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MODA E GLOBALIZZAZIONE Davide Cambioli [email protected] altraQualità s.c.r.l. MODA CRITICA E CRITICA DELLA MODA Il termine “moda critica” indica una serie di tendenze e proposte volte a trasformare in modo economicamente responsabile, secondo criteri di riferimento etici il “sistema della moda”. Dalla parte della produzione sono nate esperienze come il commercio equo e la produzione biologica, dal lato del consumo si sono sviluppate tendenze di consumo critico che hanno dato vita a stili di vita alternativi che nel caso dell’abbigliamento si tramutano in una modalità di espressione corporea volta a dare una certa immagine di se e a comunicare il proprio orientamento. Ma è possibile parlare di “moda critica” come di un qualcosa di alternativo al sistema della moda? O si tratta invece di un aggettivo che indica la volontà di riformare un qualcosa che non è modificabile nella sua essenza, come molti studiosi hanno sostenuto criticando definizioni come “sviluppo sostenibile”, “turismo responsabile”, “commercio equo”, ecc. Cosa critichiamo effettivamente nella “moda”? Se vogliamo criticare il “sistema della moda”, indicando una strada alternativa, non è sufficiente produrre abiti nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, come molti di noi fanno, ma la critica va estesa ai diversi stadi del sistema, la produzione, la commercializzazione, la promozione ed il consumo. Per ognuna di queste fasi vanno ricercate modalità di azione alternative in quanto un agire etico solo dal lato della produzione o un agire sobrio solo dal lato del consumo non consentono di ottenere risultati apprezzabili. Dal lato della produzione, sono oramai diverse le esperienze che rispettano criteri etici stabiliti da varie organizzazioni internazionali e le competenze esistenti lasciano immaginare che non sarebbero necessarie energie inverosimili al fine di liberare grandi potenzialità. Dal lato del consumo, in questi anni è stato fatto un lavoro importante dal punto di vista comunicativo, ma ancora molto rimane da fare in termini di diffusione del messaggio. Dal punto di vista dell’offerta invece, il panorama è ancora estremamente limitato, tanto da essere difficile definire l’abbigliamento etico come una nicchia di mercato, almeno in Italia. Per quanto riguarda invece i due anelli intermedi, la distribuzione e la promozione, ossia ciò che realmente muove il mercato, le esperienze di rilievo sono rarissime, ad esempio Kuyichi in Olanda ed alcune esperienze nella grande distribuzione italiana. Nel solco dei ragionamenti che precedono viene inquadrata l’esperienza di altraQualità scrl nella realizzazione di collezioni di abbigliamento equosolidale e biologico e di linee di merchandising. Negli ultimi sette anni altraQualità a lavorato con organizzazioni e ditte, di piccole e medie dimensioni, in paesi come India, Bangladesh, Nepal, Vietnam e Colombia, nei campi dell’abbigliamento artigianale, della maglieria e della produzione di accessori. L’esperienza dimostra come, nel campo dell’abbigliamento, malgrado siano stati proposti indumenti con un ottimo rapporto prezzo qualità, sia estremamente faticoso creare un mercato interessante dal punto di vista quantitativo. Mercato che invece si è iniziato a sviluppare nell’ambito del merchandising e degli oggetti promozionali.

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Page 1: Davide Cambioli MODA CRITICA E CRITICA DELLA MODA · MODA E GLOBALIZZAZIONE Davide Cambioli info@altraq.it altraQualità s.c.r.l. ... Dalla parte della produzione sono nate esperienze

MODA E GLOBALIZZAZIONE Davide Cambioli [email protected] altraQualità s.c.r.l. MODA CRITICA E CRITICA DELLA MODA Il termine “moda critica” indica una serie di tendenze e proposte volte a trasformare in modo economicamente responsabile, secondo criteri di riferimento etici il “sistema della moda”. Dalla parte della produzione sono nate esperienze come il commercio equo e la produzione biologica, dal lato del consumo si sono sviluppate tendenze di consumo critico che hanno dato vita a stili di vita alternativi che nel caso dell’abbigliamento si tramutano in una modalità di espressione corporea volta a dare una certa immagine di se e a comunicare il proprio orientamento. Ma è possibile parlare di “moda critica” come di un qualcosa di alternativo al sistema della moda? O si tratta invece di un aggettivo che indica la volontà di riformare un qualcosa che non è modificabile nella sua essenza, come molti studiosi hanno sostenuto criticando definizioni come “sviluppo sostenibile”, “turismo responsabile”, “commercio equo”, ecc. Cosa critichiamo effettivamente nella “moda”? Se vogliamo criticare il “sistema della moda”, indicando una strada alternativa, non è sufficiente produrre abiti nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, come molti di noi fanno, ma la critica va estesa ai diversi stadi del sistema, la produzione, la commercializzazione, la promozione ed il consumo. Per ognuna di queste fasi vanno ricercate modalità di azione alternative in quanto un agire etico solo dal lato della produzione o un agire sobrio solo dal lato del consumo non consentono di ottenere risultati apprezzabili. Dal lato della produzione, sono oramai diverse le esperienze che rispettano criteri etici stabiliti da varie organizzazioni internazionali e le competenze esistenti lasciano immaginare che non sarebbero necessarie energie inverosimili al fine di liberare grandi potenzialità. Dal lato del consumo, in questi anni è stato fatto un lavoro importante dal punto di vista comunicativo, ma ancora molto rimane da fare in termini di diffusione del messaggio. Dal punto di vista dell’offerta invece, il panorama è ancora estremamente limitato, tanto da essere difficile definire l’abbigliamento etico come una nicchia di mercato, almeno in Italia. Per quanto riguarda invece i due anelli intermedi, la distribuzione e la promozione, ossia ciò che realmente muove il mercato, le esperienze di rilievo sono rarissime, ad esempio Kuyichi in Olanda ed alcune esperienze nella grande distribuzione italiana. Nel solco dei ragionamenti che precedono viene inquadrata l’esperienza di altraQualità scrl nella realizzazione di collezioni di abbigliamento equosolidale e biologico e di linee di merchandising. Negli ultimi sette anni altraQualità a lavorato con organizzazioni e ditte, di piccole e medie dimensioni, in paesi come India, Bangladesh, Nepal, Vietnam e Colombia, nei campi dell’abbigliamento artigianale, della maglieria e della produzione di accessori. L’esperienza dimostra come, nel campo dell’abbigliamento, malgrado siano stati proposti indumenti con un ottimo rapporto prezzo qualità, sia estremamente faticoso creare un mercato interessante dal punto di vista quantitativo. Mercato che invece si è iniziato a sviluppare nell’ambito del merchandising e degli oggetti promozionali.

