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    1_RIPENSARE IL METAPROGETTO

    di Luisa Collina

    "(…) la produzione di un simile effetto esige dall'artista un raro equilibrio delle sue facoltà: la

     padronanza di sé e il possesso dei mezzi tecnici; l'arte di porsi, nel corso del lavoro, le questioni

     giuste; il condurre simultaneamente un'azione che mira alla precisione e un'altra che tende a provocare la contemplazione, - l'una che si riferisce a un modello presente, l'altra che consulta una

    verità nascosta. Bisogna mantenere un legame sempre molto delicato tra queste ricerche

    indipendenti tra loro."

    Paul Valéry, “Il mio busto” 1935, in Scritti sull'arte, Milano1984, p.173

    L’ideale di “scientifizzazione”, del processo progettuale emerge nell’età moderna. E’ in questo periodo in cui si opera una netta separazione tra mondo delle arti e quello della tecnica e dellemacchine, in cui la cultura si scinde in due rami, che si escludono vicendevolmente: uno scientificoe l’altro artistico. Nell’ambito del primo ramo si studiano i meccanismi del cervello per verificare se

    i processi creativi possano essere replicati da un computer, e si vagheggia, in diversi modi, di un“algoritmo generativo”, sorta di “black box” che, una volta incorporati in maniera corretta gli input(in forma di obiettivi da perseguire e metodi da applicare), è in grado di generare con modalità quasiautomatizzate un output rispondente pienamente ai requisiti definiti all’inizio.

     Numerose sono le pubblicazioni sulla progettazione a partire da un approccio razionale e scientificoche compaiono a pochi anni di distanza, nei primi anni ’60: Morris Asimow scrive  Principi di

     progettazione, S.A. Gregory  Progettazione razionale, Christopher J. Jones Un metodo di progettazione sistemica, Bruce Archer Metodo sistematico per i progettisti. Scritti, che a partire dacampi di interesse e discipline diverse, guardano al progetto, indipendentemente che si tratti diingegneria meccanica, architettura, design o altro, come ad un processo programmabile articolato infasi, lontano dalla visione del genio creativo. Ma non solo. L’ambizione ad una razionalizzazionedel processo progettuale porta all’effettiva introduzione di metodologie provenienti da altriimportanti ambiti scientifici, quali le scienze dell’informazione, la matematica e la statistica.

    Strettamente correlate a tali studi in merito al “funzionamento” del processo creativo e delle regoleche ne stanno alla base, sono le riflessioni sulle modalità di trasmissione del sapere progettuale.La separazione tra arte e tecnica, tra esiti progettuali e metodo, investe anche la sfera didattica,dando avvio ad un dibattito all’interno della cultura del Moderno sui modi di trasmissione delsapere. Il concetto di metodo allude infatti ad una sorta di logica del processo progettuale separatadal proprio oggetto, razionale, codificata e, pertanto, trasmissibile.Claude Lévi-Strauss nei propri studi antropologici pubblicati in Il pensiero selvaggio1 distingue tra

     pensiero mitico e conoscenza scientifica, tra bricoleur e ingegnere. Il bricoleur è colui che “esegueun lavoro con le proprie mani utilizzando mezzi diversi rispetto a quelli usati dall’uomo delmestiere”. L’insieme dei mezzi del bricoleur non è dunque definibile in base ad un progetto. Il

     bricoleur elabora strutture per mezzo di eventi (mezzi artigianali), mentre l’ingegnere elabora eventi(mutare il mondo) attraverso le strutture che fabbrica (le sue ipotesi e le sue teorie: mezziscientifici).Lévi-Strauss nell’evidenziare le differenze tra queste due figure, mette in luce la distinzione tracolui che possiede un metodo, ma che non conosce a priori gli esiti del proprio operare, e il

     bricoleur che, viceversa, conosce gli esiti ma non è dotato di un metodo.Christopher Alexander, analogamente, in  Note sulla sintesi della forma, distingue nelle arti dellacostruzione della forma due tipi di apprendimento: una modalità tradizionale, volta ad assicurare il

    1 Lévi-Strauss, Claude, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano 1964 (I ed. orig. 1962)

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     buon fine attraverso un comportamento pragmatico, come fa il bambino nell’imparare ad andare in bicicletta; e un atteggiamento moderno, che tende a isolare un “metodo” dai suoi risultati specifici,cioè a separare la teoria dall'apprendistato: “Da una parte abbiamo un tipo di insegnamento basatosull'esposizione graduale del mestiere, sulla abilità del novizio di imitare attraverso la pratica, sullasua reazione alle sanzioni, alle penalità, o allo stimolo dei sorrisi e delle minacce. (...) Lacaratteristica più importante di questo tipo di sapere è che le regole non sono esplicite, ma si

    rivelano, praticamente, attraverso la correzione degli errori. Il secondo tipo di insegnamento tenta,in qualche grado, di rendere esplicite le regole. In questo caso il novizio impara molto piùrapidamente, sulla base di «principi» generali.”2 La prima modalità di trasmissione del sapere, quella “tradizionale” (che connota le società non“autocoscienti”), avviene nei secoli attraverso il progressivo affinamento di manufatti per

     piccoli spostamenti fino a generare forme tipizzate e pressoché perfette per il loro ruolo: lacreazione di forma è data in questi casi dall’imitazione e dalla correzione senza esplicitazione diregole; la seconda modalità è propria delle società “autocoscienti” dove è avvenuta la separazionetra forme e metodi progettuali: la creazione di forma è insegnata in questo caso accademicamente,secondo regole esplicite.La nozione moderna di insegnamento tende a focalizzarsi su questa seconda alternativa: sul rendere

