MANUALE DI SCRITTURA
CREATIVA
MAPPA PER IL TUO VIAGGIO NELLA
NARRATIVA
Mappa per il tuo viaggio nella narrativa Manuale di scrittura creativa Autore: Michele Renzullo © 2019 – Tutti i diritti riservati
SOMMARIO
I. La scrittura e la comunicazione
II. Cosa si intende per scrittura creativa
III. Il punto di vista e l’empatia
IV. I punti di vista: panoramica completa
V. La distanza temporale e la distanza emotiva
VI. La trama
VII. L’importanza del tema
VIII. Le descrizioni
IX. I personaggi
X. I dialoghi
XI. La domanda drammaturgia principale
XII. Narrativa Vs vita reale
XIII. L’ambientazione
XIV. La voce narrativa e lo stile
XV. La voce e lo stile
XVI. Il flusso di coscienza
XVII. La piramide narrativa
XVIII. L' incipit
XIX. Il finale
XX. La revisione e l'editing
XXI. La pubblicazione
XXII. Come si scrive una sinossi
XXIII. Esercizi di scrittura creativa
LA SCRITTURA E LA COMUNICAZIONE
Qualche giorno fa ho partecipato a un summit di Digital Marketing a Barcellona.
Avrebbe dovuto essere un grande evento, con ospiti e relatori internazionali: ero
pieno di aspettative.
Gli ospiti, in effetti, arrivarono. Solo che… dopo venti minuti mi stavo
addormentando. Il primo oratore, un professore di business e tecnologie digitali
dell’università di Barcellona, stava letteralmente leggendo il discorso che aveva
preparato, con voce monotòno, mentre sul grande schermo scorrevano slide con
poche immagini affollate di scritte e numeri.
Sono sicuro che, per essere presente su quel palco prestigioso, il nostro professore
con occhiali e barba (un Eco catalano) sapeva il fatto suo. Ma allora perché mi stavo
annoiando a morte?
Mancanza di comunicazione
La comunicazione è sempre un processo biunivoco che coinvolge almeno due
soggetti: un emittente e un ricevente (ovvero, semplificando, uno che parla e uno che
ascolta).
La domanda che ci dobbiamo porre, aldilà delle mille considerazioni che possiamo
fare, è: stiamo comunicando? Il nostro testo comunica? O è un monologo rivolto a
noi stessi o a ostentare quanto ne sappiamo?
Se ti accingi a scrivere un romanzo o un racconto, non hai nessun tipo di relazione
con il tuo lettore e la devi costruire. Facciamo un esempio. Tuo figlio di sei mesi
comunica con te piangendo e strillando, tu ricambi l’attenzione dandogli da mangiare
o cambiandogli il pannolino. A otto anni ti fa leggere il suo tema scritto a scuola. Tu
lo leggi attentamente e sei stupito di quanto sia già capace di esprimersi con parole
semplici. Ma a te interessa perché tu hai instaurato una relazione intima con lui. A te
interessa lui, vuoi scoprire parti della sua personalità tramite la sua scrittura (ma
avrebbe potuto essere un disegno oppure una recita). Pensi che sarebbe interessante
allo stesso modo la lettura di un tema di un bambino sconosciuto?
Quando tu leggi un romanzo, il tuo interesse, il tuo focus sono diretti alla storia, non
allo scrittore (se evitiamo certe attitudini morbose e che poco hanno a che fare con
la letteratura).
Quindi, quando scriviamo instauriamo, o dovremmo instaurare, una relazione con il
lettore.
Ma come?
Attraverso il testo.
Per comunicare non puoi semplicemente buttare sulla platea parole dall’alto del tuo
palco o della tua balconata sperando che la folla abbia capito, altrimenti fatti loro.
Se vogliamo comunicare, dobbiamo accertarci che il ricevente abbia non solo
recepito ma anche che abbia capito il messaggio (e consideriamo che ci possono
essere mille motivi diversi per cui il messaggio non arriva a destinazione, da una
pessima acustica, all’usare un registro linguistico non adatto al tuo pubblico).
