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DIVIETO DI ABUSO DEL PROCESSO PER LA TUTELA DEI PROPRI DIRITTI di GIANLUIGI MORLINI Giudice Tribunale di Reggio Emilia Brescia, 14 novembre 2014

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DIVIETO DI ABUSO DEL PROCESSOPER LA TUTELA DEI PROPRI DIRITTI

di GIANLUIGI MORLINIGiudice Tribunale di Reggio Emilia

Brescia, 14 novembre 2014

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LA SCALA DEL RAGIONAMENTO

Il contesto.

L’abuso nel diritto sostanziale

L’abuso nel diritto processuale.

1) Abuso e frazionamento del credito.

2) Abuso e sanzione negatoria ex ante.

3) Abuso e sanzione inefficacia ex post.

4) Abuso e sanzione legislativa.

5) Abuso e sanzione 96 comma 3 cpc.

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IL CONTESTO Qualche anno fa una relazione sull’abuso del

processo sarebbe stato impensabile.Ora il tema è invece oggetto di crescente

attenzione: XXVIII convegno nazionale dei processualcivilisti nel settembre 2011 a Urbino e due corsi di formazione del CSM nel 2012.

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Il motivo è ovviamente riconducibile alla situazione della giustizia civile: Cause civili pendenti al giugno 2012: 5.388.544, in

diminuzione ma ancora tantissime.Numeri sempre impressionanti di nuove cause:

nonostante una piccola flessione, 4,3 milioni nel 2012.Quarto posto in Europa per tasso di litigiosità, dietro

Russia, Belgio e Lituania. 155° posto su 185 paesi (però eravamo 156° su

181…) per la funzionalità del processo civile, dietro Sierra Leone, Malawi, Iraq, Bolivia, secondo uno studio della Banca Mondiale.

Costo di un punto di PIL annuo per l’inefficienza della giustizia civile, secondo la Banca d’Italia.

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Condanne CEDU per violazione dell’articolo 6 del Trattato: nel cinquantennio 1959-2009 sono state 1095, contro le 278 francesi, 54 tedesche ed 11 spagnole.

Avvertimento del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che la situazione costituisce un “grave pericolo per il rispetto dello Stato di diritto”.

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Cause risarcitorie Pinto in aumento costante: dalle 1622 del 2001 alle 7299 del 2008. E le 40 mila promosse sono davvero solo una parte delle possibili…;

Siamo al procedimento per Pinto ter!; Condanne in aumento esponenziale (4 milioni nel

2006, 10 milioni nel 2007, 15 milioni nel 2008, 82 milioni nel 2010). A ottobre 2013 erano in tutto 387 milioni!!!;

A settembre 2013, 987 sentenze di ottemperanza per mancato pagamento da parte del Ministero e 1.000 ricorsi a CEDU per lamentare ritardato pagamento.

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Unica consolazione è che l’esigenza di combattere l’abuso del processo per contenere la sua durata, risale addirittura al diritto romano. Giustiniano dedica all’abuso del processo il libro IV titolo XVI

delle Istituzioni ("Nunc admonendi sumus magnam curamegisse eos qui iura substinebant, ne facile homines ad litigandum procederent: quod et nobis studio est. Idque eomaxime fieri potest, quod temeritas tam agentium quam eorum, cum quibis ageretur, modo pecuniaria poena, modo iurisiurandireligione, modo metu infamiae coercetur“), e nel 528 predispone una raccolta di leggi e costituzioni con lo scopo di “amputare prolixitas litium”.

Ancor prima, le Istituzioni di Gaio danno conto degli strumenti del processo formulare che possono permettere di prevenire, o quantomeno sanzionare, l'abuso del ricorso al mezzo processuale da parte dei litiganti temerari, fino a denegare per motivi di opportunità le proposizioni di azioni superflue o le artificiose resistenze in giudizio.

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L’ABUSO NEL DIRITTO SOSTANZIALE

Il codice civile non contiene una previsione generale di divieto di abuso del diritto, ma solo specifiche disposizioni in cui viene sanzionato l’abuso con riferimento all’esercizio di determinate posizioni soggettive.

Pertanto, occorre capire se da tali singole ipotesi possa o meno enuclearsi un principio generale di divieto di abuso del diritto.

A tale quesito la Dottrina nettamente maggioritaria offre ora risposta positiva.

Analogamente, la giurisprudenza, collegando la tematica dell’abuso a quella del dovere di agire secondo buona fede oggettiva, riconosce oggi un principio generale di divieto di abuso del diritto.

