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anno XXIV estate 2016 - 8,00 sped. in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Palermo mezzocielo 152 DELL’AMOR E DELL’AMAR trimestrale di politica cultura e ambiente pensato e realizzato da donne Tempera di Tamara de Lempicka, Il bacio, 1922

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mezzocielo n°152

DELL’AMORE DELL’AMAR

trimestrale di politica cultura e ambiente pensato e realizzato da donne

Tempera di Tamara de Lempicka, Il bacio, 1922

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1 mezzocielo n° 152 primavera 2016

Fotografia di Letizia Battaglia, 1912

lioni di migranti dall’Africa e dall’Oriente, cui l’Europa non riesce a dare adeguata acco-glienza; le minacciate fratture nell’Europa stessa; l’ingovernabilità della Libia e le molteguerre nei paesi africani; l’orrida minaccia di Daesh; la crisi di alcuni grandi stati del SudAmerica e via elencando. Il futuro, in Europa e nel mondo, può far paura.Una indagine condotta in USA tra le giovani generazioni ha registrato un deciso, doppio ri-fiuto: no al capitalismo, no al socialismo. Dunque, contro l’esistente (anche sulla base di vec-chi slogans vetero-marxisti), ma anche contro l’esperienza che all’inizio del secolo scorsoprogettò un più felice futuro. Quindi: critica feroce all’oggi, nebbia fitta sul domani. Ecco leradici della indifferenza delle nuove generazioni per la politica, la diffusa depressione civica.Criticare, contestare, accusare …ma se non si sa e non si indica quel che si dovrebbe fare eper cui si deve agire, anche la protesta più ampia risulta sterile. Si attende (ma disegnato dachi, se non dalle stesse nuove generazioni?) il modello di una nuova società, che sappia co-niugare insieme pace, libertà ed uguaglianza. Potrei dire, per mio personale scetticismo, cheda millenni – assumendo diverse fedi ed ideologie – pezzi di umanità hanno annunziato divoler realizzare questi tipi di società, ma hanno sempre fallito. Che ci si metta dunque ancora una volta allo studio, alla ricerca, alla sperimentazione di miglioriforme di convivenza, trovando un punto di forza anche nella spinta alla solidarietà e all’acco-glienza del “diverso”, che, forse in misura inaspettata, coinvolge oggi positivamente tante po-polazioni del mondo. Sapendo però che oggi non si può più immaginare un modello omogeneodi società e di politica valido per tutti i paesi, come lo fu quando si cantava “internazionale/fu-tura umanità”. Quello che però deve essere possibile, anzi indispensabile, per salvare la convi-venza umana, ormai tutta affiorata al presente temporale e spaziale, è il riconoscimentouniversale di alcune regole comuni, nel rispetto di altre differenze culturali e religiose (che ma-gari non ci piacciono, e che potranno, per propria spinta, mutare col tempo). Tra questi punticomuni irrinunciabili, deve essere compreso il rispetto del corpo e del pensiero delle donne.

Pina Maisano Grassi: una donna forte, che nella sua lunga e limpida vita si è sempre battuta per i diritti civili di tuttie contro la cultura e la violenza mafiose. Noi non la dimenticheremo, così come non dimenticheremo mai

il marito, Libero, ucciso dalla mafia cui non volle pagare il pizzo.

Obama è andato ad Hiroshima, ha abbracciato uno dei pochissimi sopravvissuti, ed ha detto.“Vogliamo un futuro senza atomiche né guerre”. Poteva fare e dire qualcosa di più? Forsesì. Ma sono contenta che il gesto sia stato compiuto e queste parole siano state dette.Non posso non ricordare, tra l’altro, che negli anni 49-50, per iniziativa dei Comitati per lapace, raccoglievamo in Italia (e in Sicilia) le firme sotto l’appello di Stoccolma, che chiedevala messa al bando delle armi atomiche. Sono stati tutti minuscoli granelli di sabbia per co-struire i sentieri che hanno condotto l’umanità fuori dai fiumi di sangue (quasi 60 milioni dimorti) di una guerra mondiale, che trovò nella strage di Hiroshima e Nagasaki la sua terrifi-cante conclusione. Finì la guerra calda; ma poi ci fu la guerra fredda, che registrò anch’essaerrori ed orrori: spese militari inaudite, spionaggi fuori da ogni legge, persecuzioni politiche,condanne a morte irragionevoli (vogliamo dedicare un pensiero anche ai coniugi Rosen-berg?). Ferite profonde, come solchi e dirupi, che lentissimamente si rimarginano. Pianti,maledizioni, menzogne che si cancellano (o almeno si dimenticano). Abbiamo assistito,quest’anno, ad altri eventi simili, a Cuba ed in Vietnam. Perché un giorno non dovrebbe ve-rificarsi anche un incontro di pace, oggi ritenuto impossibile, tra israeliani e palestinesi? Con-tinuiamo a tenere accesi i riflettori su questi eventi. Senza ignorare ombre e sospetti chetuttavia li circondano, e senza mettere “il coperchio” sui tanti fatti negativi del mondo: i mi-

Chi disegnerà i modellidelle società future?

Simona Mafai

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Zaffate di profumi di gelsomino e di spezie,dentro chiarori di incredibili lune, in palazzidai marmi candidi e rosati, ci hanno accompa-gnato prima di questo secolo. Fantastiche nar-razioni di illuminati califfi, di lampademagiche, di Mogul innamorati, architetti ditombe sontuose per l’amata perduta, hannoaccompagnato anche i nostri viaggi, reali o so-gnati, in paesi ammalianti, per i loro colori e iloro odori e voci, dal presente e dal remotopassato.Dal quel passato, non solo favole. Anche filo-sofia, arte, scienza. Quella globale, della filo-sofia perenne, che vede l’astronomo scrutarele stelle, insieme ai recessi della propria anima.Insieme alla tecnica, che inventa i numeri, tra-endoli dalla potenza del suo pensiero astrattoper donarli generosamente ai mercanti ed allemassaie, allo scopo di facilitarne il lavoro e lavita quotidiana.Ad un gradino più elevato, oltre la favola ilmaestro sufi insegna una relazione con il di-vino, che permette alla creatura di annullarsinel suo Creatore e nello stesso tempo di ab-bracciare come fratelli tutti gli uomini, se-condo una esperienza mistica, che è comunea tutte le religioni della storia. Comune agliebrei, ai cristiani, alle pratiche induiste, al bud-dismo ed anche alle antiche religioni del sole,in terra d’Asia Minore. Questa mistica si co-niuga alla alchimia, alla Cabala, ai percorsi ini-ziatici, che non hanno tempo, ed anche allasapienza, alla saggezza, alla longanimità delloSpirito.Abbiamo sentito tutto questo, accompagnatoda una musica di violino e di sitar e tamburelli,all’unisono, con un rispettoso melodiare di ta-stiere. Forse dalla profondità del nostro essereuno sconosciuto pericolo si è trasformato inmito, come da sempre accade all’uomo impau-rito. Qualcuno ancora invoca il sufismo a di-fesa dell’ Islam, ma è una difesa a sproposito,quando si dibatte sul terrorismo. L’uno e l’al-tro sono le due facce delle istanze umane: rag-giungere il Cielo o conquistare il potere sullaterra. Funziona cosi, ad ogni latitudine ed inogni tempo, con forme e gesti talora diversi.Ma il tema di fondo è sempre lo stesso.La storia dell’Islam infatti, come tutte le storiedei popoli alterna fasi di fertile pace e di ferociconquiste, sanguinose battaglie e crudeli inva-sioni. Una parte del mondo ad un certo puntoha dato valore alla tolleranza e alla pietà, al-meno come principi. (spesso ahimè, soltantocome principi). Un’altra parte ha continuatoin quella alternanza di pace e guerra di odio e

di amore, che sta scritta nei cuori. Sempre. Nelpassato non tanto lontano, l’Occidente fu in-vaso, saccheggiato, coperto di sangue ed infa-mia. Divenne luogo insicuro, pericoloso.Sconvolto nelle sue quotidiane attività, minac-ciato nella sua cultura.Mostrò la debolezza delle sue istituzioni, comeora. Qualcuno ne approfittò.Michele Amari, straordinariamente obbiettivoe lungimirante, la cui storia dei musulmani inSicilia andrebbe riesumata e riletta, descrive iprincipi arabi come efficace sintesi di ferociae misericordia, superstizione e ragionevolezza,di fanatismo e senso pratico. Lo stesso storicodescrive i califfi abbassidi, gli Omeiadi di Spa-gna come monarchi illuminati, tesi ad ordinarelo stato, a dispetto degli elementi di discordia,accennati dianzi; e dettero principio a quellasplendida civiltà, che poi sopravvisse a lor di-nastia, alle guerre civili ed alla occupazionecristiana....di nuovo, in terra andalusa, sentiamo quelprofumo intenso di gelsomino e zagara, quel-l’alito fresco, che si fa strada tra le colonne at-torcigliate sottili e dorate di mosaici; tra gliaranci, come poteva essere anche nella nostraisola, dalle rosse cupole, mentre il mare in lon-tananza si confonde con il cielo di un lumi-noso turchese......di nuovo il sogno mi allontana dal reale tra-gico. Ora è evidente a chi mi legge, come ilmagico e fantastico Oriente possa distrarredall’attualità, difficile da raccontare e da ca-pire. Vorremmo che l’odore inebriante dellerose di Damasco, coprisse l’acre fetore degliincendi e del sangue. Vorremmo che persinoil canto di lode del muezzin coprisse i boati,estirpando l’odio dai cuori. Vorremmo che certe antiche vestigia, che ab-biamo con sofferenza veduto oggetto di incre-dibile scempio, tornassero a parlare, a fermareil tempo, che si riempissero di suoni e di odori.Che si lasciassero le Crociate al loro tempooscuro, facendo emergere nei secoli del ri-morso, il dialogo tra S. Francesco ed il feroceSaladino, provando a capire cosa li portò al re-ciproco rispetto e alla reciproca accettazione.Vorremmo che qui, dove comunque altre ini-quità e poteri indecenti continuano a generareingiustizia, rivivesse la lunga notte di Sherazade,velata di trasparenze, figlia di un oriente sen-suale e seducente, fino a quando l’ultima dellesue novelle, con un finale da favola, le renda lavita, l’amore e la voglia di raccontarceli. Tra un mondo definitivamente in pace e quelloreale, c’è soltanto l’eco della sua voce...

