Unione Italiana LavoratoriTurismo Commercio e Servizi
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La nuova frontiera del lavoro è
la porta che molti giovani vorrebbero oltrepassare per dare avvio al proprio progetto di vita,
e tanti altri per godere del meritato riposo dopo anni di fatica ed impegno;
la linea sulla quale dovrebbero essere posizionati uomini e donne, senza distinzione di alcun
genere, per iniziare un percorso con uguali opportunità;
il confine che migliaia di persone tentano di raggiungere alla disperata ricerca di un luogo
per la loro sopravvivenza e, allo stesso tempo,
quello al di là del quale si producono – in condizioni di sfruttamento insopportabili – molti
beni del nostro consumo quotidiano;
la traccia segnata (incisa) dell’innovazione tecnologica che ha cambiato il mondo della
produzione, della distribuzione e dei servizi, originando il nuovo “spazio” dell’economia
digitale;
il filo invisibile che, sempre più spesso, vincola il lavoro a capitali finanziari ed aggregati
societari in libero movimento in un sistema economico mondializzato.
La frontiera del lavoro è, quindi, un concetto dinamico, che si caratterizza diversamente nel tempo
per aspetti sociali, politici ed economici.
I fenomeni si impongono con il proprio fardello di problematiche e conseguenze in un quadro di
cambiamento spesso oneroso.
Così, oggi, affrontiamo la complessità derivante dalla presenza multietnica e pluri-culturale nel
luogo di lavoro, che fa scaturire una richiesta nuova di considerazione e tutela, paritaria rispetto ad
esigenze comuni (es. religione) o specifiche (es. la condizione in sé di migrante: permessi, servizi
ecc.).
Sono istanze che, ancor prima di essere accolte, devono spesso superare la resistenza di coloro
che hanno un approccio pregiudiziale in sé verso questi temi o, addirittura, verso le persone.
La questione giovanile è tradizionalmente dibattuta, con visioni e proposte a volte contraddittorie.
Se per altri motivi il momento della candidatura nel mondo del lavoro si è spostato in avanti
rispetto alle generazioni passate, è altrettanto evidente che si permane nella “sala di attesa” per
un tempo eccessivo e, prima di accedere ad un “posto di lavoro normale”, si entra e si esce da
svariate postazioni provvisorie.
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Le scelte operate per favorire l’assunzione di giovani attraverso la riduzione del costo del lavoro
(soprattutto nella legislazione, ma anche nella contrattazione collettiva, nella distinzione tra
“vecchi” e “nuovi” assunti) non sembrano sinora aver fornito una soluzione soddisfacente.
La gestione del problema nelle aziende non sempre si è rivelato facile e ciò ha inciso nel processo
di aggregazione al Sindacato, oggi sicuramente più difficile anche per la scarsa incisività nel
riuscire ad offrire una prospettiva migliore e stabile.
Per contro, da vent’anni il nostro Paese vive il pensionamento come un argomento preferibilmente
evitabile perché, ad ogni annuncio, corrisponde una notizia negativa. Hanno preso il sopravvento
solo visioni economicistiche, prive di qualunque riflessione valoriale o sociale: una sorta di
algoritmo in base al quale “vivere più a lungo” fa automaticamente scattare “lavorare più tempo” e
“ricevere meno”.
In ogni caso, si affaccia il problema, ancora non completamente recepito nei nostri settori, relativo
alla condizione lavorativa compatibile per persone in età più avanzata di oggi, soprattutto per
talune mansioni.
Se il tema anagrafico presenta queste asperità, la situazione non è migliore nelle opportunità di
genere. La legislazione ha impresso, anche recentemente, una spinta in favore della tutela della
condizione del genitore; molto resta, invece, da fare nel caso dell’assistenza ai familiari anziani. La
parità retributiva in sé non basta a mutare una mentalità, una prassi secondo la quale questi
problemi incombono sul soggetto femminile. Ancor meno quando ci si riferisce alla condizione
professionale, laddove queste necessità (si potrebbero definire “diritti sociali” se pensiamo alla
dimensione umana della questione) richiederebbero una flessibilità “buona” e non meramente
piegata alle esigenze delle imprese o della clientela (come se i clienti non fossero, anche loro,
uomini e donne con una famiglia). Il sistema degli orari di lavoro sembra non essere più
considerato “centrale” nella contrattazione, ma è falso che le esigenze siano minori di un tempo.