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IPOTESI NORMATIVE DI ABUSO DEL DIRITTO

Diversi sistemi codicistici, tra i quali quello svizzero e quello tedesco, prevedono un’apposita norma che fa divieto alle parti di esercitare il proprio diritto in modo abusivo.

Il nostro codice civile, probabilmente per il timore del Legislatore del 1942 che una simile clausola potesse pregiudicare la certezza del diritto, non conosce invece una prescrizione generale che vieti l’abuso della propria posizione soggettiva, ma solo alcune limitate e specifiche ipotesi di divieto di esercizio abusivo del diritto.

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La principale di queste è certamente quella del divieto di atti emulativi di cui all’art. 833 cc, che si interpreta, estendendo il dato meramente letterale, come riferito non solo alla proprietà, ma anche a tutti i diritti reali di godimento.

La consolidata giurisprudenza offre della norma una lettura decisamente prudente e restrittiva, poiché viene considerato emulativo quell’atto che, fermi l’animus nocendi e l’attitudine a recare molestia a terzi, è assolutamente inutile per il proprietario (così Cass. nn. 6823/2013, 3598/2012 e 13732/2005): basta quindi una minima utilità perché il comportamento venga considerato legittimo.

Viceversa, alcuni Autori suggeriscono un’interpretazione più ampia, chiedendo una valutazione di proporzionalità fra i risultati ottenuti dal proprietario ed i danni o le molestie arrecati ad altri: in tal modo, lo squilibrio evidente tra l’utilità del dominus ed il sacrificio del terzo integrerebbe il carattere di emulazione nell’atto, reinterpretando la fattispecie in chiave oggettivistica.

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Pur se è la principale, quella dell’art. 833 cc non è l’unica ipotesi legislativa di divieto di abuso del diritto.

Altri casi sono sicuramente: • minaccia di far valere un diritto (art. 1438 cc); • divieto di concorrenza sleale (art. 2598 cc);• divieto per il proprietario del suolo di impedire

attività che si svolgano ad altezza o profondità tali per le quali non vi è interesse ad escluderle (art. 840 comma 3 cc);

• obbligo di accettare immissioni che non eccedano la normale tollerabilità (art. 844 comma 1 cc);

• abuso dei poteri del genitore (art. 330 cc).

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Vi sono poi situazioni specificamente disciplinate che rappresentano indici normativi per dimostrare la sensibilità del diritto vigente al problema dell’abuso: • art. 1447 cc sul contratto concluso in stato di

pericolo; • art. 1448 cc sulla rescissione per lesione; • art. 1328 cc sulla revoca dell’accettazione nel caso

di inizio in buona fede dell’esecuzione del contratto;

• art. 81 cc sul risarcimento del danno seguente alla rottura della promessa di matrimonio;

• art. 1341 c.c. sulle clausole vessatorie.

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RICOSTRUZIONE DOTTRINALE DELLA CATEGORIA DI ABUSO DEL DIRITTO

Mancando nell’ordinamento una generale previsione normativa di divieto di abuso del diritto, sorge il problema di comprendere se dalle singole ipotesi possa o meno enuclearsi una categoria generale che fondi il principio generale di divieto di esercizio del diritto in modo abusivo.

Ci si chiede quindi se possano essere colpiti quei comportamenti che, pur integrando formalmente gli estremi dell’esercizio di un diritto, sulla base di criteri non formali ed alla luce di circostanze concrete, debbano ritenersi privi di tutela o addirittura illeciti.

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La dottrina tradizionale ed ora minoritaria, sulla base del principio secondo il quale qui iure suo utiturneminem laedit, esclude l’ammissibilità di tale categoria generale.

Si argomenta in proposito non solo che manca nel codice civile, ed in un codice civile che fa ampio uso di clausole generali, una disposizione che faccia espresso divieto di esercizio abusivo del diritto; ma anche che nei lavori preparatori e nella relazione di accompagnamento, emerge l’opinione negativa dei redattori del codice.

In sostanza, là dove il legislatore nulla ha disposto, appare pericoloso affidare poteri discrezionali nell’individuazione, caso per caso, di variabili confini nella liceità nell’uso del diritto (così Torrente-Schlesinger).

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La dottrina oggi dominante ritiene invece ammissibile l’esistenza della generale categoria dell’abuso di diritto.

