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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE

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Page 1: Dansero E., De Leonardis D. (2004), Cooperazione decentrata e rifiuti urbani: da problema a risorsa per lo sviluppo locale. Uno sguardo dall’Italia, in Bignante E. (a cura di) Rifiuti

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE

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RIFIUTI URBANIE SVILUPPO LOCALE

Itinerari di cooperazione decentrata tra il Piemonte e il Sahel

a cura diElisa Bignante, Katia Bouc, Simona Guida

Coordinamento scientifico a cura diEgidio Dansero

In collaborazione con:

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2005presso GESP srl, Città di Castello (PG)

Traduzioni a cura di Katia Bouc, Ermina Martini, Valeria Nervi, AlessandraNigretti, Oriana Spanó, Simona Guida, Mariella Termine.

Si ringrazia Oriana Spanó per la revisione dei testi.Si ringrazia Edouard Junior Ndeye per la revisione dei testi francesi.

Un ringraziamento particolare a tutti i componenti dei comitati di pilotaggio,i funzionari delle amministrazioni pubbliche, gli insegnanti e studenti degliistituti scolatici, i professori e studenti delle Università, gli operatori delleOng, i membri delle associazioni e di tutte le realtà coinvolte nel progetto “Darifiuto a risorsa”, nonché a tutti coloro che hanno dato il loro contributo nellaraccolta di informazioni per la stesura del presente volume.

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INDICE

PREFAZIONE.................................................................................... PAG. 13

INTRODUZIONE - Da rifiuto a risorsa. Un laboratorio di cooperazio-ne decentrato e di cittadinanza attiva.................................... » 17

CAPITOLO 1 - Cooperazione decentrata e nuove forme di parte-cipazione democratica nel Nord e nel Sud del mondo, diPiera Gioda e Federico Perotti ............................................... » 231.1 Introduzione...................................................................... » 231.2 Le diverse definizioni di “cooperazione decentrata” ....... » 251.3 Le diverse tipologie di approccio .................................... » 281.4 Buone pratiche per apprendere dall’esperienza ............. » 31

Bibliografia .................................................................................. » 35

CAPITOLO 2 - Lo sviluppo locale: costruire ponti tra i luoghi del Sude del Nord del mondo, di Elisa Bignante ed Egidio Dansero ... » 372.1 Introduzione .......................................................................... » 372.2 Alcune riflessioni sullo sviluppo locale al Nord................. » 382.3 Alcune riflessioni sullo sviluppo locale al Sud .................. » 422.4 Lo sviluppo locale al Nord e al Sud: aspetti, dinamichee questioni chiave....................................................................... » 462.5 Sviluppo locale e cooperazione decentrata...................... » 482.6 La gestione dei rifiuti come componente attiva del milieulocale............................................................................................ » 50

Bibliografia........................................................................................ » 51

CAPITOLO 3 - Cooperazione decentrata e rifiuti urbani: da proble-ma a risorsa per lo sviluppo locale. Uno sguardo dall’Italia,di Egidio Dansero e Domenico De Leonardis........................ » 543.1 Introduzione...................................................................... » 543.2 Una eco-storia urbana di lunghissimo periodo................ » 553.3 La politica dei rifiuti: un quadro di sintesi ........................ » 563.4 Dall’Europa a Torino: una geografia dei rifiuti solidi urbani » 593.5 Rifiuti-risorsa e sviluppo locale ........................................ » 69

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3.6 Cooperazione decentrata e rifiuti ..................................... Pag. 723.7 Cooperazione decentrata, rifiuti e sviluppo locale: rifles-sioni conclusive ...................................................................... » 75

Bibliografia .................................................................................. » 77

CAPITOLO 4 - I rifiuti domestici nelle città senegalesi. Da rifiuti a ri-sorse, il protrarsi di una lunga crisi, di Cheick Sarr............... » 784.1 Introduzione...................................................................... » 784.2 I rifiuti in città .................................................................... » 794.3 La gestione dei rifiuti in Senegal...................................... » 814.4 Iniziative locali e partenariato nella gestione dei rifiuti .... » 854.5 Conclusioni ....................................................................... » 89

Bibliografia .................................................................................. » 89

CAPITOLO 5 - Problematiche legate a una gestione partecipativadei rifiuti urbani in Burkina. Il caso di Ouagadougou, di TangaPierre Zoungrana .................................................................... » 915.1 Introduzione...................................................................... » 915.2 La gestione dei rifiuti urbani............................................. » 915.3 I rifiuti urbani e lo sviluppo locale .................................... » 1005.4 La cooperazione decentrata e i rifiuti urbani ................... » 105

Bibliografia .................................................................................. » 110

CAPITOLO 6 - “Da rifiuto a risorsa”: analisi delle reti di soggetti edelle risorse territoriali attivate dal progetto, di Elisa Bignante e Simona Guida ...................................................................... » 1126.1 Introduzione...................................................................... » 1126.2 Il ruolo dei soggetti locali nel progetto “Da rifiuto a risor-sa”: dalla costituzione dei comitati di pilotaggio alla nascitadi reti territoriali di relazione e di cooperazione..................... » 1136.3 Un punto in comune tra i territori saheliani: associazioni-smo e gestione dei rifiuti ........................................................ » 1156.4 Azioni e metodologie di lavoro di ogni rete locale di sog-getti ......................................................................................... » 1166.5 Alcune considerazioni sulle tipologie di relazioni avviate » 1276.6 La rete interlocale di soggetti........................................... » 1306.7 Considerazioni conclusive ............................................... » 132

Bibliografia .................................................................................. » 133Mbour .......................................................................................... » 135Parcelles Assainies ..................................................................... » 141Louga .......................................................................................... » 145Tenkodogo................................................................................... » 151

INDICE6

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Ouagadougou ............................................................................. Pag. 155Nanoro......................................................................................... » 161Torino........................................................................................... » 164Chieri ........................................................................................... » 170

CAPITOLO 7 - I metodi partecipativi: leva di iniziative di sviluppoin ambito urbano .................................................................... » 1747.1 Introduzione...................................................................... » 1747.2 Caratteri dei metodi partecipativi..................................... » 1757.3 Il metodo Sarar ................................................................. » 178

Scheda Sarar 1 - Caratteristiche ideali di una buona par-tecipazione comunitaria alla gestione dell’ambiente ........ » 181Scheda Sarar 2 - La mappa comunitaria.......................... » 182Scheda Sarar 3 - Scala Sarar di resistenza al cambia-mento ................................................................................. » 183Scheda Sarar 4 - Vie di contaminazione .......................... » 184Scheda Sarar 5 - La fase della prevenzione .................... » 185Scheda Sarar 6 - Incidente critico .................................... » 186Scheda Sarar 7 - Le tre pile di carte assortite.................. » 187Scheda Sarar 8 - Correzione dei comportamenti sbagliati » 188Scheda Sarar 9 - Analisi delle risorse a disposizione ...... » 189Scheda Sarar 10 - Quadro a tasche ................................. » 191Scheda Sarar 11 - Come diventare un animatore la cuiazione è concentrata sul soggetto che apprende ............ » 192

7.4 Il diagnostico partecipativo.............................................. » 196Scheda diagnostico 1 - L’albero dei problemi .................. » 201Scheda diagnostico 2 - Il diagramma di Venn.................. » 202Scheda diagnostico 3 - Il diagramma di flusso ................ » 203Scheda diagnostico 4 - Il diagramma di impatto.............. » 204Scheda diagnostico 5 - La matrice di pesi ....................... » 205Scheda diagnostico 6 - La pianificazione ......................... » 206Scheda diagnostico 7 - Alcuni suggerimenti per continua-re a riflettere ....................................................................... » 207

INDICE 7

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AUTORI

Monica Berti, agronoma tropicalista italiana, lavora da tempo in diversipaesi dell’Africa e dell’America Latina. Cerca di promuovere lo sviluppo dalbasso attraverso la partecipazione della popolazione. Ha seguito “Da rifiutoa risorsa” a Parcelles Assainies per conto dell’Ong Mais.

Elisa Bignante è dottoranda in Pianificazione territoriale e sviluppo loca-le presso il Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico e dell’Univer-sità di Torino. I suoi principali interessi di ricerca sono legati allo studio deiprocessi di sviluppo locale e al marketing territoriale.

Egidio Dansero è professore associato di geografia politica ed econo-mica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di To-rino. I suoi principali campi di ricerca sono la geografia regionale dello svi-luppo, le politiche dell’ambiente, le teorie e i metodi dello sviluppo localesostenibile.

Domenico De Leonardis è un dottorando in Pianificazione territoriale esviluppo locale. Ha svolto attività di consulenza con amministrazioni pubbli-che nella realizzazione di processi di Agenda 21 locali e collaborato conl'Associazione coordinamento Agende 21 locali italiane e l'Istituto ambienteItalia. È un dipendente dell'Arpa Piemonte.

Laurent Diène, senegalese di Parcelles Assainies, è animatore di comi-tati, gruppi femminili, associazioni di base sia nel quadro di progetti Endasia come consulente indipendente. Segue e coordina progetti dell’OngMais dal 2000 in qualità di rappresentante in loco.

Piera Gioda, pedagogista, è la responsabile del Centro per l'educazio-ne alla mondialità dell’Ong torinese Cisv, e ha svolto nel progetto "Da rifiutoa risorsa" il ruolo di coordinamento tecnico della rete.

Simona Guida, laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Torino,lavora da tre anni in Senegal occupandosi dell'elaborazione e dell’accom-pagnamento dei progetti e delle attività educative dell’Ong Cisv di Torino.

Ousmane Niang, senegalese di Louga, è laureato in geografia con unaspecializzazione nella gestione di spazi e società urbane. Ha collaboratoalla messa in opera di programmi locali di Agenda 21 e alla sperimentazio-ne di strumenti e approcci di comunicazione sociale.

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Federico Perotti, ingegnere idraulico, ha lavorato come volontario inter-nazionale con il Cisv in Burundi e in Mali. Dal 1997 è nell’ufficio progetti delCisv come responsabile per l’Africa Occidentale, diventando nel 2003 coor-dinatore dei progetti Cisv e responsabile per l’America Latina.

Cheikh Sarr è geografo urbanista. Sin dall’apertura dell’Università diGaston Berger di Saint Louis, in Senegal, i corsi in pianificazione urbana eterritoriale. È autore di numerosi saggi sulle città senegalesi.

Tanga Pierre Zoungrana, geografo e professore all’Università di Oua-gadougou, in Burkina Faso, è specializzato in gestione dell’acqua, dinami-che rurali e analisi del territorio.

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LA REGIONE PIEMONTE E LA COOPERAZIONE DECENTRATA

L’attività di cooperazione internazionale della Regione Piemonte prende l’avvionel 1995 con un programma in Bosnia Erzegovina. Nato come intervento di aiutoumanitario in una situazione di emergenza, si è successivamente sviluppato comeprocesso di ricostruzione e riabilitazione del sistema economico, allo scopo di con-tribuire al rafforzamento della stabilità di una regione prossima al nostro paese.

Sulla base di tale esperienza sono stati in seguito realizzati progetti in moltipaesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia.

A partire dal 1997 la Regione Piemonte ha dato avvio a un programma di sicu-rezza alimentare innovativo nel quadro della lotta alla povertà. Si tratta di una seriedi interventi localizzati nell’area del Sahel (Burkina Faso, Mali, Niger, Senegal) asostegno dello sviluppo rurale.

In tale programma – oggi esteso a otto paesi dell’Africa occidentale – si è utiliz-zato, in particolare, il modello di intervento della cooperazione decentrata tra auto-nomie locali, nel quale si è cercato di promuovere una più ampia partecipazionedei soggetti del Nord e del Sud del mondo, ciascuno secondo le proprie compe-tenze e in un quadro di relazioni e metodologie condivise.

La Regione Piemonte ha operato in questi anni su tre versanti:– intervenendo direttamente nell’attività di cooperazione volta al rafforzamento

istituzionale di omologhe amministrazione di paesi del Sud del mondo;– sostenendo e accompagnando in azioni di cooperazione le autonomie locali

interessate a operare in tale campo, fornendo loro finanziamenti e sostegno eknow-how in tema di relazioni internazionali, programmazione, gestione evalutazione delle azioni di aiuto;

– valorizzando l’esperienza degli attori che tradizionalmente operano nel campodella cooperazione allo sviluppo (associazioni, Ong, etc.) affinché mettano adisposizione la loro competenza specifica per la realizzazione di progetti incui possano essere coinvolti altri soggetti detentori di saperi utili all’elabora-zione e alla realizzazione dei progetti stessi.

Tale strategia ha consentito di coinvolgere gli enti locali e la società civile, soste-nendo la creazione di reti di collaborazione tra i diversi attori, per valorizzarne lecompetenze specifiche (enti locali, parchi, università, Asl, associazioni di catego-ria, Ong, associazioni di volontariato, etc.) particolarmente utili per le attività di coo-perazione allo sviluppo.