Infine, ma non certamente secondario, i mutamenti economico e tecnologico hanno sovvertito il
mondo del lavoro sotto diversi aspetti. “grande impresa” è oggi un concetto collegato all’aspetto
finanziario piuttosto che ad un luogo fisico: alcune multinazionali dal valore enorme hanno
un’unica sede (spesso estera) ed operano da quell’edificio nell’intero circuito internazionale;
“impresa familiare” o “azionista storico” sono riferimenti superati da un capitalismo anonimo, in cui
le quote di controllo societario passano di mano con velocità elevata e nessun ostacolo o
contrasto, almeno apparentemente.Lo stesso concetto di “valore nazionale” della produzione(da
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alcuni confuso con “italianità”) è relativo se in un Paese prevalgono attività di servizio e consumi di
beni importati.
In questi ultimi anni abbiamo preso triste consapevolezza di una parte del fenomeno, legata alla
delocalizzazione per ragioni di costo oppure al mutamento dell’assetto proprietario con ingresso di
soggetti stranieri e profondo cambiamento nella gestione dell’impresa.
L’impatto tecnologico è, invece, meno direttamente percepito nei nostri settori (sicuramente è
stato vissuto più pesantemente nell’industria) ma è imminente.
[Le nostre tavole rotonde affronteranno in profondità questo tema. Uno spunto: se le casse
automatiche nei supermercati si sono rivelate finora più un problema che un sistema di
efficientamento, quando ragioneremo di supermercati virtuali temo che la preoccupazione
aumenterà]
Sono temi che riguardano l’economia ed il modello sociale del Paese e dell’Europa, cui le forze
politiche non riescono a fornire risposte soddisfacenti: mentre ormai da due decenni prevale la
ricetta del rigore di bilancio e la visione economicistica, si diffondono tendenze nazional-
protezionistiche e, “a sinistra”, si continua uno sterile dibattito alla ricerca dell’identità.
Problemi nuovi che si aggiungono a questioni irrisolte. La legalità nel lavoro continua ad essere
incrinata dalla criminalità, di cui gli stranieri e le donne sono le principali vittime.
[siamo in Puglia e corre l’obbligo di ricordare Paola Clemente, vittima del caporalato e dello
sfruttamento nel faticoso lavoro di bracciante. Come disse una sua collega al magistrato “così
funziona la schiavitù in Italia”, descrivendo la propria condizione per colpa di caporali “in giacca e
cravatta”. Apprezziamo la nuova legge promossa da M. Martina, siamo a fianco dell’azione dei
magistrati, ma restiamo convinti che serva un profondo cambiamento sociale, che veda i cittadini
quali veri protagonisti nella battaglia per la legalità piuttosto che passivi spettatori di programmi
televisivi di inchiesta.]
Anche negli appalti continuano ad insinuarsi comportamenti illeciti. Il nuovo Codice degli appalti ha
migliorato le regole in termini di affidamento di lavori e servizi pubblici, ma non ha colto appieno le
istanze sindacali in materia di clausole sociali e contrattazione collettiva che miravano all’esclusione
inequivocabile delle offerte anomale. Cosicché il rischio che l’appalto sia aggiudicato a discapito dei
livelli occupazionali e della condizione salariale dei lavoratori e delle lavoratrici della ristorazione,
delle imprese di pulimento e della vigilanza privata continuerà ad incombere per molto tempo.
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Ciò che risulta insopportabile è che siano proprio la Pubblica Amministrazione e le grandi imprese –
nella loro veste di committenti – ad alimentare il problema. Quanto al ruolo degli organi di
controllo – tra cui la decantata ANAC – non sembra che la loro azione raggiunga la sufficienza in
pagella.
La compressione dei costi nell’appalto (e nel lavoro in genere) mette a repentaglio anche la salute
e la sicurezza dei lavoratori. In generale, se persino la formazione obbligatoria o i dispositivi di
protezione individuale sono visti come “faticosi oneri burocratici o economici” da scaricare ad altri
(Enti, Fondi o Inail), è evidente che non vi è alcuna volontà di creare un lavoro “sano e sicuro”. I
numeri delle vittime sul lavoro ne sono l’espressione più evidente, ma attenzione va posta anche
alla diffusione di patologie solo apparentemente meno gravi.
Il Sindacato Confederale, la UIL - in particolare - e la UILTuCS – soprattutto – devono fronteggiare
i nuovi problemi, cogliere i bisogni di questo tempo, costruire una proposta di soluzione ed una
strategia per conseguirla.