Nessun diritto può infatti considerarsi illimitato, ed occorre allora reprimere quei comportamenti che sono abusivi pur non rientrando in precisi schemi normativi esistenti.

In sostanza, sin dalla fine degli anni Cinquanta, si è consolidato il passaggio della figura dell’abuso del diritto, dall’area del metagiuridico e sociale dei valori etico-morali, all’area della vera e propria giuridicità.

Ciò si deve agli studi di insigni giuristi (Natoli, Giorgianni, Rescigno, Salvatore Romano): l’abuso del diritto è correlato o a un’alterazione, nel caso concreto, della funzione causale posta dall’ordinamento a presidio della fattispecie; o alla violazione del dovere di buona fede.

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ADESIONE GIURISPRUDENZIALE ALLA CATEGORIA DI ABUSO DEL DIRITTO TRAMITE

IL COLLEGAMENTO CON LA BUONA FEDE

In giurisprudenza, inizialmente erano poche le sentenze che facevano riferimento alla figura, e quelle poche riguardavano poi casi che avrebbero potuto essere risolti alla luce di specifiche previsioni normative, come ad esempio quella relativa alla responsabilità precontrattuale per recesso immotivato dalle trattative, ovvero all’interpretazione secondo buona fede di un contratto inteso da una parte in modo cavilloso e formalistico.

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Tuttavia, più di recente la giurisprudenza ha rivitalizzato l’istituto, per un verso sostanzialmente aderendo alla tesi dell’esistenza della categoria generale di abuso del diritto, e per altro verso collegando la tematica dell’abuso a quella della buona fede (tra le più recenti, cfr. Cass. nn. 10568/2013, 17642/2012, 13208/2010, 20106/2009), ritenendo che la fattispecie si verifichi allorché “l’esercizio del diritto da parte del titolare si esplicita attraverso l’uso abnorme delle relative facoltà ed è indirizzato a un fine diverso da quello tutelato dalla norma” (massima consolidata sin da Cass. n. 9501/1995).

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IPOTESI GIURISPRUDENZIALI DI ABUSO

Detto dell’intrinseco legame tra dovere di buona fede e divieto di abuso del diritto, la figura è stata in particolare utilizzata: • oltre che nella contrattualistica (cfr. Cass. n. 20106/2009 per un

caso di abusivo recesso contrattuale ad nutum; Cass. n. 13208/2010 per l’abuso dell’azione di risoluzione per inadempimento)

• soprattutto in materia societaria (cfr. Cass. nn. 13642/2013, 29776/2008, 27387/2005, 9353/2003)

• bancaria, spesso con riferimento all’arbitrario recesso dal contratto di apertura del credito (Cass. nn. 18947/2005, 2642/2003, 9321/2000, 4583/1997)

• tributaria (Cass. nn. 17965/2013, 6835/2013, 12249/2010, SU 15029/2009, SU 30055-6-7/2008), per colpire comportamenti preordinati a raggiungere fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli tutelati dall’ordinamento.

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Un’interessante applicazione del principio è poi data anche da Cass. SU n. 26617/2007 (conforme la successiva Cass. nn. 17954/2008 e 24402/2010), secondo la quale, anche nelle obbligazioni pecuniarie di importo inferiore ad € 12.500 e nelle quali non è imposta per legge una modalità di pagamento diversa dal contante, il pagamento in assegno circolare, in deroga al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c., può essere rifiutato dal creditore solo per giustificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede oggettiva.

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Gli elementi costitutivi dell’abuso sono allora tre: la titolarità di un diritto soggettivo, con possibilità di un suo utilizzo secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; l’esercizio concreto del diritto in modo rispettoso della cornice attributiva, ma censurabile rispetto ad un criterio di valutazione giuridico od extragiuridico; la verificazione, a causa di tale modalità di utilizzo, di una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare ed il sacrificio cui è costretta la controparte (Cass. n. 20106/2009).

Sotto questo profilo, l’abuso del diritto viene inteso come un principio generale dell’ordinamento, in quanto “criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva” (sempre Cass. n. 20106/2009).

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L’ABUSO NEL DIRITTO PROCESSUALE

Manca, nel nostro ordinamento, una definizione normativa di abuso processuale.

Neppure soccorre la normativa sovranazionale, poiché l'articolo 54 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, recepita dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1/12/2009 e come tale fonte di diritto comunitario primario, fa riferimento all'abuso del diritto sotto il profilo sostanziale, vietando di interpretare qualsiasi regola nel senso di comportare il diritto di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti di libertà, o di imporre a tali diritti di libertà limitazioni più ampie di quelle previste.

