del noce augusto - le radici filosofico-politiche dell'ateismo contemporaneo

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Le radici filosofico-politiche dell’ateismo contemporaneo 

 L’espansione dell’ateismo è il fenomeno nuovo del nostro tempo. In Occidente l’eclissi dell’idea

di Dio ha assunto però non la sua forma più sistematica, ma quella dell’indifferenza religiosa.

Un compendio del pensiero di Del Noce ci aiuta a individuare le radici dell’«irreligione

contemporanea». 

[Da «Il Nuovo Areopago» – anno 2 – n. 2 (6) – estate 1983 – pp. 7-28]

di Augusto Del Noce

1. Che l‘espansione dell‘ateismo —   o, per dirne meglio la forma che essa assume, «l‘eclissidell‘idea di Dio» — sia il fenomeno nuovo che caratterizza la nostra epoca non ci sarebbe bisognodi ripeterlo, se non fosse necessario che l‘attenzione sia concentrata sul suo carattere di novità,

rispetto a qualsiasi periodo passato della storia; di più, di novità non prevista, né negli anni diguerra, né nel primo decennio del dopoguerra. I termini del conflitto spirituale e politico eranoallora pensati come quelli di «civiltà cristiana» e di marxismo e si vedevano esaurite nell‘impattocol marxismo le forme del cristianesimo laicizzato, così nel loro aspetto teorico come nella lorocapacità di penetrazione etico-politica, in modo che il richiamo toccasse di diritto alla trascendenzareligiosa. Nel risveglio religioso confidava Pio XII, in ragione della profonda visione secondo cui laseconda guerra mondiale sarebbe stata la tragedia dell‘immanentismo etico, di cui tutte le parti

 portavano le responsabilità. Vi confidava Maritain secondo quel che aveva scritto nel 1936, che altermine della dialettica dell‘umanesimo moderno ci si sarebbe trovati in presenza di due posizioni

 pure, l‘ateistica — da lui individuata, come la forma in cui avrebbe raggiunto il maggior vigore, nelmarxismo  —  e la cristiana ( Humanisme Intégral , p. 42, ed. del 1936). Il primo decennio del

dopoguerra appariva confermare la sua tesi degli anni Trenta, ma la storia dell‘ultimo quarto disecolo sembra invece esserne la smentita radicale; la posizione cattolica a cui pensava «che trova lesue armi concettuali in S. Tommaso d‘Aquino» ha traversato una grave crisi negli ambienti religiosistessi; quanto al marxismo che allora riappariva come filosofia in Occidente dopo un lungo oblio(se addirittura non è meglio dire che appariva, in quanto filosofia, per la prima volta se si lascianoda parte pensatori isolati o il breve successo nella Germania dei primi anni Venti), dove si trovano

 più filosofi marxisti? Al più, si trova qualche filosofo che vuol separare Marx dai marxismi:«dobbiamo liberare  —  ha detto recentemente il filosofo aderente al PCI, Luporini  —  Marx dalmarxismo e da tutti quegli scenari che si chiamano materialismo dialettico, socialismo scientifico e

 perfino materialismo storico o concezione materialistica della storia». Comprendere il vero senso diMarx esigerebbe dunque un lavoro che con ogni probabilità non avrebbe termine che fra un secolo.Il che significa però qualcosa di effettualmente ben chiaro in riferimento alla situazione presente,data l‘autorevolezza di chi ha pronunciato queste parole: il congedo dell‘appello al marxismofilosofico da parte del partito comunista italiano perché culturalmente e politicamente d‘inciampo. 

È curioso osservare come l‘eclissi dell‘idea di Dio abbia coinciso in Occid ente  — ove si trovaoggi l‘epicentro dell‘indifferenza religiosa —   con il declino dell‘interesse per quella che tra leforme di ateismo è la più sistematica. Trent‘anni fa le opposizioni di cristianesimo e di marxismo edi democrazia e di totalitarismo tendevano a coincidere in un‘interpretazione metafisica ed etica deisistemi politici. L‘inizio del processo verso l‘indifferenza religiosa coincide col momento in cuil‘analisi del meccanismi della democrazia e del totalitarismo venne considerata di pura per tinenzadei sociologi e dei politologi, senza intramettenze metafisiche. O con quello della, quanto

discutibile si vedrà, «deideologizzazione della politica».

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2. Credo che la via migliore per intendere questo spostamento sia ripensare la frase hegelianasulla «filosofia pensiero del proprio tempo». Ci si può vedere, o ci si vede di regola, il punto di

 partenza dello storicismo, ma ciò non è affatto necessario. La verità che essa enuncia vale per lafilosofia in generale; effettivamente una filosofia che non sappia render conto del presente storico siconfessa come filosofia legata a un periodo storico passato, e questo vale per qualsiasi filosofia,

immanentistica o trascendentistica che sia; può perciò anche darsi che l‘approfondimento delmondo contemporaneo riporti a una metafisica della trascendenza, e questa è la mia convinzionerispetto alla realtà di oggi. Dobbiamo dunque preliminarmente domandarci quale sia l‘immagineche l‘uomo comune occidentale si fa del nostro tempo, e come essa sia legata alla diffusionedell‘ateismo. Ateismo? È poi il termine esatto? Assai spesso si distingue tra ateismo e non credenza.Il primo consisterebbe in una risposta negativa al problema dell‘esistenza di Dio. La seconda in unallontanamento, teorico e pratico, dalla tradizione religiosa e dal riferimento della vita mondana aisuoi valori: c‘è da pensare — questo sarebbe il giudizio del non credente — al miglioramento dellecondizioni della vita terrestre e per il problema di Dio non c‘è tempo. Non credo che questa distinzione abbia fondamento. Perché il vero ateismo non sta nella risposta negativa al problema diDio lasciando sussistere però il problema  — risposta negativa che non è mai riuscita a sostenersi, a

raggiungere neppure l‘apparenza della persuasività; se si accetta che il problema di Dio venga posto, l‘ateo farà sempre la figura dell‘insipiens  — ma nella scomparsa del problema di Dio, comegià avevano compreso Comte e Marx. Ora questa scomparsa sembra aver trovato maggior diffusione nell‘Occidente che nei  paesi dell‘Est; e bisogna andar cauti nel vedere segni di risveglioreligioso, p.es. nell‘interesse per forme religiose orientali, e naturalmente meno che mai in quello

 per l‘astrologia o per l‘occultismo; e neppure per le icone o per il medioevo cattolico; si tratta, oalmeno può trattarsi, dell‘incorporazione delle religioni, in quanto «passato» dell‘umanità» nel«museo dell‘uomo». La «non-credenza» è l‘estinzione lenta, graduale e senza accento tragico, del

 problema di Dio. Contrariamente a quel che Marx aveva pensato, la scomparsa del problema di Dioavverrebbe nel mondo borghese; in quello di una non prevista da lui «borghesia nuova», che harotto il compromesso cristiano-borghese del passato. La formula, talvolta pronunziata, ma piùspesso vissuta senza consapevolezza chiara, dell‘irreligione contemporanea è la seguente: «viviamoin un mondo nuovo, separato dal passato da una frattura radicale, in cui il problema di Dio non siincontra più». Ma quale forza, quale principio ideale ha rinnovato il mondo? La rivoluzione diOttobre che magari avrà perduto la sua «spinta propulsiva», così da render necessario un processodi ringiovanimento, che la liberi da quegli aspetti che hanno portato a quel che comunemente viendetto «socialismo reale», o invece il progresso scientifico-tecnico? Siamo qui alla domandafondamentale: dobbiamo dare la priorità al memento politico (filosofico-politico) o allo scientifico