Per accertarti che la tua comunicazione sia efficace, in caso di eventi dal vivo
possiamo, ad esempio, porre delle domande al pubblico, controllando lo sguardo e i
movimenti degli interlocutori. La cosa si complica nel caso della comunicazione
scritta, e ancora di più della narrativa. In questo caso ci sono due aspetti che
dobbiamo considerare:
1) Non abbiamo il nostro interlocutore presente con noi
2) La scrittura è anche, ma non solo, un modo di comunicare a noi stessi, verso
il nostro mondo interiore. È un processo catartico, un modo per fissare su
carta i nostri ricordi, sfogarci, modellare con le parole un’impressione, un
pensiero, un’immagine.
In questo secondo aspetto il ruolo del ricevente è – apparentemente – messo in
secondo piano. Dico apparentemente perché, nella “peggiore” delle ipotesi, se non
a un lettore ideale, ci stiamo rivolgendo al nostro alter-ego: stiamo comunque
affrontando un dialogo. E questo è un aspetto che ci porta a porci una domanda:
per chi scriviamo? Per noi o per gli altri?
Beh, cominciamo col dire che una cosa non esclude l’altra.
Certo, dobbiamo capire appunto cosa stiamo scrivendo, se una pagina di diario che
non verrà mai mostrata a qualcuno, o un testo che vuole incontrare un pubblico di
lettori (un racconto, una novella, un romanzo). Tralasciamo in questo manuale la
scrittura giornalistica, quella accademica, quella divulgativa, scritta o online, che certo
si rivolgono a un pubblico, ma hanno altre esigenze e finalità.
Se ci accingiamo a scrivere un’opera letteraria, dobbiamo fare i conti con delle regole,
con delle strutture, con delle forme già delineate. Possiamo, poi, trasgredire queste
regole e creare un nostro linguaggio personale, ma sempre avendo in mente questo
territorio comune. Insomma, per tradire una regola, e far notare al nostro
interlocutore che la stiamo trasgredendo (è lì che avviene la comunicazione),
dobbiamo esserne entrambi a conoscenza, altrimenti risulta un mero
ammiccamento a vuoto.
Esempio:
Haruki Murakami non applica questo principio. Addirittura, nel suo 1Q84
argomenta così la questione:
Aomame annuì.
– Mi inviti a trasgredire la regola di Cechov, insomma.
– Esatto. Cechov è un grande scrittore, ma il suo modo di pensare non vale per tutti. Non è vero
che tutte le pistole che appaiono in una storia debbano fare fuoco, – disse Tamaru.
Si spogliò e fece una doccia calda che portò via quello sgradevole odore di sudore.
«Non è vero che tutte le pistole debbano fare fuoco, – si disse Aomame mentre era sotto la doccia.
– Una pistola non è altro che uno strumento. E quello in cui vivo non è un mondo di finzione. È
un mondo reale, pieno di smagliature, difformità, anticlimax».
O ancora quello che fa Saramago in Memoriale del convento, trasgredendo una basilare
regola ortografica:
[…] anche quello diretto, che l’autore svincola dalle catene dei due punti, dalla lineetta o delle
virgolette, affidandone l’esecuzione alla sola virgola, appunto, seguita dalla maiuscola iniziale della
parola che la segue, come in « finalmente questa pace con la Francia è fatta, vengano ora le altre con
gli altri paesi, Ma nessuno mi può ridare quello che ho perduto…»
Ma quando i bambini, in modo intelligente, creano neologismi (es. il famoso petaloso),
stanno trasgredendo la grammatica in quanto non ne sono a conoscenza: estendono
la regola a tutto il campo, non tenendo in considerazione le eccezioni.
L’essere a conoscenza di un territorio in comune, delle regole, delle eccezioni, delle
tecniche, delle forme espressive di chi ci ha preceduto, ci può aiutare nell’autoanalisi
del capire se, e come, stiamo comunicando. Ovviamente, non è mai una certezza,
ma sempre un indovinare, un affidare un messaggio al mare aperto in una bottiglia.