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Tuttavia, l'istituto, per anni negletto negli studi dottrinali e nelle applicazioni giurisprudenziali, è stato recentemente rivitalizzato dalla Suprema Corte, sul presupposto che l'esercizio del diritto di azione e difesa può, in taluni casi o con riguardo a determinate modalità, ritenersi abusivo, in quanto esercitato con uno sviamento dall'interesse per il quale lo strumento processuale è stato riconosciuto.

Il principio è utilizzato anche dal Consiglio di Stato nel processo amministrativo (cfr. Cons. Stato n. 1209/2012), e quindi il divieto di abuso del processo assurge a regola processuale generale.

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La finalità di "contenimento di azioni giudiziarie pretestuose o palesemente malevoli, intraprese cioè all'esclusivo fine di recare pregiudizio ad altri o contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui", è talvolta fatta risalire alla romanistica exceptio doli generalis (Cass. n. 5273/2007).

Tuttavia, in ogni caso ed a prescindere dal richiamo storico, l'abuso fuoriesce dal terreno dell'etica per entrare a pieno titolo in quello della disciplina processuale.

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Alla base di tale orientamento si ha: sotto il profilo dogmatico, il superamento

dell'impostazione classica per la quale il diritto o si esprime nella sua totalità o non è; e la consapevolezza della necessità di individuare una categoria generale che possa consentire il bilanciamento e l'equilibrio tra i diversi valori ed interessi in gioco, non potendo essi risultare tutti puntualmente tipizzati nelle loro possibili articolazioni dal diritto positivo;

sotto il profilo pratico, il rafforzamento dei poteri direttivi del Giudice, che si fa carico sia di cercare di garantire la ragionevole durata del processo, divenuta canone costituzionale, sia di salvaguardare la funzionalità del processo, inteso quale bene pubblicistico collettivo connotato da scarsità delle risorse.

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1) ABUSO E FRAZIONAMENTO DEL CREDITO

Una prima, rilevante applicazione del principio di abuso del processo, è stata operata dalla Cassazione nell'ambito del cosiddetto credito frazionato.

In un filone giurisprudenziale inaugurato nel 2007, la Suprema Corte ha infatti statuito che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare e disarticolare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento contestuali o scaglionate nel tempo, senza una particolare giustificazione, in quanto ciò integra una scissione del contenuto dell’obbligazione operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, tanto sotto il profilo del prolungamento del vincolo coattivo, quanto sotto quello dell’aggravio delle spese.

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Detto comportamento si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto, ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento; sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale proprio in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte nei limiti di una corretta tutela della sua posizione sostanziale (Cass. nn. 8576/2013, 28286/2011,10634/2010, 6597/2010, 24539/2009, 28719/2008, 15476/2008 e 13791/2008, Sez. Un. nn. 26961/2009, 26019/2008 e 23726/2007).

Il principio è stato poi anche recepito a livello legislativo, sia pure settorialmente (cfr. art. 20 commi 7, 8 e 9 D.L. n. 112/2008 conv. in L. n. 133/2008, in materia previdenziale-assistenziale), e validato anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato Ad. Plen. n. 3/2011).

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Sono discusse le conseguenze riconducibili alla violazione del divieto di frazionamento del credito:

secondo la maggioritaria giurisprudenza, tutte e ciascuna delle domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito, sono da dichiararsi improponibili (Cass. n. 24539/2009, Cass. n. 15476/2008; per la giurisprudenza di merito, Tribb. Catanzaro ord. 22/2/2012, Salerno 2/12/2010, Busto Arsizio sez. dist. Gallarate 23/9/2010, Mantova 3/11/2009, Nola 9/2/2008);

per altra tesi, l’improponibilità è relativa solo alle domande successive alla prima (Cass. n. 28286/2011);

alcune pronunce parlano di inammissibilità (Trib. Napoli 1/4/2008);

il legislatore si riferisce invece all’improcedibilità (cfr. art. 20 commi 7-9 L. n. 133/2008);

altre pronunce parlano infine di mera incidenza sulle spese di lite (Trib. Varese 16/6/2010).

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Secondo la Cassazione, poi: per un verso a nulla vale la riserva di far valere

ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento (Cass. n. 28286/2011 e Cass. n. 28719/2008);

per altro verso è irrilevante, ai fini della declaratoria di improponibilità, il fatto che le domande siano state frazionate in un contesto storico nel quale la giurisprudenza non aveva ancora espresso il principio in parola (Cass. n. 28286/2011).

