dante e i templari

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Stampa E-mail Dante conosceva bene la tragedia dei Templari e dovette risentire molto di quella catastrofe. Sapeva benissimo che quel mascalzone di Filippo il Bello agiva contro i Templari in modo prepotente e del tutto illecito. Nella condanna pronunciata dal suo avo Ugo Capeto (Purgatorio XX, 91-3) si parla di Filippo come il nuovo Pilato che è tanto crudele… e qui Ugo Capeto maledice i suoi discendenti, tra cui Filippo il Bello, sia per l’oltraggio di Anagni sia per la distruzione del Tempio. In Purgatorio VII.110, la vita di quel monarca, tristemente bigotto e dalle ambizioni sfrenate, è descritta come viziata e lorda. Non solo, ma Dante lo detestava apertamente. Per lui, Filippo era il mal di Francia (Purg. VII, 109). Questa chiara e netta opposizione del Sommo Poeta nei confronti di quel sovrano basterebbe a dimostrare la simpatia di Dante per l’Ordine del Tempio, simpatia condivisa dal cronista Giovanni Villani e in seguito espressa anche dal Boccaccio (1313-1375), il padre del quale, Boccaccio di Chelino, fu presente al martirio di Jacques de Molay nel 1314, a motivo forse della sua professione, la mercatura. Innegabile è il collegamento tra la Sapientia dei Fedeli d’Amore e l’immagine del Tempio di Salomone, e ciò porta alla supposizione di un certo rapporto tra i Fedeli d’Amore e i Templari, considerando i primi come una Confraternita laica dell’Ordine del Tempio, legata ai Templari al punto da apparire sotto molti aspetti come una loro diretta emanazione. La simpatia di Dante per i Templari e per il loro destino è ben nota. Si ricordi il modo in cui Dante nella sua immaginazione, vede Clemente V (Gaston Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, successore di Benedetto XI deceduto nel luglio 1304) che soffre una delle più atroci torture praticate ai Templari, e Beatrice –rappresentante la gnosi templare della Chiesa spirituale o la Sapienza- che pronuncia la profezia del DXV, intesa come la ricostruzione del Tempio proprio agli antipodi di Gerusalemme: una profezia che pare terribilmente attuale, e non può non suscitare un certo sgomento. Ci fu forse una fusione tra Catari, Templari e partito imperiale ghibellino? Probabilmente sì. E questa fusione potrebbe trovare la sua spiegazione proprio nell’esistenza dei Fedeli d’Amore. Come scrive John Ruskin (inglese, critico d’arte, 1819-1900), in Mattinate Fiorentine, Dante è “l’uomo centrale di tutto il mondo;” e per gli iniziati è “Il Maestro di coloro che sanno.” Probabilmente, Dante sarebbe stato un iniziato della Chiesa Albigese, un Cataro, ossia un puro, un Fedele d’Amore, anche se la Chiesa di Roma non lo abbia mai ammesso. E qui ha ragione Luigi Valli quando nel suo libro Il linguaggio segreto afferma che Private Space Pagina 1 di 8 DANTE ALGHIERI E I TEMPLARI 22/04/2015 http://www.associationjanus.com/index.php?option=com_k2&view=item&id=63:dant...