    trasmissibili gli aspetti metodologici, gli strumenti conoscitivi, la grammatica del progetto,osservata, sperimentata, validata in diversi campi di applicazione.Alla base di questo approccio vi è il riconoscimento di una componente scientifica, complementarecon le idee di intuizione e di esperienza tramandata negli ateliers; di regole distinte dai risultatigenerati. Un approccio alla didattica della forma, questa, che si manifesta per la prima volta inmodo evidente nel campo dell’architettura con Jean N. Louis Durand, la cui dissezione operata sulcorpo della disciplina dà il via alla separazione moderna tra regole ed esito formale. In antitesi conil sistema classico-barocco, Durand, che insegna -è importante notare- all’ Ecole Polytechnique, nonall’ Ecole des Beaux Arts, sistematizza i nuovi principi architettonici, basati sull’angolo retto, sullecombinazioni di sistemi di coordinate e sulla perfetta eguaglianza delle parti. Il sistemacompositivo, una volta messo a punto, è separato dalla lingua; tutti gli edifici “devono (…) veniretrattati secondo i medesimi principi di fondo, e il “meccanismo” della loro composizione non puòessere diverso3, ma al contempo, lo stesso schema planimetrico può generare edifici in stili del tuttoeterogenei. Il processo progettuale muove infatti a partire dalla pianta e non dalla facciata e gliordini classici, come scrive lo stesso Durand, “non costituiscono affatto l’essenza dell’architettura,(…) la decorazione non è affatto un argomento di cui debba occuparsi l’architettura”, mentre unicocompito dell’architetto è “mettere ordine nello spazio”.Un processo progettuale, quello di Durand, fondato sulla rappresentazione geometrica, e non più

     pittorica e figurativa, che va ad investire anche altri campi disciplinari: il nascere della scienza dellecostruzioni introduce, infatti, la separazione tra il dato fisico e empirico di come un edificio stia in

     piedi e il relativo diagramma statico, schema sintetico dei carichi e delle resistenze.Modi, questi, di definire delle regole astratte, lontane dal dato fisico e dagli aspetti formali, del tuttosimili a quelli perseguiti in epoca moderna. Basti pensare a Jean Baudrillard, che in Système desobjets opera una netta separazione tra metodo e oggetto, ma soprattutto alle esperienze didattichematurate al Bauhaus e successivamente alla Hochschule für Gestaltung di Ulm, prime realtàuniversitarie nel campo del design, in cui si persegue la codifica della disciplina e laformalizzazione di un metodo progettuale astratto. Walter Gropius, primo direttore del Bauhaus dal

    2 Christopher Alexander, “Due criteri di apprendimento radicalmente diversi”, in Christopher Alexander, Note sulla sintesi della forma, Il Saggiatore, Milano 1967 (I ed. orig. 1964), pp. 42-453

     Cfr. Jean N.Louis Durand, Précis des leçons d’architecture données à l’Ecole Polytechnique, ed. Paris 1809 ; EmilKaufmann, Da Ledoux a Le Corbusier. Origini e sviluppo dell’architettura autonoma, Gabriele Mazzotta, Milano 1973, pp. 112-116

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    1919 al 1928, a partire dal 1922 (anno in cui, secondo Tomás Maldonado4, Gropius abbandona la“palude dell’espressionismo” a favore dell’influenza relativa alla morfologia generata da vanDoesburg e da De Stijl) incentra la propria attività di insegnamento sull’”estetica della macchina” esulla tecnica come generatrice del progetto: “La casa e gli arredi domestici rientrano nel fabbisognodi massa, il modo in cui devono essere configurati è più una questione di ragione che di passione”5.In accordo con l’insegnamento di Peter Behrens, diffonde i concetti di serialità, modularità e

    standardizzazione, contro l’idea diffusa di monotonia e di invasività (“C’è altrettanto poco motivodi temere una violenza ai danni dell’individuo da parte della tipizzazione dei prodotti come unacompleta uniformità del vestiario in seguito agli imperativi della moda”6).In generale, la cultura moderna cancella il precedente storico, considerato negativo sul pianodidattico, a favore di un felice e un po’ gelido “grado zero” metodologico; i principi dirazionalizzazione e tipizzazione, ma anche quello di spontaneità7 (nei termini di Rudofsky) eanonimato, sono volti a demolire il culto del singolo talento, del genio, fondando l’opera collettivadel nuovo design, della nuova architettura e della nuova città razionale. Un’impostazione didattica,questa, perseguita anche successivamente, fino alla fine degli anni ’50, inizio anni ’60, con icontributi di Tomás Maldonado, Gui Bonsiepe, Hans Gugelot (il cui modello a fasi è stato adottatonei progetti per Lufthansa e Braun) e Bruce Archer (designer della stessa Hochschule für Gestaltung

    di Ulm e del Royal College of Art) mirati a trasmettere agli studenti un approccio razionale edoggettivo alla progettazione.

     Nel 1968 chiude la Hochschule für Gestaltung di Ulm. Negli stessi anni, un primo bilancio in merito all’apporto della metodologia in campo progettualeoperato inizialmente dagli stessi suoi principali esponenti, porta al riconoscimento dei pericoli legatialla sua adozione incondizionata e dell’impossibilità di individuare, in modo unitario, una modalità

     progettuale di tipo oggettivo, valida nelle diverse realtà.Già Cristopher Alexander, se da un lato riconosce la necessità di superare i procedimenti intuitivi emanifesta l’ambizione ad un processo progettuale razionale in grado di affrontare la complessità dei

     problemi progettuali contemporanei, dall’altro, dalle pagine di Note sulla sintesi della forma del1964, il quadro di fondo che ne emerge è tutt’altro che “deduttivo”. 