Insomma, non devi fare come quel professore noioso che leggeva le slide di fronte
alla platea. Questo corrisponderebbe al leggere una pagina del tuo diario personale
(non frega niente a nessuno).
Il nostro obiettivo in questo viaggio attraverso l’analisi delle tecniche narrative è
quello di raccontare una storia che sia interessante per il lettore e, allo stesso tempo, un
viaggio conoscitivo per te.
Buona lettura.
IL PUNTO DI VISTA E L’EMPATIA
Tutti gli scrittori sono pronti a saccheggiare la propria biografia (e di quelli che li
circondano), pur di scrivere qualcosa di bello e originale. Ma, se provassimo a
invertire la tendenza e capire come la letteratura possa renderci delle persone
migliori?
L’attenersi alle regole e alle tecniche narrative, il non commettere errori grossolani,
quali il tradire il punto di vista che si è scelto per narrare la storia, ci può aiutare a
provare maggiore empatia per i nostri personaggi (e di rimando, essi la faranno
provare ai nostri lettori), e ad essere uomini più onesti ed etici, ma soprattutto,
empatici.
La comprensione delle tecniche narrative non è mai mero esercizio sterile fine a sé
stesso. Affrontiamo la tecnica per sviluppare la nostra creatività e migliorarci come
artisti e come persone.
La focalizzazione
Noi non siamo presenze statiche: cambiamo e ci comportiamo in modo diverso a
seconda delle persone con cui interagiamo. Mostriamo lati di noi o ne nascondiamo
altri. Enfatizziamo o smorziamo tratti della nostra personalità. Se domandassimo in
giro cosa la gente pensa di noi, ognuno ci descriverebbe in modo diverso.
Come mai?
Quello che cambia è il punto di vista che gli altri hanno su di noi.
Le cose sembrano diverse a seconda di chi le racconta, e il punto di vista può rivelare
cose che sono invisibili.
Ad esempio il romanzo di Cynthia Collu, “Sono io che l’ho voluto”, giocando con i
punti di vista della protagonista, di suo figlio e di suo marito, ci rivela alcune
dinamiche domestiche che sarebbero state impossibili da scoprire se il libro fosse
stato raccontato da un solo punto di vista.
Oppure Il romanzo “La tela” di Benjamin Stein è giocato su due punti di vista
diversi; addirittura il libro è diviso in due parti, con due copertine diverse, che si
possono leggere indipendentemente.
Un bellissimo esempio della relatività dei punti di vista lo troviamo anche in una
canzone di Battisti, “Le tre verità”, in cui si parla del triangolo amoroso. Potremmo
scoprire che, dietro alle apparenze e a un frettoloso giudicare, le cose sono più
complicate e non è facile andare a stabilire di chi siano le colpe. Ognuno dei tre
soggetti offre la sua verità. Le tre persone coinvolte assumono tre atteggiamenti
diversi: la persona tradita è distrutta e ha un tono amaro; l’amico prova sensi di colpa;
la ragazza sembra negare le proprie responsabilità. In poche frasi è condensato un
dramma senza soluzione in cui nessuno ha torto o ragione.
I punti di vista si possono moltiplicare e, se questa canzone fosse un romanzo, si
potrebbero aggiungere anche le prospettive del custode o di un ispettore privato.
Il punto di vista influenza:
• il modo in cui i lettori reagiscono emotivamente ai personaggi;
• il tono;
• l’argomento.
Puoi aiutarti a sviluppare il punto di vista partendo da queste domande:
✓ Chi sta parlando? Un narratore esterno o un personaggio?
✓ A chi appartengono gli occhi che osservano la scena?
✓ A quali pensieri ha accesso il lettore?
✓ Da che distanza sono visti gli avvenimenti?
Ad esempio, il romanzo “Il Pipistrello” di Jo Nesbo comincia da una distanza
notevole a raccontare gli avvenimenti, per poi avvicinarsi sempre di più al PDV
(punto di vista) di Harry, l’investigatore.