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Dante conosceva bene la tragedia dei Templari e dovette risentire molto di quella catastrofe. Sapeva benissimo che quel mascalzone di Filippo il Bello agiva contro i Templari in modo prepotente e del tutto illecito. Nella condanna pronunciata dal suo avo Ugo Capeto (Purgatorio XX, 91-3) si parla di Filippo come il nuovo Pilato che è tanto crudele… e qui Ugo Capeto maledice i suoi discendenti, tra cui Filippo il Bello, sia per l’oltraggio di Anagni sia per la distruzione del Tempio. In Purgatorio VII. 110, la vita di quel monarca, tristemente bigotto e dalle ambizioni sfrenate, è descritta come viziata e lorda. Non solo, ma Dante lo detestava apertamente. Per lui, Filippo era il mal di Francia (Purg. VII, 109).Questa chiara e netta opposizione del Sommo Poeta nei confronti di quel sovrano basterebbe a dimostrare la simpatia di Dante per l’Ordine del Tempio, simpatia condivisa dal cronista Giovanni Villani e in seguito espressa anche dal Boccaccio (1313-1375), il padre del quale, Boccaccio di Chelino, fu presente al martirio di Jacques de Molay nel 1314, a motivo forse della sua professione, la mercatura. Innegabile è il collegamento tra la Sapientia dei Fedeli d’Amore e l’immagine del Tempio di Salomone, e ciò porta alla supposizione di un certo rapporto tra i Fedeli d’Amore e i Templari, considerando i primi come una Confraternita laica dell’Ordine del Tempio, legata ai Templari al punto da apparire sotto molti aspetti come una loro diretta emanazione. La simpatia di Dante per i Templari e per il loro destino è ben nota. Si ricordi il modo in cui Dante nella sua immaginazione, vede Clemente V (Gaston Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, successore di Benedetto XI deceduto nel luglio 1304) che soffre una delle più atroci torture praticate ai Templari, e Beatrice –rappresentante la gnosi templare della Chiesa spirituale o la Sapienza- che pronuncia la profezia del DXV, intesa come la ricostruzione del Tempio proprio agli antipodi di Gerusalemme: una profezia che pare terribilmente attuale, e non può non suscitare un certo sgomento. Ci fu forse una fusione tra Catari, Templari e partito imperiale ghibellino? Probabilmente sì. E questa fusione potrebbe trovare la sua spiegazione proprio nell’esistenza dei Fedeli d’Amore.Come scrive John Ruskin (inglese, critico d’arte, 1819-1900), in Mattinate Fiorentine, Dante è “l’uomo centrale di tutto il mondo;” e per gli iniziati è “Il Maestro di coloro che sanno.”Probabilmente, Dante sarebbe stato un iniziato della Chiesa Albigese, un Cataro, ossia un puro, un Fedele d’Amore, anche se la Chiesa di Roma non lo abbia mai ammesso. E qui ha ragione Luigi Valli quando nel suo libro Il linguaggio segreto afferma che

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“La questione dei Fedeli d’Amore non s’inquadra nel suo spirito fra le cortesie feudali e i canti di Calendimaggio. Si deve inquadrare fra la strage degli Albigesi e quella dei Templari.”Non per niente chi gli appare e chi lo guida nella sua Commedia è Bernardo di Chiaravalle, colui che stabilì la regola dell’Ordine del Tempio, e lo esorta a non guardare in basso. E San Bernardo (1090-1153), che la storia riconosce come l’uomo più colto del mondo di allora, è proprio quello che fa della donna la “Rosa mistica” per la quale si batte il Cavaliere Templare, segno che si ritrova anche nell’antica abbazia cistercense di Casamari.Come tutti sapete la regola dei Templari fu predisposta da Bernardo di Chiaravalle con il De laude novae militiae ad milites templi, ma pare sia stata ispirata addirittura da Agostino, vescovo di Ippona.L’ordine del Tempio venne fondato nel 1118 (altri, invece, parlano del 1119), ottenendo subito la guida e la benedizione di Bernardo di Chiaravalle. Pare, anche se molto