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giudaismo nel Vangelo giudaismo nel Vangelo giudaismo nel Vangelo giudaismo nel Vangelo
giovanneo e giovanneo e giovanneo e giovanneo e
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EDIZIONI ISSUU.COM
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ANNO ACCADEMICO 2014/15
CONSORZIO INTERNAZIONALE EUROPEO INTERUNIVERSITARIO:
Università di Roma “La Sapienza”- Bournemouth Polytechnic (UK)
Università degli Studi di Udine – Università degli Studi di Foggia
Università degli Studi del Molise – Università degli Studi di Torino
Università degli Studi di Camerino – Università degli Studi di Sassari
University of Chester (UK) – Università degli Studi “Guglielmo Marconi”
Università degli Studi di Bari – Universitatea “Ovidius” di Constanta (Romania)
CORSO ANNUALE POST LAUREAM DI PERFEZIONAMENTO IN STORIA ANTICA:
“L’INSEGNAMENTO DELLA STORIA ANTICA: METODOLOGIE DIDATTICHE”
TESI DI PERFEZIONAMENTO IN
“NUOVO TESTAMENTO”
“L’ ‘ALLONTANAMENTO’ DAL GIUDAISMO NEL VANGELO GIOVANNEO E NELL’EPISTOLARIO PAOLINO”
PERFEZIONANDO: DOTT. MARCO MARTINI – MATR. N. 00422A15
DOCENTE TUTOR: CHIAR.MA PROF. SSA MICHELA BARTOLOMUCCI
2
Dedica, saluti e ringraziamenti.
Dedico questo lavoro alla mia famiglia,
con affetto, Marco.
Saluto innanzi tutti il Dott. Prof. Arch. Guglielmo Telleschi, amico e collega imperdibile,
oltre che architetto ed esperto d’arte di chiara fama.
Con amicizia, Marco.
Desidero salutare e ringraziare, per la consulenza fornitami, i Chiar. mi Proff. Federica
Bergonzi, Giovanni Braida, Elisabetta Urbano, Tiziana Orabona, Giovanni Levantini, già
miei docenti presso la “Scuola Fondamentale di Formazione Teologica” della sede di
Viareggio, rispettivamente di “Teologia fondamentale”, “Vangelo giovanneo”, “Epistolario
paolino”, “Teologia dogmatica” (“Cristologia” e “Trinitaria”) e “Teologia morale
fondamentale”; in particolare Giovanni Levantini, prim’ancora amico che collega e maestro.
Intendo salutare e ringraziare, per i sussidi al tempo fornitimi, il Chiar. mo Prof. Giancarlo
Gaeta, professore ordinario e già mio docente di “Storia delle origini cristiane” presso
l’Ateneo fiorentino.
Colgo l’occasione per salutare tutti gli amici, i colleghi di altre discipline, di materie affini e
dei miei stessi insegnamenti, i miei studenti, con i quali mi pregio di coltivare rapporti
culturali ed umani anche quando, da anni, sono giunti al termine dei loro studi.
E’ mio intento ringraziare anche le 12 celebri Università ivi consorziate, delle quali 9
italiane e 3 europee (2 inglesi ed 1 romena), da me menzionate nel frontespizio-copertina, per
l’ineccepibile organizzazione didattica dei Corsi e per avermi offerto l’occasione di un sì alto
momento formativo!
Infine, un particolare ringraziamento alla Chiar. ma Prof. ssa Michela Bartolomucci per
l’assistenza fornitami con costante cordialità.
Viareggio (LU), Anno Accademico 2014/15.
Marco Martini
3
INTRODUZIONE.
In questo lavoro si prenderanno in esame alcuni capitoli (in particolare il famoso “Prologo” ed
i primi 8)del Vangelo di Giovanni, considerato il Vangelo più “antiebraico” e buona parte
delle lettere di Paolo di Tarso, dapprima ebreo e persecutore dei cristiani, e poi cristiano
convertito. Affronterò la nota diatriba inerente alla misura in cui si possa parlare nel senso più
appropriato di “negazione”, “opposizione”, “allontanamento” o “superamento” dell’ebraismo
nei due autori, tra l’altro coevi, sempre tenendo presente come, molto probabilmente, il
Vangelo giovanneo sia stato dettato da Giovanni ad un suo discepolo, e non sia quindi di
mano diretta dell’autore.
Il lavoro seguirà la metodologia dell’esegesi più rigida, i cui frutti saranno presentati nella
conclusione del presente studio.
Costante sarà il collegamento tra i due testi del Nuovo Testamento, anche alla luce delle più
recenti interpretazioni storiografiche.
Molti concetti saranno esemplificati anche mediante l’utilizzo di schemi, scalette, mappe
concettuali e tavole sinottiche.
Essendo questo un lavoro fondato essenzialmente su una rigorosa analisi testuale, la
storiografia sarà considerata solo nei suoi testi principali.
Il presente studio si articolerà quindi in 2 sezioni distinte, un primo capitolo dedicato al
Vangelo giovanneo, ed un secondo ed ultimo capitolo riservato all’Epistolario paolino;
seguirà una conclusione comparativa sui due autori trattati.
4
CAPITOLO I°: IL VANGELO GIOVANNEO.
I.1. Introduzione e contestualizzazione. Il problema dei Vangeli apocrifi ed il giudeo-
cristianesimo.
Il Vangelo giovanneo è il più “alto” fra tutti i Vangeli, ha interessato ed interessa tuttora
anche correnti spirituali non cattoliche, come la “New Age”, o anche non credenti. Ha
affascinato filosofi, letterati, poeti e mistici; è un testo affascinante, assai più dei suoi
commentatori. Anche la Scuola del teologo e filosofo Von Balthasar, nel ‘900, ha studiato ed
interpretato in particolare il Prologo del Vangelo giovanneo; proprio a partire dal Prologo,
questo Vangelo ha affascinato generazioni di intellettuali. Nel Prologo, quindi in soli 18 versi,
sono enucleati in sintesi tutti i temi del Vangelo. Anche nel Vangelo lucano c’è
un’introduzione, ma non paragonabile, nemmeno minimamente, al Vangelo di Giovanni.
L’opera giovannea è costituita, oltre che dal Vangelo, dall’Apocalisse e da 3 Lettere, tra
queste è particolarmente importante la I, per il concetto di “Agape”, ossia di “Amore” in
senso cristiano, e quindi contrapposto all’ “Eros” greco, indisciplinato.
“In principio era il Verbo” riprende l’incipit della Genesi, come afferma Aurelio Agostino
d’Ippona.
Il mistico speculativo tedesco Meister Eckhart, nel Trecento, ha studiato e commentato il
Vangelo di Giovanni: per Meister Eckhart il Vangelo giovanneo supera in profondità gli altri,
nel penetrare i misteri divini. Nel suo testo1, l’aquila è il simbolo dello stesso evangelista
Giovanni, quello che è più vicino a Cristo, come nell’ultima cena; l’aquila può contemplare i
raggi del sole senza venirne abbagliata, è l’uccello che vola più in alto, e questo ricorda il
platonico mito della caverna2. E’ l’uccello che vola più alto degli altri, è lo stesso Vangelo
giovanneo che “vola più in alto” dei Sinottici.
Brown3 confronta invece il primato di Pietro e quello di Giovanni: Pietro è il fondamento
della Chiesa di Cristo, ma Giovanni è il discepolo più amato.
Cosa sono i Vangeli? Gesù muore, secondo la cronologia di Giovanni, intorno all’anno 30. Il
Vangelo giovanneo è l’ultimo ad essere scritto, tra il 90 ed il 100. Non per questo è meno
affidabile degli altri, sul piano storico. I Vangeli nascono da un’esigenza ovvia delle prime
comunità cristiane: come mantenere e trasmettere in modo incorrotto il messaggio di Gesù,
dal momento della morte di Gesù. Morto Gesù, si ricorre alla sua cerchia più stretta, tra cui gli
1 Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni.
2 Platone, Repubblica, VII.
3 R. Brown, Un ritiro spirituale con l’evangelista Giovanni, Queriniana, Brescia, 2000.
5
apostoli. Morti anche i testimoni della parola, sorge un’esigenza reale e concreta: mettere per
iscritto la parola dei testimoni che hanno quotidianamente frequentato Gesù.
I Vangeli Sinottici (Matteo, Marco, Luca) sono stati scritti tutti prima dell’anno 80; una critica
razionalistica, distruttiva, tende a post-datare i Vangeli.
Altri, in base ad un frammento ritrovato, hanno voluto anticipare a prima del 50 il Vangelo di
Marco. Sono due tesi erronee: il Vangelo marciano è il più antico ed il più breve, databile al
70; i Vangeli di Luca e Matteo sono databili tra il 70 e l’80; il Vangelo di Giovanni è del 90
circa ed è il più tardo ed il più complesso, il più filosofico. Ma è anche un Vangelo in cui si
presenta un Gesù molto umano, che piange, che ha fame e sete.
I Vangeli apocrifi (Atti di Pilato, Vangelo di Maria, Vangelo di Tommaso, Vangelo di Giuda,
Vangelo dell’Infanzia) sono successivi al Vangelo di Giovanni. Può darsi che l’imperatore
Costantino, nel IV° secolo, abbia avuto una certa influenza nello stabilire l’autenticità dei
Vangeli, ma la decisione non è stata imposta dall’alto, bensì è partita dal basso, dalla
comunità. Nel Vangelo dell’infanzia si presenta addirittura in Gesù cattivo e violento, fin da
bambino, con gli altri bambini. Il Vangelo di Tommaso, apocrifo, presenta dei tratti
interessanti: è una semplice raccolta di “detti” di Gesù, senza una “cornice”. Tutti i Vangelo
apocrifi sono comunque scritti fra il II° ed il III° secolo. Brown, nel suo testo4, nella parte in
cui parla del dialogo tra lo stesso Brown e l’evangelista, afferma la specificità del Vangelo di
Giovanni in cui:
a. Mancano le parabole;
b. Mancano i detti;
c. Usa un vocabolario semplice, astratto, volutamente simbolico, ripetitivo, non
compreso dagli interlocutori di Gesù;
d. I discorsi, ad una prima lettura, appaiono spesso complessi;
e. Il linguaggio di Giovanni è “povero” nel senso di “ripetitivo”;
f. I dialoghi non sono veri e propri dialoghi, ma quasi monologhi di Gesù, e questo
perché l’incontro fra Gesù e l’interlocutore serve a Gesù per comunicare un messaggio
che è universale, e non rivolto all’interlocutore presente in quel momento;
g. Il Vangelo di Giovanni ha una struttura originale, essendo aperto da un prologo di 18
versi, assente negli altri Vangeli;
h. Giovanni non insiste sui miracoli, differenza dei Vangeli Sinottici, ma ne sceglie 7, ed
usa l’espressione “segni” nel senso di “simboli”.
4 Ibid.
6
i. Nel Vangelo giovanneo, infine, si presenta sempre la netta separazione tra buoni
(rappresentati dalla luce) e malvagi (rappresentati dalle tenebre), e per questo è il
vangelo ritenuto dai Catari come unico autentico.
Gli studiosi hanno distinto 4 parti nel Vangelo giovanneo:
1. Prologo, vv. 1-18, fortemente teologico e filosofico;
2. Libro dei 7 Segni, capp. 1-12, v. 50;
3. Libro della Gloria, centrato sulla vicenda pasquale, capp. 13-20;
4. Epilogo, cap. 21.
Lo scrittore del Vangelo di Giovanni può darsi che sia stato “un discepolo del discepolo
prediletto”, cioè di Giovanni, scrive ancora Brown5, visto che ci troviamo intorno al 90. Il
Vangelo sarebbe comunque stato dettato da Giovanni stesso, ormai molto vecchio.
I.2. Il PROLOGO: IL “LOGOS-VERBUM” E LE SUE IMPLICAZIONI FILOSOFICO-
TEOLOGICHE.
Il Prologo6 può essere diviso in 3 parti:
a) Il Verbo e la sua opera rivelatrice7;
b) L’Incarnazione del Verbo8;
c) Il dono della Rivelazione escatologica e perfetta9.
a)Nella prima parte si ripetono molte volte delle categorie, delle parole chiave, il 1° verso “In
principio era il Verbo” ripete il 1° verso della Genesi “In principio Dio creò”. Inizia qui una
nuova creazione. Il termine latino “Verbum” si traduce nel greco “Logos” (il Vangelo
giovanneo è infatti scritto in greco), che ha una serie infinita di significati, da Parmenide ad
Eraclito, a Platone, ad altri filosofi greci). Anche Filone d’Alessandria, filosofo ebreo, usa il
termine “Logos”. Per Filone il Logos è “parola in atto”, “Dabar” in ebraico, parola che fa
essere le cose. Si trova il termine Logos nella gnosi tra il I° ed il III° secolo d. C.: il Verbo è
qui l’unico intermediario tra Dio e l’uomo, è la circolazione trinitaria. In questi versi c’è
anche il tema dell’esistenza di Cristo, preesistente, “contemporaneo” a Dio e che presiede la
creazione insieme a Dio. Cristo non è creato, ma generato, e della stessa sostanza del Padre,
quindi “Omusias”, non c’è differenza di qualità spirituale tra Dio Padre e Cristo Figlio. Non
c’è subordinazione. La Vita è la Luce, è la Vita autentica, posseduta solo da Gesù, mentre le
5 Ibid.
6 Giovanni, Vangelo, vv. 1-18.
7 Ibid., vv. 1-5.
8 Ibid., vv.6-14.
9 Ibid., vv. 15-18.
7
tenebre costituiscono la luce inautentica, prive della Luce del Logos. Rappresentano,
rispettivamente, Mazda ed Ariman nell’antica religione persiana di Zarathustra o Zoroastro.
E’ presente anche il tema del presunto antigiudaismo del Vangelo: le tenebre sono gli Ebrei,
che non hanno accolto la Luce. Negli anni 30 muore Cristo, nel 70 i romani distruggono il
tempio di Gerusalemme. La distruzione del tempio cambia la società ebraica, che si divide in
Farisei, Sadducei, Esseni, Zeloti. I Sadducei non credevano nella resurrezione dei corpo e
nella vita ultraterrena; i Farisei erano scrivi, rabbini, molto amati dalla popolazione. Gli Zeloti
erano guerrieri, mentre gli Esseni scelsero la via dell’esilio a Qumran ed erano “puritani”
all’eccesso. Le prime comunità cristiane erano costituite da ebrei. I Sadducei spariscono in
pochi anni, mentre aumentano i Farisei, perché dopo la distruzione del tempio il popolo ha
bisogno di guide. Gli Zeloti si suicidano a Masada. Siamo intorno al 90, sta per nascere il
Vangelo di Giovanni. Rimangono pertanto a Gerusalemme soltanto cristiani ed ebrei Farisei. I
giudeo-cristiani che non rinnegano le novità introdotte da Cristo vengono cacciati dal tempio.
Il fenomeno del giudeo-cristianesimo prosegue fino al V° secolo; Paolo di Tarso, un ebreo
decide di aprire l’esperienza cristiana anche ai pagani. I cristiani che non rinnegano Cristo
sono espulsi dalle sinagoghe ebraiche; i cristiani sono quindi stati perseguitati, innanzitutto,
dagli ebrei. Molto complessi, nella Chiesa primitiva, erano pertanto i rapporti tra ebrei e
cristiani10. Grazie all’apertura, da parte di Paolo, del cristianesimo ai pagani, il cristianesimo è
sopravvissuto ed ha avuto maggiori proseliti rispetto agli ebrei: per questo Paolo, e non
Cristo, è considerato il “fondatore” del cristianesimo. La figura di Cristo è stata rivalutata
dall’ebraismo contemporaneo, mentre Paolo, ebreo convertito al cristianesimo, resta il grande
traditore.
b)Nella seconda parte del Prologo (vv. 6-14), relativa all’Incarnazione del Verbo, si parla di
un uomo, Giovanni, si nota quindi un abbassamento del livello teologico11. Giovanni è
mandato da Dio per dare testimonianza (“Martyria” in greco) della Luce. Giovanni è il primo
uomo che segue Gesù12. Gesù è venuto tra gli ebrei, ma questi non l’hanno accolto; quelli che
lo hanno seguito, i figli della Luce, sono i figli di Dio. Il Verbo si fece carne: questo è il
mistero dell’Incarnazione, in cui il Logos si è fatto uomo, cioè Cristo:
10
Sulle tematiche della Chiesa primitiva e del giudeo-cristianesimo si segnalano gli importanti studi di P.C. Bori,
La Chiesa primitiva, Queriniana, Brescia, 1982; M. Simon- A. Benoit, Giudaismo e cristianesimo, a c. di A.
Giardina, Laterza, Bari, 1978; E. Schweizer-A. Dìez Macho, La Chiesa primitiva. Ambiente, organizzazione e
culto, a c. delle Benedettine di Civitella S. Paolo, Paideia, Brescia, 1980; O. Cullmann, La fede e il culto della
Chiesa primitiva, AVE, Roma. 11
Giovanni, Vangelo, v. 6 12
Ancora oggi, in Iraq, i cristiani Mandei seguono Gesù.
