^ ^
22
Libri
IL GIORNALE DELL'ARTE Numero 334, settembre 2013
Leonardo, Bramantee quel taccagnodi Ludovico il MoroMilano, ultimo ventennio del
Quattrocento: la città è nelle mani
di Ludovico II Moro, che si è appena
impossessato del potere a spese
della cognata Bona di Savoia, vedova
del fratello Galeazzo Maria (morto
nel 1476 in modo quanto meno
sospetto) e reggente per il figlio Gian
Galeazzo, bambino: Ludovico non è
uomo colto ma è un politico astuto,
consapevole dell'utilità di un'accorta
promozione delle arti per garantirsi
la legittimazione che gli manca.
Al di là dei metodi spregiudicati
con cui ha conquistato il potere,
sono infatti le fondamenta stesse
del suo casato a essere malferme,
mancando il riconoscimento
imperiale della continuità dinastica
tra i Visconti e gli Sforza, che
giungerà solo nel 1494. Tuttavia è
proprio grazie alla sua sete di potere
e alla strenua volontà di celebrare
la sua famiglia e di emulare le altre
capitali del Rinascimento se nel
Ducato vedono la luce monumenti
come Santa Maria delle Grazie, laCertosa di Pavla o la piazza Ducaledi Vigevano. Per realizzarli Ludovico
chiama a corte (sottopagandoli,
perché è anche taccagno) artisti
del calibro di Leonardo e Bramante,che per quasi vent'anni lavorano
in contemporanea in città e che
nell'ultimo decennio del secolo si
trovano gomito a gomito nel gran
cantiere delle Grazie, il primo nel
Refettorio con l'«Ultima Cena», il
secondo in chiesa, con la Tribuna,
pensata come mausoleo ducale.
Rievocare quel sodalizio, un'amicizia
vera, è oggi un'impresa titanica per
via della mole di letteratura prodotta
in almeno un secolo, da Malaguzzi
Valeri in poi, ma la difficoltà non ha
scoraggiato Simone Ferrari e AlbertoCottino che nel loro libro, oltre
a ripercorrere quel fitto dibattito,
hanno avanzato nuove ipotesi
critiche. Dalla loro indagine riemerge
quella stagione irripetibile che,
proprio grazie alle innovazioni dei
due «foresti», trasformò la «gotica»
Milano in una città aggiomatissima,
dando di fatto il via alla «maniera
moderna». Ferrari e Cottino
evidenziano lo scambio costante
fra i due maestri (due esempi per
tutti: nella «Cena», sono evidenti
le tangenze con l'accelerazione
prospettica cara a Bramante e
l'«Eraclito e Democrito» dipinti da
quello in casa Visconti-Panigarola
sono «figli» degli studi fisiognomici di
Leonardo), ma pongono soprattutto
l'accento sull'attenzione di entrambi
alla tradizione lombardo-padana:
Leonardo vide l'opera di Mantegna
a Mantova, nel viaggio da Bologna
a Milano, mentre si accingeva a
diventare (proprio come lui) un
artista di corte? È assai probabile,
suggeriscono: e non solo per
l'influenza suH'«Ultima Cena»
dell'illusionismo prospettico della
«Camera Pietà», ma anche (come già
notava Pietro C. Marani) per i festoni
di frutta presenti nel Cenacolo, o
per i paesaggi petrosi di Mantegna,
frequenti nelle opere vinciane.
E ancora, la composizione
ondulante, dinamica della «Cena»,
così lontana dall'isometria
fiorentina, non dovrà qualcosa agli
allora celebratissimi «Compianti»
emiliani e alla loro potente
espressività? Insomma, il Leonardo
che scaturisce da queste pagine è
un maestro geniale e autonomo sì,
ma non impermeabile alla cultura
«nordica» in cui a quel tempo opera.
Quanto a Bramante, nella Tribuna
crea uno spazio «elastico, sonoro,
rotante» e si mostra sensibile al
parlare «padano» di Amadeo, allora
assai stimato, non meno che al
modello offerto da Vincenzo Foppa
nella Cappella Portinari. Senza
dimenticare poi la stimolante
domanda finale, suggerita dal
raffronto fra lavori di Dùrer e di
Leonardo (e seguaci): il tedesco
passò forse per Milano? È molto
probabile, dicono gli autori. Le
ragioni sono nelle pagine del libro,
-l Ada Masoero
«Forestieri a Milano. Riflessioni suBramante e Leo-nardo alla corte diLudovico il Moro»,
di Simone Ferrari e
Alberto Cottino, 192
pp., ili., Nomos, Busto
Arsizio2013, €49,00
Tra Rinascimento e Barocco II cielo in una stanza Vita di un genio pirla
Caldo legno di SiciliaLa prima trattazione organica dedicata alla scultura lignea nell'isola
«La materia lignea, più calda e morbida, pre-
senta fi valore di una più diretta comunicativitàt.