discutibile, che l’Ordine sorse per fare la guardia ai luoghi sacri di Gerusalemme, per proteggere le strade percorse dai pellegrini e per combattere gli infedeli, compito che sarebbe stato assolto egregiamente sino alla caduta definitiva di Gerusalemme. Per assolvere quei compiti vissero e operarono tanti anni a stretto contatto con la civiltà islamica, così che quei Cavalieri e i loro avversari musulmani si meritarono il rispetto e la stima l’uno dell’altro. E’ molto probabile, quindi, che, proprio grazie alla continua vicinanza con il rivale mondo musulmano, le idee e le pratiche sufi si siano infiltrate tra i membri dell’Ordine e quindi tra i laici della confraternita dell’Ordine, nota sotto il nome di Fede Santa. Sappiamo che Dante aveva, infatti, una grande conoscenza delle tradizioni e delle dottrine islamiche.E dato che stiamo parlando di San Bernardo –il grande dottore della Chiesa, quello che non volle mai accettare la dottrina dell’Immacolata concezione, e che predicò apertamente contro il culto delle immagini, dovete sapere che fu proprio lui a coniare la dottrina delle due spade: quella temporale e quella spirituale. Con Bernardo di Chiaravalle entriamo anche in un grande mistero, quello del numero nove con casualità che non possono essere ignorate, come ad esempio:Fu nell’anno 1118 che Ugo da Pagani e Godefroy de Saint-Omer, assieme ad altri sette compagni, si misero assieme nella zona di Athlit per proteggere –così dicono- i pellegrini che si recavano al Santo Sepolcro. Si trattava di nove uomini. All’inizio furono chiamati i Poveri Cavalieri del Tempio, in quanto acquartierati in una struttura sovrastante l’antico Tempio di Salomone. Si ricordi sempre che i Templari sorsero in numero di nove, e non erano dei Crociati, ma dei valorosi Cavalieri alla ricerca del Graal. Qualcuno ha messo in discussione –ma senza prove certe- che il numero effettivo dei cavalieri che fondarono l’Ordine sia stato di nove uomini: i due principali cronisti dell’epoca, Guglielmo di Tiro e Giacomo di Vitry, riferiscono che nove erano quei cavalieri, mentre Michele il Siriano (morto nel 1199) indica in trenta il loro numero. Vi è, però, l’ipotesi che il numero nove fosse puramente simbolico, in quanto indicante il massimo della perfezione (tre volte tre). Se così fosse, e accettando questa interpretazione simbolica, si avrebbe il pregio di poter comprendere nel numero anche

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gli occulti personaggi rimasti in Francia come il Conte Ugo di Champagne, Bernardo di Chiaravalle e lo stesso papa, portandolo così a dodici, numero degli apostoli. Inoltre, si tenga presente quanto segue:1° - Dal 1118 al 1227, ossia per nove anni, i Poveri Cavalieri del Tempio non superarono le nove unità.2° - Durante quei nove anni, i nove fondatori dell’Ordine del Tempio combatterono sempre in proporzione di uno contro tre.3° - Le parole fondamentali del gergo dei Fedeli d’Amore sono nove, che è il numero destinato a indicare solamente le cose di suprema importanza, come il concetto di Beatrice. Va ricordato, inoltre, che l’Ordine aveva nove province. Si noti, infine, che la Regola dei Templari, redatta da Bernardo di Chiaravalle, si componeva di 72 articoli. Altra considerazione interessante è la teurgia templare, per la quale all’ora del Vespro i cavalieri templari dovevano recitare nove Pater Noster.Questi interessanti particolari, che non sono semplici casualità, evidenziano chiaramente la conoscenza del mistero trinitario da parte dei Templari, i quali, tra l’altro, veneravano la Pentecoste e la festa dello Spirito Santo, il che spiega la loro indifferenza per il Natale e la Pasqua, in quanto –secondo una concezione che deriva dallo gnosticismo- il Regno dello Spirito Santo doveva, e deve succedere, a quello del Padre e a quello del