Un oriente miticocongelato dagli orrori

L’ultima fiaba di Sherazade è nel nostro immaginario

Anna Scialabba

Fotografia di Letizia Battaglia, Palermo,19853 mezzocielo n° 152 primavera 2016

Costruire la guarigione,proteggere un futuroIl centro Amazzone di Anna e Lina

Adriana Palmeri

Alla richiesta della dottoressa che la visitava:perché non è venuta prima? Ha risposto :Me lo ha impedito il matrimonio di mio fi-glio, un anno intero di preparativi! È accaduto a una delle tante donne con unatumefazione piuttosto voluminosa al seno,tenuta accuratamente nascosta, vuoi per pu-dore, per tabù o per ignoranza Spesso,quando una donna ha un tumore al seno, ètroppo tardi per intervenire.Il Trauma che segue la scoperta del tumoreal seno è più grave della patologia stessa,s’innescano meccanismi di paura, pregiu-dizi, isolamento, senso di diversità, un dop-pio sfregio fisico e simbolico. Per questomotivo, Lina Prosa (drammaturga) e AnnaBarbera (giornalista) da noi chiamate“donne guerriere” e ispirate dal mito del-l’Amazzone, hanno organizzato a Palermodal 1996 insieme a 125 volontari, le attivitàdel Progetto Amazzone diventato poi Cen-tro Amazzone e ospitato nell’ex sanatorio“Villino Basile” di proprietà dell’OspedaleCivico di Palermo.Una sfida coraggiosa alla cultura di una ma-lattia impossibile da gestire soltanto con lamedicina, ma per la quale è necessaria un’in-terazione tra competenze scientifiche e no-zioni umanistiche. Già dal 1996, quando ancora il Sistema Sa-nitario Nazionale non provvedeva alla cam-pagna di prevenzione, il Centro Amazzone,con geniale intuito, riceveva migliaia didonne (ad oggi 14 mila) per libera scelta esenza prescrizione medica, con un approc-cio innovativo attraverso tre aree di attività:Prevenzione, Cultura scientifica e Laborato-rio teatrale. Quindi, diagnostica strumen-tale, consulenze psicologiche, seminariscientifici e poi laboratori teatrali conl’obiettivo di sdoganare il luogo comune cheliberare il corpo dalla ferita è più sempliceche dalla mente. Al contrario della medicinaufficiale, per cui liberare dal male è sino-nimo di liberazione della mente, secondo lafilosofia di Lina e Anna il percorso di guari-gione non è inteso come ritorno “a come siera prima”, bensì alla consapevolezza e al-l’acquisizione della conoscenza del cambia-mento. Utile e sperimentato strumento diaiuto è il teatro egregiamente interpretato daLina Prosa, autrice di numerosi testi teatrali,come “La trilogia del naufragio”, una pièce

sull’immigrazione clandestina. Tre storie diuna seconda vita per gli immigrati che parteda Lampedusa, e che ha riscosso grandi ri-conoscimenti di pubblico e critica in diversiteatri francesi, e poi in Italia.Il teatro per Lina e Anna, che animano e di-rigono il Centro Amazzone, è una grande ri-sorsa, la più antica arte che da sempre haespresso la condizione umana attraverso illinguaggio del corpo. È per questo che, inun così delicato contesto, esso rappresentail terreno ideale su cui costruire la guari-gione, progettare un futuro, e, perché no,combattere la malattia. I laboratori teatralisono aperti a tutte, alle donne operate dicancro e alle altre che, pur non avendo su-bito alcun intervento, stanno al loro fianco. L’esperienza del Centro Amazzone, apprez-zata anche oltre i confini dell’Italia comemodello innovativo, ha avuto il pregio didare risposte concrete e di occuparsi del“dopo cancro” di tutte quelle donne che l’-hanno sconfitto, accompagnandole in que-sto percorso e supportando i familiari. Delloro contributo hanno fruito e beneficiatoanche le strutture pubbliche e gli ospedali,che hanno potuto avvalersi di un valido ap-poggio strutturale capace di alleggerire illoro lavoro, nella certezza di poter fornireun valido punto di riferimento alle propriepazienti. Ciò nonostante, a Marzo di que-st’anno, il Centro Amazzone ha chiuso il si-pario. Ha prevalso una scelta aziendalediremmo sconsiderata, ed è stato deciso divendere i locali. La destinazione d’uso pocoimporta, ormai!Per le donne guerriere che in sedici annihanno voluto portare l’ospedale fra le donnee non il contrario, è stato un duro colpo.Hanno chiesto aiuto alla città. Donne, uo-mini e famiglie che in tutti questi anni hannobeneficiato di sostegno e cure, si sono atti-vati con le loro testimonianze hanno chiestogaranzie per la prosecuzione delle attivitàdel Centro. Anche la giornalista Marina Turco si è fattainterprete di quest’occorrenza e ha dato vitaad un coordinamento di vigilanza, così l’am-ministrazione ha finalmente risposto, indivi-duando nei locali dell’ex Caserma Fallettavicino il Teatro Massimo una possibile sede.Sarà vero? Al momento è solo un impegnoformale, al quale, però, vorremmo credere.

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Al tacere delle vele ho solo i miei passi per deporre una pacata irriverenza sulla città.

Un requiem trangugiato sopra una sordida panchina. Aspetto altri passi sovrapposti ai miei o le gambe ondulate di un funambolo

con gli occhi oltre la cortina dello smog. Beato funambolo.

Del resto l’estate è tornata a girare sul sellino d’una vecchia bicicletta. Ha l’aria stralunata dopo aver caracollato per le stazioni del mondo.

Ci lasceranno così. disarcionate dal tempo

orfane appena memori di aver avuto madre terra cielo mare

e un sorriso forse come equinozio gettato alle ortiche di nulla.

Del resto ho solo i miei passi per cercare banchiglie di luceissate al crocevia da chi vendeva temporali intrecciati d’alba

lasciati cadere dall’angelo di tutti i mattini.

A lungo guardammo Palermo degli arabi e dei salmiai bordi d’un mediterraneo imbronciato.

Non era ancora sera sdegnata come adesso che invochiamo versi fioritinel mese degli abbandoni per non abbandonare mai.

Del resto era solo un canto disseminato nella conca di gialli e di verdi come limoni antichi

come rose addossate ai nostri per sempre.

E non c’è posto dove stare per un ritorno di brezza dalle narici al cuore. Si può solo vomitare sul catrame e sperare in un refolo che sia refolo

che venga dal mare e che sia mare.

Ci lasceranno così. Tra arrivederci e adii.Con la cicuta del gelo.

Nella diroccata malinconia che nessun verso potrà mai compiere in questa città consegnata alla bufera

con le braccia immerse nel mare per rubare un sogno occhieggiante dai buchi delle scarpe di un clochard.

Ci lasceranno così malgrado lassù - sotto l’altare della Santa - qualcuno ancora preghi.

Palermo: Odi et amo

Francesca Traina

L’amore dei giovaniper la casa comune

Rosanna Pirajno

Le guardo con interesse, queste giovani ge-nerazioni che si muovono in un campo chesentivo appartenermi per antica frequenta-zione, e che ad un tratto mi pare di discono-scere a causa dei radicali cambiamenti dimodalità d’uso e comunicazione che sonointervenuti. Parlo di un ambito, uno deitanti nel limbo della “discontinuità genera-zionale” in atto, in cui all’emergere di nuovibisogni ha corrisposto un modo inconsuetodi affrontarli per trovare soluzioni pratica-bili, parlo dei beni culturali e ambientali cherichiedono impegni sempre crescenti esforzi decuplicati, se rapportati alle decli-nanti attenzioni e risorse destinate a salva-guardia e tutela dagli enti pubblici preposti.È un fenomeno che seguo con interesse,quello dei giovani che si dedicano volonta-riamente alla cura della città nei suoi aspettimacro e microscopici, che si servono dei piùprogrediti ritrovati telematici che da incom-petente non so distinguere tra piattaforme,forum, social network, chat, newsgroupthread e portali internet, per comunicaredati e opinioni e diffondere indagini e ricer-che con le quali fanno le pulci alle ammini-strazioni locali, che si schierano a favore ocontro innovazioni tecnologiche delle qualisono espertissimi, che praticano un’adesionerude e schietta alla esperienza dei Padri (etalvolta delle Madri), di cui tengono contocum judicio, senza lasciarsene sopraffare. La visione del campo questi ragazzi/e l’hannoallargata di parecchio, la distinzione tra benidi alto lignaggio – i Monumenti con la ma-iuscola, per dire – e il contesto urbano, concui questi interferiscono, si è diluito benefi-camente in una attenzione mirata alla salva-guardia, non tanto o non solo dei singolipreziosi manufatti lasciati in appannaggioalle associazioni storiche radicate sul territo-rio, quanto del massimo benessere collettivodi cui dovrebbe farsi carico una municipalitàche auspicano maggiormente efficiente, ac-corta e previdente.Non mettendo in conto eterni scontenti emestatori, quelli che aspirando all’ottimo silasciano sfuggire anche il mediamentebuono, in genere i giovani che si occupanodi faccende urbane/urbanistiche sono ani-mati da una buona dose di pragmatismo chesi riversa, piuttosto che nelle forme associa-tive tradizionali, nelle varie “piattaforme” at-traverso cui mandano in rete, amplificandolein modo esponenziale, le posizioni assunte

sugli argomenti che affrontano con sistema-ticità molto professionale, quasi dividendosii compiti. Così ci sono quelli che vanno allaricerca di monumenti abbandonati e degra-dati, che non mancano nella città dalle feritedi guerra ancora aperte, per denunciarne lostato dell’arte e sollecitare interventi, e quelliche le linee del tram e del passante ferrovia-rio salveranno Palermo dall’immobilismo edall’arretratezza nella quale ancora si dibatte.Ne cito alcuni che conosco e frequento, diquesti siti informatici o portali o come sichiamano, per riconoscenza: Social influen-cer, Palermo today, Mobilita Palermo, lavoce della tua città, Rosalio, Balarm, Amo-palermo, Skyscrapercity, Clac e mi scuso peri non citati…, hanno obiettivi diversificati macostantemente puntati sulla città. In questa Terra di Mezzo tra Istituzioni eCittadini, tra associazionismo collaudato egruppi in continua evoluzione, non man-cano giovani donne preparate e determinateche si muovono tra quelli che “fanno cul-tura” e quelli che si occupano del sociale;quelli che curano l’ambiente e impiantanogiardinetti dove c’è una discarica, e quelliche insegnano ai bambini con disagi a leg-gere e scrivere e disegnare e fare musica;quelli che battono la città palmo a palmo equelli che la raccontano agli altri, in sostanzatra quelli che si spendono per la comunità-città che ha bisogno, e tanto, di attenzioni ecure. Non sempre convengo con le loro po-sizioni, ma la loro attenzione al luogo nelquale vivono e operano – qualcuno lo ha ad-dirittura scelto, trasferendosi dal Conti-nente – è segno di vitalità che vale quantoun “innamoramento civile” per la Casa co-mune che chiamiamo Città. Nel gergo dei forum, dei newsgroup e dellechat il thread (letteralmente trama, filo, e so-litamente abbreviato in 3d) indica la discus-sione sviluppata dai singoli utenti[1].Solitamente un primo utente stabilisce iltopic, ossia l’oggetto del proprio contributoe l’interazione che ne segue assume la formadi un copione, di uno scambio tra più sog-getti. Il thread è quindi composto dal topicseguito dai post lasciati dai vari intervenutinella discussione.Nell’ambito della ricerca sull’e-learning ilthread è particolarmente interessante, inquanto dagli sviluppi dell’interazione tra gliutenti è possibile cogliere il processo di con-divisione e costruzione della conoscenza.