Partendo da quest'assunto, che mira a rista-
bilire il valore intrinseco e le qualità del le-
gno come materiale artistico rispetto al più
osannato e giudicato pregevole marmo, lo
storico dell'arte messinese Teresa Pugliatti
sviluppa un meticoloso studio di ricostruzio-
ne e riflessione sulla scultura siciliana. Lo fa
in un ponderoso volume dal titolo Manuface-
re et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in
legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, cura-
to dalla stessa, insieme con Salvatore Rizzo
e Paolo Russo.
Il libro è in assoluto la prima trattazione
organica dedicata al tema e costituisce l'e-
levato esito di un lungo lavoro di studio
e di una vasta campagna di ricognizione
conoscitiva e documentale estesa a tutto il
territorio regionale. Ad aprirlo è il saggio di
Giuseppe Giarrizzo, li lungo Cinquecento,
che fornisce una meticolosa ricostruzione
storica della Trihacria tra Cinque e Seicen-
to, in particolare sulla grande stagione del
regno di Filippo II, quella stagione imperiale
in cui, a detta dell'autore stesso, la Sicilia
non visse alla periferia, ma in un ideale cen-
tro, con le famiglie aristocratiche inclini al
lusso e promotrici di numerosi capolavori,
così come fecero gli alti porporati del clero e
le confraternite. Il saggio di Teresa Pugliatti
ha lo spessore di una riflessione più ampia,
nella quale, come linea guida, l'autrice pone
la distinzione tra statue intese come massi-
ma espressione della scultura e i numerosi
esempi di arti decorative f̂ercoli, arredi,
macchine d'altare), che pure raggiungono
esiti elevatissimi proprio tra le opere a in-
taglio ligneo, spesso trascurate per la (ap-
parente) povertà del materiale, così come le
statue stesse, sovente sostituite negli altari
delle chiese da altre in marmo.
Il volume si articola in due sezioni: una
che segue criteri geografici e mira ad ana-
lizzare i contesti, con una suddivisione tra
Sicilia Occidentale (sezione a cura di An-
tonio Cuccia), Orientale (a cura di Teresa
Pugliatti) e Centrale (a cura di Paolo Russo);
un'altra, aperta a una. riflessione su «For-
me, significati e funzioni», che si apre con
un saggio di Giuseppe Cantelli dedicato
alla scultura devozionale italiana e ai suoi
contatti con la coeva arte spagnola.
Proprio i rapporti con le correnti straniere,
così come con l'arte napoletana, di cui la
cultura visiva isolana ha sempre risentito,
e con le influenze locali (da Gagini a Ser-
Ignoto scultore (attribuito alla famiglia Milanti), «Crocifisso» (part.), seconda
metà del XVII secolo, Salenti (Tp), Chiesa di San Clemente
potta) è un altro degli elementi che rende
questo volume complesso e fortemente
specialistico di così ampio respiro, grazie
anche agli apporti di numerosi studiosi
italiani e stranieri che vi hanno lasciato
un proprio contributo. Corredato da un
ricchissimo apparato iconografico a colori,
il volume si presenta, dunque, come un
suggestivo viaggio attraverso straordinari
esempi dell'arte dell'intaglio in legno in
Sicilia: dal coro della chiesa di S. France-
sco d'Assisi a Palermo (1520-24) a quello
dell'abbazia di San Martino delle Scale
(1597) e della Cattedrale di Nicosia (1622);
dalle cantorie tardomanieriste della chiesa
madre di Castroreale agli scenografici ar-
madi che rivestono le sacrestie della chiesa
di casa Professa a Palermo e dell'Annun-
ziata a Trapani, al trionfo dell'arte barocca
nella cappella del Santissimo Crocifisso del
duomo di Monreale, e ancora i mirabolanti
gonfaloni architettonici, le ingegnose mac-
chine lignee e i sontuosi «fercoli» proces-
sionali, le elaborate cornici, accanto a sta-
tue in legno dalle sontuose vesti damascate
rilucenti d'oro destinate alla devozione
popolare e che testimoniano, tra l'altro, le
straordinarie capacità tecniche e artistiche
dei loro autori.