Figlio.Da tutto ciò si può notare anche il legame tra l’Ordine del Tempio, i Pitagorici e l’analisi kabbalistica del numero nove, che simboleggia il grande mistero della divinità, la verità assoluta, la vera perfezione.L’Ordine fu distrutto durante il magistero del 22° Gran Maestro Jacques de Molay, ed era l’anno 1314 (numeri che sommati danno nove); inoltre il 22 sul piano kabbalistico significa la conclusione degli sforzi. Potremmo quindi pensare che l’Ordine del Tempio avesse allora assolto il compito attribuitogli dall’Eterno nella storia dell’umanità, ma non è così!Il problema o la questione dell’eventuale affiliazione di Dante all’Ordine del Tempio è di difficile soluzione, proprio per la mancanza di testimonianze attendibili, pur essendo molti gli elementi che concorrono a una risposta affermativa.C’è, comunque, qualcosa di indiscutibile, ed è che tutta la visione politica di Dante è proprio una visione templare; una visione di folli cavalieri alla ricerca del Santo Graal, ossia alla ricerca della conoscenza, e che tutto il pensiero di Dante è celato sotto il velame dei suoi versi, aspetto tipico del vero iniziato. Si legga, infatti, Inferno IX, 61-63: “O voi che avete gli intelletti sani,- Mirate la dottrina che s’asconde – Sotto il velame delli versi strani.”Queste sono parole che rivelano in modo incontrovertibile che nell’opera di Dante v’è un senso nascosto, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un velo; un senso che deve essere ricercato da coloro i quali sono capaci di penetrare quel velo. Altrove, lo stesso Dante dichiara che tutte le Scritture, non solo quelle sacre, “si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi” (Convito, t. II, cap. 1°). Ne conosciamo solo tre, e il quarto? E’ sicuramente il senso iniziatico, metafisico,

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esoterico che è l’aspetto caratteristico del Fedele d’Amore, senza il quale anche gli altri tre non possono essere compresi chiaramente. Tra l’altro, ci sono molti passaggi allegorici, piuttosto oscuri, che trovano una loro coerente spiegazione solo se si rapportano alla crisi dell’Ordine del Tempio. Il fatto che certe profezie di Dante siano velate, nascoste, celate fra oscure immagini, quando Dante si sentiva libero di denunciare la corruzione della Chiesa stessa in termini molto aperti e assoluti, si può spiegare solo con la soppressione definitiva dell’Ordine nel maggio 1312, dopodiché qualsiasi tentativo di difenderlo sarebbe stato interpretato come eresia vera e propria. Va detto, inoltre, che ciò che i Fedeli d’Amore impararono dai Templari e ciò che l’Ordine non poteva più salvaguardare come istituzione, potevano essere mantenuti nel tempo a venire sia nei simboli della poesia sia nelle righe di certi versi. E così è stato.E’ facile capire, quindi, il motivo per cui Dante abbia dovuto nascondere molto del suo interessamento o coinvolgimento e della sua simpatia per l’Ordine del Tempio, sotto simboli e paragoni allegorici. Il motivo è proprio nella fragilità della sua posizione quale esiliato politico, nella sua ben nota opposizione al papato e alla politica francese, e nella sua libertà di pensiero, che lo rendevano tutte alquanto vulnerabile alle accuse di eresia. Oggi restano i simboli di quel linguaggio, tesi a occultare certi ideali piuttosto pericolosi per quei tempi; simboli che hanno un immenso valore positivo e che restano memorabili e misteriosi, operando nella mente dell’uomo al fine di preservare i valori spirituali e gli ideali di civiltà.Altro punto interessante, anche se può parere un po’ strano, è che nei pochi ritratti del poeta, oggi esistenti, Dante è raffigurato sempre vestito di bianco e di rosso, che erano proprio i colori del Tempio. In questo caso la simbologia cromatica rispecchierebbe l’appartenenza all’Ordine