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La bella energia

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Diffondere il sapere scientificoper uno sviluppo equo del mondo

La mostra “Donne e scienza”Stella Bertuglia*

Il mondo scientifico alle soglie del terzo mil-lennio dovrà pur chiedersi come veicolare leinformazioni; e la scuola, luogo di forma-zione della persona, dovrà pur porsi il com-pito di educare a relazionarsi con tutti isoggetti che abitano il nostro pianeta inmodo equitativo e rispettoso.In un recente articolo di Enrico Franceschini(su “La Repubblica”), si legge che studi con-dotti da evoluzionisti contemporanei ipotiz-zano che la specie umana, tra mille anni, andràverso la divisione di due grandi tribù: unad’élite, la classe superiore (alta, magra, intelli-gente, bella ed in grado di vivere fino a 120anni) e una di schiavi, la classe inferiore (bassa,grassa, poco intelligente, brutta e in cattive con-dizioni di salute). Se ciò dovesse avvenire losarà a causa dell’ aumento sempre più grandedella sperequazione tra i ricchi e i poveri dellaTerra, determinando, così, le basi di una discri-minazione anche biologica. Attualmente lescelte politiche e quindi sociali dominanti nondirigono i loro sforzi verso un maggiore benes-sere rivolto a tutta la popolazione mondiale,pur essendoci a disposizione risorse e tecnolo-gie adeguate. A causa di questa cecità, stannoaumentando sempre più le disparità e le discri-minazioni tra gli abitanti sulla Terra e i conflittiarmati, spesso, sono le uniche risoluzioni adot-tate dalla politica. Solo un modello di vita di-verso, cooperativo, come fu quello delle nostreorigini, potrà condurci insieme lungo un per-corso evolutivo più efficiente. ed umano.

Il modello di sviluppo in atto, sostanzialmente“distruttivo” (inquinamento, conflitti sociali earmati, discriminazioni e non rispetto dei di-ritti umani, ecc.) si sta dirigendo verso unamaro destino: “l’estinzione”, prima o poi,della nostra specie. Ribadire il bisogno di edu-care e formare nel rispetto delle/degli indivi-dui e dell’ambiente dove abitano, sostituirealla fame di potere e di ricchezza il rispettodelle diversità e l’altruismo, propositi chestanno già alla base degli insegnamenti scien-tifici, potrebbe far recuperare questi concettinella loro totale interezza al fine di valorizzaretutte le diversità presenti nel nostro Pianeta. Oggi i mezzi per poter agire il “rispetto” sonoa disposizione di tutte/i coloro che voglionodare un senso forte alle proprie azioni di for-mazione ed educazione “equa”. La MostraScienziate d’occidente, due secoli di storia alle-stita in occasione della Giornata delle donnescienziate, celebrata tempo fa, permette diveicolare materiali didattici necessari per darriconoscimento del nostro passato di donnee per contribuire alla formazione di future/icittadine/i, responsabili e coscienti del lororuolo e delle loro responsabilità.La Mostra può essere visitata su richiestapresso l’I.I.S.S. “A. Volta” di Palermo, pre-via prenotazione telefonica a Stella Bertu-glia: 347 5977207

* Esperta in tematiche di Genere, Docente di Scienze Na-turali presso l’I.I.S.S. “A.Volta” di Palermo, Tutor Coordi-natore del TFA presso Università degli studi di Palermo

Una domanda: l’energia spesa in quei senti-menti, spesso sopra le righe, un po’ folli, un po’incontrollati, legati all’innamoramento dove vaa finire?Non si parla di amore, che è tutt’altra faccenda,ma proprio di innamoramento. Quando sei in-namorata di qualcuno tremi piangi ridi guardila luna, vedi il tuo amore, come magari non è,bello, straordinario, intelligente, sensuale. Poidopo qualche tempo, in genere, l’innamora-mento per quella persona finisce, lui ti diventaestraneo e così capita che dopo un po’ ti inna-mori di un altro. La stessa cosa può capitare, ecapita, anche a lui.

E quindi come possiamo considerare questaesperienza? Può essa fare parte del nostro ba-gaglio positivo o l’avvenimento è stato effimeroe quindi dobbiamo dimenticarlo con fastidio,catalogandolo tra le stupidaggini che abbiamocommesso e che ci hanno spesso fatto soffrireda matti? Insomma, cos’è questo innamora-mento? Un modo per farci del male? O ci sonomotivazioni oscure, o intelligenti, che possonoavvalorare l’effimero? L. B.

Fotografia di Letizia Battaglia, Palermo, Addaura 2010

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Fiamme e fulminiper la continuità della specie

Maria Luisa Mondello

È un’accensione, l’innamoramento, che dàinnesco all’amare.Essere innamorati è uno stato.Amare è un atto.L’amore, come tutte le fiamme, per dive-nire fuoco che riscalda, conforta, ha neces-sità di perdere forza, rischiosità, ardore.Intenso sempre, ma attenuato e spogliatodi quella esaltante condizione che defi-niamo passione, vive la quotidianità, di-viene legame, si scioglie nei gesti e nelleabitudini, tesse trame sottili, a volte impal-pabili. Diviene trasparente fino a coinci-dere con l’aria che si respira e scomparealla nostra percezione.Le tracce lasciate dai falò piuttosto a segna-larci la consistenza di quanto ci è accadutodi vivere, cifra indelebile di un passato chediviene memoria, in grado di riposizionarcinel legame quando a volte se ne perde ilsenso. Ricordo, consistente presenza delpassato, evocabile ma non attualizzabile.Come radice, fondazione del presente, manon presente. Ci succede di volere, desiderare la scatola difiammiferi che dà inizio all’incendio, di vi-verne l’assenza come perdita di vita, di sensodella propria vita, senza quelle trepide fiam-melle che pencolano nelle nostre mani.Come fossero le nostre mani, capaci di cre-arle, suscitarle, tenerle guizzanti e veloci nellambire l’oggetto fiammeggiante che c’in-fiamma.Perché l’amore, l’innesco dell’amore finisce?Verrebbe da dire: legge di natura! Troppospreco di energia se dovesse con continuitàpresenziare al vivere. Impedendo probabil-mente le altre forme del vivere. Mangiare,produrre, andare, conoscere.Perché l’innamoramento ci consuma, ci as-sorbe del tutto, non dà pace, ci tiene all’erta,nella ricerca, più forte ed essenziale dellostesso conseguimento della meta, nell’immi-nenza della perdita, dello sconforto, nel ti-more che altri riusciranno a insediarsi in chici infiamma.Sarà l’innamoramento la forma umana diquelle lotte furibonde che animano gli amoridi molte specie, costringendo i maschi allosviluppo di armi da esibire per essere sceltidalle femmine e per combattere con gli altripretendenti? Ai maschi di buona parte dellespecie viventi, tocca l’onere di dimostrare lapropria prestanza alle femmine.Perché, non l’abbiamo detto, ce ne fosse bi-

sogno, ma tutto, proprio tutto del marchin-gegno a fiamme e fulmini, ruota intorno algrande tema della continuità della specie.Anche quando tutto sembra tranne che la ri-sposta, l’ingaggio al compito primario speciespecifico.Consideriamo i duelli cruenti, che i maschidi tante specie ingaggiano per conquistarel’accesso alle femmine, mai lontanamentebelle e avvenenti quanto loro.Prendiamo in considerazione i cervi. E idaini e gli alci. Le stagioni dell’accoppia-mento degli animali, così limitate nel tempoma così intense, come forme sui generisdell’innamoramento. Si respira nell’aria,nella loro aria che noi non percepiamo, qual-cosa che accende, infuoca, rende bramosi efa sopportare tanto. Tutto a carico del ma-schile, le femmine sembrano a prima vistapoco accese, pronte a scappare piuttosto cheinteressate.Ma già per i primati la storia è diversa. Manon è questa la sede.Torniamo ai cervi. Portano in capo palchigiganteschi, che perdono finita la stagionedegli amori nella quale, con grande dispen-dio di energia, si combattono all’infinito.Anche i daini. I palchi dei daini adulti pos-sono crescere fino a superare i due metri emezzo, più grandi dello stesso animale.Ogni anno tra settembre e ottobre, per cin-que settimane i maschi in calore, brami-scono e agitano i loro palchi, gridano,scavano il terreno, urinano, segnano il ter-ritorio per attirare le femmine e allontanaregli altri maschi e lottano tra di loro pergiorni. Una ricerca si è chiesta quale fosse ilcosto e il risultato di tutto questo. Tre quartidei maschi presi in considerazione, tra i 350e i 700 per 15 anni,sono morti prima di rag-giungere una stazza che consentisse qualchesuccesso nella lotta. Il 90% non si è mai ac-coppiato. Lo stesso risultato è toccato amolti vincitori delle lotte: feriti, ammalati estanchi non sono riusciti ad accoppiarsi.Lotte terribili, senza mangiare, fino a per-dere un quarto del peso(D.J. Emlen 2014)1.Per riportare ferite, contusioni, tanto doloree morte accompagna la spinta a creare il vi-vere.Per gli alci non è diverso. Una ricerca hamesso in evidenza, che, nella stagione degliamori, le loro ossa vanno incontro a decal-cificazione, si ammalano con più facilità e fe-rite e fratture sono spesso l’esito di tanto

spreco energetico piuttosto che accoppia-menti (D.J. Emlen 2014)2.Stare nell’aspettativa, nella ricerca, nei passiper la fondazione della vita è connaturato edè appagante viverne la tensione, i modi. Noiumani frequentiamo le forme degli incontriche si inscrivono nei processi procreativi se-condo una consistente disarticolazione dellecomponenti, senza stagionalità. Proviamo arimanere per sempre nell’innamoramento, oa tenerne al riparo il sessuale, che a sua voltanon coincide col procreare accettando, sop-

portando, soffrendo e godendo di viveredell’amore e dell’amare i giochi e le tramesfuggenti, mai paghi, senza che il pensieroche costantemente ci accompagna per co-glierne il senso, dando forma a letteratura,arte, scienza, ci abbia mai consentito di ve-nire a capo.

