di matteo renzi l’esito del referendum trivella il pd · nelle intenzioni di renzi, infatti, si...

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delle Libertà L’esito del referendum trivella il Pd La palla egocentrica di Matteo Renzi T utti i grandi leader sono egocentrici. Perché se non lo fossero non sareb- bero mai diventati leader. Ma c’è ego- centrismo ed egocentrismo. E quello di Matteo Renzi, come dimostra la sua reazione all’esito del referendum sulle trivelle, è decisamente inquietante. Non perché sia esagerato e decisamente spro- porzionato rispetto ad un risultato refe- rendario che ha riguardato una questione addirittura ridicola se rap- portata ai problemi generali del Paese (se dare un termine o meno all’estra- zione del gas e del petrolio da pozzi co- munque in funzione). Ma perché riguarda un tratto che non dovrebbe mai comparire nell’egocentrismo di un leader che guida una nazione e che si prefigge di continuare a guidarla per i prossimi decenni grazie ad una riforma costituzionale ritagliata sulle sue perso- nali e particolari esigenze di comando. Questo tratto è l’infantilismo. Non quello del “fanciullino” di pascoliana memoria che spunta sempre e comun- que in tutte le spersone ad ogni angolo della vita. Ma quello specifico dei bam- bini ancora lontani dalla maturità che pongono se stessi al centro dell’universo in maniera ossessivamente egoistica e che non accettano od ammettono di ve- dere contrastata in alcun modo la loro volontà ed i loro capricci. Renzi è come il bambino che detta le regole del gioco perché considera suo il pallone e se qualcuno non le rispetta si riprende il pallone e se ne torna a casa facendo agli altri il dispetto di porre fine alla partita. Questo tratto può essere di- vertente se riguarda una star del cinema o della televisione o un qualsiasi altro... P O L I T I C A S A L A T T O A P A G I N A 2 Referendum e proverbi E S T E R I P I P E S A P A G I N A 5 Usa 2016: il ritratto del candidato Trump E S T E R I D I O N I S I A P A G I N A 5 Nagorno-Karabakh: venti di guerra nel Caucaso P R I M O P I A N O B U F F A A P A G I N A 3 Partito Radicale: l’ingombrante eredità di Marco Pannella C U L T U R A B O N A N N I A P A G I N A 7 “I Vicini” di Paravidino al Piccolo Eliseo Sulla strada del Premier spunta il “brigante” Emiliano I l referendum contro la permanenza delle piattaforme petrolifere a largo delle nostre coste è fallito. Perché fosse valido bisognava raggiungere il quorum della metà più uno degli aventi diritto. Invece, la partecipazione si è fermata al 32 per cento, 31,18 per cento se si con- sidera anche il voto degli italiani al- l’estero. Tradotto in cifre significa che si sono recati alle urne poco meno di 16 milioni di italiani. Per Matteo Renzi si è trattato di un pericolo scampato. Biso- gna ammettere che la spallata che po- teva provenirgli dal voto di domenica non ci sia stata. Ciò però non giustifica È lui o non è lui? Certo che è lui! Lui chi? Ma il Partito della Nazione. E tutti a guardare in una sola direzione, a sinistra virando al centro e un po’ anche a destra. Tutti a dire che sì è proprio lui, è Matteo Renzi l’artefice massimo del PdN. E gli altri, i suoi di minoranza nel Pd a strapparsi le vesti, a gridare allo scandalo: no, no e poi no! Col Partito della Nazione non ci sto! Renzi dovrà passare sul nostro cadavere se davvero vuole insistere su questo (nuovo) partito che sarebbe la negazione della nostra storia, delle radici, dell’identità di sini- stra. Naturalmente il supposto artefice del supposto PdN fa finta di non capire e non risponde al telefono dei suoi e dei tanti analisti che si stanno scervellando Il vero Partito della Nazione italiana gli eccessi di trionfalismo a cui lui e i suoi di fedelissimi si sono abbandonati. Il fatto che un numero consistente... su questo oggetto misterioso, il PdN ap- punto. Che è di là da venire, come si dice, ma sempre incombente e invadente nel cosiddetto dibattito pubblico. Og- getto misterioso questo partito? Un pio desiderio? Uno dei tanti escamotage po- liticanti per parlare d’altro? Per fare po- lemiche da salotto? Darsi addosso come in un bar (talk)? In realtà, cioè nella re- altà, davanti a noi, questo oggetto non è affatto misterioso. C’è, è lì, proprio da- vanti ai nostri occhi. Come la leggenda- ria lettera nascosta che nessuno riusciva a scorgere perché era posta lì, in bella mostra, spaparanzata davanti, sul ta- volo. Il PdN non lo si vuole vedere perché si guarda da tutt’altra parte, lo si vor- rebbe scovare nella dimensione della nouvelle gauche renziana, un mix di de- stra e sinistra in salsa berlusconiana bal- zando da un capo all’altro, con quella bulimia tipica dei decisionisti ultimi ar- rivati e perciò costretti a imporsi, a or- dinare, a proclamare, a personalizzare.

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Page 1: di Matteo Renzi L’esito del referendum trivella il Pd · Nelle intenzioni di Renzi, infatti, si fa strada la ten-tazione di disfarsi in anticipo, rispetto alla scadenza naturale

delle Libertà

L’esito del referendum trivella il Pd

La palla egocentrica di Matteo Renzi

Tutti i grandi leader sono egocentrici.Perché se non lo fossero non sareb-

bero mai diventati leader. Ma c’è ego-centrismo ed egocentrismo. E quello diMatteo Renzi, come dimostra la suareazione all’esito del referendum sulletrivelle, è decisamente inquietante. Nonperché sia esagerato e decisamente spro-porzionato rispetto ad un risultato refe-rendario che ha riguardato unaquestione addirittura ridicola se rap-portata ai problemi generali del Paese(se dare un termine o meno all’estra-zione del gas e del petrolio da pozzi co-munque in funzione). Ma perchériguarda un tratto che non dovrebbemai comparire nell’egocentrismo di unleader che guida una nazione e che siprefigge di continuare a guidarla per iprossimi decenni grazie ad una riformacostituzionale ritagliata sulle sue perso-nali e particolari esigenze di comando.

Questo tratto è l’infantilismo. Nonquello del “fanciullino” di pascolianamemoria che spunta sempre e comun-que in tutte le spersone ad ogni angolodella vita. Ma quello specifico dei bam-bini ancora lontani dalla maturità chepongono se stessi al centro dell’universoin maniera ossessivamente egoistica eche non accettano od ammettono di ve-dere contrastata in alcun modo la lorovolontà ed i loro capricci.

Renzi è come il bambino che detta leregole del gioco perché considera suo ilpallone e se qualcuno non le rispetta siriprende il pallone e se ne torna a casafacendo agli altri il dispetto di porre finealla partita. Questo tratto può essere di-vertente se riguarda una star del cinemao della televisione o un qualsiasi altro...