Contestualmente la Regione Piemonte ha operato per sviluppare un partenaria-to con le istituzioni pubbliche (Regioni, Province, Comuni) dei paesi terzi, per raf-forzarne le competenze e favorire lo sviluppo dei processi di decentramento ammi-nistrativo attraverso la promozione della partecipazione delle popolazioni ai pro-cessi decisionali che interessano il loro territorio (rafforzamento della democrazia).

Il progetto “Da rifiuto a risorsa”, promosso dal Comune di Torino e cofinanziatodalla Regione Piemonte nell’ambito del Programma per la sicurezza alimentare, èun esempio concreto di come sia possibile realizzare tali reti di cooperazione. Sullabase di queste significative esperienze la Regione – a distanza di otto anni dall’av-vio delle prime iniziative di cooperazione decentrata – ha promosso un processostrategico: gli “stati generali della cooperazione decentrata”. Tale processo rispon-de all’esigenza diffusa sul territorio di un momento di riflessione collettiva, perripensare criticamente e patrimonializzare quanto fatto nel passato recente da tuttii soggetti pubblici e privati impegnati nella cooperazione decentrata e a progetta-re insieme, in un orizzonte di medio-lungo periodo, la strategia per la cooperazio-ne decentrata che il sistema Piemonte dovrà realizzare nel corso dei prossimi anni.

MARIANGELA COTTOAssessore Regione Piemonte

alle Politiche Sociali e agli Affari Internazionali

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LA COOPERAZIONE DECENTRATA DELLA CITTÀ DI TORINO

Il settore Cooperazione Internazionale e Pace è stato istituito nel 2001 con il trasfe-rimento di personale e risorse finanziarie dell’ufficio Pace, Solidarietà e CooperazioneInternazionale, fino ad allora facente parte del settore Relazioni Internazionali e Rap-porti con l’Unione europea. Il settore opera per la difesa dei beni pubblici globali e lo-cali, per uno sviluppo sostenibile, per il mantenimento di una pace fondata sulla giu-stizia sociale e sul rispetto dei diritti umani, attraverso la scelta operativa della coope-razione decentrata: da governo locale a governo locale, con la collaborazione dellasocietà civile organizzata (istituzioni locali, ex aziende municipalizzate, università escuole, Ong e associazioni).

Da allora il settore si è dedicato al consolidamento di un nuovo approccio allacooperazione internazionale, concretizzatosi in scelte organizzative, strategiche e diindirizzo. Le politiche per il quinquennio 2002-06 prevedono infatti la definizione dipartenariati tra città del Nord e del Sud del mondo, diretti prioritariamente alla lotta al-la povertà e alla promozione della democrazia partecipativa. Per dare attuazione aquesti partenariati nel 2003 è stato organizzato il meeting “Città solidali tra localizza-zione e globalizzazione”, una settimana di scambi ed eventi in cui il sistema Torino haincontrato le undici città dei paesi emergenti o in via di sviluppo con le quali ha stabi-lito rapporti di solidarietà e di amicizia, e al contempo ha rinsaldato le relazioni con trecittà europee con le quali intrattiene gemellaggi formali.

La metodologia di lavoro scelta per concretizzare gli accordi di cooperazione sot-toscritti con le suddette amministrazioni è quella dei “tavoli-città”, strumenti di valoriz-zazione progettuale e lavoro di rete tra risorse istituzionali e società civile torinese.

Rispetto al passato i fondi a disposizione del settore sono stati incrementati, sullabase di una mozione del consiglio comunale del 2001 che impegna l’amministrazio-ne a riservare lo 0,05% del proprio bilancio annuale a favore degli interventi di coope-razione. Il 60% dei fondi viene destinato ad attività svolte direttamente nei paesi in viadi sviluppo: si tratta di programmi derivanti dagli accordi di cooperazione, in partico-lare nei campi della gestione dell’ambiente e delle risorse idriche, delle politiche digenere e della riqualificazione urbana, di attività formative per funzionari dei paesi invia di sviluppo, di scambi. Il 15% è devoluto per la partecipazione a reti internaziona-li collegate alle undici città dell’Est e del Sud del mondo con le quali Torino ha stabili-to relazioni solidali. Il 25% è indirizzato a progetti con ricaduta sul territorio torinesedestinati alla cittadinanza nel suo complesso, in particolare alle giovani generazioni,sui temi dell’educazione alla pace, alla solidarietà, all’intercultura.

Un esempio di come operi la cooperazione decentrata è l’iniziativa “Da rifiuto a ri-sorsa”, cofinanziata dalla Regione Piemonte nel quadro del Programma per la sicu-rezza alimentare nel Sahel. Nato come progetto di scambi scolastici fra sette scuolesuperiori di Burkina Faso, Italia e Senegal, ha saputo affinare e ampliare col tempoobiettivi e metodologie con un percorso virtuoso di inclusione, dapprima di tre Ongtorinesi, poi della Città di Torino e dell’Amiat, successivamente di sei amministrazionilocali africane. Di recente, infine, il progetto si avvale dell’apporto fornito dalla Città diChieri e dalle Università di Torino e di Saint Louis (Senegal), ed è in grado di gemma-re ulteriori progetti finanziabili anche a livello sovranazionale.

MARCO CALGARO

Vicesindaco di Torino

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PREFAZIONE

di Elisa Bignante, Katia Bouc e Simona Guida

Questa pubblicazione si colloca al crocevia di tre campi tematici, lo svi-luppo locale, la cooperazione decentrata e la gestione dei rifiuti urbani:

tre ambiti di studio e di riflessione che negli ultimi anni hanno visto crescereil proprio peso sia in termini di rilevanza sociale che di riflessione teorica emetodologica e di ricerca di nuovi approcci operativi.

L’idea è nata a partire dal progetto di cooperazione decentrata “Da rifiu-to a risorsa”. Avviato nel 2001 esso coinvolge amministrazioni, associazioni,scuole e università in Italia, Senegal e Burkina Faso con l’obiettivo di affron-tare la complessa questione della gestione dei rifiuti urbani. Il tentativo delvolume è quello di fotografare e sistematizzare le azioni e i risultati ottenutidal progetto, inquadrandoli in una cornice più ampia. La problematica deirifiuti viene affrontata intrecciando diversi tipi di saperi: quello “tecnico” deicooperanti, quello “pratico” delle popolazioni locali che vivono quotidiana-mente il territorio e quello “scientifico” del mondo accademico.

Il volume raccoglie, infatti, da un lato i contributi di cooperanti e volonta-ri di Ong italiane che operano in Senegal e Burkina Faso, che conoscono“Da rifiuto a risorsa” e le sue declinazioni operative più da vicino, dall’altrole riflessioni di esponenti del mondo universitario italiano, senegalese e bur-kinabé che affrontano la problematica della gestione dei rifiuti urbani nei ri-spettivi paesi in un’ottica di sviluppo locale.

Il percorso seguito dal volume si sviluppa su due assi: il primo proponeuna riflessione più generale sui significati e sui ruoli della cooperazione de-centrata, sulle teorie e prassi dello sviluppo locale al Nord e al Sud del mon-do e sulla questione sempre più dibattuta e attuale della gestione dei rifiutiin ambito urbano in Senegal, Burkina Faso e Italia. Il secondo asse esaminaobiettivi, contenuti, approcci operativi e riflessioni sul progetto di coopera-zione decentrata “Da rifiuto a risorsa”.

Il tentativo è di trattare questi temi in maniera integrata, evidenziando leinterrelazioni tra i diversi campi, le possibili sinergie e al contempo i rischi

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insiti in approcci a volte troppo rigidi e settoriali. In questo senso il progetto“Da rifiuto a risorsa” diventa il campo di confronto sul quale esaminare co-me far dialogare cooperazione decentrata e sviluppo locale nel trattare unatematica delicata come quella della gestione dei rifiuti urbani.

� Il primo capitolo presenta una nuova forma di partecipazione allo svi-luppo, la cooperazione decentrata, un fenomeno in crescita in questi ultimianni. La tematica viene affrontata a partire dalle differenti definizioni ad essaattribuite dai diversi enti che se ne occupano (Unione europea, ministero Af-fari Esteri italiano, Regione Piemonte, Ong), in quanto non vi è ancora un’ac-cezione universalmente condivisa. Allo stesso modo esistono diversi approc-ci alla cooperazione decentrata, descritti nel capitolo, di cui vengono analiz-zati gli aspetti comuni e non, sottolineando i punti di forza e debolezza di cia-scuno. Il capitolo termina con alcune best practices concretamente speri-mentate nell’ambito della cooperazione decentrata, descrivendo nel dettagliodue esperienze particolarmente significative promosse dalla Regione Pie-monte: il progetto “Ne Yi Beeogo Burkina” del Coordinamento comuni per lapace della Provincia di Torino e “Poliedro”. Il primo coinvolge cinque comunipiemontesi che sostengono un progetto di una municipalità burkinabé, attra-verso la costituzione, al Nord come al Sud, di tavoli di concertazione, confron-to e gestione del progetto, ai quali partecipano amministratori, funzionari erappresentanti della società civile. “Poliedro” è invece uno strumento, costrui-to attraverso un approccio partecipativo, pensato per aiutare gli enti localipiemontesi a intraprendere un progetto di cooperazione internazionale.

� Il secondo capitolo affronta il tema dello sviluppo locale. Nella primaparte viene proposto un confronto tra i percorsi e gli approcci teorici emetodologici attraverso i quali lo sviluppo locale è andato definendosi nelNord del mondo – concentrandosi in particolare sui casi dell’Italia e dellaFrancia – e nel Sud, con particolare attenzione alla situazione dell’Africasaheliana, delineando così le similitudini e le differenze d’approccio nei duecontesti. Il capitolo prosegue con la trattazione degli aspetti, delle dinami-che e delle questioni chiave che definiscono il concetto di sviluppo locale,campo di convergenza di una molteplicità di percorsi diversi sia al Nordche al Sud e per questo ricco di declinazioni differenti ma anche di ambi-guità. Nell’ultima parte vengono infine proposte alcune riflessioni sulle pos-sibili connessioni tra cooperazione decentrata e sviluppo locale e ancorasul ruolo che la gestione dei rifiuti urbani può svolgere come componenteattiva del milieu dei vari contesti locali.

� Il terzo, il quarto e il quinto capitolo esaminano come lo stesso pro-blema, la gestione dei rifiuti urbani, venga affrontato in tre distinti contesti

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territoriali: il Senegal, il Burkina Faso e l’Italia. In ciascun capitolo, in segui-to a un’iniziale descrizione del fenomeno in termini di impatto e conseguen-ze sul territorio, vengono analizzate le modalità di gestione del problemarifiuti, a partire dalle normative che regolano la materia fino alle iniziativerealizzate localmente per colmare, ove presenti, le lacune dell’interventostatale. In seguito, i tre articoli focalizzano l’attenzione sulla dimensione deltema rifiuti all’interno di processi di sviluppo locale, per poi concludere conun’analisi delle potenzialità e criticità dei rapporti esistenti nei diversi con-testi fra i rifiuti-risorse, lo sviluppo locale e la cooperazione decentrata.

� Il sesto capitolo scende nel merito del progetto di cooperazionedecentrata “Da rifiuto a risorsa”. Nella prima parte viene ripercorsa l’evolu-zione del progetto, proponendo un’analisi dei soggetti coinvolti e delle dina-miche di formazione di reti locali di attori, della tipologia di azioni intrapre-se e delle risorse territoriali individuate e attivate dal progetto. Si tratta diuna lettura che tenta di comprendere se e in che termini “Da rifiuto a risor-sa” abbia rappresentato un’occasione di sviluppo locale per i territori coin-volti e che evidenzia quanto la gestione dei rifiuti sia una questione, oltreche attuale e impellente sia al Nord che al Sud, anche strettamente legataalle caratteristiche e specificità di ogni territorio.

In allegato al capitolo sono proposte una serie di schede che illustrano lecaratteristiche delle città partecipanti al progetto. Sono stati scelti alcuni in-dicatori che contribuiscono a un inquadramento generale della situazionesocio-economica di ciascun centro urbano, con una particolare attenzionead alcuni aspetti significativi per “Da rifiuto a risorsa” che meglio definisco-no il contesto di intervento.

� Il settimo capitolo chiude il volume con un’analisi di alcuni metodi par-tecipativi basati sul coinvolgimento attivo della società civile, nel tentativodi individuare i problemi e trovare le opportune soluzioni fra i diversi attoriimplicati nella gestione dei rifiuti. Questa parte intende proporre schede didescrizione di attività pratiche sperimentate in alcune città africane parteci-panti al progetto “Da rifiuto a risorsa”, esportabili e applicabili in altri conte-sti in cui il coinvolgimento della base è l’elemento caratterizzante dell’azio-ne. In particolare, sono illustrati il metodo Sarar e il “diagnostico partecipa-tivo”, rispettivamente utilizzati a Louga e a Parcelles Assainies, con sugge-rimenti utili per l’apprendimento di tecniche di animazione in contesti parte-cipativi.