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Gianluca Bruzzese (Made in No, [email protected]) Laura Fontana (Giochi di Lana, [email protected]) Monica Gabetta (Particelle Complementari, [email protected]) Deborah Lucchetti (FAIR, [email protected]) Ersilia Monti (Coord. Lombardo Nord/Sud del Mondo, [email protected]) Ente: Campagna Abiti Puliti Lungo il filo dei diritti per una produzione equa, sostenibile, partecipata e un consumo consapevole SOGNANDO UNA MUTANDA EQUA E SOLIDALE Le cose nascono dall’incontro fra persone, sempre dietro ad un bel sogno ci sono teste e mani che viaggiano, cuori che si scaldano. Torino sta a metà strada tra Genova e Novara ed è li che nel 2005 Gianluca Bruzzese, giovane artigiano tessile di Galliate ha proposto a Deborah Lucchetti di FAIR e coordinatrice della Campagna Abiti Puliti l’idea voler convertire la sua piccola azienda verso una produzione equa, giusta, biologica. Ripensare la produzione in un’ottica di rete, di sostenibilità, di cooperazione fra nord e sud ma anche nei nostri territori, fra piccoli artigiani vinti dalla globalizzazione e consumatori responsabili, disposti a sostenere con la loro domanda percorsi di cambiamento dell’offerta. Da questo incontro è nato il progetto Made-in-No che due anni dopo ha portato sul mercato italiano la prima linea di intimo bio-equo interamente tracciabile fatta in rete; dalla cooperazione fra produttori di cotone brasiliani e indiani, artigiani italiani e GAS è nata una linea di prodotti fatta tracciabile e accessibile ai più, che rispetta i criteri sociali e ambientali e risponde ai bisogni primari di beni basici. LUNGO IL FILO DEI DIRITTI Made-in-No è stato un laboratorio di idee che ha dato vita a prodotti e sensibilità nuove; il tema dei diritti sociali è stato alla base del percorso formativo degli attori della filiera che hanno partecipato a diversi incontri di formazione sui temi della globalizzazione e dei diritti nel settore tessile. La Campagna Abiti Puliti è stata un importante punto di riferimento che ha fornito strumenti di analisi critica per leggere la moda oltre il marchio. Il corso di formazione per attivisti tenutosi a Firenze nel settembre del 2007 è stato un momento di crescita di consapevolezza importante per molti che si occupano in Italia di tessile e moda in maniera critica. Oltre a Gianluca Bruzzese, unico artigiano presente, partecipano anche Laura Fontana del laboratorio di tessitura Giochi di lana, a sostegno di persone svantaggiate, e Silvia Serventi, entrambe animatrici del gruppo di lavoro nazionale sul tessile dei GAS; Ersilia Monti del gruppo di consumo critico Coord. Nord/Sud del Mondo, capostipite della Campagna Abiti Puliti e appassionata di storia del costume, e Monica Gabetta animatrice di Particelle Complementari, spazio-laboratorio dedicato alle autoproduzioni, al vintage creativo e sede di un knit café. Sempre incontri e persone, che legano le tappe dei processi e li intrecciano, dando vita ad alchimie inaspettate. QUANDO L’UNIONE FA LA FORZA Facendo un passo indietro, agli inizi del 2007 all’interno della rete nazionale dei Gruppi di Acquisto Solidale era nata la necessità di provare a comprare insieme prodotti tessili bio-equi. Ma da cosa partire, visto che comprare tessile non è esattamente come comprare patate? Il progetto della felpa dei GAS, quale prodotto simbolico nacque proprio così; mettendo insieme diversi attori delle economie solidali si diede inizio ad un’avventura di co-progettazione e produzione che ha portato alla distribuzione in Italia di più di 2.500 felpe bio-eque. L’originalità

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dell’esperimento era tutta nella stretta collaborazione tra domanda e offerta e nel lavoro di rete. Il gruppo tessile nazionale lanciato inizialmente da Paola Letardi, Sabina Eandi e Silvia Raso del GAS di Genova si allarga e si consolida e diventa incubatore di nuove filiere che crescono; il gruppo sarà il prezioso e insostituibile promotore del progetto Made-in-No nel circuito dei consumatori responsabili italiani. Nel 2008, grazie al lavoro di rete, sono stati venduti più di 8.300 capi a GAS, botteghe del commercio equo e fiere. Un bell’inizio per il sogno di Gianluca! DA COSA NASCE COSA Di ritorno dalla prima sessione del seminario di Firenze, sul treno per Milano, Gianluca, Laura ed Ersilia hanno un’idea: perché non rendere evidente il filo che ci lega attraverso una mostra che ripercorra la storia del vestire nei suoi molteplici aspetti e significati? Che cos’è il vestito? Ricordo di infanzia e di famiglia, istantanea della quotidianità sullo sfondo della “Storia”, espressione d’arte e di saperi antichi, ma anche effimero e lussuoso capriccio, e il lavoro ingrato di milioni di donne e di bambini che dall’inizio dell’Ottocento ai giorni nostri non hanno ancora smesso di trainare la “rivoluzione industriale” in buona parte dei paesi del mondo. Di mostre ne abbiamo realizzate due, una a Firenze, a margine del seminario, e una a Milano insieme a Monica (sul tema dello sport) per il lancio della campagna PlayFair at the Olympics 2008. Criteri base: il materiale esposto (capi e accessori moderni e antichi, fotografie, pubblicazioni, ecc.) deve uscire dalle nostre case o da quelle di nostri amici e conoscenti, oltre che dai laboratori di “moda critica” (Giochi di lana, Made in No, Knit Café); il percorso espositivo ha l’obiettivo di condurre il visitatore a comprendere con immediatezza le problematiche sociali e ambientali sottese alla produzione di abbigliamento e a prendere consapevolezza delle possibili vie di uscita. Il tutto senza trascurare il versante emotivo legato alla storia e alla memoria della gente comune. La mostra termina con un planisfero sul quale le fotografie dei “casi urgenti” della Campagna Abiti Puliti riproducono fisicamente la geografia mondiale della produzione di tessile-abbigliamento. Ogni visitatore ha diritto a “cogliere un pensiero”: tante piccole buste ornate da un modellino stilizzato di abito in tessuto contengono le testimonianze di lavoratori raccolte dalla Campagna Abiti Puliti (a significare la moda con dentro il lavoro). Fra i pezzi forti delle ultime due edizioni: un borsellino gadget ante litteram della Esposizione Universale di Milano 1906, il maglione di marina del padre di Monica (fine anni ’30), fra i sopravvissuti dell’affondamento del sommergibile Baracca (maglione indossato ancora da Monica negli anni ’70). La presenza al seminario di Firenze di una delle massime esperte italiane di tessitura al telaio manuale, Graziella Guidotti, ha reso possibile un altro piccolo miracolo dell’incontro di persone e di passioni: il vestito della prima comunione del padre di Ersilia (anno 1924), esposto alla mostra, è stato acquisito dalla prestigiosa Galleria del Costume di Firenze, entrando così a far parte del patrimonio storico comune. Saremmo felici di partecipare al convegno “Moda critica” per raccontare la nostra storia unendo al nostro contributo un percorso espositivo che sintetizzi le tematiche sopra descritte. Federica Vacca Politecnico di Milano | Dip. INDACO | Unità di Ricerca Moda e Tessile [email protected] Alla riscoperta di un sapere tramandato. Tradizioni tessili e Fashion Design: un dialogo aperto.