1 D. J. Emlen 2014), Armi animali, Codice ed. To-rino, 2016, p.142.

2 D. J. Emlen Op. cit. p. 143.

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Disegno a china di Antonietta Raphaël, 1970,

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Il sogno di ShakespeareMimma Grillo

“Io in amore sono come un bastimento, vadodritta per la mia strada, a solcare il mare...ar-riverò. Tu invece sei come l’onda: lambisci laspiaggia, la levighi ...e poi torni a perderti nelmare aperto... Io accompagno il destino...tulo sfidi”. – Così mi diceva un’amica di quandoavevo trentanni. Il destino. Ma cos’è il de-stino? In questo universo in cui ondeggianole nostre vite gli influssi sono tanti: i pianeti,le maree...la Luna, o Cinzia, come la chiama-vano i Greci. È proprio la presenza della lunache fornisce la base tematica al “Sogno di unanotte di mezza estate” (notte di San Gio-vanni?) di Shakespeare: quella luna genera-trice nell’animo umano di stravolgimenti che,per i pazzi, possono essere la loro stessa follia,per gli amanti, il loro stesso amore, per i poeti,la loro imma-ginazione, per tutti, il Sogno.“Gli innamorati e i pazzi hanno cervelli in taleebollizione e tanto fervide sono le loro fanta-sie che concepiscono più di quanto il freddoraziocinio mai comprenda. Il pazzo, l’inna-morato e il poeta non sono composti che difantasia” – dice Teseo, duca d’Atene, a Ippo-lita, regina delle Amazzoni, da lui sconfitta esuo bottino di guerra. L’opera di Shakespeareracconta delle loro imminenti nozze. E di unastrana notte: scenario il bosco, la Natura, lamagia. Un gruppo di artigiani-attori preparauna recita in l’occasione delle nozze, mentreTitania e Oberon – regina e re delle Fate non-ché protettori dei talami nuziali – sono in litetra loro e assistono, tra un dispetto e l’altro,all’incontro tra amanti in fuga (Lisandro edErmia) e amanti non corrisposti (Demetrioed Elena). Mentre gli amanti si agitano dietroi loro affanni, il regno delle Fate si burla diloro. Ed è così che un magico piccolo fiore,

la Viola del Pensiero (o meglio, un unguentoricavato dal fiore) passato dal demone Puckper ordine di Oberon sugli occhi dormientidi Titania, Lisandro e Demetrio, rompe le di-namiche degli innamoramenti. Ed è cosìanche che Titania arde d’amore per Bottom –uno degli artigiani/attori – a sua volta trasfor-mato in asino!Il Destino ha il volto del capriccio di Oberone del piccolo fiore Viola del Pensiero. Equando alla fine (sempre grazie all’unguento)tutto va al suo giusto posto: “Oberon, miocaro! Che strane visioni ho avuto... mi parevadi essermi innamorata di un asino!” – dirà Ti-tania al suo risveglio ad Oberon. “Non pren-detevela miei cari signori, perché questastoria d’ogni logica è fuori: non altro vi of-frimmo che un Sogno! – reciterà Puch nelcommiato. Del resto ci era stato anticipato:“il pazzo, l’innamorato e il poeta non sonocomposti che di fantasia”. Spesso torno apensare al mio irrequieto “sogno d’amore”,quello di me che – come diceva la mia amicadei trentanni – andavo, tornavo, mi strug-gevo, lambivo spiagge, mi ritiravo nel mareaperto..., come le onde. Solo che le onde sonoeterne. Invece i sogni finiscono. Ed anche noi.Cosa rimane di tutte quelle energie! Tantedomande, sicuramente. Nessuna risposta, si-curamente. Nostalgia, forse. Mi è capitato dicercare in internet il nome di un mio “mitico”fidanzato greco (mitico proprio....veniva daAtene e mi portava sempre sull’acropoliquando andavamo nella sua terra). Mi haemozionato vedere il suo volto campeggiaresullo schermo del mio computer. Sarebbestato facilissimo contattarlo... ma come si faa contattare un sogno con Facebook...?”

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Fotografia di Rania Matar, A Girl and Her Room, Rabieh Lebanon, 2010

Fotografia di Rania Matar, Winchester, MA, 2009

Una energiada non perdere

Egle Palazzolo

Quanta energia metti in amore? Quanta netiri fuori, ne investi, lasciando largo alle pas-sioni di cui ti ritrovi capace, scoprendo gene-rosità o sacrifici che non avevi messo in conto?Dove va quest’energia se un amore è finitoo dimenticato – e dunque proprio amorenon era ma tua illusione o bisogno- o ha mu-tato volto e si è infilato dentro, serio e allet-tante in un rapporto diverso che ancora facapo alla tua vita? Nel senso che con segnalidiversi muove le sue spinte, le sue offerte maresta solido in una sua identità.Risposte le più svariate e persino sorpren-denti continuerebbero a riempire una storiainfinita nella quale da secoli l’amore è statonarrato, musicato, scolpito, dipinto, cantato,recitato: in una parola rappresentato. Perchécomunque è tassello che ci compone, argo-mento che ci intriga e persino ci completanella ridda delle difficoltà che insidiano l’esi-stenza. E proprio quanto esso ci compongasarebbe utile saperlo sin dall’infanzia pernon barcamenarci tra tirannie e vittimismi,per far salva una quota di libertà che l’amorepiù volte mette a rischio.

Certamente lontane com’è lecito ritenerci -di noi donne soprattutto stiamo parlando -da crinoline e serenate, da castelli o capannedove la bella di turno attende ...l’avverarsidi un sogno o la più dolorosa conclusionedi esso – qualcosa è certamente cambiato .Ora come ora, una donna altra, un tempoaltro, una società senza apparenti confinima stretta tra guerre, ingiustizie, degradimorali, pronta ad affollare le piazze nellainestinguibile ricerca di una fede laica o re-ligiosa, dove si colloca l’amore e l’energiache lo trascina!Nessuna pretesa, è chiaro, di dare una verae soprattutto unica risposta, ma il coraggiodovuto, per noi donne che in fondo il corag-gio sappiamo tirarlo fuori, riconduce altema. L’amore non va in cassa integrazionema non cerca più il posto fisso: converebbela speranza di non patire violenze e ostina-zioni, ipocrisie e storture, di trovare unastrada autentica, quale che sia, magari daalto pedaggio purché la sua energia non siperda, ma faccia parte essenziale del big bendell’universo!

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Ma lui è uomoe non ne muore

Gisella Modica

Come ho potuto talmente illudermi, e pertanto tempo, che quel ragazzo mi amasse? Perché domandavo follemente a lui tuttol’amore che mancava alla mia vita? Quante volte ci è capitato di pronunciarefrasi simili a queste risvegliandoci, alla finedi una storia d’amore, da una notte passataper metà insonne, per metà agitata, con unsenso di abbandono e di gelo nel cuore.Le stesse frasi che scrisse Sibilla Aleramo indue libri: Una Donna nel 1906 e in Diario diuna donna (1945-60). Tentativi entrambi direndere dicibile il desiderio femminile; unaforma di autocoscienza individuale per tro-vare attraverso la scrittura un nesso tra lastoria individuale e la Storia. Temi fondantiche il femminismo degli anni settanta por-terà alla luce e a parziale compimento attra-verso la critica radicale ai ruoli del maschilee del femminile; il superamento delle con-trapposizioni dualistiche mente-corpo; pub-blico privato; la creazione di una socialità“in presenza” tra donne.Il gelo nel cuore, al risveglio, sembra essereil sintomo per distinguere che quello che sta-vamo vivendo non era semplice innamora-mento, dove il corpo dell’altro/a non si lasciaassimilare, ma un sogno d’amore, che cosìdescrive Aleramo:Egli è nella mia vita in modo indicibile. Non giàche sia divenuto una cosa stessa con me …marestando da me differentissimo, domina tanto eriempie tanto di sé ogni mia ora, ch’io quasi piùnon lo distinguo. Fino al punto da vivere in unosdoppiamento continuo, formidabile.Del gelo a seguito di una esperienza di ab-bandono, pari, nel dolore che si prova, allosradicamento di un albero - lasciando ladonna impigliata, radice di un’altra radice,a sognare un albero che non c’era più - scrivein forma autobiografica, nel 1982, nelpieno dell’elaborazione femminista, LeaMelandri. Una sorta di introduzione aCome nasce il sogno d’amore, tema del cor-poso saggio riportato in questo numerodella rivista:Spesso l’esperienza dell’abbandono, quandotocca gli angoli più remoti della nostra sto-ria, si associa a un’impressione di congela-mento, e non ci sono maglie e copertesufficienti a restituirci un po’ del nostro con-sueto calore… Secondo Lea Melandri il pericolo mortaleche si annida in ogni sogno d’amore - dise-gno di un’armonia divina, essere perfetto

creato dal desiderio degli uomini che si ac-corgono, crescendo, di non poter portarecon sé la madre – è che le donne non solo lofanno proprio ma lo potenziano trasforman-dolo in estasi d’amore “che impedisce diavere occhi per tutto ciò che è reale e limi-tato”. Ponendo sullo stesso piano l’amoreper un uomo e l’amore per un figlio inquanto entrambi creano “una situazione diindispensabilità per avere la certezza di tro-vare nella vita dell’altro qualcosa che sipensa mancante nella propria”, al punto che“le donne accettano una realtà faticosa eumiliante per potere continuare a sognare”.Così era certamente per Sibilla Aleramo, unadonna ai primi del novecento, e come leistessa scrive: “Vissi come in un sogno grandioso…che midava l’illusione di avviarmi al dominio dellavita”. SA.La scoperta che non si tratta di un ordine na-turale, scrive Melandri, che si è state co-strette ad inventarsi un dio perché non se neha uno proprio; di aver scambiato il sognodell’altro per il proprio, illudendosi di averfatto nascere se stessa e invece non si è fattoaltro che partorire ancora una volta unuomo, un amante, che se ne andrà, ha por-tato molte donne alla follia creatasi dalvuoto. Scrive Sibilla: Questa mia sotterranea seconda vita…questacorrente tacita di pensieri e di sentimenti...èquesta che lui vorrebbe io traducessi in poesia,violentandomi, disumanandomi, forse ucci-dendomi? Questo lui fa sopra di sé, ma lui èuomo e non ne muore. È ancora così? Quante sono ancora le donne che nel tenta-tivo di “foggiare se stesse” finiscono per par-torire ancora una volta un altro uomo?Già nel Diario di una donna, nelle lettere ein altri libri scritti dopo il 1920 Sibilla Ale-ramo scopre, forse suo malgrado, il risvoltoviolento di una “interezza” che conosce unsesso solo e comincia a delinearsi l’abban-dono del sogno per dare spazio al fastidiosoobbligo di vivere per sé e insieme la difficoltàa non sentirsi cadavere, a sentirsi viva senzasentirsi necessaria a un’altra creatura, un fi-glio, un marito, un’amante: E se tu fossi una creazione del mio desiderio? Tornare a vivere per me soltanto? Ma, non ètroppo tardi? Sono esausta. …Da sola, da sola, prendere il timone della

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mia sorte …io con nessuno, libera di morire,libera di vivere. Fino a che punto siamo pronte ad abdicarea questa onnipotenza di stare “al centrodella cattedrale” - un groviglio di forza e de-bolezza, potenza e insignificanza secondoMelandri, finendo per diventare “schiavidelle propria forza”, come già la stessa Si-billa denunciava? Cosa è cambiato nel sogno d’amore, oggiche il femminismo è stato sussunto e resti-tuito depotenziato dalle logiche di mercatoe dal capitalismo globalizzato per renderloinefficace? Oggi che il corpo erotico e il corpo maternonon sono più il rimosso della storia, scriveMelandri, che ha come esito l’eclissarsi dellaconflittualità tra i sessi, l’allargamento del“ruolo ancillare” dalla sfera domestica aquella pubblica. È ancora una copertura dei rapporti di po-tere tra i sessi?