Lo si deve fare guardando agli interessi rappresentabili, consapevoli che l’epoca del coinvolgimento
e della compartecipazione responsabile delle Organizzazioni Sindacali è ormai lontana e superata.
Lo chiedono i lavoratori e le lavoratrici che – traditi dal sistema politico – rischiano di non trovare
alcun soggetto capace di comprenderne le istanze ed i bisogni e di scivolare verso l’individualismo
sfrenato, in una logica meramente difensiva. E’ compito del Sindacato Confederale offrire una
prospettiva migliore della condizione lavorativa. Non basta tentare di tornare ad essere “autorità
salariale”, occorre riequilibrare il rapporto tra l’impresa ed il lavoratore che oggi è troppo
sbilanciato a favore del soggetto “naturalmente” più forte.
La crisi economica, inaugurata nel 2008, ha prodotto – oltre agli effetti tipici di una congiuntura
negativa – uno sconquasso nell’assetto regolatorio e nelle forme di rappresentanza sociale. In una
sorta di “si salvi chi può”, le aziende hanno adottato scelte improvvide, all’insegna del brutale
risparmio, spesso evitando una rivisitazione critica delle proprie politiche nel mercato, così
pregiudicandosi il rilancio. [esempi in questo senso abbondano nei nostri settori, dalla Distribuzione
Organizzata alla Vigilanza Privata]
Disdette della contrattazione integrativa, recessi dal CCNL, tentativi di auto-regolazione dei
rapporti di lavoro, accordi derogatori in dumping stipulati tra soggetti non rappresentativi, sono atti
che abbiamo imparato a conoscere in questi anni.
Atti volutamente sottratti a qualunque possibile mediazione ad opera delle Associazioni datoriali,
che, a loro volta, hanno subìto disconoscimento e disgregazioni. Percorsi che si fondano sul
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ridimensionamento della tradizionale funzione interna per la gestione del personale e delle relazioni
sindacali, con il maggior ricorso a consulenti e legali, scollegati dalla vita aziendale e fautori di
soluzioni spesso avulse da quel contesto.
Riannodare il tessuto appare compito necessario ma difficile. L’intesa con Confcommercio relativa
al modello contrattuale rappresenta un primo e significativo passo in questa direzione, con la
riaffermazione della centralità del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. La presenza consolidata
di sistemi bilaterali costituisce un altro elemento utile e l’accordo sulla governance nel Terziario
esprime una forte e giusta volontà riformatrice, cui bisogna, però, dare seguito in diverse direzioni.
Innanzitutto, serve trasporre questa impostazione in tutti i settori, affinché si recuperi il ritardo
nell’adeguamento che ancora li caratterizza; ma serve anche accelerare la riflessione interna alle
OO.SS. sulle finalità della rete bilaterale, per riaffermare l’obiettivo di erogare prestazioni coerenti
con i bisogni prioritari dei lavoratori iscritti, superando situazioni di accumulazione finanziaria o
forme di sussidio improprie.
In questo tentativo di ricostruzione, si inserisce la definizione di regole in tema di rappresentanza e
rappresentatività. E’ in questa logica che la UILTuCS ha aderito con convinzione alla realizzazione
dei Protocolli Confederali stipulati con Confindustria, Cooperazione e Confcommercio. Solo una
misurazione oggettiva e certificabile della rappresentatività può arginare i fenomeni degenerativi in
atto. Occorre, però, che tale indirizzo sia assunto convintamente da tutte le Parti in causa
(comprese le Associazioni datoriali) e che il Governo dia seguito a provvedimenti conseguenti: che
senso avrebbe accertare il grado di rappresentatività degli attori negoziali se permanesse la
possibilità di sfuggire all’applicazione della contrattazione collettiva prevalente in nome della libertà
associativa di cui all’art. 39 della Costituzione ?
La misurazione della rappresentatività deve tenere conto delle specificità che contraddistinguono i
diversi settori economici, a partire dalla dimensione di impresa e delle caratteristiche del rapporto
di lavoro e del livello di libertà sindacale. Un’unica forma di rappresentanza dei lavoratori (RSU) e
un solo metro di misurazione (voti e iscritti) non rispondono alle condizioni di interi settori (dal
commercio tradizionale ai pubblici esercizi, dalle farmacie agli studi professionali).