Dall’incrocio delle diverse parti che compongono il volume, emerge conforza come la gestione dei rifiuti urbani rappresenti un’emergenza che ne-cessita di essere affrontata su nuove basi tanto nel Nord del mondo, dove la

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sovrapproduzione di scarti diventa una questione sempre più minacciosaed esplosiva, quanto nel Sud, dove la mancanza di attrezzature rende assaidifficile ogni tipologia di intervento.

Italia, Senegal e Burkina Faso presentano situazioni e caratteristiche di-verse che si incontrano nella comune necessità di coinvolgere in manierastabile e continuativa le società civili dei rispettivi paesi. La mancanza dimezzi tecnici di raccolta e smaltimento e la necessità economica di riutiliz-zare il più possibile ogni materiale rendono prioritario al Sud incentivare ilcoinvolgimento diretto dei cittadini, allargando l’attenzione per lo smalti-mento dei rifiuti da un interesse esclusivamente utilitaristico a riutilizzare ciòche è recuperabile, a una presa di coscienza dei rischi (per l’uomo e perl’ambiente) che comporta l’abbandono dei rifiuti non riutilizzabili, come gliscarti alimentari. D’altro canto, la sensibilizzazione e l’educazione della so-cietà civile sul ruolo attivo di ogni cittadino nei confronti della gestione degliscarti che tutti produciamo sono questioni latenti anche in un Nord in cui lapubblica amministrazione provvede a tutto – per ora e non si sa per quantoancora – con soluzioni “comode” ma non sostenibili nel lungo periodo (di-scariche e inceneritori a fronte di uno sviluppo in molti contesti ancora sten-tato della raccolta differenziata). Qui l’elevato livello di tecnologia e organiz-zazione per la gestione dei rifiuti non è sufficiente se paragonato con il ritmocon cui questi ultimi vengono prodotti: risulta dunque fondamentale inverti-re la rotta attraverso il coinvolgimento dei singoli, non solo puntando sulladifferenziazione, ma anche riflettendo seriamente sulla produzione a montedi scarti. Al di là delle pur fondamentali e imprescindibili necessità sul pia-no economico, tecnico e organizzativo, una nuova politica dei rifiuti passainfatti attraverso la necessità di far leva sul protagonismo e sulla partecipa-zione di realtà associative urbane.

La sfida sembra dunque risiedere, in Africa come in Italia, in una nuova“appropriazione” della problematica rifiuti, che porti lo sviluppo locale e lacooperazione decentrata ad assumere un significato più ampio: quello delconfronto, dello scambio e della condivisione di un sentiero di cambiamen-to in grado di coinvolgere gli amministratori quanto gli amministrati delle so-cietà del Nord e del Sud del mondo.

PREFAZIONE16

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INTRODUZIONE

DA RIFIUTO A RISORSAUn laboratorio di cooperazione decentrata

e di cittadinanza attiva

“Se tu hai una mela e anch’io ne ho unae decidiamo di scambiarcela,

ognuno di noi avrà dopo una sola mela.Ma se tu hai un’idea e anch’io ne ho una

e decidiamo di scambiarcele,ognuno di noi dopo avrà due idee”.

G. Bernard Shaw

Raccontare un processo che è in atto ormai da cinque anni e che coin-volge centinaia di persone in Piemonte, in Senegal e in Burkina, non è

affatto facile.“Tenere insieme” in Italia e in Africa la voglia di protagonismo degli ado-

lescenti e degli studenti universitari, le esigenze culturali di insegnanti desi-derosi di aprire le finestre della scuola sul mondo, la volontà politica di sin-daci e assessori di costruire cooperazione internazionale, il lavoro pazienteed efficace di funzionari e operatori delle amministrazioni locali e dei servi-zi tecnici, le competenze specifiche delle Ong e il loro prezioso lavoro suiterritori coinvolti, l’apporto che le università possono dare in termini di ricer-ca e consulenza agli altri attori non è un’impresa da poco. Riuscire a comu-nicarla diventa veramente una sfida, che d’altra parte è doverosa.

In un testo scritto si correrà facilmente il rischio di non riuscire a renderevisibili le fatiche, le emozioni, le negoziazioni, i passi avanti e i passi indie-tro, gli incontri e gli scontri che hanno accompagnato la costruzione di unarete di relazioni.

Ma tant’è: questo volume rappresenta il tentativo di dar voce alla molte-plicità di attori e di azioni che sono state svolte in questi cinque anni, conl’intenzione di riflettere e di apprendere dall’esperienza. Per continuare.

La finalità di questa pubblicazione, infatti, non è “archivistica” o “storica”.Il processo non si è ancora concluso, ma anzi è vivo e in evoluzione. Si po-trebbe dire che maggiori frutti si stanno raccogliendo proprio in questo mo-mento, perché nuove città e nuove scuole si vorrebbero inserire nel proces-so, nuovi progetti stanno nascendo nei diversi comitati di pilotaggio locali,come per gemmazione.

Ma proviamo a ricostruire i passaggi di questa storia in ordine cronologi-co.

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LA VOLONTÀ POLITICA DEGLI ENTI LOCALI PIEMONTESI

Alla fine degli anni ’90 matura nella società piemontese la volontà di raf-forzare la vocazione alla solidarietà internazionale che si è già concre-

tizzata da anni in varie forme di impegno civile e di cooperazione tecnica.La Regione Piemonte si impegna fortemente nella cooperazione decen-

trata e incoraggia gli enti locali a focalizzare l’aiuto verso la regione del Sa-hel, una delle aree più povere del pianeta, nel quadro di un Programmapluriennale di sicurezza alimentare e lotta alla povertà.

Il Centro Interculturale della Città di Torino, istituzione innovativa che ac-coglie e anima i cambiamenti interculturali in corso nella realtà sociale tori-nese, propone a un liceo di dare inizio a un progetto di cooperazione edu-cativa con l’Africa saheliana.

LO SCAMBIO SCOLASTICO

Nel 1999-2000 tre licei, il Regina Margherita di Torino, il Malick Sy diThiès (Senegal) e il Ryalé di Tenkodogo (Burkina Faso), impostano uno

scambio sul tema della sicurezza alimentare dal titolo “Riso, tô e tagliolini”.Il lavoro si svolge a distanza, ma gli insegnanti si incontrano sia in Italia,

sia in Senegal. Una Ong, la Lvia, fa da ponte fra i tre diversi mondi, facili-tando i contatti e le relazioni.

LA COOPERAZIONE EDUCATIVA SI AMPLIA AD ALTRE SCUOLE E ONG

Durante l’anno scolastico successivo, due scuole senegalesi (il liceoMalick Sall di Louga e il Demba Diop di Mbour) e due piemontesi (gli

istituti Boselli di Torino e Vittone di Chieri) si uniscono al progetto, checoinvolge gli studenti in un concorso letterario sul tema "Raccontami di te".Un’altra Ong, il Cisv, collabora con suoi operatori sia in Italia sia in Sene-gal.

Nel settembre del 2001 lo scambio scolastico si conclude con la parte-cipazione di una delegazione di professori e studenti senegalesi e burki-nabé alla manifestazione interculturale "Identità e Differenza" a Torino: fe-ste, musiche, danze e lacrime nel lasciarsi.

Si potrebbe dire che un ciclo si è concluso, invece…

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IL COINVOLGIMENTO DI NUOVI ATTORI

La Regione Piemonte e la Città di Torino chiedono una maggior attenzio-ne alla dimensione della cooperazione decentrata fra città: non solo

scuole, ma il coinvolgimento di altri attori.La nuova amministrazione torinese comprende che nel processo che si

è avviato si sta sperimentando un nuovo modo di realizzare la cittadinanzaattiva e la cooperazione decentrata.

Nell’autunno 2001, con una procedura partecipativa, che vede ormaicoinvolte il settore Cooperazione Internazionale e Pace, tre scuole superio-ri, tre Ong (Lvia, Cisv e Mais), si fa il punto della situazione.

Si confermano i punti forti dell’esperienza precedente (ovvero il protago-nismo delle scuole superiori e lo scambio di esperienze), ma si orienta laprogettazione su nuovi obiettivi:

– lavorare su un problema comune che appartiene alle città del Nord edel Sud del mondo, la questione dei rifiuti urbani;

– costruire una rete di attori nei diversi territori, per elaborare analisi delproblema e piani di azione, con l’approccio dello sviluppo locale;

– costruire una rete per lo scambio di buone pratiche e per rafforzarel’impegno locale, tra sei città: Torino, Louga, Parcelles Assainies (Dakar),Mbour, Ouagadougou, Tenkodogo.

Nel 2001-2002 i giovani delle scuole si trasformano in “reporter dei rifiu-ti”, conducono inchieste, realizzano cortometraggi, intervistano e pungola-no gli amministratori sulla questione ambientale.

Il cortometraggio prodotto viene presentato a vari festival e diventa unostrumento comunicativo che permette di raggiungere migliaia di persone.

I ragazzi delle classi superiori, che ormai sono “veterani” del progetto, siformano come peer educators e si sperimentano nel ruolo di animatori am-bientali nei confronti dei compagni più giovani delle scuole medie ed ele-mentari dei quartieri in cui hanno sede i loro istituti.

Il 5 giugno, Giornata mondiale per l’ambiente, diventa l’appuntamento incui le scuole e le città coinvolte si impegnano a sensibilizzare i loro territori:concerti di musica rap in piazza, teatro di strada, Set-setal (operazioni dimobilitazione della popolazione a “ripulire il proprio mondo”), forum a cui igiovani invitano le autorità locali ad ascoltarli e a continuare nella lotta con-tro i “mali pubblici comuni” che stanno deturpando le nostre città.

I COMITATI DI PILOTAGGIO

Apartire dall’autunno 2002 si entra nella fase di sperimentazione del nuo-vo dispositivo: in ogni città, l’ente locale invita a costituire un comitato di

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pilotaggio che attui un diagnostic della situazione ed elabori un pianod’azione annuale, cofinanziato dal progetto della Regione Piemonte e dellaCittà di Torino con un fondo di sviluppo locale.

Nelle sei città gli attori che si attivano sono differenti (cfr. cap. 6) e dannovita a interventi diversificati, che hanno però in comune alcuni punti irrinun-ciabili:

– il metodo condiviso da tutti è l’approccio partecipativo, che attiva le ri-sorse degli individui e dei gruppi, facendo ricorso a metodologie e strumen-ti che vengono messi in comune (cfr. cap. 7);

– l’oggetto di lavoro: la gestione dei rifiuti viene affrontata non tanto neisuoi aspetti e nelle sue soluzioni tecniche, ma come problema che coinvol-ge fortemente i cittadini. La soluzione dipende soprattutto dal cambiamen-to dei comportamenti, un elemento cruciale sia al Nord sia al Sud del mon-do per modificare l’iperproduzione di imballaggi (anche in Africa la plasticasta invadendo le città) e lo spreco di risorse. Ciò che accomuna i parteci-panti ai comitati locali è il valore attribuito all’educazione ambientale e allanecessità di cercare nuove strade più efficaci per raggiungere i ragazzi nel-le scuole, ma anche le donne, gli adulti, le popolazioni dei quartieri più po-veri, ma non per questo meno coscienti o responsabili.

L’esperienza fatta nei comitati locali ha generato empowerment? Ha cioèveramente aperto il ventaglio delle possibilità di scelta e reso “pensabili” e,dunque potenzialmente realizzabili, alcune trasformazioni di cui si sentival’esigenza?

Il seminario di intercambio svoltosi a Dakar, Louga e Mbour nel dicembredel 2003 fra i diversi comitati ha dato a tutti l’impressione che qualcosa inquesto senso stesse veramente realizzandosi.

Letteralmente empower significa “rendere potente”, cioè dare a un sog-getto la sensazione di avere qualche controllo su quello che accade e lo sti-molo ad attuare i cambiamenti che ritiene necessari, vincendo le resistenze,interne o esterne. Solo dei gruppi empowered riescono a operare muta-menti obiettivamente difficili, grazie al senso di potere che li spinge ad af-frontare con fiducia in loro stessi e creatività quelli che a occhi più scettici edemotivati sembrano problemi irrisolubili.

Nuove domande vengono poste in quel seminario:– come perennizzare i processi messi in atto?– come incrementare i mezzi economici limitati di questo progetto, crean-

do complementarietà con risorse di altre cooperazioni, generando nuoveprogettualità da sottoporre ad altri finanziatori internazionali per affronta-re anche i nodi strutturali della gestione dei rifiuti (discariche, mezzi ditrasporto, organizzazione dei servizi, etc.)?

– come rafforzare la comunicazione interna ed esterna della rete? – come rafforzare la dimensione della rete nazionale, che forse è la più

vicina e utile nell’immediato?

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Nel marzo del 2004 i comitati locali del Senegal si incontrano nuovamen-te per lavorare sul tema della lotta contro i pericoli della plastica.

LA RETE SI AMPLIA

Nel 2003 entrano a far parte di “Da rifiuto a risorsa” anche le città di Chie-ri e di Nanorò (Burkina Faso), da anni legate da un rapporto di gemel-

laggio e cooperazione. Esse intravedono nei servizi e nelle metodologie of-ferte dalla rete un modo per far partecipare la società civile nei rispettivi ter-ritori.

