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DONNE NELLA STORIA

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Direttore

Antonella CUniversità degli Studi di Foggia

Comitato scientifico

José Manuel A SUniversità Pontificia di Salamanca

Mercedes A FUniversità di Siviglia

Vittoria BUniversità di Bari

Rita CUniversità di Wuppertal

Androniki DUniversità di Tessaglia

Paola Maria FUniversità di Bologna

Maria G SUniversity of Miami

Angela GUniversità di Urbino

Estela G SUniversità di Oviedo

José María H DUniversità di Salamanca

Margot HAustralian Catholic University

Montserrat HUniversità Carlos III, Madrid

Giovanni IUniversità di Milano

Dobrochna KJagiellonian University

Laura LFranklin College di Lugano

Milagro M CUniversità di Salamanca

Eugenia MUniversità Autónoma di Madrid

Michelle MRosemont College, Pennsylvania

Kristen D. NPaedagogische Hochschule Heidelberg

Natalia NYaroslav State Pedagogical University

Maria Pia PScuola Normale Superiore, Università di Pisa

Luisa SCNR, Milano

Massimo SUniversità di Catania

Patricia VUniversity of British Columbia

Comitato redazionale

Michela CUniversità di Sassari

Daniele CUniversidad de Sevilla

Barbara D SUniversità degli Studi di Foggia

Paola D TUniversità degli Studi di Verona

Enrica GUniversità di Ferrara

José Luis H HUniversidad de Valladolid

Elena MAlma Mater Studiorum – Università di Bologna

Gabriella SUniversità di Milano–Bicocca

Ogni volume della collana è sottoposto al giudizio di due blind referees.

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DONNE NELLA STORIA

Quante vite, esperienze e profili di donne sono ancora nascostenelle pieghe della storia? A questa domanda è difficile risponde-re. Nonostante la straordinaria quantità di documenti emersigrazie al pregevole lavoro della storiografia a partire dagli an-ni Settanta, ancora molto resta nascosto, implicito, non detto,in particolare quando si guarda allo straordinario archivio delvissuto femminile. La collana “Donne nella storia” si proponedi dare voce alle vite disperse, recuperando profili biografi-ci misconosciuti, seguendo i labili segni rappresentati talvoltasoltanto da sparsi e frammentari indizi, di raccogliere testimo-nianze preziose per recuperare le tracce che le donne hannolasciato nel loro esistere nel mondo, e infine di individuare ipercorsi, faticosamente conquistati con lacrime e sangue, constraordinaria tenacia e consapevolezza. Ridare vita e colore aimmagini sfocate, riportare al nitore le tinte sbiadite si ponecome finalità prioritaria della collana, aperta a contributi di ta-glio interdisciplinare, in un arco cronologico di ampio respiroche sottolinei continuità e fratture, spinte in avanti e pericolosiregressi, successi e delusioni, in linea con le più attuali tendenzedi ricerca degli women’s studies.

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In copertina: Alta Visione () quadro di Pasqualina Mongillo, in memoria di un’amica e diun’artista.

Il libro è stato pubblicato anche grazie al contributo della Fondazione Fidapa.

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Fiorenza Taricone

Ottocento romantico e generi

Dominazione, complicità, abusi, molestie

Prefazione diAntonella Cagnolati

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Copyright © MMXIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, /A–B Roma()

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: giugno

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Indice

I Prefazionedi Antonella Cagnolati

Capitolo ILe parole per dirlo

.. La manipolazione del lessico, – .. Il coraggio del femmi-nismo, .

Capitolo IILo statuto dei cosiddetti minori: bambini/e, ma anchedonne

.. Amati, ma anche offesi, – .. Famiglia, maternità, muta-menti sociali, – .. Associazionismo e tutela della maternità:tra pubblico e privato, .

Capitolo IIIEmancipazione, fatica, obbligo, indipendenza

.. Lavoro e leggi di tutela, – .. I rischi del “lavorare aeducare”, .

Capitolo IVMaternità cosciente e procreazione consapevole

.. Sfera privata e sfera pubblica, – .. Malthus e i suoiepigoni, – .. Il malthusianesimo e le interpretazioni sociali-ste, – .. Neo–malthusianesimo, educazione sessuale, moralesessuale, – .. Il rifiuto della maternità indesiderata, .

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Indice

Capitolo VLavoratrici del sesso fra pubblico e privato

.. Contro la regolamentazione della prostituzione, – .. Larisposta italiana, – .. Il femminismo pratico dell’UnioneFemminile: il laico Asilo Mariuccia, .

Capitolo VIAmare, essere amate: troppo, troppo poco

.. Quali parole per la violenza sessuale, – .. Le parolerimaste, come narrazione di vita, .