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L'applicazione di tale insegnamento giurisprudenziale è avvenuta in materia: di TFR (Cass. n. 28719/2008); di spettanze lavorative (Cass. n. 26961/2009); di risarcimento danni derivanti da sinistro stradale,

frazionando la richiesta di danni patrimoniali e non patrimoniali davanti al Giudice di Pace ed al Tribunale (Cass. n. 28286/2011).

di processo esecutivo (cfr. Cass. n. 8576/2013, per un caso in cui, a seguito di titolo esecutivo in origine unitario, sono stati promossi tre distinti processi esecutivi per sorte capitale, accessori e spese).

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Deve peraltro osservarsi che, secondo alcuni, le ragionevoli conclusioni cui giunge la Corte in tema di frazionamento del credito, avrebbero potuto essere raggiunte anche utilizzando il più tranquillante istituto del giudicato, che copre non solo il dedotto ma anche il deducibile, in luogo del più innovativo e controverso abuso processuale (Scarselli e Scarpa).

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2) ABUSO E SANZIONE NEGATORIA EX ANTE

Da una seconda angolazione ed ancora più in generale, è stato evidenziato che l'abuso, ricollegato al canone della ragionevole durata del processo, può essere colpito negando la possibilità di compiere determinate attività processuali, posto che l'interpretazione delle norme viene ad essere effettuata non solo sul piano della loro coerenza logico-concettuale, ma anche per l’impatto operativo sulla durata del processo (Cass. n. 20604/2008).

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In particolare, si è ritenuto che "il rispetto del fondamentale diritto ad una ragionevole durata del processo, impone in concreto al giudice di evitare e di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di energie processuali e formalità da ritenere superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'articolo 101 cpc, da effettive garanzie di difesa ex art. 24 Cost. e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità ex art. 111 Cost., dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti" (Cass. Sez. Un. n. 26373/2008. Negli stessi termini Cass. nn. 15985/2009, 18410/2009, 2723/2010, 3830/2010, 4309/2010).

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Sulla base di tale insegnamento:a) Non sono stati concessi i termini per la notifica di

un ricorso ad una parte del giudizio (Cass. n. 26373/2008) o per l'integrazione del contraddittorio al litisconsorte necessario pretermesso (Cass. n. 2723/2010), una volta ritenuti i ricorsi inammissibili.

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b) Inoltre, in un notissimo ed invero controverso arresto in ordine alla chiamata del terzo da parte col convenuto al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, le Sezioni Unite, disattendendo il proprio precedente orientamento, hanno poi ritenuto che "il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta, dopo la novella dell'articolo 111 della Costituzione" (Cass. Sez. Un. n. 4309/2010).

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3) ABUSO E SANZIONE INEFFICACIA EX POST

Specularmente e da un terzo punto di vista, l'abuso è stato colpito anche negando rilevanza giuridica a determinate scelte processuali.

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a) Così, se è vero che in linea generale il criterio per la determinazione della giurisdizione e della competenza va fissato in base alla domanda attorea, la prospettazione artificiosa e prima facie infondata, preordinata alla sottrazione della controversia al giudice naturale precostituito per legge, si pone come limite sia alla configurabilità della competenza (Cass. n. 25891/2010 e Cass. n. 11314/2010), sia a quella della giurisdizione (Cass. Sez. Un. n. 6217/2006): esemplificativamente, "la deroga alla competenza territoriale determinata del cumulo di cause connesse, proposte contro più persone e radicata presso il giudice del foro generale di uno dei convenuti, non trova applicazione allorché l'evocazione in giudizio di uno di essi appaia prima facie artificiosa e preordinata allo spostamento della competenza".

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b) Per colpire l'abuso di eccezione, si è poi stabilito che l'eccezione manifestamente infondata e pretestuosa di esistenza di un contratto agrario al solo fine di paralizzare la richiesta di convalida di sfratto e determinare l'allungamento dei tempi necessari alla tutela giurisdizionale, non comporta l'incompetenza del primo giudice adito (Cass. n. 250/2006).

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c) Similmente, il Consiglio di Stato ha ritenuto che integra un abuso del processo, contravvenendo al divieto di venire contra factum proprium, la cosiddetta autoeccezione di difetto di giurisdizione, e cioè la contestazione della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella stessa giurisdizione, soccombendo poi nel merito (Con. Stato n. 656/2012), pur se alcuni replicano che anche in tal caso alla medesima soluzione si sarebbe potuti arrivare in forza della teorica del giudicato implicito.

