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52 GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 2013 DI A R I O DI REPUBBLICA tica di autoriduzione violenta, spinta sino all’esproprio, prati- cata dai gruppi dell’ “autonomia operaia” (gli stessi che stritola- rono le potenzialità dell’ala creativa del movimento del ’77). Altre osservazioni possono ri- F orse, davanti alle pole- miche di questi giorni sulle proteste contro la Tav, occorre superare il fastidio per il riemer- gere di retoriche e stilemi che credevamo sepolti con gli anni Settanta. Forse occorre ritorna- re ancora su discrimini fondan- ti: su ciò che divide la battaglia quotidiana per consolidare i di- ritti e la democrazia dalle derive che possono indebolirla o insi- diarla. A un primo sguardo è cer- to facile tracciare il confine fra le forme illegali e violente di lotta e quelle pacifiche e lecite: anche quelle più “estreme”, come gli scioperi della fame portati quasi oltre il limite o quelle forme di dissenso in climi ostili che espongono a ritorsioni – esse sì – violente (come avvenne nelle lotte per i diritti civili nel sud de- gli Stati Uniti e in molti altri casi). Sarebbe salutare, anche, che fossero molto più diffuse le ricer- che sulle potenzialità di forme non violente di lotta anche di fronte a dittature feroci: ha ini- ziato a farlo molti anni fa Jacques Sémelin per l’Europa occupata dalla Germania nazista (Senz’ar- mi di fronte a Hitler), da noi lo ha fatto anche di recente Anna Bra- vo muovendosi fra Italia e Tibet, India e Kossovo (La conta dei sal- vati): e sottolineando la forza dissacratrice dell’ironia, la sua capacità di accendere la poten- zialità realmente eversive della fantasia, non dei roghi. Con altrettanta evidenza, inoltre, la parola sabotaggio evo- ca sconfitta, debolezza o addirit- tura impossibilità di esistere del movimento collettivo. Così fu nelle campagne italiane di fine Ottocento ai primi albori del no- stro movimento sindacale (che spesso ha nelle campagne ap- punto la sua origine): erano se- gnale di debolezza o di impoten- za gli incendi dei fienili o il dan- neggiamento notturno dei rac- colti. E lo fu anche il loro isolato riemergere, sconfessato dalle organizzazioni sindacali, all’in- domani delle sconfitte del se- condo dopoguerra, nel clima della guerra fredda. Per molti versi inoltre il passaggio a forme violente è la negazione, non la prosecuzione della mobilitazio- ne e della presa di coscienza. Agli inizi degli anni settanta, ad esempio, la autoriduzione col- lettiva del pagamento delle bol- lette di luce, gas o telefoni fu am- piamente organizzata da comi- tati di quartieri, organizzazioni sindacali, gruppi di base: alla fi- ne del decennio la possibilità stessa di riprendere quelle for- me di lotta fu stroncata dalla pra- leninista. A ciò si aggiunse negli anni settanta un altra tragica di- storsione. Com’è del tutto ovvio il problema delle forme di lotta si pone in forme radicalmente di- verse nelle democrazie o nei re- gimi totalitari (per non parlare, di nuovo, dell’Europa occupata della seconda guerra mondiale, quando la lotta armata fu inte- grata dalle forme più diverse di sabotaggio: un modo per esten- dere, non per restringere la par- tecipazione