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Il paper pone l’attenzione sul design come risorsa capace di agire al servizio dello sviluppo delle economie locali sostenendole, supportandole e aiutandole a valorizzare la propria identità culturale e il proprio know how progettuale e produttivo. Il sistema tessile italiano è ricco di giacimenti, di saperi artigianali che rivestono notevoli potenzialità perché portatori di valori qualitativi, culturali e simbolici in grado di connotare in modo unico i prodotti e intercettare nicchie di mercato che sempre più ricercano l’unicità, l’autenticità e l’eccellenza del prodotto. È ormai riconosciuto infatti, il concetto per cui la cultura materiale con il carico di capacità del saper fare, proprie della tradizione artigianale, fa parte a pieno titolo del più vasto patrimonio culturale di un luogo, ma ciò che resta una questione ancora irrisolta sono le modalità che permettono di mantenere vive, nella contemporaneità, tali tradizioni. Le lavorazioni artigianali sono quindi quegli elementi che contribuiscono a definire l’identità culturale di una collezione grazie al legame con la cultura, la memoria e la tradizione, diventando nello stesso tempo un potenziale fattore d’innovazione. Il valore del prodotto così realizzato è sempre meno legato alle sue qualità materiali e dipende invece dal significato, simbolico, emotivo o identitario che il consumatore gli attribuisce. L’importanza della disciplina del design in questo settore diventa fondamentale poiché è in grado di agire non solo alla scala del singolo prodotto o servizio, apportando delle rilevanti revisioni tipologiche, ma soprattutto attraverso lo stanziamento di conoscenze, metodologie, strumenti e procedure di natura metaprogettuale che sono in grado di stimolare e valorizzare la capacità delle piccole imprese a carattere artigianale verso un’innovazione che possa garantire nuovi vantaggi competitivi più significativi e promettenti. Il design si immette quindi come elemento di connessione e di dialogo tra la cultura del fare, tipica delle arti manuali detentrici di un sapere tramandato nel tempo, con la cultura del progetto, svolgendo un ruolo efficace per quel che concerne lo stimolo e la valorizzazione di competenze e specificità produttive e culturali dei sistemi locali. L’aspetto che è emerge è quindi legato alla necessità di trovare un momento d’incontro e di scambio tra modalità di operare differenti, da una parte il contributo reso dal design in ambito di stimoli e suggestioni che provengono dal contesto globale e riguardano in particolare le tendenze del mercato, le nuove abitudini e gli stili di vita del consumatore secondo una visione sistemica orientata al progetto che è propria della disciplina, dall’altro una consapevolezza e conoscenza del prodotto e della tecnica necessaria per ottenerlo da parte dell’artigiano che in maniera concreta orienta le proprie scelte secondo codici e consuetudini determinati dalla conoscenza tacita del saper fare. Marcella Messina Dottoranda in “Antropologia ed epistemologia della complessità” Ce.R.Co Università di Bergamo [email protected] Nuove prospettive sostenibili per l'industria tessile bergamasca Quale impatto può avere la moda critica in un distretto tessile come quello della Valseriana? La valle rappresenta una delle zone storiche di insediamento dell’industria tessile italiana, ma come altre zone simili ha patito negli ultimi anni le conseguenze della globalizzazione e della delocalizzazione.

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Gli scenari mostrano un crescente rischio di “pianurizzazione”, ovvero uno slittamento demografico ed economico verso la pianura nel pentagono, ben infrastrtturato, compreso tra A4, futura Brebemi, ferrovia e linea dell’alta velocità. Di fronte a questi scenari, la moda critica, con la sperimentazione di fibre e coloranti naturali, ovvero l’avvio di una possibile filiera “bio” di produzione e consumo sostenibile di tessuti e capi di abbigliamento, può costituire una possibile risposta, ovviamente complementare ad altre, alla crisi del distretto e al rischio che la Valseriana subisca un processo di trasformazione socioeconomica subalterno alle dinamiche globali, con una crescente gravitazione della valle inferiore verso il capoluogo e una rinnovata pressione turistica nell’alta valle. L’ingresso della moda critica nell’economia della valle si scontra con la vischiosità del sistema culturale. Una maggiore apertura culturale ai temi della responsabilità e della sostenibilità socio ambientale da parte degli attori sociali consentirebbe una riconversione di alcune unità produttive, in particolare di piccole e medie dimensioni, l’avvio di nuove attività economiche e di una filiera che può comprendere fasi come la creazione, l’innovazione di prodotto, a qualità dei prodotti, la diffusione, il marketing, l’advertising, ecc. Occorre però probabilmente un’azione su vari piani, dall’adeguamento dell’offerta formativa nella valle, al rafforzamento del capitale sociale, al supporto lungimirante da parte delle amministrazioni locali, alla disponibilità da parte del sistema bancario, ecc., per superare una certa staticità e autoreferenzialità. A favore dell’assunzione della moda critica come fermento per una innovazione “sostenibile” giocano invece altri fattori, come la presenza a Bergamo e provincia di una importante e ormai consolidata esperienza (esperienza che ci porta nel campo del second hand) di raccolta organizzata di abiti usati (il progetto Triciclo, con 750 tonnellate di vestiti recuperati nel 2006), o una forte presenza, in genere, di movimenti di base, botteghe del commercio equo-solidale, di gruppi di volontariato. La ricerca di cui si intende dare conto nel presente contributo intende dunque calare nello specifico di un territorio come la Valseriana gli elementi presentati nel call for paper. Le opportunità che la moda critica può offrire alla valle saranno valutate sia alla luce di dati on desk, sia alla luce di una serie di interviste in profondità realizzate con testimoni privilegiati della valle. Michela Bolis Dottore di Ricerca in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano E-mail: [email protected] Made in Italy e globalizzazione Il sistema dei distretti industriali tra punti di forza e elementi di criticità