Alcuni docenti della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torinosi investono personalmente nel progetto, coinvolgendo un gruppo di stu-denti del corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione. Ricerca e didattica siconiugano con l’impegno di cittadinanza attiva, sia attraverso il confronto eil dialogo con altre università del Sahel (Università di Saint Louis in Senegale Università di Ouagadougou in Burkina Faso), sia tramite il coinvolgimentoattivo di un gruppo di studenti che si interrogano sul rapporto tra universitàe produzione/gestione dei rifiuti.

Docenti delle Università di Saint Louis e di Ouagadougou collaborano al-la ricerca comune, che ha permesso anche di mettere a disposizione di tut-ti con questa pubblicazione i saperi accumulati nel corso del processo finqui descritto.

� Bibliografia �

Bouc K. (a cura di), 2003, Da rifiuto a risorsa, Comune di Torino.Cellai F., 2003, “Da rifiuto a risorsa”, in Informagiovani, n. 3, Torino, (da sito in-

ternet: www.comune.torino.it/infogio/rivista/archivio/03_03/sommario.htm).Gioda P., 2003, “Voyage au Sénégal. Le Sud du mond vu autrement“, in Eco-

le Valdotaine, n.60, (da sito internet: www.scuole.vda.it/Ecole/60/60.htm).Rossi A., 2002, “I reporter dei rifiuti”, in Volontari per lo Sviluppo, n. 8, (da sito

internet: www.volontariperlosviluppo.it/2002_8/02_8_.htm)

� Riferimenti sul web �

www.buoneinpratica.it/educazione/dwd/cisv.pdfwww.comune.torino.it/cooperazioneint/rifandris/index.htm

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CAPITOLO

COOPERAZIONE DECENTRATA E NUOVE FORMEDI PARTECIPAZIONE DEMOCRATICANEL NORD E NEL SUD DEL MONDO

di Piera Gioda e Federico Perotti

1.1 INTRODUZIONE

La cooperazione decentrata sta assumendo negli ultimi anni una cre-scente importanza nell’ambito più vasto delle relazioni internazionali: di

fronte alla perdita di centralità dello stato nazionale, le autonomie locali sipresentano, anche sulla scena mondiale, come nuovi e legittimi portatori diistanze e interessi “territoriali” che trascendono i confini regionali, provincia-li o comunali.

Le esigenze della cooperazione s’intrecciano sempre di più con i feno-meni di internazionalizzazione del tessuto economico-produttivo territoriale,nonché con la necessità di una politica di integrazione sociale di fronte aicrescenti fenomeni migratori di migliaia di persone provenienti dal Sud delmondo.

Molte città in questo senso vorrebbero farsi “interpreti di nuove relazionidi scambio di culture, di prodotti tipici, di saperi tecnici e politici, impronta-ti al superamento della competizione economica selvaggia verso forme dicooperazione e di mutuo scambio solidale fra città del Nord, fra Sud eNord, fra Sud e Sud” (Carta del nuovo municipio, 2004).

Nel contesto del decentramento dei poteri politici e dell’importanza cre-scente delle relazioni internazionali, gli enti locali di alcuni paesi europei (fracui l’Italia) si sono cimentati in azioni di cooperazione allo sviluppo; forse èstata la crisi nell’ex Jugoslavia a far emergere la cooperazione decentrataitaliana. Questa guerra alle porte di casa ha segnato profondamente la sen-sibilità della società civile, facendo maturare un diffuso impegno direttointernazionale per aiutare le vittime della violenza.

Si può affermare che oggi in Italia la cooperazione decentrata stiauscendo dalla fase sperimentale degli anni ’90, in cui si sviluppò in modoframmentario e sporadico. Quasi tutte le regioni si sono dotate di una legi-slazione ad hoc e intendono divenire il punto di riferimento istituzionale

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degli interventi di cooperazione progettati da vari soggetti nei diversi terri-tori. Sta in qualche misura diventando una tendenza, una “moda”, anche seancora ristretta ad alcune componenti più sensibili a questi temi, che si pro-pone come un nuovo modo di intendere e fare cooperazione internaziona-le.

Se tutto ciò comporta alcuni rischi (la mutevolezza e la dipendenza dagliumori collettivi, la manipolazione mediatica, le operazioni più d’immagineche di sostanza) sappiamo di contro che far diventare di moda un tema oun approccio significa anche farlo “contare socialmente”.

Per un attore sociale (sia esso una città, una Ong, un’associazione,un’istituzione scolastica, un’università, etc.) che intende svolgere un ruolonella solidarietà internazionale, è importante che lo sviluppo e il migliora-mento della qualità di vita dei paesi con cui si entra in relazione, diventinodi moda, cioè che i valori per cui ci si impegna siano condivisi e attuatianche nella società italiana in cui si è inseriti come parte attiva.

Nessuno (ci auguriamo) può concepire di poter agire in proprio, con pic-cole azioni puntuali per risolvere i problemi che sono sempre più fenomeniglobali.

La portata planetaria dei “mali pubblici globali” (i diritti negati, gli atten-tati all’ambiente, l’esclusione sociale di sempre maggiori categorie di per-sone, la fame e la sete, le epidemie che non conoscono confini nazionali,le guerre e il terrorismo, etc.) è tale che occorre ripensare i metodi e lemodalità tradizionali della cooperazione internazionale.

Solo mettendo in rete e portando a sistema le potenzialità di ogni attoresociale del territorio coinvolto nel processo di cooperazione si può avereuna “massa critica” tale che i cambiamenti desiderati possano veramentecompiersi.

Ciò che è in gioco è un cambiamento delle società coinvolte nel proces-so (enti pubblici, privati, associazionismo, cittadinanza tutta), impegnate ainstaurare reti di relazioni internazionali reciproche e solidali.

Per questo è interessante esplorare criticamente le possibilità offertedalla cooperazione decentrata, non considerandola un’attività eminente-mente riservata ai tecnici o agli specialisti della cooperazione, che spesso,proprio per far fronte professionalmente alle diverse e complesse questioniposte dallo sviluppo, tendono a un’accentuata autoreferenzialità.

Attuare programmi di cooperazione decentrata può diventare una gran-de occasione per confrontarsi su:– quale visione abbiamo della “cittadinanza responsabile” (Magatti, 2004);– quale modello di relazioni tra aiuto pubblico allo sviluppo e iniziative della

società civile intendiamo attuare per un “altro mondo possibile”, sia sulterritorio italiano sia sul territorio dei paesi in via di sviluppo;

– la reale capacità di mobilitare la società, produrre legami personali e par-

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tecipazione nelle scelte e nelle azioni, non limitandosi a coinvolgere sol-tanto pochi tecnici e funzionari.

1.2 LE DIVERSE DEFINIZIONI DI “COOPERAZIONE DECENTRATA”

Pur limitandoci a esaminare il dibattito che sta avvenendo in Italia(Mazzali, Lupi, 2004), si può osservare che la cooperazione decentrata

è concepita in diversi modi, sensibilmente differenti, a seconda dell’attoreche ne ha elaborato la definizione.

� 1.2.1 La definizione dell’Unione europea

L’Unione europea intende come “cooperazione decentrata” qualsiasiprogramma concepito e messo in opera nei paesi del Sud o dell’Est daparte di un attore non governativo: Ong, poteri pubblici e amministrazionilocali, cooperativa agricola, gruppo femminile, sindacato, chiese, etc. Ingenerale ogni forma organizzata della società civile (Ce, 1998).Nell’accezione europea, quindi, un programma di cooperazione decentra-ta non implica necessariamente la partecipazione di un partner europeo odi un’amministrazione locale.

L’Unione europea sollecita la partecipazione alla cooperazione non solodegli stati, non solo delle Ong, ma anche delle diverse forme organizzatedella società civile.

Gli obiettivi di questo approccio europeo sono:– associare le comunità locali alla definizione e alla scelta delle priorità di

sviluppo nel loro paese;– permettere l’appropriazione da parte delle popolazioni locali dei program-

mi di sviluppo favorendo la partecipazione alla loro definizione e messain opera;

– essere all’ascolto delle società locali e in grado di incoraggiare le iniziati-ve degli attori decentralizzati;

– favorire i processi di decentramento e democratizzazione iniziati in certipaesi;

– in Europa, sensibilizzare i cittadini alle questioni dello sviluppo.

� 1.2.2 La definizione del ministero Affari Esteri italiano

Fin dal 1987, con la Legge n.49 del 26 febbraio – Nuova disciplina dellacooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo – l’Italia ha riconosciu-

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to formalmente alle autonomie locali un ruolo propositivo nella cooperazio-ne, nei limiti dell’autorizzazione governativa.

Negli anni ’90 si sono sviluppati in questo senso progetti in modo diso-mogeneo, con una molteplicità di metodi e di finalità; oggi quasi tutte leRegioni ed entrambe le Province autonome hanno sentito l’esigenza didotarsi di una nuova normativa in tale materia.

Nel confronto tra il ministero Affari Esteri (Mae) e i rappresentanti delleautonomie locali è emersa la necessità di una revisione della normativa e diuna definizione univoca della cooperazione decentrata.

Solo nel marzo 2000 un documento di indirizzo del Mae, in vista del testodi riforma della cooperazione internazionale presentato nella precedentelegislatura (1996-2001), ma mai approvato dal Parlamento, fa le seguenticonsiderazioni:

“Il confronto sviluppatosi fra la Dgcs1 e i rappresentanti delle autonomielocali nel quadro dell’evoluzione legislativa e della prassi operativa degliultimi anni, che ha peraltro posto in evidenza la sopravvenuta insufficienzadella normativa in materia, ha consentito di concordare sull’opportunità diuna definizione univoca del termine “cooperazione decentrata”, tenutoconto delle differenti interpretazioni ad esso attribuite in fori nazionali einternazionali. Per “cooperazione decentrata” attuata nell’ambito della coo-perazione allo sviluppo italiana si è convenuto dunque di intendere,mutuando parzialmente la definizione adottata dall’Unione europea: l’azio-ne di cooperazione allo sviluppo svolta dalle autonomie locali italiane, sin-golarmente o in consorzio fra loro, anche con il concorso delle espressionidella società civile organizzata del territorio di relativa competenza ammini-strativa, attuata in rapporto di partenariato prioritariamente con omologheistituzioni dei paesi in via di sviluppo favorendo la partecipazione attivadelle diverse componenti rappresentative della società civile dei paesi part-ner nel processo decisionale finalizzato allo sviluppo sostenibile del loro ter-ritorio” (Dgcs/Mae, 2000).

� 1.2.3 La definizione della Regione Piemonte

La Regione Piemonte, una delle più avanzate in Italia nella definizione eattuazione di programmi di cooperazione decentrata, ha contribuito a ela-borare la definizione italiana e riprende quindi nei suoi documenti di riferi-mento questa definizione:

“Iniziative di cooperazione decentrata sono le iniziative di cooperazione

1 La Dgcs è la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Mae.

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allo sviluppo svolta dalle autonomie locali piemontesi, singolarmente o inconsorzio fra loro, anche con il concorso delle espressioni della societàcivile organizzata del territorio di relativa competenza amministrativa, attua-ta in rapporto di partenariato prioritariamente con omologhe istituzioni deipaesi in via di sviluppo favorendo la partecipazione attiva delle diversecomponenti rappresentative della società civile dei paesi partner nel pro-cesso decisionale finalizzato allo sviluppo sostenibile del loro territorio”(Regione Piemonte, 2004).

� 1.2.4 Una definizione emersa dal confronto tra autonomie locali eOng italiane

In un seminario svoltosi a Trento nel 2002, all’interno del progetto “Reteper la mondializzazione solidale e lo sviluppo locale”, promosso dalla Lvia2,sono emerse alcune considerazioni interessanti. Tutti i partecipanti hannoconvenuto nell'affermare che la cooperazione decentrata è un processofondato sull'instaurazione di relazioni di partenariato internazionale, colla-borazioni e scambi, in un'ottica di reciprocità, tra territori e comunità locali.Sono anche stati individuati alcuni elementi fondanti, a cominciare dal fattoche la cooperazione decentrata va definita come un processo politico, inquanto elabora e regola rapporti tra comunità; cognitivo e di apprendimen-to da parte dei diversi soggetti partecipanti; di crescente contaminazionetra ambiti di vita (il politico, l'economico, il sociale, l'educativo) e quindi trai diversi soggetti del territorio; di sviluppo delle risorse e delle capacitàendogene locali; continuo e durevole; un processo in cui la partecipazione,la governance e la diplomazia popolare rappresentano i principi e le meto-dologie chiave per il dispiegamento delle relazioni tra i territori, dello svilup-po locale, e per l'elaborazione e il superamento dei conflitti. I progetti sono,così, considerati un prodotto/strumento dei partenariati e del processo didialogo continuo tra le comunità, tanto che la cooperazione decentrata nonpuò essere ridotta a un progetto o un insieme di progetti.