alla Resistenza). Il dramma degli anni di piombo iniziò proprio dalla negazione, tendenziale o drastica che fosse, di questa distinzione: in Germa- nia come in Italia nell’ideologia e nella propaganda delle na- scenti organizzazioni terroristi- che fu centrale l’idea di vivere or- mai in uno stato autoritario, se non totalitario, o avviato ad es- serlo (intrecciata, naturalmen- te, al mito della rivoluzione). Da questa convinzione inizia il per- corso che porta Giangiacomo Feltrinelli sino al traliccio di Se- grate, e anche di questo parla un documento delle future Brigate rosse redatto all’indomani della strage di piazza Fontana. A ciò si intrecciarono vie in qualche modo “intermedie”: al- l’inizio del decennio, nel clima guardare poi il rozzo pedagogi- smo giacobino dell’“atto esem- plare”: vi è al fondo la sottovalu- tazione se non il dispregio della capacità di azione autonoma dei cittadini e – sotto altre spoglie – il vecchio mito della avanguardia ANNA BRAVO La conta dei salvati Laterza 2013 ERNESTO CHE GUEVARA La guerra di guerriglia Dalai 2003 JACQUES SÉMELIN Senz’armi di fronte ad Hitler Sonda 1999 ANTONIO NEGRI Il dominio e il sabotaggio Feltrinelli 1978 CRISTIANO ARMATI (a cura di) Il libretto rosso dei partigiani Purple Press 2009 ANTONIO GRAMSCI Scritti scelti Bur 2007 Nel tempo della lotta Il Saggiatore 2013 MANUEL V. MONTALBÁN Sabotaggio olimpico Feltrinelli 2006 ORIANA FALLACI Saigon e così sia Bur 2010 MARTIN SPROUSE (a cura di) Sabotaggio negli Usa Derive Approdi 1998 LIBRI T utto è diventato politica. Dalla piazza del Rossio, nel cuore di Lisbona, fino all’angolo più remoto della provincia, non ci sono più un centimetro di muro né un cartello stradale né il piedistallo di una sta- tua senza il suo slogan politico. «Unità sindacale», chie- dono a caratteri cubitali i comunisti. «Viva Cristo Re», dice la reazione cattolica. «Il voto è l’arma del popolo», dicono i liberali. Gli anarchici correggono: «L’arma è il voto del popolo». Due pescatori pescano a loro piaci- mento in quel fiume dalle acque torbide. Uno è la bi- gotteria universale. L’altro è la reazione, con i suoi espedienti immensi e i suoi complici imboscati, che fi- nanziano azioni di sabotaggio in nome di Dio e sca- gliano bombe di notte contro i negozi e stanno avvele- nando il mondo intero con l’infame diceria secondo cui il tranquillo e bel Portogallo delle canzoni è andato in malora. SILLABARIO SABOTAGGIO GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ Le polemiche recenti sulle azioni contro la Tav in Val di Susa riaprono la questione del confine tra diritto al dissenso e forme illegali di opposizione Sono lotte che testimoniano debolezza invece che forza sconfitta, addirittura impossibilità di esistere del movimento collettivo Debolezza Una tragica distorsione che si verificò negli anni Settanta La negazione della differenza tra una democrazia e uno stato totalitario Distorsione GUIDO CRAINZ ALLEGORIA Sopra, un’allegoria contro i sabotaggi anarchici alle ferrovie, sul Petit Journal del 1911. Sotto, un treno francese sabotato dai tedeschi nella Renania (1923). In alto a sinistra, illustrazione inglese sulle proteste luddiste © RIPRODUZIONE RISERVATA Quando le proteste diventano violenza SABOTAGGIO

