presso altro Centro ha effettuato l'analisi di array-CGH ad una risoluzione di
1 Mb che è risultata nella norma.
Risultato array: arr cgh 1-22(3367 BAC)x2,X(152BAC)x1,Y(68 BAC)x1.
A seguito della prima valutazione è stata inoltre eseguita l'analisi del gene
ATRX, che non ha evidenziato la presenza di mutazioni patogenetiche.
Dopo un’attenta rivalutazione del caso, è stata posta l’ipotesi diagnostica di
condizione sindromica legata ad alterazioni del complesso SWI/SNF ed è stato
ritenuto indicato procedere con l’analisi del gene SMARCA2 che ha evidenziato la
presenza di una mutazione missenso nell’esone 18 (c.2564G>A) in condizione di
eterozigosi, non presente nel DNA dei genitori. Tale mutazione causa la sostituzione,
in posizione 855, di una arginina con una glutammina (p.Arg855Gln).
CONSIDERAZIONI E MANAGEMENT:
L'insieme della caratteristiche cliniche e dell'esito dell'indagine genetica
hanno permesso di porre diagnosi di sindrome di Nicolaides-Baraitser
(OMIM#601358) [Nicolaides P. et al, 1993] (Fig. 9) nel paziente #1.
Si tratta di un’entità clinica che è stata descritta per la prima volta in tempi
non lontani [Nicolaides P. et al, 1993] e di cui sono state recentemente individuate
le basi eziopatogenetiche molecolari [Van Houdt JK et al, 2012]. Dalla revisione
della letteratura scientifica emerge che, ad oggi, sono stati descritti poco meno di
100 pazienti [Kosho T. et al, 2013; Wieczorek D. et al, 2013; Wolff D. et al, 2012;
Figura 10: Pedigree del paziente #1
Sousa S.B. et al, 2009; Witters I., 2003; Morin G. et al, 2003; Krajewska-Walasek
M et al, 1996]. Tale sindrome è facilmente distinguibile dal punto di vista clinico per
la presenza di una facies peculiare caratterizzata da un volto triangolare,
microcefalia, capelli sparsi con attaccatura anteriore del capillizio bassa, alae nasi
spesse ed anteverse, filtro ampio, bocca grande, prominenza della articolazioni
interfalangee delle mani, brevità di alcuni segmenti ossei delle mani e dei piedi,
ipertricosi; in circa la metà dei casi vengono riportate crisi convulsive, ritardo di
crescita pre e post-natale e disabilità intellettiva con un marcato ritardo o una
mancata acquisizione del linguaggio. Sono rare ulteriori complicanze [Sousa S.B. et
al, 2009].
Data l’esigua numerosità dei pazienti descritti, non risultano disponibili delle
linee guida specifiche per il management dei pazienti adulti. Dalla valutazione dei
casi riportati e della casistica valutata presso la U.O.C. di Genetica Medica, è emerso
che il quadro clinico risulta pressoché stabile nel tempo senza la comparsa di
sostanziali ulteriori complicazioni; dal punto di vista fenotipico, si assiste
classicamente ad una progressiva intensificazione dei tratti grossolani del volto. Alla
famiglia sono state suggerite le seguenti indicazioni di follow-up:
-Valutazione neuropsichiatrica per formulare un’adeguata terapia occupazionale e
riabilitativa.
-Regolare valutazione neurologica per la corretta gestione della terapia
anticonvulsivante.
-Regolare valutazione audiometrica e oftalmologica per la prevenzione di eventuali
complicanze.
-Periodica valutazione dermatologica per la cura delle eventuali complicanze
(dermatiti ed eczema).
In considerazione delle scarse segnalazioni in merito alla comparsa di neoplasie,
sono state suggerite le misure di prevenzione oncologica valide per la popolazione
generale.
La famiglia è stata inoltre rassicurata in merito al rischio di ricorrenza della
condizione per la futura prole della sorella del paziente (Fig. 10); è stato spiegato
che, in caso di alterazioni de novo, il rischio di ricorrenza della condizione per i
collaterali degli affetti risulta pari a quello della popolazione generale, ossia
trascurabile.
4.1.2 Caso 2
Viene inviato alla nostra osservazione durante il ricovero in Neurologia il
paziente #2, di 33 anni, che presenta disabilità intellettiva e caratteristiche faciali
peculiari, per accertamenti in merito a recente comparsa di cefalea. Vengono inoltre
richieste dalla madre informazioni in merito al rischio riproduttivo per gli altri figli
(Fig. 13).
Il paziente #2 è nato a termine da gravidanza normodecorsa fino al 7°mese
di gestazione, con successiva comparsa di pre-eclampsia materna. Il paziente ha
presentato giri di funicolo e cianosi centrale con emissione del primo vagito dopo
circa un minuto dalla nascita. Viene riferito che il peso era di 2900 g (10-25°cnt.).
Le tappe dello sviluppo motorio sono state raggiunte in ritardo con comparsa del
controllo del capo a 12 mesi circa e della deambulazione autonoma a circa 5 anni. Il
linguaggio non è mai stato acquisito.
Viene riferito che il paziente utilizza da circa un anno ausili per la
deambulazione per pregressa frattura della rotula ed edemi recidivanti. Vengono
inoltre riferiti sonno disturbato e comparsa di numerosi episodi di piccolo male nei
primi anni di vita, poi controllati dalla terapia anti-convulsivante.
Gli EEG effettuati nell’età infantile evidenziavano attività convulsiva diffusa.
La TC encefalo effettuata nei primi anni di vita ha mostrato dilatazione degli spazi
liquorali come da probabile leucomalacia periventricolare (verosimilmente da
sofferenza neonatale). La RMN encefalo effettuata durante il ricovero ha evidenziato
una “discreta atrofia corticale cerebellare emisferica e, di minore entità, vermiana”.
La RX del rachide in toto ha evidenziato ipoplasia delle ali iliache, accentuazione
della cifosi dorsale e dismorfismo del profilo inferiore iliaco delle sincondrosi sacro-
iliache. L’ecocardiografia è risultata nella norma.
Presso altro Centro ha effettuato analisi del cariotipo e del gene FMR1,
entrambi risultati nella norma.
ESAME OBIETTIVO (Fig. 11):
Altezza 180 cm (50-75°cnt.)
Peso 95 Kg (95°cnt.)
BMI 29,3
COF 53 cm (<3°cnt.)
Fronte ampia e squadrata, occipite piatto
Viso allungato con mandibola prominente
Occhi infossati con ciglia lunghe, ponte nasale alto e stretto
Orecchio sinistro protrudente con lobo uplifted
Bocca grande tenuta aperta con labbra carnose, macroglossia
Ipertono spastico delle mani.
Figura 11: Paziente #2. Notare l’aspetto caratteristico della facies e l’ipertono delle mani.
Figura 12: Due pazienti in età giovane-adulta con diagnosi di s. di Angelman (da Clayton-Smith J, 2001)
Figura 13: Pedigree paziente #2
ANALISI EFFETTUATE:
L’insieme dell’anamnesi e delle caratteristiche somatiche e faciali peculiari
hanno permesso di ipotizzare dal punto di vista clinico la sindrome di Angelman
(AS) [Angelman H., 1965] (OMIM #105830) (Fig.12); tale sospetto è stato quindi
confermato dall’esito dell’analisi effettuata.