La cooperazione tradizionale rischia di creare una sequenza di progettiavulsi dai contesti e perciò non sostenibili, senza creare relazioni e integra-zioni tra territori, mentre la cooperazione decentrata rappresenta davveroun nuovo modo di partecipare allo sviluppo.

In questa modalità di intervento sono le autonomie locali a svolgere un

2 Il progetto è stato cofinanziato dalla Dgcs del Mae, ha visto coinvolti come partner leAcli di Padova, la Ong Ciss di Palermo, la Provincia autonoma di Trento, il CeSpi (Centrostudi politica internazionale) e Unimondo.

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ruolo importante, pur non essendo gli unici depositari. Esse sono i sogget-ti del territorio legittimati dalle collettività ad avviare accordi di partenariato,investendo nelle azioni proprie risorse e competenze, con la possibilità dipromuovere e armonizzare il coinvolgimento dei diversi attori del territorio,elevando la loro partecipazione a sistema. D'altra parte, se non vi è la par-tecipazione di diversi soggetti del territorio non può esserci cooperazionedecentrata.

Tra i diversi attori del territorio, il ruolo delle Ong dovrebbe essere inmisura sempre maggiore quello di porre al servizio delle comunità le pro-prie competenze e capacità, e di partecipare all'evoluzione dei processi dipartenariato.

Si chiede quindi a tutti i soggetti di rompere le autoreferenzialità e i set-torialismi per costruire un sistema, quanto più possibile coerente, capacedi interloquire con i territori e le comunità partner. Occorre creare nuovecomplementarietà, coordinamenti, forme di sussidiarietà orizzontale, inmodo che la valorizzazione delle capacità e delle risorse dei diversi sog-getti diventi centrale, tanto da far assumere alla questione finanziaria unarilevanza secondaria. I contributi che possono venire dalle autonomie loca-li non devono "anestetizzare" le potenzialità e le possibili moltiplicazionidelle risorse della cooperazione decentrata (Stocchiero, 2002).

In conclusione, anche se la cooperazione decentrata incomincia adapparire nei testi legislativi, né il suo contenuto, né la sua finalità sono defi-niti in modo univoco.

Solo i suoi attori sono designati. Ogni volta la vera responsabilità dellescelte e dei metodi d’azione appartiene al sistema territoriale che si fa pro-motore di cooperazione.

1.3 LE DIVERSE TIPOLOGIE DI APPROCCIO

L’inesistenza di un quadro politico e legislativo preciso ha aperto ampimargini di valutazione agli attori della cooperazione decentrata per ciò

che concerne la definizione dell’oggetto della loro azione. A seconda delcontenuto e degli obiettivi che perseguono, possiamo identificare tre tipo-logie d’approccio alla cooperazione decentrata, che sono state attuatenegli anni passati.

� 1.3.1 Scuola di solidarietà

Per alcuni la cooperazione decentrata è una forma di riavvicinamento tragli uomini, una scuola di solidarietà. Essa crea relazioni e una migliore

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conoscenza reciproca tra gli uomini. Con questo spirito, alcune comunitàterritoriali hanno posto in atto forme di “aiuto di solidarietà” (invio di ogget-ti: libri, materiale medico, materiale per i trasporti, etc.) e hanno finanziatopiccole infrastrutture (pozzi, scuole, dispensari, etc.).

Tali azioni non si distinguono dalle modalità tradizionali di sostegno allosviluppo e si interessano più dell’equipaggiamento del dispensario che del-l’organizzazione del sistema sanitario locale, più della costruzione di unascuola che del suo inserimento nel contesto sociale, più del costo direttodei progetti che dell’attivazione di dispositivi perenni di finanziamento dellosviluppo locale.

In altre parole si orientano a realizzare infrastrutture, piuttosto che preoc-cuparsi di costruire dispositivi e procedure di sostegno alle innovazionisociali.

Da questo punto di vista, alcuni enti locali hanno riprodotto le stesse pra-tiche e, talvolta, gli stessi errori commessi dalle prime Ong o dagli istitutimissionari, nel periodo in cui questi cominciavano a lavorare nel campodella cooperazione allo sviluppo.

� 1.3.2 Rafforzamento istituzionale degli enti locali

Altri progetti agiscono decisamente più nel quadro del rafforzamento isti-tuzionale degli enti locali, appoggiando la gestione di servizi urbani, la pre-disposizione di aree artigianali, il miglioramento della qualità dei servizisanitari, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani, etc. Questa secondatipologia d’approccio inserisce l’appoggio dell’amministrazione locale delNord nel contesto politico e istituzionale del paese partner, alla ricerca distrade che permettano di legittimare le nuove collettività territoriali demo-craticamente elette. Estendono a volte il loro raggio d’azione, appoggiandola creazione di meccanismi di previdenza sanitaria o scolastica, attraversocontributi finanziari a fondi locali di sviluppo, etc., il tutto con l’idea di favo-rire le dinamiche di sviluppo locale.

“Questo approccio dà per scontato che sviluppo dell’istituzione comuna-le e sviluppo locale siano due movimenti che si nutrono a vicenda. Sebbeneciò sia auspicabile, questo meccanismo è tutt’altro che spontaneo. Al con-trario occorre costruirlo. Tra le istituzioni pubbliche nate recentemente conil processo di democratizzazione in vari paesi del Sud del mondo, detentri-ci del potere politico, ma la cui legittimità non è ancora riconosciuta social-mente, e iniziative locali generate da forze sociali, che vantano una presen-za assai precedente, bisogna innanzitutto stabilire delle relazioni di fiduciaper poter costruire insieme il futuro” (Husson, 2001, p. 3).

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� 1.3.3 Costruzione di relazioni societarie

Infine, si può esaminare un terzo approccio, a volte evocato tra le prero-gative degli attori della cooperazione decentrata, ma che è ancora in parteda mettere a punto e soprattutto da applicare. In esso, il ruolo specifico chepossono svolgere le collettività territoriali del Nord è quello di fornire un ap-poggio istituzionale alla costruzione di relazioni societarie. Non prima di es-sersi parallelamente interrogate e confrontate con le proprie comunità loca-li al Nord.

In particolare si potrà svolgere un’azione di supporto alle collettività loca-li del Sud:– nel costituirsi come interlocutrici dell’associazionismo, anziché nel consi-

derarsi come delle associazioni supplementari;– nell’introdurre e sviluppare il concetto di servizio pubblico;– nell’attirare l’attenzione dei tecnici dei servizi pubblici nazionali verso i

problemi della popolazione;– nello stimolare l’elaborazione di piani locali di sviluppo; – nel lavorare in concertazione con lo stato;– nell’applicare i sistemi fiscali locali, etc.

Partendo da questa prospettiva, le collettività territoriali del Nord potran-no aiutare i loro partner a reintrodurre l’azione pubblica nello sviluppo a par-tire dai problemi concreti che le società devono risolvere e, così facendo, ri-daranno all’azione pubblica una dimensione che oggi le è contestata.

In questo senso la cooperazione decentrata è una componente della ri-legittimazione degli stati del Sud, contribuendo al successo della decentra-lizzazione; essa sarà uno stimolo per le istituzioni partner decentrate e le or-ganizzazioni locali, per dare un contenuto alla nozione di “spazio pubblico”e al ruolo che le associazioni della società civile possono svolgere al suo in-terno.

Questo terzo approccio assegna un contenuto particolare alla coopera-zione decentrata, quello di accompagnare la trasformazione dell’organizza-zione amministrativa e politica di un paese, nella direzione di una più gran-de trasparenza e di una più grande efficacia nei servizi alla popolazione.

Per far questo, la cooperazione decentrata deve essere concepita:– come un appoggio per favorire l’esercizio, da parte delle società, dei dirit-

ti e in particolare del diritto alla cittadinanza responsabile. Essa può esse-re un fattore in grado di ridurre la distanza tra il vertice istituzionale e labase;

– come un sostegno allo sviluppo economico e sociale, attraverso la parte-cipazione alla messa in opera e al rafforzamento dei servizi collettivi e didispositivi permanenti, piuttosto che attraverso il finanziamento di proget-ti e programmi limitati nel tempo.

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Diffondendo le loro competenze, le collettività del Nord allargano i loroorizzonti in un mondo in cui l’appartenenza a delle reti internazionali èdiventata un’esigenza indifferibile.

L’incoraggiamento alla partecipazione, appoggiata nei paesi del Sud,può diventare una “palestra” per approfondire il funzionamento della demo-crazia nelle collettività del Nord.

Questo terzo approccio alla cooperazione decentrata apre inoltre unnuovo spazio di collaborazione tra gli enti pubblici e il privato sociale, costi-tuito ancora in primo luogo dalle Ong.

La sua originalità consiste nel poggiare su di un asse istituzionale, purbeneficiando allo stesso tempo di un legame stretto con il territorio locale,il che la porta a mobilitare la popolazione al di là dei limiti costituiti dai cer-chi ristretti di tecnici e militanti dello sviluppo e delle imprese che vedononella cooperazione un mercato. Questo doppio carattere può permettere diagire con quella continuità nel tempo che caratterizza ogni azione di coo-perazione e di “animarla” con quelle relazioni umane senza le quali essanon esisterebbe.

1.4 BUONE PRATICHE PER APPRENDERE DALL’ESPERIENZA

Esistono degli esempi che dimostrano che questa prospettiva è concre-tizzabile.

Tra le best practices presentate in una recente pubblicazione (Mazzali,Lupi, 2004) ci interessa particolarmente ricordare quelle messe in atto traattori italiani e attori dell’Africa occidentale, nell’area in cui si svolge il pro-getto “Da rifiuto a risorsa”, di cui si occupa il presente volume.

Oltre a quelli promossi dalla Regione Lombardia e dall’Ong Acra insie-me alla Regione di Ziguinchor in Senegal e dalla Regione Piemonte con il“Progetto Giubileo: artigiani, agricoltori e cooperatori piemontesi per la soli-darietà con il Burkina Faso” (Pedicini, Pomicino, Stocchiero, 2004), ci sem-bra interessante segnalare due esperienze innovative maturate negli ulti-missimi anni nel contesto del vivace dibattito promosso nella società dallaRegione Piemonte e raccolto con interesse da comuni, università, mondodella scuola e associazioni.

� 1.4.1 Il Coordinamento dei comuni per la pace

Il Coordinamento dei comuni per la pace della Provincia di Torino, fon-dato per divenire promotori di una diplomazia della pace e del sostegnoattivo ai territori poveri del mondo, sta mobilitando forze e partecipazione

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attorno alla cooperazione con città dell’area saheliana, nel quadro delProgramma per la sicurezza alimentare in Sahel.

Formando delle aggregazioni fra comuni piemontesi che si collegano auna città o a una comunità rurale del Senegal o del Burkina Faso, si tenta-no nuove formule per far crescere nel tessuto sociale il senso che una cittàpossa diventare protagonista della globalizzazione dal basso di modelli disviluppo alternativi, attivando reti sociali, non gerarchiche e non competiti-ve.

I progetti sono realizzabili grazie al cofinanziamento previsto dalla legge67/95 della Regione Piemonte e al contributo dei cittadini.

In uno di questi progetti, denominato “Ne Yi Beeogo Burkina”(Buongiorno Burkina), cinque comuni (Beinasco, Moncalieri, Nichelino,Rivoli, Settimo) hanno stretto un accordo con Ouahigouya (Burkina Faso)per sostenere il “Progetto di Società” elaborato dalla municipalità burkina-bé.

“Ne Yi Beeogo Burkina” vuole essere un laboratorio di cooperazionedecentrata, la sperimentazione di un lavoro in cui al Nord come al Sud sicostituiscano tavoli di concertazione, confronto e gestione del progetto, aiquali partecipino con la stessa dignità (pur nel rispetto dei differenti ruoli)amministratori, funzionari, rappresentanti della società civile.

Questa metodologia richiede il mutuo riconoscimento tra i diversi sog-getti partecipanti e, a volte, la decostruzione di alcuni stereotipi e pregiudi-zi. Essa impegna le amministrazioni locali italiane in una scelta che preve-de non solo, come in passato, il finanziamento di realizzazioni al Sud, mal’istituzione di una relazione stabile e continuativa nel tempo, il coinvolgi-mento attivo di eletti e funzionari, l’impegno a sensibilizzare la cittadinanzasulla necessità di crescere come città aperte e solidali in un mondo sem-pre più interdipendente e la ricerca di collaborazioni con tutte le forzedisponibili del proprio territorio.

Un ruolo importante lo rivestono le Ong della Cittadella delle civiltà3, chein “Ne Yi Beeogo Burkina” sono partner del progetto, sia in qualità di orga-nismi tecnici qualificati (funzione di antenna, monitoraggio della realizzazio-ne delle azioni, accompagnamento), sia di soggetti politici che contribui-scono al confronto sui valori di fondo, sulle strategie e gli obiettivi della coo-perazione allo sviluppo e all’individuazione delle azioni per le iniziative dieducazione e sensibilizzazione in Italia.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE32

3 La Cittadella delle Civiltà è attualmente promossa da sette Ong torinesi (Ccm, Cicsene,Cisv, Lvia, Mais, Msp, Rete) da tempo impegnate in azioni di cooperazione internazionale.D’intesa con la Città di Torino, essa si propone come servizio operativo per il dialogo traNord e Sud del mondo, per favorire la pace e lo sviluppo.