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■ 52

GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

DIARIODI REPUBBLICA

tica di autoriduzione violenta,spinta sino all’esproprio, prati-cata dai gruppi dell’ “autonomiaoperaia” (gli stessi che stritola-rono le potenzialità dell’alacreativa del movimento del ’77).

Altre osservazioni possono ri-

Forse, davanti alle pole-miche di questi giornisulle proteste contro laTav, occorre superareil fastidio per il riemer-

gere di retoriche e stilemi checredevamo sepolti con gli anniSettanta. Forse occorre ritorna-re ancora su discrimini fondan-ti: su ciò che divide la battagliaquotidiana per consolidare i di-ritti e la democrazia dalle deriveche possono indebolirla o insi-diarla. A un primo sguardo è cer-to facile tracciare il confine fra leforme illegali e violente di lotta equelle pacifiche e lecite: anchequelle più “estreme”, come gliscioperi della fame portati quasioltre il limite o quelle forme didissenso in climi ostili cheespongono a ritorsioni – esse sì –violente (come avvenne nellelotte per i diritti civili nel sud de-gli Stati Uniti e in molti altri casi).Sarebbe salutare, anche, chefossero molto più diffuse le ricer-che sulle potenzialità di formenon violente di lotta anche difronte a dittature feroci: ha ini-ziato a farlo molti anni fa JacquesSémelin per l’Europa occupatadalla Germania nazista (Senz’ar-mi di fronte a Hitler), da noi lo hafatto anche di recente Anna Bra-vo muovendosi fra Italia e Tibet,India e Kossovo (La conta dei sal-vati): e sottolineando la forzadissacratrice dell’ironia, la suacapacità di accendere la poten-zialità realmente eversive dellafantasia, non dei roghi.

Con altrettanta evidenza,inoltre, la parola sabotaggio evo-ca sconfitta, debolezza o addirit-tura impossibilità di esistere delmovimento collettivo. Così funelle campagne italiane di fineOttocento ai primi albori del no-stro movimento sindacale (chespesso ha nelle campagne ap-punto la sua origine): erano se-gnale di debolezza o di impoten-za gli incendi dei fienili o il dan-neggiamento notturno dei rac-colti. E lo fu anche il loro isolatoriemergere, sconfessato dalleorganizzazioni sindacali, all’in-domani delle sconfitte del se-condo dopoguerra, nel climadella guerra fredda. Per moltiversi inoltre il passaggio a formeviolente è la negazione, non laprosecuzione della mobilitazio-ne e della presa di coscienza. Agliinizi degli anni settanta, adesempio, la autoriduzione col-lettiva del pagamento delle bol-lette di luce, gas o telefoni fu am-piamente organizzata da comi-tati di quartieri, organizzazionisindacali, gruppi di base: alla fi-ne del decennio la possibilitàstessa di riprendere quelle for-me di lotta fu stroncata dalla pra-

leninista. A ciò si aggiunse neglianni settanta un altra tragica di-storsione. Com’è del tutto ovvioil problema delle forme di lotta sipone in forme radicalmente di-verse nelle democrazie o nei re-gimi totalitari (per non parlare,di nuovo, dell’Europa occupatadella seconda guerra mondiale,quando la lotta armata fu inte-grata dalle forme più diverse disabotaggio: un modo per esten-dere, non per restringere la par-tecipazione alla Resistenza). Ildramma degli anni di piomboiniziò proprio dalla negazione,tendenziale o drastica che fosse,di questa distinzione: in Germa-nia come in Italia nell’ideologiae nella propaganda delle na-scenti organizzazioni terroristi-che fu centrale l’idea di vivere or-mai in uno stato autoritario, senon totalitario, o avviato ad es-serlo (intrecciata, naturalmen-te, al mito della rivoluzione). Daquesta convinzione inizia il per-corso che porta GiangiacomoFeltrinelli sino al traliccio di Se-grate, e anche di questo parla undocumento delle future Brigaterosse redatto all’indomani dellastrage di piazza Fontana.

A ciò si intrecciarono vie inqualche modo “intermedie”: al-l’inizio del decennio, nel clima

guardare poi il rozzo pedagogi-smo giacobino dell’“atto esem-plare”: vi è al fondo la sottovalu-tazione se non il dispregio dellacapacità di azione autonoma deicittadini e – sotto altre spoglie – ilvecchio mito della avanguardia