del Tempio. Come spiegare le affinità dei Fedeli d’Amore con l’Ordine del Tempio e con la Fede Santa, e come nasce il collegamento fra di loro?Molto probabilmente si manifestarono interessi spirituali e politici reciproci, interessi che potrebbero aver provocato un’alleanza tra i Fedeli d’Amore e i Cavalieri del Tempio. E da una simile alleanza i Fedeli d’Amore potrebbero aver ricevuto un nuovo corredo di simboli e di informazioni sul Tempio come immagine della dimora della Sapientia.Considerando il fatto che i Templari avevano una dottrina mistica fondata sulle dottrine di San Bernardo, riguardante l’immagine e la somiglianza di Dio, forse essi avevano scoperto un terreno comune interessante proprio il simbolismo del volto.Specie dopo la caduta di Acri (anno 1291), i Templari avrebbero avuto bisogno di stringere nuove alleanze nell’Europa occidentale, specie a Firenze, sede dei loro affari bancari, ma anche della mercatura e dell’usura; poteva quindi risultare molto vantaggioso e ideale per loro stringere dei legami con un gruppo di giovani di buona famiglia, ricchi d’ingegno e indirizzati alle grandi carriere politiche.Anche il Valli richiama l’attenzione su una eventuale connessione dei Fedeli d’Amore con l’Ordine del Tempio, una teoria sviluppata in pieno da Robert John e da René Guénon. Il primo, un noto studioso inglese, sostiene che sia il Veltro sia il DXV

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sarebbero, sul piano allegorico, i redentori attesi in futuro: il primo, il Veltro, rappresenterebbe il Liberatore spirituale, ossia un vero papa spirituale, e l’altro - il DXV- il Liberatore temporale, ossia l’Imperatore che ricostruirà il Tempio. E quando il Veltro e il DXV s’incontreranno a Roma, l’umanità subirà una profonda trasformazione attraverso l’unione della Croce e dell’Aquila.Robert John spiega quei numeri misteriosi riferendosi al libro apocrifo di Esdra, in cui la data di ultimazione della ricostruzione del Tempio da parte di Zerubabel, dopo la cattività babilonese, sarebbe la primavera del 515 a.C. Pare che Dante abbia trovato questa data nelle cronache di Eusebio, che è la fonte più importante per la cronologia del mondo antico. Ricordo qui che Zerubabel era uno dei tre giovani che facevano la guardia a Dario, re dei Medi e dei Persiani, e che per ottenere i favori di Dario i tre giovani gareggiarono a chi dei tre meglio rispondesse alla domanda su quale fosse la cosa più forte del mondo. Il primo disse il vino, il secondo il Re, ma Zerubabel trionfò rispondendo che sono le donne le cose più forti del mondo, ed è soprattutto la verità che vince. Dario lo ricompensò assicurandogli che avrebbe esaudito qualsiasi sua richiesta, e allora Zerubabel ricordò a Dario il voto che egli aveva fatto di ricostruire il Tempio di Gerusalemme; pertanto il DXV potrebbe essere il costruttore del terzo Tempio, per il quale egli avrebbe dovuto guidare una brillante Crociata, un desiderio che Dante esprime varie volte nei Canti dell’Inferno e del Paradiso. La connessione di Zerubabel con le speranze messianiche e con i futuri redentori non finisce qui perché la profezia più popolare e più comunemente accettata tra i Giudei del Medioevo sulla fine del mondo, era proprio il libro apocrifo di Zerubabel scritto nel 7° secolo, secondo il quale Zerubabel era rimasto vivo e in segreto a Roma, la vera sede del nemico, e un giorno sarebbe riapparso per combattere l’oppressore chiamato Armilo, che unisce le funzioni di Papa e di Cesare, e che è figlio di Satana. Dopo la vittoria Zerubabel avrebbe ricostruito il Tempio.Molto probabilmente Dante avrebbe conosciuto quest’opera attraverso le sue conoscenze e i suoi contatti giudaici. La fonte più probabile sarebbe stata un certo Immanuel ben Zifroni, colui che introdusse i temi del Dolce Stil Novo nella