Appendice iconografica

Indice nomi

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Prefazione

di A C

Guida sagace e non aliena dallo svelare crude realtà e panoramia tinte fosche, in questa sua ultima opera Fiorenza Taricone ciconduce per mano nell’esplorazione di un mondo e di un’epocadi cui rintraccia con piglio sicuro la cartografia simbolica econcreta, un doloroso excursus nel lungo Ottocento, dipintoa tinte fosche, che risorge da preziosi documenti d’archivio etestimonianze che grondano lacrime e sangue.

Il viaggio si configura come una sorta di penosa discesa adinferos, le cui tappe sono contraddistinte dalla presenza di unafolla di bambini, bambine e donne che ci appaiono come inun lugubre quadro di anime dannate, costrette a soggiacereal mero disvalore del profitto ad ogni costo, un’ansia e unabramosia di sfruttamento che ledono inesorabilmente i dirittipiù elementari, producendo al contempo alienazione senzapossibilità di redenzione alcuna.

Ponendo come focus prioritario della sua analisi la condizio-ne esistenziale indagata sotto il profilo della normatività e dellaconseguente riflessione sui destini umani in senso sociologico,Taricone ci permette di specchiarci — non senza generare unsenso di evidente colpa per il destino degli ultimi — in un lagodi corruzione e di desolante, bieco cinismo che non solo uccideil futuro ma anche qualsiasi speranza nelle magnifiche sorti eprogressive di leopardiana memoria.

Dalle dense pagine balzano figure vere, storie nitide e senzascampo di persone alle quali la società non si è vergognatadi infliggere perversi oltraggi (incesto, vendita di corpi, lavoriinsalubri) e crudeltà efferate.

I

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II Prefazione

Come tacere la complicità di un mondo di adulti che get-ta nell’abisso della marginalità innocenti creature soltanto persoddisfare mere pulsioni esacerbate da un’atavica brama di pos-sesso carnale? La denuncia — quasi a guisa di feroce pamphlet— e la scelta di ridare voce a coloro che vengono ripetutamen-te usati e abusati pare in linea con il desiderio di sottolinearecostantemente come il modello patriarcale e maschilista dellasocietà plasmi con palese cruenza le relazioni, di qualunque ge-nere esse siano, nell’evidente finalità di pretendere manodoperaa basso costo per la nascente industria italiana.

Come possiamo non indignarci nel leggere testimonianzedi cinica spietatezza, come non arrenderci alla sconcertantebanalità del male che alberga tra le mura domestiche e nelledimore nobiliari, nelle quale le “servente” sono alla mercé deisignori, come non commuoverci per le piccole ospiti dell’asiloMariuccia, sottratte a destini di promiscuità, di malattie e diabuso dei loro corpi?

La ricognizione di Taricone è a tutto tondo nell’intento difotografare la realtà con le sue miserie, attraverso una modalitàassai simile alle sofferte pagine dei narratori veristi e naturalisti,che chiama in causa l’assenza dello Stato, la distrazione inten-zionale dei ceti possidenti, la mancanza di qualsiasi sensibilitàevangelica. In larga misura l’indagine si focalizza sulle condizionidi vita delle donne, colte nel loro procedere anagrafico: primabambine — poco amate, poco desiderate — poi giovani a rischio,infine donne distrutte dalla fatica delle ripetute gravidanze e dallavoro extradomestico che trovano vie d’uscita nell’infanticidioe nella disperazione di una fuga presto interrotta.

Paiono interessanti due barlumi di rigenerazione: da un lato,il notevole lavoro svolto dall’istruzione per favorire processi diconsapevolezza e di emancipazione grazie alle pionieristichefigure della maestre, vere eroine della lotta contro l’analfabeti-smo; dall’altro il sorgere di una diversa sensibilità che tenta diinfrangere l’ipocrisia della “doppia morale” e che richiede unatutela assistenziale e giuridica per le donne e i bambini, comeben testimonia la legge Carcano.

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Prefazione III

Si deve comunque evidenziare come i processi di mutamen-to culturale siano lunghi e sempre passibili di arretramento,come ben testimoniano i numerosi casi di violenze e miseriamorale che ancora riempiono all’inizio del XX secolo le cro-nache dei giornali e le aule dei tribunali, nonché la faticosaelaborazione di un lessico “per dirlo”, per illuminare la consa-pevolezza dell’abuso, per contrastare la prassi violenta fattasiquotidianità.

Merito indiscutibile del pregevole lavoro di Fiorenza Tarico-ne sta nel misurare con grande attenzione la distanza culturale epolitica da quelle scene di desolante miseria ed emarginazioneper comprendere quanto sia stato arduo il cammino verso laconquista dei diritti, non più meramente relegati nelle carte enei codici bensì trasformati in prassi concrete di vita reale.