nella spiegazione della genesi dell’ateismo contemporaneo (o sociologico, in dipendenza dallenuove condizioni sociali determinate dal progresso scientifico-tecnico)? Nel progressismo laico cheoggi tiene l‘egemonia culturale le due interpretazioni si compongono, con la prevalenza della

scientifico-tecnica. Ci troviamo oggi nel pieno del processo di modernizzazione (nella svolta storicadi una «modernità» pienamente dispiegata); nei paesi arretrati (in cui ancora domina l‘impostazioned‘origine teocratica) questo processo prende l‘aspetto di «teocrazia rovesciata» (esempio l‘URSS);nei paesi avanzati, di passaggio alla «società aperta»; ma il soggetto della storia presente è sempresegnato dall‘equivalenza di modernizzazione-industrializzazione-secolarizzazione. Le civiltàtradizionali a cui la modernizzazione si opporrebbe vengono definite sul fondamento di unalimitazione di beni pensata come non eliminabile; la persuasione della non eliminabilità porterebbeall‘idea di una immutabilità della condizione umana, quindi di una miseria e di una situazione didipendenza invincibili; dunque la proiezione in un al di là di una speranza che non può trovaresoddisfazione quaggiù; quindi l‘immutabilità conferita ai valori, il primato del passato(dell‘autorità, dei doveri, del sacrificio, ecc.). Il progresso scientifico e tecnologico che caratterizza

la società moderna rispetto alle tradizionali sostituisce al pensiero di norme eterne a cui è dovutaobbedienza quello di tecniche atte a un dominio sempre maggiore della realtà; così il futuro nonsarà la ripetizione del passato, e in quanto acquisisce questo carattere di realtà altra e affatto nuova

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si sostituisce all‘al di là. È visibile, in questa posizione del progressismo laico, il surrogato«feuerbachiano» alla rivoluzione marxista, surrogato che intende eliminare di questa gli aspettiteologici; risposta di una borghesia «nuova» (è inutile dire che qui il «nuovo» non ha, per chi scrive,alcun significato di preminenza di valore); di una borghesia che ha saputo rinnovarsi e acquisire,nella traduzione sociologica, la positività presente nello stesso marxismo.

3. Ma il fatto curioso è che l‘egemonia culturale del progressismo laico si estende a provincelargamente ampie del pensiero cattolico. Non è frequente, e soprattutto lo è stato negli anni passati,il dissenso sulla necessità di adeguare il cristianesimo alla «modernizzazione»., «demitizzandolo»(liberandolo dalle incarnazioni in forme culturali e pratiche di società ormai perenti; daicompromessi con la metafisica greca, ecc.)? L‘anima del poco ricordato Augusto Comte potrebbesentirsi soddisfatta (1). In quella cultura cattolica che conosce oggi la maggior diffusione avviene ilfenomeno che egli aveva previsto del passaggio dal pensiero metafisico al pensiero sociologico. Di

 più, filosoficamente avrebbe ragione; isolata la fede dalla metafisica, parlare di una sua eutanasiadiventa infatti necessario, checché certi teologi ne pensino. Nel passaggio all‘età scientifica, il Diocristiano è destinato a scomparire senza lasciar traccia, al modo delle divinità pagane.

Il culto delle scienze umane (sociologia, psicologia), l‘avversione alla metafisica, l‘idea delrecupero attraverso la separazione dalla metafisica greca (dalla mentalità platonica in genere) delcristianesimo autentico caratterizza quel cattolicesimo che si è detto postconciliare ed è afondamento delle varie nuove teologie che è qui superfluo nominate. Manifestare la dipendenza diquesta posizione da un‘interpretazione del tempo presente è facile. Il suo punto di partenza,estremamente semplice, è questo: la Chiesa Cattolica, dalla Controriforma in poi, è stata il punto diriferimento della «resistenza al trascendimento storico», come oggi si usa dire, della reazione chedeve, per potersi affermare, idealizzare periodi ormai sommersi della storia; quest‘attitudine è statacosì prevalente che ancora nel 1922 l‘allora ancor giovane Maritain dava il titolo di Antimoderno aun suo libro programmatico a cui faceva seguire, l‘anno successivo, in piena coerenza, l‘altro suiTre Riformatori (Lutero  —  Cartesio  —  Rousseau). In ciò la Chiesa Cattolica appariva come

«peccatrice contro il mondo moderno», che aveva avversato in tutte le sue manifestazioni, dalliberalismo al socialismo, da Rousseau a Marx; pronta sempre al richiamo delle forze reazionarie,viste, in una prospettiva di utopia del passato, come vie verso la restaurazione della sacrale civiltàcattolica. La reazionaria filosofia della storia cattolica si era organizzata nell‘Ottocento; per coerenza con essa, la Chiesa cattolica poteva restare insensibile al richiamo quando le forzereazionarie si unirono contro il «progresso nella democrazia», prendendo occasione dagli eccessidella rivoluzione sovietica? Né varrebbe opporre che non si confuse, allora, con la parteirrazionalistica esaltatrice della potenza e della durezza, della negazione della pietà, dellacompassione, perché avrebbe dimostrato di preferire la parte antidemocratica ancora al momento incui era possibile la resistenza al successo di uno spirito reazionario destinato poi a realizzarsi nellaforma più estrema (anche se imprevista) di barbarie irrazionalistica con il nazismo; epilogo coerenteche la Chiesa avrebbe condannano, ma debolmente. Perché? Secondo questi nuovi teologi laragione non può essere cercata in contingenti errori o in interessi di questo o quel rappresentantedell‘alto clero. Ci sarebbe un errore più profondo che deve essere cercato in una tradizioneculturale. I teologi e i moralisti cattolici tradizionali avevano parlato di verità e di valori assoluti,eterni, immutabili, e la scienza delle verità eterne era la metafisica, onde l‘accordo, intoccabile, trametafisica greca e cristianesimo. Chi lo metteva in discussione cadeva sotto i fulmini della Pascendi e del giuramento antimodernista. Ora, l‘immutabilità delle verità eterne serviva bene a coprirel‘immutabilità dell‘ordine cosmico; secondo una frase che ho sentito molte volte ripetere, le veritàeterne offrivano il guanciale per il sonno del cristianesimo. Le «nuove» correnti del pensierocattolico non si spiegano se non si pensa al contraccolpo non già della storia contemporanea, ma di

una sua interpretazione; è da questo che si deve partire per intenderle, anche se si presentanoammantate di filologia biblica o sotto l‘insegna del ripensamento heideggeriano dello stesso

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tomismo (non si tratta di discutere la grandezza filosofica di Heidegger; resta però il fatto che il suo pensiero viene adoperato per tutti gli usi).

4. Ritorniamo un momento su quel che ho chiamato il «feuerbachismo occidentale». L‘influenzadi Feuerbach sul nuovo positivismo e sulla psicanalisi, in quanto pretende di essere filosofia, è nota.

Penso si possa dire: l‘esito del feuerbachismo in questo secolo è stato di dar luogo al dommatismodelle scienze umane, quasi ripetendo le vicende dell‘aristotelismo nei riguardi delle scienze dellanatura. Rispetto all‘ateismo che si richiama allo sviluppo delle scienze umane sembra che la suacritica sia facile. Nulla aggiunge infatti alla critica feuerbachiana. Il suo argomento si puòriassumere cosi: l’uomo ha bisogno di Dio, dunque Dio non esiste; l‘illusione di un‘affermazionenon verificabile sensibilmente si proverebbe mettendo in luce il bisogno che l‘ha provocata. Ma inrealtà è troppo facile osservare che, se dal desiderio che l‘uomo ha dell‘esistenza di Dio non si puòricavare la prova della ma esistenza, almeno altrettanto arbitrario è ricavare quella della sua non-esistenza. Pure, se si guarda meglio, questa risposta è insufficiente; non basta parlare delloscientismo come dell‘hybris della scienza; se viene eliminata la dimensione metafisica,l‘assolutizzazione della scienza, dunque il passaggio allo scientismo, è inevitabile è logicamente

conseguente. In questa prospettiva per la fede non c‘è più posto; non si vede come i dettati dellaRivelazione possano inserirsi in un‘anima che a essi è chiusa. Il processo progressivo di estinzionedella religione non è reversibile.