Risultato array-CGH: arr 15q11.2q13.1(23,699,701-28,525,460)x1
(hg19 GRCh build 37, Feb. 2009) (Fig.14).
E’ stata inoltre indagata la presenza della medesima delezione nel DNA materno e,
come atteso, l’alterazione è risultata assente.
CONSIDERAZIONI E MANAGEMENT:
Nel panorama delle condizioni rare, la AS presenta una frequenza stimata che
si aggira attorno a 1:10.000-20.000 [Mertz L.G., 2013; Petersen M.B. et al, 1995].
Nonostante tale frequenza sia relativamente alta per chi si occupa di malattie rare,
la letteratura scientifica dedicata alla trattazione delle problematiche dei pazienti
adulti affetti da AS è sorprendentemente esigua [Coppus A.M., 2013; Williams CA,
2005; Clayton-Smith J., 2001; Smith A. et al, 1996, Laan L.A. et al, 1996]. In
particolare vi sono scarse documentazioni iconografiche che mostrino i
cambiamenti fenotipici; dalla valutazione dei casi riportati appare evidente un
graduale allungamento del volto mentre alcune caratteristiche peculiari come il
Figura 14: schema della regione genomica 15q11.2q13. I break points (BP) sono indicati da linee a zig-zag; le delezioni più comuni (classe I e classe II) sono evidenziate con una linea tratteggiata. (Riprodotto da fig.2-Williams CA et al, 2010). In rosso è evidenziata la microdelezione del paziente #2
prognatismo e gli occhi infossati diventano più evidenti, sebbene non si assista alla
comparsa di una eccessiva grossolanità. Dal punto di vista motorio si rileva una
generale diminuzione della mobilità con conseguente tendenza all’aumento di peso;
possono essere presenti reflusso gastroesofageo e stipsi [Williams C.A. et al, 2010;
Clayton-Smith J., 2003; Clayton-Smith J., 2001]. L’ipertono degli arti conduce
frequentemente allo sviluppo di contratture a livello delle grosse articolazioni con
conseguente limitazione alla deambulazione; si riscontra inoltre la presenza di
progressiva grave scoliosi [Guerrini R. et al, 2003; Clayton-Smith J., 2001]. Si
assiste tipicamente ad un aumento della frequenza delle crisi convulsive nella
seconda-terza decade con conseguente difficoltà nel controllo degli episodi critici;
in alcuni individui è riferito inoltre tremore ingravescente [Clayton-Smith J., 2001;
Harbord M., 2001].
Sulla base di tali evidenze sono state pertanto fornite alla madre le seguenti
indicazioni di follow-up:
- Visita neurologica periodica per la valutazione della efficacia della terapia
anticonvulsivante e per prevenire ulteriori sintomi neurologici.
- Controllo ortopedico annuale per limitare le eventuali complicazioni e per valutare
la possibilità di eventuali presidi terapeutici (busti o tutori o fisioterapia mirata per
preservare la mobilità).
- Visita dietologica per la valutazione di un regime alimentare per prevenire
l’obesità.
- Visita oftalmologica per la valutazione dell’acuità visiva e per la possibilità di
albinismo oculare o cheratocono secondario a persistenti movimenti di sfregamento
oculare.
- Considerare la possibilità di instaurare una terapia per il reflusso gastro-esofageo
se compare perdita di appetito o se si manifesta sofferenza del soggetto, non
altrimenti spiegabile.
- Incoraggiare l’attività fisica e valutare la possibilità di una terapia occupazionale
con un neuropsichiatra.
La madre ha inoltre richiesto chiarimenti in merito al rischio di ricorrenza
per la futura prole degli altri figli; è stato spiegato che il rischio per i collaterali di
soggetti affetti da AS dovuta a delezione della regione 15q11.2, risulta pari a quello
della polazione generale.
4.1.3 Caso 3
Viene inviata presso il nostro Ambulatorio durante il ricovero in Psichiatria
la paziente #3, di 38 anni, che presenta disabilità intellettiva e caratteristiche faciali
peculiari. Non viene riferita familiarità per disabilità intellettiva o altre condizioni
genetiche note (Fig. 17).
La paziente #3 è nata da parto eutocico a termine di gravidanza
normodecorsa. Il periodo perinatale viene riferito nella norma. Il raggiungimento
delle tappe dello sviluppo psicomotorio è avvenuto in ritardo: l’acquisizione della
deambulazione autonoma e del linguaggio vengono riferite all’età di 4 anni. Il
menarca è comparso all’età di 12 anni con cicli regolari per frequenza e durata.
All’età di 20 anni è esordita eteroaggressività e viene riportata diagnosi di disturbo
ossessivo-compulsivo. All’età di 25 anni è stato riscontrato di ipotiroidismo per il
quale segue terapia con levotiroxina sodica. Vengono inoltre riportate frequenti
carie dentarie.
La visita neuropsichiatrica con somministrazione della Vineland Adaptive
Behavior Scale effettuata all’età di 38 anni e 3 mesi ha messo in evidenza un
punteggio totale corrispondente all’età di 4 anni e 1 mese. L’esame
emocromocitometrico ha rilevato anemia ipocromica normocitica. La valutazione
della funzione uditiva tramite ABR ha evidenziato la presenza di ipoacusia
neurosensoriale. La visita oculistica con valutazione del fundus oculi ha evidenziato
lieve esotropia e astigmatismo.
ESAME OBIETTIVO (Fig. 15):
Altezza 153 cm (3°cnt)
Peso 80 Kg (90-95°cnt)
COF 52 cm (3° cnt)
Fronte ampia, sopracciglia orizzontali sparse nel terzo esterno
Occhi infossati, rima palpebrale rivolta in alto e in fuori, ipotelorismo e strabismo
Labbra sottili, mento appuntito
Ipoplasia medio facciale con profilo piatto
Dita delle mani corte e tozze
Lieve sindattilia cutanea fra 2°-3°-4° dito del piede
Scoliosi, obesità centripeta, ipertricosi diffusa.
Figura 15: Paziente #3 all’età di 22 e 38 anni. Notare l’aspetto caratteristico del volto, che rimane pressoché inalterato con l’età, dei piedi e delle mani.
ANALISI EFFETTUATE: In considerazione del quadro clinico e delle caratteristiche
fenotipiche, è stato ritenuto indicato effettuare inizialmente l’analisi del cariotipo.
Tale indagine è risultata nella norma evidenziando un corredo cromosomico
femminile normale alla risoluzione utilizzata (46,XX). E’ stato quindi ritenuto
opportuno procedere con analisi di array-CGH che ha evidenziato la presenza di una
delezione interstiziale nella regione cromosomica 1p36, associata alla sindrome da
microdelezione omonima (OMIM#607872) [Shapira S.K. et al, 1997] (Fig. 16).
Risultato array-CGH: arr 1p36.33p36.32(2,043,653-2,542,393)x1
(hg19 GRCh build 37, Feb. 2009). E’ stata inoltre indagata la presenza della
medesima delezione nel DNA materno e, come atteso, l’alterazione è risultata
assente. Il padre non ha prestato il proprio consenso all’analisi.