E la meta è ancora lungi dall’essere pienamente raggiunta.

Ferrara, aprile

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Capitolo I

Le parole per dirlo

.. La manipolazione del lessico

Il raffinato lessico usato oggi nel campo delle discriminazionifamiliari e lavorative, con i termini di molestie morali e ses-suali, in aggiunta o isolatamente dal mobbing e dallo staining,l’emergere della violenza domestica, la pedofilia accertata all’in-terno della non più rassicurante cerchia familiare, l’inclusionedei diritti delle donne nei diritti umani, consentono di guar-dare alla storia dei due generi con un’operazione a ritroso;non più solo la storia passata “docet” nell’oggi, ma è educati-vo anche il contrario: guardare all’indietro, rivisitare il passatocon l’attrezzatura mentale e culturale odierna, con un volutoanacronismo e con la consapevolezza che nel recente passa-to, Ottocento e parte del Novecento, non “c’erano le paroleper dirlo”, parafrasando un famoso testo psicanalitico di MarieCardinal.

Ritengo che sia il XIX secolo, per la storia di genere, il pe-riodo storico che offre al meglio l’occasione di un raffronto,a patto di modificare ottiche tradizionali. La prima, è la su-bordinazione, in un certo senso, al filosofico e rivoluzionariosecolo dei Lumi; soprattutto per l’Italia, l’Ottocento è nellamente dei più, preparatorio al grande evento dell’Unità d’Italia,il secolo della conquista dell’indipendenza e della costruzionedello Stato–Nazione. Nella storia di genere è molto di più, ed ènozione ormai assodata da tempo che i gender studies siano scan-diti da una diversa cronologia. Per le patriote, il Risorgimento

. M C, Le parole per dirlo, Milano, Bompiani, .

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Ottocento romantico e generi

si lega ad una cittadinanza tradita, che lo Stato unitario “nonconcede”; per la generazione successiva, di emancipazioniste efemministe, l’Ottocento segna l’uscita definitiva dalla solitudi-ne individuale prefissata dagli stati civili obbligati: figlia, sposa,madre, e l’organizzazione del vasto arcipelago di associazionifemminili, l’acquisizione del saper leggere e scrivere per moltis-sime ragazze e uno status sociale di lavoratrici fuori delle muradomestiche. Più che abbastanza quindi, per considerare l’Ot-tocento il filo di Arianna dei temi oggetto di queste pagine, ladominazione di un sesso sull’altro, la rete di complicità maschilie femminili, le molestie, gli abusi, non solo e genericamentedi un sesso sull’altro, ma anche dei genitori sulle figlie/i, dellasocietà sulle madri e sui parti illegittimi, dei datori di lavoro sulavoratrici e lavoratori, degli adulti sui minori.

Per poter parlare di abusi e molestie sui minori dobbiamoconsapevolmente scivolare nell’anacronismo, rileggere la storiacon gli occhi di oggi perché all’epoca non c’era l’attrezzaturamentale per classificarli come tali; guardiamo quindi la storiacon lenti bifocali, una prima volta per capire e per “farci inse-gnare”, una seconda, come in un feed–back, riattraversandolacon gli occhi di oggi.

In altri campi invece, non si è verificato un ribaltamento les-sicale, piuttosto quello usato allora in senso nobile, non ha fattoun percorso progressivo, bensì peggiorativo; la storia non hacamminato in linea retta, da un meno verso un più progressivo,bensì ha operato un fraintendimento dei termini, occultandonele sembianze positive. Nel vecchio continente si sono opera-ti veri e propri ribaltamenti mentali rispetto a ciò che verràdefinito deviante o moralmente inaccettabile: pederastia, omo-sessualità sia maschile che femminile. Gli studi sulla bisessualitànel mondo antico hanno gettato una luce completamente di-versa su ferree credenze mascherate in realtà da pregiudizi,ma anche sul ribaltamento terminologico riferito all’odiernoconcetto di pedofilia. Ciò che è oggi un abuso di un adultoverso un minore, era all’epoca una pratica pedagogica, una tra-smissione di valori. I greci e i romani, infatti, come ha scritto E.

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. Le parole per dirlo

Cantarella, al di là delle profonde differenze fra le due culture,vivevano i rapporti fra uomini in modo molto diverso da quelloin cui li vivono coloro che fanno oggi una scelta di tipo omoses-suale: per i greci e per i romani infatti sempre salvo eccezioni,l’omosessualità non era una scelta esclusiva. Amare un altrouomo non era un’opzione fuori della norma, diversa, in qual-che modo deviante. Era solo una parte dell’esperienza di vita:era la manifestazione di una pulsione, vuoi sentimentale, vuoisessuale che nell’arco dell’esistenza s’alternava e si affiancavatalvolta nello stesso momento all’amore per una donna.