I punti di vista possono essere:
• Prima persona semplice
• Prima persona con punto di vista multiplo
• Prima persona periferica
• Terza persona con punto di vista singolo
• Terza persona con punto di vista multiplo
• Terza persona onnisciente
Se ti sembra a prima vista complicato, non ti preoccupare. Ho dedicato a ciascun
punto di vista un capitolo.
PRIMA PERSONA, PDV SINGOLO
Una storia in prima persona è narrata da un personaggio che di solito coincide
con il protagonista. Il narratore usa la prima persona: IO. Il narratore, quindi, deve
essere sempre presente sulle scene che vuole narrare. Se la scena descrive un
incidente, il narratore deve essere fisicamente presente sulla scena dell’incidente. Se
descrive una scena familiare, come fa Carver in “Cattedrale”, deve farne parte.
Vidi mia moglie che rideva mentre parcheggiava l’auto. La vidi scendere e chiudere la portiera.
Sorrideva ancora. Incredibile. Andò dall’altra parte dell’auto dove il cieco stava già cominciando a
scendere. Il cieco, provate a immaginare, portava una gran barba! Una barba sulla faccia di un
cieco! Questo è troppo, dico io.
Non solo l’autore, presente sulla scena, racconta i fatti, ma ci spiega anche cosa
pensa, rivolgendosi ad un pubblico ideale (voi).
La prima persona annulla ogni distanza tra personaggio e lettore e dà un
grande senso di intimità.
Leggiamo l’incipit di “Puerto Escondido”, di Pino Cacucci.
Luce violenta. Credo che gli occhi siano aperti. Bianco. Li chiudo, li riapro, il bianco diventa grigio
chiaro, torna bianco abbagliante. Un bruciore secco mi ustiona la gola e interrompe le esplorazioni.
Sentiamo la sofferenza del personaggio: non solo attraverso gli occhi, ma anche
attraverso gli altri sensi, i nervi, la carne: è importante non limitarci a descrivere
l'ambiente che ci sta attorno non solo visivamente, ma con tutti i sensi.
Il lettore si metterà nei panni del narratore, che è in grado di fornire molti
particolari. Ma, dall’altra parte, il lettore vede la storia filtrata dal punto di vista,
dall’intelligenza e dalla sensibilità di un solo narratore: fisicamente e mentalmente.
Pensieri, osservazioni e vocabolario saranno solo quelli del protagonista. In altre
parole, siamo limitati al suo mondo.
Una volta stabilito il PDV, dobbiamo essere bravi a non tradirlo e a usare un registro
linguistico appropriato (potremmo a volte essere tentati di usare un’espressione
aulica che ci piace tanto, ma che il narratore non userebbe mai).
Ad esempio, in “Io non ho paura” di Ammanniti, il protagonista è un bambino che
frequenta la quinta elementare. Quindi, se la storia è narrata dal suo punto di vista,
il linguaggio deve essere adeguato. Non solo, ma dobbiamo considerare anche le
esperienze, la cultura, i riferimenti del narratore.
Il narratore in prima persona può anche usare il lettore come confidente,
rivolgendosi direttamente a lui, oppure può rivolgersi a qualcuno in particolare. Nel
“Lamento di Portnoy” di Philip Roth, il narratore racconta la sua storia ad uno
psicanalista. Nel “diario di Bridget Jones”, la storia è raccontata sotto forma di diario
(quindi si rivolge a se stessa).
Oppure, in “La coscienza di Zeno” di Svevo, il romanzo, narrato in prima persona, si
presenta come la confessione di Zeno.
Il dottore m'aveva esiliato lassù: dovevo restare per un anno intero nell'alta montagna muovendomi
quando il tempo lo concedeva e riposare quando lo imponeva. Idea geniale che però non mi fu utile.
PRIMA PERSONA VISIONE MULTIPLA
Nel caso del PDV con prima persona visione multipla si usa più di un
narratore.
Questo PDV causa un forte coinvolgimento intellettivo del lettore, perché è
costretto a seguire le prospettive dei vari narratori che portano le loro testimonianze
come tessere di un grande puzzle, che il lettore stesso dovrà comporre.
Si può scegliere questa tecnica per un romanzo se i personaggi hanno visioni – e
verità – molto diverse e volete che sia il lettore a trarre le conclusioni.
