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1 Corso aziendale di prevenzione incendi, lotta antincendio E gestione delle emergenze AZIENDA ULSS 22 BUSSOLENGO SERVIZIO TECNICO – Ing. Avesani Luca – Responsabile Area Tecnologica Prefazione Il D.Lgs 81/08 prevede, tra gli obblighi del datore, di lavoro anche quello di fornire ai lavoratori un’adeguata informazione sulle procedure da eseguire in caso di emergenza incendi e sui principi di base della prevenzione degli stessi. Il D.M. 10 marzo 1998, e più precisamente agli Artt. 6 e 7, prevedono che gli addetti alla lotta antincendio ed alla gestione delle emergenze, seguano corsi di formazione. Obbiettivo successivo, solo a chi sarà individuato, saranno poi i corsi di formazione basati sulla valutazione dei rischi sul lavoro e secondo la tipologia dell’attività (attività a rischio di incendio elevato, medio, basso), indispensabili per costituire la figura del “lavoratore addetto antincendio” ovvero di colui che, facente parte di una squadra, dovrà far funzionare piani di emergenza ed evacuazione. A tale scopo a conclusione del percorso di “informazione e formazione” ed al superamento di un esame teorico/pratico con la funzione di verifica sulla preparazione dell’addetto antincendio, sarà rilascio un attestato di frequenza.

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Corso aziendale di prevenzione incendi, lotta antincendio

E gestione delle emergenze AZIENDA ULSS 22 BUSSOLENGO

SERVIZIO TECNICO – Ing. Avesani Luca – Responsabile Area Tecnologica

PPrreeffaazziioonnee

Il D.Lgs 81/08 prevede, tra gli obblighi del datore, di lavoro anche quello di fornire ai lavoratori un’adeguata informazione sulle procedure da eseguire in caso di emergenza incendi e sui principi di base della prevenzione degli stessi.

Il D.M. 10 marzo 1998, e più precisamente agli Artt. 6 e 7, prevedono che gli addetti alla lotta antincendio ed alla gestione delle emergenze, seguano corsi di formazione.

Obbiettivo successivo, solo a chi sarà individuato, saranno poi i corsi di formazione basati sulla valutazione dei rischi sul lavoro e secondo la tipologia dell’attività (attività a rischio di incendio elevato, medio, basso), indispensabili per costituire la figura del “lavoratore addetto antincendio” ovvero di colui che, facente parte di una squadra, dovrà far funzionare piani di emergenza ed evacuazione.

A tale scopo a conclusione del percorso di “informazione e formazione” ed al superamento di un esame teorico/pratico con la funzione di verifica sulla preparazione dell’addetto antincendio, sarà rilascio un attestato di frequenza.

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IInnttrroodduuzziioonnee

GLI ADDETTI INCARICATI DEL SERVIZIO ANTINCENDIO

IL RUOLO ATTIVO CHE IL LAVORATORE HA ALL’INTERNO DEL LUOGO DI LAVORO

In caso di incendio è necessaria ed essenziale una rapida azione di controllo del fuoco nella sua prima fase, ovvero di ignizione, per poter ottenere un rapido spegnimento e un minimo danno.

Quindi risulta essenziale quindi che all’interno dell’attività lavorativa esista una squadra formata da persone addestrate a tale possibile situazione che siano in grado di attuare un primo intervento qualificato, evitando reazioni imprevedibili dovute al panico. Tutto ciò naturalmente in attesa dell’arrivo delle squadre di soccorso esterne.

Importante è l’idoneità psicofisica delle persone facenti parte delle squadre di soccorso antincendio, che oltre ad essere formate teoricamente vengono formate praticamente con l’utilizzo di attrezzature di spegnimento incendi, al fine di prevenire situazioni di panico e far acquisire un minimo di dimestichezza con gli strumenti di soccorso.

Da aggiungere ancora che ognuno dei componenti della squadra avrà un ruolo ben determinato per evitare il verificarsi di situazioni di confusione che andrebbero a gravare sulla situazione del momento.

E’ auspicabile comunque che tutti, ed in maniera autonoma siano in grado di intervenire per operazioni di soccorso antincendio in quanto nei turni di servizio, la presenza ridotta di personale nelle ore notturne e la possibilità di lavorare con persone sempre diverse, è sicuramente fonte di un rischio abbastanza consistente.

NORMATIVA Il D.Lgs 81/08 elenca le regole per il miglioramento della sicurezza e della

salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Inoltre, nel D.L. si prescrive l’attuazione della valutazione, riduzione e

controllo dei rischi da parte di un insieme di persone che operano all’interno dell’azienda.

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SOGGETTI LAVORATORE (L) Per lavoratore deve intendersi la persona che presta la

propria opera alle dipendenze di un datore di lavoro, con rapporto di lavoro subordinato, anche speciale. Sono considerati lavoratori anche:

t soci lavoratori di cooperative; t soci lavoratori di società anche di fatto; t utenti di servizi di orientamento professionale; t partecipanti a corsi di formazione professionale con utilizzo di macchine

ecc; t allievi di istituti di istruzione ed universitari con laboratori; t Non sono considerati lavoratori gli addetti ai servizi domestici e familiari.

DATORE DI LAVORO (DL) Soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, o comunque il soggetto che ha responsabilità dell’impresa in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni il datore di lavoro è individuato nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione.

MEDICO COMPETENTE (MC) Medico con specializzazione in:

t medicina del lavoro o t in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o t in tossicologia industriale o t in igiene industriale o t in fisiologia ed igiene del lavoro o t in clinica del lavoro o t altre specializzazioni individuate con decreto del Ministro della Sanità in

concerto col Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica.

RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE (RSPP)

Persona designata dal Datore di Lavoro in possesso di attitudini e capacità adeguate.

RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA (RLS) Persona

eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza sul lavoro.

SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DAI RISCHI E’ l’insieme delle

persone, sistemi e mezzi esterni/interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionale.

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LL’’IINNCCEENNDDIIOO EE LLAA PPRREEVVEENNZZIIOONNEE IINNCCEENNDDII Il fuoco è la manifestazione visibile di una reazione chimica (combustione) che

avviene tra due sostanze diverse (combustibile1 e comburente2) con emissione di energia sensibile (calore e luce).

La combustione dà come risultato il fuoco (che fornisce grandi quantità di energia sotto forma di calore ad elevata temperatura con emissione di luce) ed una serie di prodotti secondari che, nella combustione dei più comuni materiali infiammabili, risultano essere:

t ANIDRIDE CARBONICA (CO2) per combustione completa (abbondanza di ossigeno alla combustione);

t OSSIDO DI CARBONIO (CO) a causa di una combustione incompleta in carenza di ossigeno;

t VAPORE ACQUEO (H20); t ANIDRIDI SOLFOROSA E SOLFORICA (SO2 ed SO3) in presenza di

combustibili contenenti zolfo; t CENERI costituite da prodotti vari mescolati in genere con materiali

incombusti; una parte si disperde nell’aria sotto forma di aerosol con effetti a volte visibili e configurati (fumo).

Le conseguenze di una combustione sono la trasformazione delle sostanze reagenti in altre (prodotti di combustione) nonché l’emissione di un sensibile quantitativo di energia sotto forma di calore ad elevata temperatura.

1Combustibile: il combustibile è la sostanza in grado di bruciare. In condizioni normali di ambiente esso può essere allo stato solido (carbone, legno, carta, etc.) liquido (alcool, benzina, gasolio. etc.) o gassoso (metano, idrogeno, propano, etc.). Perché la reazione chimica abbia luogo, di norma il combustibile deve trovarsi allo stato gassoso. Fanno eccezione il carbonio (sotto forma di carbone) e pochi altri elementi metallici come il magnesio. 2 Comburente: il comburente e la sostanza che permette al combustibile di bruciare. Generalmente si tratta dell’ossigeno contenuto nell’aria allo stato di gas.

LLAA PPRREEVVEENNZZIIOONNEE

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PPRRIINNCCIIPPII DDEELLLLAA CCOOMMBBUUSSTTIIOONNEE La combustione (che genera l’incendio solamente se permane l’autocatalisi,

ossia la continua alimentazione automatica della combustione) per avvenire ha bisogno di tre condizioni:

a - COMBUSTIBILE b - COMBURENTE c - CALORE O INNESCO (temperatura)

TTRRIIAANNGGOOLLOO DDEELL FFUUOOCCOO Ossia, la rappresentazione grafica a triangolo del fenomeno della combustione

in cui i lati sono rispettivamente COMBUSTIBILE, COMBURENTE e TEMPERATURA.

Se manca una sola di queste condizioni non si verifica la combustione o l’incendio e di conseguenza per arrestare qualsiasi combustione basta intervenire anche su uno solo dei componenti del triangolo.

Per meglio comprendere: INTERVENTO SUL COMBUSTIBILE:

semplicemente togliendo materiale di combustione (da bruciare), il fuoco si spegne;

INTERVENTO SUL COMBURENTE: semplicemente togliendo O2 o meglio, creando una cappa anossica sul

combustibile; INTERVENTO SULLA TEMPERATURA

quest’ultima non è direttamente responsabile della reazione di combustione ma rappresenta il livello energetico necessario perché il combustibile ed il comburente liberino dalla loro composizione atomi capaci di scambiarsi cariche elettriche per legarsi a livelli energetici più bassi di quelli posseduti prima della reazione.

DDIINNAAMMIICCAA DDEELLLL’’IINNCCEENNDDIIOO L’evoluzione dell’incendio è caratterizzata da

quattro fasi caratteristiche: 1. Fase di ignizione; 2. Fase di propagazione; 3. Incendio generalizzato (flash over); 4. Estinzione e raffreddamento. 1 ... Fase di ignizione che dipende dai seguenti fattori:

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t infiammabilità del combustibile; t possibilità di propagazione della fiamma; t grado di partecipazione al fuoco del combustibile; t geometria e volume degli ambienti; t possibilità di dissipazione del calore nel combustibile; t ventilazione dell’ambiente; t caratteristiche superficiali del combustibile; t distribuzione nel volume del combustibile, punti di contatto.

2 ... Fase di propagazione caratterizzata da: t produzione dei gas tossici e corrosivi; t riduzione di visibilità a causa dei fumi di combustione; t aumento della partecipazione alla combustione dei combustibili solidi e

liquidi; t aumento rapido delle temperature; t aumento dell’energia di irraggiamento. 3 ... Incendio generalizzato (flash-over) caratterizzato da: t brusco incremento della temperatura; t crescita esponenziale della velocità di combustione; t forte aumento di emissioni di gas e di particelle incandescenti, che si

espandono e vengono trasportate in senso orizzontale e soprattutto in senso ascensionale creando zone di turbolenze visibili;

t i combustibili vicini al focolaio si autoaccendono, quelli più lontani si riscaldano e raggiungono la loro temperatura di combustione con produzione di gas di distillazione infiammabili.

4 ... Estinzione e raffreddamento Quando l’incendio ha terminato di interessare tutto il materiale combustibile ha

inizio la fase di decremento delle temperature all’interno del locale a causa del progressiva diminuzione dell’apporto termico residuo e della dissipazione di calore attraverso i fumi e di fenomeni di conduzione termica.

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CCLLAASSSSIIFFIICCAAZZIIOONNEE DDEEGGLLII IINNNNEESSCCHHII Le sorgenti che causano l’innesco della combustione possono essere di diversa

natura. ACCENSIONE DIRETTA:

quando l’innesco costituito da una fiamma od altro, tocca fisicamente il combustibile (mozziconi di sigaretta su erba secca o cumuli di stracci o carta, fiammiferi gettati non ancora ben spenti, lampade elettriche vicino ai tendaggi, stufe elettriche o a gas vicino a materiali combustibili e/o infiammabili, non da ultime le scariche elettrostatiche).

ACCENSIONE INDIRETTA: quando è il calore prodotto da apparecchiature od altro a provocare

l’incendio e l’innesco per propagazione termica tramite convezione, conduzione e irraggiamento.

ACCENSIONE PER ATTRITO: sfregamento tra metalli e/o altri materiali che causano un innalzamento

della temperatura al punto tale da permettere la combustione di parti della macchina interessata.

AUTOCOMBUSTIONE: presente soprattutto in agricoltura (in fienili o covoni di paglia) dove per

azione di microrganismi che provocano la decomposizione di sostanze organiche

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si sviluppano gas quali metano, idrogeno, acido solforico, anidride carbonica, ammoniaca e naturalmente calore. La presenza di alcuni di questi gas può essere fonte di pericolo di incendio. A contribuire l’accensione subentra anche l’umidità che favorisce la fermentazione e quindi il processo di autoaccensione.

Particolare attenzione va prestata nei luoghi ove si forma decomposizione di sostanze organiche con sviluppo di gas più o meno infiammabili e velenosi come nei pozzi neri, nelle fosse biologiche ed altri luoghi dove si possono formare delle miscele esplosive e/o tossiche.

CCLLAASSSSIIFFIICCAAZZIIOONNEE FFUUOOCCHHII

FUOCO DI CLASSE “A” La classifica “A” è rappresentata dal cartello a fianco. Il fuoco di classe “A” si caratterizza da reazione di combustibile solido ovvero dotato di forma e volume proprio. La combustione si manifesta

con la consunzione del combustibile, spesso luminescente come brace, e con bassa emissione di fiamma.

Questa è infatti la manifestazione tipica della combustione dei gas ed è generata dalle emissioni di vapori distillati per il calore dal solido in combustione che li contiene.

L’azione estinguente pertanto si può esercitare con sostanze che possono anche depositarsi sul combustibile che è in grado di sostenere l’estinguente senza inghiottirlo e/o affondarlo al suo interno.

FUOCO DI CLASSE “B”

La classifica “B” è rappresentata dal cartello a fianco. Caratteristica di tale tipo di combustibile è quella di possedere di un volume proprio ma non una forma propria. Quindi, è necessaria

l’azione contenitiva di tale tipo di combustibile. Un buon tipo di estinguente per questo tipo di fuoco deve, oltre l’azione di

raffreddamento, esercitare un’azione di soffocamento individuale nella separazione tra combustibile e comburente.

FUOCO DI CLASSE “C”

La classifica “C” è rappresentata dal cartello a fianco. Tale tipo di combustibile non possiede né forma né volume proprio. I

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gas combustibili sono molto pericolosi se miscelati in aria per la possibilità di generare esplosioni.

L’azione estinguente si esercita mediante l’azione di raffreddamento, separazione e di inertizzazione della miscela gas/aria (infatti al di fuori di ben precise percentuali di miscelazione il gas combustibile non brucia).

FUOCO DI CLASSE “D” La classifica “D” è rappresentata dal cartello a fianco. Si riferiscono a particolarissimi tipi di reazione di solidi, per lo più metalli, che hanno la caratteristica di interagire, anche violentemente,

con i comuni mezzi di spegnimento in particolare con l’H2O e sono: i metalli alcalini terrosi leggeri (magnesio, manganese alluminio solo se in polvere fine), metalli alcalini (sodio, potassio, litio) nonché perossidi, clorati, perclorati.

FUOCO DI CLASSE “E” – NATURA ELETTRICA

La classifica “E” è rappresentata dal cartello a fianco. Categoria di fuochi al quale appartengono tutte le apparecchiature elettriche ed i loro sistemi di servizio che, anche nel corso della

combustione, potrebbero trovarsi sotto tensione. Gli estintori caratterizzati dal cartello stesso sono abilitati a tale tipo di intervento.

La dicitura sugli estintori fornisce un elemento utile per valutare i limiti di un estintore anche in riferimento alla tensione dichiarata.

TABELLA RIASSUNTIVA CLASSIFICAZIONE FUOCHI

A Fuochi di materie solide, generalmente di natura organica, la cui combustione avviene normalmente con produzione di braci che ardono allo stato solido (carbone)

B Fuochi di liquidi o di solidi che possono liquefarsi (ad esempio cera, paraffina, etc.)