POLITICA

SALATTO A PAGINA 2

Referendum e proverbi

ESTERI

PIPES A PAGINA 5

Usa 2016:il ritratto

del candidato Trump

ESTERI

DIONISI A PAGINA 5

Nagorno-Karabakh:venti di guerranel Caucaso

PRIMO PIANO

BUFFA A PAGINA 3

Partito Radicale:l’ingombrante ereditàdi Marco Pannella

CULTURA

BONANNI A PAGINA 7

“I Vicini”di Paravidino

al Piccolo Eliseo

Sulla strada del Premier spunta il “brigante” Emiliano

Il referendum contro la permanenzadelle piattaforme petrolifere a largo

delle nostre coste è fallito. Perché fossevalido bisognava raggiungere il quorumdella metà più uno degli aventi diritto.Invece, la partecipazione si è fermata al32 per cento, 31,18 per cento se si con-sidera anche il voto degli italiani al-l’estero. Tradotto in cifre significa che sisono recati alle urne poco meno di 16milioni di italiani. Per Matteo Renzi si ètrattato di un pericolo scampato. Biso-gna ammettere che la spallata che po-teva provenirgli dal voto di domenicanon ci sia stata. Ciò però non giustifica

Èlui o non è lui? Certo che è lui! Luichi? Ma il Partito della Nazione. E

tutti a guardare in una sola direzione, asinistra virando al centro e un po’ anchea destra. Tutti a dire che sì è proprio lui,è Matteo Renzi l’artefice massimo delPdN. E gli altri, i suoi di minoranza nelPd a strapparsi le vesti, a gridare alloscandalo: no, no e poi no! Col Partitodella Nazione non ci sto! Renzi dovràpassare sul nostro cadavere se davverovuole insistere su questo (nuovo) partitoche sarebbe la negazione della nostrastoria, delle radici, dell’identità di sini-stra. Naturalmente il supposto arteficedel supposto PdN fa finta di non capiree non risponde al telefono dei suoi e deitanti analisti che si stanno scervellando

Il vero Partito della Nazione italiana

gli eccessi di trionfalismo a cui lui e isuoi di fedelissimi si sono abbandonati.Il fatto che un numero consistente...

su questo oggetto misterioso, il PdN ap-punto. Che è di là da venire, come sidice, ma sempre incombente e invadentenel cosiddetto dibattito pubblico. Og-getto misterioso questo partito? Un piodesiderio? Uno dei tanti escamotage po-liticanti per parlare d’altro? Per fare po-

lemiche da salotto? Darsi addosso comein un bar (talk)? In realtà, cioè nella re-altà, davanti a noi, questo oggetto non èaffatto misterioso. C’è, è lì, proprio da-vanti ai nostri occhi. Come la leggenda-ria lettera nascosta che nessuno riuscivaa scorgere perché era posta lì, in bellamostra, spaparanzata davanti, sul ta-volo.

Il PdN non lo si vuole vedere perchési guarda da tutt’altra parte, lo si vor-rebbe scovare nella dimensione dellanouvelle gauche renziana, un mix di de-stra e sinistra in salsa berlusconiana bal-zando da un capo all’altro, con quellabulimia tipica dei decisionisti ultimi ar-rivati e perciò costretti a imporsi, a or-dinare, a proclamare, a personalizzare.

Page 2: di Matteo Renzi L’esito del referendum trivella il Pd · Nelle intenzioni di Renzi, infatti, si fa strada la ten-tazione di disfarsi in anticipo, rispetto alla scadenza naturale

Il Come al solito, in Italia, al termine diuna consultazione elettorale non ci

sono perdenti, hanno vinto tutti. In re-altà chi ha sicuramente perso è quellaparte del popolo italiano che, ancorauna volta, ha preferito rifugiarsi nellacomoda posizione dell’astensionismoevitando di doversi assumere la respon-sabilità di una scelta qualsiasi. A questiultimi vorrei dedicare un proverbio ita-liano che calzerebbe a pennello il giornoin cui si dovesse verificare un, anche se li-mitato, disastro ambientale: “Chi ècausa del suo male, pianga sé stesso”.Quanto poi a tutti coloro che, pur non

sopportando più lo stile di Matteo Renzie le sue ormai palesi aspirazioni egemo-niche, non sono andati a votare, cosìcome richiesto impunemente dal Presi-dente del Consiglio nonché segretariodel Pd, non si può fare a meno di ricor-dare a futura memoria: “Chi pecora sifa, il lupo se la mangia”. Infine, sempreper le stesse ragioni, a chi critica questaclasse dirigente ma supinamente ne ac-cetta le decisioni, vale il detto: “Ognunoha la classe dirigente che si merita!”.

Ecco alcune amare considerazioniper sottolineare come da noi ancora nonesiste quella coscienza civile, quella cul-tura di sentirsi protagonista dello Stato enon suddito che per esempio in Franciaemerge costantemente nelle manifesta-zioni, certo pacifiche, popolari con lequali si contestano, non solo nel Palazzo,le decisioni del Governo. Ho vissuto sulposto il referendum greco con il quale sidoveva approvare o meno il piano Ueaffidato a Tsipras per consentire la con-

cessione di nuovi prestiti alla Grecia.Nell’Isola da me frequentata il si, anchese malvolentieri e per senso di responsa-bilità, prevaleva quasi unanime. Il risul-tato, invece, è stato un no plebiscitario.Alla mia domanda sulle ragioni di que-sto inaspettato cambiamento di voto, larisposta di tutti era: “Il Presidente dellaCommissione Europea Junker ha invi-tato ufficialmente il popolo greco a vo-tare si. Noi greci non ci facciamo dettarecome esprimere il voto e quindi ci siamo

determinati per il no!”. Questa espe-rienza mi induce a parafrasare la storicafrase “Italiani greci: una faccia, unarazza” con un’ulteriore espressione:“due culture diverse”. Peccato.

(*) Membro Political Assembly PPEa Bruxelles

contendente dalla pelle dura nella persona di MicheleEmiliano. L’attuale governatore della Puglia, figurainconsueta di “Masaniello” in toga e maglietto, haguidato quasi in solitario la scalcinata armata Bran-caleone dei sostenitori del “Si” dopo che quasi tuttigli altri governatori delle regioni, in precedenza pro-motori della consultazione referendaria, l’avevanoscaricato in corso d’opera. Sta di fatto che la foto ri-cordo di questa fase della politica immortali soltantoloro due: Matteo Renzi e Michele Emiliano, il vinci-tore e il vinto.

Tutti gli altri, sullo sfondo, appaiono come figuresbiadite di comprimari. Vale per i Cinque Stelle chepure si sono spesi per il “Sì” e per la sinistra radicaledella quale, al momento, si fa fatica a individuare chisia il leader. E, purtroppo, vale per il campo del cen-trodestra. Salvini, Berlusconi, Meloni, Fitto, in questofrangente non hanno toccato palla. Sarà allora Mi-chele Emiliano l’anti-Renzi di domani nel centrosi-nistra? Presto per dirlo, ma i presupposti ci sono. Adifferenza di ciò che si è erroneamente ritenuto permolto tempo, soprattutto a destra, le leadership nonsi costruiscono a tavolino imponendole dall’alto aglielettori. Gli aspiranti leader devono potersi forgiarenel fuoco dello scontro politico più duro di modo cheanche le apparenti sconfitte possano, alla lunga, tra-sformarsi in prodromi di insospettate ascese. Laguerra a sinistra è aperta ed è solo all’inizio. Altrebattaglie saranno combattute prima di giungere alleelezioni politiche nazionali che, con ogni probabilità,saranno anticipate alla primavera del prossimo anno.Nelle intenzioni di Renzi, infatti, si fa strada la ten-tazione di disfarsi in anticipo, rispetto alla scadenzanaturale della legislatura nel 2018, dei residui dellavecchia guardia del suo partito che prova ancora amettergli il bastone tra le ruote. In questo scenarioaccelerato si comprende del perché oggi valga moltopiù la mossa di Emiliano di intestarsi la sconfitta re-ferendaria di quella, opposta, di Renzi di mettere cap-pello sulla vittoria del non-voto. È, in fondo, unmodo un po’ tortuoso con cui il “brigante“ del Ta-voliere prepara l’imboscata politicamente mortale al“rottamatore” di Rignano.

...Certo che a lui, a Renzi, non dispiacerebbe in-

Politica

segue dalla prima

...personaggio dello spettacolo e dello sport. Ma è an-gosciante se è la caratteristica principale di un espo-nente politico che non si limita a porre se stesso alcentro della vita pubblica del paese ma che si com-porta come se la politica nazionale sia la palla di pro-prietà da mettere o togliere a seconda dei propricapricci di fanciullino prepotente.