Ad Atene, l’omosessualità che era in realtà pederastia, va-le a dire l’amore fra un adulto ed un ragazzo, occupava unposto di rilievo nella formazione morale e politica dei giova-ni, che apprendevano dall’amante adulto le virtù del cittadino.L’educazione amorosa lasciava ben poco spazio alla possibilitàdi considerare il rapporto eterosessuale qualcosa di più dellostrumento di riproduzione.

Nessuna condanna dell’omosessualità in sé emerge dai pas-saggi delle Leggi e della Repubblica. Nel primo libro delle Leggi,Platone contrappone i rapporti uomo donna, definiti kata phy-sin (secondo natura) a quelli omosessuali, definiti para physin(contro natura). Ma una lettura più attenta rivela subito che, perlui, « secondo natura » e « contro natura » sono espressioni il cuisignificato è molto diverso da quello che oggi attribuiamo loro.Quel che infatti, Platone dice testualmente, è che « quando unuomo si unisce a una donna “per procreare”, il piacere che neprova è “secondo natura” ». In altre parole, non sempre il pia-cere che si prova con le persone dell’altro sesso è tale: « contronatura », per Platone, è qualunque rapporto (omosessuale oeterosessuale che sia) non finalizzato alla procreazione.

In un tale contesto, e sulla base di queste considerazioni,dunque, va intesa l’affermazione di Platone che l’omosessualitàè « contro natura »: alla sua utopica città egli vuol dare le leggi

. E C, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Roma,Editori Riuniti, , Premessa.

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Ottocento romantico e generi

più adatte a bandire la mollezza e l’abbandono alle pulsioni,contro cui personalmente combatte. Quando condanna la pede-rastia, negandole ogni spazio in un mondo che non è quello incui vive, ma quello che non senza contraddizioni personali va-gheggia, il suo obiettivo non consiste nel ricondurre le passioniamorose alla corretta natura, e nel permettere, quindi, di amaresolo le donne, ma nel sopprimere ogni passione, autorizzandosolo la sessualità riproduttiva. In questa chiave, ecco il suo pen-siero farsi chiaro, anche laddove egli dice che, così come unalegge (non scritta) proibisce i rapporti fra genitori e figli, allostesso modo dovrebbe esistere una legge che vieta l’omosessua-lità, per evitare che « il seme sia gettato su pietre e macigni, doveesso non potrà trovare luogo adatto alle sue radici e mai potràassumere la propria natura capace di generare ». Oltre che dalleunioni fra maschi, infatti, egli ritiene che la legge dovrebbeimporre di astenersi « da ogni campo femminile nel quale ciòche viene seminato non accetteresti mai dovesse germogliare »(vale a dire, i rapporti con le donne altrui e le prostitute).

I rapporti sessuali leciti, insomma, dovrebbero essere — dinuovo — solo rapporti eterosessuali destinati alla procreazione,come tali, altrove definiti “secondo natura”: e la legge che dovreb-be imporre questa regola — dice Platone — avrebbe, tra l’altro,il vantaggio di insegnare ai mariti ad amare di più le mogli.

Quello che Platone si propone, insomma, dettando le leggiper la sua utopica città, non è, specificamente, bandire l’omo-sessualità, ma imporre in essa il controllo dell’eros, limitandoloai soli rapporti finalizzati alla riproduzione.

L’amore fra donne, non essendo strumento di formazionedel cittadino, non interessava la città e non compare quindinelle riflessioni dei filosofi. In questo caso, diversamente dal-l’omofilia, il cui significato è mutato radicalmente, l’amore fradonne ha goduto di un trattamento costante e oppositivo. O èstato minimizzato, quasi si trattasse di un gioco, perché sostan-zialmente non portava alla procreazione, che rimaneva l’unicafinalità del corpo femminile, con o senza amore; oppure, haconservato una condanna senza mezzi termini, nella sfera mo-

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. Le parole per dirlo

rale, religiosa, del diritto consuetudinario; ancora negli annisessanta, il dizionario della lingua italiana Palazzi definiva iltribadismo come forma di perversione sessuale che induce al-l’accoppiamento fra donne. Certamente, una netta eredità difine Ottocento, quando in Italia appare il termine omosessua-lità, con due radici, una greca omoios cioè simile e una latina,sexus, coniato dal tedesco di origine ungherese Karol MariaBénkert. Sostituisce le altre nomenclature, ma non la negativitàdel portato linguistico, se nel , nel manuale psichiatrico, En-rico Morselli scrive che: « Sono una sopravvivenza o un ritornodell’immoralità primitiva tutte le forme più o meno mostruosedi relazione carnale fra individui omosessuali ».