Il successo dei prodotti di moda italiani e del cosiddetto Made in Italy è il risultato di un sistema

complesso, caratterizzato contemporaneamente da elementi culturali e da fattori industriali, fondato su una solida tradizione artigianale e sull’esperienza nella lavorazione di determinate materie prime (lana, seta, pelli, oro, ecc.).

La produzione del Made in Italy, realizzata prevalentemente da piccole e medie imprese, è strutturata, da un punto di vista organizzativo, in distretti industriali; con questo termine si indica la concentrazione in un contesto territoriale omogeneo dal punto di vista economico, sociale e culturale di un numero elevato di imprese, ciascuna delle quali si specializza in una particolare fase della filiera produttiva, dalla fabbricazione del macchinario alla realizzazione dei diversi componenti

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del prodotto finale (Piccoli 2008). Le diverse fasi del processo produttivo si svolgono, dunque, in forma decentrata e, proprio per questo, l’esistenza di reti di collaborazione e di cooperazione tra le imprese, ovvero del cosiddetto “capitale sociale”, è fondamentale perché sia garantita l’efficacia del processo.

Quando si parla di Made in Italy ci si riferisce ai distretti industriali che operano nei settori abbigliamento, tessile, produzione di articoli in pelle, calzature, oreficeria e gioielleria, occhialeria: citiamo, a titolo esemplificativo, il distretto della seta di Como e quello della maglieria di Carpi, il distretto della calzatura di Lucca e, ancora, quello dell’occhialeria di Belluno. Il fashion system italiano costituisce un patrimonio unico al mondo che ha realizzato nel 2007 un fatturato di quasi 70 miliardi di euro, dei quali oltre il 60% dovuto alle esportazioni (Camera della Moda 2008).

Fino ad ora la creatività degli stilisti, la qualità e l’accuratezza dei prodotti, la dedizione degli imprenditori e la professionalità di tutte le persone che vi lavorano hanno permesso al sistema moda italiano di affrontare le sfide poste dai mercati mondiali all’insegna di alcune prerogative recentemente indicate dal Censis con 4 “I” (2002): Innovazione, Internazionalizzazione, Intraprendenza e Incisività, qualità che permettono di contrastare per esempio la diffusione di prodotti a basso prezzo, caratterizzati però da una qualità altrettanto bassa. Ma certamente la globalizzazione pone quesiti sempre nuovi alle imprese del Made in Italy che, pur attivando processi a livello internazionale, svolgono ancora la propria attività prevalentemente sul territorio nazionale.

Il paper intende descrivere e analizzare il sistema italiano dei distretti industriali della moda, evidenziando le caratteristiche che sono state i punti di forza della struttura e ne hanno permesso l’affermazione, lo sviluppo e la persistenza, ma che ora, nell’epoca della globalizzazione e dell’internazionalizzazione, potrebbero diventare motivo di criticità e di debolezza del sistema. Tali fattori sono i seguenti (Piccoli 2004): − il radicamento − la piccola dimensione − la compenetrazione − la protezione: − le caratteristiche dell’imprenditoria distrettuale − il sistema distributivo − la formazione e la socializzazione al lavoro. Bibliografia sintetica di riferimento Censis, (2002), 36° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Angeli, Milano, 2002. Piccoli I., (2004), “Il distretto industriale territoriale: un modello da rivedere?”, in Cortellazzi S.,

Spreafico S., Piccoli I., Sartori L., Il lavoro sostenibile, Angeli, Miano, pp. 44-58. Piccoli I., (2008), I bisogni, i desideri, i sogni, Vita e Pensiero, Milano, 2008. Sito internet: www.cameramoda.it Alessia Bighi Beating Hearts sas Wear what you are, wear your rights Dalla passione per il design come forma d’espressione e l’ etica come stile di vita nasce dallo Studio Stilistico Beating Hearts la prima collezione specifica al mondo di t-shirts dedicata interamente ai singoli Diritti Umani dell’ UDHR, come sono stati enunciati dalle Nazioni Unite nel 1948, abbinando stile trendy ad un potente messaggio.

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In un mondo dove si sente la crescente esigenza di “coscienza globale”, una nuova etica inizia a radicarsi nella società, portando un lento ma reale cambiamento, sia che riguardi la “salute” del nostro pianeta che il destino dell' umanità. Con questo in mente, abbiamo trasformato la nostra passione per la moda e il design in mezzo per portare cambiamento. Forti dei nostri sogni, siamo convinti che se tutti facciamo qualcosa, per poco che sia, possiamo cambiare il mondo, perché il mondo è fatto soprattutto dalle persone che ogni giorno si incontrano. Il nostro sogno è incrementare la conoscenza dei Diritti Umani, ancora troppo poco conosciuti a distanza di 60 anni dalla dichiarazione, farne prendere coscienza per noi stessi e per gli altri (e da questo portare cambiamento), attraverso il mezzo d’ espressione a noi più vicino e sempre maggiormente sentito da un mondo che vive sempre più di immagini: il design. Abbiamo creato così una collezione di 30 disegni ispirati ai Diritti Umani, che ne esprimono singolarmente il significato intrinseco e fanno di chi le indossa un consapevole portavoce. La collezione è completata da una t-shirt limited-edition che celebra il 60° anniversario della Dichiarazione Universale (1948-2008) e da una t-shirt per bambini dedicata espressamente ai 10 Diritti dei Bambini. Le tee-shirts Beating Hearts sono etiche non solo nel loro messaggio, ma anche nella loro natura e materia:

• Realizzate in 100% puro cotone biologico, usando filati della miglior qualità. Morbido e naturalmente ipoallergenico, il cotone biologico è prodotto senza l’ uso alcuno di pesticidi o fertilizzanti chimici.