8
DIO = > CRISTO, CHIESA, SPIRITO, LOGOS, VERBUM, PAROLA DI DIO = > UOMO.
Il verbo greco “Eskenosen”, usato da Giovanni, significa “porre la tenda, attendarsi” e
corrisponde all’ebraico “Shekhinah”: vuol dire che Cristo è venuto ad abitare tra gli uomini13.
c)Nell’ultima parte del Prologo, Giovanni è l’uomo che deve testimoniare che il Verbo si è
fatto carne: Cristo è preesistente alla creazione, e da Cristo abbiamo ricevuto Grazia su
Grazia, vale a dire una sorta di sommatoria tra la Legge di Mosè (la prima o antica Grazia) e
la Parola di Cristo (la seconda o nuova Grazia), secondo il seguente schema:
PRIMA O ANTICA GRAZIA + SECONDA O NUOVA GRAZIA
LEGGE DI MOSE’ + PAROLA DI CRISTO
All’uomo non è consentito di vedere Dio: la vista umana è incapace di sostenere la Luce
divina14. Nemmeno a Mosè è possibile vedere Dio: solo a Gesù è possibile vedere Dio, poiché
Gesù era in Dio: è questa un’inclusione, in quanto si riprendono qui i primi 3 vv. del Prologo.
Cristo non è quindi venuto ad annullare la Torah, la Legge ebraica, ma a perfezionarla,
integrandola.
I.3. IL PRIMO CAPITOLO: LA FIGURA DI GIOVANNI E L’AUTOCOSCIENZA DI
CRISTO.
Il capitolo inizia con la testimonianza di Giovanni15. Il Vangelo di Giovanni utilizza la
struttura di un processo, con accusati e testimoni. I testimoni sono gli ebrei. Giovanni
testimonia in modo indiretto, mediante cioè la parola di Cristo, in modo “negativo” (“non” è
lui il Cristo) ed elogiativo (di Gesù). Gli ebrei chiedono a Giovanni “Chi sei?” e Giovanni
risponde “Non sono io il Cristo”. Giovanni risponde di non essere il Cristo, né Elia, né il
profeta. Gli ebrei si aspettano un Messia regale, altri un Messia sacerdotale ( i Sadducei).
C’era addirittura chi attendeva la venuta di più Messia. Gli ebrei sono quindi divisi in una
confusione di attese. Il deserto non è il luogo della disperazione, ma il luogo dove gli Esseni
si erano rifugiati, e per questo erano i più puri, il deserto è quindi l’allegoria della purezza.
Cristo andò infatti nel deserto per 40 giorni. Giovanni non dice “Io sono”, perché è ben
consapevole di non essere Cristo, sarebbe stata una bestemmia. Non è, la voce di Giovanni,
quella di uno che parla nel deserto, non è una testimonianza urlata nel nulla. La testimonianza
di Giovanni è indiretta. Gli ebrei, con tono inquisitorio, da processo, chiedono a Giovanni
perché battezzi, visto che non è né il Messia, ne Elia, né il profeta. Giovanni risponde che
13
Giovanni, Vangelo, v. 14. 14
Concetto che sarà poi ripreso nel Paradiso dantesco, in particolar modo nei canti I° e XXXIII°. 15
Giovanni, Vangelo, I, vv. 19-23.
9
battezza nell’acqua nel nome del Messia. Giovanni ha uno spirito forte, combattivo, vicino al
puritanesimo degli Esseni. Il “battista” significa infatti il “battezzatore”. Al tempo di
Giovanni vi erano molti profeti battezzatori. Giovanni battezza per la penitenza, Gesù non
battezza, è battezzato da Giovanni, ma esce subito dall’acqua perché 1) non aveva peccato e
2) voleva tornare subito tra gli uomini. Giovanni è un personaggio scomodo, che ha contrasti
con Erode e con l’aristocrazia ebraica. Giovanni sarà poi arrestato e decapitato. La mamma di
Giovanni, Elisabetta, era cugina di Maria, mamma di Gesù: Gesù ed il battista erano secondi
cugini. Bisogna sempre tenere presente che il Vangelo di Giovanni non è scritto da Giovanni,
ma da successori, da altri discepoli. Si riproduce, cronologicamente, la settimana dei 6 giorni
della creazione dell’Antico Testamento.
Giovanni fa la prima professione di fede: Gesù elimina il peccato dal mondo, Gesù “era prima
di me”, è questo il tema della preesistenza, in cui si riprendono i primi 3 versi del Prologo.
Giovanni battezza con acqua, Gesù battezza con Spirito Santo. Si ribadisce la trinità: Dio ha
inviato Giovanni tramite lo Spirito e Giovanni ha testimoniato Cristo come Colui nel quale si
è posato lo Spirito Santo.
Gesù è l’unione di cielo e terra, immagine dell’arcobaleno, alleanza tra Dio e Noè nell’Antico
Testamento. Agostino aveva detto che gli ebrei sono “testimoni negativi”, che esistono per
soffrire e testimoniare cosa sarebbe capitato ai cristiani se non avessero seguito Gesù. I
cristiani hanno quindi una responsabilità, anche grave, nei confronti degli ebrei.
I vv. 35-42 sono caratterizzati, stilisticamente, da un’inclusione: “fissando lo sguardo”16 si
ritrova sia all’inizio che alla fine di questo passo.
Giovanni si ciba di locuste e miele selvatico, sono 2 cibi incontaminati e quindi puri: in
questo Giovanni si avvicina al puritanesimo degli Esseni, non si tratta quindi di penitenza.
Gesù mostra la sua alta autocoscienza, dichiarandosi “Figlio di Dio” e “Figlio dell’Uomo”: è
inviato da Dio per giudicare i vivi ed i morti e per modificare la Sua Legge. Segue una
professione di fede: “Ecco l’agnello di Dio”17. Gesù si fa chiamare “Rabbi”, cioè “Maestro”18.
Segue la chiamata dei discepoli19: “Venite e vedrete” è una forma ricorrente di chiamata dei
discepoli da parte di Gesù. Il termine “Messia” si trova solo 2 volte: qui ed al cap. IV, v. 25: a
Gesù non piace questo appellativo, che teme possa essere frainteso in senso politico. “Cefa” è
un termine aramaico che significa “Roccia”, cioè “Pietra”, con riferimento a Pietro, primo
pilastro della Chiesa cristiana. L’espressione, infine, “Vieni e vedi” si ritrova al v. 47. 16
Ibid., vv. 35 e 42. 17
Ibid. 18
Ibid. 19
Ibid., vv. 43-47.
10
I pescatori, i 12 apostoli, funzionano come una piccola azienda familiare, di un certo livello.
E’ un’azienda di pesca, hanno una barca stretta, ad un certo punto della loro vita decidono di
lasciare la loro attività per seguire Cristo. Si noti anche che l’espressione “In Verità, in Verità
vi dico” ricorre ben 25 volte in questo Vangelo: Giovanni usa un linguaggio volutamente
ripetitivo, ma anche altamente filosofico, dal quale si evince la figura di filosofo di Giovanni.
I.4. IL SECONDO CAPITOLO: LE NOZZE DI CANA, LA CACCIATA DEI MERCANTI
DAL TEMPIO E LA “PARTICOLARE” CRONOLOGIA GIOVANNEA.
Inizia il “Vangelo dei segni”: questo Vangelo non è “scritto di getto”, ma strutturato e ben
pensato, e anche da questo si evince lo spirito filosofico dell’autore.
Le due parti di questo capitolo costituiscono come un dittico:
1. Le nozze di Cana;
2. Gesù caccia i mercanti dal tempio.
1.C’è una festa di nozze a Cana; era presente anche la madre di Gesù, che dice a Gesù che non
c’è vino: Gesù trasforma allora l’acqua, che non fa festa, in vino, che fa festa. Maria parla
soltanto qui in tutto il Vangelo di Giovanni. Maria è presente al primo miracolo di Gesù e
quasi lo innesca. La madre resta comunque sempre nell’ombra, sceglie, come anche il
Concilio Vaticano II ha sottolineato, la via del nascondimento, pur essendo la madre di Dio. Il
termine “Cana” significa “Acquistare generando”. L’acqua è il simbolo del battesimo e
dell’antica alleanza, mentre il vino rappresenta l’eucarestia, la nuova alleanza ed il sangue del
costato di Cristo, come si evince dal seguente schema:
acqua = > battesimo = > antica alleanza;
vino = > eucarestia = > nuova alleanza = > sangue del costato di Cristo.
Il vino, sangue del costato di Cristo, secondo l’interpretazione paolina corrisponde all’acqua
che Mosè aveva dato al suo popolo in fuga dall’Egitto, nel deserto, in cammino verso la terra
promessa: Mosè aveva allora infatti battuto con il suo bastone una roccia, dalla quale uscì
l’acqua, che è l’acqua del battesimo e della salvezza, che è il mar Rosso, che si apre salvando
il popolo eletto e si chiude facendo affogare i soldati del faraone.
Un sacerdote del Sinedrio accuserà Cristo di aver bestemmiato, quando Gesù afferma che
l’ora non è ancora giunta, riferendosi all’ora della morte.
2.Il profeta Malachia aveva attribuito a Dio il merito di aver purificato il tempio, opera che
viene invece compiuta dal Figlio dell’Uomo, Gesù, che, come si è detto, ha un’altissima
11
autocoscienza di sé, quella di essere il Figlio di Dio. I Sadducei temono questa autocoscienza
che Gesù ha di sé stesso20.
La purezza, per Giovanni, è fondamentale per avvicinarsi a Dio: per questo è importante
anche la purezza nell’alimentazione, quindi mangiare cibi assolutamente incontaminati, come
il miele selvatico o le cavallette del deserto.
Il ministero di Gesù, secondo Giovanni, dura 3 anni, mentre nei vangeli Sinottici dura un solo
anno: in questo caso è sicuramente più affidabile il Vangelo giovanneo.
Gesù caccia i mercanti dal tempio e viene indicato dai Sadducei: il tempio era stato costruito
in 46 anni, che Gesù dice di poter ricostruire in soli 3 giorni. Caifa, il gran sacerdote, capo del
Sinedrio, lo accuserà di Blasfemia, e Gesù è consapevole del fatto di incorrere, così facendo,
nell’ira dei giudei. Gesù caccia i mercanti con una frusta di cordicelle perché nel tempio era
assolutamente vietato portare armi. Siamo intorno al 28 d. C., perché il tempio era stato
costruito intorno al 20 a.C. Come non è attendibile la convenzionale data della nascita di
Gesù nell’anno 0 per un errore del monaco Dionigi il Piccolo al momento in cui redasse il
calendario, nel VII° secolo, così non è attendibile il fatto che Cristo sia morto all’età di 33
anni, mentre è molto più probabile che sia deceduto all’età di 36-37 anni. Cristo, in realtà,
sarebbe nato intorno al 6-7 a. C., ed Erode sarebbe morto nel 4 a. C.
I.5. IL TERZO CAPITOLO: L’INCONTRO CON NICODEMO E LA TECNICA DEL
“DIALOGO-MONOLOGO”.
Gran parte di questo capitolo è occupato dal colloquio di Gesù con Nicodemo. Il nome
Nicodemo è greco, “Niche” significa “Vittoria”21 e “Demos” vuol dire “Popolo”: Nicodemo
significa quindi “Popolo vittorioso”. Nicodemo era uno dei 3 più ricchi uomini di
Gerusalemme, poi finito in miseria, non è quindi un personaggio fittizio, ma realmente
esistito22. Questo è il primo grande incontro di Gesù: questo dialogo si trasforma quasi in un
monologo, in quanto chi parla è quasi sempre Gesù, che fa la predica a Nicodemo.
1.Nicodemo,
2.La Samaritana,
3.Il funzionario regio, a cui Gesù guarisce un figlio,
20
Ibid., I, v. 51, e Libro del profeta Malachia, III, 1, in Antico Testamento. 21
Si pensi alla “Niche di Samotracia” nella scultura classica, che tende quindi a significare la vittoria di
Samotracia. 22
Si consideri che “Il Volto Santo”, antichissima scultura lignea di Cristo, pervenuta su una nave ed oggi
conservata nel Duomo di Lucca, ha origine avvolte nel mistero, ma molti archeologi la fanno risalire a
Nicodemo.
12
sono 3 candidati alla fede, come afferma Tognocchi23, che rispondono ad un crescendo
continuo. Chi meglio risponde alle richieste di Gesù è il funzionario regio.
1.Nicodemo incontra Gesù di notte;
2.La Samaritana incontra Gesù a mezzogiorno;
3.Il funzionario regio incontra Gesù un’ora dopo mezzogiorno.
Questa cronologia rappresenta il graduale passaggio dalle tenebre alla Luce.
Nicodemo non è in realtà il “popolo vittorioso”: qui l’ironia giovannea, in quanto Nicodemo è
un ebreo e gli ebrei non sono certo il popolo vittorioso. Spesso gli interlocutori di Gesù, come
Nicodemo, in tutto il Vangelo, non comprendono il significato allegorico delle parole di Gesù.
Gesù dice a Nicodemo che sarà “innalzato”, ma intende l’innalzamento sulla croce. Gesù
viene chiamato con vari appellativi, “Rabbi”, “Maestro”, “Figlio dell’Uomo”, “Profeta”, tutti
appellativi che Gesù accetta volentieri, mentre non accetta il titoli di Messia, che Gesù non
usa mai per sé, perché teme che tale appellativo possa essere frainteso in senso politico, come
condottiero, come cioè si aspettano gli Zeloti. La conclusione del III° capitolo è una parte
transitoria che prepara l’importante incontro con la samaritana, con cui inizia il capitolo
successivo. Spesso le ultime parti dei capitoli del Vangelo giovanneo hanno questa funzione
transitoria: in quest’ultima parte il Battista dichiara esplicitamente a chi glielo chiede che lui
“Non è il Cristo”. Giovanni non attribuisce molta importanza alla parentela di cugini tra lui e
Cristo, a differenza del Vangelo di Luca, che invece insiste su questo aspetto. A Giovanni il
Battista interessa invece chiarire la differenza di ruoli tra lui e Gesù. Giovanni è destinato a
scomparire, infatti, a differenza di Gesù.
I.6. IL QUARTO CAPITOLO: L’INCONTRO CON LA SAMARITANA E LA
GUARIGIONE DEL FIGLIO DI UN FUNZIONARIO REGIO. LA SIMBOLOGIA
GIOVANNEA: IL “LIBRO DEI 7 SEGNI”.
Galilea, Giudea e Samaria sono 3 “sotto-regioni” della Palestina. Il IV° capitolo si può
articolare in 2 parti:
1.l’incontro con la samaritana24;
2.la guarigione del figlio di un funzionario regio25.
23
E. Tognocchi, La preghiera di Gesù sulla croce, ed. Il dialogo, Marina di Pietrasanta (LU), 2008. 24
Giovanni, Vangelo, IV, vv. 1-42. 25
Ibid., ultimi 10 versi.
13
L’incontro con la samaritana è una parte molto ampia di questo capitolo. Gesù arriva a Sicar
(Giovanni è sempre molto preciso sulla localizzazione geografica). I samaritani erano invisi
agli ebrei perché non erano ebrei ed erano immigrati.
Dopo questa introduzione, inizia il dialogo, Gesù si presenta come il Profeta, in seguito la
donna lo chiamerà Messia. Il contenuto teologico è qui molto alto. Si distinguono 2 acque:
1.l’acqua della samaritana, chi la berrà avrà ancora sete;
2.l’acqua di Gesù, chi la berrà non avrà più sete.
L’ora in cui si svolge l’incontro è l’ora sesta, cioè mezzogiorno, la stessa ora in cui Pilato
proclamerà Gesù “Rex Iudeorum”. Gesù si rivolge ad una donna, e per di più ad una donna
non ebrea. L’acqua viva è quella che dà Gesù, simbolo del Nuovo Testamento e della legge
dell’Amore, non quella di Giacobbe nell’Antico Testamento, che è simbolo della Torà,
secondo la seguente scaletta:
1.Giacobbe => Antico Testamento => Torà;
2.Gesù => Nuovo Testamento => legge dell’Amore.
Gesù è venuto non ad abolire l’antica Legge, ma ad integrarla con la sua Legge. L’intento di
Gesù è sempre quello di elevare la persona dal livello umano ad un livello superiore. E’
sempre Gesù che cerca i personaggi e si rivolge loro con la parola. La donna ha avuto 5
mariti: il riferimento religioso è alle 5 divinità pagane adorate dai samaritani, e Gesù lo sa.