Gli aspetti positivi dell’amore fra donne, ma anche in questocaso intrecciati alla pedagogia, si devono essenzialmente all’artepoetica, e quindi a Saffo, nata a Mitilene nell’isola di Lesbo, nel a.C. da famiglia aristocratica. Si sposò ed ebbe una figlia dinome Cleis e a Mitilene fu a capo di un’associazione di giovanidonne chiamate thiasoi. I thiasoi, dunque, erano comunità fem-minili, la cui esistenza è documentata, oltre che a Lesbo (ove,accanto a quello di Saffo, esistevano i thiasoi delle sue rivali Gorgoe Andromeda), anche in altre zone della Grecia, e in particolare aSparta. Anche se talvolta così definite, non erano semplicemente« collegi per ragazze di buona famiglia », dove fiorivano, fra leragazze, amori solo spirituali.I thiasoi erano qualcosa di diverso edi più complesso. Erano gruppi che avevano divinità e cerimonieproprie, nei quali le ragazze, prima del matrimonio, vivevano incomunità un’esperienza globale di vita in qualche modo analogaall’esperienza di vita che gli uomini facevano in corrispondentigruppi maschili. Ed è all’interno di questa comunanza di vita chele fanciulle ricevevano un’educazione. Cosa insegnava Saffo allesue allieve? In primo luogo musica, canto e danza: gli strumentiche, da giovinette incolte (quali erano, quando si recavano dalei), le trasformavano in donne di cui poteva restare il ricordo eavrebbe consentito di uscire dall’ignoranza, e quindi dall’oblio.

. R F, L’amante celeste, Firenze, Estro Strumenti, , p. .

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Ottocento romantico e generi

Ma Saffo non era solo maestra dell’intelletto: da lei le fanciul-le apprendevano anche le armi della bellezza, della seduzionee del fascino: imparavano la grazia (charis) che faceva di lorodelle donne desiderabili. Sotto questo profilo, la definizione delcircolo di Saffo come « collegio per ragazze bene » non è sbaglia-ta. Ma è certamente insufficiente, ricorda Eva Cantarella: nei« circoli » le fanciulle di Lesbo e di altre città, facevano un’espe-rienza che, ai nostri occhi, è tutt’altro che per « fanciulle bene »,vale a dire amavano altre donne. E le amavano di un amoreappassionato, vissuto con eccezionale sensibilità e trasporto,come mostrano, senza lasciare alcuna possibilità di dubbio, lepoesie che Saffo, nel corso degli anni, dedicò alle amiche divolta in volta predilette.

Fra i romani, la regola fondamentale del codice sessuale, sulfinire della repubblica e agli inizi dell’età augustea, continuavaad essere quella secondo la quale, per gli uomini, donne e pueripotevano essere indifferentemente oggetto di desiderio. Conuna novità, peraltro, rispetto ai secoli più antichi: i pueri nonservivano più a soddisfare solo esigenze di tipo puramentefisico. Erano diventati oggetto d’amore. Per Orazio, che gliuomini suscitassero desideri maschili, esattamente come perLucrezio era una legge di natura; prima di diventare adulto, e diessere desiderato dalle donne, un uomo è desiderato dagli altriuomini. Ma solo fino al momento in cui spunta la barba; unargomento che è un topos della letteratura ellenistica: dinanziai ragazzi che resistono e si fanno troppo pregare, gli innamo-rati sventolano lo spauracchio dell’età. Quando saranno menodolci, meno belli, quando avranno assunto inesorabilmenteun aspetto virile, non saranno più corteggiati. Toccherà a loroassumere il ruolo dell’amante che chiede, che insegue, chesoffre. E soffriranno allora sia a causa delle donne, sia dei pueri,diventati ormai oggetto di passioni sconvolgenti: per i pueri, iromani si consumano oramai nei tormenti.

. E. C, op. cit., p. . Si veda anche P J, Il nostro greco,Roma–Bari, Laterza, , in cui l’Autore dimostra che molte parole di derivazio-

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. Le parole per dirlo

.. Il coraggio del femminismo

Dal neo femminismo degli anni settanta in poi l’elaborazione ditemi quali l’autorevolezza femminile, la significatività della pre-senza femminile nella storia anche quando non ne sussistevanole premesse politiche, giuridiche o culturali, è stata profondae ricca di risultati, ma riattraversare criticamente la storia conocchi di genere per portare alla luce il cosiddetto specifico fem-minile, come si affermava negli anni Settanta, ha fatto correreil rischio di accantonare immagini dissonanti. Come quelle chesi riferivano per l’appunto a chi subiva violenze, abusi, ricatti oper così dire molestie in termini moderni, che certo non riman-dano ad esempi di autonomia, consapevolezza, indipendenza,bensì a passività, acquiescenza, complicità a modelli culturalimentali dati, basati sulla sopraffazione e sulla soggezione di unsesso all’altro.