C Fuochi di gas D Fuochi di metalli (magnesio, alluminio, etc…) E Fuochi di natura elettrica

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PPRROODDOOTTTTII DDEELLLLAA CCOOMMBBUUSSTTIIOONNEE Quando avviene la combustione si generano una serie di prodotti dati dalla combustione stessa e sono: GAS, FIAMME, FUMO e CALORE.

GGaass ddii ccoommbbuussttiioonnee I gas di combustione sono

prodotti corrosivi, tossici e la loro composizione dipende dal tipo di combustibile coinvolto nell’incendio. Questi gas, possono arrecare danno sia alle persone che alle cose.

L’aria che respiriamo contiene circa:

t 21% in volume di ossigeno (si tenga presente che il

17% è i l valore minimo di respirabilità) t 78% di azoto t 1% di gas rari. Durante un incendio la concentrazione dell’ossigeno contenuto nell’aria si

abbassa in quanto parte si combina con la reazione chimica dell’incendio. La diminuzione dell’ossigeno nell’aria che respiriamo provoca vari effetti fisiologici negativi sull’uomo (vedi tabella).

PER CONCENTRAZIONI DI O2 SI HA

17%

e quindi di soli 4 punti percentuali in meno, si ha un aumento del ritmo respiratorio che comporta un più facile assorbimento di sostanze tossiche

tra il 15% ed il 12% si arriva ad una difficile respirazione, vertigini, rapido affaticamento, coordinamento muscolare difficoltoso

tra il 10% ed l’8% si passa al collasso ed al coma minori del 6% si ha la morte in circa 8 minuti

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OSSIDO DI CARBONIO: (CO) È il più pericoloso di tutti i gas di combustione. Il CO è insapore, incolore

ed inodore e si può riscontrare la sua presenza con speciali sonde ed apparecchiature. Viene prodotto dalla combustione incompleta del carbone. È altamente tossico anche in piccole percentuali (“morte bianca”).

Il CO è in grado di fissarsi all’emoglobina3 molto più rapidamente dell’O2 impiegando tempi lunghi per staccarsi: in questa situazione l’emoglobina non può più legarsi e trasportare l’O2 all’organismo. Ecco che allora intercorre un avvelenamento da CO. PER CONCENTRAZIONI DI CO SI HA

500 ppm4 si hanno allucinazioni dopo 30’ e la morte in 2h 3000 ppm si hanno allucinazioni e morte in 30’ 8000 ppm si hanno allucinazioni e morte in pochi secondi

ANIDRIDE CARBONICA: (CO2)

Prodotto abbondante di una combustione, non respirabile ma non velenoso. Ha la caratteristica di essere un gas più pesante dell’aria. Gli effetti che produce sull’uomo sono:

PER CONCENTRAZIONI DI CO2

SI HA

3% raddoppio del ritmo respiratorio con aumento assorbimento del gas

8% paralisi del sistema respiratorio 10% morte in pochi minuti

ANIDRIDE SOLFOROSA: (SO2)

Gas che si forma se il combustibile coinvolto nell’incendio ha lo zolfo come sua sostanza componente. Produce danni all’apparato visivo e respiratorio già per concentrazioni intorno allo 0,5 / 1 %.

IDROGENO SOLFORATO: (H2S)

3 Emoglobina: sostanza proteica contente ferro presente nei globuli rossi del sangue, ai quali conferisce la caratteristica colorazione; trasporta l’ossigeno dai polmoni ai tessuti e l’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni. 4 ppm: parti per milione

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(Meglio conosciuto in terminologia tecnica come ACIDO SOLFIDRICO). Ha peso specifico leggermente inferiore all’acqua ed è inerte con la stessa, inoltre possiede un’elevata tossicità. È incolore, di odore nauseante (uova marce), irrita le mucose e gli occhi ed è altamente corrosivo.

Si forma durante la combustione di prodotti/sostanze contenenti zolfo come lana, gomma, pellami, materie plastiche. In caso di condensazione su materiali metallici ne provoca la corrosione con conseguente emissione di idrogeno.

Già a basse concentrazioni attacca il sistema nervoso anche per brevi esposizioni.

Per concentrazioni superiori allo 0,1 % ed per esposizione prolungata causa il blocco respiratorio. Per concentrazioni dello 0,15 % causa morte in pochi minuti.

ACIDO CIANIDRICO: (HCN) (Conosciuto anche con il nome di ACIDO PRUSSICO). Gas incolore con

caratteristico odore di mandorle amare che si forma dalla combustione incompleta di seta, lana, decomposizione di resine acriliche, poliammidiche, poliuretaniche e di nylon. Reagisce con l’H2O.

È facilmente assorbito per via respiratoria e per via cutanea; altamente tossico e inibitore della respirazione.

AMMONIACA: (NH3) Gas incolore e fortemente irritante per le mucose. Si forma dalla combustione di sostanze che contengono azoto come lana,

seta, resine acriliche, fenoliche e melamminiche, nylon e schiume di urea-formaldeide. Non reagisce con l’H2O.

ACIDO FLUORIDRICO: (HF) Altamente tossico. Non reagisce con l’H2O. Prodotto dalla combustione di

materie plastiche a “bassa fiamma” e con modeste temperature emanando gas tossici e rilasciando gocce infiammate.

ALDEIDE ACRILICA: (CH2CHCHO) (Conosciuta anche come ACROLEINA). Possiede elevata tossicità e un

odore irritante. Non reagisce con l’H2O.Causa perdita di coscienza e blocco della respirazione.

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FOSGENE:(COCL2) (Conosciuto anche come CLORURO DI CARBONILE). Gas tossico che si

sviluppa da combustioni di materiali contenenti Cloro, componente tipico delle materie plastiche.

Il fosgene a contatto con l’acqua si scinde in CO2 e HCl, quest’ultimo estremamente pericoloso per le vie respiratorie. Causa irritazioni agli occhi, naso e gola.

ACIDO CLORIDRICO: (HCl) Altamente tossico e corrosivo. Reagisce con l’H2O. Colpisce le vie respiratorie.

FFiiaammmmee Fenomeno che accompagna la combustione dei combustibili (gassosi, liquidi,

solidi), in presenza di un comburente (generalmente aria od O2 ); è costituita da una colonna di gas o di vapori di combustione. Nella fiamma si distinguono in genere tre parti:

t una interna, nella quale si trovano gas non ancora combusti e quindi relativamente freddi;

t una zona intermedia, spesso luminosa in cui comincia la combustione dei gas;

t un mantello esterno, a temperatura più alta, in cui l’ossidazione dei gas è completa in quanto è il contatto con l’aria è più diretto. La luminosità della fiamma è in relazione con la sua temperatura, ma

dipende anche dalle particelle solide incandescenti presenti. Per meglio comprendere: in un incendio si può valutare (approssimativamente) la temperatura raggiunta in base al colore della fiamma.

COLORE DEL FUOCO TEMPERATURA [°C] Rosso nascente 535 Rosso scuro 700 Rosso ciliegia 1100 Giallo scuro 1200 Giallo chiaro 1250 Bianco 1300 Celeste 1400 Bianco abbagliante 1500

FFuummoo

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Il fumo è formato da microscopiche particelle solide chiamate aerosol, e da particelle liquide, anche nebbie e/o vapori condensati, sospese nell’aria. Il fumo è tanto più abbondante quanto più è incompleta la combustione per carenza di ossigeno.

Il fumo si diffonde con estrema velocità e arreca danno a persone e cose ovvero: il fumo è irritante e dà luogo a soffocamento riducendo, inoltre, drasticamente la visibilità impedendo ai soccorritori di intervenire.

La densità dei fumi è in funzione della loro temperatura. Più alta è e meno denso è il fumo.

COLORE DEL FUMO TIPO DI COMBUSTIBILE

BIANCO Paglia, fosforo

GIALLO MARRONE Nitrocellulosa. Zolfo, acido nitrico/solforico/cloridrico, polvere da sparo

GRIGIO MARRONE Legno, carta, stoffa VIOLA Iodio

MARRONE Olio da cucina MARRONE NERO Nafta, diluente per vernici

NERO Acetone, cherosene, benzina, olio lubrificante, gomma, catrame, carbone, plastica

CCaalloorree Il calore è una delle forme di energia che si sprigiona da un incendio. Questa

forma di energia è la causa dei danni sia alle persone che al patrimonio. Il calore è dannoso per l’uomo potendo causare disidratazione dei tessuti, difficoltà o blocco della respirazione e scottature. Il corpo umano esposto per lungo tempo a temperature considerevoli può subire dei danni chiamati comunemente USTIONI (spesso dovute all’irraggiamento). Le ustioni possono essere di primo, secondo o terzo grado a seconda della profondità della scottatura nei tessuti epidermici.

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Quando l’ustione supera il 50 % del corpo umano si può avere la morte del soggetto causata da successive complicanze.

TIPO USTIONE CARATTERISTICA I° GRADO Superficiali, facilmente guaribili

2° GRADO Formazione di bolle e vescicole; Consultare struttura sanitaria

3° GRADO Profonde, urge l’ospedalizzazione

Le temperature massime sopportabili dal corpo umano sono le seguenti: t 40/50 °C per un massimo di 3/5 ore; t superiori a 50 °C si hanno lesioni dell’apparato respiratorio ed il verificarsi

di ipertermia sistematica con conseguente collasso cardio-circolatorio; t superiori a 100 °C si ha la morte in pochi minuti.

PPAARRAAMMEETTRRII FFIISSIICCII DDEELLLLAA CCOOMMBBUUSSTTIIOONNEE I parametri fisici di una combustione si possono classificare come: t temperatura di accensione; t temperatura di infiammabilità5; t temperatura teorica di combustione; t aria teorica di combustione; t potere calorifico dei combustibili e/o infiammabili; t limiti di infiammabilità e di esplodibilità.

TEMPERATURA DI ACCENSIONE

Temperatura minima necessaria per iniziare e quindi mantenere autonomamente una combustione.

In seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, delle temperature di accensione di alcuni materiali.

SOSTANZE TEMP. DI ACCENSIONE [°C]

Acetone 540 Benzina 250 Gasolio 220 Idrogeno 560

5Temperatura di infiammabilità: la temperatura di infiammabilità è per tutti i combustibili che partecipano alla relazione come emettitori di gas, la minima temperatura , alla quale il combustibile emette vapori in quantità tale da formare con il comburente una miscela incendiabile. Per altri tipi di combustibile che reagiscono direttamente allo stato solido (carbone, metalli, etc.). Tale temperatura si individua al corrispondente livello in cui la superficie del combustibile è in grado di interagire con l’ ossigeno dell’ aria.

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Alcool metilico 455 Carta 230 Legno 220÷250 Gomma sintetica 300 Metano 537

TEMPERATURA DI INFIAMMABILITA’

Temperatura minima alla quale un liquido sviluppa vapori tali da poter formare con l’aria una miscela infiammabile che, a contatto con l’innesco, dà inizio alla combustione.

In seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, delle temperature di infiammabilità di alcuni liquidi infiammabili.

SOSTANZE TEMP. DI INFIAMMABILITA’ [°C] Acetone -18 Benzina -20 Gasolio +65 Alcool metilico +11 Alcool etilico +13 Toluolo +4 Olio lubrificante +149

TEMPERATURA TEORICA DI COMBUSTIONE Temperatura che si può raggiungere nei prodotti di combustione di una

sostanza. A seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, delle temperature teoriche di combustione di alcune sostanze.

SOSTANZE TEMP. TEORICA DI COMBUSTIONE[°C]

Idrogeno 2205 Metano 2050 Petrolio 1800 Propano 2230

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ARIA TEORICA DI COMBUSTIONE

Si intende la quantità d’aria in metri cubi necessaria per raggiungere la combustione completa dei materiali combustibili. A seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, della quantità d’aria necessaria per avere la combustione completa di alcune sostanze.

SOSTANZE ARIA TEORICA DI COMBUSTIONE

[Nmc6/Kg] Legno 5 Carbone 8 Benzina 12 Alcool etilico 7,5 Polietilene 12,2 Propano 13 Idrogeno 28,5

POTERE CALORIFICO DEI COMBUSTIBILI E/O INFIAMMABILI

Si intende la quantità di calore prodotto dalla completa combustione dell’unità di massa o di volume di una determinata sostanza combustibile.

Si considera POTERE CALORIFICO SUPERIORE la quantità di calore sviluppata dalla combustione considerando anche il calore di condensazione del vapor d’acqua prodotto.

Si considera POTERE CALORIFICO INFERIORE (PCI) la quantità di calore sviluppata dalla combustione senza considerare il calore di condensazione del vapor d’acqua prodotto.

Normalmente per quanto concerne la prevenzione incendi di considera sempre il POTERE CALORIFICO INFERIORE. A seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, dei vari PCI di alcune sostanze.

SOSTANZE POTERE CALORIFICO INFERIORE [MJ7/Kg] Legno 17 Carbone 30÷34 Benzina 42 Alcool etilico 25 Polietilene 32÷45 Propano 46 Idrogeno 120

6 Ncm: Normal metro cubo 7 MJ: Mega Joule

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LIMITI DI INFIAMMABILITÀ

I limiti di infiammabilità di una determinata sostanza sono due: inferiore e superiore. Tali limiti individuano il Campo di Infiammabilità all’interno del quale si ha, in caso di innesco, l’accensione e la propagazione della fiamma nella miscela combustibile-comburente.

Il Limite Inferiore di Infiammabilità indica la più bassa concentrazione in volume di vapore della miscela al di sotto della quale non si ha accensione in presenza di innesco per carenza di combustibile.

Il Limite Superiore di Infiammabilità indica la più alta concentrazione in volume di vapore della miscela al di sopra della quale non si ha accensione in presenza di innesco per eccesso di combustibile.

In seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, di campi di infiammabilità di alcune sostanze.

SOSTANZE LIMITE INFERIORE [%VOL.] LIMITE SUPERIORE [%VOL.] Acetone 2,5 13 Ammoniaca 15 18 Benzina 1 6,5 Gasolio 0,6 6,5 Idrogeno 4 75,6 Metano 5 15

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

meta

no

idro

gen

og

aso

lio

Area di NON infiammabilità inferiore Area di infiammabilità Area di NON infiammabilità superiore

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LIMITI DI ESPLODIBILITA’8 L’esplosione è il risultato di una rapida espansione di gas dovuta ad una

reazione chimica di combustione. Gli effetti dell’esplosione sono: produzione di calore, un’onda d’urto ed un picco di pressione.

Quando la reazione di combustione si propaga alla miscela infiammabile non ancora bruciata con una velocità minore di quella del suono, l’esplosione è chiamata DEFLAGRAZIONE.

Quando la reazione procede nella miscela non ancora bruciata con velocità superiore a quella del suono l’esplosione è detta DETONAZIONE. Gli effetti distruttivi delle detonazioni sono maggiori rispetto a quelli delle deflagrazioni.

Un’esplosione può aver luogo quando gas, vapori o polveri infiammabili, entro il loro campo di esplosività, vengono innescati da una fonte di innesco avente sufficiente energia. In particolare in un ambiente chiuso saturo di gas, vapori o polveri, l’aumento della temperatura dovuto al processo di combustione sviluppa un aumento di pressione che può arrivare fino ad otto volte la pressione iniziale.

Il modo migliore di proteggersi dalle esplosioni sta nel prevenire la formazione di miscele infiammabili nei luoghi ove si lavora, in quanto è estremamente difficoltoso disporre di misure che fronteggiano gli effetti delle esplosioni come, al contrario, è invece possibile fare con gli incendi.