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Il progetto in loco vede come partner principale l’amministrazione diOuahigouya che ha la responsabilità di coordinare il lavoro sul proprio ter-ritorio, realizzato da associazioni locali o direttamente dai servizi municipa-li. Per ogni singola azione è prevista la partecipazione attiva dell’ammini-strazione di Ouahigouya che mette a disposizione le proprie risorse (spazi,personale, servizi) per la realizzazione dei microprogetti: ciò contribuiscealla creazione di rapporti stabili tra le associazioni e la “giovane” ammini-strazione pubblica.

Gli ambiti di intervento del progetto in Burkina sono riconducibili ad alcu-ni degli “obiettivi del millennio” (Millennium Goals) e sono stati selezionati dicomune accordo attraverso un processo di negoziazione tra enti locali eassociazioni, italiane e burkinabè:– sostegno al lavoro delle associazioni femminili (alfabetizzazione, lotta alle

mutilazioni sessuali e promozioni dei diritti della donna);– educazione (edilizia scolastica, sostegno alla scolarizzazione di bambine

svantaggiate, sensibilizzazione sulla igiene alimentare, lotta al traffico deiminori);

– rafforzamento dei servizi municipali (biblioteca).Volendo intendere la cooperazione decentrata innanzitutto come una

relazione tra territori, una parte rilevante delle risorse messe a disposizionedai comuni è destinata a favorire lo scambio e la conoscenza diretta traappartenenti alle comunità italiane e burkinabè.

� 1.4.2 Poliedro, una metodologia partecipativa per la cooperazionedecentrata

“Poliedro” è uno strumento di lavoro pensato per aiutare gli enti localipiemontesi a intraprendere un progetto di cooperazione internazionale.Consiste in una sorta di mappa ragionata di domande attraverso la qualeun amministratore o un funzionario locale è stimolato a operare scelte e adefinire azioni di cooperazione coerenti con gli obiettivi e le possibilità delproprio comune4.

La prima caratteristica che rende questo strumento particolarmente inte-ressante è il metodo con cui è stato costruito, puntando su un approcciopartecipativo per dare forma agli apprendimenti che vari attori sociali ave-vano tratto dalle esperienze fatte sul campo.

4 Dal punto di vista pratico, “Poliedro” è costituito da un file di Power Point, disponibile inmodalità presentazione, attraverso il quale – mediante una serie di pulsanti – è possibileaccedere a varie sezioni, costituite da file di word. Esso sarà reperibile sul sitohttp://agora.regione.piemonte o in cd rom.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE34

È stato costruito, per iniziativa del Coordinamento comuni per la pacedella Provincia di Torino, di concerto con la Regione Piemonte, da un grup-po di lavoro formato da amministratori e funzionari di enti locali piemontesi,da rappresentanti di Ong, istituzioni religiose e funzionari della RegionePiemonte, partendo da indicazioni fornite da un gruppo più ampio di ammi-nistratori e funzionari di enti locali piemontesi.

Lo si è voluto chiamare “Poliedro” per evocare i tanti possibili punti dipartenza, pur nell’unicità del traguardo finale, del cammino di un ente loca-le verso la cooperazione internazionale.

L’orizzonte di riferimento di Poliedro sono i principi e i metodi della coo-perazione decentrata, che gli autori dello strumento definiscono come unmodo di fare cooperazione allo sviluppo basato su un processo che haalcune precise caratteristiche:– l’accordo tra un ente locale italiano e un ente locale di un paese in via di

sviluppo (il “partner estero”);– il coinvolgimento nel progetto di attori diversi del territorio che l’ente loca-

le italiano rappresenta, a partire da una riflessione all’interno della cittadi-nanza sui benefici che esso può apportare alla comunità nel suo com-plesso;

– l’accordo e la collaborazione tra questi soggetti e i loro omologhi dell’en-te locale estero;

– la collaborazione e lo scambio di competenze tra tutti questi soggetti perla risoluzione di problematiche comuni.In una prospettiva di cooperazione decentrata, un ente locale è chiama-

to a due compiti fondamentali:– promuovere direttamente azioni di cooperazione con comunità locali di

paesi in via di sviluppo, assumendo come interlocutori preferenziali glienti locali che rappresentano quelle comunità;

– sostenere azioni di cooperazione avviate da altri soggetti locali (parroc-chia, gruppi di volontariato, scuole, etc.) favorendo, però, intorno a quel-le azioni, la costruzione di una rete di sostegno caratterizzata dall’integra-zione di soggetti diversi.In entrambi i casi l’ente locale è sollecitato a mettere a disposizione le

proprie competenze specifiche (coordinamento e rappresentanza di inte-ressi e risorse diversi, capacità tecnico-gestionali puntuali, etc.) per darealla partecipazione al progetto un valore che trascenda il sostegno pura-mente economico.

In questo processo ci sono alcuni temi fondamentali:– i benefici: la cooperazione non è elargizione di denaro a scopo di bene-

ficenza e assistenza. Può partire anche da una scelta iniziale di questogenere ma non può fermarsi lì. Cooperare vuol dire costruire con un altroqualcosa che produca vantaggi per entrambi. Il punto di partenza non

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può che essere quindi l’identificazione dei benefici per tutti i soggetti incampo compresa la propria comunità;

– il consenso: la cooperazione “cresce” e si radica in un ente locale. Ciòcomporta un continuo confronto con i cittadini che alimenti una visionedella cooperazione come “investimento sociale”;

– la condivisione: cooperare vuol dire anche crescere insieme. Per questoimplica un cammino, a volte lento e faticoso, di de-costruzione di stereo-tipi e di maturazione culturale. In questo processo il dialogo di tutti gliattori coinvolti intorno agli obiettivi e alle motivazioni, alle azioni e ai meto-di, pone le condizioni perché questa maturazione avvenga;

– le risorse economiche: le idee, si dice, camminano sulle gambe delle per-sone ma anche sulla disponibilità di qualcuno a investire in un progettoqualcosa di tangibile. Senza la capacità di trovare fonti di finanziamento,la cooperazione non vive e non prospera. E siccome i benefici della coo-perazione non sono sempre immediatamente evidenti, oggi è particolar-mente necessario investire nella ricerca di nuove possibilità di finanzia-mento e nello sforzo di motivare i potenziali soggetti finanziatori.Attraverso Poliedro l’ente locale è più volte stimolato a interrogarsi su

questi temi e a trovare la propria personale risposta.Lo strumento sarà testato e sperimentato nel corso del 2004, ma un

primo risultato lo ha già sicuramente raggiunto: quello di creare confronto econdivisione sulle politiche di cooperazione in tutta la Regione Piemonte.

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CAPITOLO

LO SVILUPPO LOCALE: COSTRUIRE PONTI TRA I

LUOGHI DEL SUD E DEL NORD DEL MONDOdi Elisa Bignante ed Egidio Dansero 1

2.1 INTRODUZIONE

Sia al Nord che al Sud del mondo lo sviluppo locale ha assunto da alcu-ni anni un’importanza e un’attenzione crescenti, in controtendenza rispettoad alcuni esiti del processo di globalizzazione, che portando i diversi luoghidella Terra a essere più facilmente collegabili in tempi rapidi, sembrano inparte annullare le distanze geografiche e acuire le difficoltà dei principaliattori interposti nei rapporti tra territori diversi (in particolare gli stati nazio-nali) a svolgere il loro ruolo di mediazione, tanto da spingere alcuni autori aparlare di “fine dei territori” (Badie, 1995).

Di fronte a queste dinamiche, il locale paradossalmente sembra inveceassumere una nuova centralità, nel momento in cui i territori sono in gradodi sfruttare le proprie specificità ed elaborare strategie di sviluppo che par-tono dalla presa d’atto delle potenzialità e caratteristiche distintive di ognicontesto. Mentre la globalizzazione annulla, per certi versi, la distanza fisi-ca tra luoghi, paiono dunque acquisire sempre più peso “altre distanze”,come quelle economiche, ambientali e culturali, rivelando la loro natura distrumento di regolazione delle relazioni sociali. Inoltre la crisi delle grandinarrazioni dello sviluppo e la consapevolezza del fallimento di pratiche disviluppo imposte in vario modo dall’alto, dal dirigismo forte alla retorica par-tecipativa strumentale, senza tener conto delle specificità territoriali (attori,risorse, elementi culturali materiali e non, etc.) ha portato a partire dagli an-ni ’80 al progressivo passaggio da una concezione di sviluppo funzionale,dall’alto, a una di sviluppo territoriale, dal basso (Stöhr, Taylor, 1981; Taylor,Mackenzie, 1992; Friedmann, 1992).

22

1 Per quanto il lavoro sia frutto di un’impostazione ed elaborazione comune, la stesuradei par. 2.1, 2.4, 2.5 si deve a Elisa Bignante, quella dei par 2.2, 2.3, 2.6 a Egidio Dansero.

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In questo contesto culturale e politico lo sviluppo locale rappresenta unasfida strategica, una chance, un’alternativa che adotta chiavi di lettura sueproprie per comprendere, organizzare e sostenere i processi in atto nei di-versi territori.

All’interno di un progetto di cooperazione decentrata qual è “Da rifiuto arisorsa”, lo sviluppo locale diventa il campo di lavoro comune ai diversi ter-ritori coinvolti in relazione alla tematica della gestione partecipata dei rifiutiurbani. A partire da profonde differenze geografiche e storiche i diversi luo-ghi e attori messi in rete dal progetto si confrontano arricchendosi recipro-camente sulle diverse modalità di regolare localmente il rapporto società-ambiente e di impostare, sia pure a livello micro, azioni in una logica di svi-luppo locale sostenibile.

Nelle pagine che seguono ci si propone di approfondire i percorsi discoperta, i caratteri e le diverse sfaccettature con cui lo sviluppo locale si èaffermato al Nord e al Sud del mondo, e di individuarne alcune chiavi di let-tura e quei caratteri distintivi che rendono possibile l’innescarsi di processivirtuosi sia al Nord che al Sud, in grado di fornire risposte appropriatamen-te declinate localmente a problematiche inserite in più ampie dinamicheglobali, come è il caso della gestione dei rifiuti.

2.2 ALCUNE RIFLESSIONI SULLO SVILUPPO LOCALE AL NORD

In Europa, e in particolare in Francia, in Gran Bretagna e in Italia, il dibatti-to e le riflessioni teoriche sullo sviluppo locale si sono susseguite a partire

da una serie di avvenimenti economici, sociali e culturali significativi chehanno introdotto la necessità di ridefinire, approfondire, reinterpretare inmaniera più completa il concetto di sviluppo.

Senza alcuna pretesa di esaustività, ripercorriamo per sommi capi quelliche ci appaiono i principali percorsi attraverso i quali la tematica dello svi-luppo locale ha acquisito una posizione centrale all’interno del dibattito sul-le politiche di sviluppo in Italia. Faremo anche un cenno all’esperienza fran-cese in quanto ha giocato un ruolo importante nell’influenzare il dibattitosullo sviluppo locale nell’Africa francofona.

� 2.2.1 La scoperta di dinamismi economici imprevisti e decentratirispetto a luoghi e modelli dominanti di sviluppo

Se in Francia lo sviluppo locale si è affermato a partire dalla crisi dellagrande industria e del mondo rurale francese, come necessità di trovare nuo-ve risposte e sentieri di sviluppo per fronteggiare la crisi in atto (Mengin,

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1989; Pecqueur, 1989), per lungo tempo in Italia si è ritenuto che il modello disviluppo coincidesse con quello della grande impresa. Così le politiche diaiuto allo sviluppo negli anni Cinquanta e Sessanta hanno tentato di riprodur-re nelle aree arretrate del sud Italia, nella maggior parte dei casi con scarsosuccesso, il modello della grande impresa diffusosi soprattutto nel nord-ovest del paese (Torino, Milano, Genova), con il prevalere di impostazioni es-senzialmente dualistiche (nord-sud, grande-piccola impresa, etc.). In segui-to, a partire dagli anni Settanta, l’analisi economico-sociale ha individuato nelnord-est e nel centro Italia degli ispessimenti localizzativi che hanno continua-to a crescere anche quando il modello della grande impresa perdeva forzalavoro. Si è trattato di dinamismi economici imprevisti, non riconducibili sol-tanto alla crisi della grande impresa, ma derivanti da percorsi autonomi di va-lorizzazione di potenzialiltà locali (infrastrutture, know-how, dotazioni ambien-tali, aspetti sociali e culturali, etc.). In questo contesto sono maturate le sco-perte della “terza Italia” (Bagnasco, 1977), cioè del modello di sviluppo deltessuto di piccole e medie imprese concentrate nel nord-est italiano, e dei di-stretti industriali, recuperando le concettualizzazioni già introdotte da Mar-shall alla fine del 1800 (Becattini, 1985). Nel caso dei distretti industriali, laconcentrazione spaziale di sistemi di piccole e medie imprese specializzatein uno o pochi settori produttivi consente di ottenere dei vantaggi (economieesterne, rapporti di fiducia, diffusione del know how, etc.) che diversamentesarebbero stati unicamente prerogative delle grandi, evidenziando l’esisten-za di sentieri di sviluppo alternativi al modello della grande impresa e sottoli-neando come lo sviluppo in queste aree non abbia preso le mosse dall’ester-no, ma dalle vocazioni e dalle tradizioni produttive locali.