Vittime consenzienti, a tempo determinato, mancate eroine,complici che si sono trasformate in carnefici, vittime reattiveche hanno ribaltato la loro condizione, questo balza con tuttaevidenza; più complesso è tentare di rispondere di chi e di checosa si è state vittime.

La risposta non poteva essere che plurale, talmente pluralee affollata che la difficoltà maggiore è stata spesso attribuire unapriorità. Le donne, ma ancora di più le minori, hanno subito ipregiudizi sull’incapacità mentale e fisica ritenute tipiche del

ne greca hanno tradito il significato originario, fra cui il termine lesbica che per igreci antichi non evocava affatto l’omosessualità femminile. La specialità dell’isoladi Lesbo era, infatti, il coito orale. Nel senso odierno, lesbica compare in Francianell’Ottocento. Altri termini sono stati del tutto abbandonati, come uranismo, af-fiancato a omosessualità, adottato da Karl Heinrich Ulrichs, militante omosessuale,che intendeva contrastare con la sua teoria del terzo sesso l’omofobia dilagante. Iltermine è ripreso dalla figura mitologica di Afrodite Urania, citata da Platone nel suoSimposio in contrapposizione alla Venere Pandemia, cioè volgare. ‘Fosse pertantoVenere una sola, uno sarebbe Amore, ma poiché esse sono certo due, due bisognache siano gli amori. E come non potrebbero essere due le dee? Una certo più anticanon ha madre ed è figlia di Urano, l’altra invece è più giovane, figlia di Giove e diDione, e la chiamano Pandemia. Questo è amore della dea Urania, e celeste luistesso’, in R F, op. cit., p. .

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Ottocento romantico e generi

sesso femminile, ma sono state anche vittime di se stesse perchéli hanno condivisi e così facendo hanno spesso reso vittime leminori che le circondavano: non solo le figlie, ma l’intera catenagenealogica che da loro apprendeva modelli di comportamentonell’ambiente familiare, collettivo, lavorativo, scolastico.

Per chi ha familiarità con la storia dei due generi, le molestieattualmente così definite, erano il corredo abituale della vitafemminile. Lo scivolamento verso la violenza era frequente enon sempre separabile. Se molesto, ad esempio, poteva essereil comportamento di un fidanzato imposto, violento diventavail comportamento sessuale in un matrimonio combinato, comeracconta Anna Franchi nel suo testo Avanti il divorzio!, raccontoromanzato dei primi Novecento. La genealogia della sua fa-miglia la destinava all’impegno sociale; il nonno materno, perseguire gl’ideali patriottici, aveva trascurato gli affari al puntodi rovinarsi economicamente. La nonna aveva protetto attiva-mente molti cospiratori. Anche i nonni paterni condividevanole idee liberali. Nel salotto della casa livornese si riunivano assi-duamente tutti i patrioti amici del padre, seguaci del Mazzini,che le insegnavano la storia dei tentativi e delle lotte che ave-vano portato l’Italia a essere uno Stato, pochi anni prima dellasua nascita, nel . Lei stessa ricorda di “essere stata cullata alritmo dei classici”. La madre, Iginia, passava tutto il suo tempoin casa, ricamando, dipingendo e creando pregiate composizio-ni di fiori artificiali, immalinconita dal ricordo del suo primopretendente che, rifiutato dalla famiglia, era annegato nel tenta-tivo di rivederla. Eppure, neanche l’educazione ricevuta, certonon casuale, e lo specchio di una madre infelice per amore, lefecero percorrere agli inizi una strada diversa. La famiglia, nonvolendo mandarla al Conservatorio di Milano, per timore chediventasse “un’artista da palcoscenico”, chiamò come maestroil violinista Ettore Martini, che divenne suo marito due annidopo, quando Anna era minorenne, a anni. In cinque anniebbe quattro figli, ma il matrimonio era infelice. Lei abbandonòle esibizioni al pianoforte, lui conduceva una vita per proprioconto. Nel la separazione era un dato di fatto e Anna Fran-

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. Le parole per dirlo

chi liquidò, insieme alla madre, tutti i resti del patrimonio difamiglia. Quella che in seguito diventerà una giornalista, criticad’arte, scrittrice per l’infanzia e socialista impegnata, ebbe ilcoraggio di esporsi personalmente, narrando le sue vicendeappena camuffate e raccontando la traumatica notte di nozzecon l’uomo, raffinato musicista. Sulle tavole del teatro Politea-ma di Livorno, un piccolo centro dove si suppone che molti,se non tutti, erano al corrente della sue vicende, ebbe ancheil coraggio di perorare il progetto di legge sul divorzio, deidue deputati socialisti, Alberto Borciani e Agostino Berenini.Quest’ultimo sarà l’autore della prefazione al romanzo Avanti ildivorzio!. Nel libro, mantenne il suo nome e quello del marito,modificando solo i cognomi.