Se fosse meno infantilmente egocentrico MatteoRenzi capirebbe che è un errore trasformare l’esitodel referendum sulle trivelle in una sua clamorosa vit-toria nei confronti dei “grillini” e degli avversari in-terni del Pd. La personalizzazione di oggi è solo ilprodomo della personalizzazione ancora più grandedel referendum sulla riforma della Costituzione. Chenon è la sua palla personale, ma è lo schema di regoleche fissa il campo e il modo in cui tutti i cittadini pos-sono e debbono concorrere alla determinazione dellapolitica nazionale.

L’egocentrismo infantile fa brutti scherzi. Spinge atogliere la palla al capriccioso ed a mandarlo a casatutto piangente

...di elettori, in una calda giornata primaverile, sia an-dato al seggio rappresenta un segnale che merita diessere approfondito.

In realtà, la soddisfazione manifestata del premierper il risultato nasconde una seria preoccupazioneper ciò che si è effettivamente materializzato nelleurne. Fino all’altro ieri Renzi ha dominato la scenagrazie alla sostanziale inconsistenza dei suoi interlo-cutori. A essere poco appetibili nell’offerta di un’al-ternativa di governo non sono stati soltanto i grillinie il centrodestra ma anche i possibili competitori in-terni del centrosinistra. Le figure dei Cuperlo e degliSperanza, a un certo punto, sono apparse quasi pro-iezioni caricaturali dell’immagine-tipo di un leadermoderno e in grado di “leggere” i bisogni e le aspet-tative degli italiani.

Con la conclusione della battaglia referendaria,invece, l’opinione pubblica scopre l’esistenza di un

Sulla strada del Premierspunta il “brigante” Emiliano

sive, un movimento che non si sa quale politicaestera abbia, non si sa cosa pensi e cosa faccia, seandrà al potere, per l’immigrazione, cosa concreta-mente vorrebbe fare per aiutare il Pil, se vuole an-cora uscire dall’Euro, se ha in mente un Paese chenon sia il pianeta “Gaia”, e dunque un mondo im-merso nella globalità e legato all’Occidente. E per-ciò bisognoso di energia, di industria, di crescita, disviluppo. Ebbene, a sentirli, soprattutto a propo-sito del “referendum trivelle” la loro posizione, pe-raltro legittima, non sembra per dir così in lineacon i fabbisogni reali dell’Italia col suo deficit ener-getico. Per quanto riguarda poi il debito pubblico,la non inedita proposta del reddito di cittadinanzao qualcosa del genere per i giovani, più che in di-rezione di un aiuto alla crescita sembra davveroincamminarsi nei sentieri dell’immortale assisten-zialismo. Do you remember un modello partitico,peraltro assai diffuso, di Democrazia Cristiana? Sioffendono se diciamo che subiscono un certo qualefascino, e non solo, di quell’immortale partito? Enon era proprio la vecchia, cara, indimenticabileDemocrazia Cristiana il Partito della Nazione ita-liana.

Referendum e proverbi

dossare il vestito da festa della nazione, ovverosiail suddetto partito. Ma è arrivato tardi dal sarto.C’è già passato un altro, ora ben vestito, anche me-glio di lui, e che fa il modello accattivante, con sor-risi smaglianti, con toni suadenti e denti bianchi.Avete capito di chi si tratta, vero? Sì, è Luigi DiMaio, è proprio lui, Di Maio del Movimento Cin-que Stelle, attuale vicepresidente della Camera e in-tronizzato, in morte di Gianroberto Casaleggio,come nuovo leader “grillino”, almeno in assenza,che dovrebbe essere frequente, del legittimo co-fon-datore e costruttore (in piazza e poi in Parlamento)del movimento. Chi l’avrebbe mai detto? Chi cipensava a uno come Di Maio che, pure, era piom-bato a Montecitorio insieme con l’orda dei “vaffa”- la parola è indicatrice della vera ideologia fon-dante il M5S, vincente un paio d’anni fa, ora nonsi sa - con tanto di prove streaming per prendereper i fondelli, insieme ai boccaloni, il povero Ber-sani, e con tanto di apriscatole per squarciare lascatola di tonno dei politici ladroni, tutti!

Ed eccoti invece il modello tipo Armani aggi-rarsi per luoghi solenni, a intrattenere analisti stra-nieri, a controbilanciare con misurata eleganza laconsueta canea del grillismo, dentro e fuori il Par-lamento. Attenzione! Se si passerà dal grillismo al“dimaismo” non sarà soltanto per la comoditàdelle abbreviazioni analitico-mediatiche. Il passag-gio, peraltro già in atto, è significativo di quelnuovo corso, di cui è simbolicamente aggraziante lacandidata a sindaco di Roma, Virginia Raggi, conla sua postura televisiva à la page simil-Venier anniNovanta, espressione, appunto, del dimaismo,brutta parola che però indica un soggetto bello. Eonesto, si capisce. Bello, onesto, ma poi? E qui fini-sce la discesa e comincia la salita che in politica si-gnifica, innanzitutto, guardare allo stato della cosedi un personaggio, di un partito, di un movimento,sia pure nuovo come il M5S. Nell’arco di un paiod’anni non solo il M5S è stato capace di smentirsisu tutte le promesse fatte, dall’uno vale uno, allademocrazia diretta, al niente talk, solo blog, al po-tere assoluto del direttorio e vai con le espulsione ago-go tramite web ispirato al leninismo più settariointrecciato al giustizialismo più cupo. Ecco, nonsolo si sono smentiti clamorosamente, come capitaa tutti in politica ma senza poi assumere pose mo-ralistiche e forcaiole.

No, sono divenuti, mese dopo mese, decisionedopo decisione, alla Camera e al Senato, nei co-muni e nel Paese, nei talk e nelle interviste televi-

Quando chi comanda in un Paese,anno dopo anno, porta via ai cit-

tadini prima il reddito e poi la testa,vuol dire che è finita e, infatti, noisiamo allo sbando. Inutile dunque at-taccarsi al cosiddetto fumo della pipa,l’Italia per crescere oramai non ha piùné i soldi né la testa. È questo il verodramma del Paese, è questa la conse-guenza delle scelte dissennate e disone-ste di una classe politica e dirigente che,governo dopo governo, è riuscita a faretutto il male che si poteva fare. Datroppo tempo non si è avuta la forza, ilcoraggio e l’onestà, non solo di am-mettere gli abomini compiuti ma anchedi mettere in campo le scelte giuste percorreggerli e per raddrizzare un alberosempre più inclinato.

In qualunque Paese quando per annicontinua a scendere il volume dei red-diti, a salire il debito, a restare fuoricontrollo la spesa, a divampare la di-soccupazione e ad esplodere l’avidità fi-scale si muore e si collassa. Qui non sitratta di essere scienziati oppure guru,

anche perché di guru in Italia ne fab-brichiamo uno al giorno, si tratta sem-plicemente di essere sinceri e realisti.Del resto quando si entra in deflazione,la domanda interna si spegne, i con-sumi arretrano e gli investimenti si ri-ducono al lumicino vuol dire chemancano soldi e testa e dunque che nonc’è lavoro, le tasse sono folli, la serenitàe la fiducia sono finite sotto terra. Perquesto viene da ridere ad ascoltare iproclami della politica e della classe di-rigente sulla crescita, sulla ripresa e sulprossimo decollo del Pil.