Figura 17: Pedigree della paziente #3
Figura 16: Due pazienti in età adolescenziale con diagnosi di s. da monosomia 1p36 (da Battaglia A, 2008)
CONSIDERAZIONI E MANAGEMENT:
La sindrome da monosomia 1p36 rappresenta una delle più frequenti
sindromi da microdelezione subtelomerica con una frequenza stimata di circa
1:5000 nuovi nati [Heilstedt H.A. et al, 2003] (Fig. 16). Sebbene il primo caso di tale
condizione sia stato descritto nel 1980 come risultato di un errore di segregazione
di una traslocazione parentale bilanciata [Hain D. et al, 1980], solo nel 1997 la
sindrome da microdelezione 1p36 è stata delineata come entità clinica a sé stante ed
è stata fornita la caratterizzazione molecolare [Shapira S.K. et al, 1997]. Le
descrizioni della storia naturale della condizione nel soggetto adulto sono
fortemente limitate [Battaglia A., 2008; Battaglia A. et al, 2008]. Dalla valutazione
dell’evoluzione del fenotipo dai soggetti in età pediatrica agli adulti, emerge che non
vi sono sostanziali cambiamenti e, in linea generale, le caratteristiche faciali e
somatiche rimangono inalterate nel tempo. Risulta inoltre evidente che il quadro
clinico risulta altamente variabile ed inoltre il numero dei segni distintivi non
correla con l’estensione della delezione [Giannikou K. et al, 2012; Rosenfeld J.A. et
al, 2010; Gajecka M. et al, 2007; Redon R. et al, 2005]. Ad oggi sono stati descritti
in letteratura circa 100 casi, tuttavia esistono solo poche informazioni in merito alla
storia naturale di questa sindrome [Battaglia A. et al, 2008]. Nell’88% dei soggetti
affetti vengono segnalati difetti del sistema nervoso centrale, principalmente
rappresentati da dilatazione dei ventricoli laterali e degli spazi subaracnoidei,
atrofia corticale, a-/ipoplasia del corpo calloso [Battaglia A., 2008], eterotopia
periventricolare nodulare [Descartes M. et al, 2011; Neal J. et al, 2006] e
polimicrogiria [Dobyns W.B. et al, 2008]. Gli episodi critici si verificano in circa il
44%-58% dei soggetti affetti e possono includere sia crisi generalizzate che parziali
(semplici o complesse) [Battaglia A, 2008]. I difetti cardiaci congeniti sono presenti
in circa il 43%-71% degli affetti e possono essere costituiti principalmente da difetti
settali e valvulopatie. I difetti di rifrazione, il nistagmo e lo strabismo sono le
anomalie oculari più frequentemente descritte. Tra le anomalie scheletriche si
segnalano scoliosi, anomalie delle coste e dismetria degli arti inferiori. La sordità
neurosensoriale è una caratteristica di frequente riscontro, presente in circa il 47%-
82% degli affetti. In una piccola percentuale di affetti, circa il 22%, sono state
segnalate anomalie del tratto genitourinario, tra cui anomalie renali e dei genitali
esterni [Heilstedt H.A. et al, 2003, Battaglia A. et al, 2008].
A seguito di un’attenta revisione della letteratura scientifica, è stato suggerito
il seguente programma di controlli sanitari per la paziente:
- Visita neuropsichiatrica per prevenire o curare i disturbi comportamentali e per
valutare la possibilità di intraprendere una terapia occupazionale per migliorare
l'autonomia e l'indipendenza personali e la partecipazione sociale.
- Visita neurologica per considerare l’indicazione ad effettuare un EEG di controllo
ed eventuali ulteriori accertamenti.
- Visita cardiologica periodica con effettuazione di elettrocardiogramma ed
ecocardiografia.
- Visita oftalmologica annuale che preveda anche la valutazione del fundus oculi.
- Visita audiologica per considerare la possibilità dell’utilizzo di protesi acustiche.
- Visita dietologica per la valutazione di un regime alimentare corretto.
- Visita ortopedica per prevenire la comparsa di problemi scheletrici o per valutare
la possibilità di presidi terapeutici (busti, plantari etc.).
- Routine ematica e dosaggio annuale degli ormoni tiroidei.
- Ecografia addominale completa con particolare attenzione al distretto renale.
E’ stato infine spiegato alla madre che la sindrome da delezione 1p36 è, nella
maggioranza dei casi, una condizione che insorge de novo; tuttavia, al fine di
escludere la rara possibilità che tale riarrangiamento sia stato ereditato, sono stati
proposti ulteriori esami di approfondimento. La famiglia ha richiesto la possibilità
di riservarsi del tempo per la decisione.
4.2 PAZIENTI ADULTI AFFETTI DA NEOPLASIE EREDITARIE
Negli anni ’90, con la scoperta della basi molecolari di alcune forme non rare
di tumori ereditari, viene alla luce la Genetica Clinica Oncologica (GCO). In tale
ambito, l’iter clinico che conduce alla diagnosi di tumore ereditario e alla gestione
dei soggetti ad alto rischio genetico di cancro viene denominato “Consulenza
Genetica Oncologica” (CGO). E’ d’obbligo innanzitutto precisare che con il termine
“tumori ereditari” ci si intende riferire a quelle patologie oncologiche che insorgono
a causa della presenza di varianti genetiche costitutive che conferiscono rischi
neoplastici sensibilmente superiori a quelli della popolazione generale. Per alcune
tipologie di tumori ereditari, la disponibilità dei test genetici ha portato alla
organizzazione di misure di prevenzione primaria e/o diagnosi precoce di provata
efficacia. In questi casi la CGO viene oggi considerata a pieno titolo un’attività clinica
nel campo dei servizi assistenziali che devono essere offerti a tutti i cittadini. In un
primo documento del 2000, perfezionato poi da un successivo dell’ottobre 2013,
AIOM (Associazione Italiana Oncologi Medici) e SIGU (Società Italiana di Genetica
Umana) hanno espresso congiuntamente alcune considerazioni su aspetti
qualificanti e critici di un percorso di consulenza genetica oncologica. Lo scopo di
tale collaborazione ha portato alla redazione di un documento di riferimento utile
agli oncologi, ai genetisti ed altri professionisti della salute coinvolti nei percorsi di
CGO perché i tumori ereditari, anche se rappresentano una piccola frazione dei casi
di ciascun tumore, nel loro complesso non sono una rarità nella pratica oncologica.
Nell’attività giornaliera la richiesta da parte dell’utenza di CGO è in continua
e rapida crescita; le condizioni neoplastiche per le quali più frequentemente viene
richiesto l’accesso sono rappresentate da casi familiari di tumore del colon retto e
della mammella/ovaio. Raramente la CGO viene richiesta per sindromi neoplastiche
complesse rare oppure per valutare il rischio di ricorrenza di specifici tumori rari
nella programmazione di eventuali gravidanze di un soggetto affetto. Per il primo
caso, molto spesso l’abilità del genetista risiede nella capacità di individuare i segni
della condizione e di connetterli tra di loro nell’ipotesi di un quadro oncologico
complesso e di fornire al paziente un adeguato programma per la prevenzione
dell’insorgenza di eventuali ulteriori tumori. Nel secondo caso entrano in gioco
fattori di appropriatezza scientifica, etici e, nondimeno, psicologici che vanno
approfonditi in maniera esaustiva con il paziente [Dewanwala A. et al, 2011;
Kastrinos F. et al, 2007; Lohmann D.R. et al, 2000]. Inoltre l’operato del genetista
è coadiuvato dalla recente introduzione di metodiche di analisi sempre più efficaci
e potenti che permettono l’identificazione di mutazioni non rilevate con le
tradizionali tecniche [Artuso R. et al, 2011]. Verranno quindi approfonditi due casi
paradigmatici e rappresentativi di condizioni oncologiche rare relative a soggetti
adulti valutati durante l’attività clinico-formativa presso la U.O.C. Genetica Medica
di Siena.