• La stampa serigrafica è fatta con colori eco-compatibili a base d’ acqua e non nocivi. • Nel rispetto dei Diritti Umani e di una produzione socialmente responsabile, le

tee-shirts sono realizzate senza sfruttamento dei bambini e in conformità con i diritti dei lavoratori.

• Il 20% dei ricavati verrà devoluto a ONG che lavorano in difesa dei Diritti Umani.

L' edgy style delle nostre t-shirts, particolarmente curato con finiture che vanno oltre la semplice serigrafia, è indirizzato ai giovani - ma non solo di età - poiché è nelle loro mani, nelle loro teste e nei loro valori che risiede il futuro del mondo. Lo stesso sito web sul quale sono vendute on-line le t-shirts ha scopo educativo in quanto presenta nel modo più comprensibile possibile i 30 articoli della Dichiarazione Universale, riportando anche lo scritto originale delle Nazioni Unite ed un link da Youtube ai video dell’ associazione americana Youth for Human Rights, che spiegano i 30 diritti in brevi spot. Inoltre, in apposite sezioni viene spiegata la storia della Dichiarazione Universale, sono citate dichiarazioni di premi Nobel o grandi uomini della storia che possano essere una fonte d’ ispirazione, sono segnalati dei links a siti correlati e ad associazioni che si battono per i diritti umani. Fra breve inseriremo una photo gallery con le nostre t-shirts indossate, che qualitativamente rispondono agli standard di produzione più alti, a dimostrazione che etica e stile possono convivere. Maggiori informazioni su www.beatinghearts.eu

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Rossella Ravagli CSR Manager Gucci Responsabilità Sociale e Certificazione SA8000 Gucci ha compiuto un passo importante per mettere in pratica i propri valori, principi e rafforzare ulteriormente la reputazione del marchio, ottenendo la Certificazione di conformità con lo Standard Internazionale SA 8000 per i settori Pelletteria è Gioielleria, avviata nel 2004 e ottenuta nel luglio del 2007. Ad oggi tale certificazione è in corso di estensione per tutte le altre categorie di prodotto. Scopo del processo per la Certificazione Sociale è quello di promuovere, implementare, monitorare e migliorare costantemente la conformità alle normative legali, nazionali ed internazionali di rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori all’interno della Divisione Gucci e del suo intero processo produttivo e cogliere così l’opportunità di rafforzare ulteriormente le relazioni con i partner del nostro sistema, migliorare la gestione e le performance della Supply Chain, consolidare la reputazione del marchio e garantire ai consumatori che i prodotti Gucci sono eticamente integri. Perché la certificazione sociale è importante ? Un’azienda globale oggi non può crescere e prosperare senza tener conto di tutto il “sistema” con cui interagisce: dipendenti, azionisti, clienti, fornitori, sub-fornitori, partner commerciali e finanziari, comunità locali, associazioni di categoria e così via. A ciò si aggiunge che il nostro Cliente, ormai abituato all’eccellenza della qualità materiale – “saper fare” il prodotto/servizio - è sempre più interessato alla qualità immateriale – “come viene fatto” il prodotto/servizio. In questo scenario Gucci ritiene necessario sostenere e promuovere, nell’ambito della filiera produttiva, organizzativa e commerciale, un modello di crescita aziendale che coniughi l’esigenza dell’eccellenza con la creazione del valore, attraverso la promozione di un “Valore Sostenibile”. Ovvero un valore che tenga conto sia degli interessi economico-finanziari che di quelli dei dipendenti, sociali e ambientali. In pieno accordo con le Organizzazioni Sindacali, Gucci riconosce alla base delle proprie politiche gestionali e dei propri comportamenti aziendali la filosofia del “Valore Sostenibile”. Insieme si impegna a sensibilizzare e realizzare la Cultura della Sostenibilità all’interno del Sistema Gucci - dipendenti, azionisti, clienti, fornitori, sub – fornitori, partner commerciali e finanziari, comunità locali, istituzioni, associazioni di categoria, ecc. - promuovendo: L’Etica degli Affari Il Rispetto dei Diritti Umani La valorizzazione delle Diversità La Promozione della Cooperazione Il Rispetto e la Difesa dell’Ambiente Il Rispetto degli Stakeholders Il Rispetto e la Tutela della Salute e della Sicurezza dei Lavoratori Il Rispetto dei Diritti dei Lavoratori e delle Pari Opportunità Il Rispetto e la Valorizzazione delle Capacità Professionali E volontà dell’azienda sviluppare un Sistema Gucci socialmente responsabile, vale a dire che tenga in considerazione le normative nazionali e contrattuali, nonché le norme internazionali sui diritti umani, nonché della norma SA 8000 . Chiediamo pertanto che i principi della responsabilità sociale siano rispettati da tutti i fornitori e sub- fornitori nazionali ed internazionali che fanno parte del Sistema Gucci. A tale scopo Gucci si impegna a diffondere la politica in materia di responsabilità sociale a tutti gli attori coinvolti e a promuovere e controllare la conformità del Sistema Gucci al rispetto dei principi e dei requisiti della norma SA 8000 .

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Loredana Tallarita Facoltà di Scienze Politiche Dipartimento “Gaetano Mosca” Università di Palermo Mail: [email protected] Il fenomeno moda tra locale e globale. Due possibili dimensioni a confronto: la produzione artigianale locale e la distribuzione globale del prêt-à-porter.

0. Ipotesi di Lavoro: Questa prima fase del lavoro vuole essere un tentativo di riflessione, di lettura e di approfondimento sul tema riguardante il rapporto tra la moda, intesa come il regno incontrastato dei marchi globali (e nello specifico del prêt-à-porter di lusso), del fast fashion, ed il sistema moda locale tradizionale (di tipo artigianale), che si innesta all’interno delle piccole e medie imprese dei distretti regionali. Attraverso l’utilizzo della letteratura esistente sul fenomeno oggetto di studio e mediante l’analisi dei processi di produzione artigianali (nella realtà regionale siciliana, con la riscoperta anche di manualità e di expertise di tipo tradizionale e la possibilità di lavoro e di promozione sociale per persone svantaggiate), l’obiettivo che si pone è quello di mettere a confronto queste due dimensioni del fenomeno moda: il marchio globale del prêt-à-porter e la dimensione di produzione locale e artigianale in una realtà circoscritta come quella siciliana. La verifica intorno alle piccole e medie imprese, che costituiscono i sistemi produzione locale della moda, di un circoscritto territorio regionale (come quello siciliano), in un mondo caratterizzato dalla concorrenza globale e da marchi internazionali, costituisce a mio avviso una buona base di partenza in questa fase della ricerca.