Se escludiamo quel micro segmentodi supermilionari che, oltretutto, si con-tinua a favorire perché torna comodoaverlo vicino, la stragrande parte delPaese che è fatta di ceto medio, arti-giani, piccoli imprenditori, commer-cianti e autonomi, pensionati,pensionabili e giovani a spasso non hapiù né quattrini e né serenità per tirare

avanti. I primi gli sono stati tolti, ese-cutivo dopo esecutivo, con una sfilza dimazzate fiscali e un bombardamentoimpositivo da far tremare i polsi; la se-conda è stata soffocata da un metododi riscossione che, per via di Equitalia,è diventato da stato di polizia fiscale.Altro che fisco amico, compliance, col-laborazione e disponibilità, in Italianon si contano più le cartelle, le lettere,gli accertamenti, le ingiunzioni, le ipo-teche e le minacciose segnalazioni fi-scali dell’amministrazione. Basterebbeelencare gli episodi drammatici, laquantità di rateizzi, il numero dei con-tenziosi e la cifra della rabbia dei citta-dini per farsene un’idea. Insomma,tanto l’ipocrisia ha dominato sul reali-smo e il buon senso sull’avidità da riu-scire a ossessionare la testa della gentefino a mandarla letteralmente in acqua,ecco perché non si spende, non si con-suma e non ci si azzarda (ammesso che

si possa) a fare la minima iniziativa.In Italia la fiscalità è persecutoria,

aggrovigliata, instabile, antieconomicae penalizzante, e finché rimarrà tale nonsi muoverà una paglia. Dunque, il com-binato disposto: niente soldi e nientetesta, a tanto ha portato e peggio an-cora porterà. Come se non bastasse, inquesta miscela da clima infame, si con-tinua a imbrogliare, a fare scandali, adimostrare quanto il livello di malaf-fare sia più vivo che mai, tanto da con-tinuare a devastare risorse e cosapubblica. Dulcis in fundo, il senso verodelle tasse, che in qualsiasi Paese nor-male servono allo sviluppo, agli inve-stimenti pubblici, all’offerta di serviziutili ed efficienti, ma che da noi servonoa tappare buchi, a pagare vantaggi eprivilegi, a sostenere un debito lunareaccumulato a suon di sperperi e malagestione. Ecco perché le pezze a colori,che ogni tanto propinano, non funzio-

nano… anzi, ecco perché i pannicellicaldi costano e non producono, eccoperché la demagogia e l’arroganza aizzasempre di più la gente.

Senza testa e senza soldi un Paesemuore, esplode, fallisce lentamente.Non c’è verso, o si pacifica il Paese, apartire dalla questione fiscale; o simette mano ai vergognosi privilegi; o sicacciano a pedate i nullafacenti e i di-sonesti; o si mette lavoro e denaro nelladisponibilità di tutti; oppure sarannoguai e a fuggire sul barcone questavolta saranno tutti i soloni, gli ipocriti ei demagoghi che ci hanno illusi e malri-dotti.

Senza soldi e senza testa

La palla egocentrica di Matteo Renzi

Il vero Partito della Nazione italiana

Page 3: di Matteo Renzi L’esito del referendum trivella il Pd · Nelle intenzioni di Renzi, infatti, si fa strada la ten-tazione di disfarsi in anticipo, rispetto alla scadenza naturale

Primo Piano

Il “long goodbye” di Marco Pannellaassomiglia nelle atmosfere nostalgi-

che a quello dell’omonimo film di Ro-bert Altman tratto dal libro diRaymond Chandler. L’atmosfera cupala presta la politica italiana, cheadesso scopre l’acqua calda delle ideeradicali come la trasparenza in poli-tica e lo stato di diritto, all’uopo tra-sformate in caricature grottesche. Cioèisterismo giustizialista e legalitarismodel tipo di quello esternato dallaCommissione antimafia che recente-mente ha assunto nelle elezioni ilruolo che in Iran è svolto dagli aya-tollah che vagliano la moralità deicandidati. Il tutto incarnato nelle po-sizioni estremiste dei grillini e della si-nistra Pd. La vera e genuina ereditàradicale, però, è tutta da scoprire e in-ventariare.

Nel frattempo la galassia pannel-liana si è spaccata in due: quelli chebadano al sodo, incoraggiati daEmma Bonino, e si avviano a fare par-titi satellite del Partito Democratico,sul tipo dei socialisti di Nencini. Equelli fedeli al mantra che in Italia nonci sono le condizioni per presentarsiad alcuna elezione visto che siamo unPaese condannato dall’Europa per

tutto: dalle carceri alle leggi sul-l’aborto, minata dall’obiezione di co-scienza di comodo o di routine, dallafecondazione assistita al fine vita, pas-sando per i non diritti alle coppie difatto.

I primi, avvalendosi dello stru-mento Radicali italiani, si sono pre-sentati alle amministrative a Roma eda Milano in liste di appoggio ai candi-dati del Pd, i secondi hanno scrittouna lettera quasi di “scomunica” pub-blicata una paio di settimane orsonoda “L’Opinione” (e anche dall’Unità).In mezzo gli attendisti che faticano acapire queste divisioni. Chi scrive èmolto più incline ad una successioneradicale nel nome e nella continuitàpannelliana che, Dio ci guardi e liberi,a una nel nome di Emma Bonino.Oramai indirizzata a fare da pivot ra-dicale delle fondazioni come quella diMassimo D’Alema o di Enrico Letta.Parafrasando Fidel Castro, chequando si parla di sinistra ci sta sem-pre bene, “no los queremos, no los ne-cesitamos”.

Resta il problema di fare rientrarenella politica attiva le idee di Pannella,che in realtà non ne sono mai uscite,facendole camminare sulle gambe diliberali veri e non su quelle di desca-misados grillini o di opportunisti vari.

Partire dal macrocosmo per arrivareal micro, l’esatto contrario di quantoinsegnava Ernst Cassirer quando par-lava dell’umanesimo, si è rivelato vel-leitario. Le giurisdizioni e le istituzionitransnazionali, a cominciare dall’Onuper finire ai vari tribunali internazio-nali dell’Aja o ad hoc per le tanteguerre etniche e religiose della fine delsecolo scorso e dell’inizio del millen-nio attuale, si sono rivelate perdenti.Sono fatte di uomini e intrise di quellastessa abominevole ragion di Stato chePannella vorrebbe combattere con-trapponendo lo stato di diritto e deidiritti. Che però si fatica a definire inmaniera soddisfacente per tutti ed atutte le latitudini.

Si manifesta per la verità sull’or-renda morte di Giulio Regeni, adesempio, ma non si può dire nulla, epoco si è detto da parte dei governiitaliani, per l’omicidio politico del cor-rispondente di Radio Radicale Anto-nio Russo a Tbilisi il 16 ottobre del2000. Viene anche in mente che sipossa fare la voce grossa solo con iPaesi in difficoltà economiche e che di-pendano dai soldi italiani ed europeipiù di quanto l’Italia stessa e l’Europanon dipendano dalle loro commessemilitari o energetiche, vedi il caso Iran.

Senza un reset il mantra pannel-

liano dello “stato di di-ritto contro la ragione distato” e la mitica “transi-zione” dal secondo alprimo rischia di restaretale. O di diventare una“supercazzola” da di-battiti in tivù a orari diseconda fascia. E la con-seguenza, ancora più ne-fasta, potrebbe esserequella di lasciare tutta unagalassia in balìa della poli-tica della Bonino, semprepiù contigua e fiancheg-giatrice di quella dellapeggior sinistra europea.Dialogo con i Fratelli Mu-sulmani compreso.

L’appello ai “radicalidi terra, di aria e dimare” è quindi quello dicercare per tempo unanuova via per gestirel’immensa eredità poli-tica e umana di un gi-gante del pensiero diquesto e del precedentemillennio come continuaad essere Marco Pan-nella. Un “monumento nazionale vi-vente” (altro che senatore a vita orache il Senato sta per essere abolito)

come i professori universitari descrittida Akira Kurosawa nel suo ultimo, in-dimenticabile film: “Madadayo”.

Il “long goodbye” di Pannella e l’eredità radicale

“La situazione politica in Italia ègrave ma non è seria”, scrisse

una sessantina di anni orsono quelgrande abruzzese che fu Ennio Fla-iano. E malgrado la tanta acqua pas-sata sotto i ponti dell’Arno, misembra di poter dire che la condizionegenerale del Paese sia grosso modo lastessa, con un uomo solo al comandosostenuto nella sua fuga da una squa-dra di gregari che ogni giorno, aturno, ci propinano un’abbondantedose di balle spaziali. Tra questi riter-rei doveroso segnalare il nuovo re-sponsabile della sempre piùmisteriosa spending review, il consi-gliere economico di Palazzo ChigiYoram Gutgeld. Quest’ultimo, inter-venendo alla riunione romana dellaTrilateral Commission - think tankfondato nel 1973 da David Rockefel-ler e Henry Kissinger - ha annunciatol’ennesimo taglio di 25 miliardi dieuro nella spesa pubblica, da realiz-zarsi entro l’anno in corso. Ciò ov-

viamente ha scatenato una certa ila-rità nella ridotta ma agguerrita mino-ranza liberal/liberista di questodisgraziato Paese.