Nel corso del brano si assiste ad un crescendo della figura di Gesù: un Uomo, un Giudeo, un
Profeta, un Messia, il Cristo, il Salvatore del mondo. Anche Tognocchi26 ha sottolineato che
coloro che meglio riconoscono Gesù sono i pagani, come la samaritana ed il centurione
domano quando Gesù è sulla croce, poiché vede il Salvatore del mondo nella sua sanguinante
nudità, e non gli ebrei. L’attuale marito della donna, il 6°, non è suo marito: il riferimento è
qui al popolo romano. La samaritana lascia lì la sua brocca e torna in città dalla sua gente:
lascia la brocca perché quell’acqua del pozzo non è più importante, ora c’è l’acqua di Gesù,
che è la salvezza. Gesù torna infine dai suoi discepoli e gli dice che i campi sono pronti per la
mietitura: i campi sono i samaritani, pronti per la mietitura, cioè ad accogliere Cristo, secondo
la seguente mappa concettuale:
1.campi => samaritani;
2.pronti per la mietitura => ad accogliere Cristo.
Negli ultimi 10 versi del capitolo Gesù guarisce il figlio di un funzionario regio: Gesù torna a
Cana, in Galilea, il luogo dove aveva trasformato l’acqua in vino. Un funzionario del re (non
26
E. Tognocchi,…cit.
14
ha un nome) incontra Gesù un’ora dopo mezzogiorno: il figlio è gravemente malato ed il
funzionario chiede a Gesù di guarirlo. Gesù gli dice che il figlio vive ed il funzionario crede
subito alle parole di Gesù, a differenza di Nicodemo e dei molti dubbi della samaritana. A
Cana c’è quindi questo secondo ed ultimo “segno” (non si parla di “miracolo”) di Gesù,
proprio a Cana dove c’era stato il primo segno, quello della trasformazione dell’acqua in vino:
è questa un’altra inclusione.
I.7. IL QUINTO CAPITOLO: LA GUARIGIONE DELL’INFERMO, L’OSTILITA’
EBRAICA E L’ESCATOLOGIA GIOVANNEA.
Gesù guarisce qui un infermo, esattamente un paralitico nella piscina di Betsaida nel giorno di
sabato, ma non è peccato far del bene di sabato, Dio opera anche nel sabato. Gli ebrei
vogliono uccidere Gesù, che considerano un arrogante per essersi comportato come Dio,
guarendo nel giorno di sabato, ma Gesù risponde a Filippo “Chi ha visto me, ha visto il
Padre”, come ci riporta Brown27.
Inizia qui28 una nuova sezione del Vangelo di Giovanni, caratterizzata
1.da una crescente ostilità degli ebrei verso Gesù;
2.dal fatto che Giovanni passa in rassegna le principali feste del giudaismo (shabat o sabato,
della Pasqua, delle capanne).
Il Vangelo giovanneo occupa uno spazio temporale più ampio (3 anni) rispetto ai Sinottici (1
anno soltanto): Gesù, in questo Vangelo, vive quindi 3 pasque.
Gesù guarisce il paralitico, come si è detto, di sabato, nella piscina di Betsaida, una piscina
con 5 portici, ancora oggi esistente a Gerusalemme. L’uomo era malato da 38 anni, che
coincidono con gli anni di peregrinazione degli ebrei nel deserto. Giovanni usa varie volte il
verbo “cammina”: allude al cammino del popolo ebraico, il cammino di fede verso Gesù,
come illustrato dalla seguente mappa concettuale, che va letto sia in senso orizzontale che
verticale:
1.Infermo = > ebrei;
2.Cammina => popolo in cammino verso;
3.Gesù = > la Salvezza.
Gli ebrei avevano elencato 39 azioni che non si possono fare di sabato, tra cui sollevare
oggetti pesanti, come la barella. L’infermità per Gesù è il peccato29.
27
R. Brown,…, cit., p. 34. 28
Giovanni, Vangelo,…, cit., V°, vv. 1-18. 29
Ibid., v. 14.
15
Segue, da parte di Gesù, l’apologia di sé e della sua opera30. Ricorre qui per ben 3 volte
l’espressione di Gesù “In Verità, in Verità vi dico”, per sottolineare l’importanza di ciò che si
sta per dire. Si insiste non più sul verbo “camminare”, ma “fare”, che è il verbo della
creazione: il figlio non può far nulla senza che il Padre non voglia. Chi ascolta Gesù, ascolta il
Padre ed avrà la vita eterna: è questo il centro dell’escatologia giovannea. Il miracolo in sé,
infatti, scompare, è solo l’occasione per il discorso escatologico di Gesù, che accenna al
giudizio finale.
Gesù adduce 4 testimonianze31 (“Martyria”, infatti i “martiri”, letteralmente, dal greco, sono i
“testimoni”) della sua opera: come in un regolare processo, Gesù sa che non vale la propria
testimonianza per sé stesso. La prima testimonianza è quella di Giovanni, ma Gesù stesso non
la considera sufficiente. Una testimonianza superiore è quella delle Opere che il Padre gli ha
dato da compiere. Le Scritture sono la quarta testimonianza, ricevuta da Mosè, che non ha
visto il volto di Dio, ma ha ricevuto da Dio stesso le tavole della Legge, cioè le Scritture.
Quindi, riepilogando nel seguente schema, le 4 testimonianze risultano essere le seguenti:
1.Giovanni;
2.Opere;
3.Padre;
4.Scritture.
Ma gli ebrei non hanno compreso le Scritture, se le avessero comprese avrebbero capito che
Gesù è il Cristo, cioè Dio stesso, perché Gesù è preesistente e “contemporaneo” di Dio al
tempo stesso. Gli ebrei non hanno nemmeno capito Mosè, perché Mosè parla di Gesù, che è
Dio, quindi, afferma Gesù, gli ebrei non hanno creduto nemmeno a Mosè.
I.8. IL SESTO CAPITOLO: LO “SPEZZAMENTO” DEI PANI, IL SACRO, IL RAPPORTO
GERARCHICO FRA TEOLOGIA E CONOSCENZA FILOSOFICA.
Nel VI° capitolo si assiste al “segno” dello “spezzamento dei pani e dei pesci” (in greco
“Klasis Toù Artoù”): non si tratta infatti di “moltiplicazione”, come afferma giustamente
ancora Tognocchi32, ma di “spezzamento” nel senso cristiano di “condivisione comunitaria”,
mentre la “moltiplicazione” sarebbe un evento miracoloso non comprensibile all’uomo, e
30
Ibid., vv. 19-30. 31
Ibid., vv. 31-47. 32
E. Tognocchi, La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, ed. Il dialogo, Marina di
Pietrasanta (LU), 2005. Quanto Tognocchi afferma riguardo al Vangelo marciano è indiscutibilmente valido
anche per il Vangelo Giovanneo, in quanto Tognocchi non si cimenta in un’analisi testuale, ma interpreta a
livello l’evento in questione. Cfr. anche E. Tognocchi, Le nozze di Cana, ed. Cittadella, Assisi, 1991, ma questo
testo non è più in commercio. Si tenga presente che Tognocchi è un sacerdote cattolico.
16
quindi estraneo al messaggio cristiano di “Ecclesia” nel senso greco di “Assemblea”,
“Mensa”; non si tratta quindi di un gioco di prestigio o magia, quest’ultima esplicitamente
condannata dall’etica cristiana.
Gesù non cerca altri pani ed altri pesci, non li moltiplica, ma divide quelli che ci sono: con il
suo atto misericordioso Gesù vuole la proprietà di pochi sia condivisa fra tutti: è questo un
tratto “sociale” dell’insegnamento cristiano che ben si allontana dall’avidità ebraica. In altro
modo, il pane non sarà mai sufficiente, sarà sempre troppo per alcuni e mancherà per altri.
Gesù passa a Tiberiade, sull’altra riva del mare di Galilea (in realtà si tratta di un lago). Vi
sono qui molti riferimenti e similitudini con l’Antico Testamento: Gesù è Mosè e come Mosè
sale sul monte. E’ vicina la seconda Pasqua, son già passati 2 anni. Un ragazzo ha 5 pani
d’orzo (è il pane dei poveri, quello d’orzo). Il riferimento è un’anticipazione dell’ultima cena:
Gesù prende il pane e lo dà a colui che è seduto. Il pane avanzato va raccolto, non disperso,
poiché ciò sarebbe una dispersione del sacro33. Nel testo greco giovanneo non compare il
verbo greco “moltiplicazione”, gesto miracoloso, come si è detto, ma “spezzamento”, atto che
tutti possono e debbono compiere. Il mondo può essere salvato solo nella logica dello
spezzamento34.
Gesù cammina sulle acque35 (molti pittori si sono ispirati a questa scena): c’è un riferimento
all’Antico Testamento36, in cui Javè salva il suo popolo camminando sulle acque,
nell’episodio del mare dei giunchi sul mar Rosso. Era buio, in discepoli erano lontani dal lago
di Tiberiade (qui chiamato “mare”), che era agitato: le tempeste di lago sono peggiori di
quelle marine. “Io sono” dice Gesù, nel senso di “Sono Io” ( in greco “Egò Eimì”), un atto di
totale autocoscienza da parte del Cristo. E’ una formula di identificazione divina. Gesù opera
miracoli a Cafarnao, a Betsaida, ma mai a Tiberiade. L’ espressione “In Verità, in Verità vi
dico” prelude ad una parte di alta teologia, sul rapporto tra rivelazione e fede, quest’ultima
intesa come risposta umana alla rivelazione37. Si distinguono 2 pani, come risulta dal seguente
schema:
1.Il pane del Padre, che consiste nella presenza del Figlio;
2.Il pane del Figlio, che consiste nell’Eucarestia.
33
Questo aspetto è un punto forte della comunità di S. Pio X e dei religiosi lefebriani, contrari ancora oggi, ad
esempio, alla somministrazione dell’Eucarestia nelle mani dei fedeli invece che in bocca direttamente dal
sacerdote: ciò significherebbe infatti una dispersione del Sacro, dell’ostia, che è il Corpo di Cristo. 34
E. Tognocchi, La moltiplicazione…,cit. 35
Giovanni, Vangelo, VI°, v. 16. 36
Libro dei Salmi, 77, in Antico Testamento. 37
Secondo quanto afferma la teologia fondamentale.
17
Nell’Antico Testamento si personifica la Sapienza come colei che dà il pane38; qui Gesù si
sostituisce alla Sapienza. Dio dà a tutti la salvezza: chi vede (cioè chi crede) in Gesù è
salvato: è questo il messaggio cristiano di salvezza universale. Nell’Antico Testamento il pane
era dato da Mosè, era la manna nel deserto, che pioveva dal cielo, nel Nuovo Testamento il
pane è Gesù Cristo stesso, e chi si sazia di Lui non muore, mentre si muore lo stesso anche
cibandosi della manna piovuta dal cielo, come illustra il seguente schema:
1.pane nell’Antico Testamento: Mosè = > Manna dal cielo = > si muore;
2.Pane nel Nuovo Testamento: Gesù = > si vive in eterno.
Solo Gesù è quindi il Pane della Vita e chi lo mangia non muore. Gesù non potrà però dare
immediatamente il Pane della Vita: dovrà prima morire sulla croce e risorgere. Gesù offre la
sua carne ed il suo sangue: gli ebrei non potevano mangiare la carne se prima non era stato
calato tutto il sangue. L’espressione giovannea per “mangiare il pane” è “masticare il pane”: è
questa un’immagine molto forte che sottolinea l’idea della continuità.
Chi beve e si ciba della sapienza, avrà ancora fame e sete di lei, avrà ancora desiderio di
sapienza, chi si ciba del corpo e del sangue di Cristo, Unica Verità, sarà sazio: è questa la
profonda differenza, operata da Giovanni, tra il sapere filosofico e la fede, quest’ultima è
ritenuta, come si evince, superiore alla prima.
La parola di Gesù è dura: ritorna il tema del Prologo, quello della preesistenza di Gesù: si
svaluta la carne, che non giova, mentre le parole sono Spirito. Si allude, alla fine, ad un
traditore fra gli apostoli (Giuda), definito un “diavolo”. Pietro ribadisce la fede in Cristo,
prima la fede, poi la conoscenza39.
I.9. IL SETTIMO CAPITOLO: LA FESTA DELLE CAPANNE. STORIA E GEOGRAFIA
GIOVANNEA: COORDINATE SPAZIO-TEMPORALI.
In questo capitolo si parla della festa delle capanne, è la più importante festa ebraica dopo il
sabato. E’ un’antica festa connessa inizialmente con pratiche agricole, ma poi è stata associata
ad un evento storico-religioso, quello dell’esodo del popolo ebraico, durato 40 anni, nelle
tende, nel deserto. Gesù sale qui a Gerusalemme, va in Galilea, da dove era originario, ma non
in Giudea, perché i giudei volevano ucciderlo. Tra la Galilea e la Giudea non c’erano buoni
rapporti. Gesù non è ben visto a Gerusalemme perché proveniva dalla Galilea. Inoltre in
Galilea ci si meravigliava di come Gesù potesse insegnare, perché non aveva studiato.
38
Libro del Siracide, cap. XXIV°, in Antico Testamento. 39
Giovanni, Vangelo, …,cit., VII°, v. 69.
18
Gesù usa qui il termine “fratelli” a)in senso generico o b)come fratellastri, secondo i Vangeli
apocrifi, dipende dalle interpretazioni, in quanto Giuseppe, molto più anziano di Maria,
sarebbe un vedovo con altri figli.
Anche Gesù va alla festa delle capanne, ma ci va di nascosto perché, non essendo ancora
venuto il suo tempo, non vuole essere additato come Maestro. Dopo va al tempio ed insegna
all’interno del tempio, e gli ebrei si stupiscono che Egli conosca le Scritture, non avendo
studiato. Gesù risponde che la dottrina non è sua, ma di chi lo ha mandato (Dio). Non c’è però
da stupirsi che un giudeo conosca le Scritture, in quanto nel mondo antico il popolo ebraico è
l’unica popolazione che non ha conosciuto l’analfabetismo40. Gesù conosceva l’ebraico,
l’aramaico (un dialetto ebraico)41 il greco ed il latino42.
Gesù insegna:
1.una dottrina soprannaturale;
2.la fedeltà alla Legge di Mosè;
3.la sua origine divina;
4.il fatto che è imminente il suo ritorno al Padre, quindi la sua morte e risurrezione.
Gesù accusa qui i giudei di non rispettare le Legge di Mosè, poiché praticano abitualmente la
circoncisione di sabato, mentre Gesù ha, una sola volta, guarito un paralitico nel giorno di
sabato. Gesù rivendica la sua doppia origine: natura umana e divina43. Allora i giudei cercano
di arrestarlo, ma non ci riescono perché non era ancora giunta la sua ora, come Gesù stesso
precisa: fallisce quindi il primo tentativo di cattura di Gesù. Ma è ormai prossimo il tempo
della sua morte, afferma Gesù stesso. Dove Gesù andrà, cioè dal Padre, gli ebrei non potranno
andare, lo cercheranno, ma non lo troveranno e, come spesso è accaduto, non
comprenderanno le Sue parole.
Gesù arriva in ritardo alla festa delle capanne, quando questa è ormai alla fine, e Gesù, a
questo punto, vuole essere il protagonista della festa. Si presenta come “acqua viva” (segno
dell’autocoscienza di Gesù). Invita a bere chi crede in Lui. La gente, dopo il discorso di Gesù,
si chiede chi era costui, se era il Cristo, ma il Cristo non può venire dalla Galilea: gli Ebrei
disprezzano quelli che vengono dalla Galilea, considerati ignoranti. I Farisei disprezzano le
40
Anche nei tempi successivi, fino ad oggi, gli ebrei sono noti per essere dei grandi studiosi; i nazisti temevano
infatti l’istruzione degli ebrei, che per questo vietarono, prima costituendo delle “scuole ebraiche” e proibendo
agli ebrei di andare a scuola insieme agli ariani, poi vietando loto ogni forma di cultura per poi procedere alla
ghettizzazione ed all’eliminazione nei lager. 41
In Siria, sopra Damasco, oggi è ancora parlata la lingua aramaica, praticata anche da comunità di suore
coltissime intente a tradurre gli antichi codici. 42
Come testimoniato anche dal celebre film di Mel Gibson The passion, 2004. 43
Giovanni, Vangelo,…, cit., VII°, v. 28.
19
guardie che non hanno arrestato Gesù. Nicodemo interviene in difesa di Gesù, ma non viene
ascoltato dai Farisei: si nota qui, da parte dell’evangelista44, una rivalutazione di Nicodemo,
che precedentemente aveva ascoltato Gesù.
I.10. L’OTTAVO CAPITOLO: LA LEGGE EBRAICA E LA LEGGE DELL’AMORE.
L’INCONTRO CON L’ADULTERA.
E’ questo l’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni che sarà trattato dal punto di vista
esegetico, in quanto i rimanenti occupano un’importanza marginale rispetto all’oggetto della
tesi in questione. I rimanenti capitoli saranno infatti considerati solo per sommi capi.