5. La connessione dunque tra il positivismo scientistico, nella varietà di posizioni in cui si è presentato negli ultimi decenni, e l‘interpretazione democratico-illuministico-progressistico-laicadella storia contemporanea è necessaria, con le conseguenze nel pensiero religioso che si sono dette,tra cui quella particolarmente curiosa per cui l‘avversario essenziale, se non unico, dell‘ala

 progressista dei cattolici diventa l‘integrista cattolico, Ma ci si può domandare se i terminiilluministici di progresso e di reazione servano a spiegare la storia di oggi; se al fondodel‘interpretazione che si è detta non stia una sottovalutazione del marxismo filosofico, nonché

della potenza della causalità ideale nella storia. Potrebbe darsi che, curiosamente, siano proprio idemocratici laici a dover obbligatoriamente sottovalutare la potenza filosofica del marxismo, ealtrettanto curiosamente, sia proprio il pensiero religioso a poter riconoscere la potenza delmarxismo teorico e ad assegnargli il giusto posto nella storia della filosofia. La tesi di cui mi

 propongo di tracciare qui i primi lineamenti è la seguente: la rivoluzione mondiale e totale che eranel programma comunista non è in corso (come pensano i comunisti) e neanche è  fallita (come

 pensano i vari assertori del «dio che è fallito»); si deve dire che è riuscita e fallita insieme. Riuscita perché, effettivamente, ha cangiato il mondo, determinando nell‘Occidente stesso mutamentiintellettuali e morali di enorme portata; fallita perché ha concluso nella più gigantesca eterogenesidei fini che mai si sia avuta nella storia.

6. Secondo un giudizio che oggi prevale in Occidente non si potrebbe neppure parlare di una«filosofia» di Marx; ed è strano che, dope un ciclo, e in tanta dimenticanza dell‘opera crociana, siritorni a una tesi che già Croce, agli inizi del rinnovato interesse per il marxismo teorico, aveva

 pronunziato nel ‗37. La pretesa filosofia di Marx, dice oggi Colletti, sarebbe una miscela esplosiva,di straordinaria potenza, di pseudo-religione e. di pseudo-scienza, capace di conquistare, come hafatto, il terzo del mondo, e che tuttavia si sottrae, per il suo carattere pratico e non teoretico, allacritica filosofica. Il mio parere è completamente diverso. Qual è il programma, soprattutto dopo larivoluzione francese, del pensiero razionalistico-laico se non la liberazione dell’uomo dalla

dipendenza, dipendenza anzitutto dal Dio creatore? Ora Marx è stato colui che ha pensato sino infondo, sino alle conseguenze estreme, questa idea. Caratterizzare in questi termini la sua opera puòapparire strano, perché sembra si possa osservare che il rifiuto di ogni dipendenza definisca

 piuttosto l‘anarchismo, a cui Marx, idealmente, e poi i comunisti nella realtà pratica sono staticostantemente ed estremamente avversi, Non c‘è che da pensare, per Marx, alla polemica controStirner che occupa gran parte della più ampia delle sue opere filosofiche, L’ideologia tedesca, poi a

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quella contro Proudhon, e soprattutto a quella contro Bakunin. Ma la critica marxista si riassumenell‘asserzione che gli anarchici ignorino, o anzi vogliano ignorare, il corso storico e le sue leggi;così che l‘intransigentismo di cui fanno sfoggio copra in realtà l‘acquiescenza, il servilismo allostato di fatto. Insomma, nell‘anarchismo si avrebbe il massimo della dissociazione tra l‘utopismo eil realismo politico e in ciò l‘inverso del marxismo. Il fine del rifiuto della dipendenza, come anima

dell‘uno dell‘altro pensiero, rimane identica. Vero è che la socialdemocrazia, nel periodo in cui si presentava come fedele all‘ortodossia marxista o come revisionista, ma sempre nell‘orizzonte delmarxismo, accentuò all‘estrema l‘opposizione tra socialismo e anarchismo e interpretò il marxismocome «consiglio di prudenza ai rivoluzionari», secondo l‘espressione di Rodolfo Mondolfo. Non è

 però davvero un caso che Lenin nello scritto che precede di un mese la rivoluzione di ottobre e dicui non bisogna perciò dimenticare mai non solo il carattere simbolico di preludio, ma anche quellodi chiave interpretativa per il fenomeno politico che, del tutto imprevisto dalle democrazieoccidentali, avrebbe preso il nome di comunismo, Stato e Rivoluzione, definisce il rapporto tramarxismo e anarchismo nei termini precisi che ha detto, e stabilisce in questo punto la differenza trail pensiero rivoluzionario marxista e l‘«oppor tunismo» socialdemocratico. Negare il caratterefilosofico del marxismo mi pare impossibile, soprattutto qui in Italia. Perché è qui che abbiamo

avuto il tentativo più rigoroso di vincere il marxismo, sino a espungerlo dalla storia della filosofia,entro una riforma della dialettica hegeliana, nell‘opera di Benedetto Croce; ebbene, sul f atto chequesto tentativo sia andato fallito l‘accordo è oggi pressoché unanime; anche se la lezione di Croceconservi la sua importanza, proprio perché l‘indagine mille ragioni del suo fallimento non è stataancora adeguatamente condotta; che dovrebbe portare, a mio credere, al giudizio che una criticarigorosa del marxismo sul piano dell‘immanentismo filosofico è impossibile. Negare quindi ilcarattere filosofico del marxismo si potrebbe solo alla condizione di espungere dalla storia dellafilosofia l‘hegelismo stesso. Non posso fermarmi su questo punto nella forma che sarebbenecessaria, ma chi vuole intendere lo può.

7. È piuttosto su due altri temi, scarsamente toccati nell‘ordinaria letteratura sul marxismo, che

 penso di portare ora l‘attenzione. Il primo, che non si può parlare della  filosofia di Marxindipendentemente dalla rivoluzione a cui ha dato luogo (2). È quel che, del resto, lo stesso Marxrichiede nella seconda delle Tesi su Feuerbach: «La questione se al pensiero umano spetti unaverità oggettiva non è una questione teoretica, bensì una questione  pratica. Nella prassi l‘uomodeve trovare la verità, cioè la realtà, il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputasulla realtà o non realtà del pensiero  —  isolata dalla prassi  —  è una questione meramente

 scolastica». Pure, il suo insegnamento è stato a questa riguardo generalmente disatteso; la piùrapida scorsa all‘enorme bibliografia che si è accumulata su Marx negli ultimi decenni mostra chegli studi; ad es., sulla filosofia del giovane Marx, o sui Grundrisse, siano stati staccati dallarealizzazione pratica, quasi rappresentassero un modello, a cui i politici si sarebbero più o menoadeguati, o che, più generalmente, avrebbero tradito; e poiché ogni ricercatore deve presentarsicome apportatore di qualcosa di nuovo, come scopritore del «vero» Marx, o qualcosa di simile, èavvenuto che il marxismo si è trasformato in una specie di fantasma che non si saprà quando avràmai occasione di provarsi con la storia, o che forse avrà sempre il destino di essere tradito; eun‘operazione simile è stata condotta da molti storici, che hanno staccato il pensiero «slavo» diLenin da quello dell‘«occidentale» Marx. Il rapporto tra il pensiero di Marx e l‘azione del suoidiscepoli fu visto come quello tra un modello, che poteva restare ideale (ed è vastissima laletteratura sul «modello ideale» rispetto al comunismo che si è realizzato), e la sua realizzazione. Icriteri che valgono per lo studio, per es. di Platone (rispetto al valore delle cui idee politiche, comenorme di giudizio per la società giusta, è del tutto indifferente la riuscita pratica) finiscono nell‘usoaccademico per essere usati anche per Marx. Isolato così il marxismo teorico diventava, e diventa,

necessaria la ricerca della sua conciliazione con forme di cultura che si sono formate in completaindipendenza da esso; e così si ebbero i vari tentativi di accordarlo col giusnaturalismo, colneokantismo, col positivismo, con l‘evoluzionismo e, più di recente, con l‘esistenzialismo , con la