La UILTuCS intende operare per individuare soluzioni che, confermando l’obiettivo, siano fondate
su parametri consoni a queste realtà [l’accordo stipulato con Confcommercio è un esempio positivo
in questo senso]. Occorre, inoltre, rivedere le norme contrattuali affinché siano migliorate le
agibilità sindacali e rafforzata l’esigibilità delle quote sindacali, da riscuotere con un unico modello
di delega e un solo valore associativo, con il definitivo superamento di forme anomale di
concorrenza tra Organizzazioni Sindacali.
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Abbiamo ricevuto nei mesi scorsi le rilevazioni nelle imprese aderenti a Confindustria: sono parziali,
a causa dello scarso impegno delle aziende nella trasmissione all’Inps dei dati relativi alle deleghe
sindacali. E’ però emersa una fotografia in cui la confusione appare eccessiva: diamo la nostra
disponibilità alla Confederazione affinché gli iscritti siano correttamente attribuiti alla Categoria di
appartenenza, ma nessuno può pensare che la nostra volontà di collaborare sia “a senso unico”,
senza un analogo riscontro da parte di tutte le Categorie e in ogni territorio. Per questo, riteniamo
che il percorso dovrebbe avere una “regia” Confederale.
Entrare nell’ottica della misurazione della rappresentatività significa per tutte le Organizzazioni
Sindacali accettare una sfida senza alibi, in una competizione a pari opportunità e trasparente.
Vale per Filcams-Cgil, cui diciamo che non vi può essere una RSU se non si riconosce il diritto alla
UILTuCS di partecipare all’intero processo elettorale, secondo un metodo di condivisione e senza
diritti di primogenitura o di veto.
Vale per la UILTuCS. Il passaggio al sistema elettorale proporzionale (con abolizione della quota
riservata di 1/3) non deve preoccupare. L’esperienza realizzata in alcuni territori all’indomani
dell’introduzione della RSU ha consegnato risultati elettorali positivi, spesso superiori al semplice
dato associativo. Oggi, più di ieri, la preferenza nel voto è ragionata, fondata sulla coerenza dei
comportamenti rispetto alla linea perseguita, sulla onestà e serietà dei candidati. In questo la
UILTuCS si è sempre distinta !
Lo dimostrano i dati del nostro tesseramento. A due anni dal Congresso di Torino, la crescita
continua (+ 4%) con puntedi miglioramento significativo in alcuni territori. A ciò si aggiunge lo
sviluppo nel comparto degli Agenti e Rappresentanti: il risultato nelle elezioni degli organi di
Enasarco è il frutto dell’impegno profuso dai candidati e degli investimenti realizzati per creare una
rete di assistenza e di servizi specifica; un progetto destinato a proseguire per radicare la nostra
presenza in questa importante branca del lavoro autonomo.
Possiamo affermare con orgoglio che questi risultatisono reali e verificabili: nella UILTuCS sono
anni che taluni fenomeni distorsivi sono stati superati e, dove qualche dirigente ha praticato
metodi di gestione non conformi, l’Organizzazione è intervenuta sul piano disciplinare. Questo
indirizzo proseguirà perché alla UILTuCS interessa contare per ciò che realmente siamo, forti del
nostro lavoro e convinti che la verifica dei risultati sia il parametro migliore.
Siamo, quindi, nella condizione di poter iniziare ad ipotizzare un’anagrafe centrale dei nostri
Rappresentanti Sindacali e, in prospettiva, degli iscritti.
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Buona gestione e trasparenza sono criteri sui quali la UILTuCS fonda da tempo il proprio indirizzo,
ai vari livelli. La rendicontazione annuale è approvata ovunque nei termini statutari, secondo
prospetti conformi ai principi contabili e consoni alla miglior comprensione da parte dei componenti
degli Organi.
In prospettiva si potranno rafforzare i requisiti di professionalità e indipendenza per i componenti
del Collegio dei Revisori dei conti e ipotizzare la certificazione del rendiconto (a livello nazionale)
quali ulteriore fattori che contribuiscono agli obiettivi richiamati, certamente preferibili alla
semplicistica pubblicazione in internet.
La Conferenza di Organizzazione Confederale si è conclusa con l’assunzione di decisioni importanti.
La loro fase attuativa è altrettanto determinante per la buona riuscita del progetto. In questo
senso, come UILTuCS, intendiamo richiamare l’attenzione su alcuni aspetti delicati.