    Alexander, a partire dalla propria formazione di matematico, riempie molte pagine del libro di grafie matrici, ma contemporaneamente riconosce come la rispondenza della forma alla funzione non siaimmediatamente deducibile. Un programma non può, infatti, determinare in via meccanica unaforma che “funziona”, poiché questa forma non è contenuta in esso dal punto di vista logico. Si puòtuttavia riconoscere quando essa non “risponde” alle esigenze del suo contesto; in altre parole,quando essa “non funziona”. Facendo l’esempio di una casa, Christopher Alexander rileval’impossibilità di individuare i caratteri di una casa che si adatti perfettamente al proprio contesto,mentre molto più facile è individuare i tipi specifici di “inidoneità” (la cucina difficile da pulire, ladifficoltà di parcheggiare l’auto, ecc.) che si oppongono ad un’idea di rispondenza.“Dovunque si presenta un caso di inadeguatezza entro un insieme, siamo in grado di indicare inmodo specifico ciò che fa difetto e di descriverlo. Si direbbe che in pratica il concetto di idonearispondenza, descrivendo solo l'assenza di tali difetti e quindi lasciandoci senza nient'altro diconcreto a cui riferirci nella spiegazione, possa essere spiegato solo indirettamente; in sostanza, ècome se consistesse nello scarto progressivo di tutte le possibili inidoneità (…).Si obietterà che

    4 Tomás Maldonado, “Bauhaus-Ulm”, in Tomás Maldonado, Disegno industriale: un riesame, Feltrinelli, Milano 1991(I ed. orig. 1976), pp.45-695 Walter Gropius, “Principi della produzione del Bauhaus” in Tomás Maldonado (a cura di), Tecnica e cultura. Ildibattito tedesco fra Bismarck e Weimar , Feltrinelli, Milano 1987, p.2706 Walter Gropius, “Principi della produzione del Bauhaus” in Tomás Maldonado (a cura di), Tecnica e cultura. Ildibattito tedesco fra Bismarck e Weimar , Feltrinelli, Milano 1987, p.2707 nei termini di Rudofsky; cfr. Bernard Rudofsky, Architettura senza architetti : una breve introduzione alla

    architettura "non blasonata" , Editoriale scientifica, Napoli 1977 (ed. orig. 1965) e Bernard Rudofsky, Le meravigliedell'architettura spontanea : note per una storia naturale dell'architettura con speciale riferimento a quelle specie che

    vengono tradizionalmente neglette o del tutto ignorate, Laterza, Bari 1979 (ed. orig. 1977)

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    definire l'adeguata rispondenza come assenza di certe qualità negative non è più chiarificante cheindicarla come presenza di particolari qualità positive. Comunque, sebbene i due modi sianoequivalenti da un punto di vista logico, da quello fenomenologico e pratico sono invece moltodiversi. In pratica, parlare di idonea rispondenza come soddisfazione simultanea di svariati requisiti,non sarà mai altrettanto naturale come identificarlo con il simultaneo non verificarsi di altrettante ecorrispondenti disattitudini.”8 

    “Ciò che cerchiamo è qualche tipo di armonia fra due entità inafferrabili: una forma che nonabbiamo ancora progettato e un contesto che non possiamo descrivere propriamente. Le unicheragioni che possiamo avere per presumere che debba esserci qualche tipo di adattamento darealizzare fra queste due entità, è in rapporto alla nostra possibilità di percepire in esse incongruenzeo fattori negativi.In un insieme, le incongruenze sono i dati primari dell’esperienza.”9 In questo senso, Alexander concepisce il processo di retroazione che permette al progettista diverificare la rispondenza tra forma e contesto “in negativo” e a posteriori: l’elenco di funzioni non èin grado di generare la forma, ma solo, con le parole di Karl Popper, di “falsificarla”, per cui piùforme, anche molto eterogenee, possono rispondere altrettanto bene allo stesso programma.“Nessuna forma è derivata completamente dalla sua funzione”, riconosce Adorno10. Da qui la

    conclusione che anche l’ingegnere (colui che per Lévi-Strauss ha “metodo” e non “forma”) devegenerare un iniziale assunto di soluzione formale, senza il quale egli non potrebbe intraprendere il

     processo di retroazione e di messa a punto.In questo quadro Alexander riconosce però l’impossibilità (nel caso, ad esempio, di opere uniche) eil dispendio (di risorse di tempo oltre che economiche) di questo processo di “ trial and error ” nellasocietà moderna. Se quindi il procedere attraverso la “falsificazione di prototipi” come nelle societàtradizionali (processo peraltro ineliminabile in alcuni momenti della produzione industriale) non èsempre possibile, né perseguibile, la progettazione moderna non può che lavorare per modelli osimulazioni preventive, successivamente falsificati e validati.Questo concetto di modello - che si sovrappone in parte ai “diagrammi” di Alexander - può forseconciliare la necessità sopraesposta di un’ipotesi “arbitraria” di forma, poi falsificata in base al

     programma, con la contrapposta idea dell’”algoritmo generativo” capace di produrre formaelaborando direttamente i dati iniziali. È proprio la natura “iconica” del modello che rappresenta unmomento “interpretativo” e non “deduttivo”, e quindi introduce dal punto di vista logico unmeccanismo in un certo senso arbitrario, se vogliamo “culturale” più che “scientifico”. Il momentoscientifico appartiene invece al processo di “falsificazione” della forma sul programma.11 In questo quadro si può affermare che il processo di progettazione, piuttosto che costituire dal puntodi vista logico un meccanismo induttivo (il bricoleur) o deduttivo (l’ingegnere), è da ricondurre adaltri tipi di concetti in grado di unire il concetto di “invenzione” e di innovazione con quello dirigore metodologico e di rispondenza al programma.Il concetto di “abduzione” esplicitato da Charles Sanders Peirce nella formazione delle teoriescientifiche, risponde ad esempio a questa istanza. A differenza della deduzione, dove la regola èesplicitata a priori e il singolo atto ne deriva meccanicamente, e dell’induzione, dove l’osservazionedi un numero elevato di casi non ci consente di giungere a principi generalmente validi, l’abduzione

     presuppone la formazione di un’ipotesi non contenuta nei dati, e quindi un “tirare a indovinareintelligente”, subito dopo verificato con i dati stessi; un operare attraverso “esperimenti” su unmodello che dà origine a risultati osservabili.