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 psicanalisi e con lo strutturalismo. Tentativi rispetto a cui le reazioni di Lenin e di Gramsci, che vividero forme di involuzione del marxismo nel pensiero borghese, sono indubbiamente valide.In verità, l‘ultima, notissima, delle Tesi su Feuerbach, secondo cui «i filosofi hanno soltantodiversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo», dice già la diversità, seguendo laquale deve essere studiata e valutata, della filosofia di Marx. La rivoluzione comunista, come fatto

 pratico, non può venire interpretata che a partire dalla filosofia di Marx; e, per converso, questafilosofia non può venire giudicata che a partire dalla realtà a cui ha dato origine.Certamente, mi si potrebbe opporre che la rivoluzione di ottobre e quel che l‘ha seguita noncorrispondono al pensiero rivoluzionario di Marx, anche se le loro guide si sono servite di unafraseologia marxista; e c‘è una interpretazione che data già dall‘inizio del sovietismo, e che

 periodicamente riaffiora, secondo cui il marxismo e il leninismo dovrebbero venire dissociati, perché le radici della cultura e dell‘opera pratica di Lenin dovrebbero essere cercate nel populismorivoluzionario russo, dal cui incontro il marxismo sarebbe uscito completamente trasfigurato. Pensoinvece si possa provare che la  storia contemporanea, vista nella sua totalità, sia, insieme, la

realizzazione del marxismo e la sua sconfitta. Con l‘aggiunta che il marxismo non potevarealizzarsi che nel preciso modo in cui si è realizzato, così che si possa dire che la verifica pratica

c‘è stata e l‘ha smentito. Siamo qui al problema del rapporto tra Marx e Lenin: se Lenin sia stato ilvero marxista ortodosso, perché ha inteso l‘essenzialità al marxismo della realizzazione, e dellarealizzazione in forma rivoluzionaria e non evolutiva oppure no. Ricordiamo quanto ha scrittoLukács nell‘introduzione a Storia e coscienza di classe, sul finire del 1922: che il presuppostodell‘opera politica di Lenin «è costituito in ultima analisi dalla sua profondità, grandezza efecondità in quanto teorico. Questa influenza poggia sul fatto che egli ha portato l‘essenza pratica del marxismo ad un grado di chiarezza e di concretezza mai raggiunto prima di lui, traendo questomomento dall‘oblio quasi totale nel quale esso era caduto e rimettendo così ancora una volta nellenostre mani, mediante questo atto teorico, la chiave per una giusta comprensione del metodomarxista» (e in forma simile si esprime anche Gramsci). Sulla traccia di Lukács direi che l‘opera diLenin serve a mettere in chiaro quell‘ordine di antecedenza ideale del memento filosofico rispetto alrivoluzionario e l‘economico (sebbene, naturalmente, i due momenti siano inscindibili).Consideriamo le frasi del Che fare?  — lo scritto del 1903 da cui si suol datare l‘inizio del leninismo

 —  che suscitarono allora maggiore scandalo negli ambienti socialisti e che ancora oggi sonooggetto di controversia: «la coscienza politica di classe può essere portata all‘operaio  solo

dall’esterno perché «con le sue sole forze la classe operaia è in grado di elaborare soltanto unacoscienza tradunionista», e «dal punto di vista della posizione sociale, i fondatori del socialismoscientifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano degli ―intellettuali borghesi‖». Nonostante le

 proteste d‘allora e il dissidio con Trockij, sono asserzioni che ricalcano un passato del  Manifesto acui non si dedica, normalmente, troppa attenzione: «infine, in tempi nei quali la lotta delle classi siavvicina at momento decisivo, il processo di disgregazione all‘interno della classe dominante di

tutta la vecchia società assume un carattere così violento e così aspro che una piccola parte dellaclasse dominante si distacca da essa e si unisce alla classe rivoluzionaria, alla classe che tiene inmano l‘avvenire. Quindi, come prima una parte della nobiltà era passata alla borghesia, così ora una

 parte della borghesia passa al proletariato; e specialmente una parte degli ideologi borghesi chesono riusciti a giungere all‘intelligenza teorica del movimento storico nel suo insieme». Certo, chela classe che ha avuto dalla storia il compito di attuare la redenzione universale non possa svolgerlache sotto la direzione di una cultura che le viene dall‘esterno e, di più, da intellettuali ch eappartengono alla classe che deve evertere, può apparire singolare; né veramente mi pare che nellastoria del marxismo sia mai stata data una risposta esauriente al problema delle eccezioni, per cuialcuni borghesi possono sottrarsi alla «falsa coscienza» di cui sono prigionieri in ragione della loroclasse. Anche se è innegabile quel che Lenin sosteneva: la filosofia vera è immanente al proletariato

soltanto in forma virtuale di conoscenza oscura e confusa, non foss‘altro perché non può subirel‘inquinamento che il pensiero borghese egemone della cultura gli trasmette; occorre, perché questafilosofia possa passare all‘atto, l‘azione di intellettuali che non siano però intellettuali comuni il cui

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sguardo non va oltre l‘orizzonte della borghesia e che essa sceglie perciò come suoi cani da guardia.Dunque, intellettuali in possesso di una conoscenza superiore, che li rende capaci di intendere il

 processo della storia nella sua totalità; dunque, i nuovi gnostici, che, nei tempi moderni, hannoassunto la fisionomia dei «rivoluzionari di professione» (3). Eppure, come si è visto, Lenin continuaMarx, e inoltre l‘alternativa che egli pone è esatta: «o rivoluzione resa possibile soltanto da una

coscienza di classe attribuita al proletariato dall‘esterno, o un riformismo che rinunciadefinitivamente alla rivoluzione». Però si apre, con questa tesi leninista, la via verso quello che suolvenir detto «socialismo reale» attraverso una serie di anelli così saldamente legati che rompere lacatena è impossibile. Nello sviluppo coerente che il leninismo ha percorso (e ci sarebbe da insisteresu questa coerenza) a partire dalle tesi enunciate nel Che fare? si ha l‘inversione del rapporto che ilmarxismo corrente stabiliva tra classe e partito. La linea intransigente del marxismo conserva l‘ideadella dittatura del proletariato, praticamente dimenticata dal marxismo revisionista, come necessaria

 per la transizione rivoluzionaria; la raffigurava come il primo esempio storico di una dittatura dellamaggioranza sulla minoranza, poiché la storia sino a oggi sarebbe stata la successione di una seriedi dittature di minoranze su maggioranze. In conformità ai principi del leninismo si è realizzatainvece come dittatura del partito (cioè di quella minoranza che è costituita dai rivoluzionari di