1. Sviluppo del fenomeno moda e rapporto con la città.

Negli ultimi 30 anni, le città hanno indiscutibilmente mostrato dei consistenti ed inediti processi di mutamento (riguardanti la sfera economica, quella politica e soprattutto quella sociale e culturale) probabilmente anche sotto la spinta dei numerosi fenomeni complessi, legati al processo di globalizzazione che è attualmente in atto, e che ha toccato tutti gli aspetti più importanti. Le città si mostrano oggi come punto di riferimento fondamentale dello sviluppo di nuovi linguaggi e di nuove realtà simboliche che sono oggetto del consumismo contemporaneo.

Nella società di oggi la città ricopre un ruolo importantissimo ed è attraversata continuamente da flussi di merci; beni di consumo durevoli, di persone, di capitali, di informazioni. I mutamenti, provocati dalla presenza e dal movimento di questi flussi, se da un lato hanno certamente rappresentato un’occasione di rinnovamento di alcuni degli aspetti sia strutturali delle città che culturali (Castells; 2003). E’ l’esame dettagliato delle attività, delle imprese, dei mercati e delle infrastrutture materiali coinvolti nel processo di globalizzazione e concentrati nei centri urbani consente di capire l’effettivo ruolo svolto dalle città nell’economia globale e nel settore della produzione.

Se negli anni ‘80 il settore produttivo, insieme agli altri settori dell’economia e delle telecomunicazioni, è stato introdotte su vasta scala nei quartieri centrali degli affari dei principali centri economici mondiali — New York, Los Angeles, Londra, Tokyo, Francoforte, San Paolo, Hong Kong e Sydney — e ha raggiunto una densità d’insediamento senza precedenti fino a quel momento. L’esplosione del numero di imprese che si sono insediate nel cuore e nelle cinture periferiche delle principali città durante quel decennio, contraddice la previsione formulata da quelle stesse teorie che preconizzavano la dispersione territoriale. La contraddizione è tanto più evidente se si considera l’elevato costo della localizzazione in aree urbane di una certa importanza.

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Esiste dunque un nuovo ruolo strategico delle principali città, un ruolo legato alla formazione di un autentico sistema economico globale, ma non ancora adeguatamente riconosciuto da studiosi e dai responsabili delle politiche economiche? E’ all’origine dell’insufficiente riconoscimento di questo nuovo ruolo strategico non potrebbe esservi un fraintendimento su quanto è effettivamente necessario per realizzare mercati e processi globali? (Sassen: 1997).

La città rappresenta un grande contenitore in cui la moda (come uno dei tanti settori produttivi del sistema economico) evolve ed esprime ed esibisce i propri linguaggi e i propri simboli. La città è il luogo ideale che funge da palcoscenico, uno spazio, dunque, in cui la moda ha la possibilità di esibire i propri linguaggi ed le invenzioni creative. La moda ha un rapporto viscerale con le grandi città e ha contribuito a dar forma alle città, a plasmarle in funzione dei suoi orientamenti e delle proprie necessità di evoluzione e di sviluppo. Tra la moda e la città esiste dunque un rapporto simbiotico in cui l’una è talvolta causa di sviluppo dell’altra.

Secondo Lipovetsky la moda nasce proprio all’interno della grande metropoli globale. La città di Parigi ad esempio rappresenta la capitale per eccellenza dell’alta moda. L’architettura di ogni grande realtà urbana e metropolitana ha seguito certamente lo sviluppo e gli orientamenti proposti dalla moda (una moda che va dal capo di abbigliamento, alle tendenze più innovative in architettura ad esempio e ancora in altri settori creativi come quello della scultura, oppure della costruzione di auto, e infine nei costumi culturali della società).

La moda, con lo sviluppo dei grandi magazzini, con le cosiddette gallerie monumentali (risalenti alla seconda metà dell’Ottocento) è riuscita ad inserirsi brillantemente all’interno dello spazio compatto della città ed è riuscita a coinvolgere anche le categorie sociali più modeste o i giovani diversificando la propria produzione. Gli spazi in cui la moda mette le radici si sono trasformati, con il passar del tempo, in spazi di consumo, fondamentali per la promozione dei prodotti e lo sviluppo del commercio. Questi spazi rappresentano allo stesso tempo quell’opportunità che ha la moda di poter ampliare i suoi linguaggi espressivi. Si aggiunge a quanto detto finora quell’aspetto funzionale che spiega il ruolo e il successo della moda dentro la grande città globale, dunque, la sua capacità di operare inoltre come barriera difensiva degli individui. La moda è una di quelle forme con cui gli individui abbandonano ciò che è esteriore, al dominio della collettività, vogliono salvare il massimo grado di libertà interiore (Simmel; 1976).

Per Simmel l’abbigliamento rappresentava una forma di tutela dell’interiorità dell’individuo. C’è anche da dire che le avanguardie giovanili, hanno avuto bisogno della città e dello spazio della città, per generarsi. La città rappresenta il palcoscenico ideale anche per lo sviluppo della moda giovanile. La moda secondo l’accezione simmeliana può essere considerata un fenomeno sociale imitativo di un modello dato o di più modelli esistenti in una società. Essa allo stesso tempo soddisfa il bisogno di differenza, dunque quella tendenza molto frequente in qualsiasi sistema sociale che è orientata verso una differenziazione e la distinzione.

La moda è da sempre ritenuta un sistema indicativo dello status sociale delle persone o dei gruppi sociali. Se partiamo dalla teoria di Veblen sul consumo vistoso, possiamo dire che la moda era considerata una prerogativa delle upper class dell’epoca in cui egli visse. Le persone appartenenti a determinate classi sociali (quelle elevate per intenderci) utilizzavano la moda, ma ciò accade anche oggi, come elemento, esteriore e simbolico, per evidenziare ed esaltare il proprio status sociale elevato nei riguardi degli altri status che caratterizzavano la società. E’ pur vero, tuttavia, che la moda agisce anche da fattore livellatore, nel senso che, anche quelle categorie sociali che in qualche modo sono riuscite ad arrivare ad avere una certa sicurezza economica e agiatezza sono in grado di vestire alla moda, di possedere oggetti in genere posseduti solo da alcune categorie sociali, e di scegliere auto di moda o quartieri residenziali in cui abitare che sono popolati dalle categorie più elevate.