A tal proposito, mi è parsa parti-colarmente felice la battuta al vetriolodell’economista Mario Seminerio,ospite fisso dell’interessante pro-gramma radiofonico I conti della

belva condotto dall’ottimo OscarGiannino, il quale ha sottolineato cheoramai “ogni settimana ci sono nuovi25 miliardi” di riduzione della spesa.Tant’è, mi permetto di aggiungere,che di questo passo in quattro mesi ilGoverno Renzi riuscirà a dimezzareletteralmente il colossale bilanciopubblico dal lato delle uscite. Ma amio avviso è il modo con il quale ilbuon Gutgeld intende centrare l’am-bizioso obiettivo che raggiunge l’apo-teosi di una comicità surreale.

Come riporta il Corriere della Sera,il consigliere di Renzi ha tenuto a sot-tolineare che nessuna area sensibileverrà toccata. “Niente licenziamentidall’amministrazione pubblica, nes-sun taglio alle pensioni e niente taglilineari. I risparmi - ha detto Gutgeld -sono tutti conseguibili per canali di-versi: il passaggio da 50mila a 35 cen-

trali d’acquisto, l’applicazione deglistandard di efficienza clinica e opera-tiva negli ospedali, il coordinamentofra le tre forze dell’ordine, l’applica-zione di un sistema di costi standardnei comuni e il taglio già deciso di30mila auto blu (meno 50 per centosulla flotta di auto pubbliche)”.

In sostanza trattasi della ripropo-sizione di un classico fritto misto dibuone intenzioni con il quale lastri-care la via dell’inferno verso cuistanno sempre più sprofondando inostri disastrati conti pubblici. Sonooramai oltre due anni che MatteoRenzi e soci ci bombardano a tappetoraccontando queste favole sulle cen-trali d’acquisto, sui costi standard esulle auto blu da eliminare. Cionono-stante i numeri di partenza delle lorostime sembrano addirittura crescerenel tempo. In pratica aumentano i

tagli annunciati, ma pure i dati rela-tivi ai settori su cui dovrà essere im-piegato lo “spietato” bisturi deirottamatori al potere. Ergo, forse ciprendono per i fondelli? Forse sì oforse ni.

Sta di fatto che, sempre in tema discomodi numeri, la Banca d’Italia in-forma che nel solo mese di febbraio ildebito pubblico è lievitato di “ap-pena” 21,5 miliardi, mentre nelprimo bimestre del 2016 le entrate tri-butarie sono cresciute di ben il 6,6 percento. Evidentemente le impressio-nanti riforme epocali introdotte dalpremier Renzi non hanno ancora di-spiegato i loro effetti benefici sulPaese dei gufi. O magari, come accadea gran parte dell’Europa, sono glistessi numeri cinici e bari che proprionon ci capiscono e si ostinano a gu-fare il grande condottiero fiorentino.

La spending review di Paperopoli

Nell’introduzione all’EsortazioneApostolica post-sinodale sulla fa-

miglia, di Papa Francesco, denominataAmoris laetitia, si legge: “Gesù insegnache non siamo noi a dover morire (ouccidere) per lui, per difenderlo, ma cheè lui a morire per noi, per salvarci”.

L’introduzione è stata curata da duesociologi dell’Università Cattolica diMilano, non dal Pontefice. L’intero Do-cumento è l’occasione per una prima,sommaria, riflessione sui modi di con-cepire, nelle diverse religioni, il ruolodella famiglia e del matrimonio. L’Esor-tazione ricorda che nella tradizione cri-stiana c’è stata anche la sottomissionedella donna al marito, in base alla notainvocazione di San Paolo: “Le moglisiano sottomesse ai loro mariti (Ef5,22)”. Ma - aggiunge Paolo - “i maritihanno il dovere di amare le mogli comeil loro corpo (Ef 5,28)”.

Di questa idea arcaica di unione co-niugale il documento papale del 19marzo non ha più traccia, mentre SanPaolo è ricordato soprattutto per il suo

“Inno alla Carità”, che collega l’amoreal matrimonio in questi termini: “Lacarità è paziente, benevola, non è invi-diosa, non si vanta, non si gonfia d’or-goglio, non manca di rispetto, noncerca il proprio interesse, non si adira,non tiene conto del male ricevuto, nongode dell’ingiustizia ma si rallegra dellaverità. Tutto scusa, tutto crede, tuttospera, tutto sopporta (1 Cor 13,4-7)”.

È su queste basi che si può salvarela famiglia, per il Papa, applicando ilprincipio della misericordia, senza im-porre regole, precetti dottrinari e impe-rativi categorici. Chi si aspettava uninsieme di comandamenti e sanzioni ri-gide è rimasto deluso. Il documento,

pur ribadendo la difesa dell’embrione,la contrarietà all’aborto, alle unioniomosessuali e alla Pma eterologa, si li-mita a proporre la disciplina del-l’ascolto, per capire ed aiutare tutte lesituazioni di crisi. Senza alcuna discri-minazione. Tutto si regge su un soloprincipio: il vangelo del matrimonio edella famiglia non esiste se non si parlain modo specifico dell’amore. Alla fa-miglia non è attribuita direttamenteuna missione sociale, come capita nellateologia di altre religioni, anche se neldocumento si legge che “la famiglia èl’ambito della socializzazione primaria,perché è il primo luogo in cui si imparaa collocarsi di fronte all’altro, ad ascol-tare, a condividere, a sopportare, a ri-spettare, ad aiutare, a convivere (236)”.“È un’educazione al saper “abitare”oltre i limiti della propria casa”.

Sul punto viene spontaneo il raf-fronto con la teologia della religionemusulmana, dove la famiglia assolveinvece una concreta funzione sociale,al fine di preservare l’unità e conse-guire il successo della religione isla-mica. Per questo, l’unità famigliare

islamica è il primo valore, irrinuncia-bile, da garantire sempre, facendo ri-corso a un catalogo di norme rigorosee stringenti, dotate anche di forza giu-ridica. In vero, per il Corano, le donneche rifiutano di seguire la volontà delmarito creano massimo disordine(Corano IV, 34 e 128), pertanto, nelsolco dell’unità famigliare, la disu-guaglianza tra i sessi diventa lo stru-mento per la conservazione delmatrimonio. È tanto vera questa os-servazione che, per Vercellin, “l’Islamè una religione che ha innalzato la di-suguaglianza tra maschio e femminaad architettura sociale”.

Del resto, nell’Islam la famiglia nonè soltanto la prima cellula della convi-venza tra l’uomo e la donna, ma rap-presenta il primo anello della catenadella socialità collettiva, che si espandedalla famiglia fino alla Umma, pas-sando per il clan, la tribù, la nazione.Per questo è una istituzione fondamen-tale. Qui, la persona conosce il pregiodei valori sociali solo attraverso la fa-miglia che è la struttura sociale natu-rale. Occorre curare la famiglia

affinché l’uomo appaia normale ededucato, poi la tribù come riparo so-ciale e scuola sociale naturale cheeduca l’uomo in ciò che trascende la fa-miglia.