E’ bene aver sempre presente il patto costitutivo della UIL – l’unione di Categorie – da cui discende
il principio che solo con scelte coerenti e rispettose delle peculiarità delle Categorie se ne consente
la crescita associativa, con beneficio per la Confederazione nel suo insieme.
Così, nel caso della presenza territoriale e dei livelli congressuali, il processo di aggregazione per
macro-aree deve di volta in volta essere preceduto dalla valutazione circa le caratteristiche dei vari
territori e la loro dimensione, del rapporto costi/benefici attesi, in relazione al tessuto produttivo e
di terziario esistente ed al suo grado di concentrazione/diffusione.
Ne potranno scaturire soluzioni articolate, purché coerenti nell’impostazione, e la Confederazione
saprà individuare la necessaria sintesi.
Rafforzare la UILTuCS, nella sua dimensione organizzativa ed economica ad ogni livello, è la linea
perseguita in questi anni. All’insegna dell’investimento oculato e prudente, la UILTuCS dispone
oggi di sedi di proprietà in molte Regioni e Territori (le ultime inaugurazioni di Verona, Trieste e,
prossimamente,Milano,). Ciò consente di operare in luoghi confortevoli, con strumenti idonei, al
servizio dei lavoratori e degli iscritti e di ritenere la UILTuCS in condizioni di sicurezza per
l’avvenire.
Laddove la UILTuCS è collocata nelle sedi della UIL, assume e rispetta con serietà gli oneri della
compartecipazione alla gestione del “condominio”. In molte di quelle situazioni, però, da parte
della Confederazionenon sempre vi è la giusta attenzione alla dimensione ed alle caratteristiche
dell’attività svolta dalla UILTuCS: non si chiedono favori, si pretende una considerazione basata su
elementi oggettivi, in uno spirito di collaborazione veramente “confederale”.
La presenza territoriale è condizionata dalle risorse disponibili, ma anche laddove esse sussistano
non può venir meno una gestione dell’investimento in termini “imprenditoriali”. Non scandalizzi il
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termine: ogni scelta in questa direzione,oltre a prefissarsi un “ritorno” in forma associativa, deve
rispettarel’equilibrio finanziario e fondarsi su patti vincolanti tra i partecipanti (la “solidarietà” tra
Categorie è un nobile auspicio, ma non è esigibile). Piuttosto, è preferibile operare tutte le azioni
sinergiche che possono favorire il buon esito dell’investimento, cui ognuno può offrire il proprio
contributo nelle diverse forme.
Le attività di servizio si inseriscono in questo filone. Seppure molto sia cambiato sotto
quest’aspetto e forse si siano perse alcune occasioni (ad es. per il mercato del lavoro), l’importanza
di offrire servizi agli iscritti ed ai cittadini è evidente. La natura di Organizzazione Sindacale
impone, più che ad altri, di garantire assistenza professionalmente adeguata ed a costi contenuti:
tranne l’attività di Patronato, negli altri casi qualche riflessione da parte della Confederazione
sarebbe opportuna.
Prioritaria è, però, l’impostazione gestionale già richiamata: molte criticità emerse in questi anni
derivano da distorsioni delle regole elementari per un’attività che si confronta nel mercato e che ha
conosciuto una proliferazione dell’offerta (anche di bassa qualità). La decisione di razionalizzazione
societaria intrapresa dalla Confederazione è condivisibile a patto che mutino i criteri amministrativi
e gestionali; altrimenti, rischia di essere solo uno spostamento del baricentro decisionale e della
responsabilità.
E’ evidente, ad esempio, che prima di procedere ad incorporazioni societarie, occorre realizzare il
risanamento delle entità interessate; serve anche valutare, nel campo dell’assistenza fiscale, il
rapporto tra volumi di fatturato realizzato e qualità del servizio, per evitare che una spinta
eccessiva verso la crescita del numero delle pratiche si traduca in un aumento esagerato degli
errori con conseguenti aggravi di costo.
E’ necessario un chiarimento sul concetto di “servizi”. In taluni casi si tratta di attività connesse ad
esigenze del “lavoratore-cittadino” che possono essere soddisfatte dal Sindacato Confederale quale
valida alternativa al mercato: il fisco, la casa, i diritti del consumatore.
Non possono catalogarsi come “servizi” le attività svolte in ambito sindacale, con modalità
specifiche e consone alla peculiarità del rapporto di lavoro.