poesia ebraica e scrisse una imitazione della Commedia in ebraico. Si è discusso tanto sul fatto se Dante avesse conosciuto direttamente Immanuel ben Zifroni; non lo sappiamo, ma pare comunque che i due avessero un amico in comune nel poeta Bosone da Gubbio. Inoltre, Cino da Pistoia era un ammiratore di Immanuel che, agli amici italiani, era noto come Manoello Giudeo.Reneé Guénon, scrittore francese e uno dei massimi studiosi di esoterismo sosteneva, invece, che Dante apparteneva all’Ordine terziario dei Templari, noto sotto il nome di Fede Santa: un potente ordine aristocratico che ebbe sede a Firenze fino alla sua soppressione e condanna per accusa di eresia nel 1307-12. La sua regola consentiva l’affiliazione dei laici nell’Ordine.A sostegno della tesi di Dante templare c’è anche il suo misterioso viaggio a Parigi, di cui egli mai parlò apertamente e nessuno seppe mai cosa fosse andato a fare in quella città. Neanche il figlio Pietro ne era al corrente. E’ un particolare della sua vita che non è mai stato indagato a fondo, ma è di estrema importanza, in quanto coincise con

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l’arresto di Jacques de Molay –ultimo G.M. del Tempio. Comunque, sia che fosse stato presente o meno a Parigi al momento dell’inchiesta sui Templari, Dante avrebbe sentito parlare e avrebbe saputo delle torture e dei roghi subìti dai Templari, specie in Francia, cosa che nella sua immaginazione potrebbe aver contribuito alla visione dei tormenti dei dannati che s’incontrano nei vari gironi dell’Inferno.Il primo accenno su Dante come simpatizzante dei Templari si trova nella nota di un libro di storia ecclesiastica, scritto da un vescovo francese del XVII secolo, un certo Henri de Sponde, il quale condannò espressamente l’Alighieri perché questi odiava il papato e la Francia per la cattività babilonese, per la soppressione dei Templari e per tutto ciò che, secondo lui, erano solo calunnie contro Clemente V (De Sponde, 1641, vol. I, pag. 534). Anche il Rossetti, altro studioso di Dante, accennò a questa connessione templare. Le idee del Rossetti furono poi riprese da uno scrittore francese di ardente fede cattolica ma un po’ fanatico: un certo Eugéne Aroux (1854), il quale tentò di dimostrare che Dante non era altro che un selvaggio rivoluzionario, macchiatosi di ogni eresia possibile per quel tempo. Secondo Aroux, il nostro Dante sarebbe stato “héretique, révolutionnaire et socialiste.” Personalmente, io credo nel profondo coinvolgimento di Dante con i Templari o almeno con il simbolismo del Tempio; e credo anche che egli sapesse molto più di noi sui Templari e su tutti i fatti del suo secolo. Ad esempio, e questo è solo un piccolo particolare, Dante sapeva che le dimensioni e le proporzioni del recinto del Tempio erano state copiate dai Templari e riportate nelle loro magioni e case in tutta Europa, Firenze compresa; e Dante era un grande fiorentino che conosceva bene la sua città. Credo che Dante sia stato un’autorità nei Fedeli d’Amore, e forse il massimo esponente della famosa Fede Santa, che non era certamente una setta, bensì una vera fratellanza iniziatica. I Fedeli d’Amore, quale associazione iniziatica medievale, furono i continuatori spirituali dei Cavalieri del Santo Graal, e possedevano un sapere ben più alto della dottrina ortodossa della Chiesa. La catena di pensiero sarebbe stata la seguente: Cavalieri del Santo Graal > Fedeli d’Amore > Templari.In effetti, i Fedeli d’Amore già esistevano ancor prima di Dante, vedi il caso di Petrus de Vinea (1190-1249), il grande logoteta di Federico II di Svevia, l’imperatore per il quale Dante non ha molta simpatia: lo nomina appena fra gli eretici, nel campo di Farinata, poi lo ricorda altre volte, ma senza molto calore. D’altra parte, anche Federico II aveva dei buoni motivi