davar 1 - solitudini (2003)
DESCRIPTION
Primo numero monografico di Scritture, la collana di filosofia estetica e spiritualità moderna ideata e diretta da Anna Giannatiempo Quinzio. Un numero dedicato a quei pensatori e artisti che dalla propria solitudine hanno tratto materia di riflessione e pensiero, di creazione artistica, per fare di un doloroso vissuto poesia, preghiera, musica, pittura...scrittura.TRANSCRIPT
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Indice
Presentazione Anna Giannatiempo Quinzio
La solitudine dell’angeloErri De Luca
«Alle mie solitudini vado» di Lope de Vega A cura di Justino López y García-Plaza
Leopardi: la solitudine immensa e dolce Mariangela Gisotti
Il mare assoluto della solitudineUn percorso kierkegaardiano Massimo Iiritano
Nietzsche e il pathos della scrittura Rogério Miranda de Almeida
Desolazione della paideiaGiuseppe Garrera
«L’artista in prigione » di Albert Camus
A cura di Lorenzo ChiuchiùDianoia, ovvero il dialogo che l’anima conduce con se stessaSu Il dialogo della salute di Carlo Michelstaedter David Micheletti
“Essere nel golus”: la testimonianza di Franz Rosenzweig Roberto Bertoldi
«Sono solo» di Léon Bloy A cura di Giancarlo Marinelli
Musica della soffocazioneAnacoresi animale e circense in KafkaGianni Garrera
L’eterna pecca del diamanteUna lettura di Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal Lorenzo Chiuchiù
La madre, il figlioUna lettura di La cognizione del dolore di Carlo Emilio GaddaNicola Baldoni
Artaud tra follia e ribellioneEliogabalo o l’anarchico incoronato Ilaria Strinati
Inferno. Solitudine e protesta in August Strindberg Massimo Santamicone
Emily Dickinson: il custode di un’assenzaPaola Bianchini
Il peso insopportabile. Arthur RimbaudFrancesca Brencio
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A N N U A R I O
D A V A R 2 0 0 3
Davar nasce da un’affinità, cresciuta negli anni, fra una insegnante e un gruppo di giovani
laureati. La consapevolezza della difficoltà di un cammino comune consente tuttavia il
rispetto della specificità di ciascuno.
Il termine ebraico davar può significare contemporaneamente “parola” e “cosa”, e a ques-ta inscindibile appartenenza vuole ispirarsi la rivista. La “parola” dovrà dare ragione di uncontenuto, la “forma” di un’aderenza alla realtà. Si privilegerà soprattutto, sulle orme diautori moderni e contemporanei, l’esperienza esistenziale dell’uomo di oggi così che il let-tore possa non sentirsi estraneo, ma coinvolto egli stesso nei temi che di volta in volta ver-ranno scelti, e in essi ritrovare e ripensare quelle domande radicali che spesso è difficile far-si e quelle attese che è sempre più assurdo sperare.
I percorsi dei filosofi si incroceranno con quelli di poeti, di scrittori, di artisti, perché laverità trascende ogni appartenenza e tutto può svelarne un barlume, indicarne una traccia.
Il tema prescelto per questo primo numero è “Solitudini”.C’è una solitudine di fuori e una solitudine di dentro. C’è una solitudine della vita e una
solitudine della morte. C’è una solitudine di chi crede e patisce la lontananza e il silenziodel suo Dio e una solitudine di chi non crede, perché «nessuno è così solo» scrive Jean Paul«come colui che nega Dio». C’è una solitudine di Dio che, narra un midrash, nella solitudinedelle «dimore interne» prega e piange lacrime dolorose sul mistero intimo dei suoi falli-menti. C’è una solitudine benefica che diventa ricchezza e, secondo gli antichi, «incremen-to dell’io in se stesso»; infatti, ogni pensiero profondo, così come ogni vera opera d’arte,nasce da un’indicibile solitudine. E c’è una solitudine desolata che diventa un abisso, unatenebra reale, che si erge come un muro impenetrabile, dissolve ogni rapporto, spinge allasoglia della disperazione e del nulla: la solitudine di Ivan Ilijc, di cui parla Tolstoj.
È soprattutto quest’ultima solitudine che “Solitudini” tenterà di esplorare, proprio
perché nel molteplice ramificarsi delle sue forme è la più vicina al vissuto della nostra sof-ferta esperienza quotidiana.
Il secondo numero sarà dedicato ai fragili e illusori “Paradisi” inventati dalla modernità,una forma di apocalisse laica, «un’apocalisse senza apocalisse» come afferma Derrida, cheha preso il posto di quel paradiso rivelato in cui l’uomo per secoli ha avuto fede. Un paradisoche da paese della speranza è diventato paese del rimpianto e della nostalgia. Un rimpiantoe una nostalgia che si nutrono del vuoto e dell’assenza e che rimandano a quel pensieroabissale dell’impotenza reciproca di Dio e dell’uomo. Ma nonostante questa presa di co-scienza l’uomo moderno ha continuato a sognare l’esistenza di una felicità definitiva o an-che solo, come dice Kafka, a «invocarne il sogno».
Anna Giannatiempo Quinzio
Presentazione
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A N N U A R I O
D A V A R 2 0 0 3La solitudine dell’angelo
Erri De Luca
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Chiuso dentro una sagoma d’uomo s’avviò all’incontro. Vide Agar l’egiziana al-l’oasi, espulsa dalle tende di Abramo, incinta di lui. Piangeva di collera, umiliata da Sa-ra. Lui era vuoto, un’anfora di fiato ricoperta dal provvisorio imballaggio di uno sche-letro. Non è così per tutti? Non è così per lui che abita il nostro formato d’ossa e un-
ghie, che indossa il nostro calcare per recapitare un telegramma. Lui l’angelo è il piùsolo tra gli esseri della scrittura sacra. Appare e subito decade, la sua durata è brace.Non sa che farsene dei sensi, non sa indossare un corpo. È burattino agitato dall’alto.Non è così per tutti? Non è così per lui che è puro vuoto, meno di un gas di Ramsay,il sole l’attraversa senza lasciare spettro.
«Tu sei El che mi vede», questo gli dice Agar. «Tu sei porzione di Elohìm perché seilì a guardarmi. Senza di me non avresti corpo, tu sei colui che sta vedendo me, questaè la tua porzione, per la quale avrai ricordo in un rotolo di pergamena.»
Agar non voleva offenderlo, anzi onorarlo con il suo stupore. Era però straniera,
parlava l’ebraico appreso al servizio di Abramo, una lingua adatta al governo del be-stiame e ad obbedire a Dio. La comparsa dell’angelo davanti alla sua pena le abbreviòl’ebraico, la spinse in una formula. Agar voleva dire: Possibile che tu El stia qui a ve-dere me? Le uscì invece il dispositivo di una sentenza: «Tu sei El che mi vede, esisti perapparirmi innanzi, perché mi scruti e non riesci a distoglierti. Succede di frainten-dersi col cielo». Agar gli ricordò che lui era in affitto, un vecchio frac noleggiato peruna cerimonia.
All’angelo il corpo diventò pesante, gli passò un freddo di malaria nel mezzogior-no ardente dell’oasi. È questo essere un uomo? Stare nel campo di occhi di una don-na, impigliarsi nella sua voce? Il corpo gli si strinse intorno, e l’angelo dimenticò l’u-scita. Piantato al suolo, privo di ritorno, se ne andò al deserto assaggiando per la pri-ma volta la frusta della polvere negli occhi, la perfezione di appoggio del piede sullapietra.
Marzo 2002
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