ANNA BRAVOLa conta dei salvatiLaterza2013

ERNESTO CHEGUEVARALa guerra di guerrigliaDalai2003

JACQUESSÉMELIN Senz’armi difronte ad HitlerSonda1999

ANTONIONEGRIIl dominio e il sabotaggioFeltrinelli1978

CRISTIANOARMATI(a cura di) Il libretto rossodei partigianiPurple Press2009

ANTONIOGRAMSCIScritti sceltiBur2007

Nel tempodella lotta Il Saggiatore2013

MANUEL V.MONTALBÁNSabotaggioolimpicoFeltrinelli2006

ORIANAFALLACISaigon e così siaBur2010

MARTINSPROUSE(a cura di)Sabotaggionegli UsaDerive Approdi1998

LIBRI

Tutto è diventato politica. Dalla piazza del Rossio,nel cuore di Lisbona, fino all’angolo più remotodella provincia, non ci sono più un centimetro di

muro né un cartello stradale né il piedistallo di una sta-tua senza il suo slogan politico. «Unità sindacale», chie-dono a caratteri cubitali i comunisti. «Viva Cristo Re»,dice la reazione cattolica. «Il voto è l’arma del popolo»,dicono i liberali. Gli anarchici correggono: «L’arma è ilvoto del popolo». Due pescatori pescano a loro piaci-mento in quel fiume dalle acque torbide. Uno è la bi-gotteria universale. L’altro è la reazione, con i suoiespedienti immensi e i suoi complici imboscati, che fi-nanziano azioni di sabotaggio in nome di Dio e sca-gliano bombe di notte contro i negozi e stanno avvele-nando il mondo intero con l’infame diceria secondocui il tranquillo e bel Portogallo delle canzoni è andatoin malora.

SILLABARIO

SABOTAGGIO

GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ

Le polemiche recenti sulle azionicontro la Tavin Val di Susa riaprono la questione del confinetra diritto al dissensoe forme illegali di opposizione

Sono lotte che testimonianodebolezza invece che forzasconfitta, addiritturaimpossibilità di esisteredel movimento collettivo

Debolezza

Una tragica distorsione chesi verificò negli anni SettantaLa negazione della differenzatra una democraziae uno stato totalitario

Distorsione

GUIDO CRAINZ

ALLEGORIASopra, un’allegoria contro i sabotaggi anarchicialle ferrovie, sul Petit Journal del 1911.Sotto, un treno francese sabotato dai tedeschinella Renania (1923). In alto a sinistra,illustrazione inglese sulle proteste luddiste

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quando le protestediventano violenza

SABOTAGGIO

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LE ORIGINIIl termine “sabotaggio”deriva da “sabot”, ossia gli “zoccoli” usati dai lavoratori ribelli in Francia e Paesi Bassi

La neutralità assolutasi riduce a un vero sabotaggiocome vuole la classe dirigenteScritti scelti, 1914

Antonio Gramsci

Con i sabotaggi si possonoparalizzare interi esercitie bloccare la vita industrialeLa guerra di guerriglia, 1960

Ernesto “Che” Guevara

La civilizzazione è drogaalcol, prostituzione, salari bassicibo cattivo, sabotaggiL’occhio cosmologico, 1939

Henry Miller

Le tappe

Gli autori

IL SILLABARIO di Gabriel GarcíaMárquez è tratto dalla raccolta Aruota libera (Mondadori). GuidoCrainz è uno storico italiano, hascritto Autobiografia di una repubbli-ca (Feltrinelli). Lo storico MassimoLuigi Salvadori è autore di Il Nove-cento (Laterza) e L’idea di progresso(Donzelli).

I Diari online

TUTTI i numeri del “Diario” di Repub-blica, comprensivi delle fotografie e deitesti completi, sono consultabili su In-ternet in formato pdf all’indirizzo webwww.repubblica.it. I lettori potrannoaccedervi direttamente dalla homepa-ge del sito, cliccando sul menu “Sup-plementi”.