Questa tendenza a distinguersi si verifica in quanto la moda è un fenomeno fortemente legato alla classe sociale, infatti la moda della classe più elevata si differenzia da quella seguita dalla classe inferiore e viene abbandonata proprio nel momento in cui la classe inferiore se ne appropria.

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Dunque il fenomeno moda è un fenomeno sociale in costante movimento e dinamismo che tende talvolta all’omologazione e talvolta alla distinzione tra le persone che ne fanno uso: […] La moda non è nient’altro che una particolare forma di vita tra le tante che ve ne sono, attraverso cui la tendenza all’eguaglianaza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione convergono in un fare unitario […] (Simmel; 1985: 31).

La moda è un prodotto della separazione tra le classi sociali, può essere dunque paragonata alla cornice di un quadro che caratterizza ed esalta un’opera d’arte come un’unità a se stante, slegandola da tutte le altre stabilendo un confine di chiusura con la cornice. Da un lato la moda rappresenta un collante e un sistema di coesione per le persone che appartengono alla stessa classe sociale; un’unità di una cerchia sociale che si caratterizza attraverso di essa, ma dall’altro lato rappresenta al contempo una chiusura di questo gruppo sociale nei riguardi di coloro i quali stanno più in basso e costituiscono cerchie sociali non appartenenti ad esso.

La moda unisce e allo stesso tempo divide e distingue: queste sono le funzioni fondamentali che la caratterizzano e che ad un certo punto possono essere considerate sovrapponibili. La moda può essere considerata come un semplice prodotto di necessità sociali, i vestiti ad esempio si adeguano alle necessità pratiche della vita quotidiana, ma nelle decisioni con cui la moda stabilisce che certi capi di abbigliamento (come ad esempio le gonne devono essere larghe o i pantaloni devono essere stretti o i capelli lunghi o corti con frangetta e le cravatte regimental e così via) non vi è alcuna traccia di utilità ma diventa esibizione, voglia di distinguersi o di farsi notare, sinonimo di status e di appartenenze sociali. A volte vanno di moda delle cose davvero brutte, non indossabili, ed è proprio la casualità con cui essa impone l’utile, dunque, ciò che è indifferente da un punto di vista pratico ed estetico, mette in evidenza la sua completa noncuranza verso le norme oggettive della vita rimandando ad altre motivazioni: quelle tipicamente sociali, dato che sono le uniche a rimanere. L’astrattezza della moda si basa esclusivamente sulla sua essenza più profonda ed in quanto estraneità del reale conferisce al moderno un chachet estetico persino in quei settori extra estetici sviluppandosi anche nei fenomeni storici. Storicamente la moda è nata da un capriccio o da esigenze di singole personalità che nella storia erano di spicco: […] Le calzatuture medioevali con la punta all’insù nacquero dal desiderio di un nobile signore che voleva trovare una scarpa adeguata all’escrescenza del suo piede; il guardinfante ebbe origine dal desiderio di occultare la gravidanza di una di quelle donne che danno il tono alle società e così via […] (Simmel; 1985: 32).

La moda non è altro che una forma sociale ed in quanto tale sta molto attenta ai contenuti che veicola. Se le forme sociali con cui l’uomo si esprime (vestiti, scarpe, auto, giudizi estetici e quant’altro) dunque tutti quegli stili ed elementi mediante cui l’uomo rappresenta ed esprime se stesso socialmente vengono continuamente trasformati dalla moda allora essi (dunque la nuova moda) sono prerogativa delle classi superiori. Appena le classi sociali inferiori iniziano ad appropriarsi di quelle trasformazioni, superando dunque, quel confine ben collocato onde evitare sconfinamenti che potrebbero infrangere l’unità simbolica della loro matrice comune, le classi sociali elevate ripiegano da questa moda verso un’altra e con essa si differenziano nuovamente ed ulteriormente dalla moda veicolata dalle masse. E’ un circolo continuo. Le classi sociali più basse guardano quelle di status più elevato e tendono ad emularle attraverso l’imitazione esteriore: […] L’intervento dell’economia monetaria deve accelerare e rendere visibile questo processo perché tutti gli oggetti della moda in quanto oggetti esteriori sono dunque accessibili al puro possesso del denaro, e rappresentano un mezzo per raggiungere più facilmente l’uguaglianza con lo strato superiore (Simmel; )

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La moda è dunque un prodotto di separazione tra le classi sociali, la cui duplice caratteristica è

quella di chiudere in sé una cerchia separandola da tutte le altre cerchie sociali che caratterizzano la società. Il prêt-à-porter con le sue boutique e i suoi negozi di abbigliamento (che hanno contribuito a rivitalizzare quello spazio urbano che era andato in crisi) si sono sviluppate a partire dalle grandi città. E’ sin dagli anni 70 che il rapporto tra la moda e la città si configura come un rapporto consolidato e vitale così come non accadeva sin dall’epoca della Parigi ottocentesca. La moda nella società contemporanea invade la città e utilizza la città per esprimere tutte le sue forme e contribuisce a generare mutamenti (e nonostante sia stata definita come l’impero dell’effimero e del voluttuario) utilizzando le parole di Lipovetky, è pur sempre un potente agente di mutamento. La moda propone sempre inediti modelli culturali, che vengono condivisi e che contraddistinguono e caratterizzano le città. La moda è anche un potente agende di cambiamento dello stile di vita degli individui poiché è in grado di cambiare il volto delle città e la personalità e soprattutto lo stile di vita di chi la condivide.