Per Grun45 i primi 11 versi del capitolo sono autografi di Giovanni, a differenza di quanto
pensano molti esegeti, per i quali il presente capitolo sembra un episodio inserito in seguito,
ma estraneo al contesto dell’opera giovannea, ed assomiglierebbe più al Vangelo di Luca.
La legge giudaica era maschilista: la donna adultera veniva lapidata. I Farisei presentano a
Gesù una donna adultera, per mettere alla prova Gesù e condannarlo. Ma Gesù pronuncia le
celeberrime parole: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Gesù scrive sulla terra con il
dito, forse per prendere tempo, mentre la folla si allontana a cominciare dai più anziani, che
sono quelli che, nella loro lunga vita, hanno maggiormente peccato. Agostino interpreta
questo passo affermando che quando la gente se ne va, sono rimasti in 2, Gesù e la donna
adultera, cioè la Misericordia, rispettivamente, e la misera, la soccorsa. Gesù rende libera la
donna, che non deve più peccare. Gli ebrei volevano far cadere Gesù in un tranello: se
l’avesse assolta, avrebbe tradito la legge ebraica, se l’avesse condannata, avrebbe tradito la
legge romana. Honi era un predicatore che aveva l’abitudine di ascoltare la gente scrivendo
sulla sabbia ed era vissuto circa 50 anni prima di Gesù: Può darsi che l’atteggiamento di Gesù
ricordi quello di Honi, scrivendo sulla terra. Gesù scrive sulla terra perché forse sa scrivere:
l’analfabetismo non aveva infatti riguardato il popolo ebraico, come si è già detto. E’ certo
che Cristo sapesse leggere, poiché conosceva le scritture, ma non ci sono prove che sapesse
scrivere, anche se è molto probabile che fosse in grado di farlo, ovviamente riferendoci
sempre al Cristo fattosi uomo. Gesù, come Socrate, come Budda, non ha scritto niente: i
grandi saggi hanno preferito il dialogo allo scritto, come forma diretta di conoscenza. I Farisei
comunicano a Gesù che la sua propria testimonianza non è sufficiente, ma qui, ancora una
volta, emerge in modo deciso e crescente l’autocoscienza di Gesù nelle parole “Io Sono” 44
L’evangelista in questione è ovviamente Giovanni. Il termine “Vangelo” deriva dal greco e significa “buona
novella”, dal greco “Eù” che significa “buono/a” e “Vanghelion”, che significa “novella”. L’evangelista è quindi
colui che narra una buona novella. 45
A. Grun, Gesù, porta della vita. Il vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia, 2003.
20
(“Egò Eimì”, in greco). Dove Cristo va, i Farisei non possono andare: la testimonianza di
Gesù non necessita di altre testimonianze, già portate precedentemente e qui nuovamente
citate, come la Legge ed il Padre. Gesù afferma infine che il Padre suo non lo ha lasciato solo:
non lo lascerà solo nemmeno sulla croce46.
I.11 GLI ULTIMI CAPITOLI: IL “LIBRO DELLA GLORIA”, L’EPILOGO E LA
“VICENDA PASQUALE”. IL CONFLITTO TRA “AGAPE” ED “EROS”. “DIAKONIA”,
“MARTYRIA” E RISURREZIONE.
Gesù sa di dover morire, in obbedienza al disegno salvifico del Padre47, e piange dopo la
morte di Lazzaro48, facendo così emergere la sua natura profondamente umana. Caifa, il gran
sacerdote, capo del Sinedrio, vuole la morte di Gesù49, ma la morte di Gesù sarà come il
chicco di un grano, che cadendo sulla terra produrrà molti frutti50: la caduta rappresenta infatti
la morte, e la produzione dei molti frutti simboleggia invece la risurrezione.
Gesù manifesta, con la lavanda dei piedi51, la sua umanità nel servizio (“Diakonìa” in greco)
agli altri, ma i suoi discepoli non sono “tutti puri” 52 ed “era notte”53 quando uno di loro lo
tradì54. Gesù ribadisce che è venuto ad integrare la Torà con un comandamento nuovo, quello
dell’Amore cristiano (“Agape” in greco, e non “Eros”, che è invece l’amore dionisiaco, ebbro
e indisciplinato), non a distruggerla55, ed è consapevole che deve morire56.
Gesù manifesta, in quest’ultima parte del Vangelo, anche la sua ferma autorità quando,
rivolgendosi ai suoi discepoli, ha detto: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”57.
Negli ultimi 3 capitoli, il XIX°, il XX° ed il XXI°, che chiudono il Vangelo, Gesù presenta la
madre Maria come la novella Eva, madre spirituale di tutti i credenti58 e poi, “chinato il capo,
consegnò lo spirito”59: questo verbo “consegnò” ci presenta la cosiddetta “teoria della
46
E. Tognocchi, La preghiera…, cit. 47
Giovanni, Vangelo,…, cit., cap. X°, v. 18. 48
Ibid., cap. XI°, vv.33- 35. 49
Ibid., vv. 49- 51. 50
Ibid., cap. XII°, vv. 24-25. 51
Ibid., cap. XIII°, vv. 3-11, 14, 16, 19-20. 52
Ibid., v. 11. 53
Ibid., v. 30. 54
Giuda Iscariota. 55
Ibid., vv. 34-35. 56
Anche nella consapevolezza dell’imminenza della morte, Gesù dimostra la sua autocoscienza. L’amore dei
Greci pagani, ebbro e indisciplinato, è quello prediletto da F. Nietzsche nell’esaltazione dello spirito dionisiaco
sull’apollineo, celebrata ne La nascita della tragedia, la sua grande opera giovanile. 57
Giovanni, Vangelo,…, cit., cap. XV°, v. 16. 58
Ibid., cap. XIX°, vv. 26-27. 59
Ibid., v. 30.
21
consegna trinitaria”, in quanto Cristo, con la sua morte ed il ritorno al Padre, riconsegna al
Padre lo Spirito Santo che lo ha legato a Lui ed agli uomini sulla terra.
I.12. IL DIBATTITO STORIOGRAFICO SULLA SPECIFICITA’ DEL VANGELO
GIOVANNEO E SUI SUOI RAPPORTI CON IL GIUDAISMO: GIOVANNI
“ANTIGIUDAICO” O “LONTANO DAL “ GIUDAISMO” ?
Il Vangelo giovanneo è universalmente considerato il più “antigiudaico” fra tutti i Vangeli:
analizzeremo la veridicità di questo giudizio mediante una disamina della storiografia più
recente in materia, al fine di vedere in quale misura sia possibile stabilire quanto sia
“antigiudaico” lo scritto dell’evangelista o semplicemente “lontano dal giudaismo”.
Gianfranco Ravasi è forse il più famoso biblista italiano a livello divulgativo; nel suo testo60,
che è un ‘classico’, segue lo schema dei vari capitoli del Vangelo giovanneo in modo chiaro
ed esegetico, quindi risulta essere una buona guida alla lettura, in cui si nega l’aspetto
“antigiudaico” del Vangelo per insistere su quello simbolico, come, ad esempio, l’acqua della
samaritana e l’acqua di Cristo. Particolare importanza Ravasi conferisce alla parte del
Vangelo relativa alla festa delle capanne, alla quale Gesù arriva soltanto alla fine. Nel I°
volume l’autore interpreta simbolicamente i segni del IV° Vangelo61: l’acqua di Gesù è l’
”acqua viva”, che dà la vita eterna, il fuoco dei bracieri della festa delle capanne dà la Luce, la
Luce di Cristo che brilla nelle tenebre, irradia, illumina la storia. Il cerchio, simbolo di
perfezione, rappresenta l’universalità della presenza divina e racchiude la storia umana.
Questi “segni”, intesi da Ravasi nel duplice senso di
a.miracoli e
b.simboli
sono stati scritti affinché l’uomo creda62.
Ravasi interpreta inoltre il Logos del “Prologo” come Parola e come Cristo: Cristo è Parola,
ma anche azione, o meglio “Dabar”, in ebraico “parola in atto”.
Il studio di Ravasi è quindi una guida lineare al IV° Vangelo che insiste sull’interpretazione
simbolica, e non si può parlare di “antigiudaismo” in Giovanni63.
Parlando della festa delle capanne, Ravasi sostiene che Gesù arriva a festa iniziata perché non
vuole essere additato come il Maestro.
60
G. Ravasi Il vangelo di Giovanni, voll. I/II, EDB, Bologna, 2004. 61
Ibid., vol. I°, p. 5. 62
Ibid., p. 7. 63
Ibid., pp. 31/33.
22
Ravasi interpreta simbolicamente anche i 3 personaggi incontrati da Gesù all’inizio del
Vangelo, secondo il seguente schema:
a. Nicodemo è l’ebreo osservante64 (non a caso incontrato di notte);
b. La Samaritana rappresenta l’ebreo eretico65;
c. Il funzionario regio simboleggia il pagano, l’unico che riconosce Cristo immediatamente.
Nel II° volume l’autore sottolinea come spesso i discepoli non comprendano le parole di
Gesù, i cui dialoghi si risolvono spesso in monologhi66, poi parla della teoria della consegna
trinitaria67 quando Gesù “consegnò il suo spirito”, alla fine del Vangelo, come si è visto,
sottolinea i caratteri del Gesù umano, che piange sulla tomba di Lazzaro e si arrabbia68 ed
infine insiste sull’antitesi tra Gesù, che è la Luce, e le Tenebre69.
Per lo studioso Poppi70 il Vangelo di Giovanni è molto simbolico, di alto contenuto teologico
e dimostra un forte radicamento nell’ambiente palestinese, come dimostrano le esatte
informazioni storiche e topografiche71.
Dopo l’Introduzione, segue una sintesi guidata del IV° Vangelo: anche se è probabile uno
sviluppo in vari stadi del IV° Vangelo, la sostanziale unità del testo giovanneo è ormai,
afferma poppi, largamente riconosciuta dagli studiosi. Il IV° Vangelo per Poppi ha un
carattere più unitario rispetto ai Sinottici ed è sicuramente più originale anche nella struttura.
Il contenuto, teologico e filosofico, è altamente dottrinale ed ha un significato fortemente
escatologico. Molto probabilmente fu composto tra il 90 ed il 100, il vocabolario è povero e
volutamente ripetitivo, frequentemente si usano parole “a doppio senso”. Il Gesù di Giovanni,
per Poppi, non è un Dio accanto ad un Dio, ma è colui nel quale Dio si fa riconoscere, e i
destinatari dello scritto giovanneo sono tutti i cristiani, provenienti sia dal giudaismo che dal
paganesimo. Dal momento che mancano, nel Vangelo in questione, espliciti riferimenti alla
missione universalistica della Chiesa, perché mancano verbi come “predicare”, alcuni esegeti,
conclude Ravasi, hanno considerato la teologia giovannea come “ripiegata su sé stessa”, tesa
ad escludere una prospettiva universale della Salvezza72.
Grun è biblista, letterato, filosofo e sottolinea il valore allegorico del Vangelo giovanneo, che
va sempre letto tenendo presenti due livelli:
64
Ibid., p. 59. 65
Ibid., p. 62. 66
Ibid.,vol. II°, p. 15. 67
Ibid., p. 25. 68
Ibid., pp. 37/38. 69
Ibid., p. 77. 70
A. Poppi, Sinossi dei quattro vangeli, Il Messaggero, Padova, 1990. 71
Ibid., Introduzione. 72
Ibid., pp. 401-429.
23
a. Uno letterale;
b. Uno più profondo, come, ad esempio, nei dialoghi di Gesù con i discepoli, che si risolvono
in monologhi perché Gesù insegna ai suoi discepoli; in questi dialoghi ricorrono spessissimo i
verbi “trovate”, “vedrete”, “cercate”.
Anche i numeri hanno un valore simbolico: 10, ad esempio, è il numero della pienezza, della
perfezione. L’intento dell’evangelista per Grun è quindi
1. Raccontare l’accaduto, e questo è il primo livello, quello letterale e più semplice;
2. Chiamare ed educare il lettore, e questo sottolinea il valore pedagogico del Vangelo
giovanneo73.
Grun è un monaco benedettino tedesco, autore di tanti testi di mistica e spiritualità; è nato in
Germania negli anni ’30. Legge il Vangelo di Giovanni in chiave mistico-spirituale, quindi il
suo approccio è mistico, e non esegetico come quello di Ravasi.
Fumagalli invece presenta i vari personaggi del Vangelo di Giovanni, come la Maddalena e
Nicodemo e prosegue la tesi74 dell’enciclica “Deus charitas est” (“Dio è Amore”) del papa
emerito Benedetto XVI°.
Il già citato Raimond Brown, morto nel 1998, è stato uno dei più grandi studiosi di Giovanni.
Non è tanto presente, in lui, l’aspetto esegetico, “scientifico”, quanto quello “appassionato”.
Immagina un ritiro spirituale in compagnia dell’evangelista Giovanni, in cui l’evangelista
corregge Brown e dialoga con lui75.
In conclusione, il problema del presunto “antigiudaismo” o “allontanamento” dall’ebraismo
presente nel Vangelo giovanneo è ancora aperto ed oggetto di studi e ricerche, tutt’oggi in
corso.
73
A. Grun, Gesù porta…, cit. 74
A. Fumagalli, Come lui ha amato. L’eros di Gesù, ed. San Paolo, 2010. Si consideri che Fumagalli è un giovane
sacerdote, ordinato nel 1991. 75
R. Brown, Un ritiro spirituale…, cit.
24
CAPITOLO II°: L’EPISTOLARIO PAOLINO
II.1. LA VITA E LA FIGURA DI PAOLO DI TARSO. IL CONTESTO STORICO-
GEOGRAFICO E CULTURALE.
Questa ampia introduzione sarà articolata in due parti: una prima parte di carattere generale
con riferimenti alla figura dell’apostolo Paolo di Tarso, alla sua vita, al quadro storico in cui
svolge la sua attività missionaria; una seconda parte che, attraverso l’esegesi di alcuni testi,
propone un percorso sui temi fondamentali della teologia paolina. Unico manuale di
riferimento sarà il libro, scritto a quattro mani, da Fabris e da Romanello76.
Seguiranno una serie di paragrafi che avranno per oggetto l’esegesi ed il commento di brani
scelti dall’epistolario.
Paolo è noto come l’inventore del cristianesimo, non Gesù. Paolo è un testimone, anche se
non oculare, della risurrezione di Gesù. Ha avuto rapporti sia con la cultura ebraica che con
quella romana.
Nella Bibbia sono “paoline” 14 lettere, 7 autentiche e 7 non autografe di Paolo, ma di scuola
paolina. L’ordine cronologico, che non è quello seguito dalla Bibbia, delle lettere autografe di
Paolo, è il seguente:
1. Prima lettera ai Tessalonicesi ( è questo il documento più antico di tutto il Nuovo
Testamento);
2. Prima lettera ai Corinzi;
3. Seconda lettera ai Corinzi;
4. Lettera ai Filippesi;
5. Lettera a Filemone;
6. Lettera ai Galati;
7. Lettera ai Romani.
Non sono invece di Paolo le altre lettere (ai Colossesi, agli Efesini, la Seconda lettera ai
Tessalonicesi, la Prima e la Seconda a Timoteo, la Prima a Tito, la lettera agli Ebrei,
quest’ultima addirittura completamente estranea al corpus paolino.
Le fonti sull’esistenza di Paolo si possono distinguere in 3 categorie:
1. Le fonti cristiane canoniche, vale a dire l’Epistolario paolino, il Vangelo di Luca, gli
Atti degli Apostoli, che sono più tardivi dei Vangeli; sono autografi di Luca e nella
76
R. Fabris – S. Romanello, Introduzione alla lettura di Paolo, Borla, Torino, 2006.
25
seconda parte degli Atti si parla di Paolo. Il disegno geografico di Luca ha un
orizzonte universale, da Gerusalemme ai confini della terra;
2. Le fonti cristiane apocrife, che sono l’Apocalisse di Paolo (III°/IV° sec.), il martirio di
Paolo (IV°/V° sec.), le Omelie di Clemente Romano, uno dei primi Padri della Chiesa,
ovvero dei primi esponenti della patristica, movimento sorto tra la fine dell’Impero
Romano d’Occidente e l’Alto Medioevo.; esiste anche un Epistolario tra Paolo ed il
filosofo stoico Seneca, consigliere dello scellerato Nerone, databile al IV° secolo,
secondo l’archeologia biblica, in Egitto è stata inoltre trovata, in una biblioteca
gnostica, la “Preghiera di Paolo”.
3. Le fonti storiche o profane sono costituite, oltre che dalle iscrizioni trovate nelle città
visitate da Paolo (Tessalonica, Efeso, ecc.) e da un’iscrizione del proconsole romano
Gallione, da Giuseppe Flavio, che si è interessato di storia giudaica e della guerra
giudaica, come emerge dai suoi scritti, e da Filone d’Alessandria, autore del I° secolo,
del quale ci sono pervenuti commenti biblici, la lettera al folle imperatore romano
Caligola (che arrivò a nominare, come è noto, senatore il suo cavallo) e la “Legatio at
Gaium”, in cui difende la comunità ebraica di Alessandria.