� 2.2.2 L’analisi delle politiche pubbliche del territorio e la nuovaattenzione per le dinamiche relazionali fra attori che sono concen-trati in un dato luogo

Di fronte al fallimento di politiche di sviluppo calate dall’alto, di interventibasati su interpretazioni esogene di un dato luogo e pensati come centratisull’azione del soggetto pubblico, nell’ultimo ventennio si è registrato in Ita-lia come in Francia il passaggio da una visione giuridico-formale dell’eser-cizio del governo alla rilevazione empirica e maggiormente partecipativadegli attori e dei meccanismi di interazione; dal ruolo esclusivo del sogget-to pubblico alla costruzione di partnership pubblico/pubblico epubblico/privato. Si parla a questo proposito di governance urbana e terri-toriale (Bagnasco e Le Galès, 1997), per indicare un processo in cui l’atto-re pubblico (i diversi enti territoriali e non) entra più apertamente in intera-zione con gli altri attori presenti sul territorio (economici, sociali, culturali,

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etc.), e di territorializzazione delle politiche, per evidenziare la necessità diadeguarle ai diversi contesti territoriali.

� 2.2.3 L’analisi territorializzata dell’innovazione tecnologica

Un altro passaggio importante consiste nella presa d’atto nel corso deglianni Ottanta che la produzione di conoscenza e innovazione tecnologica,risorsa chiave per lo sviluppo, non nasce e si riproduce allo stesso modo inogni contesto. Muovono in questa direzione gli studi del Gremi (Groupe derecherche sur les milieux innovateurs) sui milieu innovativi, volti all’indivi-duazione di quegli elementi (presenza di know-how, di università e istituti diricerca, buona circolazione delle informazioni, etc.) che favoriscono la for-mazione e il radicamento dell’innovazione in determinati territori rispetto adaltri. Il caso di contesti come la Silicon Valley in California, dove è concen-trata buona parte dell’industria elettronica e informatica, e dei tentativi, nonrisultati sempre positivi, di riprodurre altrove lo stesso modello di concentra-zione territoriale, dimostrano come ci siano insediamenti locali che più di al-tri, con dinamiche endogene e non prevedibili e grazie a dotazioni territoria-li specifiche non esportabili con facilità in altri contesti, sono in grado di pro-durre conoscenza e innovazione.

� 2.2.4 La critica all’ortodossia nelle politiche di sviluppo a livellointernazionale

A livello internazionale è divenuto nel contempo sempre più evidente co-me i concetti di sviluppo e di crescita economica non possano essere assi-milati. Si comprende come lo sviluppo si componga di innumerevoli aspettie sfaccettature non riconducibili al solo aspetto della crescita. Si cominciacosì ad associare nuovi aggettivi alla parola sviluppo e nascono le defini-zioni di sviluppo umano e di sviluppo sostenibile. L’enunciazione più accre-ditata di sviluppo sostenibile risale al Rapporto Bruntland degli anni ‘80, percui è sostenibile uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente, senzacompromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propribisogni. Questa definizione ha avuto origine perché ci si è resi conto dei co-sti ambientali e sociali dello sviluppo, che non si possono risolvere solo do-po che si sono sviluppati i vantaggi, ponendo l’accento su un’idea di solida-rietà inter e intra generazionale. Più in generale si è compresa l’importanzadelle componenti ambientali in senso lato (ecosistemiche, sociali, culturali,politiche) e non solo di quelle economiche nel determinare le potenzialità disviluppo di un dato territorio (Tarozzi, 1990; Segre, Dansero, 1996).

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� 2.2.5 Una nuova visione critica dello sviluppo

L’incrociarsi di questi e altri avvenimenti e riflessioni ha portato a un cam-biamento radicale del modo di pensare e concepire lo sviluppo (e di conse-guenza le politiche di aiuto allo sviluppo). Emerge infatti come non sia piùpossibile individuare un unico sentiero da seguire comune a ogni contesto,mentre si sottolinea la necessità di ripensare il concetto di sviluppo e di tro-vare in concreto nuove “ricette” per intervenire sui diversi locali.

Due in particolare sono le implicazioni dirette di questo processo. In pri-mo luogo il cambiamento della concezione dello spazio: si passa dall’ideadi spazio come supporto passivo, mero deposito di opportunità localizzati-ve, all’idea di territorio come supporto attivo, come matrice di organizzazio-ne e di interazione sociale (Dematteis, 1995; Governa, 1997).

In secondo luogo da un approccio allo sviluppo funzionale e dall’alto, sipassa gradualmente a un approccio territoriale e dal basso: da una conce-zione di sviluppo unilineare, che dovrebbe procedere inesorabilmente (selasciato libero di agire) secondo un unico modello, alla concezione di unapluralità di modelli di sviluppo, in relazione alle diverse specificità geografi-che (alle diverse scale). Da uno sviluppo concepito in maniera puramenteeconomica e misurabile in termini quantitativi, a uno sviluppo a più dimen-sioni qualitative che partono dal potenziale endogeno, dalle specificità lo-cali, dalla volontà e dal ruolo degli attori locali.

� 2.2.6 Dalle storie di successo all’istituzionalizzazione dello svilup-po locale

A partire da queste evidenze e riflessioni si è cercato, in Italia come in al-tri contesti, di decifrare le storie di successo e di creare strumenti istituzio-nali per promuovere processi di sviluppo locale.

L’istituzionalizzazione dello sviluppo locale, da innovazione nello sguar-do sul territorio si è progressivamente trasformata e affermata come ap-proccio codificato alla base di un insieme di strumenti, da quelli della pro-grammazione negoziata (patti territoriali, contratti di quartiere, etc.), ai di-stretti industriali ex lege, ai sistemi locali turistici (Slot). Come tutte le istitu-zionalizzazioni, che di solito seguono i processi economico-sociali, il rac-chiudere in definizioni, peraltro necessarie ai fini regolativi, irrigidisce, ap-piattisce e burocratizza processi che sono di per sé dinamici, eterodossi,informali. Tuttavia, oltre ai limiti intrinseci di qualunque istituzionalizzazione,ciò che ci preme sottolineare è che nel Nord del mondo lo sviluppo localearriva a essere codificato nelle pratiche dopo che sono diventate di dominiocomune alcune “scoperte” di livelli di complessità del reale non previsti dal-

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le teorie mainstream e che innovazioni teoriche sono state prodotte per co-gliere tali novità.

Questo sembra essere in particolare il caso della Francia e dell’Italia, an-che se ciò è avvenuto a partire da situazioni variegate e con percorsi diver-si che fanno sì che lo sviluppo locale abbia un significato diverso nei duecontesti – d’altra parte, se si vuole lo sviluppo locale, bisogna accettare cheesso possa essere interpretato differentemente in contesti territoriali diffe-renti.

2.3 ALCUNE RIFLESSIONI SULLO SVILUPPO LOCALE AL SUD

Maturato al Nord a partire da situazioni e in contesti differenti, che hannodato vita a una dovizia di approcci e interpretazioni, lo sviluppo locale rap-presenta ormai da una decina di anni una delle parole chiave che pur conmetodi e declinazioni differenti interessa in maniera crescente il Sud delmondo e in particolare la cooperazione allo sviluppo, dalle istituzioni multi-laterali internazionali come la Banca mondiale, o le agenzie (Pnud, Fenu,Unep, Ilo, Fao, etc.) del sistema delle Nazioni unite, all’attività della Ue, allecooperazioni nazionali bilaterali, al mondo delle Ong del Nord e delle lorocrescenti omologhe del Sud, al montante e variegato mondo della coopera-zione decentrata.

Tale recente fervore porta a chiedersi se lo sviluppo locale non rappre-senti un altro dei prodotti esportati dall’Occidente, una nuova moda del si-stema internazionale degli aiuti, un ennesimo modello da seguire (Lecomte,2002), o se possa rappresentare, dal punto di vista geografico, un’innova-zione nel modo di leggere il territorio, immaginarne e progettarne la trasfor-mazione che si lega a quelle che sono le caratteristiche e le necessità deicontesti locali del Sud.

Di fatto, diversi paesi del Sud del mondo sono stati caratterizzati negli ul-timi anni sia dalla scoperta di dinamiche locali endogene impreviste o nonrigidamente riconducibili come esiti dell’aiuto allo sviluppo, sia dal muta-mento dell’approccio della cooperazione allo sviluppo, passando da pro-cessi esogeni, dall’alto, ad approcci autocentranti, dal basso, self-reliant,portati avanti soprattutto da gruppi minoritari, quanto a potere, come molteOng del Nord del mondo e un crescente numero di Ong del Sud.

Tra le novità impreviste, si collocano gli interessanti movimenti sociali neidiversi Sud, che spesso “hanno rinunciato ad aspettare tutto dal buon vole-re dei potenti e che non credono più né nell’aiuto né nella cooperazione in-ternazionale” (Rist, 1997, p. 247). Si tratta di variegate esperienze organiz-zate che mirano a riappropriarsi e rigenerare il loro “spazio locale”, riuscen-do nel contempo a sollevarsi dal locale e a riunirsi e federarsi in organizza-

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zioni piuttosto complesse che riuniscono fino anche a oltre mezzo milione dipersone come alcune esperienze in Messico, o in Africa occidentale2. Vasegnalato tuttavia che, nonostante quanto sostenuto da Rist, molte di que-ste esperienze non appaiono antagoniste rispetto alla cooperazione allosviluppo, ma anzi sono prosperate proprio grazie alla capacità di attirare egestire cospicui aiuti dalla cooperazione internazionale, riuscendo nel con-tempo a coinvolgere dal basso contadini e villaggi e coniugando positiva-mente tradizione e modernità. Come tali, su queste esperienze si sono pun-tati i riflettori della cooperazione internazionale, e molte agenzie di aiuto eOng fanno dell’appoggio a questi dinamismi il fulcro della loro strategia diintervento.

In questo mutamento di approcci, va affermandosi una riflessione criticasul senso e sul ruolo di un’agenzia di aiuto, sull’importanza degli attori, deivalori locali, sulla crucialità di rafforzare e appoggiare le capacità auto-or-ganizzative del locale, sulle dimensioni sociali, relazionali e ambientali diuno sviluppo non riconducibile solo a una sfera economica separata dal so-ciale (Polanyi, 1983). Nel dar spazio a un approccio riconducibile a un’ideadi sviluppo comunitario, dal basso, auto-centrato, il mondo della coopera-zione si è anche attrezzato con tutta una serie di strumenti di analisi delcontesto territoriale, sociale, culturale, che fanno leva sulla partecipazione,sulla necessità di cogliere il punto di vista del locale, come i vari approcciche rientrano nel filone della “diagnostica partecipativa” (Marp, Rra, etc.),(Bertoncin et al., 1999). Come si è detto, questo mutamento di sguardosembra aver contagiato non solo attori sensibili come le Ong, ma anche igrandi organismi internazionali.

Sembra inoltre consolidarsi una transizione verso una cooperazione si-stemica. Se per anni imprese avevano cooperato con imprese, Ong conOng, amministrazioni pubbliche con amministrazioni pubbliche in una rigi-da ricerca dell’omologo escludendo il dialogo con altri soggetti, finalmenteè dato per acquisito (a volte in maniera forse strumentale finalizzata all’effi-cienza della macchina progettuale) la necessità di lavorare in rete fra istitu-zioni diverse. Ciò ha permesso alle Ong di relazionarsi con fiducia e sfidanei confronti delle nuove amministrazioni locali e di stringere partnershipsolide con le amministrazioni centrali, mentre per le amministrazioni si ètrattato di stabilire maggiori legami con la società civile.

Altri due aspetti che emergono con forza nel quadro dello sviluppo loca-le al Sud sono il marcato riferimento istituzionale e lo stretto legame con i

2 Rist cita ad esempio il movimento Swadhyaya, in India, che conta di un vasto seguito.Di grande interesse in Africa Occidentale è l’organizzazione dei gruppi Naam del BurkinaFaso (Pochettino, 1997; Holmen, Luzzati, 1999).