4.2.1 Caso 4
Il paziente #4, di 32 anni, viene inviato alla nostra attenzione dal collega
Radiologo per una migliore definizione diagnostica a seguito dell’identificazione di
alcune lesioni renali inquadrate come angiomiolipomi alla TC dell’addome, nel
sospetto di una Sclerosi Tuberosa.
Il paziente è nato a termine da parto eutocico a seguito di gravidanza decorsa
con minacce di aborto dal 5° mese. Il raggiungimento delle tappe dello sviluppo
psicomotorio è avvenuto in epoca fisiologica. Viene riportata un’unica crisi
febbrile a circa un anno e mezzo di età. All’età di 14 anni, a seguito di accertamenti
effettuati per la comparsa di vertigini, è stata posta diagnosi di granuloma
colesterinico della rocca petrosa a destra per il quale si è sottoposto a due interventi
chirurgici. La RMN encefalo all’età di 28 anni mostrava in fossa cranica posteriore
“lesione compatibile con un piccolo meningioma”.
L’ecografia addome, effettuata all’età di 32 anni, documentava a livello
renale, formazione nodulare a sinistra e formazioni cistiche a destra.
E’ stata quindi effettuata una TC addome per una migliore definizione della
natura delle lesioni renali evidenziate all’ecografia addominale; tale esame ha messo
in evidenza cisti renali bilaterali, cinque formazioni amartomatose nel rene sinistro
e 5 formazioni da riferire possibilmente ad angiomiolipomi nel rene destro, cisti
pancreatiche.
L’ecografia testicolare a 31 anni ha evidenziato una formazione cistica a carico
dell’epididimo sinistro.
La valutazione del fundus oculi è risultata nella norma.
All’esame obiettivo si rileva presenza di eruzione cutanea a livello del volto e
del dorso che è stata inquadrata come follicolite. Si rileva inoltre la presenza di un
nodulo sottocutaneo di consistenza duro-elastica a livello del lato radiale del
secondo dito della mano destra. Non si rileva la presenza di difetti della
calcificazione dentale, di macchie cutanee ipocromiche e di fibromi ungueali.
Alla raccolta dell’anamnesi familiare non sono emersi casi simili. I genitori
riferiscono consanguineità (cugini primi) (Fig.18).
In considerazione del quadro clinico, in particolare data la presenza di
angiomiolipomi multipli renali, amartomi e cisti renali, è stato ritenuto indicato
inserire il paziente in un adeguato programma di follow-up specifico per la Sclerosi
Tuberosa (TSC).
Durante l’effettuazione degli accertamenti previsti dal programma di follow-
up, alla RMN encefalo effettuata a 33 anni è stata evidenziata la presenza di due
nuove lesioni a carico dell’emisfero cerebellare destro e sinistro e di un incremento
della lesione cerebellare destra nota, compatibili con emangioblastomi cerebellari.
Alla RMN del rachide in toto venivano inoltre segnalate una lesione espansiva
intramidollare a segnale disomogeneo a livello D9 e D10 ed una lesione
intracanalare, apparentemente extramidollare, a livello D11, caratterizzata da
intensa impregazione post-contrastografica, ascrivibili ad emangioblastomi.
ANALISI EFFETTUATE:
In considerazione del quadro clinico, in particolare data la presenza di
angiomiolipomi multipli renali, amartomi e cisti renali, è stato ritenuto indicato
avviare il percorso diagnostico con l’analisi dei geni TSC1 e TSC2, responsabili di
TSC. Tali analisi non hanno evidenziato la presenza di mutazioni patogenetiche.
L’esito degli accertamenti di diagnostica per immagini effettuati durante il
programma di follow-up, in associazione al risultato nella norma dell’analisi
genetica per TSC, hanno poi orientato il sospetto diagnostico verso la sindrome di
Von Hippel-Lindau (VHLS) (OMIM#193300). L’analisi del gene VHL tramite
metodica MLPA ha evidenziato la presenza della delezione dell’esone 3 (c.464-
?_642+?del) in condizione di eterozigosi. Il medesimo riarrangiamento intragenico
è stato ricercato nel DNA dei genitori ed è risultato assente.
Cisti
vescicali
65
Mieloma
multiplo
63
IMA 82
IMA
Pregresse crisi
convulsive
febbrili
M. di
Parkinson
65
Arteriosclerosi
82
IMA
Figura 18: Pedigree del paziente #4
CONSIDERAZIONI E MANAGEMENT:
La VHLS è una condizione neoplastica rara (prevalenza di circa
1:39.000/53.000) [Maher E.R. et al, 1991; Neumann H.P. et al, 1991] che è
caratterizzata dalla presenza di emangioblastomi localizzati nel sistema nervoso
centrale e nella retina, da cisti renali e dalla possibilità di sviluppare un carcinoma
renale a cellule chiare, da feocromocitoma, da cisti pancreatiche e tumori
neuroendocrini, da tumori del sacco endolinfatico e da cisti epididimali [Richard S.
et al, 2004; Lonser R.R. et al, 2003; Maher E.R. et al, 1990]. I segni cardinali della
condizione (angiomi retinici ed emangioblastomi cerebellari) furono per la prima
volta descritti dall’oftalmologo tedesco Eugene Von Hippel nel 1904 e
dall’anatomopatolologo svedese Arvid Lindau nel 1926 mentre l’identificazione del
gene VHL è avvenuta solo negli anni ‘90 [Latif F. et al, 1993].
E’ stato spiegato al paziente che la VHLS si trasmette con modalità
autosomica dominante e pertanto è stata consigliata una consulenza genetica
preconcezionale di coppia. Inoltre, data la verosimile natura de novo della delezione
intragenica riscontrata, è stato spiegato che il rischio di sviluppare una VHLS per i
collaterali di un affetto risulta trascurabile. In merito alla correlazione genotipo-
fenotipo sono stati dettagliati chiarimenti in merito alla prognosi; in particolare,
dalla revisione della letteratura scientifica, è stato spiegato che le delezioni
intrageniche di VHL sono associate generalmente ad un basso rischio di sviluppare
un feocromocitoma [Stebbins C.E., 1999].
Sulla base della diagnosi, è stata inoltre richiesta una rivalutazione della RMN
addome effettuata per una migliore definizione delle lesioni renali individuate. Tale
riesame ha posto il sospetto di carcinomi renali a cellule chiare, poi confermato
dall’esame istologico effettuato sulle lesioni asportate chirurgicamente.