OGGITornano alla ribaltai sabotaggi anti TavPolemiche per le frasi di alcuni intellettualicome De Luca e Vattimo

LOTTA AMBIENTALISTANegli anni gli ecologistipiù radicali hannocompiuto ancheviolenti sabotaggi come lo svizzero Camenisch

IL LUDDISMOSecondo la leggenda nel 1779 l’operaio Ned Ludd distruggeun telaio in Inghilterra È l’inizio del “luddismo”

A. DE BENEDETTIL. RASTELLOBinario mortoChiarelettere2013

ÉMILEPOUGETIl sabotaggioMassari2007

KEN FOLLETTCodice a zeroMondadori2000

R. DI NUNZIOU. RAPETTOLe nuoveguerreRizzoli2001

LUTHERBLISSETTMind invadersCastelvecchi2000

GIUSEPPEGAGLIANOProblemi e prospettivedell'ecologiaradicale e dell'eco-terrorismoAracne2012

L’intellettualein rivoltaL'antagonismopoliticoRubbettino2012

GIANNIVATTIMOEcce comuFazi2007

LORISMAZZETTITAV. Il trenodella discordiaAliberti2012

ERIC J.HOBSBAWMStorie di gentenon comuneBur2009

LIBRI

Dal luddismo dell’800 alle rivolte contemporanee

Si racconta che nel 1779 NedLudd, abitante di un borgo del-la contea di Leicester, in Inghil-terra, avesse distrutto un telaio

meccanico, identificato come simbolodei nuovi e perversi strumenti tecniciche, rendendo obsolete antiche formedi organizzazione del lavoro, aumen-tavano la produttività causando disoc-cupazione e aumentando la già tantodiffusa miseria. Non si sa se Ludd siaveramente esistito, ma in ogni caso,personaggio inventato o meno che fos-se, egli diventò il mitico eroe di coloroche da lui presero il nome di “luddisti”.

Il luddismo fu un movimento ever-sivo di lunga durata con diramazioniinternazionali. Partito dall’Inghilterrae dalla Scozia tra la fine Settecento e gliinizi dell’Ottocento, negli anni se-guenti si diffuse in Francia, in Germa-nia e in Svizzera. La vera e propriaesplosione del luddismo si ebbe inGran Bretagna tra il 1811 e il 1816, conil convergere della protesta di artigianie operai gettati nella più nera dispera-zione dalla marcia della rivoluzione in-dustriale che creava macchine via viapiù progredite e meno bisognose dimano d’opera con una repressione

che assunse tratti implacabili. Le tap-pe decisive della lotta luddista furonole rivolte partite da Nottingham nel1811 e nel 1816, cui risposero la mobi-litazione di migliaia di soldati, i proces-si e le esecuzioni. Nel 1812 venne in-trodotta la pena di morte per i capi de-gli agitatori. A nulla valse l’esortazionealla pietà levata in quello stesso annocon toni solenni e commossi alla Ca-mera dei Lord da Byron, il quale invitòa comprendere le cause della protestadi troppi uomini «magri per la fame,scavati dalla disperazione». Occhi eorecchi dei destinatari rimasero ciechie sordi. La loro logica era la restaura-zione dell’ordine con tutti i mezzi e larisposta furono la prigione, la deporta-zione e le forche. Nel gennaio 1813vennero emesse 17 condanne a morte.Ciò nonostante, nel 1816 – mentre erain atto una congiuntura che stava pe-santemente colpendo la Gran Breta-gna – avendo nuovamente il suo cen-tro a Nottingham ebbe luogo l’estremavampata della rivolta luddista. A Man-chester i soldati aprirono il fuoco com-piendo la “strage di Peterloo”, nellaquale venne ferito e ucciso un gran nu-mero di agitatori. L’impiccagione innovembre del loro leader James Tow-ler fu l’atto simbolico del tramonto edella sconfitta finale del movimentoluddista.