La città si spettacolarizza attraverso la moda e ai modelli culturali da essa proposti. Attorno al concetto moda, ruotano infatti, tantissimi linguaggi: il linguaggio della cultura, della visione, della pubblicità, della comunicazione. La moda si è dunque diffusa nella società e nella città attraverso i suoi linguaggi e attraverso le sua vetrine (dalle boutique alle sfilate alle opere architettoniche e artistiche). Se in passato la moda poteva essere considerata come un potente fattore di organizzazione dello spazio della città, oggi invece il ruolo del sistema della moda nella città globale sta cambiando, trasformandosi da un sistema organizzativo ad uno di promozione, di offerta e di consumo: […] La città non disegna più un ordine sociale societale e locale che si materializza attraverso una organizzazione dello spazio con i suoi viali le sue piazze pubbliche e i suoi monumenti. Essa costituisce un sistema di offerte di attività professionali e di impiego…. (…) di servizi e di prodotti di relazioni di senso di comportamenti possibili e più specificatamente di ambienti di racconti di avvenimenti e di strutture di mobilità sociale. La moda è un potentissimo strumento di mobilità sociale. E’ il gioco di queste offerte tra loro e la loro capacità di strutturare domande l’interazione tra le domande che organizzano l’esperienza metropolitana e la stessa città (Bourdin, 2005).

Questo porta la città talvolta a non riuscire più a organizzarsi o a dilatarsi, ad inseguire la domanda a ridurre progressivamente i propri confini. E’ una città che ingloba anche una dimensione dei flussi, delle reti e della comunicazione. Ne deriva che essa si presenta come un sistema territoriale e locale e nodo di reti globali. Si nutre e vive in due contenitori diversi e per certi aspetti contraddittori quello fisico-territoriale della vita e delle interazioni di prossimità e quella sovralocale, virtuale o topologica dei flussi e delle reti (Fiorani; 2005).

Questi flussi diventano più attrattivi rispetto al centro delle città. Esistono delle grandi metropoli, che sono tuttavia in grado di invertire questa tendenza, di catturarne i flussi, di diventare attraenti, ma si tratta di eccezioni. Si tratta di città che sono in grado di rigenerare se stesse, di trasformarsi in vetrine che attraggono consumatori e turisti (si pensi a New York o a Londra). La città dunque insegue la sua domanda, una domanda fatta di consumo, di nuove necessità e tendenze e di uso di moda. L’evoluzione e lo sviluppo della città in tale direzione, e dunque, anche della moda, non fa altro che indebolire talvolta la sua identità storica nel tempo.

La moda dunque segue questi spostamenti verso le cinture periferiche delle città, e dalla creazione di questi nuovi e immensi spazi dunque nascono gli outlet, i centri specializzati per l’abbigliamento, gli spazi visibili che tentano di rispondere all’invivibilità del centro storico cittadino. Un’ulteriore strategia di risposta della moda è quella di creare degli spazi potenti all’interno della città globale. Gli esempi sono davvero tanti (il palazzo di Armani a Milano, o il negozio Prada a New York, e ancora il Louis Vuitton di Parigi e di esempi c’è ne sono ancora tantissimi. Essi costituiscono i tentativi della moda di creare degli spazi che siano in grado di catturare l’attenzione

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dei potenziali consumatori di moda, all’interno di un contesto come lo spazio urbano, che tende talvolta a perdere di senso e di forza. La moda dunque si insinua negli spazi della città, in quei contenitori di persone che si spostano in direzione del soddisfacimento di nuove tipologie di consumi.

La moda crea eventi, entra in settori come ad esempio quello dell’arte (in cui non risultava presente in passato). Lo è stata soltanto ai tempi delle avanguardie storiche ed oggi vi rientra massicciamente per creare nuovi legami. Si pensi ad esempio alla catena di Max-Mara che commissiona opere d’arte per la città di Reggio Emilia, ma insieme a questa ci sono tante altre iniziative, che evidenziano chiaramente un processo di intervento da parte della moda sul senso della città. In questo modo il marchio di moda si pubblicizza e oltrepassa i confini urbani. Tutto ciò si sta attualmente verificando anche nelle nuove realtà metropolitane dell’Oriente. Di recente infatti il primato del più grande centro commerciale è passato dagli Stati Uniti alla Cina, che sembra essere sulla strada giusta per creare (nei prossimi cinque anni) sette dei dieci centri commerciali più grandi al mondo. In tal senso le grandi metropoli orientali si stanno sviluppando ispirandosi al modello delle grandi metropoli occidentali, creando enormi grattacieli e utilizzando anche dei modelli architettonici ed urbanistici, che caratterizzano le più sviluppate metropoli del primo mondo.

Riferimenti bibliografici

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1

ESPERIENZADIVIAGGIOININDIA

TAMILNADU

NOVEMBRE2008

1.LAREALTA’LOCALE

•  Stato del Tamil Nadu,capitale Chennai(Madras);

•  Tirupur: la capitaleindianadeltessile;

•  Principali mercati didestinazione;

•  Brandscoinvolti.

2.1LAFILIERAPRODUTTIVA

•  Basic:40%delmercatoglobale;

•  Semi‐fashion:40%,laproduzionediTirupursiconcentrainquestafasciadimercato;

•  Fashion:20%delmercatoglobale.

2.2IMACRO‐ATTORI

•  Buyersoccidentali;

•  Exporterslocali;

•  Subcontractors.

3.LEFASIDELLAPRODUZIONE 3.1KNITTINGUNIT

•  Nonlabourintensive;

•  Trasformazionedelcotonegrezzo;

•  Assenzadilavorofemminileeminorile;

•  Assenzadiprotezioniidonee.

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2

3.2DYEINGUNIT

•  Sbiancaturaecolorazione;

•  Utilizzodiprodottichimicialtamenteinquinanti,senzaprotezioniidonee;

•  Elevatissimoimpattoambientale;

•  ChildLabour.

3.3PRINTINGUNIT

•  Stampasutessutodeimotivitramite

presse;

•  Violazionedellebasilarinorme

igienico‐sanitarie;

•  Sfruttamentodellavorominorile.

3.4EMBRODERYUNIT

•  Ricamaturasutessutotramitemacchinari;

•  Nonlabourintensive;

•  Assenzadiparticolariviolazioni

deidirittideilavoratorieambientali.

4.ILCASO“CENTURY”

•  Tuteladeidirittiumani;

•  PolitichediRSI;

•  CertificazioneSA8000;

•  SecurityGadgets.

5.SAVE

•  ONGpartnerlocalediManiTese;

•  ConsulentelocalesullaRSI;

•  Attivitàdisostegnoallacomunitàlocale.

5.1CHILDRIGHTSCELL

•  BridgeCourseCentres;

•  ResidentialSchools;

•  Creches;

•  ShelterHome;

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3

5.2WOMENDEVELOPMENTCELL

•  I“SelfHelpGroups”