Molestie sessuali erano quelle che le lavoratrici affrontavanosul posto di lavoro, nel secolo in cui i diritti per chi lavoravaerano solo all’orizzonte e dunque si poteva perdere il posto perla sola volontà di chi decideva, il sorvegliante, il capo reparto, ilcaporale, piuttosto che il padrone, l’ispettore o il sindaco. In as-senza di regolamentazioni e leggi di tutela, di contratti nazionali,di ferie, di trattamento pensionistico, le donne erano licenzia-te per un ritardo, per malattie troppo prolungate, compresala gravidanza, per essersi assentate durante la pausa troppo alungo per allattare. Sempre che, naturalmente, fossero talmentebrave da far cambiare idea a chi aveva in mano il destino, loroe quello delle persone che il lavoro femminile manteneva. Sela molestia andava a buon fine e diventava una relazione, iltermine violenza sarebbe stato più appropriato, soprattutto nelcaso in cui le donne finivano per aspettare un bambino. Lecosiddette sedotte e abbandonate formano nell’Ottocento, per

. A F, Avanti il divorzio!,Tipografia Viaggi, , il testo è statorecentemente ripubblicato a cura di Elisabetta De Troia, Firenze, Sandron, ; siveda anche, della stessa autrice, La mia vita, Milano, Garzanti, e Cose di ieri dettealle donne di oggi, Milano, Hoepli, .

. Sul suo ruolo di emancipazionista socialista, F T, « LaDifesa delle Lavoratrici »: laboratorio politico, « Storia Contemporanea », a. XXVII,agosto .

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Ottocento romantico e generi

la loro numerosità, una vera e propria categoria sociale, anzi,extra sociale, perché reiette dal lavoro, per mantenere il qualeavevano originariamente accettato le molestie e dalla moraletradizionale, che le bollava come uniche colpevoli delle vicen-de. I romanzi di denuncia di Bruno Speraz, pseudonimo diBeatrice Sperani, sono illuminanti al riguardo. Difficile definirequale sorte fosse migliore tra chi si ribellava e chi si adegua-va. Per rimanere all’Ottocento, le monacate a forza, quelle ilcui destino, con o senza vocazione, era deciso dalla famiglia,violentando se non il corpo, sicuramente l’anima, segnano unpasso in avanti. Enrichetta Caracciolo, patriota risorgimentale,si ribella al velo, si spoglia di un abito monacale non scelto e lasua vicende narrata nelle Memorie del chiostro napoletano, diventaemblematica del nuovo corso inaugurato dalla unità d’Italia.

Era più facile spogliarsi di un abito monacale che indossarenuovi panni di una moglie e madre non più suddita. L’invera-mento del personaggio di Casa di bambola, il dramma di Ibsen,costa a Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, l’allonta-namento violento dal figlio, avendo rifiutato il tetto coniugale,ma soprattutto l’obbedienza al marito. Di quella rappresenta-zione teatrale, da cui affermerà di essere stata assolutamenteimpressionata, Sibilla sarà in un certo modo la reincarnazioneitaliana. Nel lascia il suo paese nelle Marche, il marito, chel’aveva stuprata quindicenne, conosciuto sul luogo di lavoropaterno, e il figlio di sei anni. Sa perfettamente che con tuttaprobabilità non lo rivedrà, le leggi sono ostili, soprattutto conchi ha infranto il mito dell’amore materno. Le donne sonosoggette, e lo saranno fino al , all’autorizzazione maritale,e in base a questa, il marito le nega l’eredità, rendendola all’im-provvisa una persona povera, priva di un tetto e dei mezzi peresistere, lei che apparteneva non a una famiglia proletaria, maalla media borghesia. I rapporti con il figlio saranno irrevoca-bilmente rovinati dalla sua scelta. Di Sibilla, scrittrice e poetessaosannata, dalla lunga vita, dalla militanza politica non sempre

. E C, Misteri del chiostro napoletano, Firenze, Giunti, .