J Marina Giordano
Manufacere et scolpire Inlignamine. Scultura e Inta-glio in legno in Sicilia traRinascimento e Barocco, acura di Teresa Pugliatti, Sal-
vatore Rizzo, Paolo Russo,
720 pp., ili. col., Giuseppe
Maimone Ed.'Catania
2012, € 180,00
I colpevoli della non tutelaSEGUE DA PAG.20, V COL.
milioni di condomini, case, villette tutti zeviana-
mente sottratti a quei valori formali «gabellati
come "valori" eterni e permanenti dell'ar-
chitettura». In compenso però, quei condomini,
villette eccetera, responsabili d'aver assassinato il
paesaggio italiano.
Un problema che lei unifica a quello dei
terremoti.
Sono nei fatti due dei segnali di come l'Italia
sia incapace di salvaguardare la caratteristica
che rende unico al mondo il proprio patrimonio
artistico: la sua plurimillenaria stratificazione
nell'ambiente, la sua indissolubilità dal pae-
saggio urbano, agricolo e naturale. Pensi alla
scandalosa impreparazione di Ministero, Icr e
Scuole universitarie di architettura di fronte a
questo problema. Quasi i terremoti non fossero
in Italia, come sotto, tragica ricorrenza di più
o meno breve periodo. Dopo anni, sono ancora
ideologicamente a chiedersi che cosa fare a L'A-
quila, come a Modena e Ferrara: se un museifi-
cante restauro storicistico arganobranAia.no, se
una ricostruzione com'era dov'era, se com'era
ma non dov'era ecc. Come se monumenti, case e
cittadini potessero aspettare a tempo indefinito
soluzioni ricostruttive che una comunità scientì-
fica che davvero voglia dirsi tale dovrebbe essere
in grado di dare in tempo reale.
Pasquale Rotondi e Giovanni Urbani
dalla direzione dell'Icr ci avevano pro-
vato, a cambiare le'cose.
Fu con l'alluvione di Firenze del 4 novembre
1966. Quella calamità aveva dimostrato come il
fulmineo passaggio dell'Italia da un'ultrasecola-
re e indigente economia rurale a una moderna
e ricca economia industriale avesse creato una
grave questione ambientale, che interessava
il patrimonio artistico nella sua totalità, cioè
pubblico e privato, e nell'indissolubile rapporto
di questa totalità con l'ambiente. Il che spostava
il problema della conservazione del patrimonio
artistico dalle singole opere al nuovo e ben più
arduo quesito tecnico-scientìfico e organizzativo
di come intervenire sulla totalità del patrimonio
e sul suo ormai alterato rapporto con l'ambien-
te. La conservazione preventiva e programmata
del patrimonio artistico in rapporto aU'ambien-
te, messa a punto daU'Icr di Rotondi e Urbani,
tramite un del tutto innovativo lavoro di ricer-
ca condotto dallo stesso la, con cinque o sei tra
Università italiane e straniere, i laboratori di
ricerca di alcune grandi industrie private, Cnr e
Cnen. Un lavoro esemplare, però subito buttato
nel cestino dai cdUeghi soprintendenti di Urbani
e Rotondi e dal neonato ministero di Spadolini.
Quali soluzioni sono possibili oggi?
Una profonda revisione e un rilancio del ruolo
dei soprintendenti, da formare in specifiche scuo-
le post laurea e da impegnare nella conservazio-
ne preventiva e programmata del patrimonio
artistico in rapporto all'ambiente.
E poi dare un'occupazione ai giovani ponendo al
centro, ad esempio, la ricerca scientifica, settore
in Italia arretratissimo. 0, per restare all'edilizia,
quello della decementificazione, cioè il risarci-
mento delle ferite causate dalla montagna di ster-
eo cementizio, i 4/5 del costruito, con cui è stato
lordato il paesaggio italiano nefl'ultimo mezzo
secolo. Due lavori, ricerca scientifica e ripulitura
di quelle stalle di Augìa che sono oggi fl paesaggio
e l'ambiente, da affidare appunto a giovani storici
dell'arte, archeologi, ingegneri, architetti, geologi,
agronomi, economisti, giuristi; giovani a cui ino-
stri Governi non riescono a dare un lavoro diverso
da quello nei cali center E un Paese che non riesce
a dar lavoro ai giovani è un Paese profondamente
ingiusto e malato.