MASSIMO L. SALVADORI

La grande rivolta – testimonianzadella disperata protesta umanamenteeroica levata dalle tante vittime di uninarrestabile progresso tecnologico fi-glio del capitalismo moderno e pronoalla suprema legge del profitto – ebbecosì fine. Essa non aveva e non potevaavere alcun avvenire, poiché la suaaspirazione era la difesa di forme diproduzione destinate ad essere ineso-rabilmente travolte. E del caratterestoricamente indifendibile del loro so-gno di ritorno ad un passato arcaico fi-nirono per prendere infine coscienzavari ribelli luddisti, che, volte alle spal-le alle forme condannate alla sconfittadella loro protesta, entrarono nelle filedi un nuovo mondo della resistenza al-la miseria, che permaneva estrema,generata dal capitalismo delle macchi-ne e dei modi di organizzazione del la-voro che ne conseguivano. Era il mon-do, ancora contraddistinto da incerti eassai difficili inizi, dell’associazioni-smo sindacale e politico che avrebbeavuto le sue espressioni nelle TradeUnions e da ultimo nella creazione delPartito laburista, trovando una spon-da simpatetica nell’intellettualità enella borghesia britannica liberali di

orientamento progressista – di cui tipi-co e illustre esponente fu il grande eco-nomista e riformatore politico JohnStuart Mill – le quali, con una sensibi-lità sociale e politica più sofisticata emoderna, rilanciarono alle classi diri-genti britanniche l’esortazione ina-scoltata levata alla Camera dei Lord daByron.

Il luddismo che potremmo definirestorico ha lasciato molteplici ereditànella società contemporanea, che havisto sorgere e propagarsi vari movi-menti neoluddisti. È comparso – perfare ricorso a etichette molto generi-che ma atte a stabilire una pur somma-ria distinzione – un neoluddismo di si-nistra e un neoluddismo di destra. Ilprimo, che ha venature anarchiche eecologiste, rivolge la sua polemica e lesue azioni dimostrative contro l’attac-co portato dai potentati economici adattività lavorative considerate ancoravitali e soffocate da una distorta mo-dernità; il secondo è improntato alladifesa di tradizioni e costumi che sem-pre questa stessa distorta modernitàminaccia colpevolmente di estinzio-ne. Il comune legame è l’opposizione,con la ripresa di metodi anche violen-ti, a interessi dominanti accusati dimettere in grave pericolo interessi e va-lori ritenuti superiori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA© RIPRODUZIONE RISERVATA

della strategia della tensione e inpresenza di una gestione rigida(e talora irresponsabile) dell’or-dine pubblico, divieti ingiustifi-cati alle manifestazioni favoriro-no chi tendeva ad “innalzare il li-

vello dello scontro” trasforman-do i cortei in atti di guerra. Di quiuna crescente “militarizzazio-ne” dei servizi d’ordine di talunigruppi extraparlamentari: e daqui verranno alla fine del decen-

nio, nel declinare delle speranzedi trasformazione, non pochi di-sperati e giovani flussi verso leorganizzazioni terroristiche.

È sufficiente evocare quel cli-ma per capire quanto ne siamoabissalmente lontani ma in que-sta nostra tragedia è iscritto an-che l’antidoto più forte, solida-mente basato su due cardini. Inprimo luogo la capacità di ali-mentare speranza, di contrap-porre alle possibili derive la for-za e la fiducia nel futuro delle pa-cifiche mobilitazioni collettive.E al tempo stesso il rispetto in-transigente della democrazia, lafermezza nel denunciare ogniabuso anche minimo che possaincrinare la fiducia nello Statodemocratico: quel che è succes-so nel 2001 al G8 di Genova nellascuola Diaz e nella caserma diBolzaneto è stato molto più de-vastante di mille proclami ever-sivi. Per il resto, a leggere alcunedichiarazioni incendiarie deigiorni scorsi – talora non privedei toni dannunziani de Il domi-nio e il sabotaggio di Toni Negri(1978) – vengono solo in mentealcuni versi ironici di JacquesPrévert: «Non bisogna lasciargiocare gli intellettuali con ifiammiferi...».

Durante la rivoluzione industriale il progressotecnico gettava i lavoratori nella più neradisperazione, perché i processi produttivi avevanosempre meno bisogno di mano d’opera

Disperazione

QUEGLI OPERAICONTRO LE MACCHINE