per non simpatizzare con i Templari. L’opposto, invece, accade per Petrus de Vinea, per cui il Poeta mostra simpatia e affetto, nonché una certa venerazione. Dante insorge contro la misteriosa caduta di Petrus (1249) e la falsa notizia del suo tradimento; lo difende e lo scagiona da ogni colpa, e aveva pienamente ragione. Petrus de Vinea sarebbe il primo poeta italiano che possa essere idealmente ricollegato ai Fedeli d’Amore, dei quali fu il vero protettore. E Dante sapeva molto più di noi al riguardo.I Fedeli d’Amore non nascono in Italia: provengono dalla Francia, hanno origine nei trovatori provenzali, nelle corti d’amore della Provenza ove, tra l’altro, si celavano spesso le riunioni degli Albigesi o Catari. Si inserirono in Italia come milizia ghibellina del pensiero attraverso la corte di Federico II di Svevia, ove nacque la

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Scuola Siciliana. Lo scopo principale degli adepti era quello di scardinare il potere temporale del papa e restaurare la potenza imperiale. Essi comunicavano tra di loro attraverso un linguaggio segreto –il cosiddetto gergo iniziatico- rinato dalle ceneri dei roghi di Provenza. Si ricordi che nel 1233 l’Inquisizione cattolica condannò severamente le pratiche e le espressioni dell’amore cortese, e che nel 1245 Innocenzo IV promulgò la bolla che vietava agli studiosi la lingua romanza, qualificandola addirittura come eretica!L’americano Albert Pike nella sua opera intitolata Morals and Dogma, pag. 822 e seguito, così scrive: “Molti saggi sono stati scritti sulla Divina Commedia, eppure nessuno, per quanto ne sappiamo, ha indicato la vera natura del Poema. Il lavoro del grande Ghibellino è una dichiarazione di Guerra al Papato, con un’ardita rivelazione dei misteri.”Molto probabilmente, la prova della sua affiliazione all’Ordine sta nel linguaggio figurato, nelle immagini, nelle visioni del Poema stesso e in certe parole oscure non a tutti comprensibili. Si prenda, ad esempio, come fa notare Robert John, l’episodio in Purgatorio VIII, 107. E’ l’episodio che riguarda la scena nella valle dei Principi negligenti, un episodio sul quale invito gli studiosi di Dante a porre molta attenzione per il suo misterioso e occulto significato: mentre gli angeli dalle verdi ali vigilano sulla valle contro un misterioso serpente, i Principi che simpatizzano con i Templari –sempre secondo Robert John- cantano il Salve Regina, che è l’inno cantato tutto l’anno, compresa la Pasqua, dai Cistercensi, sulle cui pratiche religiose era fondata la regola del Tempio, ed essi formano un gruppo di 13, il numero di una magione templare e altra adozione di una pratica cistercense significante Cristo con i 12 apostoli. Inoltre, vorrei ricordare a coloro che mi ascoltano le strane, occulte parole di Dante quando giunge davanti a Lucifero (Inferno XXXIV, 25: “Io non morii e non rimasi vivo…” Sono parole sconvolgenti che dovrebbero far riflettere gli increduli! E’ il momento in cui Dante si ritrova privo della vita e della morte, in una dimensione di non vita e di non morte, il che è forse la massima espressione dell’eternità. Solo un grande iniziato, solo chi sedeva al vertice della sapienza nella grande università templare dello Spirito poteva parlare in tal modo. Probabilmente, un giorno non molto lontano, quando la Chiesa avrà ritrovato la su umiltà, quei Poveri Cavalieri del Tempio riappariranno. E quel giorno, nei nostri sogni, vedremo spuntare all’orizzonte la nave dalla vela bianca con croce vermiglia, e forse dal ponte di quel vascello ci saluteranno il Veltro, che guida all’inferno la lupa della cupidigia, assieme all’eterna Beatrice che annuncia la venuta di Madonna intelligenza o Sapienza santa.Grazie per avermi ascoltato.Mario Bernabò Silorata

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