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d) La figura è poi stata espressamente utilizzata per colpire il tentativo di lucrare ingiustificatamente sulle spese di lite in tema di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001, poiché “la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l'oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l'inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall'aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all'allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l'inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell'onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine” (Cass. n. 10634/2010; conformi le successive Cass. nn. 9962/2011 e 10488/2011).

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e) Sempre in tema di legge Pinto, il diritto all’equa riparazione, se normalmente prescinde dall’esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi compete anche quando per l’imputato il processo penale si definisce con estinzione del reato per prescrizione, ciò non accade, e quindi il risarcimento non è dovuto, laddove l’estinzione del reato derivi dell’utilizzo, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del processo (Cass. n. 23339/2010), così come oggi previsto dall’art. 2 comma 2 quinques lettera e) L. 89/2001 modificata dalla L. n. 134/2012.

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4) ABUSO E SANZIONE LEGISLATIVA

Da una quarta angolazione, vi sono poi ora molteplici ipotesi normative in cui l'abuso del processo è stato sanzionato legislativamente.

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a) Già si è visto che il principio del divieto di frazionamento del credito è stato recepito a livello legislativo, sia pure settorialmente (cfr. art. 20 commi 7, 8 e 9 D.L. n. 112/2008 conv. in L. n. 133/2008, in materia previdenziale-assistenziale).

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b) Il DM n. 55/2014, che regolamenta i compensi professionali dopo l'abrogazione delle tariffe, disciplina due ipotesi tipiche in cui la condotta abusiva dell'avvocato ha conseguenze patrimoniali per lo stesso, incidendo sulla quantificazione del compenso. Ai sensi dell'articolo 5 comma 7 "costituisce elemento di

valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli".

Ai sensi dell'articolo 4 comma 9, "nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell'articolo 96 cpc, ovvero, comunque, nei casi di inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il compenso dovuto all’avvocato del soccombente è ridotto, di regola ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni indicate nella motivazione, del 50% rispetto a quello altrimenti liquidabile".

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c) Con riferimento alla legge Pinto, il recente legislatore della L. n. 134/2012:

• introducendo l'articolo 2 comma 2 quinques L. n. 89/2001, ha statuito che l’indennizzo è escluso in favore della parte condannata ex art. 96 cpc;che ha ingiustificatamente rifiutato una proposta conciliativa del Giudice ex art. 91 comma 1 secondo periodo; che ha ingiustificatamente rifiutato una proposta del mediatore ex art. 13 D.Lgs. n. 28/2010; in ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia cagionato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento.

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• introducendo l'articolo 5 quater, ha previsto che in caso di domanda risarcitoria dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il Giudice possa condannare il ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro non inferiore ad € 1.000 e non superiore ad € 10.000.

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d) Gli artt. 283 e 431 cpc, così come modificati dalla L. n. 183/2011, hanno previsto che se l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado è inammissibile o manifestamente infondata, il Giudice di appello può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria compresa tra 250 e 10 mila euro.

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e) L'articolo 136 comma 2 T.U. spese di giustizia prevede che la parte che "ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave", è revocata, con decreto del Magistrato, dal beneficio dell'ammissione al gratuito patrocinio disposta dal Consiglio dell'Ordine.

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f) A livello di spese di lite:• L'articolo 13 D.Lgs. n. 28/2010 prevede che,

quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta mediatoria, il Giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta successive alla formulazione, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente, nonché al versamento allo Stato di un’ulteriore somma corrispondente al contributo unificato dovuto.

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• L’articolo 91 comma 1 seconda parte cpc prevede che se il giudice «accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta, al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta»

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5) ABUSO E SANZIONE 96 CPC Viene aggiunto il terzo comma, a tenore del quale “in

ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Analoga previsione è posta nel processo amministrativo dall’art. 26 comma 2 D.Lgs. n. 194/2010, ove peraltro l’ammontare della condanna è indicato tra il doppio ed il quintuplo del contributo unificato.

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Nell’impianto originario del codice, la condanna per responsabilità aggravata di cui all’art. 96 comma 1 cpc presupponeva non solo l’istanza di parte, ma soprattutto l’esistenza di un danno subìto da controparte, da provare secondo le regole generali, trattandosi di responsabilità aquiliana con funzione risarcitoria e carattere di specialità rispetto alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc; e la particolare difficoltà di fornire la prova di un danno meramente connesso alla pendenza di una controversia, ha reso la condanna evento residuale.