BRUNOZANARD!
UN PATRIMONIO
ARTISTICO
SENZA
Un patrimonio artistico s
senza. Ragioni, problemi, s
soluzioni, di Bruno Zanardi, «
168 pp., Skira, Milano 1
2013, € 18,00 • 1ir
Goya come SaturnoL'itinerario d'esistenza di Francisco Goya ha suscitato nel tempo una serie corposa
di rivisitazioni narrative, tra letteratura e cinema. Basti citare la strepitosa scrittura
per un film non realizzato «Goya 1926» di Luis Bunuel, uscita da Marsilio nel 1994
(da noi anticipato in esclusiva nel 1992, cfr. n. 105, nov. '92, pp. 36, 61 , 64, Ndr).
Jacek Dehnel, trentenne, tra le voci maggiori della Polonia degli ultimi anni, aggiunge
con la sua notevole scrittura romanzesca II quadro nero una nota particolare. La
vicenda, strutturata come una sequenza alternata di diari, è infatti quella della
relazione impossibile tra il pittore, all'apice della fama, sordo (le conversazioni con
lui si svolgono su quaderni in cui i visitatori appuntano domande e risposte) e il figlio,
Javier, abulico artista mancato. Il titolo originale del libro, Saturn, in modo più preciso
riferisce la vicenda all'insegna di un mito oscuro, in cui a tutti gli effetti i genitori
mangiano i propri rampolli. Il discendente di Goya viene quindi fagocitato dal genitore,
dalla sua vitalità ossessiva, che lo porta continuamente a cercare corpi di donne.
Quello stesso istinto che lo spinge a uscire nel mezzo della notte per creare opere
ispirate dagli sconvolgimenti della natura e della società. L'invasione francese fornisce
quindi occasioni e episodi continui, e il «sordo», continua a fissare su carta e tela la
propria potentissima e oscura visione. Sullo sfondo compaiono le identità femminili che
assistono a questa logorante disfida, e il nipote, Mariano, bambino vispo e acuto, che
cerca faticosamente di comprendere il perché dei modelli opposti fornitigli dalla sua
famiglia. Infine il gran-pittore, che piroetta tra i potenti, riuscendo sempre a cogliere il
giusto elogio da tributare, conosce il proprio destino e lo dichiara a
chiare lettere: «Di molte cose nella mia vita posso ringraziare Dio: non
certo di avermi elargito talento e denaro, perché sia il talento che il
denaro me li sono guadagnati lavorando duramente, ma di avermi dato
un cuore pieno d'amore». • Luca Scarlini
II quadro nero, di Jacek Dehnel, trad. di Raffaella Belletti, 252 pp.,
Salani, Milano 2013, € 14,90
Agli studi sul collezionismo succedutisi
negli ultimi anni va il fondamentale
merito di averci dischiuso un mondo,
ricostruendo non solo la vita dei
protagonisti, artisti, mecenati, mercanti,
ma anche rendendoci partecipi di
atmosfere private e spesso dense di
intrecci coinvolgenti. Dalma Frascarelli
non è nuova a questo tipo di studi: nel
2004 ha pubblicato con Laura Testa un
volume sulla collezione di Pietro Gabrielli,
erudito, libertino e bibliofilo con casa
a Palazzo Taverna a Montegiordano. I
sofisticati strumenti di indagine messi
a punto dalla Frascarelli si concentrano
ora nel nuovo volume dedicato a Paolo
Falconieri (1634-1704), figura oltremodo
interessante e modernissima per la
varietà delle sue passioni. L'autrice ne
fa un ritratto puntuale. Il testo unisce
infatti l'impeccabile complessità filologica
a una arguta e ampia messa a fuoco del
personaggio. Va detto che Paolo Falconieri
è un soggetto che esemplifica nella sua
personalità proprio quel poliedrico fiorire
di stimoli che convivono nell'animo di un
nobile mecenate, colto e appassionato,
in quegli anni centrali e irripetibili per
10 sviluppo del collezionismo e delle
committenze nella Roma barocca, attorno
alla metà del secolo e oltre.