La tutela di una lavoratrice addetta ai servizi e all’assistenza familiare (cd. colf / badante), di un
portiere di condominio, di un’estetista, di un dipendente di una piccola impresa commerciale o
della ristorazione si realizza mediante un rapporto diretto nelle sedi sindacali, in cui l’assistenza
(anche, ma non solo, di natura vertenziale) costituisce il presupposto di fiducia per un’adesione
continuativa, anche attraverso una pluralità di rapporti di lavoro nel corso del tempo.
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Questi elementi dimostrano quanto sia errata la visione di coloro che interpretano l’attività di un
Ufficio Vertenze a modello unico, una sorta di sportello dedicato esclusivamente al contenzioso.
Una simile impostazione risponde alla realtà delle grandi imprese o della Pubblica Amministrazione.
Per la UILTuCS (e per altre Categorie), si tratta di un dipartimento sindacale al pari di quelli
tradizionali.
Ma vi è di più ! La rappresentatività di questi comparti si realizza unicamente in questo modo. Ecco
perché, non solo in nome della titolarità contrattuale, non si possono condividere sistemi di
adesione (“tessera dei servizi”) che generano confusione nelle persone e concorrenza anomala
nella Confederazione.
Netta contrarietà esprimiamo verso la tendenza in atto di asseverare l’assistenza in favore delle
collaboratrici familiari e per l’assistenza domiciliare quale attività in capo ai CAF. Anche qualora
svolta verso i datori di lavoro (spesso trattasi di lavoratori che provvedono all’assistenza del proprio
familiare), servono competenze contrattuali proprie della funzione sindacale, anche per quanto
previsto dal CCNL per alcune materie (es. Cassa Colf).
Assistere un lavoratore nella compilazione della pratica per accedere alla NASpI è un servizio se si
esaurisce in questo atto, che potrebbe essere svolto direttamente dall’interessato ma che
preferisce essere aiutato nella procedura telematica. Non è un servizio ma una forma di assistenza
sindacale in senso tradizionale quando queste occasioni rappresentano il momento di contatto con
il Sindacato, di informazione sui propri diritti, di verifica dei trattamenti economici ricevuti. Nasce,
in questo caso, il rapporto del lavoratore con il Sindacato, destinato a protrarsi nel tempo.
L’esempio evidente in questo senso è il lavoro stagionale. Migliaia di persone nel turismo, nel
commercio, nel termale operano anno dopo anno in attività di carattere stagionale: possono
cambiare azienda, ma permane la temporaneità della prestazione.
Non vi è, quindi, dubbio che questi lavoratori hanno il diritto di essere rappresentanti dalla
UILTuCS. E la UILTuCS ha il dovere di assisterli perché negozia la loro condizione nei rispettivi
CCNL e li tutela anche nell’ambito del sistema bilaterale.
La Confederazione deve ribadire definitivamente e con atti formali esigibili in ogni provincia questa
titolarità, non delegabile ad altri.
Quanto accaduto nel passato recente ha evidenziato la necessità di ricorrere alla “leva vertenziale”
quale strumento complementare alla contrattazione, nazionale e aziendale. Le scelte di alcune
Associazioni Datoriali e di grandi imprese, sfociate in recessi e disdette o altri atti unilaterali,
finalizzate a ridimensionare i diritti normativi ed economici di migliaia di lavoratori, hanno
ingenerato il contenzioso, unica forma di tutela quando il sistema di relazioni sindacali viene
sminuito o si rivela improduttivo.
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Una risposta obbligata dalle controparti, che la UILTuCS – più e meglio di altre OO.SS. – ha saputo
offrire ai lavoratori e che ha consentito di riscuotere ampio consenso e di condizionare l’operato
delle controparti.
Ciò è avvenuto grazie alla competenza e all’esperienza acquisite nel tempo, con spunti e rilievi
innovativi, riconosciuti dal mondo legale e forieri di pronunciamenti giurisprudenziali utili anche in
futuro.
Abbiamo infatti “imparato” che, in questo contesto, è determinante prestare un’attenzione diversa
e più rigorosa sul piano formale a procedure di negoziazione, comunicazione e stesura delle norme
contrattuali per non condizionare “involontariamente” l’esercizio del diritto.