Negli Atti degli Apostoli77, Luca racconta che Paolo era stato condotto di fronte al
tribunale giudaico di Corinto: è questo già un elemento di forte tensione fra Paolo e gli
Ebrei, che si verifica tra il 50 ed il 52, in quanto nel 50 Paolo era sicuramente giunto a
Corinto. Sempre negli Atti degli Apostoli78 si parla dell’editto dell’imperatore Claudio, in
cui Paolo s’incontra con il giudeo Aquila, elemento ripreso da Svetonio79, che afferma che
Claudio cacciò da Roma i giudei nella prima metà del I° secolo. Nel secolo successivo,
Dione Cassio80 afferma invece che Claudio non li cacciò, ma gli impedì di riunirsi per
evitare disordini. Intorno al 410, Orosio riprende quanto afferma Svetonio e sostiene che
gli ebrei furono espulsi da Roma. Paolo ebbe la sua conversione negli anni 30, sulla via di
Damasco, in Siria, come è noto, durante il regno di Areta IV. Nella I lettera ai Corinzi81 e
negli Atti degli Apostoli82 si parla della fuga di Paolo da Damasco. Sempre negli Atti degli
Apostoli83 si parla della prigionia di Paolo a Cesarea, durata 2 anni, sotto
77
Atti degli Apostoli, XVIII, vv. 12-17. Gli Apostoli di cui ci parla Luca sono, come è noto, Pietro, martire e
fondatore della Chiesa, primo papa ufficialmente riconosciuto, e Paolo di Tarso. 78
Ibid., v. 2. 79
Svetonio, Vite dei 12 Cesari. 80
Dione Cassio, Storia di Roma. 81
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cit., vv. 11, 30-33. 82
Atti…, cit., IX, vv. 24-25. 83
Ibid., vv. 24-27
26
l’amministrazione di Felice, intorno alla metà degli anni 50. Negli anni 60 Paolo si reca a
Roma.
A Paolo non interessa il Gesù storico, ma il Cristo della fede; Paolo non crede che ci si
salvi obbedendo alla Legge, come gli ebrei, ma con la Fede, solo con la fede; Gesù è il
Cristo, il Signore (“Kyrios”, in greco) risorto, asceso al cielo e che siede alla destra del
Padre. “Il giusto vivrà per fede” scrive infatti Paolo nella Lettera ai Romani. Paolo non
incontra problemi con i pagani greci, ma con gli ebrei, Paolo non crede al valore della
circoncisione per la salvezza. Paolo fonda varie comunità cristiane, come Efeso,
Tessalonica, Corinto. Le prime comunità cristiane sono però sempre comunità giudeo-
cristiane: è un momento di nascita e consolidamento del cristianesimo, che si deve però
inserire in un contesto ebraico.
Nella I Lettera ai Galati parla della sua conversione ed afferma che dopo la rivelazione
sulla via di Damasco si recò in Arabia, e dopo 3 anni a Gerusalemme, poi in Siria. E’
importante, questa lettera, per ricostruire la cronologia paolina. Nel 2° capitolo della
lettera afferma che in seguito tornò a Gerusalemme ed incontrò Giacomo, Pietro e
Giovanni, colonne del cristianesimo, che lo inducono ad elargire elemosine ai poveri.
Paolo si è sicuramente convertito prima della morte del re Areta IV, quindi prima del 39.
Due distinte cronologie, dette “alta” e “bassa”, collocano la conversione di Paolo a
distanza di 4-5 anni. Paolo si converte circa all’età di 30 anni.
Con l’epistolario, Paolo mantiene contatti con le comunità che ha fondato. Le lettere
paoline hanno il carattere di
1. Encicliche, lette per circolare ed essere quindi diffuse, relative all’attività pastorale, e
quindi inerenti all’organizzazione del culto della Chiesa primitiva mediante
l’istruzione, la predicazione e l’evangelizzazione; e di
2. Epistole, cioè piccoli trattati di teologia, relativi all’attività teologica, che presentano
perciò elementi liturgici, citazioni e spiegazioni della Scrittura.
Emerge, in entrambi i casi, la sua attività apostolica, sia pure con un duplice obiettivo.
Paolo ci è stato tramandato come “apostolo delle genti” e come “martire (nel senso greco di
“testimone”) della fede cristiana”: possiamo comunque affermare con certezza che Paolo
mantiene, anche dopo la conversione, il suo radicalismo, il suo fondamentalismo ebraico, che
trasferisce nel cristianesimo.
Abbiamo detto che delle 14 lettere dell’epistolario paolino solo 7 sono autografe di Paolo, le
altre sono di scuola paolina: queste ultime sono dette “deutero-paoline”. Delle 7 considerate
27
autentiche, le 4 più importanti sono sicuramente la Lettera ai Romani, la I e la II Lettera ai
Corinzi e la Lettera ai Galati.
Nel Nuovo Testamento, la sequenza è la seguente:
1. 4 Vangeli;
2. Atti degli Apostoli;
3. Epistolario paolino;
4. Apocalisse di Giovanni.
Probabilmente Paolo ha scritto anche altre lettere, andate perdute, come una a cui fa cenno
nella I Lettera ai Corinzi e che viene chiamata “pre-canonica”, mentre nella II Lettera ai
Corinzi si fa cenno ad un’altra lettera scritta “tra molte lacrime”. Ancora, nella Lettera ai
Colossesi si fa riferimento ad una lettera inviata ai cristiani di Laodicea, in Siria, località nella
quale si terrà il famoso concilio del IV° secolo.
“Apostolo” è l’appellativo che lui stesso si attribuisce nelle lettere e significa “missionario”.
Passiamo ora ad esaminare la biografia di Paolo: Paolo nasce a Tarso, fra il 4 ed il 5; era un
ebreo ellenizzato che godeva della cittadinanza romana; non conobbe mai Gesù, malgrado ne
fosse coevo. Fu, inizialmente, un persecutore di cristiani. Fu presente ed accondiscendente al
martirio di Stefano, primo martire cristiano, malgrado non avesse partecipato direttamente alla
lapidazione. Prima della conversione, fu uno zelante persecutore dei cristiani ed occupò
posizioni di rilievo nelle alte sfere religiose ebraiche; perseguitò infatti i cristiani di cultura
greca, come Stefano, i cristiani di Gerusalemme ed i cristiani di Damasco. Appartenne infatti
al Sinedrio di Gerusalemme, dal quale fu poi condannato. Come professione, era tessitore di
tende, mestiere di famiglia, che apparteneva quindi al ceto sociale medio-alto degli ebrei.
Mentre si recava da Gerusalemme a Damasco per organizzare una persecuzione di cristiani, fu
avvolto in una luce che gli diceva: “Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?84” Reso cieco da
quella luce divina, cadde prima a terra, poi, ripresosi, vagò per 3 giorni a Damasco, dove fu
guarito dal capo di quella piccola comunità, Anania, che lo battezzò. L’episodio è noto come
“conversione di Paolo sulla via di Damasco” ed avvenne fra il 34 ed il 35. Da questo
momento inizia la sua opera di evangelizzazione, prima presso gli ebrei, poi presso i Gentili
(“Gentiles”), in Arabia, Grecia, Asia Minore. Ebbe un carattere energico ed appassionato,
combatté infatti molto energicamente alcuni cristiani di origine ebraica che volevano imporre
ai pagani convertiti la legge ebraica, compresa la circoncisione, a cui Paolo si oppose
strenuamente. Gli ebrei lo fecero allora prigioniero a Gerusalemme, per volontà del Sinedrio
84
Ibid., IX, vv. 1-22.
28
(del quale aveva fatto parte in anni precedenti) tra il 58 ed il 60, con l’accusa di turbare
l’ordine pubblico. Fu trasferito poi, sempre in prigionia, a Roma, costretto ad una sorta di
“arresti domiciliari”. Riuscì però a proseguire la sua predicazione in clandestinità, fino a
quando non fu fatto decapitare dall’imperatore romano Nerone nel 63 circa. Come si nota, le
date sono abbastanza approssimative, ma quello che è importante evidenziare dalla biografia
di Paolo sono questi due elementi:
1. Per il tempo in cui visse, fu una persona che viaggiò tantissimo, considerati i mezzi di
spostamento di allora, ed i suoi viaggi mettono in luce anche il suo immenso sapere;
2. Come Cristo, Paolo viene arrestato dagli ebrei ed ucciso dai romani.
Gli eventi fondamentali possono essere schematizzati nel modo seguente:
1. Paolo nasce a Tarso fra il 4 ed il 5;
2. Si converte al cristianesimo fra il 34 ed il 35 sulla via di Damasco;
3. Nel 37 incontra Pietro;
4. Dopo l’Assemblea di Gerusalemme (49-50), inizia la sua missione a Corinto (51-52);
5. Viene arrestato a Cesarea (58-60);
6. Viaggio a Roma (60) e martirio (63).
Per quanto concerne la formazione culturale di Paolo, va detto che conosceva l’ebraico, il
greco (in cui sono scritte molte lettere) e vari dialetti. Era inoltre colto in geografia, filosofia e
retorica: lo stile delle sue lettere dimostra la conoscenza della retorica classica, pagana (ha
infatti uno stile quasi ciceroniano). Tarso, la sua città natale, era un centro culturalmente
molto attivo.
Per quanto riguarda invece la sua attività missionaria, è da sapere che fondò varie colonie, a
Tessalonica, Corinto, Efeso, e poi in Arabia, in Siria, a Gerusalemme.
Per l’aspetto fisico è da dirsi che era di bassissima statura, forse 3 cubiti, cioè 133 centimetri
(il cubito era un’unità di misura adottata presso gli ebrei). Il carattere era energico, deciso,
poco amabile, ebbe inizialmente contrasti con l’evangelista Marco, poi rivalutato.
Per quanto concerne la formazione culturale di Paolo, la tradizione cristiana ce lo presenta
come “l’apostolo delle genti”; Luca, negli Atti degli Apostoli, ce lo presenta come un
persecutore che poi diventa cristiano. “Paolo”, sin firma così nelle sue lettere scritte in greco,
ma negli Atti degli Apostoli85 Luca lo chiama “Saulo”, un nome ebraico, quello del primo re
degli ebrei, appunto Saul (seguito da David e Salomone), che significa “richiesta a Dio”.
85
Ibid., XIII, v. 9.
29
Paolo si firma “Paolo” per evidenziare la sua origine romana e nella Lettera ai Filippesi86
afferma la propria cittadinanza romana. Luca racconta87 che Paolo, prigioniero a Cesarea,
viene trasferito a Roma su sua richiesta: Paolo può chiedere questo perché è cittadino romano.
Paolo dichiara esplicitamente il luogo della propria nascita88, Tarso, città della Cilicia. Tarso è
un centro culturale molto vivace, come afferma lo storico romano Strabone, è una città aperta
ai commerci e strategica dal punto di vista geografico. La famiglia di Paolo era originaria del
nord della Galilea, dopo la diaspora (“dispersione”) si è trasferita a Tarso.
Per Paolo, lasciarsi guidare dalla carne (“Katà” in greco) è una modalità di vita diversa da
quella che intende farsi guidare dallo Spirito (“Pneuma”, in greco)89. Paolo dichiara qui90 la
propria pura origine ebraica. In seguito considererà “spazzatura” la sua identità ebraica e nella
II Lettera ai Corinzi91 si dichiara ancora ebreo.
Chiama “parenti” nel senso greco di collaboratori, le oltre 20 persone appartenenti alla
comunità romana che saluta nella Lettera ai Romani92.
Luca afferma che gli ebrei lo vogliono uccidere ed hanno organizzato un complotto, ma il
nipote di Paolo informò lo zio, che si trovava prigioniero a Gerusalemme, ed informò anche il
guardiano del carcere dove Paolo era prigioniero: il guardiano lo fece allora trasferire a
Cesarea93. Tre sono quindi stati i luoghi della prigionia di Paolo: prima Gerusalemme, poi
Cesarea ed infine Roma.
Nella I Lettera ai Corinzi94, Paolo parla ai corinzi del matrimonio: ordina alle mogli di non
separarsi dai mariti e, in caso di separazione, che non si risposino. Paolo vive solo: o non si è
mai sposato, e pertanto è celibe, o è vedovo. Si dichiara celibe: ciò corrisponde all’immagine
classica del filosofo che non si sposa per non farsi distrarre dalle passioni (Origene arrivò ad
evirarsi da solo per questo motivo). Nella vita matrimoniale, Paolo predica la castità, che non
è l’astinenza, ma la moderazione della vita sessuale. Spiega il suo celibato facendo ricorso
non ad una sua volontà, ma a un dono di Dio.
Paolo è stato circonciso l’ottavo giorno, secondo la tradizione ebraica più pura: Paolo
apprende dal padre il mestiere di tessitore di tende, che svolge presso le comunità cristiane
che lo ospitano perché non voleva essere mantenuto. A Tarso compie gli studi elementari a 6-
86
Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi, III, v. 20. 87
Atti…, cit., XXV, vv. 11-12. 88
Ibid., IX, vv. 11-30 e XXII, v. 3. 89
Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi, cit., III, vv. 5-6. 90
Ibid. 91
Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, cit., XI, v. 22. 92
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, XVI. 93
Atti degli Apostoli, cit., XXIII, v. 6. 94
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, VII, vv. 6-9.
30
7 anni (la “scuola del libro”), a 15 anni studia la Bibbia (la “scuola del Talmud”): il metodo di
studio è mnemonico. In seguito studia le interpretazioni della Torà e le sue possibili
applicazioni pratiche. Poi studia a Gerusalemme con il maestro Gamaliele, di indirizzo
farisaico.
La principale fonte su Paolo è costituita dagli Atti degli Apostoli o “secondo Vangelo di
Luca”. I viaggi compiuti da Paolo sono 3, oltre ad un quarto, verso il martirio. In particolare
si reca 2 volte a Gerusalemme95, dopo 3 anni e dopo 14. Il card. Martini, arcivescovo di
Milano, ha studiato le confessioni di Paolo, ed anche Benedetto XVI ha studiato la biografia
di Paolo, scrivendo un articolo in proposito.
Paolo, nella Lettera ai Galati96, molto autobiografica, afferma la sua missione di persecutore
dei cristiani: si definisce un “accanito” (zelante, in greco, da cui “zelota”) persecutore dei
cristiani. Una volta convertito, Paolo è perseguitato dai giudeo-cristiani. Paolo è fortemente
avverso alla circoncisione e, all’inizio della lettera97, non ringrazia Dio, come di consueto, ma
rimprovera i galati perché praticano la circoncisione (Peritomé = “taglio intorno”, circolare, e
katatomè, che significa castrato, mutilato, evirato, letteralmente dal greco). Per Paolo, con la
venuta di Gesù, cambia tutto: non ci si salva con la Legge, bisogna invece credere che Gesù è
morto e risorto, non ci si salva
1. Né con l’obbedienza alla Legge;
2. Né con la circoncisione, che per gli Ebrei era il primo segno di appartenenza al popolo
eletto.
Nella Chiesa di Antiochia si pone il problema di cosa chiedere a coloro che vogliono
diventare ebrei: Paolo non ritiene utile la circoncisione, e lo afferma all’Assemblea di
Gerusalemme.
Pietro fa un discorso al centurione romano Cornelio98 ed afferma che Dio accoglie tutti coloro
che lo temono e praticano la giustizia. Non c’è bisogno di sottoporre i nuovi convertiti alla
circoncisione, è necessario:
1. Non mangiare carni di animali offerti agli idoli;
2. Non contrarre matrimoni incestuosi;
3. Non mangiare animali non dissanguati;
4. Non bere sangue di animali offerti agli idoli.
Paolo si presenta come “apostolo”99. Per “Apostolo” si intende: 95
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, v. 18 e cap. II°, v. 1.
96
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, vv. 12-14.
97
Ibid., cap. I°, v. 6, cap. III°, v. 1, cap. V°, v. 11.
98
Atti…, cit., capp. X° e XV°.
31
1. I dodici apostoli, che fanno capo a Pietro100;
2. I missionari itineranti e volontari chiamati da Gesù Cristo, come è il caso di Paolo;
3. I missionari inviati.
Secondo il Concilio Vaticano II°, i vescovi sono i diretti discendenti degli Apostoli101. Paolo
è testimone dei Signore risorto, è “servo”102 di Gesù Cristo, come si afferma ancora nella
Lettera ai Galati103 e nella II Lettera ai Corinzi104, in cui si definisce “diacono” (la
“Diakonia” è il servizio) e sostiene che sonio diaconi di Dio e di Cristo tutti coloro che
annunciano il Vangelo. Come missionario, Paolo vuole portare il Vangelo alle genti: per
questo si definisce “apostolo delle genti”. Chiama “operai” i suoi collaboratori che
annunciano il Vangelo.