 professione) sul proletariato; che diventa così la materia a cui tale rivoluzionario (rispetto al qualenon si insisterà mai abbastanza sulla dipendenza, come continuazione e trasformazione, del filosofodella storia ottocentesca, trasformato  perché fatto interprete e creatore dell‘avvenire) deve dar forma, o come lo strumento di cui si serve. È noto come sulla base del partito, ma in perfettacoerenza col processo di cui si è parlato sinora, si sia poi costituita nel tempo successivo alla lottarivoluzionaria una nuova classe, tecno-burocratica, fondamentalmente diversa da quella dello stratodei burocrati in uno stato non comunista, perché quelli comunisti non hanno nessuno sopra di sé; ein ciò costituiscono una classe che accentra in sé tutto il potere, perché non trova limiti esterni

 proprio in ragione della collettivizzazione della proprietà; e che è più oppressiva di qualsiasi altra sisia affermata nella storia per ciò che non è fermata da limiti morali in qualsiasi arbitrio nei riguardidei suoi sudditi; il miraggio della futura «società senza classi» servendo praticamente comegiustificazione di qualsiasi mezzo, anche di quelli che consistono nella negazione di ogni significatoe valore alla persona singola. Siamo ora in grado di intendere quel che sia il «socialismo reale»: è ilmodo in cui il marxismo che doveva cangiare la storia e creare un‘umanità nuova, quanto a dire unasuperumanità (4) o una realtà «totalmente altra» (si sarebbe tentati di usare nel suo riguardo questolinguaggio dei teologi, se non ci fosse forse da domandarsi se nell‘adozione teologica di questolinguaggio non si debba vedere un riflesso del pensiero rivoluzionario), è «rientrato nella storia»;alla condizione di infrangere l‘unità tra il motivo utopistico e il realistico-politico, a beneficio delsecondo. Il discorso sul comunismo sovietico e sulla presenza in esso di motivi provenienti dal

 populismo russo riconduce a quello del momento religioso del marxismo. Si deve vedere nelsovietismo la realizzazione del marxismo, o un momento invece della storia russa? Si sa quanto sia

vasta la letteratura intesa a sostenere l‘una o l‘altra di queste tesi. Penso invece che non vi siacontraddizione nel riconoscere, insieme, che Lenin è stato il più coerente tra gli interpreti di Marx, eche la rivoluzione comunista non poteva riuscire che incontrandosi con la tradizione populisticarussa. L‘intervento in quella prima guerra mondiale a cui non si poteva in alcun modo assegnare uncarattere religioso, almeno da parte di quella che allora veniva detta l‘Intesa, aveva rappresentato

 per lo zarismo un giudizio di condanna a morte che pronunziava su se stesso; aveva infatti liquidatoil suo sostegno essenziale che poggiava nella fede popolare nel primato russo per un‘o pera diredenzione del mondo. Ora, di questa fede si impadronì il leninismo, in termini di una religionerovesciata. È per questo tema del primato russo nella causa rivoluzionaria che Stalin si converte aLenin; e si può dire contro di lui tutto quel che si vuole, ma non che non abbia operato la giuntura(forse oggi in crisi) tra tradizione russa e marxismo; o negare che senza la sua opera nessuno nel

mondo si ricorderebbe più del marxismo. Se si deve ammettere che ci sono novità di Stalin rispettoa Lenin, questo riconoscimento deve però accompagnarsi con quello che non c‘è nessun principiodel leninismo che permetta di condannarlo; se rispetto alla misura degli orrori Stalin ha certo

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raggiunto livelli insuperabili, non bisogna dimenticare che il principio della legittimazione degliorrori era già stato affermato da Lenin. Attraverso dunque la mediazione del populismo russo ilmarxismo ha raggiunto la storia, ma nel senso della continuazione secolarizzata del zarismo.Tradimento della rivoluzione? Sì e no; rispetto alle intenzioni di Marx, certo, e questa incarnazionestorica delle sue idee era indubbiamente l‘ultima cosa che il suo spirito profetico gli permettesse in

certo qual modo di prevedere. Ma pure bisogna riconoscere che questo tradimento, nel senso dirovesciamento delle intenzioni e previsioni originarie, non è addebitabile alle responsabilità degliuomini perché era, come si è visto, già contenuto nelle premesse; dalla filosofia di Marx alsocialismo reale la continuità è rigorosa. Indubbiamente nulla permette di affermare che larivoluzione marxista dovesse necessariamente avvenire; ma non poteva aver successo, come eventodi significato cosmico, condizionante l‘intera storia del nostro secolo, che nella forma che ha avuto(il Gulag avrebbe potuto essere memo duro che ai tempi di Stalin, ma il principio che intendelegittimarlo non sussiste). Si obietterà: dire che c‘è un processo necessario dal marxismo teorico alsocialismo reale, e che esso si confonde con la continuazione secolarizzata dello zarismo confermala tesi che il laicismo occidentale ha enunciato, anziché negarla; perché essa distingue con lamaggiore nettezza il processo di «modernizzazione» dalla rivoluzione marxleninista, e il punto su

cui verte la critica al marxismo è proprio quella di «teologia rovesciata». Le stesse critiche a punti parziali si riconducono, a ben guardare, a questa fondamentale. Andiamo adagio. È constatazioneindiscutibile che i risultati di questa «modernizzazione» non appaiono affatto confortanti. Mi piacequi ricordare quanto ha scritto di recente in un suo bel libro,  Il mondo contemporaneo (5), unostudioso di indirizzo laico, Ernesto Galli della Loggia. Con la diffusione del modello occidentale siè avuto il «più massiccio attacco alla tradizione che si sia mai visto…di questa vera e propria mortedel passato, di questo inaridimento del lascito vitale della tradizione, hanno fatto nell‘ultimoquarantennio larghissima e crescente prova le società occidentali... Sulla possibilità, per individui emasse siffatte, di affrontare un futuro carico di tutti gli interrogativi e di problemi che in queste

 pagine si è cercato di illustrare, e di non uscirne stritolati o definitivamente stravolti, probabilmentesi gioca la sorte della civiltà di una parte del mondo, di quell‘Occidente cioè, destinato in questocaso, come in tanti altri a cimentarsi in una difficile lotta con i frutti avvelenati delle sue stesseseminagioni». «Morte del passato», ossia quello che con una parola assunta oggi a gran moda viendetto «nichilismo» («devalorizzazione dei valori finora considerati come supremi» ossia «fine delmondo comune dei valori come sistema unitario di riferimento per le coscienze» o «pluralismo deicriteri morali»); le cause primarie della diffusione di questo fenomeno devono essere cercate nelladiffusione che il pensiero marxista ha avuto nel secondo dopoguerra. La famosa «crisi dei valori»occidentale, di cui tanto da tanto tempo si parla, non ci sarebbe stata, o sarebbe stata comunquecontenuta, senza la scossa del marxismo. Se esso non alimenta oggi più una fede rivoluzionaria, le

negazioni filosofiche che ha pronunciato sono entrate nei giudizi correnti. Si pensi alla diffusionedi parole come «alienazione» (che per altro designa un fenomeno reale; però diverso nella sua

forma attuale da quello descritto dal marxismo), «mistificazione», «falsa coscienza»,«smascheramento» o la stessa «realizzazione» o ad altre espressioni che se anche non coniate dalmarxismo ortodosso rientrano nella sua scia, come «demitizzazione», «scuola del sospetto»,«tecnica della diffidenza».