E’ quindi palese che, data la complessa natura multisistemica della
condizione, è necessario il contributo di vari specialisti che operino in maniera
coordinata fra di loro, al fine di prevenire o limitare l’insorgenza di complicazioni
maggiori. A tale scopo sono state fornite al paziente le seguenti indicazioni di
screening periodico [Maher E.R. et al, 2011; Schimke R.N. et al, 2005; Frantzen C.
et al, 2000]:
- Valutazione oftalmologica annuale con esame del fundus oculi per le complicanze
retiniche.
- RMN encefalo e rachide ogni 12 mesi o meno secondo il parere del Neurochirurgo
per valutare l’eventuale crescita degli emangioblastomi noti e per monitorare
l’insorgenza di nuove lesioni.
- RMN addome annuale per la sorveglianza del tumore renale a cellule chiare.
- Sebbene il rischio di feocromocitoma sia basso, è stato consigliato di effettuare
annualmente lo studio dei metaboliti delle catecolamine sulle urine delle 24h e il
dosaggio della normetanefrina plasmatica.
4.2.2 Caso 5
La paziente #5 giunge in consulenza all’età di 34 anni in consulenza
preconcezionale per accertamenti in merito a retinoblastoma (RTB) monolaterale
sporadico. Sono presenti anche il marito ed il figlio di 1 anno.
La signora ha presentato all’età di 6 mesi diagnosi di retinoblastoma
monolaterale in occhio sinistro trattato con enucleazione. Gli accertamenti di
follow-up effettuati a seguito dell’intervento sono risultati nella norma.
L’analisi del cariotipo effettuata presso altro Centro ha evidenziato un assetto
cromosomico femminile normale (46,XX). L’analisi molecolare del gene RB1,
effettuata in precedenza presso il nostro Laboratorio tramite metodica SSCP e
DHPLC, aveva messo in evidenza la presenza di una variante di significato ignoto
nel gene RB1, in condizione di eterozigosi ed ereditata dal padre in buono stato di
salute.
Il figlio risulta in buono stato di salute ed effettua periodici controlli oculistici
con valutazione trimestrale del fundus oculi, riferiti nella norma.
Alla raccolta dell’anamnesi familiare non sono emersi casi ulteriori di RTB o
di altre neoplasie correlate (Fig.19).
ANALISI EFFETTUATE:
Al fine di identificare eventuali mutazioni non rilevate con le tradizionali
metodiche di indagine, sul DNA della signora è stata effettuata l’analisi tramite
sequenziamento massivo parallelo del gene RB1. Tale analisi ha evidenziato la
Figura 19: Pedigree paziente #5
presenza di una mutazione patogenetica di splicing (c.1215+1G>A) rilevata nell’8%
circa delle sequenze analizzate. Tale alterazione comporta la perdita del sito
donatore di splicing nell’introne 12 del gene RB1. E’ stata inoltre effettuata l’analisi
per la ricerca della medesima mutazione nel DNA della paziente estratto da cellule
di sfaldamento della mucosa buccale e dell’epitelio urinario. Tale analisi ha
evidenziato nelle sequenze analizzate la presenza della mutazione ad una
percentuale di circa 12,6% e 11,4% rispettivamente. L’analisi di segregazione
effettuata sul DNA del figlio non ha evidenziato la presenza della mutazione
materna.
CONSIDERAZIONI E MANAGEMENT:
Il RTB (OMIM#180200) è il tumore maligno intraoculare più comune in età
pediatrica, con una incidenza di 1:15.000/20.000 nati vivi [Seregard S. et al, 2004;
Moll A.C. et al, 1997] e rappresenta il 3-4% di tutti i tumori maligni in età pediatrica.
Si manifesta generalmente entro i 5 anni di età con uguale frequenza in entrambi i
sessi e in tutti i gruppi etnici. La neoplasia, il cui più frequente segno clinico di
presentazione è la leucocoria, può svilupparsi in un solo occhio (unilaterale) o in
entrambi gli occhi (bilaterale) e può presentarsi come focolaio singolo (unifocale) o
come più focolai (multifocale). Il RTB origina dai retinoblasti, cellule retiniche che
derivano dell’epitelio neurale immaturo. L’inattivazione di entrambi gli alleli del
gene RB1 (in accordo con la teoria dei “due colpi” di Knudson [Knudson A.G., 1971])
che è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 13 (13q14.2), rappresenta il
primum movens per l’insorgenza del tumore [Knudsen E.S. et al, 2006]. Le forme
ereditarie rappresentano circa il 40% dei casi e si presentano solitamente come
tumori bilaterali o unilaterali multifocali [Vogel F., 1979]. In questi casi, la prima
mutazione in RB1 è già presente nella linea germinale e, nel caso delle forme
familiari, viene trasmessa da un genitore affetto come caratteristica autosomica
dominante ad alta penetranza (90%) oppure, nel caso delle forme sporadiche, viene
acquisita come evento de novo durante la gametogenesi [Vogel F., 1979; Knudson
A.G., 1971] oppure durante l’embriogenesi, dando origine ad una condizione di
mosaicismo [Chen Z. et al, 2014; Rushlow D. et al, 2009; Sippel K.C. et al, 1998].
L’inattivazione del secondo allele di RB1 avviene a livello somatico, direttamente
nelle cellule retiniche. Le forme non ereditarie rappresentano circa il 60% dei casi e
si presentano generalmente come tumori unilaterali. In questi casi, entrambi gli
eventi mutazionali di RB1 avvengono a livello somatico. Tuttavia, circa il 15% dei
casi con tumore unilaterale presenta una mutazione a livello germinale [Alonso J. et
al, 2001].
Nel caso della paziente #5 la monolateralità e la sporadicità del
retinoblastoma rendevano effettivamente plausibile l’ipotesi di un tumore sporadico
dovuto alla presenza di mutazioni insorte esclusivamente a carico delle cellule
retiniche. Tuttavia, in considerazione della richiesta della signora di determinare un
eventuale rischio di ricorrenza della condizione nella prole e dato l'esito
dell'indagine precedentemente effettuata, è stato ritenuto opportuno ripetere
l'analisi del gene RB1 con metodica di sequenziamento massivo parallelo, una
tecnologia di recente introduzione, che ha un'alta sensibilità e consente di
individuare mutazioni presenti anche in una percentuale esigua di cellule. Tale
indagine ha messo in evidenza nella signora una mutazione nel gene RB1 in
condizione di mosaico. Sono quindi state fornite esaurienti spiegazioni in merito al
significato del mosaico cellulare, della sua variabilità a livello dei vari distretti
tissutali e delle implicazioni legate al rischio di ricorrenza. Come mostrato dai
risultati delle indagini condotte sul DNA estratto da differenti tessuti, la percentuale
di mosaico è risultata variabile; è stato spiegato che, tuttavia, non è possibile
indagarne l'eventuale presenza nelle cellule germinali.
E’ stata quindi fatta presente la possibilità in caso di gravidanza, della
diagnosi prenatale su DNA estratto da prelievo di villi coriali o liquido amniotico o,
in alcuni centri esteri, della diagnosi preimpianto, eseguita sullo zigote allo stadio di
blastocisti. In merito al rischio di ricorrenza per i collaterali della paziente è stato
fatto presente che per le mutazioni in condizione di mosaico, l’origine è de novo
pertanto il rischio della condizione in avi e collaterali della signora è paragonabile a
quello della popolazione generale. Inoltre, l’esito nella norma dell’analisi di
segregazione effettuata sul figlio della signora ha permesso di rassicurare la famiglia
e di evitare al bambino il proseguimento di un follow-up oftalmologico costoso e
spesso molto invasivo.