8 Limiti di esplodibilità: sono la più bassa concentrazione in volume di vapore della miscela al di sotto della quale non si ha esplosione in presenza di innesco (limite inferiore di esplosività) e la più alta concentrazione in volume di vapore della miscela al di sopra della quale non si ha esplosione in presenza di innesco (limite superiore di esplosività).

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CCOOMMBBUUSSTTIIOONNEE SSOOLLIIDDII,, LLIIQQUUIIDDII EE GGAASS

CCoommbbuussttiioonnee ddii ssoolliiddii La combustione di solidi è caratterizzata da diversi parametri: t pezzatura e forma del materiale; t grado di porosità del materiale; t elementi che compongono la sostanza; t grado di umidità del materiale; t condizione di ventilazione. Il processo di combustione di solidi porta alla formazione di braci costituite da

residui carboniosi. Più la pezzatura è piccola e più facilmente può avvenire la combustione, in quanto riesce a raggiungere più facilmente la temperatura di accensione.

Il grado di porosità del combustibile solido contribuisce ad ottenere una più facile combustione in quanto l’ossigeno come comburente si colloca all’interno

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delle porosità aumentando la distribuzione dei volumi di comburente stesso per combustibile.

Gli elementi che compongono la sostanza solida (combustibile) sono le sostanze che ausiliano o inibiscono/rallentano la combustione del materiale stesso.

Il contenuto di umidità della materia solida combustibile interviene sulla spesa di gran parte del calore di ignizione per far perdere al materiale la propria umidità prima della vera e propria combustione.

Infine la ventilazione del combustibile solido, che è un fattore di primaria importanza ed é tale da permettere in primis una più rapida accensione e una successiva più rapida propagazione della combustione.

CCoommbbuussttiioonnee ddii lliiqquuiiddii iinnffiiaammmmaabbiillii La combustione di liquidi

infiammabili può avvenire attraverso la formazione di gas e vapori del liquido stesso. Quindi per bruciare un liquido infiammabile deve passare dallo stato liquido allo stato gassoso.

Ciascun liquido infiammabile ha un proprio campo di infiammabilità, come abbiamo visto in precedenza, e questo è dettato dalle

caratteristiche del liquido stesso. I liquidi infiammabili sono stati così suddivisi in tre categorie: A - B - C. t Categoria - A:Liquidi aventi punto di infiammabilità inferiore a 21 °C t Categoria - B:Liquidi aventi punto di infiammabilità tra i 21 °C e i 65 °C t Categoria - C:Liquidi aventi punto di infiammabilità tra i 65 °C e i 125 °C In seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, di alcuni liquidi infiammabili

e della loro categoria di appartenenza.

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SOSTANZE TEMP.INFIAMMABILITA’ [°C] CATEGORIA Acetone -18 A Benzina -20 A Gasolio +65 C Alcool metilico +11 A Alcool etilico +13 A Toluolo +4 A Olio lubrificante +149 C Trielina +32 B

GGaass iimmffiiaammmmaabbiillii Si distinguono in base alle loro caratteristiche

fisiche in GAS LEGGERI e GAS PESANTI. Per gas leggeri si intendono quelli aventi densità

rispetto all’aria inferiore a 0,8. Per gas pesanti si intendono quelli aventi densità rispetto all’aria superiore a 0,8.

I gas si dividono anche in funzione della modalità

di conservazione: GAS COMPRESSO

Gas che viene conservato allo stato gassoso ad una pressione superiore a quella atmosferica in appositi recipienti. Tale pressione può variare da poche centinaia di mm c.a. (millimetri di colonna d’acqua) a qualche centinaio di atm (atmosfere).

A seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, di alcuni gas compressi e della loro pressione di stoccaggio.

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GAS PRESS. DI STOCCAGGIO [bar] Metano 300 Idrogeno 250 Gas nobili 250 Ossigeno 250 Aria 250 Anidride carbonica 20

GAS LIQUEFATTO

Gas che grazie alle sue caratteristiche chimico-fisiche può essere liquefatto a temperatura ambiente mediante compressione. Ciò rappresenta un vantaggio per la conservazione in quanto si possono detenere grossi quantitativi in piccoli volumi.

I contenitori, per permettere il processo di vaporizzazione devono avere sempre una parte del recipiente libera dal liquido (grado di riempimento).

In seguito viene riportato un elenco, non esaustivo, di alcuni gas liquefatti e del loro grado di riempimento.

GAS GRADO DI RIEMPIMENTO [kg/dm3] 9

Ammoniaca 0,53 Cloro 1,25 Butano 0,51 Propano 0,42 GPL miscela 0,43÷0,47 Anidride carbonica 0,75

GAS REFRIGERATI

Gas che per essere conservati in fase liquida devono essere mantenuti alla temperatura di equilibrio liquido-vapore tramite refrigerazione. Lo stoccaggio di questi gas avviene a pressioni molto modeste o quasi a pressione atmosferica.

9 dm3: decimetro cubo

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GAS DISCIOLTI Gas che sono conservati in fase gassosa disciolti entro

un liquido ad una determinata pressione. (Es.: acetilene disciolto in acetone, anidride carbonica disciolta in acqua).

AAZZIIOONNII EE SSOOSSTTAANNZZEE EESSTTIINNGGUUEENNTTII

Lo spegnimento di un incendio si ottiene per RAFFREDDAMENTO, SOTTRAZIONE DEL COMBUSTIBILE o SOFFOCAMENTO.

Queste azioni possono essere ottenute singolarmente o contemporaneamente mediante l’uso delle sostanze estinguenti, che vanno scelte in funzione della natura del combustibile e delle dimensioni del fuoco, per le quali è fondamentale conoscere proprietà e modalità d’uso di dette sostanze.

AAccqquuaa È la più comune e diffusa sostanza estinguente per

facile reperibilità e per costo trascurabile. La sua azione estinguente si esplica con le seguenti modalità:

t abbassamento della temperatura del combustibile; t azione di soffocamento per sostituzione dell’O2 con

vapore acqueo; t imbevimento dei combustibili solidi. L’acqua è molto efficace contro i fuochi di classe “A”. Nei fuochi di classe “B”

l’acqua può essere usata solo se il peso specifico del liquido incendiato è superiore a quello dell’acqua stessa.

Avvertenze e limitazioni: t l’acqua è un buon conduttore di elettricità e pertanto non può essere usata in

presenza di apparecchiature sotto tensione, per la possibilità di avere un ponte di passaggio di elettricità attraverso il corpo dell’operatore antincendi, con provenienza dal getto d’ acqua (che bagna elementi sotto tensione) e scarica a terra garantita dal bagnato;

t non può essere usata contro fuochi di classe “C” (gas) per l’assoluta incapacità che l’acqua ha di interferire con lo stesso;

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t non può essere usata contro fuochi di classe “D” (metalli) in quanto interferisce chimicamente con molti di essi reagendo con l’ossigeno (e quindi ad alta temperatura);

t non può essere usata contro fuochi di classe ‘E”; t l’acqua non trova impiego in ambienti a temperatura inferiore a 0°C: al di

sotto dei 0°C l’acqua assume caratteristica di solido con forma propria.

SI SI FRAZIONATA

NO NO NO

SScchhiiuummaa Agente estinguente che si ottiene con

la miscelazione, al momento dell’utilizzo, tra acqua, liquido schiumogeno (additivo tensioattivo10) e aria o altro gas inerte.

L’azione estinguente avviene per: t separazione del combustibile dal

comburente; t raffreddamento. In base al rapporto tra il volume della

schiuma prodotta e la soluzione acqua-schiumogeno d’origine, le schiume si distinguono in:

t alta espansione 1:500 - 1:1000 t media espansione 1:30 - 1:200 t bassa espansione 1:6 - 1:12 In relazione al tipo di combustibile vanno impiegati diversi tipi di liquidi

schiumogeni: t liquidi schiumogeni fluoro-proteinici e proteinici: formati da una base

proteinica addizionata a composti fluorurati che sono adatti alla formazione di schiume a bassa espansione a effetto rapido. Sono molto efficaci su incendi di prodotti petroliferi;

10 Additivo tensioattivo: il tensioattivo può essere composto da liquidi particolari miscelati in percentuale dal 3 al 10, e possono essere di tipo proteinico, fluoroproteinico, sintetico e fluorosintetico, e schiume per alcoli.

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t liquidi schiumogeni sintetici: formati da miscele di tensioattivi che sono adatti alla formazione di tutti i tipi di schiume e garantiscono una lunga conservabilità nel tempo. Sono molto efficaci per azione di soffocamento su grandi superfici e volumi;

t liquidi schiumogeni fluoro-sintetici: formati da composti fluorurati che sono adatti alla formazione di schiume a bassa e media espansione e che hanno la caratteristica di scorrere rapidamente sulla superficie del liquido incendiato. L’impiego dei suddetti schiumogeni realizza una più efficace azione estinguente, in quanto consente lo spegnimento in tempi rapidi con un minor apporto di soluzione schiumogena per m2 di superficie incendiata;

t liquidi schiumogeni per alcoli: formati da una base proteinica additivata con metalli organici che sono adatti alla formazione di schiume a bassa espansione e molto efficaci su incendi di alcoli, esteri, chetoni, eteri, aldeidi, acidi, fenoli, etc.

Avvertenze e limitazioni: t La schiuma possiede caratteristiche di buona conducibilità elettrica e

pertanto non può essere impiegata su apparecchiature e/o impianti sotto tensione elettrica.

t Non può essere usata in tutti i casi in cui viene escluso l’uso dell’acqua (fuochi di classe “D”) a meno che si faccia uso di specifici schiumogeni appositamente etichettati.

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SI SI SI NO NO

PPoollvveerrii Costituite da particelle solide finissime a base di

bicarbonato di sodio, potassio, fosfati e sali organici. L’azione estinguente delle polveri è prodotta dalla decomposizione delle stesse per effetto delle alte temperature raggiunte nell’incendio, dando luogo ad assorbimento di calore (= raffreddamento), e con abbondante emissione di CO2 che ne aumenta l’azione soffocante. Di conseguenza la combustione viene inibita anche con l’azione di separazione del combustibile dal comburente.

Le polveri sono adatte per fuochi di classe “A”, “B” e “C”, mentre per incendi di classe “D” devono essere utilizzate polveri speciali.

SI SI SI SOLO POLVERI SPECIALI NO

GGaass iinneerrttii I gas inerti utilizzati per la

difesa dagli incendi di ambienti chiusi sono generalmente l’anidride carbonica (CO2) e in minor misura l’azoto (N).

La CO2 normalmente è conservata come gas liquefatto sotto pressione ed esercita sulla combustione una doppia azione:

t soffocamento per eliminazione del contatto dell’O2 con il comburente;

t raffreddamento per la sottrazione di calore dovuta all’energia assorbita nel passaggio dallo stato liquido-gas come calore latente di trasformazione.

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La CO2 può essere utilizzata su fuochi di classe “A”, “B” e “C” senza limitazioni e per apparecchiature elettriche sotto tensione. Qualche cautela va mantenuta esclusivamente per gli effetti di condensa al contorno della nube di CO2 dovuta al repentino abbassamento di temperatura. Avvertenze e limitazioni d’uso: Proprio a causa del repentino raffreddamento la CO2 non può essere usata su

oggetti incapaci di sopportare shock termico. La CO2 provoca ustioni da congelamento per contatto di parti di recipienti in scarica, o per esposizione diretta al punto di espansione del getto.

Nella seguente tabella sono riportate le percentuali in volume di CO2 e di N necessarie per inertizzare l’atmosfera in modo tale da renderla incapace di alimentare la combustione di alcune sostanze infiammabili.

SOSTANZA N (% in volume) CO2 (% in volume) Acetone 45,2 32,4 Alcool etilico 49,6 38,5 Benzolo 47,1 34,3 Idrogeno 76,4 72,1 Metano 42,8 31,0 Propano 45,6 32,4 Benzina 45,2 31,9

NO NO NO SI NO

IIddrrooccaarrbbuurrii aallooggeennaattii Detti anche HALON

(HALogenated – hydrocarbON). L’azione estinguente degli HALON avviene attraverso l’interruzione chimica della reazione di combustione. Questa proprietà di natura chimica viene definita catalisi negativa.

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Gli HALON sono efficaci su incendi che si verificano in ambienti chiusi scarsamente ventilati e producono un’azione estinguente che non danneggia i materiali con cui vengono a contatto. Tuttavia, alcuni HALON per effetto delle alte temperature dell’incendio si decompongono producendo gas tossici per l’uomo, facilmente raggiungibili in ambienti chiusi e poco ventilati. Inoltre, il loro utilizzo è stato recentemente vietato da disposizioni legislative, emanate per la protezione della fascia di ozono (O3) stratosferico. Verificare nuovi tipi di idrocarburi alogenati

SI SI SI SI SI

PPRRIINNCCIIPPAALLII CCAAUUSSEE DD’’IINNCCEENNDDIIOO

Presso l’ambiente lavorativo è possibile trovare molteplici situazioni di pericolo

d’incendio, generate da svariate situazioni. Alcune di queste interessano tutti i complessi e sono di carattere generale, mentre altre sono tipiche di certe zone ben determinate. E’ bene quindi suddividere l’intero complesso in varie parti in base alla loro posizione logistica ed al contenuto dei locali, valutando zona per zona i rischi di incendio che si possono verificare.

Al termine di tale operazione, definita come “VALUTAZIONE DEL RISCHIO INCENDIO”, si avrà una visione di tutti i rischi, le deficienze ed anomalie che possono esistere all’interno di una sede.

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Ciò sarà utile per creare un “documento di sicurezza antincendi” che potrà essere utilizzato sia per il servizio antincendi stesso, sia per ottemperare alla richiesta della normativa vigente circa la stesura del piano di emergenza.

Il “documento sicurezza antincendi” si elabora valutando per ogni ambiente: t rischi incendio esistenti; t misure necessarie per eliminazione o riduzione dei rischi; t l’attuazione delle misure di sicurezza individuate; t la programmazione e la gestione/controllo delle misure di sicurezza. Individuate le zone di pericolo incendio, si procede con: t identificazione dei pericoli (vedi tabella); t identificazione delle persone esposte; t verifica di rispondenza alle norme di sicurezza; t riduzione dei rischi di incendio; t identificazione degli interventi migliorativi di prossima attuazione.

Elenco delle cause e dei pericoli di incendio più comuni: N. CAUSA 1 Deposito non corretto di sostanze combustibili e/o infiammabili 2 Uso non idoneo di fiamme libere 3 Depositi di rifiuti, carta od altro che possa essere incendiato per errore o

volontariamente 4 Scarsa manutenzione di macchine 5 Non idonea pulizia delle varie zone 6 Impianti elettrici sovraccaricati 7 Interventi su impianti elettrici senza preventivo controllo dell’impianto su cui si

interviene in base a contemporaneità di servizio e possibilità di espansione 8 Apparecchiature elettriche lasciate in tensione quando non sono utilizzate 9 Utilizzo di apparecchi elettrici portatili per riscaldamento 10 Ostruzione delle aperture di ventilazione di apparecchiature elettriche 11 Fumare in zone dove è vietato 12 Negligenza di addetti alla manutenzione

I principali effetti dell’incendio sull’uomo sono: t anossia11 (a causa della riduzione del tasso di O2 nell’aria); t azione tossica dei fumi; t riduzione della visibilità;

11 Anossia: insufficienza di ossigeno e di utilizzare ossigeno da parte dei tessuti.

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t azione termica. Essi sono determinati dai prodotti della combustione: GAS DI COMBUSTIONE,

FIAMMA, CALORE, FUMO.