Non lo consiglierei per un racconto, soprattutto se breve, perché non ci sarebbe lo
spazio necessario.
Il rischio è di compromettere la coerenza della storia e di perdere di vista il
protagonista, perché il lettore deve continuamente entrare e uscire dalle teste dei vari
protagonisti.
In letteratura c’è un esempio molto raffinato di PDV in prima persona multiplo, e si
tratta di un romanzo epistolare: “Le relazioni pericolose” di Choderlos de Laclos.
Oppure, prendendo un caso più recente, “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby
Il libro è diviso in tre parti e narra la storia di quattro sconosciuti che la notte di San
Silvestro si incontrano sulla cima di un palazzo di Londra, noto come la ‘Casa dei
Suicidi’, con l'intenzione comune di suicidarsi.
Martin
Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Ma certo che posso spiegare perché
volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente.
Questo incipit ci fa entrare subito nella testa del personaggio.
Seguirà il PDV di Maureen
Gli ho detto che sarei andata a una festa di Capodanno. Gliel’ho detto a Ottobre. Non so se la
gente manda gli inviti per le feste di Capodanno oppure no. Probabilmente no. (Come facevo a
saperlo? Non ci andavo più dal 1984)
E poi Jess
Sono stata a una festa giù da basso, nella casa occupata. Festa di merda, piena di vecchi arteriati
seduti per terra a bere il sidro, fumarsi cannoni e ascoltare il raggae assurdo da strafatti.
PUNTO DI VISTA PERIFERICO
Di solito il narratore in prima persona coincide con il protagonista, ma ci sono
anche delle eccezioni. Anche se scritto in prima persona, il narratore può decidere
di raccontare la storia di un altro personaggio.
Uno degli esempi più famosi è “Il Grande Gatsby” di Fitzgerald: il narratore Nick
Carraway racconta la storia di Jay Gatsby.
E quando mi misi a sedere, meditando sul vecchio mondo sconosciuto, pensai alla meraviglia di
Gatsby quando aveva capito di poter conquistare Daisy.
Il punto di vista periferico è utile quando il protagonista non ha consapevolezza
delle proprie azioni, ed è quindi interessante se a osservarle è un altro personaggio.
Adottando questo PDV andiamo incontro ad alcune difficoltà.
Prima di tutto:
• l’impossibilità del narratore di accedere ai pensieri del protagonista (a meno
che non gli vengano riferiti).
• il fatto che dovrebbe seguirlo come un’ombra se vuole conoscere le sue
mosse.
Per superare queste difficoltà si possono usare vari espedienti, e sarà proprio la
creatività del narratore a risolvere questi problemi.
Ad esempio, una notizia o un pensiero possono essere riportati da un terzo
personaggio, oppure potete spiare il diario del protagonista, o ancora, accedere al
suo computer od origliare da una porta. Sarà il testo stesso che vi darà degli spunti.
Questo è uno dei contesti pratici che vi mostra come i vincoli e i limiti possano
sollecitare la vostra creatività.
PDV PRIMA PERSONA INATTENDIBILE
Si può usare questo punto di vista particolare quando si vuole sottolineare una
percezione della realtà differente o delle distorsioni.
Esempi pratici: un bambino molto piccolo, una persona autistica, uno squilibrato.
Da: “Il cuore rivelatore” di Edgar Allan Poe:
Questo è vero, sono un uomo nervoso, spaventosamente nervoso, e lo sono sempre stato; ma perché
pretendete che sono pazzo? La malattia mi ha reso i sensi più acuti – mica me li ha distrutti –
logorati. E già avevo l’udito finissimo, e tutto ho sentito del cielo e della terra. Anche dell’inferno
ho sentito parecchio.
L’inattendibilità del narratore lascia il lettore turbato e interdetto, come nel caso di
“Fight club” di Chuck Palahniuk.
Tyler dice che io non sono nemmeno vicino ad aver toccato il fondo. E se non precipito completamente
non posso essere salvato. […] «Se ti perdi d'animo prima di aver toccato il fondo» dice Tyler, «non
ce la farai mai davvero.»