4.3 PAZIENTI ADULTI AFFETTI DA PATOLOGIE NEUROLOGICHE
EREDITARIE AD ESORDIO TARDIVO
La Neurologia è una delle specialità mediche che viene considerevolmente
coinvolta dal progresso delle conoscenze scientifiche ottenute in campo genetico;
l’avanzamento delle acquisizioni in ambito genetico permette infatti di comprendere
in maniera sempre più approfondita le basi biologico-molecolari del sistema
nervoso e, conseguentemente, le cause delle patologie neurologiche. Negli anni ’80-
’90 si è assistito alla scoperta dei primi geni associati a condizioni neurologiche
ereditarie e, da allora, sono aumentate in maniera esponenziale le conoscenze in tale
ambito, fino alla recente introduzione delle tecnologie di analisi tramite
sequenziamento massivo parallelo che ha permesso di svelare la complessità del
genoma e dei suoi meccanismi regolatori. Accanto a tali progressi in campo tecnico
si rende ovviamente sempre più necessaria la figura del genetista al fine di
interpretare la mole di dati derivante da tali indagini. Bisogna inoltre sottolineare
che una delle peculiarità dei test genetici è rappresentata dalla loro capacità di
predire l’insorgenza di segni e sintomi talvolta molto gravi, legati a patologie che,
nella stragrande maggiornaza dei casi, non offrono possibilità di guarigione o cura.
Al fine di applicare in maniera adeguata i test alla pratica clinica, si rende quindi
d’obbligo la presenza del Genetista, che, in cooperazione col Neurologo, dovrà
considerare la situazione clinica, le varie diagnosi differenziali e le opzioni
terapeutiche, tendendo sempre in considerazione i meccanismi biologici della
genetica umana, le analisi genetiche disponibili e i loro limiti di accertamento e
l’interpretazione dei risultati ottenuti. Sarà quindi preso in esame un caso
esemplificativo per il quale la consulenza genetica ha giocato un ruolo rilevante nella
corretta definizione diagnostica.
4.3.1 Caso 6
Il paziente #6, di 68 anni, viene indirizzato in consulenza genetica per accertamenti
relativi a corea. Il paziente riferisce comparsa di movimenti coreici dall’età di 15 anni
circa a carattere lentamente progressivo non associati a disturbi psichici o cognitivi;
viene inoltre riferita facilità alle cadute e disartria.
L’esame obiettivo neurologico ha evidenziato movimenti involontari di tipo
coreico/coreoatetosico diffusi, non bradicinesia né rigidità, andatura a base
allargata, impossibile in tandem, riflessi osteo-tendinei assenti agli arti inferiori,
segno di Babinski negativo, non apparente dismetria.
L’elettromiografia è risultata sostanzialmente nella norma. La RMN encefalo
ha evidenziato lieve atrofia cerebrale e moderata dilatazione proporzionale dei
ventricoli laterali mentre il nucleo caudato e il putamen risultavano nei limiti della
norma. Gli esami ematochimici di controllo sono risultati nella norma; non è stata
rilevata la presenza di acantociti nello striscio di sangue periferico.
Alla raccolta dell’anamnesi familiare è emerso che la madre ha presentato un
lento decadimento cognitivo in tarda età ma senza manifestare disturbi del
movimento; inoltre uno zio in linea paterna della madre ha presentato una sindrome
coreica ad insorgenza giovanile in assenza di declino cognitivo (Fig. 20).
ANALISI EFFETTUATE:
In considerazione dell’esordio precoce del disturbo del movimento e dato il
decorso pressoché stabile nel tempo dei sintomi, è stata inizialmente avviata l’analisi
del gene NKX2-1, responsabile di Corea Benigna Ereditaria (OMIM#118700) sul
DNA del paziente. Tale analisi non ha evidenziato la presenza di mutazioni.
E’ stato quindi ritenuto indicato procedere con analisi del gene HTT. Tale
analisi ha rivelato la presenza di un allele CAG espanso (41 ripetute) e di un allele
CAG normale (18 ripetute).
CONSIDERAZIONI E MANAGEMENT:
La Malattia di Huntington (HD, OMIM#143100) è una patologia
neurodegenerativa rara (3/10 in 100.000) causata dall’espansione di sequenze
ripetute CAG nell’esone 1 del gene HTT. Alleli con ripetute fino a 35 non sono
correlati all’insorgenza della HD, mentre un numero di ripetute compreso tra 36 e
39 potrà o meno tradursi in HD (alleli a penetranza ridotta); infine ripetute oltre 40
sono inevitabilmente legate allo sviluppo di HD [Losekoot M., 2013; The HDCRG,
1993]. Tipicamente tale condizione si manifesta con progressiva disabilità motoria
e comparsa di movimenti coreici cui si associano disturbi mentali che possono
includere declino cognitivo, cambiamenti della personalità e depressione [Walker
F.O., 2007]. Generalmente i primi sintomi compaiono tra i 35 e i 50 anni mentre, in
alcune forme più lievi e meno aggressive la sintomatologia si manifesta dopo i 50
anni di età [Pagon R.A. et al, 2002].
Secondo le conoscenze attuali, ad oggi in letteratura scientifica è riportato un
unico altro paziente con una sindrome coreica non progressiva esordita in età
giovanile in assenza di declino cognitivo o disturbi psichiatrici [MacMillan J.C. et al,
1993]. In considerazione della diagnosi, è stato indicato al paziente un appropriato
Figura 20: Pedigree paziente #6
39
7 3
37
6
65
Polineuropatia
ndd
58
DM2
45 41
2
67
Ictus
cerebri
88
Declino cognitivo,
m di Alzheimer?
Movimenti
coreici
programma di follow-up neurologico periodico che includesse la valutazione delle
facoltà cognitive, motorie e psichiatriche.
E’ stato quindi spiegato al paziente che la condizione si trasmette con
modalità autosomica dominante ed è stato consigliato di effettuare una valutazione
neurologica nei parenti di primo grado, riferiti in buono stato di salute. E’ stato
infine fatto presente che nei soggetti sintomatici è possibile procedere direttamente
al test genetico, mentre nei soggetti asintomatici è possibile effettuare, a partire
dalla maggiore età, il test molecolare seguendo l’iter previsto per le diagnosi pre-
sintomatiche. I familiari hanno richiesto di riservarsi del tempo per decidere in
merito a tale scelta.
5. DISCUSSIONE
La casistica presa in esame mette in primo piano la necessità di stabilire i
requisiti minimi necessari per la consulenza genetica del soggetto adulto nei vari
ambiti analizzati.
Nel campo delle consulenze rivolte all’inquadramento della disabilità
intellettiva sindromica nell’adulto appare evidente come sia deficitaria la letteratura
scientifica ed in particolare la disponibilità di informazioni fruibili in merito
all’evoluzione del fenotipo e alle problematiche sanitarie connesse
all’invecchiamento [Coppus A.M., 2013; Dykens E.M., 2013; Williams M.S., 2007].