GGaass ddii ccoommbbuussttiioonnee t ossido di carbonio (CO) t anidride carbonica (CO2) t idrogeno solforato (H2S) t anidride solforosa (SO2) t ammoniaca (NH3) t acido cianidrico (HCN) t acido cloridrico (HCl) t perossido d’azoto (NO2) t aldeide acrilica (CH2CHCHO) t fosgene (COCl2) Analizziamo ora i più comuni:

OSSIDO DI CARBONIO: il CO si sviluppa in incendi covanti in ambienti chiusi ed in carenza di O2.

Caratteristiche: incolore, inodore, non irritante, insapore poco più leggero dell’aria. Il CO deriva dalla combustione incompleta di qualunque combustibile. Negli incendi risulta il più pericoloso tra i gas tossici per il sangue, sia per l’elevato livello di tossicità, sia per i notevoli quantitativi che generalmente si sviluppano.

Meccanismo d’azione: il monossido di carbonio viene assorbito per via polmonare e attraverso la parete alveolare passa nel sangue. Il potere tossico del CO deriva dal fatto che questo gas si lega all’emoglobina del sangue con più facilità dell’O2 inspirato, formando la carbossiemoglobina e competendo poi con il trasporto di O2 ai tessuti: ciò provoca gravi danni soprattutto agli organi più sensibili alle condizioni di insufficiente ossigenazione delle proprie cellule (ipossia tissutale12), in particolare al sistema nervoso ed al tessuto muscolare cardiaco, bloccando precocemente il funzionamento di questi apparati. La gravità dell’intossicazione dipende principalmente dalla concentrazione di CO nell’aria respirata, ma varia considerevolmente anche in rapporto alla durata dell’esposizione ed alle condizioni fisiche individuali (un cardiopatico, per esempio, è molto meno resistente dell’adulto sano).

Sintomatologia: la sintomatologia varia sensibilmente in rapporto alla concentrazione del tossico inalato: la morte può sopraggiungere fulminea se si inalano forti quantità di CO. Più spesso l’intossicazione è meno grave e ha come

12 Ipossia tissutale: diminuzione della quantità di ossigeno nei tessuti.

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sintomi d’esordio un vago senso di malessere cui segue cefalea, nausea, vertigini, ronzii; a questi disturbi possono associarsi malesseri quali difficoltà di concentrazione, mancanza di forza (astenia13), palpitazioni, forte affanno dopo una lieve fatica (dispnea da sforzo), abbassamento improvviso della pressione (ipotensione), improvvisa e transitoria perdita della coscienza (sincope14). Il CO nei casi più gravi o provoca una crisi convulsiva o, più spesso, un graduale affievolimento della funzionale acutezza dell’attività degli organi sensoriali (ottundimento del sensorio), forte sonnolenza e, poi, sonno che diviene perdita della coscienza, progressivamente comatosa, mentre il polso di fa aritmico, diminuiscono pressione e temperatura corporea, mentre l’intossicato passa gradatamente dal coma alla morte. La colorazione rosso ciliegia della cute è considerata un segno caratteristico dell’intossicazione da CO, ma è molto rara. (Vedi sotto tabella riassuntiva dei segni d’intossicazione acuta da CO)

GRAVITA’ SEGNI D’INTOSSICAZIONE 1 a Classe

Soggetto intossicato asintomatico

2 a Classe

Presenza di cefalea, vertigini, nausea, vomito

3 a Classe

Confusione mentale, lentezza di ideazione, visione offuscata, debolezza, mancanza di coordinazione dei movimenti muscolari volontari, alterazioni del comportamento, respiro superficiale, affanno, tachicardia

4a Classe Sonnolenza, sincope, coma convulsioni, ipotensione, dolore toracico, palpitazioni, aritmie

Se si sommano gli effetti dell’ossido di carbonio sull’organismo umano con quelli conseguenti ad una situazione di stress, di panico e di condizioni termiche avverse, i massimi tempi di esposizione sopportabili dall’uomo in un incendio reale sono quelli indicati nella seguente tabella:

CONCENTRAZIONE DI CO [ppm]

TEMPO MAX DI ESPOSIZIONE [s]

500 240 1.000 120 2.500 48 5.000 24

10.000 12 13 Astenia: debolezza generale dell’organismo. 14 Sincope: sospensione improvvisa dell’attività cardiocircolatoria e respiratoria.

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ANIDRIDE CARBONICA: L’anidride carbonica è un gas asfissiante in quanto, pur non producendo effetti tossici sull’organismo umano, si sostituisce all’ossigeno dell’aria. Quando ne determina una diminuzione a valori inferiori al 17% in volume, produce asfissia.

Inoltre è un gas che accelera e stimola il ritmo respiratorio; con una percentuale del 2% di CO2 in aria, la velocità e la profondità del respiro aumentano del 50% rispetto alle normali condizioni. Con una percentuale di CO2 al 3% l’aumento è del 100%, c ioè raddoppia. PER CONCENTRAZIONI DI CO2 SI HA

3% Raddoppio del ritmo respiratorio con aumento assorbimento del gas

8% Paralisi del sistema respiratorio 10% Morte in pochi minuti

ACIDO CIANIDRICO (o ACIDO PRUSSICO): l’acido cianidrico si sviluppa in modesta quantità in incendi ordinari attraverso combustioni incomplete (carenza di ossigeno) di lana, seta, resine acriliche, uretaniche e poliammidiche. Possiede un odore caratteristico di mandorle amare.

Meccanismo d’azione: l’acido cianidrico è un aggressivo chimico che interrompe la catena respiratoria a livello cellulare generando grave sofferenza funzionale nei tessuti ad alto fabbisogno di ossigeno, quali il cuore e il sistema nervoso centrale.

Vie di penetrazione: inalatoria, cutanea e via digerente. I cianuri dell’acido cianidrico a contatto con l’acidità gastrica presente nello stomaco vengono idrolizzati15 bloccando la respirazione cellulare con la conseguente morte della cellula per anossia.

Sintomatologia: iperpnea (fame d’aria), aumento degli atti respiratori (iperventilazione), colorazione rossa della cute, cefalea, ipersalivazione, bradicardia, ipertensione. FOSGENE (o OSSICLORURO DI CARBONIO): il fosgene è un gas tossico che si sviluppa durante le combustioni di materiali che contengono il cloro, come per esempio alcune materie plastiche. Diventa particolarmente pericoloso in ambienti chiusi.

15 Idrolizzati: àidrolisi: scissione di una sostanza per effetto dell’acqua

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Meccanismo d’azione: il fosgene a contatto con l’acqua o con l’umidità si scinde in anidride carbonica e acido cloridrico che è estremamente pericoloso in quanto intensamente caustico e in grado di raggiungere le vie respiratorie.

Sintomatologia: irritazione (occhi, naso, e gola), lacrimazione, secchezza delle fauci, costrizione toracica, vomito, cefalea.

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PPRREEVVEENNZZIIOONNEE IINNCCEENNDDII

Definizione – art. 2 D.P.R. n. 577/82 “… per prevenzione incendi si intende la materia di rilevanza interdisciplinare, nel cui ambito vengono promossi, predisposti e sperimentati misure, provvedimenti, accorgimenti e modi di azione intesi ad evitare, secondo le norme emanate dagli organi competenti, l’insorgenza di un incendio e/o limitarne le conseguenze.”

Quindi, la sicurezza antincendio è orientata alla salvaguardia dell’incolumità delle persone ed alla tutela dei beni e dell’ambiente, mediante il conseguimento di obiettivi primari quali:

t la riduzione minimo delle occasioni di incendio; t la stabilità delle strutture portanti per un tempo utile ad assicurare il soccorso

agli occupanti; t la limitata produzione di fuoco e fumi all'interno delle opere e la limitata

propagazione del fuoco alle opere vicine; t la possibilità che gli occupanti lascino l’edificio indenni o che gli stessi siano

soccorsi in altro modo; t la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di

sicurezza. Il rischio di ogni evento incidentale di incendio risulta definito da due fattori: t la frequenza, cioè la probabilità che l'evento si verifichi in un determinato

intervallo di tempo; t la magnitudo, cioè l'entità delle possibili perdite e dei danni conseguenti al

verificarsi dell'evento; da cui ne deriva la definizione di:

RISCHIO = FREQUENZA x MAGNITUDO

R = F x M

Dalla formula del rischio d'incendio appare evidente che quanto più si riducono

la frequenza o la magnitudo, o entrambe, tanto più si ridurrà il rischio.

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AAccccoorrggiimmeennttii ccoommppoorrttaammeennttaallii ee mmiissuurree ppeerr llaa pprreevveennzziioonnee iinncceennddii ((vveerriiffiicchhee ee mmaannuutteennzziioonnee ssuuii

pprreessiiddii aannttiinncceennddiioo)) CONTROLLO DEGLI AMBIENTI DI LAVORO

Limitare la programmazione e l’attuazione di dispositivi di emergenza alla sola struttura e funzionalità dei sistemi organizzati, corrisponde a formulare errori fondamentali sul principio stesso da cui discende la necessità della sicurezza. Quindi, stabilito che l’espressione RISCHIO = 0 è priva di senso logico, poiché matematicamente non è mai estinguibile la possibilità di un evento, si comprende anche che non è possibile accertare l’integrità fisica delle persone all’interno del sistema produttivo.

A maggior ragione il personale è tenuto a conoscere i principi fondamentali di prevenzione incendi, è opportuno che vengano effettuati, da parte di incaricati regolari verifiche (con cadenze predeterminate) nei luoghi di lavoro finalizzati ad accertare il mantenimento delle misure di sicurezza antincendio. Per tali operazioni, tenendo conto del tipo di attività, potranno essere incaricati singoli lavoratori oppure lavoratori addetti alla prevenzione incendi, queste verifiche devono essere annotate sull’apposito registro antincendio.

E' altresì consigliabile che i lavoratori ricevano adeguate istruzioni in merito alle operazioni da attuare prima che il luogo di lavoro sia abbandonato, al termine dell'orario di lavoro, affinché lo stesso sia lasciato in condizioni di sicurezza.

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AAccccoorrggiimmeennttii ccoommppoorrttaammeennttaallii L’obiettivo principale dell’adozione di misure precauzionali di esercizio è quello

di permettere, attraverso una corretta gestione, di non aumentare il livello di rischio e renderlo accettabile con misure di prevenzione e di protezione.

Le misure precauzionali di esercizio si realizzano attraverso: t analisi delle cause di incendio più comuni; t Informazione e Formazione antincendi; t controlli degli ambienti di lavoro e delle attrezzature ; t manutenzione ordinaria e straordinaria. Da sottolineare ancora, che molti incendi possono essere prevenuti richiamando

l'attenzione del personale sulle cause e sui pericoli di incendio più comuni e cioè:

IL PERSONALE DEVE ADEGUARE I PROPRI COMPORTAMENTI PONENDO PARTICOLARE ATTENZIONE A:

1 deposito e utilizzo materiali infiammabili e facilmente combustibili 2 utilizzo di fonti di calore 3 impianti ed apparecchi elettrici 4 fumo 5 rifiuti e scarti combustibili 6 aree non frequentate 7 rischi legati a incendi dolosi

Analizziamo in seguito i punti della tabella sovrastante:

1. DEPOSITO MATERIALI INFIAMMABILI E FACILMENTE COMBUSTIBILI Il quantitativo di materiali infiammabili o

facilmente combustibili esposti, depositati o utilizzati deve essere strettamente limitato al necessario utilizzo e tenuto lontano dalle vie d’esodo. I quantitativi in eccedenza devono essere depositati in appositi locali od aree destinate unicamente a tale scopo.

Le sostanze infiammabili, quando possibile, dovrebbero essere sostituite con altre meno pericolose (per esempio adesivi a base minerale dovrebbero essere sostituiti con altri a base acquosa).

Il personale che manipola sostanze infiammabili o chimiche pericolose deve essere adeguatamente addestrato sulle circostanze che possono incrementare il rischio di incendio.

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2. UTILIZZO DI FONTI DI CALORE

Le cause più comuni di incendio riguardo l’utilizzo di fonti di calore sono dovute a:

t impiego e detenzione delle bombole di gas utilizzate negli apparecchi di riscaldamento (anche quelle vuote);

t deposito materiali combustibili sopra o in vicinanza degli apparecchi di riscaldamento;

t utilizzo di apparecchi in ambienti non idonei (presenza di infiammabili, alto

carico di incendio etc.); t utilizzo di apparecchi in mancanza di adeguata ventilazione degli ambienti. Quindi: t i condotti di aspirazione di cucine, forni, seghe, molatrici, devono essere

tenuti puliti con adeguata frequenza per evitare l'accumulo di grassi o polveri;

t i luoghi dove si effettuano lavori di saldatura o di taglio alla fiamma, devono essere tenuti liberi da materiali combustibili in quanto le scintille creano potenziali elevati di rischio;

t gli stessi ambienti devono essere accuratamente controllati. 3. IMPIANTI E ATTREZZATURE ELETTRICHE

Tutti gli apparecchi di illuminazione producono calore e possono essere causa di incendio. Le riparazioni elettriche devono essere effettuate da personale competente e qualificato. Le prese multiple non devono essere sovraccaricate per evitare surriscaldamenti degli impianti.

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Nel caso debba provvedersi ad una alimentazione provvisoria di una

apparecchiatura elettrica, il cavo elettrico deve avere la lunghezza strettamente necessaria e posizionato in modo da evitare possibili danneggiamenti.

Il personale deve essere istruito sul corretto uso delle attrezzature e degli impianti elettrici e in modo da essere in grado di riconoscere difetti. 4. IL FUMO E L’UTILIZZO DI PORTACENERE

t identificare le aree dove il fumo delle sigarette può costituire pericolo di incendio e disporne il divieto (la mancanza di disposizioni a riguardo è una delle principali cause di incendi);

t mettere a disposizione idonei portacenere e svuotarli regolarmente;

t i portacenere non debbono essere svuotati in recipienti costituiti da materiali facilmente combustibili, né il loro contenuto deve essere accumulato con altri rifiuti;

t non deve essere permesso di fumare nei depositi e nelle aree contenenti materiali facilmente combustibili od infiammabili.

5. RIFIUTI E SCARTI DI LAVORAZIONE COMBUSTIBILI

t i rifiuti non debbono essere depositati, neanche in via temporanea, lungo le vie di esodo (corridoi, scale, disimpegni) o dove possono entrare in contatto con sorgenti di ignizione;

t scarti e rifiuti devono essere rimossi giornalmente e depositati in un’area idonea fuori dell'edificio.

6. AREE NON FREQUENTATE

t le aree del luogo di lavoro che normalmente non sono frequentate da personale (scantinati, locali deposito) ed ogni area dove un incendio potrebbe svilupparsi senza preavviso, devono essere tenute libere da materiali combustibili non essenziali;

t Adottare precauzioni per proteggere tali aree

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contro l'accesso di persone non autorizzate. 7. MISURE CONTRO GLI INCENDI DOLOSI

Scarse misure di sicurezza e mancanza di controlli possono consentire accessi non autorizzati nel luogo di lavoro, comprese le aree esterne, e ciò può costituire causa di incendi dolosi.

Occorre pertanto prevedere adeguate misure di controllo sugli accessi ed assicurarsi che i materiali combustibili depositati all'esterno non metta a rischio il luogo di lavoro.

MMiissuurree ddii pprreevveennzziioonnee iinncceennddii Le principali misure di prevenzione incendi, finalizzate alla riduzione della

probabilità di verificarsi di un incendio, possono essere individuate in: t realizzazione di impianti elettrici a regola d’arte (norme CEI); t collegamento elettrico a terra di impianti, strutture, serbatoi, etc..; t installazione di impianti parafulmine; t dispositivi di sicurezza degli impianti di distribuzione e di utilizzazione delle

sostanze infiammabili; t ventilazione dei locali; t utilizzazione di materiali incombustibili; t adozione di pavimenti ed attrezzi antiscintilla; t segnaletica di sicurezza, riferita in particolare ai rischi presenti nell’ambiente

di lavoro. Analizziamo in seguito i punti dell’elenco sovrastante:

REALIZZAZIONE DI IMPIANTI ELETTRICI A REGOLA D’ARTE Gli incendi dovuti a cause elettriche ammontano a circa il 30% della totalità di

tali sinistri. Pertanto appare evidente la grande importanza che deve essere data a questa

misura di prevenzione che, mirando alla realizzazione di impianti elettrici a regola d'arte (Legge 46/90 – norme CEI ), consegue lo scopo di ridurre drasticamente le probabilità d'incendio, evitando che l’impianto elettrico costituisca causa d’innesco.