Toscano di origine, svolge il ruolo di
consulente e agente di Leopoldo de'Medici, documentato da un fitto carteggio
da cui emergono le innate doti di
mercante e intenditore, ma anche di fine
intermediario. Sempre pronto a fare buoni
affari, consiglia al Granduca l'acquisto
dell'Autoritratto di Bernlni, oggi agli Uffizi,
che propone come ottimo investimento
considerata la rarità della produzione
pittorica dell'artista. I suoi orientamenti
'di gusto volgono verso una pittura
spiccatamente classicista che vede tra
i suoi preferiti Annibale Carraccl, Reni,Maratta, Lorraln, Dughet.Tra i dipinti più noti della raccolta figurano
«La Modestia e la Liberalità» di GuidoReni, identificato dalla Frascarelli nella
tela in collezione privata a New York, di
cui l'autrice ricostruisce tutta la storia;
la «Santa Cecilia» di Guerclno, oggi alla
Dulwich Picture Gallery di Londra e ancora
la «Santa Michelina» di Federico Barocci,attualmente alla Galleria Sabauda di
Torino e il bellissimo e intenso «Ritratto
del cardinal Biscia» di Andrea Sacchl ora
alla National Gallery del Canada a Ottawa,
prezioso anche per le suggestioni del
non finito. Falconieri è uomo dalla cultura
multiforme e innovativa come molti eruditi
del periodo e, come spesso avviene, è
dilettante di pittura e architettura, ma
anche di poesia. È galileiano convinto,
al punto che suggerisce al Granduca di
Firenze di commissionare il busto dello
scienziato allo scultore Carlo Marcellini,
che si conserva al Museo della scienza
a Firenze. Falconieri è infatti cultore
di scienze e di botanica e a questi
interessi deve il suo particolare ampre
per il paesaggio, testimoniato dalla ricca
collezione, ma anche dalla sua dimora
nota per il giardino ricco di erbe e fiori
rari e nella quale una stanza con «il cielo
dipinto» era destinata proprio ai quadri
di soggetto paesistico. L'autrice riesce
a ricostruire l'assetto del palazzetto,
in cui le ragioni dell'arte si bilanciano
con quelle della comodità, in assoluto
anticipo sui tempi. È un capitolo che
esercita un particolare fascino sul lettore
perché riesce a introdurlo nella dimora
accompagnandolo in una visita alle varie
stanze in cui erano disposti i dipinti della
collezione, ricostruendo non solo un elenco
di opere, ma l'intima dislocazione degli
ambienti e quindi il gusto di Falconieri e
11 suo modus vivendi. Così, dagli inventari
ritrovati e integralmente pubblicati nella
seconda parte del volume, i quadri e i libri
rivelano la personalità del personaggio.
Se verso l'arte del passato il nobiluomo
ha un approccio da erudito, per quella
contemporanea è quasi un critico
militante. L'amore per il paesaggio lo
porta a stringere un legame privilegiato
con Salvator Rosa. Ne possiede alcuni
piccoli quadri tenuti da lui in gran conto,
condividendo con il pittore l'interesse per
la natura selvaggia e libera, in sintonia
con l'idea di uno spirito antidogmatico.
Interessi questi che portano Falconieri
ad aderire precocemente all'Accademiadell'Arcadia che ha sede nel Bosco
Parrasio, proprio di fronte alle finestre della
sua dimora in via Giulia. Una dimora, scrive
l'autrice, che è insieme luogo di cultura
e svago, ma anche rifugio dagli affanni e
dagli amati affari.
J Anna Lo Bianco
Paolo Falconieri trascienza e arcadia. Lecollezioni di un Intellet-tuale del tardo baroccoromano, di Dalma
Frascarelli, 296 pp., ili.,
Campisano, Roma 2013,
€ 40,00
Chi era Piero Manzoni? Tutti sappiamo
che cosa è stato Piero Manzoni, il faro,
l'anticipatore di tante vie percorse dalle
neoavanguardie degli anni '60 e '70,
dal concettuale all'happening. Ora si
tratta di capire chi era l'uomo Manzoni.
Prova a scandagliare la breve biografia
di questa meteora lucente dei cieli
dell'arte del '900, artista che non riuscì
a veder il suo trentesimo anno di vita
(morirà ventinovenne il 6 febbraio 1963),
Flamlnio Gualdoni in Piero Manzoni. Vita
d'artista, uscito presso Johan & Levi.