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La nuova condanna ex art. 96 u.c. cpc recepisce ed estende a tutti i processi il meccanismo dell’art. 385 comma 4 cpc, precedentemente dettato per il solo processo di Cassazione ed ora coerentemente abrogato.

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Così come è già stato chiarito con riferimento al primo comma, la domanda: non è proponibile autonomamente e

successivamente, al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata (Cass. n. 18344/2010, Cass. n. 24538/2009, Cass. n. 16308/2007, Cass. n. 15882/2007);

è formulabile per la prima volta anche in sede di precisazione delle conclusioni, non attenendo al merito della controversia (Cass. n. 10960/2010, Cass. n. 17155/2009, Cass. n. 10993/2007).

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Non vi sono poi ostacoli a ravvisare la responsabilità ex art. 96 comma 3 cpc anche nei confronti del terzo chiamato o del terzo intervenuto (Trib. Reggio Emilia 25/9/2012, Vaccari).

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Per espressa scelta normativa, la norma: può essere applicata d’ufficio e non ha limite nella

determinazione dell’importo della condanna, come invece vi era nell’art. 385 cpc ora abrogato;

non s’applica al processo previdenziale, poiché l’art. 152 disp. att. cpc non è stato modificato e contiene così solo il riferimento al primo comma, non anche al terzo, dell’art. 96 cpc.

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Ciò detto, la non impeccabile formulazione letterale crea alcuni dubbi:

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a) Nonostante il comma 1 parli di ‘sentenza’, l’applicazione dell’art. 96 commi 1 e 3 è generalmente riferita a tutti i procedimenti in cui vengono regolate le spese di lite, quali volontaria giurisdizione, cautelari ante causam e sommario (Trib. Reggio Emilia n. 712/2012, Lamezia Terme 12/7/2011 est. Ianni, Verona 21/3/2011 e 1/7/2010, Torino ord. 16/10/2010, Piacenza ord. 22/11/2010).

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b) La pronuncia non abbisogna della preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 cpc, essendo posterius e non prius logico della decisione di merito (Auletta, Buffone, Demarchi, Esposito, Finocchiaro, Potetti; Tribb. Reggio Emilia 25/9/2012 e Piacenza 22/11/2010).

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c) Si discute se sia o meno richiesta l’esistenza di un danno a controparte: Una isolata tesi ritiene di sì (Scarselli); Altri parlano di danno presunto (Porreca, Tribb. Oristano

ord.14/12/2010, Terni 17/5/2010); I più ritengono invece si tratti di danno punitivo, introdotto

nell’ordinamento come sanzione d’ufficio per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia deflazionando il contenzioso ingiustificato (Balena, Buffone, Cecchella, Consolo, Demarchi, De Marzo, Ghirga, Luiso, Ricci; Tribb. Lamezia Terme 11/6/2012; Reggio Emilia nn. 1569/2012, 729/2012, 712/2012; Piacenza 15/11/2011, 7/12/2010 e ord. 22/11/2010; Min. Milano dec. 4/3/2011; Varese 6/2/2001, 22/1/2011, sez. dist. Luino ord 23/1/2010, 30/10/2009; Foggia 28/1/2011; Rovigo sez. dist. Adria 7/12/2010; Verona ord. 1/10/2010, 20/9/2010, ord. 1/7/2010; Roma sez. dist. Ostia 9/12/2010; Roma 11/1/2010; Prato 6/11/2009, Milano ord. 29/8/2009. In termini di obiter dictumanche Cass. n. 17902/2010 e Corte Cost. n. 138/2012), ciò che esclude la necessità di un danno di controparte (cfr. lavori preparatori), pur se la condanna è a favore di parte (per rendere certa l’escussione).