I fatti verificatisi nella GDO, nella Vigilanza Privata potrebbero ripetersi.Ecco perché è necessario
strutturare una “rete legale” in cui si affianchino le migliori risorse professionali dei nostri Uffici
Vertenze e gli studi legali con cui sussiste un consolidato rapporto di collaborazione, per assicurare
a tutte le strutture UILTuCS gli strumenti di conoscenza e partecipare alle iniziative di volta in volta
assunte a livello nazionale.
E’ inoltre possibile sviluppare un’analisi della contrattazione collettiva per individuare –
preventivamente alla fase di negoziazione – argomenti meritevoli di ridefinizione tecnico-
normativa.
La formazione e la comunicazione rivestono importanza fondamentale per l’azione sindacale. Nel
corso di questi anni, molte strutture territoriali hanno intrapreso iniziative in entrambi i campi.
Questo percorso deve proseguire, attraverso una maggiore socializzazione delle esperienze che
consenta anche migliore sinergia, con l’obiettivo di coinvolgere tutta l’Organizzazione, in primis
ogni Rappresentante Sindacale.
Compete al livello nazionale favorire questo processo nonché offrire occasioni formative e di
approfondimento su temi specifici e funzionali all’impostazione politico-sindacale, rivolte al gruppo
dirigente.
Vi è una componente formativa anche nella conoscenza dell’esperienza sindacale realizzata nel
tempo, lungo il filo della contrattazione collettiva, dei suoi contenuti e delle forme dell’azione
sindacale. Ciò è utile soprattutto per un giovane che intraprende l’attività sindacale nella UILTuCS
e vuole essere partecipe in termini di valori e riferimenti, nonché per avere consapevolezza delle
conquiste e dei mutamenti avvenuti.
Sotto questo punto di vista, UILTuCS nazionale metterà a disposizione, entro l’anno, l’archivio della
contrattazione collettiva nazionale e aziendale sulla base della documentazione disponibile, che
potrà arricchirsi con i contributi territoriali.
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La tecnologia consente oggi di far arrivare – quasi in tempo reale – la notizia e di veicolare
informazioni e opinioni da parte di ognuno verso una massa numerosa, anche indistinta – di
possibili utenti.
Se certamente è opportuno che la UILTuCS si avvalga di questi strumenti, è necessario aver
sempre presente che la tempestività e le modalità di una comunicazione non possono mai essere
avulse dal contenuto, che risponde all’obiettivo di chiarezza nell’analisi e nell’indirizzo politico-
sindacale.
Occorre manovrare con cura i sistemi comunicativi pubblici per evitare di essere coinvolti in
fenomeni qualunquistici, di mera protesta, forme improprie che sviano le persone dalla possibilità
di un’azione concreta per la soluzione dei loro problemi.
La comunicazione – in qualunque forma e con ogni strumento – resta infatti funzionale all’obiettivo
strategico dell’aggregazione attorno agli indirizzi ed alle iniziative del Sindacato.
In altre parole, l’informatica è importante e utile; ma mai pensare di sostituire il rapporto umano
tra il sindacalista ed il lavoratore con un twitter… sarebbe la fine !
La UILTuCS sta investendo nella direzione di un miglioramento della propria comunicazione, sia
attraverso i canali tradizionali che con il proprio sito e nel ricorso ai social.
La nostra Conferenza discuterà di questi e altri problemi, individuerà le scelte funzionali ad
arricchire gli indirizzi assunti nel Congresso, per il perseguimento degli obiettivi di crescita
organizzativa e di maggior efficacia dell’azione sindacale.
In questo senso il rapporto con la Confederazione è di grande importanza. Ogni nostra
osservazione, anche critica, ha il senso di offrire un contributo di idee e proposte solo in funzione
del rafforzamento della UIL.
Un aspetto rilevante attiene all’assetto categoriale in relazione alle titolarità contrattuali. Se ne
parla da molto (troppo) tempo, ma ora il tema va visto anche in relazione alla rappresentatività.
La questione riferita alle imprese di pulizia è ormai “matura” per una decisione definitiva. Lo
ripetiamo: la UILTuCS non ha mai voluto “sconfinare”; si è fatta carico di dare una risposta
organizzata alla richiesta di migliaia di lavoratrici che non trovavano tutela e assistenza adeguate
nelle loro realtà aziendali e territoriali. Uno sforzo non sempre “conveniente” (se visto sotto il
profilo economicista), ma ritenuto da noi doveroso.