Solo dopo il disastro si può risorgere.
«È solo dopo che hai perso tutto» dice Tyler, «che sei libero di fare qualunque cosa.»
PDV TERZA PERSONA SINGOLO
Con questo punto di vista il narratore non è un personaggio della storia, ma una
voce esterna creata dall’autore per narrare le vicende.
Narratore e protagonista non coincidono.
Il narratore ha accesso ai pensieri di un solo personaggio. Quindi il lettore legge la
storia attraverso gli occhi di un singolo personaggio. La storia è raccontata dal
narratore ma dalla prospettiva del protagonista.
Leggiamo l’incipit de “Il Pipistrello”, di Jo Nesbo.
C’era un problema.
Sulle prime l’addetta al controllo passaporti gli aveva rivolto un sorriso a trentadue denti: - Come
sta, mate?
- Benissimo, - aveva mentito Harry Hole. Erano trascorse più di trenta ore da quando era partito
da Oslo, via Londra, e fin dallo scalo del Bahrein era rimasto seduto nello stesso maledetto sedile
accanto all’uscita di emergenza.
Altra cosa è la distanza tra narratore e protagonista, che vedremo più avanti, che può
essere più o meno ravvicinata, o che, come nel caso di questo romanzo, può anche
variare.
Punti di forza del PDV terza persona singolo:
Lo scrittore può lavorare sul linguaggio in un modo più libero che non sarebbe
possibile utilizzando la prima persona: questo allontana anche il rischio di eccessiva
indulgenza o ostentazione del proprio ego. Quindi se volete raccontare una
vostra impresa, il solo adottare la terza persona potrebbe smorzare i toni e giovare
al testo.
Possiamo usare questo PDV quando il personaggio ha limitate capacità intellettuali
o linguistiche, o semplicemente una cultura diversa.
Magari volete raccontare la storia di un bambino, e volete descrivere i traumi che sta
vivendo e che si ripercuoteranno da grande. In altre parole, il narratore ha più
strumenti linguistici e percettivi rispetto al protagonista.
In più, ormai questo modo di narrare è diventato una convenzione letteraria del
nostro secolo: il lettore segue la storia senza neanche accorgersi che la voce narrante
è una voce “fittizia”, creata ad hoc dallo scrittore.
Punti di debolezza del PDV terza persona singolo:
• Se pensiamo che la storia è narrata da una voce letteraria costruita ad hoc,
quindi artificiosa, il lettore non sentirà l’immediatezza che si ha con l’uso della
prima persona.
Ma, se ben usato, il lettore sentirà comunque empatia per il protagonista.
• Il personaggio-punto di vista deve essere presente a tutti gli eventi della storia
(così come quello in prima persona), ma si possono usare degli stratagemmi.
PDV TERZA PERSONA MULTIPLO
Questo punto di vista è analogo al PDV in prima persona visione multipla. Ovvero,
la storia viene raccontata attraverso gli occhi di diversi personaggi. Solo che
l’autore sceglie la terza persona.
Il punto di vista in terza persona visione multipla permette di raccontare la storia da
angolazioni diverse.
È usato prevalentemente nei romanzi, più che nei racconti.
Per aiutare il lettore a non far confusione tra i punti di vista dei diversi personaggi,
sarebbe meglio sempre evidenziare il passaggio da un punto di vista all’altro. Il lettore
deve sempre capire attraverso quali occhi sta guardando la storia.
Potete farlo alternando capitoli, oppure usando font diversi, oppure ancora, farlo
capire dal titolo del capitolo.
Ad esempio, nel romanzo “Sono io che l’ho voluto” di Cynthia Collu troviamo
prevalentemente il PDV della protagonista Miriam, ma saltuariamente ci sono
inserzioni di capitoli con il PDV del figlio e del marito.
Il romanzo di Andrea De Carlo “Leielui” è scritto in terza persona da due punti di
vista, quello del protagonista femminile e quello maschile.