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d) Pure discusso è se sono richiesti i requisiti della lite temeraria di male fede e colpa grave del primo comma : Per alcuni la risposta è negativa (Bucci, Cecchella); Per una tesi mediana, occorre pur sempre un abuso, che

però può essere integrato da colpa lieve o violazione dovere lealtà e probità ex art. 88 cpc (Giordano, C. Graziosi, Potetti, Tallaro e Porreca; Trib. Catanzaro ord. 18/2/2011, Torino ord. 16/10/2010, Terni ord. 17/5/2010);

Per altri, nonostante l’imperfezione letterale, è comunque necessaria la temerarietà della lite (Balena, Barreca, Briguglio, Dalla Massara, De Marzo, Scarselli e Vaccari; Tribb. Reggio Emilia n. 1569/2012, 729/2012, 712/2012; Milano ord. 13/6/2012 e 13/11/2011; Busto Arsizio 12/6/2012; S.M.C.V. 3/4/2012 e 26/9/2011; Verona 12/1/2012, ord. 21/3/2011, ord. 1/10/2010, sent. 20/9/2010; Piacenza sent. 15/11/2011, 7/12/2010 e ord. 22/11/2010; Foggia 28/1/2011; Pescara sent. 30/9/2010; Padova ord. 10/11/2009, ord. 2/11/2009, ord. 30/10/2009).

Ora Cass. n. 21570/2012 ha aderito a tale ultima tesi.

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e) La condanna può essere cumulata con una condanna ai sensi del primo comma, norma che mantiene carattere risarcitorio e che presuppone la domanda di parte (Buffone, Dalla Massara, Demarchi, Finocchiaro, Ghirga, Giordano, Potetti, Ricci, Vaccari; contra Porreca).

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f) Circa infine la problematica dell’entità della sanzione monetaria, la soluzione più ragionevole per orientare la discrezionalità del giudice è quella che utilizza il parametro delle spese di lite, magari tra una frazione ed il doppio delle stesse, così come disponeva l’abrogato 385 cpc (per Cass. n. 21570/2012, anche il triplo delle spese è peraltro condanna congrua e ragionevole).Quanto al riferimento che deve guidare la concreta scelta dell’ammontare, se si aderisce alla tesi della natura sanzionatoria della pronuncia, esso dovrebbe essere la gravità dell’abuso processuale, piuttosto che il valore della controversia, la natura della prestazione o l’entità del danno (così anche Barreca, Vaccari).

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Secondo un’acuta Dottrina, che parla di danno strutturato, se il Giudice ha applicato l’articolo 96 comma 3 cpc, la parte beneficiaria del pagamento potrà richiedere il danno da irragionevole durata del processo solo per la quota eventualmente superiore a quanto già ricevuto, posto che il danno è stato già risarcito, sia pure dalla controparte e non già dallo Stato (Buffone).

Da qui, l’opportunità di parametrare la condanna exart. 96 comma 3 cpc alle liquidazioni per irragionevole durata del processo.

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UNA PROVOCAZIONE FINALE

Secondo alcuni, una riforma possibile sarebbe ora quella di “trasferire dalla parte al difensore le conseguenze dell’illecito processuale… perché noi oggi abbiamo lo strano sistema per il quale, mentre l’illecito processuale lo commette il difensore, la sanzione e i danni li pagano le parti che a quel difensore hanno dato mandato”.

Prof. avv. Giuliano Scarselli, L’abuso del processo civile, 21,

relazione tenuta a Roma il 15/10/2002 ad un corso di formazione organizzato dal CSM

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BIBLIOGRAFIA… BENINI, Abuso del processo e principio della

ragionevole durata, in www.csm.it; BUFFONE, Il ricorso cd. anomalo al credito costituisce

abuso del diritto di difesa sanzionabile mediante condanna per responsabilità aggravata, in Giur. Merito, 2010, 2178;

BUFFONE, Il danno strutturato: come cambiano le regole del gioco in materia di ragionevole durata del procedimento e abuso del processo, in Resp. Civ. Prev., 2012, 6, 2111;

CORRIERO, L’abuso del diritto da parte di uno dei coniugi separandi, in Resp. Civ. Prev., 2011, 3, 669;

FAROLFI, L’abuso del processo cautelare e sommario, in www.csm.it;

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…BIBLIOGRAFIA GHIRGA, Dall’abuso del diritto all’abuso del processo,

in www.csm.it; GIORDANO, L’abuso del processo cautelare e

sommario, in www.csm.it; GRAZIOSI A, Neppure i crediti risarcitori possono più

essere frazionati giurisdizionalmente, in Foro It., 2012, I, 2819;

SCARPA, La repressione dell’abuso del processo come esigenza di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, in www.csm.it

SCARSELLI, Sul cd abuso del processo, in www.csm.it;

STOLZI, L’abuso del diritto: Salvatore Romano e la necessaria struttura plurale dell’esperienza giuridica, in www.judicium.it.