I capisaldi del cristianesimo per Paolo sono i seguenti:
1. Il creato è priva certa dell’esistenza di Dio, solo gli ignoranti possono negarlo105;
2. Dal peccato originale tutti gli uomini sono peccatori, ed è possibile la redenzione solo
mediante la fede in Cristo106, non ci si salva obbedendo alla Legge o praticando la
circoncisione, come invece ritenevano erroneamente gli ebrei;
3. La Grazia ha una funzione salvifica107;
4. La persona è carne + spirito e non si può vivere cristianamente ignorando l’una o
l’altro;
5. Molti sono i carismi e diverse le membra, ma il corpo è uno solo, Cristo, ed unico è il
destinatario, la Chiesa. E’ lecito che ognuno utilizzi i doni ricevuti e rimanga nella
vocazione alla quale è chiamato, senza mai però che Uno è lo Spirito perché Uno è il
Signore (Kyrios)108. L’armonia tra le diverse componenti della Chiesa è garantita
dall’Agape, l’amore cristiano, che è la Charitas, la maggiore delle tre virtù teologali109.
E questa la cosiddetta “teologia dei carismi” di cui parleremo ancora nell’analisi della
Lettera ai Romani, contenuta nel capitolo successivo di questa tesi.
99
Paolo di Tarso, I e II Lettera ai Corinzi e Lettera ai Galati, cit. 100
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cit., cap. I°, vv. 17, 19. 101
Costituzione “Gaudium et Spes”, in Atti del Concilio Vaticano II°. 102
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cap. I°, v. 1. 103
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, v. 10, in cui parla di “servitore”. 104
Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, vv.4-5. 105
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cap. I°, vv. 18-25. E’ questo anche un concetto base della teologia
fondamentale. 106
Ibid., vv. 26-28. 107
Ibid., cap. V°, vv. 15-16. 108
Paolo di Tarso, Lettera ai Corinzi, cap. I°, vv. 7, 20 e cap. XII°, vv. 4-7. 109
Ibid., cap. I°, v. 13 e cap. VII°, v. 13.
32
Dei viaggi di Paolo ci parla Luca negli Atti degli Apostoli, Paolo invece non ne parla mai nel
suo epistolario. Come si è detto, Paolo compie 4 viaggi, l’ultimo verso il martirio:
1. 1° viaggio: parte da Antiochia di Siria, sbarca a Cipro, poi va in Anatolia110;
2. 2° viaggio: parte da Antiochia e s’imbarca per la Macedonia e visita Filippi e
Tessalonica; poi va ad Atene111. Qui Paolo vede una serie di iscrizioni, sulle colonne, a
un “Dio ignoto” e vuole spiegare agli ateniesi che il “Dio ignoto” è Gesù Cristo, il Dio
ignoto al quale sono dedicate alcune statue e che viene adorato dagli ateniesi.
3. 3° viaggio: parte da Antiochia e va ad Efeso. E’ questo viaggio la prosecuzione del 2°
e si conclude con la prigionia a Cesarea.
4. 4° viaggio: parte da Cesarea e va a Roma prigioniero, con una sosta a Malta a causa di
una terribile tempesta. A Malta vi sono infatti diverse Chiese dedicate a Paolo e luoghi
che ricordano l’apostolo.
Corinto ed Efeso sono le sue due mete più importanti dei suoi viaggi; da Corinto scrive la
Lettera ai Romani, la lettera più lunga e più import ante, una sorta di trattato di teologia.
1)Apostolo, 2) servo e 3) chiamato da Gesù Cristo sono i 3 titolo che Paolo usa per legittimare
la sua funzione apostolica, in un’ottica apologetica verso chi lo contesta.
La lettera è un genere letterario molto antico, si trovano lettere già nel VI° libro dell’Eneide di
Virgilio, già nella Bibbia112. La massima fioritura del genere epistolare risale al IV° sec. a C.
in Grecia (si pensi alla VII lettera di Platone, importantissima per la sua concezione politica di
“filosofo-re” che voleva attuare presso i tiranni di Siracusa, prima Dionigi il Vecchio e poi
Dionigi il Giovane, grazie alla mediazione dell’amico Dione). Cicerone ha scritto moltissime
lettere, private e pubbliche; le lettere private erano rivolte ad un destinatario specifico (come,
ad esempio, Ad familiares) ed hanno un tono amichevole, a differenza delle lettere pubbliche,
che hanno uno stile ufficiale. Anche nell’Antico Testamento si trovano lettere scritte sui
papiri.
Certamente le lettere paoline si riferiscono ad un destinatario specifico, ma non sono private
perché
1. Trattano argomenti di alto spessore;
2. Sicuramente Paolo aveva un segretario che scriveva per lui, e questo già ci fa pensare
che non si possono definire “private”.
110
Atti…, cit., cap. XIII°, vv. 14-28. 111
Ibid., cap. XVII°. 112
I° Libro di Samuele, cap. XI°, 14-15, in Antico Testamento.
33
Nei secoli II° e III° due manuali distinguono vari tipi di lettere: nell’ambiente ebraico
troviamo lettere nei due libri dei Maccabei (sono libri Deuterocanonici, cioè inseriti nel
canone in un secondo momento). La I Lettera ai Tessalonicesi è la lettera più antica ed è
anche il documento più antico di tutto il Nuovo Testamento. Presenta un prescritto113, un
corpo centrale ed un post-scriptum. Nel prescritto sono indicati il mittenti o i co-mittenti, c’è
il nome del destinatario ed il saluto; sono questi elementi presenti in tutte le lettere di Paolo,
che trovano corrispondenza nel post-scriptum, in cui si trovano la preghiera, il saluto e la
benedizione finale. Il corpo della lettera può essere breve o molto lungo, come nel caso della
Lettera ai Romani. Paolo scrive perché non può essere nel luogo ove la lettera è destinata e
scrive con l’autorità propria del fondatore di una comunità.
Paolo si rapporta in modo diverso alle varie comunità, ad esempio saluta con amicizia i
filippensi, perché lo hanno aiutato in un momento di difficoltà.
La struttura delle lettere di Paolo si può quindi sintetizzare nel seguente schema:
1. Indirizzo: mittente o co-mittenti, destinatario, saluto;
2. Preghiera a Dio;
3. Corpus della lettera: a. parte dottrinale (teologica) = > epistola;
b. esortazione (pastorale) = > enciclica.
4. Saluti e benedizione.
La retorica, intesa nel senso classico di arte della persuasione, era importantissima. Aristotele
classificava 3 generi di discorsi114:
1. Deliberativo: condotto con metodo e obiettivo. Ha lo scopo di persuadere, quindi si
cercano metodi atti alla persuasione.
2. Giudiziario: ha come fine la scoperta del vero e del giusto e compete pertanto ai
tribunali;
3. Epidittico: mira a scoprire che il bello è affine al buono.
Prima di Aristotele già Socrate, per bocca di Platone, aveva parlato dei pregi e dei difetti della
retorica, che era stata celebrata invece dai sofisti, come Gorgia, Ippia, Trasimaco, Prodico di
Ceo, Eutidemo e Dionisodoro. E’ quindi importante considerare sempre l’uditorio a cui il
retore si rivolge. Le lettere di Paolo sono destinate ad un lettura a voce alta da parte della
comunità, non trattano temi familiari e non sono scritte con tono emotivo. A Paolo interessa
convincere i suoi interlocutori a fare una determinata scelta. Nel discorso antico, si
distinguono 5 momenti fondamentali:
113
Paolo di Tarso, II Lettera ai Tessalonicesi, cap. I°. v. 1. 114
Aristotele, Poetica, l. I°, Laterza, Bari.
34
1. Inventio (il vero o il verosimile);
2. Dispositio (l’ordine degli argomenti);
3. Elocutio (uso delle parole adatte a convincere);
4. Memoria (ricordo di ciò che è accaduto);
5. Proniunciatio (può essere anche gestuale).
Anafora e chiasmo sono le figure retoriche più usate nell’antichità.
Il pensiero paolino è ricco e complesso perché:
1. Mantiene una coerenza di fondo, nell’epistola teologica;
2. Adegua lo stile ai destinatari da convincere, con differenti registri linguistici,
nell’enciclica pastorale.
Prima di passare all’analisi di alcune lettere dell’epistolario paolino, ci preme presentare i tre
differenti racconti sulla conversione di Paolo, presenti negli Atti degli Apostoli:
1. Nel primo racconto ha grande rilievo l’episodio di Anania, che guarisce Saulo per
volontà di Dio, nonostante avesse commesso del male verso i cristiani, e questo spiega
l’obiezione di Anania a Gesù115;
2. Nel secondo ha grande importanza l’episodio del tempio. Paolo è inviato da Cristo a
Gerusalemme116;
3. Nel terzo, infine, scompare l’episodio di Anania, sostituito dalla missione che Gesù
immediatamente dà a Saulo (così viene chiamato da Luca, con il nome ebraico, come
si è detto): andare dai pagani ed “aprir loro gli occhi”117.
In tutti e tre gli episodi, Saulo diventa da persecutore dei cristiani, apostolo dei pagani.
Nella Bibbia non si segue l’ordine cronologico, ma quello della lunghezza, in direzione
decrescente: per questo l’epistolario paolino inizia con la Lettera ai Romani, che è la più
lunga. La più antica è invece la I Lettera ai Tessalonicesi: Tessalonica era la capitale della
Macedonia. Nella seguente analisi, sarà seguito non l’ordine della Bibbia, ma quello
cronologico, e andremo quindi subito a trattare la I Lettera ai Tessalonicesi. L’ordine
seguito nella nostra trattazione sarà quindi il seguente:
1. Lettera ai Tessalonicesi;
2. I Lettera ai Corinzi;
3. II Lettera ai Corinzi;
4. Lettera ai Filippesi;
115
Atti…, cit., cap. IX°. 116
Ibid., cap. XXII°. 117
Ibid., cap. XXVI°.
35
5. Lettera ai Galati;
6. Lettera ai Romani;
7. Lettera a Filemone;
8. Cenni sulle lettere “Deutero-paoline”.
Si può affermare che, in una certa misura Paolo trasporti il suo “fondamentalismo”
dall’ebraismo al cristianesimo: era infatti stato, da ebreo, un feroce persecutore dei cristiani,
da cristiano un deciso avversario della circoncisione e delle pratiche cultuali e di fede nella
Torà fine a sé stesse.
II.2. LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI: L’ESCATOLOGIA PAOLINA.
E’ autografa di Paolo, a differenza della II, che è “Deutero-paolina”. E’ la più antica lettera
paolina ed il più antico testo di tutto l’Antico Testamento, come si è detto. Tessalonica era la
capitale della Macedonia. Paolo giunge a Tessalonica ove era la sede dei giudei. Lo scritto è
del 50-51.
Paolo è preoccupato per i tessalonicesi, ma Timoteo gli porta buone notizie: i tessalonicesi
seguono la parola di Cristo, malgrado le persecuzioni. Per questo Paolo è gioioso, nello stile,
in tutta la lettera. Tuttavia Timoteo gli dice che la loro formazione è incompleta e quindi
necessitano di ulteriori istruzioni sia sulla dottrina che sulla condotta cristiana, anche se i
tessalonicesi stanno continuando a camminare sulla retta via. Paolo insiste sulla condotta
morale che dev’essere “santa118” e sull’impegno nel lavoro; bisogna essere sempre “svegli”,
cioè pronti ad incontrare Dio119.
Segue l’escatologia paolina120: Timoteo, pur avendo rassicurato Paolo, gli dice che c’è
qualche problema. I tessalonicesi chiedono notizie sui morti e sulla risurrezione, Paolo gli
spiega che i morti risorgeranno con Cristo, come è risorto Cristo. Questa è la “Parusia” (dal
greco, significa “attesa”), con le immagini letterarie dell’Apocalisse, come l’arcangelo e la
tromba. Bisogna essere pronti, svegli e vigilanti per accogliere il ritorno di Cristo, il cristiano
attende Cristo con la corazza e l’elmo delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità)121.
I figli della Luce attendono con certezza il Signore, i figli delle tenebre sono invece smarriti.
118
Per Paolo, “santo” e “cristiano” sono sinonimi. 119
Cfr. anche Atti…, cit., XVII°, v.1. 120
Paolo di Tarso, I Lettera ai Tessalonicesi,…, cit., cap. IV°, vv. 13-18. 121
Ibid., cap. V°.
36
II.3. LA PRIMA LETTERA AI CORINZI: LA SAPIENZA E LA “FOLLIA DELLA
CROCE”. IMMAGINI DELLA CHIESA. IL MATRIMONIO. SPIRITO E CORPO. LA
QUESIONE DEGLI “IDOLOTITI” E LA “TEOLOGIA DEI CARISMI”.
L’ECCLESIOLOGIA PAOLINA. LA “CRISTOLOGIA A DUE STADI”.
Paolo ha avuto con Corinto la maggiore corrispondenza. Corinto fu fondata da Giulio Cesare
ed era una grande città, che dominava i due mari. C’era l’agorà (la piazza) ed era un
importante nodo commerciale. La città era dedicata a Poseidone, dio del mare. Ma Corinto era
anche una città molto lussuriosa. Paolo arriva a Corinto e ci sta un anno e mezzo, predica
nella sinagoga e nelle case; molti lo seguono e si fanno battezzare122. Entrambe le lettere ai
Corinzi sono scritte da Efeso verso il 54-55; probabilmente Paolo ha scritto 4 lettere ai
Corinzi, ma ce ne sono pervenite soltanto due. Paolo all’inizio della lettera si autopresenta123.
Corinto è una comunità divisa tra cristiani, ebrei e pagani124, dediti ad Apollo125, Afrodite126 e
Poseidone127.
Nell’analisi della lettera, possiamo enumerare diversi nuclei concettuali:
1. Paolo, nell’incipit della lettera, dichiara di essere contento di avere battezzato poche
persone, perché non è venuto a Corinto per battezzare, ma per predicare128. Di fronte
alla divisione della comunità di Corinto, Paolo afferma che Cristo è Uno e non è mai
“stato diviso”.
2. Si salveranno solo coloro che credono nella “follia della croce”, a nulla, senza Dio,
vale la sapienza. Senza Dio, anche l’uomo più colto è un disperato (letteralmente
“senza speranza”).
3. Paolo distingue due tipi di “Sapienza”: a) quella del mondo, che è stoltezza, seguita
dai giudici, e
b) quella della croce, che è la parola di Cristo,
che è follia per i greci pagani (“la follia della
Croce”, appunto), scandalo per i giudei,
parola di Dio sulla croce per i cristiani.
Cristo è personificato con la Sapienza, la
Vera ed Unica Sapienza è una Persona,
122
Atti…, cit., cap. XVIII°, v. 1. 123
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cap. II°. 124
Ibid., cap. I°, v. 10-cap. IV°, v. 21. 125
Dio della poesia e delle arti nella mitologia greca. 126
O Venere, dea della bellezza nei poemi omerici. 127
O Nettuno, dio del mare nell’Odissea di Omero. 128
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinti, cit., cap. I°, vv. 17-18.
37
Cristo crocifisso, quindi, schematizzando
CRISTO = SAPIENZA = PERSONA.
4. Inizialmente Paolo converte gli umili, non i nobili e i ricchi; molti che si convertono
sono infatti schiavi o liberti, ossia schiavi liberati.
5. Paolo presenta poi alcune immagini della Chiesa. Campo129, edificio, tempio (in greco
“Naòs”, che per gli ebrei era il luogo più sacro)130, corpo (“soma”, in greco) di
Cristo131, alcune di queste riprese nei documenti del Concilio Vaticano II. Lo stesso
papa Benedetto XVI°, nel discorso inaugurale della sua elezione a pontefice massimo,
si è definito “un operaio della vigna del Signore”. Paolo intende qui ridimensionare la
funzione dei ministri e dei predicatori, che sono collaboratori, appunto operai del
campo di Dio, ma chi fa crescere i frutti è Dio. Questa immagine bucolica della Chiesa
è tratta proprio dalla campagna e dalla vita dei contadini di allora. Paolo presenta in
proposito l’immagine del fondamento e dell’architetto, che costruisce, ma non si può
costruire con un fondamento diverso da Cristo: è questa l’immagine della Chiesa come
edificio132.
6. Paolo critica i casi di incesto e di immoralità presenti nella comunità di Corinto, e
conseguentemente, parla del
7. Matrimonio: ordina alle mogli di non separarsi e, in caso siano già separate, di non
risposarsi. Si dichiara celibe, afferma la castità, che non è l’astinenza, ma la
moderazione nella vita sessuale. Di conseguenza, afferma che
8. Non esiste differenza, per il cristiano, tra spirito e corpo: sbagliano quindi i corinzi a
ritenersi liberi nel corpo ed a condurre una vita dissoluta133. Consideriamo che i galati
saranno rimproverati perché non considerano il corpo, i corinzi sono ora rimproverati
perché non considerano lo spirito e credono di essere liberi nel corpo e potersi lasciare
andare ad una vita dissoluta. Corpo e spirito, per il cristiano, sono invece
indissolubilmente uniti e costituiscono la persona: questo è l’Umanesimo integrale
cristiano penetrato poi, nel Novecento, nel neotomismo francese di Maritain134.