Lei
Ma per quanto ci provi non riesce a ridurre l’intensità e la persistenza del rammarico che prova
adesso, il senso profondo di perdita che le fa contrarre lo stomaco e il cuore i polmoni mentre si infila
un paio di mutandine. Non le sembra una semplice delusione da risveglio.
Lui
Lui si chiede perché mai abbia voluto venire qui, e quanto a lungo dovrà starci, per fare cosa. Gli
viene da gridare e scalciare e dare pugni nell’aria, con disperazione crescente.
Quando scegliete il PDV multiplo dovete essere sicuri che i personaggi siano
molto diversi tra loro (potreste cadere nell’errore, che anche scrittori affermati
commettono, di scrivere sempre di voi stessi, semplicemente indossando una
maschera diversa. I personaggi, invece, devono essere molto diversi tra loro:
psicologicamente, emozionalmente, fisicamente, nel modo di esprimersi, di
atteggiarsi). Il lettore può trarre le conclusioni a seconda di come i pensieri dei
personaggi si contraddicono o confermano.
Ad esempio, potreste inventare una storia in cui entrambi i personaggi hanno lo
stesso obiettivo, lo stesso desiderio ardente, ma che può essere soddisfatto solo
da uno dei due. Capita così anche nella vita, ad esempio un concorso pubblico, la
selezione a numero chiuso in una prestigiosa facoltà. Il PDV multiplo aggiunge alla
storia un grado di complessità che rispecchia il modo in cui le nostre vite si
intrecciano e la simpatia e l’empatia che proviamo per una persona rispetto ad
un’altra.
Mi viene da pensare che il punto di vista in terza persona visione multipla abbia una
filosofia “buddista”, in quanto lo scrittore narra la storia cercando di mettersi nei
panni di tutti.
Per portare un esempio tratto dal cinema, un film a mio avviso magistrale che adotta
più punti di vista è “Il capitale Umano” di Virzì.
Il film è suddiviso in quattro capitoli; la storia viene raccontata da tre punti di vista
diversi. Ogni capitolo corrisponde a un personaggio:
Dino Ossola: un agente immobiliare.
Carla Bernaschi: una donna ricca e insoddisfatta.
Serena Ossola: la figlia di Dino.
La storia racconta ciò che è accaduto sei mesi prima di un incidente avvenuto su una
strada provinciale della Brianza, dove un ciclista viene investito da un SUV.
La storia ricomincia ogni volta daccapo, ripercorrendo gli stessi avvenimenti, ma con
occhi diversi. E questo ci fa capire come la realtà sia veramente poliedrica,
sfaccettata, che ne esista almeno una per ogni persona, ma forse anche di più, come
ci insegna Pirandello. Ognuno porta le proprie motivazioni, i propri problemi, la
propria visione del mondo.
Anche la scelta di cosa raccontare e cosa no è significativa, ma non per un artificio
letterario. Noi badiamo a cose diverse. Se stai correndo per un colloquio lungo la
strada forse noterai solo il traffico delle macchine, o la gente alla fermata del bus. Un
pensionato che non ha nulla da fare si fermerà a guardare i cantieri. Un bambino i
cani, le panchine o un pallone che rimbalza (anche perché si trovano proprio alla sua
altezza). A volte siamo distratti senza neanche rendercene conto. Raccontare una
storia vuol dire calarsi fisicamente ed emozionalmente nei panni, nella pelle e
nelle scarpe dei nostri personaggi.
TERZA PERSONA ONNISCIENTE
Quando il narratore adotta uno dei punti di vista analizzati in precedenza (prima
persona singolo, multiplo, terza persona singola, multipla) racconta la storia attraverso gli
occhi di uno o più personaggi che vivono le vicende, oppure li seguono da molto
vicino.
Se con gli altri PDV la coscienza è quella del protagonista o dei protagonisti, con
il PDV onnisciente la coscienza è quella dello scrittore.
È come se si salisse di un livello. Con la prima persona il protagonista coincide con
il narratore. Con la terza persona il narratore non coincide con il protagonista, ma
può seguirlo da vicino.