Numerosissime è la casistica delle anomalie degli impianti elettrici le quali possono causare principi d'incendio: corti circuiti, conduttori flessibili danneggiati, contatti lenti, surriscaldamenti dei cavi o dei motori, guaine discontinue, mancanza

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di protezioni, sottodimensionamento degli impianti, apparecchiature di regolazione mal funzionanti ecc.

COLLEGAMENTO ELETTRICO A TERRA La messa a terra di impianti, serbatoi od altre strutture impedisce che su tali

apparecchiature possa verificarsi l'accumulo di cariche elettrostatiche prodottesi per svariati motivi (strofinio, correnti vaganti, etc...).

La mancata dissipazione di tali cariche potrebbe causare il verificarsi di scariche elettriche anche di notevole energia le quali potrebbero costituire innesco di eventuali incendi, specie in ambienti in cui esiste la possibilità presenza o di formazione di miscele di gas/vapori infiammabili e polveri combustibili.

INSTALLAZIONE DI IMPIANTI PARAFULMINE

Le scariche atmosferiche costituiscono anch'esse una delle principali cause d'incendio. Per tale motivo, specialmente in quelle zone dove l'attività ceraunica16 é particolarmente intensa, risulta necessario provvedere a realizzare impianti di protezione da tale fenomeno, ovvero, impianti che consistono nel classico parafulmine o nella "gabbia di Faraday". Entrambi questi tipi di impianto creano una via preferenziale per la scarica del fulmine a terra evitando che esso possa colpire gli edifici o le strutture che si vogliono proteggere.

La vigente normativa prevede l’obbligo della valutazione del rischio fulminazione diretta e indiretta e di conseguenza l’installazione degli impianti di protezione dalle scariche atmosferiche (es. scuole, industrie ad alto rischio d’incendio).

DISPOSITIVI DI SICUREZZA DEGLI IMPIANTI DI DISTRIBUZIONE E DEGLI UTILIZZATORI DI SOSTANZE INFIAMMABILI

Al fine di prevenire un incendio gli impianti di distribuzione di sostanze infiammabili vengono dotati di dispositivi di sicurezza di vario genere ad esempio: termostati; pressostati; interruttori di massimo livello, termocoppie per il controllo di

16 Attività ceraunica: media matematica (probabilistica) che esprime la quantità dei fulmini che cadono a terra.

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bruciatori, dispositivi di allarme, sistemi di saturazione17, sistemi di inertizzazione18, etc.

VENTILAZIONE DEI LOCALI Vista sotto l'aspetto preventivo, la ventilazione naturale o artificiale di un

ambiente, dove possono accumularsi gas o vapori infiammabili, evita che in tale ambiente possano verificarsi concentrazioni al di sopra del limite inferiore del campo d'infiammabilità.

Naturalmente nel dimensionare e posizionare le aperture o gli impianti di ventilazione é necessario tenere conto sia della quantità che della densità dei gas o vapori infiammabili che possono essere presenti.

IMPIEGO DI STRUTTURE E MATERIALI INCOMBUSTIBILI Quanto più é ridotta la quantità di strutture o materiali combustibili presente in

un ambiente tanto minori sono le probabilità che possa verificarsi un incendio. Pertanto potendo scegliere tra l'uso di diversi materiali sicuramente dovrà essere

data la preferenza a quelli che, pur garantendo analoghi risultati dal punto di vista della funzionalità e del processo produttivo, presentino caratteristiche di incombustibilitá.

ADOZIONE DI PAVIMENTI ED ATTREZZI ANTISCINTILLA Tali provvedimenti risultano di adozione indispensabile qualora negli ambienti

di lavoro venga prevista la presenza di gas, polveri o vapori infiammabili.

VVeerriiffiicchhee ee mmaannuutteennzziioonnee ssuu pprreessiiddii aannttiinncceennddiioo Per effettuare la manutenzione (suddivisa in ordinaria e straordinaria) occorrono

sorveglianza e controlli periodici. Devono essere ogget to di regolari verifiche: t gli impianti per l'estinzione degli incendi;

17 Sistemi di saturazione: esempio di applicazione è quello presente nei serbatoi di benzina installati negli impianti stradali di distribuzione carburanti, nei quali l'aria che entra al momento dell'erogazione del prodotto viene introdotta dal fondo del serbatoio e fatta gorgogliare attraverso il liquido così da saturarsi di vapori di benzina. 18 Sistemi di inertizzazione: consiste nell'introdurre al di sopra del pelo libero del liquido infiammabile, anziché aria, un gas inerte (ad es. azoto) così da impedire del tutto la formazione di miscele infiammabili vapori-aria.

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t gli impianti per la rilevazione e l'allarme in caso di incendio; t gli impianti elettrici; t gli impianti di distribuzione ed utilizzo gas; t gli impianti a rischio specifico (montacarichi , centrali termiche , cucine); t etc. In particolare, manutenzione sorveglianza e controlli periodici su tutti gli

impianti e le misure antincendio previste: t per garantire il sicuro utilizzo delle vie di uscita; t relative alla illuminazione di sicurezza; t per l'estinzione degli incendi; t per la rivelazione e l'allarme in caso di incendio; t devono essere mantenute in efficienza ed essere oggetto di regolari verifiche

circa la loro funzionalità. Il datore di lavoro è responsabile del mantenimento delle condizioni di

efficienza delle attrezzature ed impianti in genere , ed in particolare di quelli di protezione antincendio . Il datore di lavoro deve programmare ed attuare la sorveglianza, il controllo e la manutenzione ordinaria e straordinaria in conformità a quanto previsto dalle disposizioni legislative e dai regolamentari vigenti, ed individuare gli addetti alla manutenzione.

Scopo dell'attività di controllo e manutenzione deve essere quello di rilevare e rimuovere qualunque causa, deficienza, danno od impedimento che possa pregiudicare il corretto funzionamento ed uso di apparecchiature o dei presidi antincendio.

L'attività di controllo periodica e la manutenzione deve essere eseguita da personale competente e qualificato e devono essere segnalate nell’apposito registro antincendi.

Gli inconvenienti riscontrati durante l’attività di controllo periodica e la manutenzione ordinaria vanno registrati e comunicati ai responsabili.

I lavoratori devono segnalare agli addetti alla squadra antincendio ogni situazione di potenziale pericolo di cui vengano a conoscenza.

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CONTROLLI DI SICUREZZA DA EFFETTUARE PERIODICAMENTE (esempi)

1 Tutte quelle parti del luogo di lavoro destinate alle vie d’uscita quali passaggi, corridoi, scale, devono essere controllate periodicamente per assicurare che siamo libere da ostruzioni e da pericoli

2 Tutte le porte sulle vie d’uscita devono essere regolarmente controllate per assicurare che si aprano facilmente

3 Tutte le porte resistenti al fuoco devono essere regolarmente controllate per assicurarsi che non sussistano danneggiamenti e che chiudano regolarmente

4 Le apparecchiature elettriche che non devono restare in servizio vanno messe fuori tensione

5 Tutte le fiamme libere devono essere spente o lasciate in condizioni di sicurezza 6 Tutti i rifiuti e gli scarti combustibili devono essere rimossi 7 Tutti i materiali infiammabili devono essere depositati in luoghi sicuri 8 Il luogo di lavoro deve essere assicurato contro gli accessi incontrollati 9 Etc….

IInnffoorrmmaazziioonnee ee ffoorrmmaazziioonnee aannttiinncceennddiioo Dalle informazioni recepite nei paragrafi precedenti è evidente come molti

incendi possono essere prevenuti richiamando l'attenzione del personale sulle cause e sui pericoli di incendio più comuni. Questo può essere realizzato solo attraverso una idonea INFORMAZIONE e FORMAZIONE ANTINCENDI.

E' di fondamentale importanza che i lavoratori conoscano come prevenire un incendio e le azioni da attuare a seguito di un incendio.

E' obbligo, ai sensi del D.Lgs. 81/08 e D.M. 10.03.98, del datore di lavoro fornire al personale una adeguata informazione e formazione riguardo a:

t rischi di incendio legati all’attività svolta nell’impresa ed alle specifiche mansioni svolte;

t misure di prevenzione e di protezione incendi adottate in azienda con particolare riferimento a:

• ubicazione dei presidi antincendi; • ubicazione delle vie d’uscita; • modalità di apertura delle porte delle uscite; • l’importanza di tenere chiuse le porte resistenti al fuoco;

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• i motivi per cui non devono essere utilizzati gli ascensori per l’evacuazione in caso d’incendio;

• etc…..; t procedure da adottare in caso d’incendio ed in particolare:

• azioni da attuare quando si scopre un incendio; • come azionare un allarme; • azioni da attuare quando si sente un allarme; • procedure di evacuazione fino al punto di raccolta in luogo sicuro; • modalità di chiamata dei vigili del fuoco;

t i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendi e gestione delle emergenze e pronto soccorso;

t il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’azienda.

Adeguate informazioni devono essere fornite agli addetti alla manutenzione e agli appaltatori per garantire che essi siano a conoscenza delle misure generali di sicurezza antincendio nel luogo di lavoro, delle azioni da adottare in caso di incendio e le procedure di evacuazione.

L'informazione deve essere basata sulla valutazione dei rischi. Tale formazione deve essere estesa a tutti i lavoratori, anche in caso di prima assunzione. Tale formazione deve essere aggiornata nel caso si verifichi un sostanziale mutamento del luogo di lavoro che comporti una variazione dei rischi d’incendio.

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PPRRIINNCCIIPPAALLII MMIISSUURREE DDII PPRROOTTEEZZIIOONNEE AANNTTIINNCCEENNDDIIOO A questo punto è bene chiarire la differenza tra prevenzione e protezione sia in

senso teorico che pratico. L'attuazione di tutte le misure per ridurre il rischio mediante la riduzione della

sola frequenza viene comunemente chiamata “prevenzione”, mentre l'attuazione di tutte le misure tese alla riduzione della sola magnitudo viene, invece, chiamata “protezione” o per meglio dire: la protezione antincendio consiste nell’insieme delle misure finalizzate alla riduzione dei danni conseguenti al verificarsi di un incendio, agendo sulla Magnitudo dell’evento incendio.

Gli interventi si suddividono in misure di protezione attiva o passiva in relazione alla necessità o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto.

Ovviamente le azioni Preventive e Protettive non devono essere considerate alternative ma complementari tra loro nel senso che, concorrendo al medesimo fine, devono essere entrambe intraprese al fine di ottenere risultati ottimali.

Nella tabella successiva viene rappresentato graficamente il controllo e la gestione del rischio.

Elevata Medio alta

Rischio inaccettabile Intervento immediato

Medio bassa PROBABILITA’

Bassa Trascurabile Modesta Notevole Ingente PROTEZIONE

ç ê

PREVENZIONE MAGNITUDO

LLAA PPRROOTTEEZZIIOONNEE

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CCAARRIICCOO DD’’IINNCCEENNDDIIOO EE CCUURRVVAA DDII TTEEMMPPEERRAATTUURRAA

CARICO D’INCENDIO Definizione: quantità di legno equivalente ripartita per la superficie del locale

espressa in m2 che si ottiene dividendo per il potere calorifico superiore del legno (4400Cal/Kg) tutto il calore generabile all’interno del locale considerato attraverso una combustione completa di tutti i materiali contenuti e suscettibili di bruciare. (vedi circ. 91/61).

Per ottenere un parametro di riferimento sull’energia che può liberarsi da un incendio si riduce il potenziale di tutte le sostanze combustibili all’equivalente in peso di legna.

Ovvero: si sommano tutte le calorie date dagli elementi infiammabili o combustibili presenti nell’ambiente in esame; queste calorie devono essere rapportate al potere calorifico del legno e successivamente suddivise per i m2 dell’ambiente stesso. Il risultato finale servirà da parametro riferimento per la valutazione della capacità d’incendio.

Esplicitando il concetto, il carico di incendio corrisponde al quantitativo di legna per ogni metro quadro che, sostituito a tutto il materiale combustibile presente nell’area in esame, è in grado di generare, bruciando, la stessa quantità di calore. Ciò permette di paragonare aree diverse indipendentemente dalla tipologia dei materiali giacenti.

ESPRESSIONE ALGEBRICA DI CARICO D’INCENDIO:

A

Hgq

n

iii

44001

∑==

Il segno Σ significa sommatoria di tutti gli elementi infiammabili/combustibili

presenti nell’ambiente oggetto della valutazione; q = carico di incendio in kg legna m2

; gi= peso in kg del generico fra gli n combustibili presenti;

H = potere calorifico in Cal/kg del generico tra gli n combustibili presenti; A= superficie orizzontale in m2 della zona in esame;

4.400= potere calorifico superiore del legno in Cal/kg; giHi= che variano da 1 agli n elementi diversi dei materiali presenti;

(per esempio: supponiamo che un vano di 100 m2 siano presenti 350 kg di cacao, 250 kg di cartone e 500 Kg di olio di oliva e supponiamo che i poteri

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calorifici di questi 3 elementi siano rispettivamente 1000, 2000, 3000. Si avrà che il calcolo della Σ è pari a 2.350.000 cal che diviso per la superficie di 100 m2 e successivamente per il potere calorifico del legno (4.400) da un risultato con valore pari a 5,34.

Si dirà che il locale esaminato ha un carico di incendio di 5,34 Kg di legna standard al m2 ossia il potenziale di incendio è equivalente, nei confronti della emissione del calore, al deposito di un quantitativo di legna come quello ricavato dal calcolo. Ciò non vuol dire che l’incendio avrebbe le stesse caratteristiche, ma vuole affermare che la produzione di calore, a combustione completa di tutto il contenuto del locale, sarebbe analoga bruciando sia 350 kg di cacao, 250 kg di cartone e 500 kg di olio di oliva, sia un deposito di legna equivalente a 5,34 kg m2).

MATERIALE POTERE CALORIFICO SUPERIORE IN Cal/Kg Tessuti in cotone 4000

Carta 4000 Paglia 3700

Legname secco - essenze forti - essenze deboli

3700÷4000 2800÷3000

Carbone fossile (antracite) 7500÷8000 Olio da forni 10200÷11000

Nafta da motori 11000 Benzina 11300

CURVA DI TEMPERATURA

Con questa curva si individua la relazione che intercorre nello sviluppo di un incendio tra la temperatura ed il tempo. Relazione determinante ai fini della valutazione della resistenza di una struttura che sarà sollecitata, da un punto di vista termico, solo dall’incremento della temperatura.

Per contro lo sviluppo di un incendio dipende, per quanto concerne l’innalzamento della temperatura, dal tipo di reazione che fornisce il materiale combustibile in causa. Se la reazione è fortemente divergente (nel senso che il materiale è fortemente infiammabile) e l’apporto di O2 è garantito, si avranno incrementi di temperatura rapidissimi in tempi brevi, e quindi si può affermare che l’incremento termico dipende direttamente dalla infiammabilità del materiale, oltre

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che al proprio potere calorifico. La necessità della curva standard deriva proprio per definire in modo univoco la resistenza al fuoco di un materiale fissando i parametri della sollecitazione in relazione al tempo di esposizione.