Quindi:
PERSONA = SPIRITO + CORPO.
129
Ibid., cap. III°, vv. 5-6. 130
Ibid., vv. 16-17. 131
Ibid., cap. XI°, v. 29. 132
Ibid. cap. III°, v. 10. 133
Ibid.,, capp. V°/VI°. 134
J. Maritain, Umanesimo integrale, a c. di G. Dore, Borla, Torino, 1964.
38
9. Paolo affronta la “questione degli idolotiti”135: condanna la partecipazione ai banchetti
pagani, ma afferma anche che le carni offerte agli idoli possono essere vendute al
mercato perché non sono sacre. Vanamente pagani ed ebrei credono che mangiando le
carni di animali immolate agli idoli ci si avvicini alla comunità
10. Paolo ci fornisce una “teologia dei carismi”136: diversi sono i “doni” (“carismi” in
greco), ma Uno solo è lo Spirito, Uno è il Donatore (Cristo) ed Uno è il destinatario
(la Chiesa), articolata in varie membra (i cristiani delle comunità), ma uno è il Corpo
(cioè il Capo) della Chiesa, Cristo, che si è donato nell’eucarestia (che in greco
significa “rendere grazia”, è infatti il momento sacrificale).
11. Paolo insiste, nella sua “teologia dei carismi”, sul significato di “ecclesia” come
assemblea comunitaria, mentre biasima le cene dei corinzi, in cui c’è chi mangia per
primo e non aspetta gli altri, che spesso sono poveri, che speravano di condividere, e
restano invece senza cena137. Qui la predicazione di Paolo contro la divisione della
comunità raggiunge il suo culmine. Questa è l’ecclesiologia paolina, questa è l’
“Ecclesia”, cioè la comunità, la chiamata dall’esterno, la convocazione dall’esterno
(dal greco “Ek-klaleo” che significa “chiamare”). Da notare che il termine “ecclesia”
ricorre 46 volte nell’epistolario paolino. Dalla Comunione in Cristo discende quindi la
Comunione tra fedeli, cioè membri della comunità. Coloro che partecipano alla mensa
del Signore sono in comunione tra loro. Di conseguenza,
12. Paolo biasima alcuni corinzi, che pensano di avere carismi spettacolari, come il parlare
lingue diverse, ma è un errore non farsi comprendere dalla comunità, perché non ha
senso138. Paolo insiste sulla carità, che è il più grande fra tutti i carismi. Tutto, nella
pienezza dei tempi, sarà “ricapitolato” in Cristo139.
13. Paolo ci offre infine la sua “Cristologia a due stadi”: a) morte (“tanatos”, in greco)e b)
risurrezione. In proposito Paolo lega la Pasqua (morte di Cristo) alla risurrezione,
perché è la risurrezione che dà senso alla fede cristiana, ed è un errore, come fanno
alcuni corinzi, dubitare della resurrezione di Cristo. Il problema più grave della
comunità di Corinto per Paolo è proprio il dubbio di alcuni corinzi sulla risurrezione
dei morti e sul modo di risorgere. Paolo sottolinea la gravità di questo dubbio ed
135
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cit., capp. VIII°/X°. 136
Ibid. cap. XII°, v. 12. 137
Ibid., cap. XI°, vv. 17/32. 138
Ibid., capp. XI°/XII°. 139
Paolo di Tarso, I Lettera agli Efesini.
39
afferma che dubitare della risurrezione dei morti equivale a dubitare della risurrezione di
Cristo140.
II.4. LA SECONDA LETTERA AI CORINZI: CENNI GENERALI.
Paolo afferma le sue origine ebraiche e parla del rapporto fra credenti e non credenti, luce
e tenebre, spirito e carne, giustizia ed ingiustizia141.
II.5. LA LETTERA AI FILIPPESI: CRISTOLOGIA ED ECCLESIOLOGIA.
E’ una breve lettera, di soli 4 capitoli, ma importante perché ci introduce all’ecclesiologia
paolina. Filippi è una colonia romana, una città della Macedonia (non la capitale), è la
prima comunità fondata da Paolo. Paolo è gioioso, malgrado sia in prigione, in attesa di
giudizio, perché i filippesi lo hanno sempre aiutato, anche economicamente.
Dopo l’incipit, segue un testo cristologico tra i più belli e profondi di tutto il Nuovo
Testamento: la morte e la risurrezione di Cristo sono al centro dell’ecclesiologia paolina.
Cristo, pur essendo di origine divina, si umilia al livello di servo, quando è sulla croce.
Proprio per questo Dio lo ha “sovra-esaltato” e gli ha conferito un nome come “Kyrios”
(“Signore”, in greco, come si è già detto). E’ il momento della risurrezione: è questa la
cristologia paolina “a due stadi”, ovvero
1. Morte, cioè caduta e
2. Risurrezione, vale a dire ascesa142.
Qui Paolo definisce Gesù come “Cristo”, ovvero “Unto del Signore”.
Il teologo contemporaneo Rudolf Bultmann ha distinto.
a. Cristo della fede e
b. Cristo della storia.
A Paolo interessa il Cristo della fede, non tanto in Gesù storico. Cristo sceglie liberamente
di obbedire al Padre e sale sulla croce: è quindi una libera scelta di obbedienza.
Paolo definisce Cristo anche come “Figlio di Dio”143, cioè discendente della stirpe di
Davide, scelta da Dio. Per Paolo il fatto che Cristo sia il figlio di Dio significa:
a. La natura divina di Cristo;
b. La particolare relazione tra Dio Padre e Cristo figlio.
Proprio da questa relazione, secondo Paolo, discende il nostro rapporto filiale con Dio. 140
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cap. XV°. 141
Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, cit., cap. VI°. 142
Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi, cap. II°, vv. 6-11. 143
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, v. 16.
40
II.6. LA LETTERA AI GALATI: LO SPIRITO E LA CARNE. CRITICA DELLA
CIRCONCISIONE. SOTERIOLOGIA ED ANTROPOLOGIA PAOLINA.
Il tono della lettera è polemico fin dall’inizio: Paolo tralascia la iniziale consueta preghiera di
ringraziamento e rimprovera subito i Galati, che stanno tornando indietro nella loro fede,
abbandonando il Vangelo di Cristo.
Paolo chiama “stolti” e “privi di intelligenza”144 i Galati perché credono erroneamente che ci
si salvi seguendo la legge, mentre ci si salva con la fede.
Vivere secondo lo spirito è una modalità diversa rispetto a vivere secondo la carne: i pagani
vivono seguendo il primo e disprezzano erroneamente la carne, gli ebrei il secondo (la
tematica del rapporto tra spirito e carne sarà centrale nell’VIII° capitolo della Lettera ai
Romani): Paolo crede nella totalità dell’uomo, sintesi di spirito (anima) e carne: è questa la
visione cristiana. Paolo rimprovera i Galati perché hanno seguito la carne, e pensano di vivere
seguendo soltanto la morale (“Ethos” in greco, da cui “etica”145) della legge (“Nomos” in
greco). Si può pertanto considerare la seguente mappa concettuale:
1. Ebrei: carne, corpo, legge;
2. Pagani: spirito, anima (“Pneuma”, che in greco significa “soffio vitale”);
3. Cristiani: spirito + carne = anima + corpo.
Abramo è il patriarca della salvezza ed è stato “benedetto” (nel senso biblico di “protetto”) da
Dio per la sua fede. Abramo precede Mosè e la legge. Tutta la discendenza di Abramo è
salvata e benedetta grazie ad Abramo, che è il modello della fede assoluta. Coloro che vivono
seguendo soltanto la legge sono “maledetti” (cioè non più protetti): Paolo, in proposito, cita
l’Antico Testamento, ed esattamente il Deuteronomio. Ci si salva con la fede: “il giusto vivrà
per fede”146. Paolo dimostra che ci si salva con la fede attraverso:
1. La Scrittura;
2. Le argomentazioni giuridiche. La legge è solo un pedagogo, è pertanto propedeutica a
Cristo. Non è importante la legge, ma la promessa: la fede è stata il primo maestro, ma
è stata superata dalla fede in Cristo. Paolo rimprovera severamente i Galati perché
praticano la circoncisione.
Segue una parte esortativa147, conclusiva della Lettera ai Galati. Nelle lettere paoline si
distinguono infatti sempre due parti successive:
144
Ibid., capp. III°/IV°. 145
Si consideri che i termini “morale” ed “etica” saranno sinonimi anche nella storia filosofica fino alla Critica
della Ragion pratica, di I. Kant. 146
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cap. I°. 147
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cit., capp. V°/VI°.
41
1. Parte dogmatica;
2. Parte esortativa.
Nella parte esortativa è contenuta la soteriologia paolina, cioè la dottrina relativa alla
salvezza. Da dove nasce la relazione con Cristo? La soteriologia è a fondamento
dell’antropologia. Paolo, afferma egli stesso, è stato crocifisso con Cristo, ovvero “con-
crocifisso”, non vive più in sé, ma è Cristo che vive in lui. La soteriologia è quindi la dottrina
della salvezza e costituisce l’antropologia teologico-cristiana. La morte di Gesù è salvifica e
redentiva148 . Rispondendo ai Corinzi, Paolo aveva affermato che bisogna considerare il
corpo, che è 149“tempio dello spirito”; non bisogna quindi vivere pensando che sia importante
solo lo spirito, e non il corpo. I Galati vivono secondo il corpo e la legge, i Corinzi seguendo
invece solo lo spirito, e si abbandonano ai piaceri del corpo: sono due errori. Dio ha voluto
che Gesù fosse strumento di redenzione ed espiazione150: Lutero affermerà che il tema
centrale della teologia paolina è quello della giustificazione, ossia della salvezza, che avviene
tramite la fede. Il sacrificio avveniva in un luogo sacro: Cristo invece non muore in un luogo
sacro, ma in terra sconsacrata, fuori dal tempio e dalle mura della città. Cristo per primo,
afferma Paolo, è “maledetto”. Cristo, con un solo sacrificio, redime l’umanità intera: è il
sacrificio di un solo uomo. Allo stesso modo, con il peccato originale, per il peccato di un
solo uomo (Adamo), tutta l’umanità è resa peccatrice151.
II.7. LA LETTERA AI ROMANI: LA DOGMATICA. GIUSTIFICAZIONE E SALVEZZA.
PAGANI E GIUDEI. LA “CIRCONCISIONE” DEL CUORE. FEDE E LEGGE. ADAMO E
CRISTO.
Ha il carattere di un’epistola, cioè di un piccolo trattato di teologia, ed è scritta a Corinto fra il
57 ed il 58.
L’editto di Claudio voleva espellere gli ebrei da Roma, perché erano molto numerosi (circa
ventimila) e li considerava per questo fonte di disordini, come ci attesta lo storico latino
Svetonio nel II° secolo. Paolo scrive ai romani quando la comunità di Roma è già nata e
consolidata. Emergono qui 2 concetti essenziali:
1. La salvezza mediante la fede;
2. L’universalità del messaggio cristiano.
148
Ibid., cap. II°, v. 20 e Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VIII°, v. 32. 149
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cit., cap. VI°, vv. 12-20. 150
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. III°, v. 25. 151
Ibid.
42
La lettera, già anticipata in vari luoghi di questa tesi, è sicuramente la più nota e la più ricca,
concettualmente, dell’intero epistolario paolino e può essere articolata nelle seguenti parti:
1. Indirizzo, ringraziamenti, preghiera152;
2. Parte dogmatica153;
3. Parte esortativa154;
4. Epilogo e saluti finali155.
Le parti dogmatica ed esortativa costituiscono il corpo centrale della lettera, che è anche la più
lunga dell’intero epistolario. La parte dogmatica riguarda due importanti nodi concettuali:
a. La giustificazione per fede156;
b. La salvezza157.
Il tema della giustificazione per fede si può articolare nelle seguenti 4 sezioni:
1. Enunciazione della tesi158;
2. Pagani e giudei sotto l’ira di Dio159;
3. Giustizia di Dio e fede160;
4. L’esempio di Abramo161.
Paolo si definisce:
1. servo (diacono);
2. apostolo (missionario) e
3. scelto da Cristo (non dalla Chiesa, ma ministro di Cristo)162.
Nella parte dogmatica, che ha il carattere teologico dell’epistola, Paolo afferma che giudei e
greci pagani sono entrambi sotto l’ira di Dio. I giudei si credono erroneamente superiori ai
pagani perché:
1. Hanno una legge, che però non rispettano, offrendo quindi cattivo esempio. Anche i
greci, afferma Paolo, hanno una legge, non scritta, ma è la legge interiore della
coscienza morale, che hanno tutti, credenti e non;
2. Praticano la circoncisione, ma la circoncisione vera è quella del cuore, non della carne;
152
Ibid., cap. I°. 153
Ibid., capp. I°/XI°. 154
Ibid., capp. XII°/XV°. 155
Ibid., capp. XV°/XVI°. 156
Ibid., capp. I°/IV°. 157
Ibid., capp. V°/VIII°. 158
Ibid., cap. I°, vv. 16-17. 159
Ibid., cap. I°, v. 18 e cap. III°, v. 30. 160
Ibid., cap. III°, vv. 21-31. 161
Ibid., cap. IV°. 162
Ibid., cap. I°.
43
3. Sono il popolo eletto, della Promessa con Dio, patto di alleanza che gli ebrei hanno
però infranto.
Tutta l’umanità è quindi peccatrice, ma a questa “pars destruens” Paolo fa seguire una “pars
construens”: è possibile la salvezza con la fede in Cristo. “Il giusto vivrà per fede”, afferma
Paolo riprendendo Abacuc, tesi ripresa poi da Lutero. Nella “Pars construens” si afferma che
Dio Padre ha inviato, quale dono gratuito (per Grazia, quindi)163, Cristo figlio, che è
strumento di redenzione ed espiazione per tutta l’umanità peccatrice. Cristo non è venuto a
negare la Legge, ma ad integrarla: la Fede conferma la Legge, non la contrasta164.
Il creato è prova certa dell’esistenza di Dio e “non ci sono scuse”: gli stolti, che si credevano
sapienti, hanno sostituito Dio creatore con le sue creature e non hanno onorato Dio.
Paolo condanno inoltre l’omosessualità dei greci pagani come contro-natura: Dio li ha
abbandonati, cioè lasciati alle loro depravazioni.
Dio non fa preferenze: accoglie tutti coloro che lo temono e praticano la giustizia165.
Abramo è l’esempio della fede assoluta: si è salvato con la fede ed è stato infatti circonciso
dopo essere stato salvato con la fede. Per questo Abramo e la sua discendenza sono benedetti
(da intendersi sempre nel senso biblico di “protetti”) in eterno. Giustificato per la fede, il
cristiano, dopo
1. Tribolazioni, che producono
2. Pazienza, che porta la
3. Speranza, contemplerà la gloria di Dio, che è cosa molto più somma, anche sul piano
quantitativo e non solo qualitativo, rispetto alle tribolazioni passate.
L’unica circoncisione che conta è quindi quella del cuore, non delle membra.
Paolo opera qui una similitudine: come il peccato di un solo uomo (Adamo166) ha reso
peccatrice l’intera umanità, così il sacrificio di un solo uomo (Cristo), salverà l’intera
umanità: la disobbedienza di Adamo a Dio Padre è risanata dall’obbedienza di Cristo Figlio
allo stesso Dio Padre.
In seguito Paolo ci parla del battesimo167: nell’antichità avveniva solo per gli adulti tramite
immersione in una vasca. Con il battesimo l’uomo vecchio, quello del peccato, muore con
Cristo, e risorge (risurrezione) l’uomo nuovo (come se fosse una “seconda creazione”).
163
Ibid., cap. V°, vv. 15-16, sulla funzione salvifica della Grazia divina. 164
Su questo punto cfr. anche il Vangelo di Giovanni. 165
Paolo riprende qui il noto discorso di Pietro al centurione romano Cornelio. 166
Al tempo di Adamo non c’erano ancora le Tavole della Legge, ma la Promessa, come Paolo ha affermato
nella Lettera ai Corinzi, cap. XV°, v. 21. 167
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI°.
44
“L’uomo vecchio” è “con-sepolto” con Cristo, mentre il cristiano è “l’uomo nuovo” (“ri-
creato”) ed è libero
a) dal peccato e
b) dalla Legge168.
Con l’arrivo dello Spirito, della Grazia, di Cristo, la Legge ha terminato la sua propedeutica
funzione pedagogica. Quindi possiamo affermare che
1. La Legge, da sola, non serve alla salvezza, ma anche che
2. La Legge non è peccato, perché è creata da Dio, quindi
3. La Legge è santa, ma
4. Contiene in sé il germe del peccato perché, essendo il male nell’uomo, la tendenza
umana ad infrangere la legge porta al peccato ed alla morte.