Con riferimento ai casi 1, 2 e 3, la corretta valutazione clinica ha permesso di
porre un sospetto diagnostico poi confermato dall’analisi genetica. Ciò è stato reso
possibile grazie al continuo aggiornamento che deve coadiuvare costantemente la
formazione del genetista, attraverso la consultazione della letteratura scientifica.
Inoltre risulta molto spesso decisiva nel conseguimento dell’appropriato
inquadramento diagnostico la consultazione di alcuni database dismorfologici, tra
cui i più utilizzati risultano essere il Winter-Baraitser Dysmorphology Database e il
POSSUM (Pictures of Standard Syndromes and Undiagnosed Malformations).
Il punto cardine che deve essere tenuto saldamente in considerazione è
rappresentato dalla specifica complessità che contraddistingue il soggetto adulto:
alle caratteristiche peculiari che si riscontrano dall’infanzia e si mantengono fino
all’età adulta, si sommano le comuni problematiche legate al fisiologico processo di
invecchiamento; nondimeno, si aggiungono ulteriori comorbilità che si sviluppano
in età senile e che risultano proprie di ogni sindrome. L’aumento dell’aspettativa di
vita dei pazienti affetti da disabilità intellettiva sindromica è stato reso possibile
grazie a notevoli innovazioni in campo medico-assistenziale. A tale riscontro deve
necessariamente corrispondere un miglioramento della qualità di vita conseguibile
attraverso lo sviluppo di un appropriato programma di screening per la prevenzione
e la gestione delle condizioni mediche più frequenti. Infatti, nella maggioranza dei
casi, gli effetti avversi legati alla insorgenza delle comorbilità possono essere mitigati
o eliminati qualora le criticità vengano individuate e trattate tempestivamente. Per
le più frequenti cause di disabilità intellettiva sindromica, quali la sindrome di Down
e la sindrome della X fragile, sono state elaborate delle esaustive linee guida per il
management adeguato alle differenti classi di età [Bull M.J. et al, 2011; Steingass
K.J. et al, 2011; Hersh J.H. et al, 2011]. La numerosa coorte di pazienti descritti per
tali condizioni ha in effetti permesso un’agevole individuazione delle problematiche
di salute più frequenti relative alle differenti età ed una conseguente costruzione di
programmi di screening. Tuttavia, a causa della estrema rarità delle sindromi
genetiche con ID, la conoscenza della storia naturale della maggior parte di tali
condizioni risulta spesso poco adeguata se non insufficiente, in particolar modo se
si prende in considerazione l’età adulta; conseguentemente non sono disponibili
misure efficaci di prevenzione e diagnosi precoce. Da ciò si deduce pertanto la
necessità di implementare la condivisione delle informazioni cliniche anche
avvalendosi di web database e di favorire la creazione di percorsi assistenziali per i
pazienti affetti da malattia rara.
Nella Regione Toscana a decorrere dall’anno 2008 è stato istituito il Registro
Toscano Malattie Rare, in ottemperanza alla Legge Regionale 10 novembre 2008, n.
60 (Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 40 “Disciplina del servizio
sanitario regionale”). “Art. 20 ter - Istituzione di registri di rilevante interesse
sanitario”. La registrazione di casi di malattie rare ha avuto inizio nel 2005. La Rete
delle Malattie Rare (malattierare.toscana.it) consiste in un database disponibile on-
line che oltre a fornire dati epidemiologici, indicazioni circa le caratteristiche ed i
centri di riferimento specializzati per il riconoscimento e il follow-up delle
condizioni rare, mette anche a disposizione i percorsi assistenziali per alcune
patologie. Nello specifico, la U.O.C. Genetica Medica di Siena ha contribuito a
definire alcuni dei percorsi assistenziali, mettendo a frutto i risultati dell’esperienza
dell’equipe medico-scientifica nel campo della sindrome di Rett e della sindrome di
Alport.
Una ulteriore valenza della consulenza genetica, utile all’erogazione del
servizio assistenziale ed alla migliore gestione dei pazienti, risiede nel fatto che
spesso l’atto medico non si esaurisce nel corso di un’unica visita ma continua anche
dopo il termine della valutazione. Riveste pertanto un particolare rilievo la fase del
“ricontatto”, recentemente implementata dalla introduzione, presso la U.O.C.
Genetica Medica di Siena, della Telegenetica, una branca della Telemedicina
[www.salute.gov.it]. Per Telemedicina si intende una modalità di erogazione di
servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso a tecnologie innovative, in
particolare alle Information and Communication Technologies (ICT), in situazioni
in cui il professionista della salute e il paziente (o due professionisti) non si trovano
nella stessa località. La Telemedicina comporta la trasmissione sicura di
informazioni e dati di carattere medico nella forma di testi, suoni, immagini o altre
forme necessarie per la prevenzione, la diagnosi, il trattamento e il successivo
controllo dei pazienti. I servizi di Telemedicina vanno assimilati a qualunque
servizio sanitario diagnostico/terapeutico. Tuttavia la prestazione in Telemedicina
non sostituisce la prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-
paziente, ma la integra per migliorarne potenzialmente efficacia, efficienza e
appropriatezza. Tale innovazione tecnologica può dunque contribuire alla efficienza
dell’atto medico-genetico, sostenendo lo spostamento del fulcro dell’assistenza
sanitaria dall’ospedale al territorio, assicurando altresì l’equità nell’accesso alle cure
nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità, un canale di accesso
all’alta specializzazione, una migliore continuità assistenziale attraverso il confronto
multidisciplinare. Per il consulente genetista tale strumento ha una molteplice
valenza: sia allo scopo di ottenere un aggiornamento costante del quadro clinico
supportato da eventuali acquisizioni in ambito scientifico sia per fornire un
supporto alla famiglia con l’indicazione di associazioni o centri specializzati nella
presa in carico del paziente, al fine di evitare l’isolamento sociale che spesso aggrava
lo status di abbandono e frustrazione dei familiari.
In ambito oncologico l’attitudine olistica del genetista, incline a vagliare ogni
aspetto del quadro clinico, ha consentito di tracciare una linea di unione tra segni e
sintomi precedentemente trattati in maniera distinta perché apparentemente
dissociati fra loro. Quanto affermato si evince dalla gestione del caso 4: in esso le
molteplici eteroplasie, in precedenza trattate separatamente, non avevano condotto
ad un inquadramento eziologico e diagnostico. Grazie all’approccio globale del
genetista, richiamando in questa fase il contributo di varie figure specialistiche, è
stato possibile definire la correlazione fra i tumori evidenziati. Il risultato
diagnostico finale ha infine indirizzato il paziente verso l’iter di sorveglianza
appropriato.
Risulta di particolare importanza l’analisi molecolare nella determinazione
del rischio neoplastico negli individui con una suscettibilità genetica elevata ai
tumori, con particolare riferimento al cancro ereditario della mammella e dell’ovaio
(HBOC), alla Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP) ed alla sindrome di Lynch. Si
tratta dei tumori ereditari per i quali possono essere proposte due linee di
sorveglianza: una più conservativa che prevede controlli clinico-strumentali che
tuttavia lasciano un consistente margine di rischio; l’altra, più invasiva, che si avvale
della chirurgia profilattica. Quest’ultima, pur richiedendo interventi demolitivi che
possono seriamente influenzare la qualità di vita della persona, costituisce tuttavia
un’opzione capace di ridurre drasticamente il rischio neoplastico. Il ricorso
all’approccio multidisciplinare serve a garantire la volontà e l’autonomia della
persona, fornendo le necessarie spiegazioni nel modo più completo possibile per
indirizzare verso scelte più confacenti al proprio progetto di vita [Kohlmann W. et
al, 2014; Jasperson KW et al, 2014; Petrucelli N. et al, 2013; www.ittumori.it].