Non ci sono risposte perché ilfemminismo ha smesso di parlare, oparla poco dell’amore, della vecchiaia,della solitudine, del conflitto vecchio enuovo fra i sessi. Di certo ciò che si delineacon sempre maggiore chiarezza, come av-verte Melandri, e sorprende, sono “lenuove forme di complicità che vedono ledonne nella posizione non più solo di og-getti, ma soggetti di un volontario asservi-mento all’immaginario maschile. Quasiuna rivalsa. Frutto di un’emancipazionemalata? O forse, mi chiedo, fatta salva la innegabileimportanza che ha avuto per le donne laconquista del lavoro in termini di autonomiaeconomica, la complicità è intrinseca allastessa emancipazione?Riusciremo a non rimuovere il tema dellacomplicità femminile dai dibattiti e dalle ela-borazioni femministe, a partire da questastessa rivista?

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Noi donne siamo fatte così, spesso diamoascolto alle intuizioni senza timore di sba-gliare, viviamo le sensazioni senza pianificare,e quando la nostra relazione è minacciata ve-ramente, restiamo immobili. Riusciamo solodopo tanto tempo a tirare una riga e aprirci aun altro capitolo dell’esistenza. Quella sofferenza andrebbe rinchiusa al piùpresto in un sacco per andare avanti, ma nonce la facciamo, anche se è già accaduto,forse, di sperimentare come poi, il giorno incui decidiamo di riaprire quel sacco, noi e lanostra vita siamo tanto diverse da non ricor-dare più nulla del passato. In questo divenire, è capitato di non riusciread attaccarci a un uomo apprezzabile cosìcom’è, pur sapendo che nella vita di coppianon basta solo vibrare, bisogna essere in sin-tonia, per avviarsi a una salda realtà di rap-porto.Abbiamo continuato, invece, a usare la no-stra ossessione verso gli uomini di cui cisiamo innamorate per dimenticare il nostrosenso di vuoto, abbiamo continuato a tro-vare più interessante l’uomo poco equili-brato, imprevedibile, romantico. L’immaturo ci ha attratte, come l’aria miste-riosa del lunatico. Ci siamo avvicinate al-

l’uomo infelice per dargli il nostro conforto,e abbiamo cercato a tutti costi una relazionefelice riversando il nostro amore verso qual-cuno che era solo la proiezione dei nostri de-sideri. Non c’è niente di male nel desiderio di es-sere felici, ma in realtà spesso abbiamo postola fonte di questa felicità fuori di noi, nellemani di qualcun altro (spesso quello sba-gliato), negando le nostre capacità, ed evi-tando a noi stesse la responsabilità dicambiare in meglio la nostra vita.Riflettendo, potremmo scoprire che ab-biamo sbagliato attribuendo le cause dellenostre emozioni distruttive unicamente allepersone che sembravano averle scatenate.Riflettendo, potremmo scoprire anche checerte emozioni distruttive ricorrono di con-tinuo in noi, e si trasformano nell’abitudinedi innamorarsi. Che sia diretta alla persona giusta o sba-gliata, è un’abitudine cui non riusciamo a ri-nunziare perché l’energia e l’estasi deimomenti felici non vanno perse, non vannorinnegate, sono parte del nostro cammino divita, e sono state, in alcuni casi, il rodaggioinevitabile di crescita che ci ha condotto al-l’amore vero.

Chiudere in un saccola sofferenza del passato

Daria D’Angelo

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Cadere, non alzarsi,e quel che resta...

Federica Certa

Non aveva mai detto di essere innamorata.Ma chi le stava vicino lo capiva dagli occhi,che brillavano come quelli di una sedicenne,come se gli anni fossero una carezza, e non unpeso di rimpianti e occasioni perdute. Nonl’aveva mai detto perchè, in fondo, era unacosa un po’ sconveniente, una bizzarrìa ap-pesa al muro di calce bianca e piccole crepedella vecchiaia. Come finire dentro una scena del film “Aspasso con Daisy”, con Jessica Tandy, spigo-losa ebrea settantaduenne del profondo suddegli Stati Uniti, scarrozzata in macchina daun autista nero – negro, si diceva – e analfa-beta, che a dispetto delle povere origini im-parava a smussare i suoi angoli acuti e aesorcizzare le distanze con uno speciale, te-nerissimo legame di complicità e amicizia.Solo che Gilda non era in un film, era dentrola sua vita, anche se tardiva, beffarda, stram-palata. Che poi, a pensarci bene, lei un po’strana lo era sempre stata. Forse per natura, forse per necessità. Ai suoitempi, classe ’26, borghesia medio-alta, un la-voro rispettabile, gli ostacoli di un destino co-stellato dalla perdita e dalle responsabilitàprecoci, non aveva avuto molto da scegliere,ma il mondo che si era ritagliato intorno erasuo, atipico, irregolare, un universo ‘parallelo’di appigli e affetti, forse per qualcuno pietoso,ma ostinatamente suo, a dispetto dei costumidell’epoca, famiglie tradizionali, biografie pre-vedibili, solchi già tracciati. Strana, Gildaanche sfortunata, di quella sfortuna che siprende gioco delle buone intenzioni, che perqualcuno non esiste, ma di solito a dirlo sonosempre quelli che vincono facile. La sfortuna di Gilda, bacio di Giuda pertrenta denari, o giù di lì, era stata l’amore,come un figlio che lascia il posto vuoto a ta-vola e se ne va a sbevazzare per osterie, ingratodel piatto caldo e del vino buono di casa. Il fi-danzato l’aveva lasciata ancora giovane, dopoche lei, in quel ragazzo, aveva riposto tutte lesue aspettative. Non si era mai ripresa, almenonon nel senso comune del termine. Capita: ca-dere e non rialzarsi, non sapere da dove rico-minciare, perdere la fiducia. Ma lo straordinario di Gilda era che, in unaltro modo, secondo altre leggi, in quellosgambetto della sorte lei ci si era sistematacomoda, sedendosi a guardare cosa le re-stava e cosa poteva inventarsi, trovando unorizzonte diverso proprio dalla prospettivadi una irrimediabile caduta.

A modo suo Gilda, che se ne è andata pochesettimane fa, a novant’anni suonati, haamato ed è stata amata. Piccola, colta, mite,scrupolosa, con quel nome da femmina ato-mica che proprio non le si addiceva, si eracostruita una dimensione quotidiana di sor-risi e chiacchiere, con una persona in carnee ossa perfetta come un personaggio lettera-rio e reale come uno sposo. Così, quando lui passava a prenderla per laloro passeggiata mattutina, solo un viaggettoin macchina, nessuna pretesa, nessuna mali-zia, Gilda era sempre curata e ben vestita,semplice ma elegante, pur con tutti suoianni, tanti più del cavaliere al volante, ai suoiocchi unico, bello, gentile. Che forse gongo-lava con venale spacconeria per l’incontrofortuito con quella anziana signora prodigadi regali, ma alla fine lo scambio era equo, elei si sentiva così beatamente giovane e forte,e dava un senso alle sue giornate. Chissà se restavano in silenzio o parlavanofitto fitto, durante quei giri su strade fami-liari, la vita fuori dal finestrino, e dentro,nello spazio del sedile posteriore, la fantasia,la speranza, le stagioni. Gilda, o del coraggio di credere nelle favole,anche quando la principessa ha i capellibianchi, un comodino pieno di medicine ele macchie brune sulle mani. Gilda, o delcandore di non arrendersi, e restare gene-rosa, empatica, allegra, anche se le proveerano state dure e le foto di famiglia ormaisempre più ingiallite. C’è chi ama per passione e chi per conforto,chi per educazione e chi per sopravvivenza,chi per pigrizia o per nostalgia ci sono moltiche, amando, mentono. Gilda non mentivamai, leggera e salda come le sue invincibiliossa, e non conosceva i trucchi e le astuziedel gioco della seduzione, perché il privile-gio dei vecchi è non dover più fingere, na-scondersi, fare strategie. È l’assoluta libertà,anche di innamorarsi. Ci sono le madri, le mogli, le fidanzate, le so-relle, le figlie, al caldo, nei ranghie e, oltre iranghi, le storie che non stanno in nessunacasella, e che smascherano nei fatti la pre-sunzione di darsi e dare etimologia ai senti-menti, che hanno mille significati e nonentrano nel vocabolario. Si può essere come Gilda solo per un po’. Oper tutta la vita. E non è un ripiego. È un ta-lento, una dote innata, che le circostanzespingono a perfezionare, a trasformare in

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una forma di assoluzione: arredare il bara-tro, trasformarlo in un luogo accogliente, in-fischiarsene delle occhiate curiose dellagente e tenere testa alle avversità piegandosicome un giunco, senza spezzarsi. Se anche non si fosse mai davvero innamo-rata del suo autista, Gilda amava vivere enon faceva nulla per nasconderlo. Non èmorta da sola e ha lasciato un bel ricordo. Èmolto più di quanto si potrebbe pensare. Èuna buona fine, migliore di quella di tantialtri. La raccontano così, Gilda, e sembraquasi di averla conosciuta, di essere stata inauto con lei e il suo accompagnatore, a scar-

tare il regalo inaspettato di un’ultima, lungaprimavera. Parlano tutti di amore, e si riem-piono la bocca e le mani come al bouffet diun villaggio-vacanze, il difficile è trovarlo lìdove sembra che non ci siano acqua e ter-reno fertile per coltivarlo. Gilda non era una donna d’altri tempi. Erauna donna di ogni tempo anche di quellopresente, sincopato, arido, traditore, e deiprossimi, che forse saranno anche peggio,perché ci si fiuta su Facebook, ci si dichiarasu Twitter, ci si frequenta su Snapchat. Uno che ti porta a fare una passeggiata nonlo trovi neanche a pagare.