Due approcci molto diversi. Da unaparte l’esigenza d’incoraggiare l’unioneconiugale sulla base dell’amore, dal-l’altra l’obiettivo di conservare l’unitàdella famiglia islamica, come precon-dizione per mantenere unita la comu-nità religiosa e sociale. Due visionistridenti, che devono far riflettere sullemodalità con cui il dialogo interreli-gioso va impostato. Finché il dialogos’intavola tra persone di religione di-versa, il dialogo è possibile ed ha tuttii presupposti per essere fruttuoso. Seinvece si tratta di confrontare dottrineteologiche, rigide e predefinite, l’ope-razione è molto più difficile. Conl’Islam infatti non si confrontano soloregole etiche e teologiche, perchél’Islam oltre ad essere fede e dottrina, èanche, e soprattutto, diritto e politica,tramite cui costruire la comunità isla-mica universale, a partire proprio dal-l’unità delle famiglie.

“Amoris laetitia”, la famiglia secondo Papa Francesco

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Economia

Dopo un’agonia di quattro anni èstato approvato dal Parlamento

europeo il Regolamento Unico inmateria di privacy. I cittadiniavranno un ombrello comune perproteggersi dalle intrusioni indeside-rate nella loro vita privata, ma permolte aziende potrebbe esserci dapagare un conto molto salato.

Da questo momento tuttal’Unione ha una legge comune in ma-teria di privacy e ogni Stato membroavrà due anni di tempo per ade-guarsi. Ormai necessaria per affron-tare le sfide connesse alla gestione deidati nella società dell’informazione,la regolamentazione è arrivata a tra-guardo. Per capire cosa cambierà pergli italiani abbiamo chiesto un com-mento ad Alessandro Curioni,esperto di privacy e sicurezza deidati.

“Nessun cittadino deve aspettarsiuna rivoluzione copernicana - spiegaCurioni - Di fatto il Regolamentosancisce diritti già previsti dall’at-tuale normativa, da pareri delle au-torità garanti e decisioni prese alivello di giustizia europea, come peril diritto all’oblio e la portabilità deidati, per esempio da un operatore te-lefonico all’altro. Dunque non siamodi fronte a grandissime novità”.

Per gli operatori economici, in-vece, cosa cambierà?

“La situazione è molto diversa,perché tutte quelle aziende che finoad oggi avevano trascurato le tema-tiche di sicurezza delle informazioni,adesso, almeno per quanto attiene i

dati delle persone fisiche, avrannomolto da fare e da spendere. Il Rego-lamento introduce obblighi in mate-ria di sicurezza piuttosto pesanti. Apartire dal vincolo di prevedere itemi di tutela della privacy in qual-siasi operazione di trattamentovenga effettuata sui dati, per prose-guire con l’obbligo di notifica al-l’Autorità garante di eventualiincidenti che compromettano la si-curezza di tali dati e finire con la no-mina di un responsabile dellasicurezza dei dati. In generale vienerichiesto un monitoraggio costante ela capacità di dimostrare che sia ef-fettivo. Per questa ragione all’internodel Regolamento si incentiva l’ado-zione di certificazioni idonee allo

scopo. A questo si aggiunge iltema di un regime sanzionatorioben diverso da quello attualecon multe che possono arrivareal 4 per cento del fatturato”.

Quindi per le aziende c è sol-tanto il bastone e non la carota,giusto?

“Il vantaggio per gli operatoripiù grandi, soprattutto se multi-nazionali, sarà quello di avereuna normativa armonizzata conla quale confrontarsi e di potere fareriferimento ad un’unica Autorità ga-rante, quella del Paese che eleggeràcome sua sede principale. Le piccoleaziende beneficeranno di un princi-pio di semplificazione degli obblighi.

Per esempio, qualora il trattamentodei dati personali non sia l’attivitàpredominante e non sussistano gravirischi, potranno evitare di nominareil responsabile per la sicurezza deidati”.

Alla fine è arrivata la Privacy europea

Lo Stato italiano è così ostile allaconcorrenza da non promuo-

verla nemmeno laddove sarebbe ob-bligatorio farlo. Si prenda laproroga continua delle concessionidemaniali marittime, in contrastocon la direttiva Bolkestein. O il casodel monopolio ancora vigente in Ita-lia per l’attività di intermediazionedei diritti d’autore. Una legge ap-provata nel 1941 obbliga ancora adautori e editori di affidare i loro di-ritti d’autore in via esclusiva allaSiae. Questo monopolio è statospesso difeso sulla base di preteseeconomie di scala, nell’intermedia-

zione dei diritti: ma paradossal-mente la Siae produce meno guada-gni, per gli autori, di quanto nonavvenga in Inghilterra, dove i dirittisono gestiti da imprese in concor-renza. Per di più, la Siae è stata sot-toposta a gestione commissariale

nel 2011: non un bel biglietto da vi-sita, sotto il profilo dell’efficienzagestionale.

Il progresso tecnologico ha messoin crisi il vecchio rapporto artisti-editori-consumatori. Ma, mentre imeccanismi di sfruttamento econo-mico delle opere musicali si ade-guano alle nuove tecnologie, la Siaecontinua a pensare che il suo lavorosia una questione di “bollini” appic-cicati su libri o compact disc.

È appena scaduto il termine perrecepire la direttiva europea che sta-bilisce la libertà di scelta del gestoreper i titolari dei diritti d’autore.Nemmeno l’obbligo europeo ha tut-tavia convinto il governo italiano

che non c’è alcuna ragione per sot-trarre alla concorrenza un settoreche non presenta motivi di superioreinteresse pubblico.

Il ministro dei Beni culturali,Dario Franceschini, ha dichiarato afine marzo in Parlamento che la di-rettiva lasciava due alternative al-l’Italia: riformare la Siae oliberalizzare il mercato. Al mo-mento, nessuna delle due è stata an-cora intrapresa, ma delle due èchiaro quale sia la più sgradita. LaSiae resta dove sta dai tempi del fa-scismo, salvata negli anni da mag-giori incassi derivanti, ad esempio,dall’iniqua tassa sull’equo com-penso, e al tempo stesso autori ed

editori devono continuare a iscri-versi obbligatoriamente all’ente, sevogliono vedersi riconosciuti e tute-lati i diritti di sfruttamento econo-mico sulla diffusione delle loroopere. E nondimeno, di aprire allaconcorrenza il ministro pare nonavere intenzione.

Se però l’obiettivo finale è, comepare dalle parole dello stesso Fran-ceschini, quello di “andare versouna dimensione europea”, la stradacorretta non può che essere l’altra,l’unica compatibile con l’idea stessadi mercato unico europeo, dove lacompetizione è la garanzia miglioreper la circolazione dei beni e dei di-ritti, compresi quelli immateriali.

Siae: resistenza fino all’ultimo monopolio

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Si sono accusati a vicenda, gli azerida una parte e le autorità del Na-

gorno-Karabakh dall’altra, della viola-zione del cessate il fuoco che hariacceso drammaticamente nei giorniscorsi il conflitto mai sopito tra Azer-baigian e Repubblica del Nagorno-Ka-rabakh, provocando numerosi mortitra i due schieramenti. Gli osservatoristranieri hanno difficoltà a capire la di-namica dell’accaduto e resta un misteroanche il numero preciso delle vittime:quello che è certo è che lungo la caldis-sima frontiera si sono affrontati carriarmati, elicotteri e l’artiglieria pesantecon i razzi Katiuscia. Le fonti delleforze di autodifesa dei secessionisti aStepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, sostengono di aver uccisoalmeno 200 soldati di Baku, tra i qualidiversi elementi delle truppe speciali; ilportavoce del ministero della Difesaazero parla invece di 100 caduti nemicie molti mezzi distrutti. Sono stati col-piti però anche insediamenti civililungo la frontiera, molte case sonostate distrutte e ci sarebbero anche vit-time innocenti tra la popolazione.