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trasparente, sappiamo molto ormai. Ma anche in questo caso,s’intravedono gli effetti modernizzanti del nuovo secolo, per-ché le vicende, solo di cinquant’anni precedenti, ci dicono benaltro. Se volgiamo lo sguardo a Ernesta Napollon, una dellepochissime libere pensatrici italiane, sposata sedicenne, nel ,al cavalier Francesco Margarita, di anni più grande, descrittada un suo raro biografo bianca di capelli a anni, l’esito èdrammatico. Dopo aver deciso di realizzare se stessa e di espri-mere liberamente i suoi pensieri, di tono emancipazionista,anticlericale, e socialista, l’uscita da casa le costa una maternitàdrammatica. La separazione è ufficializzata nel , dopo anni di matrimonio. Il non vivere sotto lo stesso tetto risultaimpossibile nel piccolo centro varesino dove vive; la condannacollettiva la riduce quasi alla fame; dei tre figli avuti dal marito,Gino fu quello che rimase con il padre, e che presumibilmentenon vedrà più; nel arrivò alla Napollon la notizia della suamorte; le altre due figlie finirono in un convento per decisionedella stessa madre che quasi viveva elemosinando, il figlio fuposto sotto la tutela di un religioso che minacciò di brucia-re alcuni dei manoscritti materni, tra cui una storia filosoficadel socialismo, un libro sull’importanza storico–filosofica delmito, attraverso le civiltà antiche e moderne, e un manualepedagogico per madri e insegnanti.

La famiglia legale, ancora meglio se benestante, consentivaun raggio d’azione anche fuori delle mura domestiche. SaraLevi, adolescente andata in sposa con un matrimonio concorda-to, a un tedesco, Moses Meyer Nathan, che la porta a Londra,ha dodici figli in venti anni di matrimonio. Sara, mazziniana fer-vente, educa di conseguenza i suoi figli e figlie, e dopo la mortedel marito diventa una collettrice del prestito mazziniano, por-tando a termine per la sua famiglia, operazioni di investimento

. Si veda F. T, Democrazia e socialismo nell’Ottocento: le libere pensatrici,« Giornale di storia contemporanea », a. IV, n. , , Teoria e prassi dell’associazioni-smo italiano, Cassino, Edizioni dell’Università, , pp. – e Marco Tamborini,Ernesta Napollon, una figura poco nota dell’emancipazoinismo femminile post–unitario,« Rivista della Società Storica varesina », fasc. XXIX, .

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Ottocento romantico e generi

mobiliare e immobiliare, da degna moglie di un banchiere.Uno dei figli, in particolare, il laico e massone Ernesto Nathan,s’impegnerà a fondo nella denuncia delle condizioni di vitacui erano soggette le prostitute nelle case di tolleranza e delleconnivenze dello Stato, come si leggerà più avanti.

L’etimologia del sostantivo abuso e del verbo corrisponden-te ci riporta alle numerose varianti del verbo di origine latina,il quale ha anche un valore passivo. Abusare può significare,infatti, usufruire, usare completamente, consumare, sfruttare,approfittare di, usare impropriamente, far cattivo uso. Il riscon-tro della lingua che si forma e muta a contatto con la realtà, inquesto saggio particolarmente con i fatti di una storia di genere,è fin troppo evidente. Si può abusare della fiducia, della pazien-za, dei sentimenti, ma anche del corpo, di una parte di esso, inun rapporto che è sempre duale; abusare implica infatti neces-sariamente uno o più soggetti e non a caso, il verbo è anchepassivo: nel rapporto duale infatti all’azione attiva dell’abusarementalmente e fisicamente corrisponde sempre un subire.

L’emancipazione femminile almeno nell’Occidente è pas-sata attraverso un riscatto del subire, dalla presa d’atto dellaconsapevolezza del subire e di volersi liberare.

Poiché è difficile stabilire, nella storia di genere, il confinefra gli abusi, le molestie, la violazione vera e propria di dirit-ti umani, acquisizione recentissima, potremmo per comoditàimmaginare una linea retta con due estremità: da una partela trasgressione completa, l’ignoranza e la violazione dei di-ritti, dall’altra, come oggi, una loro raffinata elaborazione; alcentro, tutta una vasta gamma di vicende concrete e metaforeconcettuali, impastate di molestie, abusi, complicità, visti comeparte integrante del modo di essere e di vivere per una largaparte di donne, accettati come un male minore, sopportati con“cristiana rassegnazione”, compensati con l’accettazione sociale,la rispettabilità, le tante maternità, criticate solo nella propria

. A M I, Storia di una famiglia del Risorgimento. Sarina, Giuseppe,Ernesto Nathan, Torino, Università Popolare di Torino, .