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Fotografia di Letizia Battaglia, Teatro Garibaldi, Palermo, 2015

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Il cavallo innamoratoRivoluzionata la teoria dell’amore stagionale

Silvana Fernandez

Una riunione tra amiche, fuori piove. Lapadrona di casa ha preparato tartine, te,caffè... La pioggia intristisce. Improvvisa-mente ci sentiamo impigrite. Qualcuna dice“parliamo d’amore.” Perché no? La nostraetà, abbastanza matura, ha superato riser-vatezze e imbarazzo. Si tirano fuori ricordidi storie, soprattutto sofferte. Ci si chiede:“L’amore fa soffrire più di quanto fa go-dere?”. La conversazione incalza. Ad untratto una frase mi colpisce: “Sarebbe belloavere la stagione dell’amore come gli ani-mali. Non ci sono traumi né inganni; bastaaspettare. I profumi, i venti primaverili chegirano attorno e portano altri profumi, det-tano il momento: la scelta degli animali èobbligata. Per loro tutto è previsto e si-curo!”. Mentre le amiche continuano a par-lare, io mi distraggo, penso al passato.Improvvisamente vedo una macchina cheva lentamente, con una donna al volante,ed al suo fianco un signore grasso che tra-sborda dal sedile e che volta continuamentela testa all’indietro, per sorvegliare un pic-colo wan con grande stallone inglese damonta. Quel giorno la strada di tre Mon-zelli era coperta di neve! Strano per la Si-cilia; ma ugualmente strano che io fossiaccanto al signor Buitta che, come sensaledi cavalli, mi aveva quasi costretta ad an-dare a Catania per comprare Cicheto, purosangue inglese, assicurando che era un ot-timo cavalo da salto ed ora campione dimonta. Se c’era una persona di cui tutti noiallevatori ci fidavamo era proprio lui; noncredo fosse mai montato su un cavallo, madi un cavallo capiva tutto: attitudine, carat-tere, lato debole, vizi ed ora mi assicuravala tendenza quasi continua all’accoppia-mento nei periodi dell’estro. Erano gli anniin cui chi aveva aziende agricole con cavalliveniva stimolato con la promessa di cospi-cui contributi dalla regione per formareuna razza siciliana, per cercare, come ave-vano già fatto in Sardegna, di far nascerecavalli più alti, adatti agli ostacoli, capaci dicompetere con gli stranieri. In questa av-ventura mi ero, no: è più esatto dire si era,tuffata la mia famiglia, tutte le coppe vintesu uno scaffale. Ecco perché ero lì dunquequel giorno di neve a sentire parlare di sta-gioni dell’estro, ed accoppiamento. Tiran-domi dietro un cavallo di grandi promesse.Cicheto purosangue inglese le promesse lemantenne, ma ad una condizione stretta-

mente personale. Dopo vari giorni dell’ar-rivo del cavallo, l’uomo che in campagna sioccupava di lui, Nino, l’aveva lustrato, pet-tinato quasi si trattasse di una vera cerimo-nia, e pronunziando, per frenare i suoibollori, quasi una nenia, lo aveva portatoad un muro costruito apposta, dall’altraparte del quale sarebbe stata portata la giu-menta. Io avevo proposto, viste le decanta-temi bellezza e la virtù dello stallone, diproporgli, al muro Tenerezza: una irlandesebionda, alta, dagli occhi dolci. La miascelta, però, non piacque a Cicheto, cheinarcò la schiena, indietreggiò, si alzò sudue gambe scuotendo la testa. Si era in-tanto riunito un gruppo di allevatori nostrivicini per osservare la decantata bellezza eattività del cavallo. Essi cominciarono aguardarsi perplessi. “Era il periodo dellemonte; – dicevano – la cavalla aveva l’estro;che aspettava lo stallone?”. Gridai al nostroimpiegato “Portate Aureliana!”. Era unasaura dalla criniera mesciata, alta e potente,quasi quanto lui. Questa volta Cicheto lan-ciò addirittura un nitrito di protesta e in-dietreggiò. Sfilarono davanti a lui la baia,la grigia, la più alta... nessun approccioamoroso. Anzi, il purosangue faceva ten-tativi sia di fuga sia di travolgere il muro.Le risatine degli allevatori amici concor-renti aumentavano. Cicheto, davanti a tantecavalle belle, altere e molto smaniose, in-dietreggiava sempre più. Ad un tratto,mentre Nino faceva segno che era megliorientrare, vidi il cavallo puntare il musoverso una cavallina nostrana, di nome Ca-rina, senza razza né colore o eleganza par-ticolari, che brucava là vicino. Di colpogridai “Nino la porti al muro”. Risero tutti,ma Cicheto continuò a mandare nitritibrevi ma allegri, ed, una volta al muro…altro che accoppiamento, fu un trionfo! Perusare un termine umano potremmo dire: lìsi amarono varie volte. Non fu un amorefugace perché Cicheto prima di compiereil suo dovere aziendale, sempre pretese diavere per prima Carina, ed anche quandola stagione delle monte trascorse, ogni voltache la cavallina passava davanti al suo box,nitriva impennandosi fin quando non rice-veva in risposta il richiamo di lei, rivoluzio-nando le teorie sulla bellezza nonché quellesull’amore stagionale, di cui erano certe lemie amiche – dimostrando che l’amore nonconosce bellezze né stagioni.

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Non sono certo la prima a porsi questa do-manda. Come non sono la prima a chiedersiperché ci si disamora e dove va a finire l’in-namoramento e le follie che in suo nome fac-ciamo. L’impatto può avvenire perché c’è laluna piena, o un panorama da togliere ilfiato, Billy Hoiliday che canta Love For Sale,o perché l’oggetto del nostro desiderio èbello e affascinante, o perché non è fisica-mente appetibile, ma ha quel qualcosa di in-definibile, chessò uno sguardo cupo emisterioso che ti attrae mortalmente e chenon sai che cosa è. Sì, lo voglio. Non avròaltro amore al di fuori di lui. Non ti chiedinemmeno se anche lui lo vuole così come lovuoi tu. Ma poi può capitare un gesto, untono di voce che ti ferisce, o un nome diversodal tuo pronunciato nel posto sbagliato, nelmomento sbagliato… o semplicemente in-contri un altro più bello di lui, più affascinante,più intelligente, più colto o semplicemente unaltro che si trova nel posto giusto al mo-mento giusto. Dove è andata a finire la follia,non posso vivere senza di lui, ma poi vivi evivi molto meglio, oppure no. Al cinema enella letteratura abbiamo molti esempi, di-ventati dei veri e propri cult di amore folleparossistico. Lolita, il capolavoro di Bulga-kov da cui nel lontano 1962, Stanley Kubrikha diretto anche un film con James Mason,il Professore Humbert Humbert, e la stellinaemergente Sue Lyon, diventata un simbolodi quegli anni. Nel film, ma ancora di più nelromanzo, l’ossessione per una adolescentediventa compulsiva, fino all’omicidio, finoalla perdita di sé e del senso della vita. Altrocult degli anni passati è stato Ultimo Tango aParigi, con l’allora bel tenebroso MarlonBrando, avvolto nel mistero che attrae mor-bosamente l’affascinante sconosciuta MariaSchneider, capitata nel suo stesso apparta-mento. Sembra tutto magico e irreale. E luiè lì, lontano e misterioso, non si conoscono,non sanno i loro nomi, si sono incontrati percaso, e proprio per questo si innamorano.Sembrano non poter più fare a meno l’unodell’altra, ma poi lui diventa più “commesti-bile” e allora per lei l’incanto finisce, non èpiù il mistero, l’inarrivabile in cui perdersi,ma un uomo come tanti, diventato oppres-sivo come tanti. Mettendoci la sua solita im-pagabile ironia, anche Woody Allen in Match

Point, racconta una storia di amore folle e dimorte, ma qui l’amore folle è diventatotroppo ingombrante, per la scalata nelmondo dell’alta finanza e della buona bor-ghesia londinese, meglio allora eliminare “l’ostacolo” e uccidere la bella Scarlett Johan-son, l’ostacolo appunto, è l’unica cosa dafare, tanto più adesso che è incinta e minac-cia di travolgere il suo bel matrimonio tran-quillo e accomodante. Storie di ordinariafollia o di bieco arrivismo? Ci sono poi casinella vita dove l’equazione “né con te nésenza di te”, è la conclusione parossistica del-l’innamoramento. Lo racconta FrancoisTruffaut ne La Signora della Porta Accanto, eanche qui amore e morte o innamoramentoe ossessione coincidono pericolosamente e lasoluzione omicidio-suicidio, di cui ahimèsono piene le cronache odierne, sembra es-sere per i due protagonisti l’unica possibile.Dove va a finire quindi l’innamoramento?Non so rispondere, per me l’unica rispostaè nella vita. Il regista Michel Gondry in Eter-nal Sunshine of The Spotless Mind, tradottoin italiano Se mi lasci ti cancello. (titolo ita-liano assolutamente ignobile per un film bendiretto e ben interpretato ), suggerisce di sot-toporsi alla “Procedura,“ una sorta di lavag-gio del cervello parziale, per cancellare ilricordo di una persona difficile da dimen-ticare. Affidata all’interpretazione di duegiganti dello schermo come Kate Winslet,(Revolutionary Road, The Reader ), e JmmyCarey (The Truman Show), è una di quellestorie che amo vedere e rivedere, provandosempre la stessa suggestione. Nel film, e,secondo me, nella vita, la mente rifiuta dicancellare la memoria di un amore. Manmano che i ricordi svaniscono, in un turbi-nare di flash back con i volti che scompa-iono, fino a diventare sagome che poispariscono, la mente recalcitra e grida nocon tutta la sua forza. Soffrire sì, ma noncancelliamo le persone di cui siamo stateinnamorate. Ed è meglio molto meglio sof-frire per qualcuno, che non soffrire permancanza di ricordi. Io almeno la pensocosì. Non avrò risposto alla domanda per-ché non so cosa rispondere. La vita, quella,ti fa andare avanti, permettendoti di vol-gere lo sguardo indietro, di tanto in tanto,giusto per non buttare via tutto.