Paolo ci parla in seguito di due possibili, differenti modelli di vita:
1. Secondo lo spirito e
2. Secondo la carne.
Il cristiano, come Persona, vive secondo lo spirito e secondo il corpo, ed è questo
l’umanesimo integrale, tipicamente cristiano169.
Soltanto l’ Agape, ovvero l’Amore di Cristo, la Charitas, vince su ogni tribolazione, anche
sulla morte.
La salvezza di Cristo ci sarà anche per gli Ebrei: con questa conclusione della parte
dogmatica, Paolo
a) Smentisce l’accusa di antiebraismo;
b) Ribadisce l’universalità del messaggio cristiano, in quanto la salvezza è per tutti170.
Segue la parte conclusiva ed esortativa171, della quale si è già parlato, nella quale Paolo si
definisce “ministro” (nel senso di “sacerdote”) di Cristo. Seguono saluti conclusivi inviati a
26 persone che chiama “parenti” nel senso greco, allargato, di “collaboratori”: 1) saluta infatti
Gaio, che lo aveva ospitato a Corinto e 2) Febe, una diaconessa della Chiesa di Cencre, uno
dei due porti di Corinto172. Questi due elementi dimostrano che la lettera è stata scritta a
Corinto. Quest’ultima parte è ovviamente la meno importante, almeno sul piano teologico-
dottrinale.
168
Ibid., capp. VI°/VII°. 169
Su questo punto cfr. anche Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, cit. 170
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, capp. IX°/XI°. Sono questi capitoli che smentiscono la tesi di un Paolo
“antiebraico”. 171
Ibid. capp. XV°/XVI°. 172
Ibid., cap. XVI°.
45
Paolo esprime la volontà di coinvolgere i romani nella sua futura missione173: lui spera infatti
di andare in Spagna ed iniziare l’evangelizzazione dell’Occidente, evento che non si
verificherà poiché morirà a Roma.
II.8. LA LETTERA A FILEMONE: IL TEMA DELLA FRATELLA NZA CRISTIANA.
E’ la più breve lettera paolina ed è forse l’unica lettera di mano interamente paolina. E’ un
brevissimo biglietto di raccomandazioni: Paolo chiede a Filemone di non punire uno schiavo
da lui fuggito e di accoglierlo come fratello nel Signore.
II.9. LE LETTERE DEUTERO-PAOLINE: L’ESCATOLOGIA PAOLINA. CRISTO
“RICAPITOLATORE”.
Come si è anticipato, le Lettere Deutero-paoline saranno trattate solo per sommi capi, non
essendo autografe di Paolo, ma di scuola paolina.
Nella Lettera agli Efesini174 emerge una visione escatologica della Chiesa, che tende alla vita
ultraterrena;: Cristo è qui concepito come “ricapitolatore” della storia umana.
Nella Lettera ai Colossesi175 Cristo è l’immagine di Dio: viene prima di tutte le cose ed in Lui
tutte le cose hanno fondamento. Egli è capo (nel senso di “corpo”) della Chiesa.
Nella Lettera agli Ebrei176, che è estranea al corpus paolino, si afferma che con Gesù
“ricapitolatore” della storia terrena si chiude la rivelazione: non ci saranno altre rivelazioni
pubbliche sino alla fine dei tempi.
173
Ibid., cap. XV°, vv. 23-24. 174
Lettere Deutero-paoline: Lettera agli Efesini, cap. I°, v. 10. 175
Lettere Deutero-paoline: Lettera ai Colossesi, cap. I°. 176
Lettere Deutero-paoline: Lettera agli Ebrei, cap. I°.
46
CONCLUSIONE: GIOVANNI E PAOLO, DUE DIFFERENTI SCELTE
ETICHE.
“Tirare le fila” sul problema del rapporto tra Giovanni e Paolo, rispettivamente, con la cultura
ebraica dalla quale entrambi gli autori, peraltro coevi, provenivano, implica necessariamente
considerazioni di teologia morale.
In Giovanni la visione è cristologica, non può esserci separazione tra Cristo e l’etica.
Vengono accentuati gli aspetti teologici, non vi sono riferimenti a problemi concreti. La
visione dell’etica viene ridotta a due concetti:
1. Al precetto della Fede e dell’Amore, come si legge
“Questo è il suo comandamento: che noi crediamo nel nome del suo Figlio Gesù
Cristo e che ci amiamo l’un l’altro secondo il comandamento che Egli ci ha dato”177.
2. Di conseguenza, c’è un’intima relazione tra incredulità e peccato, fra mancanza di
Amore e peccato178; più che dell’amore verso Dio si parla dell’Amore di Dio
comunicato a noi179.
Nelle lettere maggiori di Paolo troviamo il fondamento della morale. Alla base c’è la salvezza
che ogni cristiano è chiamato a vivere in Cristo e proprio nell’unione con Cristo consiste il
principio della morale paolina. Il fondamento cristologico si può riassumere
nell’affermazione: diventate ciò che voi in Cristo siete già180. Ciò avviene nel battesimo, in
cui l’uomo è vincolato al Signore e la sua vocazione si completa. Accanto così alla
“fondazione-base”, troviamo anche quella sacramentale-battesimale. Proprio questo
misterioso avvenimento sacramentale diventa per Paolo il punto su cui poggia l’imperativo
morale181. Riferendosi al battesimo per immersione, si legge:
“Ben consapevoli di questo, che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Lui, affinché
fosse distrutto il corpo del peccato in modo da non essere più schiavi del peccato”182.
Paolo afferma che il neofita, venendo immerso nell’acqua, viene come sepolto, muore
“l’uomo vecchio” alla potenza del peccato e viene crocifisso con Cristo.
177
Giovanni, Vangelo, cit., cap. III°, v. 23. 178
Ibid., cap. XV°, vv. 22-24 e cap. I°, vv. 3, 14. 179
Ibid., cap. I°, v. 4 e cap. II°, v. 12. 180
Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cap. V°, vv. 7-8. 181
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI° e Lettera ai Colossesi, cap. III°. 182
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI°, vv. 1 e sgg.
47
Ma contemporaneamente il neofita riceve dal battesimo una “nuova vita” quando con Cristo,
per la potenza del Padre, viene fatto risorgere: unito a Cristo, l’uomo è reso partecipe della
sua resurrezione, ed è questo l’ “uomo nuovo”:
“se dunque moriamo con Cristo, noi crediamo che vivremo anche con Lui183”, “così anche voi
consideratevi morti al peccato e viventi per Iddio in Cristo Gesù”184.
Questa vita però si manifesterà nella pienezza solo nell’ultimo giorno:
”voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando apparirà Cristo
che è la vostra vita, allora anche voi apparirete nella gloria con Lui”185.
Vivificati in Cristo, noi dobbiamo vivere per Lui. E proprio la “tensione” fra il già possedere
ed il non ancora possederlo in pienezza, esige imperiosamente la nostra prova morale. Essa
sola rende possesso pieno quello che già possediamo e ci fa sperare da Dio la pienezza
dell’eredità futura:
“Consideratevi morti al peccato e viventi per Iddio, quindi non regni il peccato nel vostro
cuore […] non offrite le vostre membra come armi dell’ingiustizia al peccato […]”186.
L’etica paolina non si fonda quindi sull’uomo e sulla Legge, ma soltanto sulla nuova
situazione portata da Cristo redentore. Si legge infatti:
“fate dunque morire le membra che sono sulla terra: fornicazione, impudicizia, passione,
desideri maligni, cupidigia […]187.
L’Apostolo esige che la volontà di Dio venga adempiuta, ma questo adempimento avviene nei
cristiani in maniera diversa che per l’antica legge, e proprio in questo consiste il forte
allontanamento di Paolo dal giudaismo.
Il cristiano non si sente ripetere una quantità di precetti imposti dall’esterno188, bensì
percepisce dall’interno la voce dello spirito che lo spinge al bene. In tal modo la “Legge dello
Spirito” non è un nuovo codice di leggi, sia pure ridotto ad un solo comandamento, ma un
impulso al Bene proveniente dallo Spirito Santo. Paolo chiama questo impulso “La Legge di
Cristo”189.
In conclusione, possiamo quindi affermare come in Giovanni non si possa assolutamente
parlare di antisemitismo e che anche l’affermazione di un “allontanamento” sia alquanto
183
Ibid., v. 8. 184
Ibid., v. 2. 185
Paolo di Tarso, Lettera ai Colossesi, cit., cap. III°, vv. 3-4. 186
Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI°, vv.2 - 12 e sgg. 187
Paolo di Tarso, Lettera ai Colossesi, cit., cap. III°, vv. 5 e sgg. 188
Su questo punto l’ebraismo è stato fortemente accusato anche dal filosofo G. W. F. Hegel in Scritti teologici
giovanili, a c. di N. Vaccaro-E. Mirri, Guida, Napoli. 189
Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cit., cap. VI°, v. 2.
48
discutibile, come si è visto nella parte di questa tesi dedicata all’evangelista, mentre
nell’epistolario paolino è indubbiamente esplicitato l’allontanamento dal giudaismo, anche se
non si può, nemmeno in Paolo, come si è visto, parlare di “antiebraismo”, in quanto la
Salvezza Universale portata da Cristo riguarderà anche gli ebrei.
49
BIBLIOGRAFIA.
A)FONTI PRIMARIE:
• Giovanni, Vangelo, in Nuovo Testamento;
• Libri di Samuele, in Libri storici, in Antico Testamento;
• Libro dei Salmi, in Libri sapienziali, in Antico Testamento;
• Libro del profeta Malachia, in Libri profetici, in Antico Testamento;
• Libro del Siracide, in Libri sapienziali, in Antico Testamento;
• Luca, Atti degli Apostoli, in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Tessalonicesi in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinzi in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Seconda Lettera ai Corinzi in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Lettera ai Galati in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Lettera ai Romani in Nuovo Testamento;
• Paolo di Tarso, Lettera a Filemone in Nuovo Testamento;
• Lettere Deutero-paoline: Lettera ai Colossesi, Lettera agli Efesini, Lettera agli Ebrei,
in Nuovo Testamento.
B)FONTI SECONDARIE:
• Alighieri D., Paradiso, in Divina Commedia;
• Aristotele, Poetica, Laterza, Bari;
• Bori P. C., La Chiesa primitiva, Queriniana, Brescia, 1982;
• Brown R., Un ritiro spirituale con l’evangelista Giovanni, Queriniana, Brescia, 2000;
• Costituzione “Gaudium et Spes”, in Atti del Concilio Vaticano II°;
• Cullmann O., La fede e il culto della Chiesa primitiva, AVE, Roma;
• Dione Cassio, Storia di Roma;
• Eckhart M., Commento al Vangelo di Giovanni;
• Fabris R. – Romanello S., Introduzione alla lettura di Paolo, Borla, Torino, 2006;
50
• Fumagalli A. Come Lui ha amato. L’eros di Gesù, ed. San Paolo, 2010;
• Grun A., Gesù porta della vita. Il vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia, 2003;
• Hegel G. W. F., Scritti teologici giovanili, a c. di N. Vaccaro-E. Mirri, Guida, Napoli,
1977;
• Kant I., Critica della ragion pratica, a c. di F. Capra, Laterza, Bari, 1986;
• Maritain J., Umanesimo integrale, a c. di G. Dore, Borla, Torino, 1984;
• Nietzsche F., La nascita della tragedia, a c. di G. Colli, Adelphi, Milano, 1982;
• Omero, Odissea;
• Platone, Repubblica, Laterza, Bari;
• Poppi A., Sinossi dei quattro vangeli, Il messaggero, Padova, 1990;
• Ravasi G., Il Vangelo di Giovanni, EDB, Bologna, 2004;
• Simon M. – Benoit A., Giudaismo e cristianesimo, a c. di A. Giardina, Laterza, bari,
1978;
• Schweizer E. – Dìez Macho A., La Chiesa primitiva. Ambiente, organizzazione e
culto, a c. di Benedettine di Civitella San Paolo, Paideia, Brescia, 1980;
• Svetonio, Vite dei 12 Cesari;
• Tognocchi E., La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, ed. Il
dialogo, Marina di Pietrasanta (LU), 2005.
• Tognocchi E., La preghiera di Gesù sulla croce, ed. Il dialogo, Marina di Pietrasanta
(LU), 2008;
• Tognocchi E., Le nozze di Cana, Cittadella, Assisi, 1991;
• Virgilio, Eneide.
C)FILMOGRAFIA:
• Gibson M., The passion, 2004.
D)SITOGRAFIA:
Si rimanda al seguente sito, articolato per aree tematiche: http://www.bdp.it/bibl/aree.htm
51
P.S.: Per “fonti primarie s’intendono tutte quelle della Bibbia, mentre nelle “fonti secondarie”
sono stati inseriti tutti gli altri testi, anche coevi agli autori trattati nella tesi. L’ordine seguito
è quello alfabetico, ad eccezione dell’epistolario paolino, per il quale si è seguito l’ordine in
cui le varie lettere sono state analizzate, come risulta dall’Indice.
52
INDICE
CAPP./PAR. TITOLI PP.
Frontespizio-titolo-copertina. 1
Dedica, saluti e ringraziamenti. 2
INTRODUZIONE. 3
I. Il VANGELO GIOVANNEO. 4
I.1. Introduzione e contestualizzazione. Il problema dei Vangeli
apocrifi ed il giudeo-cristianesimo.
4
I.2. Il Prologo: il “Logos-Verbum” e le sue implicazioni filosofico-
teologiche.
6
I.3. Il primo capitolo: la figura di Giovanni e l’autocoscienza di Cristo. 8
I.4. Il secondo capitolo: le nozze di Cana, la cacciata dei mercanti dal
tempio e la “particolare” cronologia giovannea.
10
I.5. Il terzo capitolo: l’incontro con Nicodemo e la tecnica del
“dialogo-monologo”.
11
I.6. Il quarto capitolo: l’incontro con la samaritana e la guarigione del
figlio di un funzionario regio. La simbologia giovannea: il “Libro
dei 7 Segni”.
12
I.7. Il quinto capitolo: la guarigione dell’infermo, l’ostilità ebraica e
l’escatologia giovannea.
14
I.8. Il sesto capitolo: lo “spezzamento” dei pani, il Sacro, il rapporto
gerarchico fra teologia e conoscenza filosofica.
15
I.9. Il settimo capitolo: la festa delle capanne. Storia e geografia
giovannea: coordinate spazio-temporali.
17
I.10. L’ottavo capitolo: la Legge ebraica e la legge dell’Amore.
L’incontro con l’adultera.
19
I.11. Gli ultimi capitoli: il “Libro della Gloria”, l’Epilogo e la “vicenda
pasquale”. Il conflitto tra “Agape” ed “Eros”. “Diakonìa”,
“Martyrìa” e Risurrezione.
20
I.12. Il dibattito storiografico sulla specificità del Vangelo giovanneo e
sui suoi rapporti con il giudaismo: Giovanni “antigiudaico” o
“lontano dal giudaismo”?
21
II. L’EPISTOLARIO PAOLINO. 24
53
II.1. Introduzione: la vita e la figura di Paolo di Tarso. Il contesto
storico-geografico e culturale. Le fonti, i viaggi, i generi letterari,
l’attività missionaria, la conversione, i capisaldi del cristianesimo.
24
II.2. La Prima Lettera ai Tessalonicesi: l’escatologia paolina. 35
II.3. La Prima Lettera ai Corinzi: la Sapienza e la “follia della Croce”.
Immagini della Chiesa. Il matrimonio. Spirito e corpo. La
questione degli “idolotiti” e la “teologia dei carismi”.
L’ ecclesiologia paolina. La “Cristologia a due stadi”.
36
II.4. La Seconda Lettera ai Corinzi: cenni generali 39
II.5. La Lettera ai Filippesi: cristologia ed ecclesiologia. 39
II.6. La Lettera ai Galati: lo spirito e la carne. Critica della
circoncisione. Soteriologia ed antropologia paolina.
40
II.7. La Lettera ai Romani: la dogmatica. Giustificazione e salvezza.
Pagani e giudei. La “circoncisione del cuore”. Fede e Legge.
Adamo e Cristo.
41
II.8. La Lettera a Filemone: il tema della fratellanza cristiana. 45
II.9. Cenni sulle Lettere Deutero-paoline: l’escatologia paolina. Cristo
“ricapitolatore”.
45
CONCLUSIONE: GIOVANNI E PAOLO, DUE DIFFERENTI
SCELTE ETICHE.
46
BIBLIOGRAFIA 49
A) FONTI PRIMARIE 49
B) FONTI SECONDARIE 49
C) FILMOGRAFIA 50
D) SITOGRAFIA 50
POST-SCRIPTUM 51
INDICE 52