Il caso 5 ha sottolineato come l’attività del genetista deve essere coadiuvata
attivamente dall’apporto insostituibile del Laboratorio che si avvalga di metodiche
di analisi d’avanguardia. In tal senso la U.O.C. Genetica Medica di Siena ha il
vantaggio di fruire di un lavoro di equipe con i Biologi che dispongono di un
Laboratorio dotato delle tecnologie e metodiche più avanzate. L’applicazione delle
metodiche di sequenziamento massivo parallelo ha permesso di identificare
l’eziopatogenesi della condizione della paziente #5 e di fornire strumenti efficaci per
effettuare scelte riproduttive consapevoli. In aggiunta è utile sottolineare che con
l’alta sensibilità di tale metodica è possibile identificare mutazioni sfuggite alle
tecniche di analisi tradizionali [Artuso R. et al, 2012]; tale potenzialità permette di
evitare di estendere controlli spesso invasivi e costosi a individui che non ne
necessitano, limitando i costi della spesa sanitaria e di eliminare l’insorgenza di stati
d'ansia che comprometterebbero lo stile di vita; parimenti, per gli individui ad alto
rischio è possibile attivare interventi preventivi mirati.
Nel campo delle malattie neurologiche rare ad insorgenza tardiva il
contributo del genetista deve imprescindibilmente avvalersi del supporto dello
specialista neurologo al fine di addivenire alla migliore definizione diagnostica
possibile. In casi particolarmente atipici e rari, con riferimento al paziente #6 [Dosa
L., Malandrini A. et al, 2013], pur avvalendosi dell’ausilio di database scientifici, il
contributo del genetista a volte non può fornire una prognosi esaustiva in assenza di
dati di letteratura. L’apporto della consulenza genetica può ad ogni modo indicare
al paziente e ai suoi familiari gli strumenti necessari per indirizzarli verso scelte di
vita consapevoli, con l’ausilio della figura dello psicologo. In tale ambito si inserisce
la consulenza genetica presintomatica [Craufurd D. et al, 1992]. Tale tipologia di
consulenza non ha conseguenze mediche in senso stretto, in quanto per molte
condizioni ereditarie ad esordio nell’età adulta non esiste ancora una terapia
efficace. Tuttavia, la diagnosi presintomatica può rappresentare un essenziale
strumento nel determinare le scelte dell’individuo, della coppia e della famiglia dal
momento che permette di trasformare un putativo rischio a priori in certezza di
malattia o di salute e di valutare opportunamente il rischio di ricorrenza nella prole.
La scelta di una diagnosi presintomatica è una decisione da prendere in piena
autonomia e consapevolezza, motivo per cui non viene effettuata sui minori.
In conclusione, dalla esperienza complessiva dei casi riferiti, si deduce il ruolo
centrale del genetista nel fornire ai pazienti/consultandi appropriate misure di
management con l’indicazione degli iter di follow-up specifici ed esaustive
informazioni in merito al rischio riproduttivo. Il percorso assistenziale del paziente
riceve anche un contributo rilevante dalla facoltà del genetista di fornire una
certificazione specifica per malattia rara consentendo l’erogazione delle prestazioni
sanitarie necessarie per una adeguata assistenza e gestione del soggetto
[www.salute.gov.it: d.lgs. n.279/2001; circ. n. 13/2001].
Per le ragioni sopra esposte si auspica che in un prossimo futuro l’opera del
genetista assuma un ruolo fondamentale non solo nella gestione dei pazienti in età
evolutiva, ambito che risulta già confermato dall’attiva compartecipazione di
pediatri e neuropsichiatri infantili, ma anche dei soggetti adulti affetti da condizioni
rare, rivestendo una funzione di raccordo fra le varie specialità mediche. In tale
direzione, l’attiva collaborazione sarà totalmente protesa a migliorare la qualità
dell’assistenza al paziente, la continuità d’intervento, la comprensione dei bisogni
dell’unità paziente-famiglia, l’aggiornamento permanente e la conoscenza delle
condizioni rare.
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dicembre 2001, n. 13 Indicazioni per l'applicazione dei regolamenti relativi
all'esenzione per malattie croniche e rare.
7. PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE
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SEQUENCING.
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7.2
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Gijsbers AC, van de Kamp JM, Kriek M, Losekoot M, Broekma AJ, Crolla
JA, Pollazzon M, Mucciolo M, Katzaki E, Disciglio V, Ferreri MI,
Marozza A, Mencarelli MA, Castagnini C, Dosa L, Ariani F, Mari F,
Canitano R, Hayek G, Botella MP, Gener B, Mínguez M, Renieri A,
Ruivenkamp CA.
XQ28 DUPLICATIONS INCLUDING MECP2 IN FIVE FEMALES:
EXPANDING THE PHENOTYPE TO SEVERE MENTAL RETARDATION.
Eur J Med Genet. 2012 Jun;55(6-7):404-13.
7.3
Dosa L, Malandrini A, Di Donato I, Hladnik U, Meloni I, Mari F,
Federico A.
HUNTINGTON'S DISEASE GENE EXPANSION ASSOCIATES WITH EARLY
ONSET NONPROGRESSIVE CHOREA.
Mov Disord. 2013 May;28(5):684.
7.4
Di Marco C, Bulotta AL, Varetti C, Dosa L, Michelucci A, Baldinotti F,
Meucci D, Castagnini C, Lo Rizzo C, Di Maggio G, Simi P, Mari F,
Bertelloni S, Renieri A, Messina M.
AMBIGUOUS EXTERNAL GENITALIA DUE TO DEFECT OF 5-Α-REDUCTASE
IN SEVEN IRAQI PATIENTS: PREVALENCE OF A NOVEL MUTATION.
Gene. 2013 Sep 10;526(2):490-3.
7.5
Fallerini C, Dosa L, Tita R, Del Prete D, Feriozzi S, Gai G, Clementi M,
La Manna A, Miglietti N, Mancini R, Mandrile G, Ghiggeri G, Piaggio G,
Brancati F, Diano L, Frate E, Pinciaroli A, Giani M, Castorina P, Bresin
E, Giachino D, De Marchi M, Mari F, Bruttini M, Renieri A, Ariani F.
UNBIASED NEXT GENERATION SEQUENCING ANALYSIS CONFIRMS THE
EXISTENCE OF AUTOSOMAL DOMINANT ALPORT SYNDROME IN A
RELEVANT FRACTION OF CASES.
Clin Genet. 2013 Sep 4.
7.6
Alessi M, Fabris A, Zambon A, Cremasco D, Muraro E, Dosa L, Anglani
F, Del Prete D.
PREGNANCY IN ALPORT SYNDROME: A REPORT OF TWO DIFFERENTLY-
EVOLVING CASES.
J Obstet Gynaecol. 2014 Jan;34(1):98-100.