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MMIISSUURREE DDII PPRROOTTEEZZIIOONNEE PPAASSSSIIVVAA EE AATTTTIIVVAA

LA PROTEZIONE PASSIVA L’insieme delle misure di protezione che non richiedono l’azione dell’uomo o

l’azionamento di un impianto e sono quelle che hanno come obiettivo la limitazione degli effetti dell’incendio nello spazio e nel tempo o meglio:

t garantire l’incolumità dei lavoratori; t limitare gli effetti nocivi dei prodotti della combustione; t contenere i danni a strutture, macchinari e beni. Questi fini possono essere perseguiti con: t distanze di sicurezza esterne ed interne; t strutture aventi caratteristiche di resistenza al fuoco commisurate ai carichi

d’incendio; t barriere antincendio; t schermi, muri e porte tagliafuoco, etc…; t materiali classificati per la reazione al fuoco; t vie d’esodo (commisurate al massimo affollamento ipotizzabile dell’ambiente

di lavoro e alla pericolosità delle lavorazioni); t sistemi di ventilazione;

LA PROTEZIONE ATTIVA

L’insieme delle misure di protezione che richiedono l’azione dell’uomo o l’azionamento di un impianto e finalizzate alla precoce ri levazione e segnalazione dell’incendio, e all’azione di spegnimento dello stesso mediante:

t estintori; t rete idrica antincendio; t impianti di rivelazione automatica d’incendio; t impianti di spegnimento automatici; t dispositivi di segnalazione e d’allarme; t evacuatori di fumo e calore.

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PPRROOTTEEZZIIOONNEE PPAASSSSIIVVAA

DISTANZE DI SICUREZZA La protezione passiva realizzata con il metodo delle barriere antincendio è

basata sul concetto dell’interposizione, tra aree potenzialmente soggette ad incendio, di spazi scoperti o di strutture che hanno lo scopo di impedire la propagazione dell’incendio principalmente per trasmissione di energia termica raggiante. Nella terminologia utilizzata per la stesura delle normative nazionali ed internazionali per indicare l’interposizione di spazi scoperti fra gli edifici o installazioni, si usa il termine di “distanze di sicurezza”.

Le distanze di sicurezza si distinguono in distanze di sicurezza interne ed esterne a seconda che siano finalizzate a proteggere elementi appartenenti ad uno stesso complesso o esterni al complesso stesso.

Altro tipo di distanza di sicurezza è la “distanza di protezione” definita come la distanza misurata orizzontalmente tra il perimetro in pianta di ciascun elemento pericoloso di una attività e la recinzione (ove prescritta) ovvero il confine dell’area su cui sorge l’attività stessa.

La determinazione delle distanze di sicurezza in via teorica è basata sulle determinazioni dell’energia termica irraggiata dalle fiamme di un incendio.

Compartimentare una struttura ricorrendo alla sola adozione di distanze di sicurezza comporta l’utilizzo di grandi spazi che dovranno essere lasciati vuoti è poco conveniente da un punto di vista economico.

Pertanto la protezione passiva si realizza anche mediante la realizzazione di elementi si separazione strutturale del tipo “tagliafuoco”.

RESISTENZA AL FUOCO E COMPARTIMENTAZIONE Viene definita come la capacità di una struttura (porta, solaio, parete, ecc.) a

resistere alla sollecitazione termica, secondo lo sviluppo della curva standard, per un periodo di tempo definito. Nella prassi sono classificati periodi di 15, 30, 45, 60, 90, 120, e 180 (minuti primi). Questa si esprime secondo tre parametri “R”, “E”, ed “I”.

La determinazione della resistenza al fuoco delle strutture si effettua generalmente mediante un metodo di calcolo globale che si basa sulla relazione tra la durata presumibile dell’incendio e il carico d’incendio che caratterizza il compartimento in esame, facendo inoltre riferimento ad un incendio con una curva standard temperatura-tempo di regola piuttosto severa rispetto alle possibili condizioni reali.

Più specificatamente la resistenza al fuoco può definirsi come l’attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare:

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rappresenta la stabilità ossia l’attitudine a mantenere le proprie capacità meccaniche sotto l’azione termica di uno sviluppo di incendio conforme alla curva standard e per il tempo in minuti dichiarato;

rappresenta la tenuta ed indica la capacità dell’elemento strutturale di impedire, ed al tempo stesso non produrre, il passaggio di fiamme, vapori e gas caldi oltre il lato non esposto all’incendio per un tempo non

superiore all’indicazione in minuti.

rappresenta l’isolamento termico e definisce poi la prerogativa di impedire, nel non superiore alla indicazione in minuti primi, il passaggio di calore anche sotto forma di irraggiamento; questo parametro rappresenta

l’innalzamento della temperatura della faccia non esposta. Si potranno così avere definizioni della resistenza R, oppure RE, ed ancora, più

completamente REI: t con il simbolo REI si identifica un elemento costruttivo che deve conservare,

per un determinato tempo, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico; t con il simbolo RE si identifica un elemento costruttivo che deve conservare,

per un determinato tempo, la stabilità e la tenuta; t con il simbolo R si identifica un elemento costruttivo che deve conservare,

per un determinato tempo, la stabilità. (Come esempio, una porta classificata REI 120 avrà la capacità di raggiungere nella propria faccia interna -quella esposta all’ incendio standard- la temperatura di 1 055°C ± 8% senza subire cedimenti meccanici, senza permettere il passaggio di gas e/o vapori caldi dalla faccia non esposta e senza subire, sempre nella faccia non esposta, incrementi di temperatura oltre i 100°C.)

BARRIERE ANTINCENDIO Le barriere antincendio, realizzate mediante interposizione di elementi

strutturali, hanno la funzione di impedire la propagazione degli incendi sia lineare che tridimensionale nell’interno di un edificio, nonché, in alcuni casi, quella di consentire la riduzione delle distanze di sicurezza.

R

E

I

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MATERIALE Spessore minimo in cm escluso

l’intonaco Resistenza a fuoco in minuti primi 15 30 45 60 90 120 180

Laterizi pieni con intonaco normale 6 13 13 13 26 26 26 Laterizi pieni con intonaco isolante 6 6 6 13 13 26 26 Laterizi forati con intonaco normale 6 10 10 20 30 30 30 Laterizi forati con intonaco isolante 6 6 6 10 10 14 20 Calcestruzzo normale 8 8 10 10 10 12 16 Calcestruzzo leggero (con isolante tipo pomice, perdite, scorie o simili)

8 8 8 8 8 10 10

MURI E PORTE TAGLIAFUOCO

Per una completa ed efficace compartimentazione i muri tagliafuoco non dovrebbero avere aperture ma, in un ambiente di lavoro è necessario assicurare un’agevole comunicazione tra tutti gli ambienti lavorativi anche se destinati a diverso uso. Pertanto è inevitabile realizzare le comunicazioni e dotarle di elementi di chiusura aventi le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco del muro su cui sono applicati.

Tali elementi di chiusura si possono distinguere in:

t porte incernierate: munite di sistemi di chiusura automatica quali fusibili, cavetti e contrappesi o sistemi idraulici o a molla, che in caso d’incendio fanno chiudere il serramento;

t porte scorrevoli: normalmente stanno in posizione aperta trattenute da un contrappeso e da un cavo in cui è inserito un fusibile che in caso d’incendio si fonde liberando il contrappeso e permettendo alla porta di chiudersi;

t porte a ghigliottina: porte installate secondo un principio analogo a quello delle scorrevoli, ma con la differenza che in questo caso il pannello viene mantenuto sospeso sopra l’apertura e le guide sono verticali.

MATERIALI CLASSIFICATI PER LA REAZIONE AL FUOCO

La reazione al fuoco di un materiale rappresenta il comportamento al fuoco del medesimo materiale che per effetto della sua decomposizione alimenta il fuoco al quale è esposto, partecipando così all’incendio.

La reazione al fuoco assume particolare rilevanza nelle costruzioni, per la caratterizzazione dei materiali di rifinitura e rivestimento, delle pannellature, dei

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controsoffitti, delle decorazioni e simili, e si estende anche agli articoli di arredamento, ai tendaggi e ai tessuti in genere. Per la determinazione della reazione al fuoco di un materiale non sono proponibili metodi di calcolo e modelli matematici, essa viene effettuata su basi sperimentali, mediante prove su campioni in laboratorio. In relazione a tali prove, ai materiali sono assegnati classi che vanno da 0 a 5. Con l’aumentare della numerazione, aumenta la loro partecipazione alla combustione (a partire da quelli di classe 0 che risultano non combustibili).

Specifiche norme di prevenzione incendi prescrivono per alcuni ambienti in funzione della loro destinazione d’uso e del livello del rischio d’incendio l’uso di materiali aventi una determinata classe di reazione al fuoco.

Il Centro Studi ed Esperienze del Ministero dell’Interno ed altri laboratori privati legalmente riconosciuti dal Ministero stesso, rilasciano a seguito di prove sperimentali un certificato di prova, nel quale si certifica la classe di reazione al fuoco del campione di materiale sottoposto ad esame.

La reazione al fuoco di un materiale può essere migliorata mediante specifico trattamento di ignifugazione19, da realizzarsi con apposite vernici o altri rivestimenti, che ne ritardano le condizioni favorevoli all’innesco dell’incendio, riducendo inoltre la velocità di propagazione della fiamma e i fenomeni di post-combustione.

________________________ P.S.

Per quanto attiene al trattamento delle strutture, è ormai alquanto noto che alcuni particolari rivestimenti tra i quali vernici intumescenti, conseguono una vera e propria azione protettiva delle strutture sulle quali sono applicate, realizzando un grado di resistenza al fuoco determinato sperimentalmente. Prerogativa essenziale di questi elementi protettivi è di essere ininfiammabili, di possedere capacità isolanti al calore, nonché la particolarità di rigonfiarsi schiumando, generando così uno strato coibente ed isolante, quando sono investite dalla fiamma o da una sorgente di calore ad alta temperatura.

VIE D’ESODO (SISTEMI DI VIE D’USCITA) L’incolumità delle persone rimane l’obiettivo primario di ogni attività che ne

comporti la permanenza in luoghi chiusi o comunque definiti e circoscritti. Molte possono essere le ragioni del pericolo che vanno oltre l’incendio stesso. Il valore illimitato della vita impone così la necessità di considerare la fuga come un atto di civiltà. 19 Ignifugazione à ignifugo: si dice di una sostanza inattaccabile dal fuoco, in particolare di quelle usate nei trattamenti di ignifugazione. Quindi l’ignifugazione è il trattamento con sostanze ignifughe al quale si sottopone un materiale combustibile per renderlo incombustibile.

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Le porte di uscita debbono avere una larghezza sufficiente a garantire il passaggio di quanti si trovano normalmente in uno stesso ambiente di lavoro. La norma stessa si preoccupa di garantire la certezza dell’esodo da luoghi che comunque possano costituire in un ipotetico evento di crisi e rischio per l’integrità fisica delle persone presenti. Si stabilisce pertanto il principio che le porte dei locali debbono per numero, dimensioni, posizione, e materiale di realizzazione, consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili durante il lavoro (D.L. 81/08 All IV 1.6 –porte e portoni -).

Normalmente le porte d’uscita debbono corrispondere a condizioni minime di percorribilità che si esprimono con la larghezza e con la direzione di apertura.

Il problema dell’esodo delle persone minacciate da un incendio è di capitale importanza, e comporta soluzioni tecniche irrinunciabili. Gli elementi fondamentali nella progettazione del sistema di vie d’uscita si possono fissare in:

t dimensionamento e geometria delle vie d’uscita; t sistemi di protezione attiva e passiva delle vie d’uscita; t sistemi di identificazione continua delle vie d’uscita; t segnaletica, illuminazione ordinaria e di sicurezza.

VIE D’ESODO

CARATTERISTICHE- Nello stabilire se le vie di esodo sono adeguate, devono essere seguiti i seguenti criteri:

a. normalmente devono essere disponibili almeno due vie di esodo alternative da ogni parte di un luogo di lavoro, ad eccezione dei piccoli luoghi di lavoro o da locali a rischio di incendio normale o basso;

b. ciascuna via di uscita deve essere indipendente dalle altre e distribuite in modo che le persone possano ordinatamente allontanarsi da un incendio;

c. dove è prevista più di una via di uscita, la lunghezza del percorso per raggiungere la più vicina uscita di piano non dovrebbe essere superiore ai valori seguenti: §§§ max. 25 metri (tempo di evacuazione 1 minuto) per aree ad alto rischio

di incendio; §§§ max. 45 metri (tempo di evacuazione 3 minuti) per aree a rischio

normale di incendio; §§§ max. 60 metri (tempo di evacuazione 5 minuti) per aree a rischio basso

di incendio; d. le vie di esodo devono sempre condurre ad un luogo sicuro; e. percorsi di esodo in un’unica direzione devono essere evitati per quanto

possibile e

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f. dove non possono essere evitati, la distanza da percorrere fino ad una uscita di piano o fino al punto dove inizia la disponibilità di due o più vie di esodo, non dovrebbe eccedere a: §§§ max. 15 met ri per aree a rischio elevato; §§§ max. 30 met ri per aree a rischio normale; §§§ max. 45 metri per aree a rischio basso;

g. quando una via di esodo comprende una porzione del percorso unidirezionale, la lunghezza totale del percorso non potrà superare i limiti imposti alla lettera c);

h. le vie di esodo devono essere di larghezza sufficiente in relazione al numero degli occupanti e tale larghezza va misurata nel punto più stretto del percorso;

i. ci deve essere la disponibilità di un numero sufficiente di uscite di adeguata larghezza da ogni locale, piano o edificio;

j. le scale devono normalmente essere protette tramite gabbie resistenti al fuoco e porte resistenti al fuoco munite di autochiusura, ad eccezione dei piccoli luoghi di lavoro a basso rischio di incendio, quando la distanza da un qualsiasi punto di un piano fino all’uscita al luogo sicuro non superi i 60 metri (45 metri se c’è una sola uscita);

k. le vie di esodo e le uscite devono essere disponibili per l’uso e tenute libere da ostruzioni in ogni momento;

l. ogni porta sul percorso di esodo deve poter essere aperta facilmente ed immediatamente dalle persone in esodo senza l’uso di chiavi.

SCELTA DELLA LUNGHEZZA DEI PERCORSI- Nella scelta della lunghezza dei

percorsi occorre attestarsi verso livelli di rischio bassi, quando il luogo di lavoro è: t frequentato da pubblico; t utilizzato prevalentemente da bambini o da persone che necessitano di

particolare emergenza in caso di emergenza; t utilizzato per dormire o dove le persone sono confinate a letto; t un’area dove sono depositati o manipolati esplosivi o materiali altamente

infiammabili.

NUMERO E LARGHEZZA DELLE USCITE DI PIANO- In molte situazioni e da ritenersi sufficiente disporre di una sola uscita a servizio del piano. Eccezioni sussistono quando:

t l’affollamento del piano e superiore a 50 persone;

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t nell’ area interessata sussistono pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e pertanto indipendentemente dalle dimensioni dell’area o dal numero di persone presenti, occorre disporre di almeno due uscite.

Per i luoghi a rischio di incendio normale o basso, la larghezza complessiva delle uscite di piano dovrà essere non inferiore a 0,80 metri (con tolleranza del 2%) e va conteggiata pari ad un modulo unitario di passaggio e pertanto sufficiente all’esodo di 50 persone.

La larghezza minima di una uscita va incrementata a 0,90 metri quando deve essere utilizzata da persone disabili su sedie a rotelle ed a 1,20 metri quando deve essere utilizzata per il transito di letti con persone degenti.