Vari tentativi di confronto e mediazione hanno generato un equilibrio che, purtroppo, scricchiola
sotto diversi profili: nel rapporto con le imprese, per le soggettività dei gruppi dirigenti locali, per
l’assenza di certezze indispensabili per conservare il rapporto di fiducia con le lavoratrici.
Eppure, sembrerebbe evidente che se Filcams-Cgil e Fisascat-Cisl e le rispettive Confederazioni
hanno ritenuto coerente integrare in un’unica Categoria le attività di servizio, una ragione
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oggettiva sussista. Peraltro, la nostra situazione mal si concilia con i raccordi nella politica
contrattuale che si rendono necessari tra comparti similari in cui spesso operano i medesimi gruppi
imprenditoriali e della cooperazione.
Allora sorge spontanea la domanda: ai fini della rappresentatività, la UILTuCS ha il diritto di
misurarsi in condizioni di pari opportunità con Filcams Cgil e Fisascat ?
Ragioni ripetutamente esposte, che sembrano cozzare contro una volontà contraria che teme il
cambiamento e preferisce la conservazione, sebbene perdente. Tuttavia, giunti a questo punto,
chiediamo alla Confederazione una risposta definitiva affinché si esca dall’ambiguità e ognuno
possa assumersi le responsabilità conseguenti.
Questa esperienza, al di là del suo esito, deve almeno servire “da lezione” per non ripetere errori.
Così riteniamo che debbano risolversi le questioni afferenti le società partecipate, le cooperative
sociali, il lavoro somministrato. Ma serve pure riaffermare che i confini delle sfere di applicazione
della contrattazione collettiva nazionale devono essere definiti nella consapevolezza che ogni
modifica non possa (debba) creare – neppure indirettamente – fenomeni di dumping contrattuale.
Il contrasto all’azione sconsiderata dei Sindacati autonomi e di talune fantomatiche Associazioni
datoriali passa anche dal rispetto di una linea coerente da parte delle Organizzazioni Confederali.
Non ci interessa decidere modelli organizzativi astrattamente innovativi, crediamo non esista “la
ricetta”, buona per ogni stagione o in valore assoluto. Siamo convinti che si debba cambiare
laddove è necessario adeguare al contesto in cui la UILTuCS ed i suoi iscritti vivono, alle loro
esigenze, per rispondere in modo più efficace ai loro bisogni.
Occorre cambiare per rafforzare la UILTuCS nella sua funzionalità, secondo principi di maggiore
responsabilità nella conduzione politica e gestionale.
Il Comitato Esecutivo, in ottemperanza alla delibera del Congresso di Torino, ha avviato una
riflessione per addivenire ad importanti modifiche statutarie; il prossimo Consiglio Generale sarà
chiamato ad esprimersi, al fine di definire il nuovo assetto da realizzare al successivo Congresso.
Adeguarsi all’evoluzione avvenuta significa, ad esempio, superare definitivamente le norme atte a
garantire le diverse anime politiche costituenti – a suo tempo – la UIL e la UILTuCS.
La riforma dello Statuto intende rispondere a due obiettivi principali: la migliore e più puntuale
declinazione delle responsabilità in capo agli organi ed al Segretario Generale, rafforzando inoltre
la funzione del Tesoriere e del Collegio dei Revisori dei conti; la razionalizzazione organizzativa,
con lo spostamento del baricentro politico e gestionale a livello regionale, al qualecompeterà
decidere l’impostazione e gli indirizzi nell’azione sindacale oltre cheassicurare efficienza nella
gestione delle risorse umane ed economiche.
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La previsione di elevare la soglia minima per l’individuazione delle sedi congressuali a 500 iscritti
assume il significato, in coerenza con le indicazioni rivolte alla Confederazione, di realizzare un
processo razionale che consideri gli elementi oggettivi e/o le specificità.
Analogamente, eventuali accorpamenti di strutture territoriali contigue dovranno avvenire avendo
a riferimento prioritariamente i riflessi sull’operatività e i potenziali di sviluppo sinergici.
Tutto ciò senza inficiare i principi guida e, quindi, prevedendo in ogni caso la partecipazione diretta
del Tesoriere regionale alla gestione territoriale.
[In conclusione, compete a questo gruppo dirigente assumersi la responsabilità di disegnare il
futuro della UILTuCS: per un’Organizzazione sempre più rappresentativa, ricca delle idee e dei
migliori strumenti per condurre la battaglia per conquistare le tutele nella nuova frontiera del
lavoro.]