Una luna pienacomplice la vocedi Billy Holiday...Giusi CatalfamoLa dolce vita, foto di Scena, 1960

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Sono arrivata in questo mondo in veste dialiena. Una penna, un paio di occhiali rossi,quindici anni appena; decisamente troppopochi per conoscere il mondo. Lo guardodistratta dalla finestra ogni giorno, e in qual-che modo ne faccio parte. Ne scopro piccoleparti, ne assaggio bocconi ogni giorno, nu-trendomi di queste gocce fresche, di questerealtà nuove, e ogni giorno sembra presen-tarsi un nuovo quesito. Sprovvedutamente,mi sono imbattuta in molti di questi; cam-minando, incerta come un bambino chemuove i primi passi verso le braccia spalan-cate della madre, ho scoperto nuovi volti,nuove emozioni. Questi strani esseri blate-rano spesso di una sola cosa, una sorta di as-suefazione e dannazione che li rende schiavied eroi, pronti a sacrificare e a sacrificarsi innome di questa causa comune. Ecco il nuovoquesito: l’amore. Sembra smuovere gli animipiù disinteressati, e condurre talvolta allapazzia, talvolta alla gioia immensa. Questacosa, “amore”, non è inserita in nessuna listamedica; non sembra essere riconosciutacome veleno, né come cura, nonostante sem-bri avere questo molteplice effetto. Non è ca-talogata, non è spiegata: non dovrebbeesistere, eppure c’è. L’amore, dopotutto, nonè una domanda come tante altre. È una do-manda, che cos’è l’amore? O è l’amore stesso,quel punto interrogativo alla fine di una frasetroppo breve, per un significato così vasto?D’altra parte nessuno sembra saperlo. C’è unvuoto immenso, oltre quel punto d’interpun-zione ricurvo. Io sinceramente non ho mai

provato a colmarlo; forse perché non me nesento all’altezza, oppure perché in fondo nonce n’è bisogno, perché magari ci piace anche,questo bianco allarmante che riempiamo dicolori. Eppure ho incontrato tante persone,troppe, a dir la verità, ma ripeto: io sono soloun’aliena, sembrano sapere esattamente cosasia, questo fantomatico sentimento. Giovani,questi sapienti: scarpe lucide, sorrisi sbian-cati, cellulari nuovi. Giovani quanto me, per-sino di più a volte, eppure talmente tranquillie noncuranti dinanzi a questo sentimento.Non solo; lo trasformano in appellativo.Chiamano “amore” tutto ciò che fa illumi-nare loro gli occhi, anche se di lacrime ilgiorno prima, anche se li fanno spegnere ilgiorno dopo. Sembra un’abitudine, utilizzarequesta parola dal significato dubbio come sefosse qualcosa di risaputo, di scontato. E michiedo se alla fine tutto questo sia veramenteamore; se non sia, piuttosto, un fantasma del-l’amore, una parvenza, un’ombra proiettatada un tramonto lontano, le briciole di ungiorno che non c’è più. Forse siamo innamo-rati di questa parola, e amiamo il suono diessa, come l’eco di una promessa, la speranzache venga mantenuta. Forse l’amore siamonoi; e ci stupiamo che qualcuno possa tro-varlo bello, quest’amore. C’innamoriamo delriflesso della nostra bellezza, del raggio disole che illumina il diamante; e irrimediabil-mente soffriamo, perché quando subentra lanotte, non brilliamo più. Siamo le gazze ladredel nostro splendore. Forse, questo è amore.

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Forse questo è amoreFederica Consiglio

Percorrevo luoghi fatiscenti, ogni tanto qualcuno passava e mi ri-cordava che non ero completamente sola. L’assenza era protago-nista, ma percepivo i passi, i bisbigli, i baci affannosi, percepivo lapresenza di chi aveva attraversato quei luoghi prima di allora. Murisu cui erano incise storie, scenari surreali. La natura aveva trovatoil giusto modo di insinuarsi tra gli spazi dell’architettura abbando-nata. Quando entravo in una nuova stanza rompevo il singolareecosistema che si era instaurato. Qualcosa si muoveva, era talmentepiccolo che non riuscivo a vederlo, o forse troppo veloce, chi erain grado di volare si lanciava verso l’esterno attraverso le grate. Im-provvisamente il mio sguardo incontrò una frase scritta su unmuro, una frase che parlava di un amore. Da giorni quella domanda si insinuava dentro di me: “dove finiscel’amore?”. “Ti amo Mattia” con delicatezza mi suggeriva una ri-sposta. Potevo cogliere il segno di un amore, forse finito, che ma-gari ancora durava o che, piuttosto, andava avanti a stenti, ma checomunque era rimasto lì. Potevo immaginare il momento e la suadelicatezza, le promesse lanciate, gli abbracci, le mani intrecciate.L’amore che lascia traccia, anche quando ci svuotiamo di esso, sitrasforma e in noi rimane il segno indelebile, così come nei luoghiche abbiamo percorso?Non smette di esistere l’abbraccio di due amanti in una fotografia,l’amore per Mattia è stato scritto!

Testo e foto di Francesca Marchese, 2016

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Fotografia di Rania Matar, Newton MA, 2009

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Elena Lucrezia e le altreRita Calabrese

Forse non tutti sanno che la prima donna laureata al mondo, com’è ricor-dato da una targa vicino al ponte di Rialto nella natia Venezia, è stata ElenaLucrezia Cornaro Piscopio (1646-1684), nata in un’illustre famiglia dellaSerenissima che la incoraggiò negli studi, fornendole i migliori insegnantiprivati di materie sicuramente inconsuete per una giovane, quali filosofia,teologia, latino, greco, ebraico, ed appoggiò la sua richiesta di conseguireil titolo accademico presso l’antica Università di Padova. Essendole statanegata la laurea in teologia per l’opposizione del cardinale Barbarigo, con-seguì nel 1678 quella in filosofia, ma non ebbe il permesso di insegnare.La sua fama di sapiente si diffuse rapidamente, fece parte di accademie intutta Europa e ricevette la visita deferente di studiosi di ogni paese. Rifiutòdi sposarsi per dedicarsi completamente agli studi, antesignana di lunghelotte delle donne, che solo a fine Ottocento poterono accedere agli studiuniversitari. Insieme alle amiche del Centro Documentazione Donna diFerrara, presieduto dall’instancabile Luciana Tufani, e dalla storica d’artePatrizia Castagnoli, ho reso omaggio, con una certa commozione, alla bellastatua neoclassica, voluta dalla nobile Caterina Dolfin Tron (1736-1793),di questa donna straordinaria che orna le splendide sale dell’ateneo pa-dovano, e poi alla lapide che ne ricopre la sepoltura nella Basilica di SantaGiustina, patrona della città, in un suggestivo incontro di autorevolezzafemminile. Di Elena Lucrezia Cornero Piscopio si conserva anche un ri-tratto nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, ma il suo nome ha traver-sato gli oceani: una vetrata policroma la raffigura al Vassar College, primauniversità femminile degli Stati Uniti, ed un affresco le ha dedicato l’ateneodi Pittsburg. Dopo la visita alla Cattedrale, dove l’eccezionale candidatasostenne l’esame di laurea tra l’ammirato stupore della commissione, lanostra passeggiata nella Padova delle donne, passando davanti a PalazzoTron, dove Caterina Dolfin Tron teneva il suo salotto, punto d’incontrodi accademici e letterati, ed al Palazzo degli Armeni, dove era nata la poetaVittoria Agaanor (1855-1910), è proseguita nell’archivio del famoso OrtoBotanico, ricordato anche da Goethe, che ci ha fatto conoscere illustri“raccoglitrici di erbe”, nella nobile tradizione della conoscenza delle piantee della medicina naturale che tante donne ha portato al rogo con l’accusadi stregoneria: Maria Seleban De Cattani(1789-1870), specialista di alghe,la contessa Onorina Passerini, spintasi negli anni Trenta per le sue ricerchebotaniche fino al Sudan ed alla Tripolitania, e Silvia Zenari (1895-1956),scienziata, viaggiatrice e fotografa.

“La Chiesa non può essere se stessa senza ladonna” è un’affermazione di papa Francescoche fin dall’inizio del suo servizio apostolico,diverse volte, ha ripreso le istanze più pro-fonde dell’universo femminile. In un recenteincontro mondiale con circa 900 superiore ge-nerali di Istituti femminili, rispondendo ad al-cune domande poste dalle religiose, unariguardava il ritorno al diaconato, in vigore,nella Chiesa, fino all’Anno Mille. Papa Fran-cesco ha condiviso l’istanza di costituire unaCommissione di studio sul diaconato femmi-nile. Bisogna riconoscere che questa disponi-bilità è un segno di apertura e di correspon-sabilità che papa Francesco esprime con laconvinzione che la Chiesa debba avere piùconsiderazione della presenza femminile all’in-terno di essa. È lecito porsi alcuni interroga-tivi: le diaconesse chi erano? Perché eranopresenti nella Chiesa antica e poi il loro ruoloè scomparso? Oggi si potrebbe istituire nuo-vamente tale ministero? Credo doveroso farepresente che nelle Sacre Scritture, in partico-lare nelle Lettere di San Paolo, nel Canone 15del Concilio di Calcedonia e poi nella 31.madelle Novelle di Giustiniano, la figura del dia-conato femminile è definita in modo chiaro enon discutibile storicamente. Ci sono diversepubblicazioni, in particolare quella di MoiraScimmi Le antiche diaconesse nella storiografiadel XX secolo.Problemi di metodo, pubblicato dalla Glossa nel2004, affermano che è difficile sostenere, dalpunto di vista storico, che le diaconesse non ve-nissero ordinate nello stesso modo dei diaconi, eche le donne non avessero occupato ruoli di re-sponsabilità, di direzione nella Chiesa. È impor-tante non confondere il diaconato attuale cheprecede l’ordinazione sacerdotale con il diaco-nato permanente che viene dato oggi a uominisposati e non: ci riferiamo a questo per com-prendere che non sono impedimenti perché

venga re-inserito il diaconato femminile.Inoltre è fondamentale per la comprensioneconsiderare il contesto storico di cui parliamo:“Le donne diacono sono scomparse perché lasocietà civile non concepiva ruoli di poterefemminili”. Giovanni Crisostomo testimo-nia, con le sue ben 17 lettere scritte alla suadiaconessa Olimpiade, che ella esercitavacompiti di direzione nella Chiesa di Costanti-nopoli mentre lui, Crisostomo, era in esilio.Non solo, la novella 31 di Giustiniano, parladi 40 diaconesse, inserite nella Chiesa princi-pale Santa Sofia, accanto a 100 diaconi e 60presbiteri. È storia documentata! Giudicare lasituazione attuale della donna nella Chiesasenza andare alle origini è un cattivo servizioalla verità. Gesù ha rotto gli schemi del suotempo, in cui la donna non era considerata.Il messaggio del Vangelo è chiaro, riconoscealle donne un ruolo nelle comunità cristianeche la società invece negava. La Chiesa delleorigini erano chiese domestiche, familiari nellequali era fondamentale il ruolo delle donne. Ildiaconato femminile è scomparso poco pervolta per motivi culturali. Ben venga quindiuna commissione di studio che restituisca alledonne credenti, non solo ruoli di responsabi-lità, ma, prima di tutto, la dignità del suo esserefemminile, del suo esserci, delle sue capacitàculturali, spirituali. Riconoscere la sua presenzarichiede un serio esame di coscienza di cosa si-gnifichi anche il presbiterato, la ministerialità.Le donne sono presenti, sono preparate, nonc’è alcun ostacolo teologico per il diaconatofemminile ma ancor prima di esso è urgentericonoscerle nella loro preziosità e nel lavoroche portano avanti con dedizione e compe-tenza. Basta parlare di “genio femminile” opubblicare documenti bellissimi. Serve che ledonne, le religiose, le laiche vengano coinvoltenella conduzione e nelle decisioni della vitadella Chiesa, con pari dignità.