    8 Christopher Alexander, Note sulla sintesi della forma , Il Saggiatore, Milano 1967, (I ed. orig. 1964), p.319 Christopher Alexander, Note sulla sintesi della forma , Il Saggiatore, Milano 1967, (I ed. orig. 1964), p.3410 Theodor W. Adorno, Funktionalismus heute, in Ohne Leitbild , Suhrkamp Verlag, Frankfurt/Main 1967, p.10811

     Cfr. Cino Zucchi, “La scala, la rete, il cespuglio. Percorsi concettuali del progetto contemporaneo”, materiale grigiodi preparazione al Seminario di studio Progetto e concezione sistemica, a cura di Valerio di Battista, Facoltà diArchitettura, Politecnico di Milano, previsto per maggio 2005

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    Il superamento dei processi puramente deduttivi tipici della scienza positivista, non si limita allescienze artificiali, come l’ingegneria, il design e l’architettura, bensì va ad investire anche altriambiti. La figura del “bricoleur” è richiamata ad esempio da François Jacob, Premio Nobel conJacques Monod per la medicina e fisiologia nel 1965, a proposito della selezione naturale: “(…) la selezione naturale opera non come un ingegnere ma come un bricoleur , il quale non saesattamente che cosa produrrà, ma che recupera tutto quello che trova in giro, le cose più strane e

    diverse, pezzi di spago o di legno, vecchi cartoni che potrebbero eventualmente fornirgli delmateriale. (…) L'ingegnere si mette all'opera solo dopo aver riunito i materiali e gli strumenti cheservono esattamente al suo progetto. Il bricoleur , invece, si arrangia con gli scarti. (…). Come hasottolineato Claude Lévi-Strauss, gli strumenti del bricoleur , contrariamente a quelli dell’ingegnere,non possono essere progettati in anticipo. I materiali di cui dispone non hanno una destinazione

     precisa. Ciascuno può essere utilizzato per cose diverse. Questi oggetti hanno in comune soltanto ilfatto che ‘potrebbero sempre servire’. A che cosa? Dipende dalle circostanze.”12 Allo stesso modo,l'evoluzione costruisce un'ala da una zampa, o un pezzo d'orecchio con un frammento di mascella:“A differenza degli ingegneri, i bricoleurs che si dedicano a un identico problema hanno molte

     probabilità di giungere a soluzioni differenti. Avviene la stessa cosa per l’evoluzione (…).In tutti icasi la selezione naturale ha fatto ciò che ha potuto con i materiali a sua disposizione. L’evoluzione

    non crea dal nulla le sue novità. Lavora su ciò che già esiste, sia trasformando un vecchio sistema per dargli una funzione nuova, sia combinando diversi sistemi per formarne un altro più complesso.(…) Si è trattato [nel caso del passaggio dall’organismo unicellulare a quello pluricellulare]sostanzialmente di riorganizzare ciò che già esisteva.”13 Un processo, quello di Peirce, ma anche di Alexander, che anticipa l’idea contemporanea diriflessione scientifica di tipo fenomenologico14  basata sull’osservazione e sull’esperienza e, più

     precisamente, quell’idea di progettista quale “professionista riflessivo” così come descritta, in annirecenti, da Donald A. Schön15. Già a partire dalla propria tesi di dottorato condotta ad Harvard nel1955 sul tema “Rationality in Practical Decision Making”, Donald A. Schön critica la visione dellaragion pratica, propria della filosofia analitica di tipo anglosassone prevalente negli anni ’50, a

     partire dalla teoria dell’indagine di John Dewey.John Dewey, in  Logic: The Theory of Inquiry16, enfatizza il concetto di “pensiero riflessivo” el’idea, già sostenuta da Peirce, di indagine quale procedimento che combina ragionamento mentalee azione nel contesto reale, in un processo indeterminato che muove dal dubbio alla risoluzione deldubbio, da una situazione problematica ad una determinata. In  Arte come esperienza, facendoriferimento all’arte, all’architettura, alla musica, alla letteratura, sottolinea l’importanza di“costruire contemporaneamente l’idea e la sua materializzazione oggettiva”, di “ripensare le proprieidee attraverso il mezzo della materializzazione e dell’oggetto della percezione definitiva”,riconoscendo ”l’intima unione del fare e del subire”: “Lo scrittore, il compositore, lo scultore e il

    12 François Jacob, Evoluzione e Bricolage. Gli “espedienti” della selezione naturale, Einaudi, Torino 1978 (I ed. orig.

    1978), p.17-1813 François Jacob, Evoluzione e Bricolage. Gli “espedienti” della selezione naturale, Einaudi, Torino 1978 (I ed. orig.1978), pp.19-2014 Il termine fenomenologia nasce e si sviluppa in ambito filosofico con Kant (1724-1804), Hegel (1770-1831), Husserl(1859-1938) e Merleau-Ponty (1908-1961). La fenomenologia rappresenta un approccio al tema della conoscenza che,prendendo come oggetto il fenomeno, inteso come ciò che appare e può essere acquisito attraverso l’esperienza,attribuisce rilievo alle informazioni fornite dai sensi. Il focalizzarsi dell’atteggiamento fenomenologico sui modi della

     percezione, sull’osservatore nelle sue relazioni con l’oggetto osservato, sulla mente e sul corpo, e in sostanza fra ilmondo psichico e quello fisico, lo porta ad essere perseguito presso altri saperi disciplinari, tra cui la psicologia dellaGestalt . Cfr. Dina Riccò, “Design e sensorialità”, in Paola Bertola, Ezio Manzini (a cura di), Design multiverso. Appuntidi fenomenologia del design, POLI.design, Milano 2004, pp.101-10215 Donald A. Schön è docente al MIT. Tra le sue pubblicazioni figurano: Donald A. Schön, Il professionista riflessivo.

     Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Edizioni Dedalo, Bari 1993 (I ed. orig. 1983); Donald A.

    Schön, Educating the Reflective Practitioner: Towards a New Design for Teaching and Learning in the Professions,Jossey-Bass, San Francisco 198716 John Dewey, Logica: teoria dell’indagine, Einaudi, Torino 1973 (I ed. orig. 1938)

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     pittore possono ritornare, durante il processo di produzione, su ciò che hanno fatto in precedenza.Quando nella fase passiva o percettiva dell’esperienza ciò che è stato fatto non soddisfa, possonofino a un certo punto ricominciare da capo. Questi ritorni non sono così facili a farsi nel casodell’architettura – il che è forse una delle ragioni per le quali esistono tanti edifici così brutti. (…)Probabilmente la qualità estetica delle cattedrali gotiche si deve in qualche misura al fatto che laloro costruzione non era tanto controllata da piani e indicazioni di dettaglio fatte in precedenza

    come si pratica attualmente. I piani si sviluppavano mentre il fabbricato si concretava”.17

     E’ a partire da questa ”intelligenza nell’operare” di Dewey e dalle esperienze maturate nel campodella ricerca e della formazione che Donald A. Schön riconosce come una pratica riflessiva, spesso

     basata sull’incertezza e sul complemento emotivo dell’incertezza -l’ansietà- possa generare nuovaconoscenza, seppure valida limitatamente alla situazione in cui è stata generata. Con il rientro alMIT, agli inizi degli anni ’70 Schön dà avvio ai propri studi sugli approcci alla formazione nelle

     professioni. A partire dalla critica alla divisione del lavoro tra l’università, responsabile di produrrela conoscenza e di “riflettere sul significato del gioco” (con le parole di Hannah Arendt18), e le

     professioni che partecipano attivamente al gioco e alla risoluzione di problemi meramente tecnici, si pone il problema della necessità, sia di una nuova epistemologia della pratica, che faccia spazio allariflessione nell’azione e sull’azione, sia di una nuova fusione di conoscenza accademica e abilità

    artistica fondata sulla pratica19.Con il concetto di “professionista riflessivo” Donald A. Schön mina proprio quella separazione traingegnere e bricoleur di Lévi-Strauss e, più in specifico, il sistema formativo moderno, aprendo le

     porte a nuove forme di trasmissione della conoscenza.La elaborazione di un processo progettuale strutturato e razionale comporta, inoltre, molte analogiecon i tentativi di generare algoritmi sofisticati delle ricerche sull’intelligenza artificiale.Douglas R. Hofstadter, autore di Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante, hasperimentato le modalità di funzionamento di macchine a cui aveva assegnato problemi dallasoluzione multipla o ambigua20, aprendo la strada ai tentativi di mappatura di comportamenti nonunivoci.21 Douglas R.Hofstadter è inoltre autore di Metamagical Themas, raccolta di scritti pubblicati suScientific American tra il gennaio 1981 e il luglio 1983. Il titolo, che deriva dall’anagramma dellarubrica che lo aveva preceduto ( Mathematical Games di Martin Gardner), è inteso come l’andare“un livello oltre la magia”, interpretabile, volutamente, in modo duplice: dal considerarlo in terminidi “ultramagico”, una magia di ordine superiore, al guardare cosa si cela, generalmente di nonmagico, dietro alla magia22. Lo stesso autore fa riferimento alle “meta regole” (meta-rules), volte adeterminare quando e come le regole ordinarie vanno applicate23, e si concentra sulla“metaconoscenza”24 (metaknowledge), rappresentazione mentale appropriata delle nostre idee(concepts nel testo originale).

     Nei suoi scritti Douglas R.Hofstadter affronta il tema dell’intelligenza ponendosi alcuni interrogativiin merito al rapporto tra creatività ed intelligenza, ed ai processi d’apprendimento degli uomini

    17 John Dewey, Arte come esperienza e altri scritti, La Nuova Italia, Firenze 1995 (I ed. orig. 1934), p.6218 Hannah Arendt, The life of the Mind: Volume I: Thinking , Harcourt, Brace, Jovanovich, New York and London 197119 Donald A. Schön, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, EdizioniDedalo, Bari 1993 (I ed. orig. 1983), p.1220 Donando, ad esempio, a una macchina denominata “Copycat ” tre o quattro lettere dell’alfabeto disegnate secondo undeterminato “stile”, ha chiesto alla stessa di proseguire il disegno delle restanti lettere in coerenza formale con quelledate.21 Douglas R.Hofstadter, Concetti Fluidi e Analogie Creative, Adelphi, Milano 199622 Douglas R.Hofstadter, Metamagical Themas, Basik Books, New York 1985, p.623 cfr. Douglas R.Hofstadter, “On the Seeming Paradox of Mechanizing Creativity”, in Metamagical Themas, Basik

    Books, New York 1985, p.54424 cfr. Douglas R.Hofstadter, “On the Seeming Paradox of Mechanizing Creativity”, in Metamagical Themas, BasikBooks, New York 1985, pp.526-546

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    rispetto al mondo animale; relativamente alla visione magica della creatività detenuta da alcuni geniquali Mozart, in contrasto con le modalità generative delle macchine.