In questo 2013 avrebbe compiuto 80
anni il conte Piero Manzoni, primogenito
del conte Egisto Manzoni di Chiosca e
Poggiolo, abitante dal '38 (lasciata con la
famiglia la dimora di Soncino) a Milano in
una abitazione di 14 camere, servito da
un plotone di cameriere, cuochi, autisti
e collaboratori. Piero Manzoni era un
aristocratico? 0 era un «pirla», come si
definisce («PMP Piero Manzoni Pirla»)
nel libro d'artista che regalò all'amico
Emilio Villa? Un genio «pirla»? Rendere
l'intero pianeta terra una scultura
mediante piedistallo recante la scritta
rovesciata di «Base del mondo» (il «Sode
du monde» del '61) è scatto concettuale
di una mente geniale, non di un pirla.
Incorporare l'arte a tal punto da viverla
come emissione di aria («Fiato d'artista»)
e di escrementi («Merda d'artista»), e da
comprendere che approdo dell'essere
artista è l'essere («Non c'è nulla da dire:
c'è solo da essere, c'è soto da vivere»
annoterà in uno dei suoi tanti splendidi
scritti), è da uomo-sonda delle verità
ultime dell'arte e della vita. La lucida
intelligenza non riuscì tuttavia scalfire un
nucleo di dolore, anch'esso, come le sue
visioni, annidato nel suo essere; e allora
via libera al fiume di alcol che indebolirà
il cuore di questo ragazzo forte e fragile,
coraggioso e disperato, portandolo alla
precoce morte. «Qui sono ubriaco tutte
le sere, e sono contento di esser/o»,
scrive a se stesso nel diario del '54-
55, durante la breve parentesi romana
per iscriversi alla Facoltà di Lettere e
Filosofia. Racconterà d'altronde l'amico
belga Jef Verheyen: «Ad ogni incontro
discutevamo tre giorni di seguito, bevendoquantità atroci di vino e birra, fino al puntoche uno di noi crollava ...». E lo stesso
Manzoni, in piena attività espositiva: •
«Lavoriamo a tutta birra e beviamo ancor
di più». Quindi? Piero Manzoni era un
alcolizzato? Dal documentato racconto
di Gualdoni, affresco composito di una
stagione dell'arte e della cultura a
Milano e in Europa a cavallo tra anni '50
e '60, Manzoni spicca anche per abilità
autopromozionale e consapevolezza
strategica, per fervore militante e
operativo, per vitalità ideativa e capacità
organizzativa. Più che un alcolizzato,
parrebbe un workahollc dell'arte. Ma
allora, chi era costui? Gualdoni scrive che,
quando si pensa a Manzoni, prima ancora
delle sue opere, «sorge alla memoria quel
suo volto tondo e vagamente pacioso,
da bravo ragazzo borghese, destinato acalvizie precoce, da sempre sovrappeso,
tradito da occhi acuminati e ironici, occhi
che rìdono e guardano intenti sempre
un po' più lontano di dove credi». Piero
Manzoni ha sondato la sua umanità per
parlare della nostra', convinto, come ha
scritto, che «quanto più ci immergiamo
in noi stessi, tanto più ci apriamo, perché
quanto più siamo vicini al germe della
nostra totalità, tanto più siamo vicini al
germe della totalità di tutti gli uomini». Era
se stesso ed era noi.
J Guglielmo Giglkrtti
Piero Manzoni. Vita d'arti-sta, di Flaminio Gualdoni,
240 pp., ili. b/n, Johan &
Levi editore, Monza 2013,
€27,00
Arteterapia in ibookVideo e fotografie, ma anche dipinti
e installazioni, di Marina Abramovlc,Paola Pivi, Francesco Vezzoli, ReginaJosé Gallndo, Santiago Sierra, VanessaBeecroft, Nathalie Djurberg, KerenCytter e molti altri sono tra le opere
inserite nell'ibook The Videoinsight®
Concept (pubblicato da Cic medica,
Roma; su Apple Store, € 19,99). Il
Metodo Vldeoinslght consiste nella
prevenzione, la diagnosi e la cura
attraverso l'interazione con immagini
selezionate dell'arte contemporanea.
L'autrice, Rebecca Russo, è psicoioga,
psicoterapeuta, collezionista d'arte
contemporanea e fondatrice del Centro
Videoinsight® di Torino. L'ibook, in
lingua inglese, sarà
il manuale di base
_ delle Scuole di altaCmcw" specializzazione
in Videoinsight®
che partiranno
quest'autunno in Italia
e all'estero.