Donne nella chiesa: diaconesseFernanda Di Monte

Johannes Vermeer, Ragazza col Turbante (Ragazza con l’orecchino di perla), 1665-1666 circa,olio su tela, L’Aia, Mauritshuis

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prendere il mondo che sta loro intorno e aprendere coscienza di sé. Tanya Habjouqa(di origini palestinesi, è nata in Giordania),con la serie “Occupied pleasures” vince ilWorld Press Photo del 2015. Il progettonasce dalla necessità di dare voce alla gioiadi vivere, e di sopravvivere con dignità aimuri costruiti dai governi. Anche “Women

of Gaza” del 2009 offre un racconto vera-mente diverso del quotidiano in questa stri-scia terra. Non c’è l’intifada, non c’è ilmuro, né le case bombardate dai missiliisraeliani. C’è piuttosto l’immagine di unadimensione politica e sociale che riguardale donne e che difficilmente passa nei mediainternazionali.

La pubblicazione sempre più ampia di saggie articoli sulla questione femminile in Me-dioriente aiuta alla comprensione delle di-namiche interne al movimento, ma èattraverso gli scatti di alcune fotografe diquesti paesi, che è possibile comprendere lasfida in atto contro l’immagine diffusa diuna donna oppressa e impotente, quella vei-colata in occidente, spesso da sguardi ma-schili.Sono tante le nuances proposte da queste fo-tografie, che sfidano preconcetti e stereotipiormai consolidati. Le fotografie artistichesono quelle che affrontano di petto la que-stione del velo, con uno sguardo talvolta iro-nico, tal’altro malinconico, ma sempreconsapevole della scelta di molte donne mu-sulmane a rivendicare un’identità medio-rientale autentica, manifestata nella semprepiù diffusa attitudine ad indossare il velo

come simbolo di una moderna identità fem-minile islamica.Così negli scatti di “Me, she and theothers” di Gohar Dashti (Teheran, 1980),in “Domestic life” del 2002 di Shadi Gadhi-rian (Teheran, 1974) in “Mother, Daughter,Doll” del 2010 di Boushra Y. Almutawakel(Yemen 1969) che lavora anche ad un pro-getto molto diverso quale “What if”, accoltocon molto favore dalle donne yemenite.Newsha Tavakolian in “Look” parla di unagenerazione di giovani, uomini e donne, se-gnati da una condizione, di solitudine, di in-quietudine, di abbandono al pessimismo.Tutto il lavoro di Ranja Matar è centratosulle donne. Nel progetto “A girl and herroom” osserva le giovani adolescenti, ame-ricane e palestinesi, e mostra come non c’ècultura, religione o background sociale chedistingue queste ragazze che iniziano a com-

Le fotografedel Medioriente

Emilia Valenza

Fotografie di Gohar Dashti, “Me, she and the other”

Fotografie di Bouskra Almutawakel, Yemen, 2014

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Direzione: Letizia Battaglia (coordinamento), Rosanna Pirajno (direttrice responsabile)Redazione: Carla Aleo Nero, Giusi Catalfamo, Gisella Modica, Silvana Fernandez, StefaniaSavoia, Francesca Traina, Egle Palazzolo.Hanno collaborato: Stella Bertuglia, Rita Calabrese, Cinzia Canneri, Giusi Catalfamo, Federica Certa,Federica Consiglio, Daria D’Angelo, Fernanda Di Monte, Silvana Fernandez, Mimma Grillo, SimonaMafai, Federica Marchese, Gisella Modica, Maria Luisa Mondello, Egle Palazzolo, Rosanna Pirajno,Anna Scialabba, Francesca Traina, Emilia Valenza.Impaginazione e grafica: Letizia Battaglia, Massimiliano MartoranaEditore: Associazione MezzocieloResponsabile Editoriale: Adriana Palmerie-mail: [email protected] lavoro redazionale e le collaborazioni sono forniti gratuitamenteStampa: Punto Grafica Mediterranea - Villabate (PA) - Finito di stampare nel mese di Giugno 2016

Reg. al Trib. di Palermo il 19-3-’92Quota associativa annua: ordinaria: € 40,00 sostenitrice: € 60,00c/cp. 13312905 Rosanna Pirajno, V.le F. Scaduto, 14 - 90144 Palermo

Hanno sottoscritto

Simona Mafai (€ 300); Rosario Cubello, Anna Puglisi, Lorenza Villa (€ 40).

mezzocielo

Guardate ogni giorno sul webwww.mezzocielo.it

Polveri di amiantoLe polveri dell’amianto hanno ucciso 107 mila persone nel mondo e 4000 in Italiacome dichiara L’Oms. La fabbrica dell’Eternit a Casale di Monferrato (Alessandria) è chiusa nel 1986 eha causato ad oggi 1800 morti. Il picco delle morti è in atto, perché stabilito tra il2015 e il 2020, avendo la fibra dell’asbesto 25-30 anni d'incubazione. La Corte su-prema di cassazione ha dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale da partedell’Eternit, attualmente le vittime di amianto di casale Monferrato stanno ten-tando un processo alla Corte Costituzionale nei confronti dell’ex proprietario del-l'Eternit Stephan Schmidheiny per omicidio volontario.Molte donne si sono ammalate respirando la polvere delle tute dei mariti che lava-vano o perché vivevano in luoghi contaminati.Elena Ferrarese (1965) ha vissuto nelle “White Houses” di Milano case popolariinteramente costruite in amianto. Quasi tutte le persone di queste abitazioni sonomorte o si sono gravemente ammalate, ma di patologie che l’Inail non ha ricono-sciuto come correlate all'amianto. Elena ha in corso una causa legale.

Testo e foto di Cinzia Canneri

La fabbrica dell’Eternit a Casale di Monferrato, Alessandria, 2016

Elena Ferrarese nella sua “White Houses” di Milano, 1965

Su questo tema è stato pubblicato un libromolto interessante, anche se a volte disu-guale, frutto di una serie di seminari orga-nizzati a Roma, presso la Casa Interna-zionale delle Donne, da due autrici di di-versa competenza ed età: Biancamaria Scar-cia Amoretti (docente di islamisticaall’Università La Sapienza di Roma) e LeilaKerami, di origini iraniane, studiosa freee-lance del mondo musulmano. Il libro hauna struttura articolata: dopo aver espostola pluralità delle concezioni dell’Islam, il-lustra – volta per volta – i differenti contestidei numerosi paesi del mondo musulmano:il Maghreb (Algeria, Tunisia, Marocco),l’area mediterranea (Egitto e Siria), l’areamedio-orientale (Iraq, Iran, Afghanistan),

l’area del Golfo persico e dell’Oceano in-diano (Pakistan, Penisola araba com-prendente Arabia saudita – Yemen-Oman-Kuwait, Somalia, e – in splendidoisolamento – Indonesia). Di ogni paese, illibro fornisce una breve ma complessa, sin-tesi storico-politica, illustrando poi il sor-gere, lo sviluppo, gli arretramenti, le per-secuzioni e le rinascite dei vari gruppi e as-sociazioni femminili. Ai testi hanno contri-buito numerosissime docenti, protagonistepolitiche, giornaliste e testimoni:una letturacomplessa, ma affascinante.Il protagonismo delle donne in terra d’Islam,appunti per una lettura storico-politica a curadi Leila Karami e Biancamaria Scarcia Amo-retti, ed. Ediesse, 16 €

Le donne nei paesi islamici

Il primo centro antiviolenza italiano, lo sto-rico centro romano intitolato a “DonatellaColasanti e Rosaria Lopez” (vittime del fa-migerato massacro del Circeo), attivo dal1979 e che ha seguito circa novemila donne,sarà chiuso il 30 luglio, per un contenziosofra Comune e Regione. Come sempre, “mo-tivi finanziari”. Vive in difficoltà anche ilcentro antiviolenza “Le Onde” di Palermo,che ha iniziato la propria attività nel 1992,e che – con operatrici specializzate – ha se-guito e accompagnato in un percorso di vitasenza violenza, quasi seimilacinquecentodonne, oltre ad aver accolto fisicamente, equindi salvato, molte donne e i loro bam-bini/e nella casa rifugio protetta. Anchequesto centro è a rischio di chiusura, cosìcome decine di altri Centri in tutta Italia,

che vivono costantemente nell’incertezzadel sostegno comunale. È in corso una mo-bilitazione delle associazioni femminili edelle parlamentari di ogni schieramento po-litico, per far fronte a questa situazione inac-cettabile. Più c’é bisogno di aiuto, menoattenzione da parte delle istituzioni? Ancheun altro problema viene posto all’attenzionedell’opinione pubblica e della politica. Nonè mai stata presa in considerazione la sortedi figli e figlie di madri uccise e di padri incarcere (o suicidati). Si tratta, ad una primavalutazione, di circa milleduecento bambiniorfani, attualmente affidati – senza alcunaparticolare protezione – ai familiari delledonne uccise o a case-famiglia. Anche que-sto problema tragico richiede attenzione edun adeguato intervento.

Un femminicidio ogni due giorni.E chiudono i centri Antiviolenza

Page 15: DELL’AMOR E DELL’AMARNon posso non ricordare, tra l’altro, che negli anni 49-50, per iniziativa dei Comitati per la pace, raccoglievamo in Italia (e in Sicilia) le firme sotto

Per non dimenticare

In Italiada Gennaio sono

59Fotografia di Donna Ferrato, Living With the Enemy