     Nel testo “On the seeming Paradox of Mechanizing Creativity”25 a partire dal confronto tra ilmondo animale, una vespa, con l’uomo, Hofstadter introduce i termini di sphexishness eantisphexishness (dal nome della vespa Sphex, citata da Dean Wooldridge in Mechanical Man: The

     Physical Basis of Intelligent Life), dove il primo termine fa riferimento all’incapacità degli animali,

    in questo caso gli insetti, ma anche dei computer, di rompere una situazione ricorsiva (andando, adesempio, a sbattere contro il vetro molte volte prima di riuscire ad uscire da una stanza oppure, nelcaso dei computer, ricevendo la stessa mail indesiderata al variare dell’indirizzo del mittente26),mentre il secondo riguarda l’abilità umana di uscire dai “loop”, di infrangere dei circuiti meccanici,di evitare di andare a sbattere quaranta volte contro un vetro chiuso, ma anche di trovare una scusa

     per dileguarsi da un party noioso, di superare le mode, di considerare obsolete delle correntiartistiche e così via. Che cosa c’è alla base di questo? Esiste davvero al nostro interno un cosiddetto“loop detector” che ci offre questa capacità? L’antisphexishness ha per Hofstadter a che fare con lacapacità umana di auto-osservarsi e, pertanto, con la sua dotazione di “metaconoscenza” (esito ditale capacità), intendendo con essa il nostro modo di organizzare la memoria, di archiviare e metterea disposizione oggetti; la nostra conoscenza di quando sappiamo e quando non sappiamo, di come

    sappiamo e del perché non sappiamo, che definisce quali idee sono accessibili e a quali condizioni. Non si tratta, semplicemente di un layer aggiuntivo alla nostra conoscenza, bensì di un rapportointegrato tra “metaconoscenza” e conoscenza, di reciproca fertilizzazione. E’ alla “metaconoscenza”che è dovuta, in sintesi, la capacità di operare una scelta felice dell’idea giusta al momento giusto,che non è altro che l’essenza della creatività.Se si pensa ai movimenti artistici, si può riconoscere una dinamica che inizia con la nascita delmovimento e termina con la perdita di fertilità creativa, con la stagnazione, all’originedell’insorgere di un nuovo movimento in un processo “prospettico” di bellezza, caratterizzato damomenti di “salto fuori dal sistema” ( jumping out of the system); un processo questo che non potràmai essere formalizzato da un computer né da un cervello umano. Per questo motivo lameccanizzazione non può essere considerata una minaccia per la creatività e la creatività puòconsiderarsi alimentata dalla “metaconoscenza”, ovvero dalla capacità umana di auto-osservare, diragionare sulle proprie idee, e di richiamare le idee più appropriate nel momento giusto.Ancora più attinenti alla sfera del design sono le riflessioni di Hofstadter in merito al concetto di

     bellezza, a partire da tre tipi di idee prese a prestito dalla logica matematica (in particolare da“Some Philosophical Implications of Mathematical Logic: Three Classes of Ideas” scritto nel 1952da John Myhill, filosofo e compositore): effettive, costruttive e prospettive27. La bellezza appartiene

     per Hofstadter, all’ultimo categoria, in quanto non è frutto di una formula o di un insieme di regole, bensì può essere perseguita, senza però mai essere raggiunta compiutamente, progressivamente. Piùin dettaglio essa può essere approssimata a un livello di accuratezza crescente attraverso insiemirilevanti (sia in termini dimensionali che qualitativi) di principi generativi in grado di espellere viavia dei membri da questa categoria (attraverso, nuovamente, forme di falsificazione). Non è un

    25 Douglas R.Hofstadter, “On the Seeming Paradox of Mechanizing Creativity”, in Metamagical Themas, Basik Books, New York 1985, pp.526-54626 Non cogliendo, ad esempio, la corrispondenza tra “Bernie Weinreb”, “Bernie W.Weinreb”, “Mr.Bernie Weinreb”ecc., cfr. Douglas R.Hofstadter, “On the Seeming Paradox of Mechanizing Creativity”, in Metamagical Themas, BasikBooks, New York 1985, p.53227 La prima categoria ricorre nei casi in cui, dato un candidato per un’associazione è possibile stabilire senza dubbio seesso ne faccia parte oppure no (“Il Papa è cattolico?”): categoria presente nella logica, ma quanto mai poco ricorrentenel mondo reale; la seconda proprietà, più elusiva, ricorre quando i membri di una categoria possono essere via viaespulsi così che alla fine la stessa categoria può risultare vuota (a partire ad esempio da una comunità cattolica siescludono via via i membri che non vi appartengono); la terza categoria, infine, non è riconoscibile né si può creare

    attraverso una serie di ragionamenti, bensì è frutto di atti imprevedibili. Questo significa che non è producibileattraverso nessun insieme di regole. Cfr. Douglas R.Hofstadter,  Metamagical Themas, Basik Books, New York 1985, pp.539-540

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    caso, per l’autore, che la bellezza e l’irrazionalità siano spesso correlati, così come è curioso notareche con numero “irrazionale” si intenda proprio un’entità approssimata il cui processo non è maifinito.In sintesi relativamente alla bellezza, “non solo non abbiamo la garanzia di essere in grado diriconoscerla, (…) ma anche non esiste nessuna formula su cui contare per creare tutta la bellezza.(…) per cui non esiste scuola d’arte che porti alla produzione di tutta la bellezza ed escluda la

     produzione di tutto l’orrore”28

    .Più recentemente, alcuni teorici del “pensiero laterale” o del “fuzzy-pensiero” hanno tentato distudiare in forma rigorosa i meccanismi del “pensiero creativo” nella stesura di progetti in variediscipline, dall’ingegneria al marketing, dal design alla biomeccanica.Al processo progettuale logico e razionale si affiancano, in sintesi, concetti quale “serendipity” e“pensiero laterale”; alle sequenze deduttive originate da principi generali di tipo scientifico sisostituiscono processi di apprendimento per prova ed errore (a partire dalla già menzionata“falsificazione” di Karl Popper 29); alle tradizionali concezioni lineari di processo progettuale sicontrappongono modelli più complessi, caratterizzati da ricorsività e retroazioni, diagrammi adalbero e a cespugli; di natura non più unitaria, ma discreta; non più quantitativa ma qualitativa.In molti autori, per concludere, sono riscontrabili echi di questa “ipotesi di metodo”, sia nel campo