8. Arriviamo così al secondo dei temi che mi ero proposto di trattare. Il laicismo occidentale si presenta oggi o come inveramento del marxismo teorico, o, ora più spesso, come una alternativaconseguente alla sua riduzione a ideologia atta a promuovere il processo di modernizzazione nei

 paesi sottosviluppati, come si è visto. Non è così: è un aspetto della sua decomposizione; di una

decomposizione del marxismo teorico che è necessaria, e che è il suo esito storico. Non mi sembrasi sia insistito sull‘aspetto per cui il marxismo è, sotto ogni riguardo, la maggiore conciliazione di

opposti che si sia avuta nella storia del pensiero. L‘utopismo portato al massimo suo grado, siconcilia, proprio per questo, con l‘estremo realismo politico; la forma più radicale dell‘ateismo conquella che potrebbe venir detta «l‘ultima grande religione», non foss‘altro per la sua capacità di

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diffusione, estesa ormai al dominio del terzo del mondo, paragonabile a quella che in passatoebbero il cristianesimo e l‘islamismo; l‘unità di materialismo e di dialettica, spinti anch‘essi, l‘uno el‘altra, a livello estremo. Utopismo portato alle conseguenze ultime; e non è un caso che adifferenza degli utopisti consueti, Marx non indugi nella descrizione della società futura e si limitigenericamente a dirne i caratteri per via negativa; ciò perché la sua società futura è pensata come

talmente altra rispetto all‘esistente che cercare di descriverne i caratteri sarebbe cadere nellafantasticheria; dunque, non in ragione di un utopismo moderato, ma di un utopismo portatoall‘estremo. Gli utopisti precedenti potevano dilungarsi nella descrizione della società perfetta

 perché la raffiguravano come la realtà presente liberata dalle contraddizioni; per Marx invece sonole contraddizioni della realtà presente a generare la nuova società i cui caratteri non possono proprio

 per questo venir dati altrimenti che per via negativa. Transizione dal regno della necessità al regnodella libertà è possibile soltanto attraverso una rivoluzione diversa da ogni altra, perché lerivoluzioni che si sono succedute nella storia intendevano sostituire il predominio di una classeall‘altra, la marxista invece vuole l‘abolizione delle classi; e l‘inglobamento dei valori nell‘unicovalore della Rivoluzione non può non portare alla totale inclusione dell‘etica nella politica;quell‘inclusione che definisce pure la novità, rispetto a ogni altro precedente ordine politico, di quel

che si suol chiamare totalitarismo; che ne è anzi la sola definizione precisa, e di cui già e soltantonel pensiero di Marx si possono trovare le premesse teoriche obbligate. Trasposizione della fededall‘al di là all‘al di qua, ma pur sempre  fede; religione che abbandona e nega l‘idea di Dio per 

 portare all‘estremo l‘idea di liberazione (e probabilmente l‘idea di secolarizzazione non si intende pienamente se non in riferimento alla trasposizione religiosa marxista); e in relazione a questo la permanenza trasposta di archetipi religiosi (funzione redentrice del proletariato, concepita sulmodello religioso della Croce e della Resurrezione, ecc.). Aspetti, questi, dell‘originario marxismo,richiamati da qualcuno dei suoi commentatori anche relativamente (molto relativamente) recenti (si

 pensi a Bloch). Ma che cosa è successivamente avvenuto nel processo della realizzazione? Ilmomento utopistico è scomparso, ed è rimasto quel realismo politico che si è espresso in quellanovità che è il totalitarismo (altrimenti non definibile che per questa totale risoluzione dell‘eticanella politica). Il momento religioso, che si confondeva con l‘utopistico, in ragione dellatrasposizione che si è detta è parimenti scomparso (o sussiste soltanto nel suo aspetto clericale nel

 peggiore dei sensi che il termine può avere; come ritualismo, ormai del tutto dissociato dalla fede).Questo per i paesi comunisti.  Nell‘Occidente (e in questo si può parlare del superiore suo livelloculturale) abbiamo la decomposizione del materialismo dialettico, anche se le forme di pensiero chehanno prevalso gli facciano scarso riferimento e preferiscano, in genere, parlarne con sufficienza,quasi fosse l‘ideologia e la manualistica dello statalismo, o una versione deteriore del marxismo(ma il materialismo dialettico non appartiene soltanto ai manuali; e basti pensare a Lukács per trovarvi una formula non banalizzata). Guardiamo meglio, tuttavia; nel pensiero occidentale èavvenuto che il momento dialettico portato alle conseguenze estreme abbia soppresso il momento

materialistico; e il momento materialistico, portato anch‘esso alle conseguenze ultime, condottoall‘eliminazione del momento dialettico. Abbiamo la forma dell‘estensione estrema del momentodialettico in una filosofia che dominò l‘Italia tra le due guerre, e di cui si suole oggi parlare con unasufficienza che non è giustificata: l‘attualismo di Gentile. Si confronti infatti il giovanile librogentiliano sulla filosofia di Marx con la riforma della dialettica hegeliana svolta negli annisuccessivi; non ci si può non accorgere che la continuità è netta; la riforma dell‘hegelismo(dialettica del pensiero pensante sostituita alla dialettica del pensiero pensato) è la continuazione diquell‘aspetto di verità che Gentile aveva ravvisato nel marxismo (la filosofia della prassi) e che, asuo giudizio  — e dal punto di vista della coerenza logica aveva ragione  — doveva esser separatadal materialismo. Non a caso la sua filosofia accompagnò sino alla morte quella che voleva esserela vera rivoluzione del nostro secolo, e che del marxismo negava il materialismo, il fascismo; e che

in una visione transpolitica della storia contemporanea non può altrimenti venire definito che comeun tentativo di rivoluzione dopo accolti i risultati di quella controversia italiana sul marxismoteorico (1895-1900) da cui prende inizio nella forma crociana e nella gentiliana, e nell‘influenza di

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Sorel sul pensiero politico, il pensiero italiano del ‗900 (6). Cose lontane, si dirà, e quel che prevaleoggi nel mondo occidentale è l‘esatto rovescio di quel pensiero e di quella politica. Ma si consideriil materialismo presente delle scienze umane; si può negare che esso sia quel materialismo, di cuigià parlava Marx, che intende render conto, a differenza dei materialismi antecedenti, o superantequella che veniva addotta come la loro non superabile difficoltà, del mondo umano? L‘estensione

del motivo materialistico del marxismo deve portare a un completo relativismo, che include anche ilrifiuto della verità del marxismo. Dal punto di vista, però, di questa estensione completa delmaterialismo non si può parlare di una coscienza morale una e medesima per tutti; di valori che nonsiano modi con cui il soggetto si afferma, e ritorna così nelle democrazie quella volontà di potenzache si intendeva esorcizzare. Il materialismo occidentale coincide moralmente con l‘egocentrismototale, nel senso che tutto acquisisce significato soltanto per ciò che può diventare strumento per l‘affermazione del singolo soggetto, nel senso egoistico; e che reciprocamente può sussisteresoltanto in quanto utilizzato da altri. La comunicazione dell‘unico con gli altri assume valore solo inquanto e nella misura in cui moltiplica le sue forze. In conseguenza della caduta della coscienzamorale unica e medesima in tutti i soggetti si stabilisce un legame di forze che viene valutatodall‘unico a seconda che lo potenzii o meno (7). Nichilismo, egocentrismo e materialismo fanno

tutt‘uno. Quella che si chiama democrazia occidentale tende a identificarsi, insomma, col dominiodella  forza, o della forma anarchica di questo dominio; né si può dire che Marx non avesse vistogiusto nel caratterizzare l‘esito della società borghese, ma si tratta di una società che il marxismonon è in grado di evertere; che ha contribuito, anzi, nella maniera decisiva che si è visto, a stabilirele condizioni perché si sviluppasse nel grado più alto. C‘è percezione diffusa di questo? Eracorrente sino a non molto tempo fa il termine di neoilluminismo come linea di pensiero e di praticache conservasse, oltrepassandola, la positività del marxismo (8); il suo uso è pressoché scomparso,dato che le ragioni di un ottimismo progressista sono oggi venute meno.