Con il PDV onnisciente, lo scrittore fa un po’ quello che vuole, è come Dio: ha la
libertà di condividere con il lettore ciò che ritiene opportuno, addirittura svelando
segreti, avvenimenti o particolari sconosciuti ai protagonisti stessi della storia
(questo, tra l’altro, è un espediente molto usato nei romanzi gialli, in quanto lo
scrittore anticipa e svela al lettore particolari e informazioni che sono sconosciuti al
protagonista. Questo fa aumentare la suspense).
Con l’onnisciente siamo i burattinai che manovrano i personaggi come marionette.
Non solo potete entrare nella testa di tutti i personaggi, ma anche interpretare
i fatti, giudicare, descrivere avvenimenti avvenuti lontano dai personaggi (se
vi ricordate, questo era il limite degli altri PDV), fornire un contesto storico (come
fai il Manzoni) e predire gli avvenimenti.
Come anticipato, facendo incursioni sul futuro (flashforward – prolessi) potete creare
suspense.
Ad esempio:
La moglie dello scrittore guarda dallo spioncino. Un ragazzo in tuta blu regge una cartelletta in
mano, fa un gesto con la penna ad indicare che deve compilare un foglio. La moglie dello scrittore
apre la porta. Non può sapere che, dentro la borsa, il ragazzo in tuta ha una spranga di ferro, un
coltello e delle corde da marinaio.
Nei “Promessi Sposi”, Manzoni interviene nel corso della vicenda con dei veri e propri
commenti e giudizi morali sui personaggi.
Questo punto di vista era molto comune prima del ventesimo secolo; possiamo
annoverare scrittori classici quali Dickens, Tolstoj, Flaubert, Jane Austen, e Manzoni.
Il tono paternalistico e solenne oggi è caduto in disuso, anche a causa dei
cambiamenti sociali, la psicanalisi, alcuni movimenti quali il femminismo. In più,
anche da un punto di vista stilistico questo PDV sembra troppo impersonale e
sicuramente anche le inquadrature cinematografiche soggettive hanno concorso a
cambiare i nostri gusti.
Oggi, tuttavia, ci sono alcuni scrittori che ancora adottano questo PDV: uno fra tutti
Kundera, che interrompe il corso della narrazione per fare delle incursioni e
commentare storia e personaggi.
I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo
voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha
superato un confine che io ho solo aggirato. È proprio questo confine superato (il confine oltre il
quale finisce il mio io) che mi attrae. Al di là di esso incomincia il mistero sul quale il romanzo si
interroga.
Kundera spezza il flusso degli eventi, forse anche compiacendosi di essere il creatore
dei personaggi, per poi riprendere a raccontare la storia.
Il vantaggio è che con questo PDV non siamo limitati alla coscienza, all’intelligenza,
al linguaggio dei personaggi, ma siamo liberi di esprimerci come vogliamo.
Lo svantaggio è che, richiamando l’attenzione sulla presenza dello scrittore, si
rischia di rompere la cosiddetta sospensione dell’incredulità, cosa non molto
auspicabile, a meno che non si vogliano avere risvolti stilistici e filosofici particolari.
Consigli finali sul punto di vista:
Quando scegliete un PDV stipulate un patto con il vostro lettore. Il PDV spiega che
tipo di storia sta leggendo. Se rompete il patto, il lettore se ne accorgerà e perderà
interesse e fiducia.
Questo non vuol dire che non possiate essere creativi, alternare i PDV, alternarli.
Basta che sia chiaro per voi, e non un errore.
Se avete raccontato un’intera storia da un PDV, ad esempio, la segretaria innamorata
del capo, non potete in un paragrafo solo, o addirittura in una frase, farci sentire i
pensieri o le emozioni del capo. Potete allora fargli compiere delle azioni, o usare il
dialogo.
Per poter scegliere il PDV domandatevi “di chi è questa storia?” “Cosa mi interessa di più
in questa storia?”
Iniziate a scrivere, sperimentate. Se la storia non vi convince, si potrebbe trattare
semplicemente del PDV dal quale la raccontate. Provate a riscriverla da un altro
punto di vista.