    delle teorie scientifiche, sia in quello delle teorie artistiche.Essa costituisce anche una valida alternativa all’artificiale contrapposizione ottocentesca tral’artista-genio (dall’intuizione estatica e quindi insindacabile) e lo scienziato che segue procedurerigorose e codificate; tra rigore processuale e procedure eterodosse “non scientifiche”; tra processidi innovazione graduali e violenti mutamenti di paradigmi; tra ricerca metodologica e “teorieanarchiche della conoscenza”30; tra metodologia e casualità (come afferma Hofstadter, l’intelligenzaè, per definizione, un sistema che si suppone sia in grado di trattare l’imprevedibile); tra authorshipe spontaneità.

    In filigrana di questa sequenza di riflessioni relative al pensiero creativo, che vanno dall’idea digenialità spontanea, quasi genetica, all’approccio artigianale del bricoleur o a quello scientificometodologico dell’ingegnere, dalla negazione di ogni fondamento teorico postmoderno allaconcezione di abduzione fino al recente riconoscimento della necessità di ripensare nuovi modi,

     parziali, frammentari, di approccio al progetto, si può leggere il tema del metaprogetto.Parlare di “metaprogetto” oggi, richiama infatti alla mente un oggetto polveroso, da molto tempolasciato in soffitta. Il termine stesso, metaprogetto, suona al nostro orecchio come “datato”,un’“archeologia industriale” che ci riporta indietro nel tempo, al periodo eroico del MovimentoModerno, in cui l’ambizione alla razionalizzazione del processo progettuale si coniuga con l’intentodi avvicinare lo stesso processo nei suoi diversi ambiti (da quello territoriale a quello urbano, daquello edilizio a quello del design) alle logiche del processo di produzione industriale.La stessa distinzione, messa in luce da Alessandro Mendini, tra stile e metaprogetto sembrarispecchiare, da questo punto di vista, la dicotomia tra forma e metodo: “Disporre di uno stilesignifica preorganizzare un linguaggio a morfologia regolata, dove un sistema di segni si inquadra esi coordina in una serie di regole (…) dove le dominanti derivano da un tacito rinnovarsi noncodificato di tradizioni acquisite.Disporre di un metaprogetto significa strutturare norme capaci di germinare, in linea indiretta,infinite soluzioni morfologiche diverse ma omogenee.”31 

    28 Cfr. John Myhill, “Some Philosophical Implications of Mathematical Logic: Three Classesof Ideas”, 1952, citato daDouglas R.Hofstadter, Metamagical Themas, Basik Books, New York 1985, p.54029 Karl Popper, Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza, Einaudi, Torino 1970 (I ed.orig. 1934)30

     Paul Feyrabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1979 (I ed.orig. 1975) 31 Alessandro Mendini, “Metaprogetto sì e no”, in Casabella, n.333, febbraio 1969, p.13

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    Superata l’aspirazione ad un processo progettuale scientifico e, con esso, ad una metodologiaunitaria, di fronte al riconoscimento sia dell’impraticabilità che dei rischi di un tale approccio al

     progetto, e superata altresì l’ubriacatura post-moderna, dove lo scollamento tra forma e senso haraggiunto livelli grotteschi, dove ogni tipo di riflessione teorica, in quanto debole e falsificabile, èstata marginalizzata all’interno della dimensione del progetto, si sente nuovamente la necessità diconfrontarsi con le tematiche di tipo metodologico e procedurale.

    Pur nella consapevolezza della difficoltà di individuare dei principi progettuali in un contestocaratterizzato da una sempre maggiore complessità e da una crescente dissoluzione dei fondamentimoderni, torna ad emergere la consapevolezza della “necessità” della teoria relativa al fare

     progettuale. Tra rigore metodologico e formalismo; tra la tabula rasa moderna e patchwork  di stilistorici, ci si interroga in merito alla possibilità di trovare una sorta di mediazione tra questi estremi,tra pensiero moderno e postmoderno; tra metodo che non implica la forma (del Bauhaus e dellascuola di Ulm) e le successive forme prive di metodo.Emergono così alcune domande. Si può contribuire a risolvere la contrapposizione, ormai stantìa,tra regole logiche necessarie a garantire prestazioni prestabilite e sregolatezza necessariaall’innovazione del linguaggio? E’ possibile mediare tra approccio moderno, sempre rifondativo(tralasciando in questo caso coloro che all’interno del moderno hanno mantenuto il legame con la

    storia, come Ernesto N. Rogers e Giuseppe Pagano), che mira ad annullare le esperienze del passatoa fronte di un ricorso al metodo, e uso della storia quale ricca fonte di un nuovo eclettismo?E’ possibile oggi, in epoca post-moderna, reintegrare metodo e forma? Relativizzare la ricercametodologica, rinunciando ad ambizioni assolute e sempre valide, e combinarla con la ricercaformale? Guardare con interesse all’uso di metafore matematiche, ricorrente in molti progetticontemporanei nordeuropei32, senza ledere la dimensione intuitiva del progetto?E’ da questo quadro che emerge l’ipotesi che il metaprogetto, opportunamente adeguato alle istanzecontemporanee, possa oggi ricoprire un ruolo importante nell’agire progettuale, facendosi carico,seppure in parte, di alcune delle contraddizioni messe in luce.La tesi generale qui sostenuta, in altre parole, è quella del riconoscere al metaprogetto le