* * *

È celebre la frase di Marx nella giovanile Critica della Filosofia del Diritto di Hegel. Introduzione:«La filosofia non può realizzarsi senza l‘eliminazione del proletariato, il proletariato non puòeliminarsi senza la realizzazione della filosofia», in cui la rivoluzione è vista come realizzazionedella filosofia. Ora, dal discorso che finora si è condotto, risulta che questa filosofia si è realizzata.Ma che cosa vuol dire questo se non che il nostro tempo non può venir «pensato» se non si ammetteuna priorità della causalità ideale? Normalmente si attribuisce al marxismo il merito di aver riconosciuto l‘importanza della causalità materiale (9); quel che invece ha agito è una filosofia diMarx che non si può spiegare attraverso il materialismo storico. Applicare il materialismo storico

alla spiegazione del marxismo è infatti rilevare il parallelismo, ad es., tra lo sviluppo della borghesiae quello dell‘empirismo inglese; si può perfino tentare di spiegare la filosofia di Cartesio conCartesio uomo del terzo stato. Ma non si può spiegare il pensiero di Marx col «proletario Marx»anziché, dal punto di vista logico, con Marx filosofo hegeliano che intende spingere alleconseguenze estreme la dottrina del maestro, ed è perciò costretto a rovesciarla; e se a tutti i costi sivuol passare al punto di vista della «storia segreta», con una ripresa del profetismo ebraicointeramente laicizzato dopo l‘hegelismo. E, di fatto, come si è visto dall‘esempio del Che fare?, gliscrittori marxisti ragionano come se la filosofia di Marx e quel che nella filosofia classica tedesca lacondiziona fossero esenti dal «peccato originale» del condizionamento storico; come se quella zonadella storia della filosofia formi una specie di storia sacra in cui il pensiero di Hegel è l‘ Antico equello di Marx il  Nuovo Testamento. E non è certo un caso che in Occidente la rinascita delmarxismo abbia avuto costantemente, così nei vent‘anni tra le due guerre come nel secondo

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dopoguerra, il punto di riferimento nel pensiero filosofico piuttosto che nell‘economico, quasi cheobbedisse al celebre articolo di Gramsci, scritto per salutare la rivoluzione di ottobre, in data 24novembre 1917,  La rivoluzione contro il Capitale. Realmente nella storia contemporanea noitroviamo una razionalità senza riscontro; è veramente il dispiegarsi e l‘autoconfutazione di unsistema filosofico «diverso» in quanto si presenta, caso senza precedenti nella storia del pensiero,come filosofia ante factum. Questo sistema ha il suo principio nell‘ateismo radicale (10) e necontiene la definizione come «rifiuto della di pendenza» e nell‘asserzione che il senso religioso

 politico e sociale di questa liberazione sono inscindibili: «Questo Stato, questa società producono lareligione, una coscienza capovolta del mondo, proprio perche essi sono un mondo capovolto... Lalotta contro la religione è quindi, indirettamente, la leva contra quel mondo del quale la religione èl‘aroma spirituale. È innanzitutto compito della filosofia operante al servizio della storia dismascherare l‘autoalienazione dell‘uomo nelle sue forme profane, dopo che la  forma sacra dell‘autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma così in una critica dellaterra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della

 politica» (da  La Critica della Filosofia del Diritto di Hegel. Introduzione). Ove si può osservareche, nel caso dell‘ateismo, la tesi che vede nelle filosofie la maschera della volontà di potenza trovauna conferma impressionante. Aggiungendo che la liberazione dalla dipendenza è stata la ricerca,

 particolarmente sensibile nell‘Ottocento, di ogni forma di immanentismo filosofico, e che control‘immanentismo idealistico (dell‘immanenza di Dio nell‘uomo) Marx ha ragione; e che ad attestarlonon c‘è esempio migliore di quel che è avvenuto in Italia, nella forma del cedimento della culturaidealistica alla marxistica. E che, vichianamente, si può scorgere il manifestarsi della Provvidenzain quella gigantesca eterogenesi dei cui è andato incontro il perseguimento della «città senza Dio».Parlare di interpretazione transpolitica, o filosofica, della storia contemporanea, o dire che l‘epoca

contemporanea è quella dell‘espansione dell‘ateismo è dunque dire la stessa cosa. Dire che il problema di Dio, anziché volgere alla sua scomparsa, si ripropone oggi a partire dalla politica, è prendere atto della sua autoconfutazione.

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Note

(1) Per le analogie di pensiero tra Comte e Feuerbach cfr. il saggio dedicato a Comte dal card.

Henri de Lubac in  Le drame de l’humanisme athée, Paris 1945 (tr. it.  Il dramma dell’umanesimo

ateo, Jaca Book, Milano); nonché, per la scomparsa dell‘idea di Dio in Comte, la classica opera diHenri Gouhier,  La jeunesse de Auguste Comte et la formatione du positivisme, Paris 1933-41.

(2) Avevo già insistito su questa impossibilità nel mio saggio del‘ 46,  La non-filosofia di Marx e

il comunismo come realtà politica (successivamente ripubblicato in  Il problema dell’ateismo, IlMulino, Bologna 1964) ove col termine di non-filosofia intendevo alludere alla «diversità» delmarxismo dalle altre filosofie. Ma ho dovuto attendere fino ad oggi perché la verità  — in completaindipendenza da quel mio saggio, ma proprio qui sta il carattere più positivo della conferma  — di

quel che avevo scritto venisse riconosciuta. Alludo al saggio di Vittorio Strada,  Marxismo e post-marxismo, in Storia del marxismo, vol. IV, Einaudi, Torino 1982, ove tra l‘altro viene detto che «gliinfiniti esercizi di lettura di Marx» continuamente ripetuti dalla cultura accademica occidentale,anche se filologicamente corretti, «tolgono a Marx quella che è l‘essenza più vera e più viva e nonc‘è bisogno di essere leninisti per riconoscere che Lenin, in questo senso, è stato più marxista diqualunque interprete, anche filologicamente corretto, dei testi del Marx giovane e del Marx vecchio:Lenin è colui che ha fatto del marxismo un evento cosmico-storico, e Stalin, in questo senso […] èstato un suo fedele allievo». (p. 110). E a quello di Lucio Colletti su  L’Espresso, 27 febbraio 1983,

 per cui «Lenin è colui che ha compreso l‘essenzialità che rivestiva per il marxismo il momento dellarealizzazione, [...] che ne ha portato a compimento la vocazione essenziale». (p. 69).

Per intendere invece quanto sia diffuso il punto di vista opposto, per cui conviene staccare laconsiderazione del marxismo teorico dalla sua realizzazione comunista, prendo ad esempio quellache probabilmente resta la più complessiva opera dedicata al pensiero marxista di un autorecattolico,  La pensée de Karl Marx (Ed. du Seuil, Paris 1956) di P. Jean- ves Calvez S.J.,estremamente informato e filosoficamente penetrante. Scrive il Calvez: «… i critici non marxistihanno di più in più indirizzato esclusivamente i loro attacchi al solo comunismo ortodosso, formadottrinale evoluta del pensiero di Marx. Ora il comunismo, leninista e staliniano, non può averericevuto, nel corso dei decenni, degli apporti estranei al pensiero di Marx propriamente detto...(dopo la pubblicazione, nel 1931, delle opere giovanili inedite) si assiste a un‘importante

riconsiderazione del pensiero marxista; la riflessione sul marxismo prende dimensioni nuove e lacritica si volge più esplicitamente di prima all‘esame del pensiero di Marx quale appare nei suoi

 propri scritti» (p. 562, sottolineatura nel testo). È stato il criterio generalmente seguito in annisuccessivi dagli studiosi, così cattolici come laici, come marxisti».