Fino a 25 lavoratori

1 uscita da 0,90m

Tra 26 e 50 lavoratori

1 uscita da 1,20m

Tra 51 e 100

lavoratori

1 uscita da 0,90m 1 uscita da 1,20m LUOGHI DI LAVORO IN

GENERE

Con + di 100

lavoratori

1 uscita da 0,90m 1 uscita da 1,20m

1 uscita da 1,20m\per ogni 50 lavoratori o frazione compresa tra 10 e

50, da calcolarsi limitatamente all’eccedenza rispetto a 100

LUOGHI DI LAVORO CON PERICOLO DI

ESPLOSIONE E INCENDIO

con + di 5 lavoratori

1 uscita da 1,20m ogni 5 lavoratori

Tolleranza ammessa = 5% in meno. Limitatamente ai luoghi di lavoro che non presentano pericolo di esplosione o

d’incendio il n. delle uscite può essere minore purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore a quanto prescritto.

NUMERO E LARGHEZZA DELLE SCALE (SCALE= VIE D’USCITE ALTERNATIVE)-

Possono essere serviti da una sola scala gli edifici, di altezza antincendi non superiore a 24 metri, adibiti a luoghi di lavoro con rischio di incendio basso o normale, e dove ogni singolo piano può essere servito da una sola uscita. Per tutti gli edifici che non ricadono nella situazione precedente, devono essere disponibili due o più scale.

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LARGHEZZA DELLE SCALE- Va calcolata in relazione all’affollamento previsto in

due piani contigui con riferimento a quelli aventi maggior affollamento.

PORTE D’ESODO Le porte installate lungo le vie

d’uscita ed in corrispondenza delle uscite di piano, devono aprirsi nel verso dell’esodo. L’apertura nel verso dell’esodo non è richiesta quando possa determinare pericoli per il passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l’adozione di accorgimenti atti a garantire condizioni di sicurezza equivalente. In ogni caso l’apertura nel verso dell’esodo è

obbligatoria quando: t l’area servita ha un affollamento superiore a 50 persone; t la porta è situata al piede o vicino al piede di una scala; t la porta serve a un’area ad elevato rischio di incendio. Tutte le porte resistenti al fuoco devono essere munite di dispositivo di

autochiusura. Le porte in corrispondenza di locali adibiti a depositi possono essere non dotate di dispositivo di autochiusura, purché siano tenute chiuse a chiave. L’utilizzo di porte resistenti al fuoco installate lungo le vie d’uscita e dotate di dispositivo di autochiusura, possono in alcune situazioni determinare difficoltà sia per i lavoratori che per altre persone che normalmente devono circolare lungo questi percorsi.

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SISTEMI DI APERTURA DELLE PORTE- Le porte in corrispondenza delle uscite di piano e quelle da utilizzare lungo le vie d’esodo non devono essere chiuse a chiave. Nel caso siano previsti accorgimenti antintrusione, possono essere facilmente ed all'istante aperte dall’interno senza l’uso di chiavi.

Tutte le porte delle uscite che devono essere tenute chiuse durante l’orario di lavoro, e per le quali è obbligatoria l’apertura nel verso dell’esodo, devono aprirsi con una semplice spinta dall’interno.

Nel caso siano adottati procedimenti antintrusione si possono prevedere idonei e sicuri sistemi di apertura delle porte alternativi. In tale circostanza tutti i lavoratori devono essere a conoscenza del particolare sistema di apertura ed essere capaci di utilizzarlo in caso di emergenza.

INDICAZIONI SULLE PORTE- t Le porte dotate di sistema di apertura a spinta con barra orizzontale di

comando, devono essere contrassegnate al di sopra del dispositivo di apertura con la scritta “premere la barra per aprire”;

t le porte resistenti al fuoco dotate di dispositivo di autochiusura dovrebbero essere contrassegnate da ambo i lati con la scritta “porta antincendio – tenere chiusa” ad altezza degli occhi;

t le porte resistenti al fuoco che sono tenute normalmente aperte tramite dispositivi automatici di rilascio, devono essere contrassegnate con la scritta “porta antincendio a chiusura automatica – non ingombrare”;

t le porte delle uscite di piano, qualora sussista il pericolo che vengano ostruite, devono essere contrassegnate con la scritta “uscita di emergenza – non ingombrare”;

t le porte resistenti al fuoco installate in corrispondenza di depositi e sprovviste di dispositivi di autochiusura, devono essere contrassegnate con la scritta “porta antincendio – tenere chiusa a chiave”.

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SEGNALETICA INDICANTE LE VIE D’USCITA- Le vie d’uscita e le uscite di piano devono essere chiaramente indicate tramite segnaletica20 conforme alla vigente normativa.

Tutte le vie d’uscita, inclusi anche i percorsi esterni, devono essere adeguatamente illuminati per consentire la loro percorribilità in sicurezza fino all’uscita su un luogo sicuro.

Dovranno pertanto essere illuminate le indicazioni delle porte e delle uscite di sicurezza, i segnali indicanti le vie di esodo, i corridoi e tutte quelle parti cui è necessario percorrere.

E’ opportuno, per quanto possibile, che le lampade ed i segnali luminosi dell’impianto luci di sicurezza non siano posizionati in alto (la presenza di fumo ne potrebbe ridurre la visibilità in maniera drastica sin dai primi momenti).

DIVIETI DA OSSERVARE LUNGO LE VIE D’ESODO- Nelle vie d’esodo occorre il

divieto di una serie di installazioni al fine di evitare potenziali pericoli di incendio e ostruzione lungo le vie stesse.

In seguito si elencano esempi di installazioni da vietare lungo le vie d’esodo, ed in particolare lungo i corridoi e le scale:

t apparecchi di riscaldamento portatili di ogni tipo; t apparecchi di riscaldamento a fiamma libera o a tubi radianti; t apparecchi di riscaldamento fissi alimentati a gas o a liquido combustibile; t apparecchi da cottura;

20 Segnaletica di sicurezza: per consultare la segnaletica di sicurezza vai al capitolo 2.4.

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t deposito di arredi e depositi temporanei di mobilio, letti, panni sporchi; t appendiabiti; t sistema di illuminazione a fiamma libera; t macchine di vendite e giuochi, fotocopiatrici; t apparecchiature elettriche, esclusa illuminazione normale, di emergenza e

gli impianti di allarme.

SSiisstteemmii ddii vveennttiillaazziioonnee Gli impianti di ventilazione in

sovrappressione sono dispositivi fissi, che in caso di incendio impediscono al fumo e al calore di invadere le vie di fuga e di soccorso.

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MMIISSUURREE DDII PPRROOTTEEZZIIOONNEE AATTTTIIVVAA –– AAttttrreezzzzaattuurree eedd iimmppiiaannttii ddii eessttiinnzziioonnee ddeeggllii iinncceennddii

Sono: t Estintori t Rete idrica antincendio t Impianti di spegnimento automatici t Impianti di rivelazione automatica d’incendio e rivelatori d’incendio t Dispositivi di segnalazione e d’allarme t Evacuatori di fumo e calore

EEssttiinnttoorrii Gli estintori sono in molti casi i mezzi di primo intervento più impiegati per

spegnere i principi di incendio e oltre a diversificarsi per tipo e qualità estinguente sono caratterizzati da diverse taglie dimensionali.

Vengono suddivisi in: t estintori portatili t estintori carrellati

GLI ESTINTORI PORTATILI

Sono concepiti per essere utilizzati a mano, variano da un contenuto minimo di 1 Kg di estinguente a 12 Kg. Per maggiori prestazioni vengono realizzate apparecchiature, poste su ruote capaci di 25, 50 e 100 Kg. Vengono classificati in base alla loro capacità estinguente. Infatti sono sperimentati su fuochi di diversa natura classificati in base al tipo di combustibile:

t Classe “A” fuochi di solidi con formazione di brace t Classe “B” fuochi di liquidi infiammabili t Classe “C” fuochi di gas infiammabile t Classe “D” fuochi di metalli La scelta dell’estintore va fatta in base al tipo di incendio

ipotizzabile nel locale da proteggere. Su ciascun estintore sono indicate le classi dei fuochi ed i focolai convenzionali che è in

grado di estinguere (esempio: 21A 89BC). Per norma devono essere di colore rosso e riportate una etichetta con le istruzioni e le condizioni di utilizzo.

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Efficacia ed efficienza degli estintori. Perché l’estintore si dimostri efficace è anche necessario porre attenzione alle modalità di impiego. La quantità di agente estinguente contenuta è limitata. Occorre che il massimo del contenuto, sia indirizzato al cuore della combustione senza realizzare quelle azioni meccaniche pericolose nello svolgimento dell’azione.

Il getto di estinguente va indirizzato verso il focolaio ponendosi ad una distanza di erogazione tale che l’effetto dinamico della scarica trascini la direzione delle fiamme tagliando l’afflusso dell’ossigeno. Nel caso di combustione di liquidi occorre peraltro fare molta attenzione a non colpire direttamente e violentemente il pelo libero per il possibile sconvolgimento e spargimento del combustibile incendiato oltre i bordi del contenitore. Se tale situazione venisse creata otterremmo l’estensione dell’incendio anziché la restrizione.

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H2O

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2

1 Apparecchiature elettriche ● ● ● ● ● ● ● ● ● 2 Archivi ● ● ● ● ● ● ● ● ● 3 Autorimesse ● ● ● ● ● ● ● ● ● 4 Benzina ● ● ● ● ● ● ● ● ● 5 Biblioteche ● ● ● ● ● ● ● ● ● 6 Depositi di alcool ● ● ● ● ● ● ● ● ● 7 Farine prod. e deposito ● ● ● ● ● ● ● ● ● 8 Forni alimentari ● ● ● ● ● ● ● ● ● 9 Forni industriali ● ● ● ● ● ● ● ● ● 10 GPL deposito ● ● ● ● ● ● ● ● ● 11 GPL distribuzione ● ● ● ● ● ● ● ● ● 12 Gasolio ● ● ● ● ● ● ● ● ● 13 Legna e carbone ● ● ● ● ● ● ● ● ● 14 Magnesio e metalli comb. ● ● ● ● ● ● ● ● ● 15 Metalli aeronautici ● ● ● ● ● ● ● ● ● 16 Metano ● ● ● ● ● ● ● ● ● 17 Motori elettrici ● ● ● ● ● ● ● ● ● 18 Motori endotermici ● ● ● ● ● ● ● ● ● 19 Munizionamento armi ● ● ● ● ● ● ● ● ● 20 Musei ● ● ● ● ● ● ● ● ● 21 Olii lubrificanti ● ● ● ● ● ● ● ● ● 22 Pneumatici ● ● ● ● ● ● ● ● ● 23 Resine sintetiche ● ● ● ● ● ● ● ● ● 24 Ricarica batterie ● ● ● ● ● ● ● ● ● 25 Tessuti ● ● ● ● ● ● ● ● ● 26 Tipografie ● ● ● ● ● ● ● ● ● 27 Vernici e solventi ● ● ● ● ● ● ● ● ● 28 Zucchero prod. e deposito ● ● ● ● ● ● ● ● ●

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Nel caso dei combustibili solidi il comportamento sarà diverso non sussistendo la possibilità di aumentare con troppa facilità le parti in combustione.

Comunque, l’estintore è uno strumento caricato con pressione interna e la sua azione ha sempre un impatto dinamico che potrebbe esercitare sia sui liquidi che sui solidi effetti di proiezione di parti calde e/o infiammate, che potrebbero a loro volta far nascere ulteriori piccoli focolai capaci di vanificare l’azione di estinzione in atto.

Ulteriori valutazioni sulle corrette tecniche di intervento con gli estintori saranno fatte nella parte conclusiva del corso nella quale vengono previste esercitazioni pratiche di spegnimento.

Il focolaio appena estinto non va mai abbandonato se non dopo un periodo di tempo tale che il suo riaccendersi sia impossibile. Va verificata sempre l’intera zona incendiata smassando le ceneri e tutte le parti parzialmente combuste per verificare con assoluta certezza che il fuoco è spento.

Gli estintori se lasciati a terra possono costituire un pericolo. È opportuna la massima attenzione e cura verso questi validi strumenti di difesa dal fuoco mantenendoli sempre appesi nel loro apposito gancio e segnalati da cartelli.

La posizione deve essere scelta privilegiando la facilità di accesso, la visibilità e la possibilità di raggiungere uno percorrendo al massimo 20 m.

GLI ESTINTORI CARRELLATI

Hanno le medesime caratteristiche funzionali degli estintori portatili ma a causa delle maggior peso e dimensioni, presentano una minore praticità e maneggevolezza d’uso connessa allo spostamento del carrello di supporto. Tipologie di estintori:

t ad acqua (ormai in disuso); t a schiuma (adatto per liquidi infiammabili); t ad idrocarburi alogenati (adatto per motori di

macchinari); t a polvere (adatto per liquidi infiammabili ed apparecchi elettrici); t ad anidride carbonica (idoneo per apparecchi elettrici). Per queste ultime due tipologie di estintori, di uso più diffuso, vengono fornite

ulteriori informazioni:

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Estintori a polvere

(1- tipo pressurizzato)- Si compone di un recipiente

metallico capace di resistere alla pressione di carica di 12 bar max. garantite dalla segnalazione de

manometro. Il gas interno, solitamente azoto, mantiene con la sua pressione la capacità propulsiva dell’apparato e ne impedisce l’ingresso dell’umidità, che è l’elemento di maggior degradazione

della polvere. Nel tempo questa può ammassarsi sul fondo per gravità, per cui è opportuno agitare l’apparecchiatura prima dell’uso. La scarica si provoca serrando fortemente la valvola di apertura insieme alla maniglia di sostegno provocando così l’apertura della valvola di comunicazione tra il pescante interno ed il tubo esterno di erogazione. Quest’ultimo va indirizzato verso la sorgente dell’incendio. Il getto raggiunge la distanza efficace di circa 2 metri. È sicuro anche concreo gli apparati sotto tensione fino a 1.000 volt. (2- a carica di propellente separata)- Si presenta con un’appendice costituita da una bombola di dimensioni molto più piccole carica di gas a forte pressione che al momento dell’uso agisce da propellente per la polvere. Si scarica tenendo in direzione del fuoco l’erogatore ed aprendo il volantino di propellente della bombola. Leggermente più complesso nella manovra rispetto a quello pressurizzato, ma ha il vantaggio di rimescolare la polvere all’interno del recipiente al momento della scarica. Per il buon funzionamento dell’estintore, il propellente deve essere costituito da gas sotto pressione e non da gas liquefatto, come ad esempio la CO2.

L’estintore si dimostra adatto per fuochi di classe “A”, “B”, “C” ed “E” sino a 1000 volt. Caricato con polveri adatte se presta anche per interventi su fuochi di categoria “D”.

Estintore ad anidride carbonica Gli estintori a CO2 sono costituiti da una bombola collaudata

e revisionata ogni 5 anni dall’ISPESL (ex ANCC) - per una pressione di carica, a 15°C. a 250 ate; da una valvola di erogazione a volantino o a leva e da una manichetta snodata - rigida o flessibile - con all’estremità un diffusore in materiale isolante.

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Il congegno di apertura della bombola può essere: t con valvola di comando a leva, con tenuta in ebanite normalmente usata

per gli estintori portatili; t con valvola di comando a vite, con tenuta in ebanite normalmente usata per

gli estintori carrellati. Sull’ogiva della bombola - in colore grigio chiaro - sono punzonati i dati di

esercizio, di collaudo e delle revisioni. All’estremità della manichetta dell’estintore è montato un cono diffusore di

gomma, ebanite o bachelite. Sconsigliabile il metallo che potrebbe venire a contatto con parti elettriche in tensione.