     potenzialità per intervenire positivamente a supporto dell’agire progettuale, mediando tra grado zeroe forme eclettiche, tra scienza e genialità, tra analisi e intuito, tra trasmissibilità e predisposizionegenetica, così come tra alcune delle ulteriori molteplici contraddizioni che caratterizzano la culturadel progetto nella realtà postmoderna contemporanea.Riproporre e adeguare oggi questa visione di metaprogetto - in un’epoca dove la frammentarietà, ilcaos, l’indeterminazione del mondo hanno portato al configurarsi di nuovi frames concettuali – haovviamente delle implicazioni non banali.In un quadro in cui la razionalità progettuale si integra con la individualità, il metaprogettoabbandona la dimensione esclusivamente scientifica andando a comprendere valori di tipo storico,culturale e sociale; si allontana dagli aspetti puramente oggettivi e quantitativi e si misura

     progressivamente con una dimensione soggettiva e qualitativa.In particolare, differentemente da azioni prescrittive, si pone come importante strumento digenerazione di molteplici soluzioni lungo l’intero processo ideativo: in fase propositiva dandoorigine alle ipotesi progettuali, ai “modelli”, come intesi da Alexander, anche lontani nel tempo(quel tirare ad indovinare intelligente); in fase di sviluppo delle soluzioni progettuali lavorando suciò che esiste, trasformando, modificando, ibridando, mettendo a sistema soluzioni già date; in fasedi “selezione”, quasi darwiniana, della soluzione, andando ad approfondire il contesto di riferimentorelativo alla committenza, agli utilizzatori, agli aspetti normativi, produttivi, distributivi ecc. eoperando un processo di falsificazione delle ipotesi proposte (quell’”intelligenza nell’operare”).

    32 Le matematiche superiori si stanno infatti dimostrando quale interessante fonte di rinnovamento spaziale. Si pensi adesempio ai lavori di UN Studio – Ben van Berkel e Caroline Bos in generale e al recente progetto del Mercedes-Benz

    Museum di Stoccarda in particolare, in cui si manifesta la capacità dei progettisti di definire spazi non euclidei etopologicamente complessi (attraverso ad esempio la realizzazione di un Nastro di Möbius triplo nell’interpretazione diEscher).

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    Un’azione, quella del metaprogetto, che pur mantenendo un rigore metodologico, trae linfa vitaledal precedente storico, andando a comprendere la tipologia tra i propri strumenti metodologici, incontrasto con l’originale rapporto di contrapposizione (all’origine, nell’ambito del processo edilizio,la fase di metaprogettazione è infatti intesa come strumento che precede la progettazione e che va asostituire l’approccio basato sulla tipologia tradizionale33).In altre parole, un concetto di metaprogetto lontano dall’idea di insieme di regole in grado, una

    volta applicate, di generare, quasi meccanicamente, esiti positivi (siano essi di tipo estetico,funzionale, economico ecc.) -seguendo i ragionamenti di Hofstadter non può esistere, tra l’altro, unsistema in grado di anticipare tutti i possibili problemi- quanto un insieme di strumenti,metodologie, approcci, modi di operare in grado di supportare “il professionista riflessivo” e di

     potenziarne le capacità introspettive, di auto-osservazione e di ragionamento sullo e nello stessofare progettuale: in grado di contribuire alla costruzione di modelli e ai conseguenti processi disperimentazione, selezione e validazione della soluzione finale, aiutati da kit metodologici disupporto e in grado di apprendere dai propri errori, in modo da rendere tale processo difalsificazione via via più efficiente.Il metaprogetto in questi termini è da considerarsi quale ipotesi e come tale soggetta a verificabilitàe falsificazione; è una conoscenza ipotetica capace di risolvere problemi, in cui gli errori sono

    l’elemento catalizzatore di crescita; è uno strumento di critica immaginativa con cui trascendere ladimensione spazio-temporale per escogitare situazioni e soluzioni “oltre” l’esperienza abituale.34 Con questi connotati il metaprogetto gioca oggi, forse ancora più che in passato, un ruolostraordinariamente importante nell’azione progettuale contemporanea, sia in ambito formativo che

     professionale.

     Nella prima parte di questa pubblicazione si intende entrare nel merito del tema del metaprogetto a partire da due differenti “bandoli della matassa”. A partire dal concetto di metaprogettotramandatoci dalla cultura moderna, il capitolo che segue è volto a delineare i principali caratteriidentificativi, la “natura” del metaprogetto, così come si manifesta nel contesto della cultura del

     progetto contemporanea. Sulla base di tali tratti identificativi individuati, sono tratteggiati, nel terzocapitolo, alcuni dei principali ambiti del processo progettuale in cui il metaprogetto si manifesta,andando a delineare una sorta di mappa concettuale dietro cui si cela l’esperienza concreta di alcuni

     protagonisti del progetto.La seconda parte costituisce, infine, un approfondimento in merito al tema del metaprogetto, cosìcome è stato affrontato, in termini sia di ricerca che di didattica, nell’ambito del così detto “sistemadesign” del Politecnico di Milano, costituito dalla Facoltà del Design (per quanto attiene ladidattica), dal Dipartimento INDACO - Industrial Design, Arti, Comunicazione e Moda(relativamente alla ricerca) e dal Consorzio POLI.design (nel campo della formazione continua edella ricerca applicata).

    33 CNR, Metaprogettazione per l’edilizia zootecnica, BE-MA editrice, Milano 1994, p.1834

     Battistoni, C., “La metaprogettazione: una sconosciuta di grande utilità. Inferenze logiche, conoscenze tecniche,creatività al servizio del nuovo strumento di interazione della comunicazione aziendale”, cfr.http://www.hitechserver.net/twire/mesi/free/tw-9803/battis.htm