Lo scoppio delle ostilità ha sorpresoanche la Russia, che è il garante dellafragile tregua nel Nagorno-Karabakh eche si è subito attivata. Il presidenterusso Putin ha rivolto un appello pub-blico ai presidenti dell’Armenia, SeržSargsyan - la popolazione del Nagorno-Karabakh è di origine armena e sonostrettissimi i rapporti tra Erevan e la re-pubblica secessionista - e dell’Azerbai-gian, Aliyev, sollecitando un immediatocessate il fuoco e li ha invitati ad usarela massima moderazione per impedirealtre vittime. Il ministro della Difesarusso, Sergey Shoygu, ha inoltre telefo-nato ai colleghi sia di Baku che di Ere-van ed ha messo a disposizione letruppe russe che si trovano nell’area percreare una zona cuscinetto tra i due

schieramenti. Mosca schiera in Arme-nia una brigata aerea con i nuovissimiMig 29S presso la base aerea di Erebunia pochi chilometri dalla capitale Erevane la 102 Divisione dell’Esercito russo èdi stanza nella città di Gyumri, nellaparte nord occidentale del paese.

Il riacuirsi del conflitto in Nagorno-Karabakh preoccupa non poco ilCremlino, che vuole evitare un altrofronte caldo alle porte di casa, con lacrisi ucraina ancora da archiviare, laguerra in Siria e le tensioni con la Tur-chia ancora vive.

Il Nagorno-Karabakh è una polve-riera sin dai tempi di Stalin, che nel1923 volle assegnare all’Azerbaigianmusulmano l’enclave popolata in pre-valenza da armeni cristiani. Con la dis-soluzione dell’Unione Sovietica, nel

1988 gli armeni del Nagorno-Kara-bakh decisero di staccarsi dal controllodi Baku per riunirsi alla madre Arme-nia. Le autorità di Baku ovviamenterespinsero le istanze secessioniste delNagorno-Karabakh e iniziarono scon-tri tra le due fazioni che ben presto as-sunsero le forme di un conflitto etnico,coinvolgendo direttamente anche l’Ar-menia che inviò uomini e armi nel Na-gorno-Karabakh.

La drammatica guerra tra armeni eazeri è durata fino al maggio del 1994,quando a Biškek, capitale del Kirghi-zistan, venne firmato tra Armenia,Azerbaigian e Nagorno-Karabakh,l’“Accordo di Biškek”, che prevedevail cessate il fuoco tuttora in vigore. Illungo conflitto ha provocato la mortedi oltre 30mila persone, moltissimi ci-

vili, tra i quali donne e bambini,80mila feriti, tra cui numerosissimiamputati, e centinaia di migliaia diprofughi. In Armenia non sono rimastipiù azeri e dall’Azerbaigian sono scap-pati gli armeni. Da quella data i rap-porti tra Erevan e Baku non si sonomai rasserenati, malgrado i frequentiincontri tra le autorità dei due Paesi egli sforzi di mediazione internazionali,primi tra tutti quelli di Mosca. Il Na-gorno Karabakh resta formalmenteun’enclave azera - Baku non ha maiaccettato l’autoproclamatasi repub-blica - che però è di fatto indipendente,con forti legami con l’Armenia.

E la frontiera continua ad essere vi-gilatissima da parte dei militari deidue schieramenti, con sporadici epi-sodi di cecchinaggio tra i due lati, in

una sorta di conflitto congelato. Sullasituazione in Nagorno-Karabakh sisono succedute commissioni dell’Onuche hanno perfino approvato all’una-nimità risoluzioni mai poi applicate;l’Osce, l’organizzazione per la sicu-rezza e la cooperazione in Europa, hacostituito nel 1995 il Gruppo di Minskallo scopo di incoraggiare una solu-zione pacifica e negoziata del conflitto,che però stenta a trovare una quadratra i due contendenti. Forze di inter-posizione, prevalentemente russe, sonostate poi dispiegate dopo ogni viola-zione del cessate il fuoco e ce ne sonostate diverse da entrambe le parti.L’unica cosa che si è riuscita a ottenerein quasi trent’anni è stata una treguadavvero precaria. Lo schieramento diarmi e uomini al confine è massiccio.L’Armenia è sostenuta dalla sua nu-merosa diaspora in tutto il mondo edalla Russia; la Repubblica islamicadell’Azerbaigian ha nella Turchia, concui il Paese vanta storici legami e unalingua simile, il più stretto alleato.

Ankara non ha mancato recente-mente di esprimere aperte critiche versol’Armenia, accusata di fomentare il con-flitto contro Baku, attraverso le miliziedel Nagorno-Karabakh. Secondo fontidell’intelligence russa, non verificate,Erdogan avrebbe perfino ordinato aisoldati turchi di rafforzare le posizionisulla frontiera con l’Armenia. E quandosi parla di Turchia e Armenia il ricordova al martirio di oltre 1,5 milioni di ar-meni, il cui centenario è stato celebratolo scorso aprile con una solenne messaa San Pietro da Papa Francesco.

Il Pontefice ha in programma, trapochi mesi, una visita pastorale inquella parte del mondo e toccheràanche l’Armenia. C’è da augurarsi cheil messaggio di pace che il Papa por-terà a quelle genti venga ascoltato dachi ha il potere di far cessare le osti-lità. Il mondo ha bisogno di pace nondi nuovi conflitti.

Esteri

Venti di guerra nel Caucaso

Di tutte le numerose dichiarazioniscioccanti pronunciate da Donald

Trump nel corso della sua campagnaelettorale, la più importante è quellache riguarda il suo potenziale ruolo dipresidente degli Stati Uniti.

Ai commenti espressi in merito alfatto che il personale militare ameri-cano potrebbe rifiutarsi di disobbedireagli ordini illegali dati da DonaldTrump – se egli diventasse presidente– di torturare i prigionieri e uccidere icivili, il candidato repubblicano ha re-plicato minacciosamente: “Non si ri-fiuteranno di farlo. Non lo faranno,credetemi”. Rispondendo alle critichemosse dal presidente della Camera,Trump ha usato toni da boss mafioso:“Paul Ryan, io non lo conosco bene,ma sono sicuro che andrò d’accordocon lui. E se così non fosse, la paghe-rebbe cara”. Lamentandosi del fattoche il prestigio internazionale degliStati Uniti è diminuito, Trump ha pro-messo di far sì che gli stranieri “ri-spettino il nostro Paese” e “il nostroleader” creando “un’aura di persona-lità”. Per quanto riguarda i media, cheegli disprezza, Trump ha detto: “Ap-plicherò le leggi sulla diffamazione, inmodo che quando verranno scritti ar-ticoli deliberatamente negativi, orribilie falsi, possiamo citare i responsabiliin giudizio e ottenere un sacco di soldidi risarcimento”.

Egli esorta i partecipanti ai suoi co-mizi ad aggredire fisicamente chi lo cri-tica e si offre di coprire le loro speselegali. Per due volte ha retwittato unmessaggio di un nazista americano.Solo dopo aver ricevuto una serie dipressioni egli ha preso le distanze dal-l’appoggio che David Duke e il KuKlux Klan gli avevano offerto. (Trumptiene sul comodino una copia di My

New Order, raccolta dei discorsi diAdolf Hitler; ha invitato i suoi soste-nitori a giurargli fedeltà, evocandol’Hitlergruß, il saluto di Hitler).

In questi e in altri modi, il candi-dato in corsa per la nomination re-pubblicana alla Casa Bianca supera ilimiti della decenza politica ameri-cana. Egli vuole che l’esercito, il Con-gresso, i governi stranieri, la stampa ei cittadini ordinari si sottomettano allasua volontà. Ciò che conta sono le suepretese e non gli ammuffiti documentidel XVIII secolo. Trump si presentacome un miliardario, un imprenditoreabile nel concludere affari e un nazio-nalista, che mette in atto quanto pro-posto, costi quel che costi.

I conservatori hanno notato queste

tendenze. Rich Lowry della NationalReview osserva: “Donald Trump vivein un mondo dove non esiste un Con-gresso né una Costituzione, senzacompromessi e limiti, dove regnanosoltanto la sua volontà e il suo teamdi esperti”. Michael Gerson del Wa-shington Post concorda: ”La sua ri-sposta a quasi ogni problema è luistesso: la sue capacità di negoziazione,la sua determinazione, la sua impa-reggiabile comprensione della volontànazionale”. Jeff Jacoby del BostonGlobe teme che diventi “un inflessibileleader della Casa Bianca che non os-serva norme costituzionali e regole de-mocratiche”.