(3) Effettivamente chi parla di «religione» rispetto al marxismo deve avvertire che con l‘opera diMarx si riapre nell‘Ottocento un conflitto tra la religiosità di tipo gnostico e la religiosità cristiana;certamente si tratta di una gnosi del tutto nuova, e sarebbe vano cercare una prefigurazione di tesi

 premarxiste nei testi gnostici, ed estremamente difficile e problematica la ricerca di un filo rossodella tradizione gnostica che porterebbe a concludere in Marx. Per limitata che sia, l‘analogia si

rivela però di grande importanza per quel che riguarda l‘idea gnostica essenziale; dei due mondi,ognuno dei quali ha il suo Dio, e del vero Dio che è il Dio del mondo «nuovo», di là da venire, del

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tutto contrario al mondo presente in cui l‘uomo vive come «straniero». È innegabile che il «futuro»,o l‘«avvenire» dei rivoluzionari siano la traduzione moderna, postcristiana, del «vero» Dio deglignostici Come documento rigoroso dello gnosticismo soggiacente al marxismo ha grandeimportanza l‘opera di Ernest Bloch; il suo libro di sintesi Ateismo nel cristianesimo (1968, trad. it.,Feltrinelli, Milano 1971) è estremamente interessante per documentare come questo autore, quando

 parla del cristianesimo, lo faccia costantemente rientrare nello gnosticismo. Nonché per il rapportostrettissimo che egli pone tra Hegel e Marx; effettivamente il tema estremamente importante, e nonancora sufficientemente approfondito, benché fosse già state segnalato nei primi decennidell‘Ottocento, come Hegel, nel suo tentativo di risolvere il cristianesimo in filosofia, avesseincontrato la gnosi. A questo punto si possono enunciare due tesi: chi connette strettamente Hegelcon Man è costretto, lo dichiari o no, a presentare un‘interpretazione di tipo gnostico del marxismo;chi, all‘opposto, intende scindere Marx da Hegel, si trova indotto, se vuole pensare questaseparazione sino in fondo, ad abbandonare il marxismo. La ricerca, qui in Italia, della scuoladellavolpiana intesa a differenziare all‘estremo Marx da Hegel (dominata in ciò dalla

 preoccupazione di sottrarre il marxismo nel riguardo della critica, che è insieme continuazione,operata da Gentile) è esemplare a questo riguardo per il suo esito, che avviene nel coerenteabbandono del marxismo operato da Lucio Colletti. Il carattere gnostico del tipo del rivoluzionariodi professione a cui tocca funzione di guida perché ha la conoscenza del processo della storia nellasua totalità è indiscutibile. Cfr. al riguardo il libro di L. Pellicani,  I rivoluzionari di professione.

Teoria e prassi dello gnosticismo moderno, Vallecchi, Firenze 1974.

(4) Sulla presenza, non accidentale, ma condizionante, dell‘idea della superumanità (circolantedel resto in tutto l‘Occidente, e sovente combinantesi col mito di Prometeo) nel marxismo, haspesso insistito chi sinora è andato più a fondo nel sue carattere gnostico, Eric Voegelin. Per il

 prometeismo di Marx si ricordi quanto scrive nella sua dissertazione giovanile su Democrito edEpicuro: «Prometeo è il più grande Santo e martire del calendario filosofico».

(5) Il Mulino, Bologna 1982, pp. 410-414.

(6) È questo carattere a render conto dell‘enorme differenza che intercorre tra il fascismo e ilnazismo, anch‘esso subalterno al marxismo, ma in senso affatto diverso. Il primo aspetto su cuiinfatti deve rivolgere l‘attenzione chi voglia intenderne la natura sta nel suo essere l‘ esatto

contrario del comunismo; nel senso che ne riproduce rovesciati, con completa simmetria, i caratteri,cosa che non si può dire di alcun altro movimento anticomunista, e tanto memo del fascismo. Tutto

avviene nel nazismo come se criterio di verità fosse la sostituzione di una categoria comunista conl‘esattamente contraria, tale però sempre nello stesso orizzonte materialistico del marxismo. Cosìalla classe viene sostituita la razza; alla dimensione del futuro propria del marxismo si oppone ilrichiamo nazista alla dimensione del passato; alla laicizzata escatologia marxista che pone lasocietà perfetta alla fine dei tempi corrisponde il mito nazista che la pone prima della storia;l‘«uomo nuovo», la cui formazione il nazismo aveva di mira, avrebbe dovuto corrispondere al tipoarcaico, mai finora realizzato nella sua purezza, dell‘ariano. Allo storicismo marxista si oppone il

 più completo naturalismo; e questa antitesi è capace di farci intendere nel suo significato pieno lastessa opposizione di classe e di razza. All‘idea di r ivoluzione si oppone quella di guerra, come

guerra assoluta; guerra che risolve in sé l‘etica, e che perciò non può presentarsi che come guerra disterminio, rinunciando a ogni maschera di «liberazione». Resta che fascismo e nazismo non sispiegano che in relazione al comunismo, piuttosto che come continuazione di precedenti tradizioni

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italiana e tedesca. Per uno svolgimento più ampio su queste interpretazione del nazismo cfr. il mioart. su Il Sabato, 26 marzo 1983.

(7) In questo senso si deve parlare di un‘attualità di Stirner per definire il presente nichilismooccidentale, soprattutto se di pensa che esso si caratterizza per il rifiuto assoluto del sacrificio; cfr. il

mio scritto L’interpretazione transpolitica della storia contemporanea, Guida, Napoli 1982, pp. 22-25. Nel saggio Apologia del nichilismo contenuto nel volume Problemi del nichilismo (Shakespeareand Company, 1981) Gianni Vattimo scrive: «Per capire adeguatamente la definizioneheideggeriana del nichilismo e vederne l‘affinità con quella di Nietzsche, dobbiamo attribuire altermine valore, che riduce a sé l‘essere, l‘accezione rigorosa di valore di scambio. Il nichilismo,così, è la riduzione dell‘essere a valore di scambio». (p. 116). Sulla definizione posso concordare,ma non riesco a intendere come il nichilismo, così definito, possa esser oggetto di apologia.

(8) Per uno sguardo rapido ma preciso sul neoilluminismo italiano cfr. il  Profilo ideologico del 

 Novecento di Norberto Bobbio nella «Storia della letteratura italiana Garzanti», 1969, soprattuttoalle pp. 219 sgg., e, in generale, le opere di questo autore.

(9) Così, ad es,, Maritain in  Humanisme integral  (tr. it. Umanesimo integrale), p. 52 sgg., esoprattutto, in una formulazione più rigorosa,  La philosophie morale, Gallimard, Paris 1961, pp.264-65. Non ho nulla da eccepire a quel che Maritain dice, e trovo anzi grandemente stimolantesoprattutto quel che scrive nella seconda opera, ma resta che il materialismo marxista e la suaazione storica non si spiegano con la «causalità materiale».

(10) Anche qui concorde con Vittorio Strada che, parlando nel saggio cit. delle fonti del

marxismo, afferma che la prima «le cui acque si confondono con le altre tre e anzi le convoglianolungo un alveo da essa tracciato» (le altre tre, ricordate da Lenin in un celebre scritto, sono lafilosofia classica tedesca, l‘economia politica inglese e il socialismo francese) è «di natura religiosa(nel senso di una contro-religione rispetto al cristianesimo) e costituisce il nucleo esoterico delmarxismo di Marx e di quello a lui successivo, un nucleo che si manifesta pio, nella ―costruzione diDio‖ di Lunačarskij e Gor‘kij o, in diverso modo, in Ernst Bloch, e anche nello stesso ateismomilitante (e fanatico di Lenin e dei suoi successori) ma che costituisce sempre l‘elemento connettivooriginale del marxismo» (p. 99). Tutto il saggio verte sulla dimostrazione che il comunismo, comesi è realizzato, obbedisce a questa prima fonte.