Al momento dell’apertura della bombola - a mezzo delle valvole - il liquido spinto dalla pressione interna, sale attraverso un tubo pescante, passa attraverso la manichetta raggiungendo il diffusore dove, uscendo all’aperto, una parte evapora istantaneamente provocando un brusco abbassamento di temperatura (-79° C) tale da solidificare l’altra parte in una massa gelida e leggera detta “neve carbonica” o “ghiaccio secco”. La neve carbonica si adagia sui corpi che bruciano, si trasforma rapidamente in gas sottraendo loro una certa quantità di calore; il gas poi, essendo più pesante dell’aria, circonda i corpi infiammabili e, provocando un abbassamento della concentrazione di ossigeno, li spegne per soffocamento. Nei locali chiusi occorre prevedere una quantità di anidride carbonica pari al 30% della cubatura del locale stesso per ottenere lo spegnimento dell’incendio per saturazione d’ossigeno.

DETERMINAZIONE DEL NUMERO DEGLI ESTINTORI E LORO

POSIZIONAMENTO É determinato da disposizioni di legge solo in alcuni casi (alberghi,

autorimesse etc.). Negli altri casi si deve eseguire il criterio di disporre questi mezzi di primo intervento in modo che siano prontamente disponibili ed utilizzabili.

Si può ritenere che sia sufficiente disporre di un numero di estintori in modo che almeno uno di questi possa essere raggiunto con un percorso non superiore a 15 m circa. Ne consegue che la distanza tra gruppi di estintori deve essere circa 30 m. Debbono essere sempre posti nella massima evidenza, in modo da essere individuati immediatamente, preferibilmente vicino alle scale od agli accessi.

Estintori, di tipo idoneo, saranno inoltre posti in vicinanza di rischi speciali (quadri elettrici, cucine, impianti per la produzione di calore a combustibile solido, liquido o gassoso eccetera).

Gli estintori potranno essere poggiati a terra od attaccati alle pareti, mediante idonei attacchi che ne consentano il facile sganciamento; se l'estintore non può essere posto in posizione ben visibile da ogni punto della zona interessata,

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dovranno porsi dei cartelli di segnalazione, se necessario a bandiera) del tipo conforme alle norme della segnaletica di sicurezza.

RReettee iiddrriiccaa aannttiinncceennddiioo A protezione delle attività industriali o civili caratterizzate da un rilevante rischio viene di norma installata una rete idrica antincendio collegata direttamente con

disconnettore d’impianto, od indirettamente, a mezzo di vasca di disgiunzione all’acquedotto cittadino. La presenza della vasca di disgiunzione è necessaria ogni qualvolta l’acquedotto non garantisca continuità di erogazione e sufficiente pressione. In tal caso le caratteristiche idrauliche richieste agli erogatori vengono assicurate in termini di portata e pressione dalla capacità della riserva idrica e dal gruppo di pompaggio (almeno 2 ore di continuità e 120 l/min con una pressione residua di 2 ate). La rete idrica antincendi deve, a garanzia di affidabilità

e funzionalità, rispettare i seguenti criteri progettuali: t Indipendenza della rete da altre utilizzazioni; t Dotazione di valvole di sezionamento; t Disponibilità di riserva idrica e di costanza di pressione; t Abbondanza del gruppo pompe; t Disposizione della rete ad anello; t Protezione della rete dall’azione del gelo e della corrosione; t Caratteristiche idrauliche pressione -

portata; t Idranti (a muro, a colonna, sottosuolo o

naspi) collegati con tubazioni flessibili a lance erogatrici che consentono, per numero ed ubicazione, la copertura protettiva dell’intera attività.

Nelle esercitazioni previste a completamento del corso verranno illustrate le caratteristiche tecnico - funzionali delle manichette, delle lance nebulizzatrici e dei divisori etc., costituenti il necessario materiale di corredo dell’impianto idrico antincendi.

Un breve cenno va dedicato alla rete antincendi costituita da naspi che rappresenta, per la possibilità di impiego anche da parte di personale non

Idrantesottosuolo

Attaccoautopompa VV.F.

Alim

enta

zion

e im

pian

toEdificio

69

addestrato, una valida alternativa agli idranti soprattutto per le attività a rischio lieve. Le reti idriche con naspi vengono di solito collegate alla normale rete sanitaria, dispongono di tubazioni in gomma avvolte su rulli girevoli e sono provviste di tubazioni e lance da 25 mm. con getto regolabile (pieno o frazionato) con portata massima di 50 lt/min ad 1,5 bar.

IImmppiiaannttii ddii ssppeeggnniimmeennttoo aauuttoommaattiiccii Possono classificarsi in base alle sostanze utilizzate per l’azione estinguente:

IMPIANTI SPEGNIMENTO AUTOMATICI

Sostanza estinguente Tipo d’impianto ê ê

a umido a secco

a schiuma CO2, Halon, polvere

alternativi pre-allarme

ad H2O Sprinkler* a schiuma

a CO2 ad Halon a polvere

a diluvio

*Brevi cenni vanno dedicati agli impianti automatici di estinzione ad H2O (SPRINKLER); un impianto automatico di estinzione ad acqua consta di più parti:

t Fonte di alimentazione (acquedotto, serbatoi, vasca, serbatoio in pressione); t Pompe di mandata; t Centralina valvolata di controllo e allarme; t Condotte montanti principali; t Rete di condotte secondarie; t Serie di testine erogatrici (sprinkler). L’erogazione di acqua può essere comandata da un impianto di rilevazione

incendi, oppure può essere provocata direttamente, a determinate temperature, dall’apertura delle teste erogatrici per fusione o rottura di un elemento metallico termosensibile a bulbo che consente la fuoriuscita dell’acqua.

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SPRINKLER CON BULBO DI VETRO SPRINKLER A FUSIBILE

Temp. di esercizio nominale [°C]

Colore liquido del bulbo

Temp. di esercizio nominale [°C]

Colore braccetti

57 Arancio da 57 a 55 no colore 68 Rosso da 80 a 107 bianco 79 Giallo da 121 a 149 blu 83 Verde da 163 a 191 rosso

100 Verde da 204 a 246 verde 121 Blu da 260 a 302 arancio 141 Blu da 320 a 343 nero 163 Blu

18/2 Malva 204 Malva 227 Nero 260 Nero 286 Nero 343 Nero

Temperatura di attivazione COME SI SCEGLIE?

• 30° in più rispetto alla temp. massima dell’ambiente

• In base al colore sviluppato dall’incendio • In base alla conformazione della struttura

TIPI D’IMPIANTO Per quanto riguarda le tipologie degli impianti approfondiamo dicendo che:

t ad umido: l’impianto permanentemente riempito di acqua in pressione. (È il sistema più rapido e si può adottare nei locali in cui non esiste rischio di gelo);

t a secco: nella parte d’impianto non protetta, è riempita di aria in pressione. Al momento dell’intervento una valvola provvede al riempimento delle colonne con acqua;

t a schiuma: sono concettualmente simili a quelli ad umido e differiscono per la presenza di un serbatoio di schiumogeno e di idonei sistemi di produzione e scarico della schiuma (versatori);

t a CO2, Halon, polvere: impianti di anidride carbonica, ad halon, a polvere: hanno portata limitata dalla capacità geometrica della riserva (batteria di bombole, serbatoi);

t alternativi: funzionano come impianti a secco nei mesi freddi e ad umido nei mesi caldi;

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t a pre-allarme: sono dotati di dispositivo che differisce la scarica per dar modo di escludere i falsi – allarmi;

t a diluvio:impianti con sprinklers aperti alimentati da valvole ad apertura rapida in grado di fornire rapidamente grosse portate.

IImmppiiaannttii ddii rriilleevvaazziioonnee aauuttoommaattiiccaa dd’’iinncceennddiioo Impianti finalizzati alla rivelazione tempestiva del processo di combustione

prima cioè che questo degeneri nella fase di incendio generalizzato. Pertanto un impianto di rivelazione automatica trova il suo utile impiego nel ridurre il “TEMPO REALE D’INTERVENTO” e consente di:

t avviare un tempestivo sfollamento delle persone, sgombero dei beni etc; t attivare un piano di intervento; t attivare i sistemi di protezione contro l’incendio (manuali e/o automatici di

spegnimento). È fondamentale riuscire ad avere un TEMPO D’INTERVENTO e che sia

possibilmente inferiore al tempo di prima propagazione, cioè intervenire prima che si sia verificato il “flash over”. Infatti siamo ancora nel campo delle temperature relativamente basse dove l’incendio non si è ancora esteso a tutto il sistema e quindi ne è più facile lo spegnimento ed i danni possono essere ancora contenuti. L’entità dei danni, se non si interviene prima del “flash over”, ha un incremento notevole non appena si è verificato il quest’ultimo.

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RRiivveellaattoorrii aannttiinncceennddiioo Sono essere classificati in base al fenomeno chimico-fisico rilevato o in base al

metodo di rilevazione a seconda della configurazione del sistema di controllo dell’ambiente:

FENOMENO

CHIMICO/FISICO METODO DI RILEVAZIONE TIPO DI

RILEVATORE

Calore Statico (allarme al superamento di un valore di soglia)

Puntiformi

Fumo Differenziale (allarme ad un dato incremento)

A punti multipli (poco diffusi)

Gas Velocimetrico (allarme per velocità di incremento) Lineari (poco diffusi)

Fiamme Visivo

Si può quindi definire un “rilevatore automatico d’incendio” come un dispositivo

installato nella zona da sorvegliare che misura come variano nel tempo grandezze tipiche della combustione, o la velocità della loro variazione nel tempo, o la somma di tali variazioni nel tempo. Esso è in grado di trasmettere un segnale d’allarme in un luogo opportuno quando il valore della grandezza tipica misurata supera è inferiore ad una soglia di valore prefissata. Di conseguenza l’impianto di “rilevazione” è un insieme di apparecchiature fisse utilizzate per rilevare e segnalare tempestivamente ogni principio d’incendio evitando al massimo i falsi allarmi, in modo che possano essere messe in atto le misure necessarie per circoscrivere e spegnere l’incendio.

Un impianto rilevazione automatica d’incendio è generalmente costituito da: t rilevatori automatici d’incendio; t centrale di controllo e segnalazione; t dispositivi d’allarme; t comandi d’attivazione; t elementi di connessione per il trasferimento di energia ed informazioni. La centrale di controllo e segnalazione garantisce l’alimentazione elettrica

(continua e stabilizzata ) di tutti gli elementi dell’impianto ed è di solito collegata anche ad una “sorgente di energia alternativa” (batterie, gruppo elettrogeno, gruppo statico ecc.) che garantisce il funzionamento anche in caso di “mancanza

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ENEL”. Avvenuto l’incendio, l’allarme può essere “locale” o “trasmesso a distanza”.

Tali tipi d’impianti trovano valide applicazioni in presenza di: t Depositi intensivi; t Depositi di materiali e/o sostanze ad elevato valore specifico; t Ambienti con elevato carico d’incendio, non compartimentabili; t Ambienti destinati ad impianti tecnici difficilmente

accessibili e controllabili (cunicoli, cavedii, intercapedini al di sopra di controsoffitti etc.).

N.B. E’ opportuno sottolineare e precisare la differenza

sostanziale tra i termini di “rilevazione” e “rivelazione”. Rilevazione d’incendio non è altro che la misura di una grandezza tipica legata ad un fenomeno fisico provocato da un incendio. Avvenuta la rilevazione, con il superamento del valore di soglia, si ha la rivelazione quando “la notizia” che si sta sviluppando l’incendio viene comunicata (rivelata) al “sistema” (uomo o dispositivo automatico) demandato ad intervenire.

DDiissppoossiittiivvii ddii sseeggnnaallaazziioonnee ee dd’’aallllaarrmmee Costituito da: Dispositivo allarme antincendio: è il componente utilizzato per fornire un

allarme incendio, per esempio sirene, segnali luminosi, campane, pannelli ottico-acustici, etc. Sono i dispositivi installati all'esterno della centrale di controllo e servono per allertare le persone in pericolo (anche la centrale deve comunque avere dei segnalatori di allarme).

Punto di segnalazione manuale: è il componente utilizzato per l'inoltro manuale

dell'allarme. L'azionamento del punto di segnalazione richiede la rottura o lo spostamento di un elemento frangibile, facente parte della superficie frontale. I punti di segnalazione manuale possono essere di tipo A ad azionamento diretto (l'allarme è automatico quando si rompe o si sposta l'elemento frangibile) o di tipo B ad azionamento indiretto (l'allarme richiede un azionamento manuale dopo aver rotto o spostato l'elemento frangibile).

Dispositivo di trasmissione dell'allarme incendio: è

l'apparecchiatura intermedia (ad esempio combinatore telefonico o modem) che trasmette il segnale di allarme dalla

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centrale di controllo e segnalazione ad una stazione di ricevimento dell'allarme stesso.

EEvvaaccuuaattoorrii ddii ffuummoo ee ccaalloorree ((EEFFCC)) Con la definizione "Impianti di evacuazione di fumo e calore" si intende l'insieme dei dispositivi edili e tecnici che, in caso di incendio, permettono la fuoriuscita controllata di fumo e calore da costruzioni e impianti. Tale definizione comprende, inoltre, le aperture di sfogo per il fumo, nonché le aperture dall'esterno, che

consentono il ricambio dell'aria o che per-mettono di ridurre la sovrappressione scaricandola all'esterno. Gli impianti meccanici di evacuazione di fumo e calore sono dispositivi fissi, che in caso di incendio permettono la fuoriuscita controllata di fumo e calore verso l'esterno per mezzo di

ventilatori. Il loro impiego è diffuso soprattutto negli edifici a grande volumetria (ad es. impianti di trasporto come stazioni e aeroporti, oppure edifici con vie commerciali o cortili interni che si estendono su più piani, padiglioni espositivi, corti).

t agevolare lo sfollamento delle persone presenti e l'azione dei soccorritori grazie alla maggiore probabilità che i locali restino liberi da fumo almeno fino ad un'altezza da terra tale da non compromettere le possibilità di movimento.

t agevolare l'intervento rendendolo più rapido ed efficace t proteggere le merci e le strutture in special modo evitando il collasso delle

strutture portanti t ritardare o evitare l'incendio a pieno sviluppo flash over t ridurre i danni provocati dai gas di combustione e da eventuali sostanze

tossiche o corrosive originate dall'incendio

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SSEEGGNNAALLEETTIICCAA DDII SSIICCUURREEZZZZAA –– RRiiffeerriittaa aaii rriisscchhii pprreesseennttii nneellll’’aammbbiieennttee ddii llaavvoorroo

Il D.L. n.493 del 14 agosto 1996 che recepisce la Direttiva 92/58/CEE ed abroga il D.P.R. n. 524 dell’8 giugno 1982, stabilisce le prescrizioni per la segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro nei settori di attività privati o pubblici. Vari segnali e cartelli riportati vendono pubblicati nei colori previsti dalla normativa.

Obblighi del datore di lavoro ( Artt. 17 e 18 ) 81/08 Quando, anche a seguito della valutazione effettuata in conformità all'articolo 18, comma 1, del decreto legislativo n. 81/08, risultano rischi che non possono essere evitati o sufficientemente limitati con misure, metodi, o sistemi di organizzazione del lavoro, o con mezzi tecnici di protezione collettiva, il datore di lavoro fa ricorso alla segnaletica di sicurezza, secondo le prescrizioni degli allegati al presente decreto, allo scopo di:

t avvertire di un rischio o di un pericolo le persone esposte, t vietare comportamenti che potrebbero causare pericolo; t prescrivere determinati comportamenti necessari ai fini della sicurezza; t fornire indicazioni relative alle uscite di sicurezza o ai mezzi di soccorso o

di salvataggio; t fornire altre indicazioni in materia di prevenzione e sicurezza.

Informazione e formazione ( Artt. 36 e 37 ) 81/08 1. Il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori siano informati di tutte le misure adottate riguardo alla segnaletica di sicurezza impiegata all'interno dell'impresa ovvero dell'unità produttiva. 2. ……

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