I liberal sono d’accordo. Carl Ber-nestein, famoso per aver svolto un’in-

chiesta sullo scandalo Watergate, hadefinito Trump “un nuovo tipo di fa-scista nella nostra cultura” e con “ideeautoritarie e demagogiche”. SecondoHillary Clinton, Trump sta percor-rendo “la strada della demagogia” ,sfruttando la xenofobia, la paranoia, ipregiudizi e il nazionalismo “per so-billare davvero la gente”.

Se questo tipo di politica è senzaprecedenti nelle alte sfere del mondopolitico americano, esiste però altroveè ha un nome: neofascismo.

Il termine fascismo risale al 1915,anno in cui è stato adottato da BenitoMussolini per descrivere un nuovomovimento che combinava elementidi destra (nazionalismo) e di sinistra(uno Stato onnipotente sul piano eco-

nomico). Secondo la definizione deldizionario americano Merriam-Web-ster, il fascismo è caratterizzato dalla“preminenza della nazione e spessodella razza sull’individuo, da un go-verno centralizzato e autocratico gui-dato da un leader dittatoriale, unagrave irreggimentazione economica esociale e una soppressione coatta del-l’opposizione”.

Il termine neofascismo, che si ap-plica a personaggi degli anni succes-sivi al 1945 che riprendono glielementi del programma fascista, è unmovimento politico “caratterizzato dapolitiche volte a integrare i principifondamentali del fascismo (…) nei si-stemi politici esistenti”. Questa defini-zione si applica perfettamente aTrump. I video di Mussolini mostranocome lo stile del dittatore italiano an-ticipi quello del leader repubblicano.Anche senza conoscere l’italiano, sivede la loro somiglianza nel caratteree nei toni, anche nelle espressioni fac-ciali. L’eminente storico Andrew Ro-berts vede in Mussolini “il modellosegreto di Trump”.

Gli Stati Uniti, che sono la più vec-chia repubblica democratica delmondo, si trovano a dover fronteg-giare un pericolo interno diverso datutti quelli affrontati negli ultimi 150anni, un pericolo che potrebbe degra-dare la vita nazionale e rovinare la re-putazione del paese nel mondo. Nonc’è nulla di più importante dell’op-porre resistenza a Donald Trump esconfiggere lui e il virus neofascistache egli vuole portare alla CasaBianca. Noi, repubblicani della Pen-nsylvania abbiamo una missione im-portante da svolgere nelle primarie del26 aprile: dobbiamo fare la nostraparte per privare Trump dei delegatidi cui ha bisogno per diventare il no-stro candidato alle presidenziali.

La politica di Trump ha un nome: neofascismo

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Cultura

Quanto sono lontani i... vicini? Avolte, anche anni luce. Come un

altro pianeta, che fa la ruota attornoad un sole lontano, confinato inun’altra galassia. Ecco, “I Vicini”,commedia farsesca, illusionista e sur-reale di Fausto Paravidino (autore,regista e attore protagonista), che vain scena al Piccolo Eliseo di Romafino al 24 aprile, è - diciamo così -una felice rappresentazione dell’uni-verso parallelo dell’inconscio. Di uo-mini e donne, cioè, intrappolati inuna sorta di adolescenza malata,aliena e avulsa dalle responsabilitàdell’età adulta, malgrado chel’anagrafe, in realtà, reclami daloro esattamente l’opposto. L’Al-trove, minaccioso, misterioso e stre-gato è lì, appena fuori dalla porta,spalmato sul calpestio del pianerot-tolo di casa. Un coppia giovane,convivente e senza figli assiste all’in-sediamento di un’altra coppia di vi-cini più o meno coetanei, subentratinell’appartamento accanto a un vec-chia proprietaria, morta sola, clau-strofobica e barricata per tutta la suavita in quella casa, che nessuno avevamai visitato o visto.

Perfino quando “Lui” (Paravi-dino) si era azzardato una tantum achiederle del sale, bussando ripetuta-

mente alla sua porta, aveva ottenutoin cambio lunghi silenzi e un elo-quente giro di chiavi multiplo, che

doveva porre la parola“fine” a qualunque altraaspettativa o ipotesi dibuon vicinato. Cambie-ranno ora le cose, vistoche i nuovi venuti sem-brano una coppia nor-male, anch’essa senzafigli? Ma com’è in-quietante quella primapresentazione di “Lei”,Greta, che va a trovareda sola i nuovi venuti,restando in quella casamolto più del previsto;mentre l’Altra, Chiara,la nuova vicina, si affac-cia in sottoveste e baciaalla sprovvista Lui, pe-rennemente avvolto inun pigiama raffazzo-nato, un po’ da remini-scenze carcerarie, un po’da abbigliamento di unacasa di cura per malattiementali. Ma anche glialtri, i subentranti al-l’anziana vicina, hanno

la stessa tendenza a mostrarsi senzaveli.

Anzi: il primo trittico a quattrovede le due donne carezzarsi amore-volmente su un di-vano a tre posti, dicui il terzo lateraleè saldamente pre-sidiato dal vicino,uomo rozzo e di no-tevole stazza, men-tre Lui si aggirasmarrito per il sa-lotto, non sapendobene che cosa fare edire. Poi, è tutto unuscire e tornare diLei, Greta, di cuinessuno saprà beneche cosa faccia e diche cosa vivano idue conviventi pro-tagonisti, frugati afrugarsi nell’animo(e mai nelle tasche)di un rapporto invo-luto, inceppato incui i ruoli sono con-fusi, poco chiari.Lui, che prepara incucina e che fa la

spesa; Lei che siassenta a lungo,tornando a serainoltrata. E l’altracoppia? Si contrad-distingue per unrapporto altret-tanto ambiguo tra idue, con l’uomoche cerca lo scon-tro verbale e fisicocon “Lui” (Paravi-dino. Qui si notis imbol icamentecome le figure fem-minili abbiano unnome, al contrariodi quelle maschili),per far riaffiorarelo spirito del ma-schio, di colui chefa, decide e prende,piuttosto che gi-rare a vuoto e la-sciarsi guidare permano da Greta,vittima e carnefice

come tutte le donne forti, che poi sirivelano debolissime.

Affrante e atterrite, come in que-sto caso, dal fantasma della vicina

scomparsa, che crea angosce ante-riori e viene proiettata di notte e digiorno come un’entità misteriosa chesta dentro le mura confinanti: di leiscomparsa, della sua vita ignotanulla si conosce eppure qualcosa, omolto, traspira attraverso le pareti;riecheggia nel vuoto esistenziale diuna giovane donna che non sa, o nontrova la chiave giusta, per costruirsiun futuro con il suo uomo, lascian-dosi coinvolgere nei meccanismi asfondo erotico di Chiara e di suo ma-rito. Paravidino prova a far riderecon la sua recitazione approssima-tiva, quasi casuale e una voce pro-fonda, sincopata da marziano: unfolletto imprevedibile che sembra vo-lerci dire, nel suo modo un po’ ellit-tico, che gli estranei a noi stessisiamo proprio Noi! E lo fa mi-schiando le carte di due coppie di vi-cini coetanei e senza figli (moltosintomatico, quest’ultimo aspetto!),per cui la tendenza è proprio quelladi restare infantili ben oltre l’età del-l’adolescenza.

Come si è Lui? E come si è Lei? Ilproblema, forse, è divenire genitoridi se stessi, al fine di mettere fine aquell’allattamento artificiale cui sem-bra averci abituato per tutta la vitauna modernità malvissuta e male in-terpretata! Insomma, spettacolo unpo’ complicato ma di certo molto in-teressante.

“Vicini”... ma non troppo

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