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processi di decentramento politico-amministrativi in corso in molti contesti(in particolare ci si riferisce all’Africa sub-sahariana). Chiedendo a un qua-lunque operatore del mondo della cooperazione allo sviluppo – dal funzio-nario all’esperto ministeriale, o dall’amministratore locale al responsabileprogetti di una Ong locale – cosa rappresenti per loro lo sviluppo locale,con buona probabilità le risposte si riferiranno ad alcune pratiche in buonaparte codificate, strettamente legate ai processi di decentramento, e quindia un approccio abbastanza definito. Ciò non deve stupire, sono le regolestesse del mondo della cooperazione allo sviluppo che spingono a codifi-care fortemente il linguaggio, gli approcci, a “routinizzare” le pratiche, al fi-ne di ottenere l’approvazione di progetti e il loro finanziamento, senza tutta-via impedire che lo sviluppo locale faccia presa, almeno in molti casi e con-testi, sulla mobilitazione attiva degli attori e delle risorse presenti in un terri-torio. La stretta relazione tra lo sviluppo locale e i processi di decentramen-to politico-amministrativo in corso, pur con forme e velocità differenti, in di-versi paesi dell’Africa sub-sahariana, fa sì che lo sviluppo locale venga ge-neralmente presentato come la logica e lo strumento indispensabili per sti-molare gli enti locali, e la società locale di riflesso, a pensare ed elaborarestrategie di sviluppo del proprio locale, sul piano infrastrutturale, economi-co, sociale (Correze, Intartaglia, 2002; Sequeira, 1997).

In questo senso va ricordato come il modello di decentramento, soprat-tutto nell’Africa francofona, sia stato particolarmente sostenuto tanto dal-l’amministrazione centrale francese (attraverso il ministero della Coopera-zione, la direzione del Tesoro, la direzione delle Collettività Locali, la direzio-ne degli Affari Economici Internazionali, la Cassa francese di sviluppo)quanto dalle amministrazioni locali in particolare con le consolidate espe-rienze di gemellaggio. Ad esempio, in Senegal il processo di decentramen-to ha conosciuto una decisa accelerazione nel 1996, con la regionalizzazio-ne, attraverso la creazione di 10 regioni e con un trasferimento di compe-tenze oltre che alle regioni alle altre collettività locali, cioè ai comuni e allecomunità rurali, create già nel 1972, ma di fatto relegate fino al 1990 sotto ilcontrollo di un sotto-prefetto, e solo dal ’96 dotate di effettiva capacità diazione.

Nell’esperienza senegalese, lo sviluppo locale è allora soprattutto vistocome uno strumento tecnico a disposizione delle comunità rurali, cui vieneassegnato il compito di redigere appunto un “piano locale di sviluppo”, de-stinato il più delle volte a rimanere un documento affrettato o velleitario afronte di scarsissimi fondi a disposizione dell’istituzione locale e di una ca-rente se non nulla formazione degli amministratori locali in quello che sonole loro competenze e poteri nell’accompagnamento dello sviluppo locale.

Strettamente connessa con le politiche e i processi di decentramento,esiste inoltre un’ampia riflessione dal taglio fortemente pragmatico sulla

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questione del finanziamento dello sviluppo locale e sui rapporti tra attoripubblici e privati. Questa appare una questione centrale nel processo didecentramento che a un trasferimento di competenze a enti locali non faseguire un proporzionale trasferimento di risorse, peraltro scarse, che ri-mangono fortemente centralizzate, rendendo cruciale il ricorso a forme di fi-nanziamento esterne alla pubblica amministrazione, per far fronte a un pro-cesso di sviluppo locale che viene fortemente istituzionalizzato all’internodei processi di decentramento3.

Per quanto riguarda la riflessione teorica sullo sviluppo locale, a frontedella notevole quantità di esperienze in corso, non sembra essersi ancorasviluppata un’analisi trasversale critica, che si interroghi sui paradigmi amonte dello sviluppo locale nel contesto dei paesi in via di sviluppo, sui re-ferenti teorici e metodologici, anche se alcuni programmi in corso da partedi organizzazioni internazionali, come l’Ilo con il programma DelNet, vorreb-bero andare in questa direzione, anche se per ora rimangono sul piano delracconto di esperienze e di linee guida4. Sono invece abbondanti i riferi-menti allo sviluppo locale come approccio pragmatico, sia attraverso lapresentazione (di rado l’analisi critica) di studi di caso ed esperienze (Coly,2002; Lazarev, Arab, 2002; Bertome, Mercoiret, 1992), sia attraverso la de-finizione di linee guida, di manuali di “istruzioni per l’uso”, sia soprattuttoconnessa con il crescente protagonismo della cooperazione decentrata,soprattutto da parte di enti locali, che fa spesso dello sviluppo locale allostesso tempo il suo campo e il suo approccio di intervento (Grieco, Lenci1999; Ec, 1996). È in questo tipo di letteratura che è più evidente l’apportodell’esperienza francese, derivante anche dal fatto che molte agenzie diaiuto non governative francesi operano come accompagnatori dello svilup-po sia al Nord sia al Sud, riversando quindi pratiche e approcci nei duecontesti (si vedano ad esempio le esperienze di Avfp, 1995; Afd, 2001; Gi,2002)5.

3 All’interno di questa sezione si possono ricondurre anche le riflessioni che legano la mi-crofinanza allo sviluppo locale, prevedendo la creazione di un fondo di sviluppo locale.

4 Dal punto di vista teorico, una maggiore riflessione si può trovare in quel filone dello svi-luppo locale, portato avanti soprattutto dai grandi organismi internazionali multilaterali (Ban-ca mondiale, Ilo, Ocse) che guarda soprattutto all’esperienza italiana dei distretti industriali ealla letteratura distrettualistica italiana e anglosassone.

5 Tra gli altri, si veda il sito www.pdm-net.org/french/Dev_local/experience.htm, che rac-coglie una pluralità di esperienze di sviluppo locale nell’Africa francofona.

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2.4 LO SVILUPPO LOCALE AL NORD E AL SUD: ASPETTI, DINAMICHE E QUESTIONI CHIAVE

Una conseguenza della crescente attenzione, sia al Nord che al Sud, perlo sviluppo locale ha portato a un proliferare di chiavi di lettura, posizio-

ni, strumenti e metodologie estremamente vari e in certi casi contrastanti.Proprio per questa ragione, e in particolare nell’ambito di un progetto come“Da rifiuto a risorsa”, che si propone di facilitare e sostenere dinamiche eprocessi di sviluppo locale nei vari contesti interessati, appare utile dotarsidi un lessico comune per leggere il territorio e le sue componenti.

Il territorio va considerato innanzitutto uno degli attori centrali di un pro-cesso di sviluppo locale, in quanto portatore di uno specifico valore aggiun-to territoriale (Dematteis, 2001), definito nella interazione fra l’azione collet-tiva di un insieme di soggetti e le caratteristiche (fisiche, economiche, cultu-rali, etc.) specifiche di ogni luogo. Ma qual è il territorio di pertinenza dellosviluppo locale e come definirne i confini di intervento? In questo senso il si-gnificato di locale va inteso in senso relativo rispetto al globale e non è rife-ribile a una scala geografica definita a priori (il territorio comunale piuttostoche quello provinciale). Questo in primo luogo perché esistono molteplici li-velli di lettura di un territorio e quindi di definizione dei suoi confini, che fan-no riferimento ad aspetti diversi (economici, sociali, storici, culturali, am-bientali, geografici, etc.), in secondo luogo perché esistono livelli diversi diintervento, e quindi diverse scale a seconda degli obiettivi dell’azione col-lettiva (dall’intervento su un quartiere a quello a scala provinciale). Per que-ste ragioni l’individuazione del territorio di riferimento viene definita di voltain volta dagli attori locali nel corso dell’azione e può variare nel tempo. È in-fatti l’azione degli attori locali a definire i confini di riferimento, il territorio nonè definito dunque “a tavolino” ma in relazione alla definizione di obiettivi diutilizzo e trasformazione del proprio territorio.

Il concetto di locale presenta allora una forte componente di radicamen-to nel momento in cui i soggetti locali percepiscono, riconoscono, attivanoun insieme di risorse che sono proprie del territorio e non riproducibili con lemedesime caratteristiche altrove. È a partire da questo riconoscimento cheessi identificano, progettano e trasformano il proprio locale.

Allo stesso modo il riconoscimento delle risorse su cui intervenire nonavviene a priori ma attraverso il relazionarsi cooperativo e/o conflittuale deisoggetti locali, per i quali il territorio assume significati e interessi diversifi-cati (economici, abitativi, affettivi, sociali, culturali, etc.). È a partire da que-ste relazioni che può manifestarsi un’appropriazione endogena del territorioattraverso un riconoscimento delle risorse che rappresentano potenzialitàdi cambiamento, di crescita, di miglioramento delle condizioni di vita e difruizione degli spazi e dell’ambiente. La partecipazione, attiva e continua,

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di un folto insieme di soggetti che rappresentano realtà, posizioni, bisogni einteressi diversi assume un ruolo centrale, portando sguardi differenti che sicompletano e modellano a vicenda.

In questo senso la realtà può essere interpretata come costituita di siste-mi, intendendo come sistema un insieme di elementi e di relazioni fra essi,orientato verso un obiettivo. Ogni locale sarà allora espressione di un’enti-tà intermedia dotata di una sua autonomia nel definire la propria traiettoriadi sviluppo. In questo senso il sistema locale territoriale è pensato come co-stituito da delle componenti (le reti locali dei soggetti e il milieu territorialelocale) e da insiemi di relazioni: le relazioni dei soggetti locali tra di loro,quelle tra i soggetti locali e il milieu territoriale e quelle tra le componenti lo-cali e i livelli di scala sovralocali. A queste si aggiungono le relazioni (mate-riali e cognitive) che i soggetti, locali e non, intrattengono con il più ampioambiente locale (culturale e naturale) solo in parte compreso nelle compo-nenti di milieu.

Ogni rete di attori locali (attori in quanto soggetti in azione) sarà costitui-ta da soggetti pubblici e privati legati tra loro da relazioni cooperative, com-petitive, conflittuali, per la valorizzazione delle risorse di un milieu locale(cioè le condizioni sedimentate in un dato luogo). Tali reti di attori si mobili-tano per utilizzare, modificare, un determinato milieu territoriale, diverso daluogo a luogo, che rappresenta un insieme di elementi e condizioni:

– date (non riproducibili a piacere nel breve periodo);– stabili (si accumulano e permangono nel tempo);– immobili (non trasferibili da un luogo a un altro).Attingendo a quest’insieme di condizioni, un gruppo sociale che si rap-

porta con il territorio conserva e riproduce nel tempo la propria identità ter-ritoriale, che non è data soltanto dall’ambiente, ma anche dalle relazioniche i soggetti intrattengono con esso. Il concetto di milieu è diverso daquello di ambiente infatti perché è un concetto relazionale. Non indicaun’entità oggettiva, ma un insieme di potenzialità; è l’ambiente locale cosìcome è percepito e utilizzato dai soggetti locali; è ciò che conferisce stabi-lità nel lungo periodo al sistema territoriale locale. Le sue componenti pos-sono essere materiali (patrimonio immobiliare, le infrastrutture, i monumenti,i suoli edificabili) e immateriali (le attitudini imprenditoriali, l’immagine, le co-noscenze e le competenze contestuali).

Questo modo di leggere il territorio ci fa riflettere sul fatto che i dati og-gettivi non sono sufficienti alla conoscenza.

Occorre comprendere le soggettività locali, la loro articolazione geogra-fica, i loro rapporti con le risorse del territorio, i principi dell’organizzazionedello spazio.

È necessario inoltre che il sistema locale abbiamo un certo margine diautonomia nei confronti degli impulsi esogeni, cioè che le sue trasformazio-

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ni non siano univocamente determinate dall’esterno. Ciò, nella logica siste-mica, comporta il ritenere che il sistema locale abbia delle capacità di auto-organizzazione, che lo portano a reagire in modo autonomo e non definibi-le a priori rispetto a sollecitazioni esterne. In questo senso un sistema auto-organizzato è un sistema aperto, in quanto ha scambi con l’esterno, e nelcontempo chiuso, perché non è determinato dall’esterno, ma reagisce aglistimoli esterni secondo proprie regole interne (organizzazione propria =identità).

I sistemi locali non rappresentano tanti sottoinsiemi del sistema globale,ma sistemi differenti, autonomi (non indipendenti né autarchici) con unapropria identità, razionalità (auto-organizzazione), conoscenza (auto-rap-presentazione), progettualità (auto-progetto) ben distinte in grado di dare ri-sposte diverse e imprevedibili a stimoli globali tendenzialmente uguali dap-pertutto.

Quanto detto fa emergere come lo sviluppo locale sia un fenomeno terri-toriale, non settoriale, in quanto parte dalla presa d’atto che in uno spazio levarie componenti sono legate le une alle altre, e che proprio la trasversalitàe l’integrazione sono fonti di creazione di nuovo sviluppo. Non si tratta dun-que semplicemente di una procedura, riproducibile ed esportabile in ma-niera automatica in altri contesti, ma di un processo, che non nasce ovun-que e in qualunque condizione, ma che per innescarsi ha bisogno dellamobilitazione di una comunità locale che “guarda” al proprio territorio, neindividua potenzialità e limiti e definisce un suo sentiero evolutivo, fatto diobiettivi, priorità, volontà talvolta conflittuali, spesso difficili da accostare,ma che proprio per questo consentono il mantenimento, la preservazione,la trasformazione di un unicum territoriale.

2.5 SVILUPPO LOCALE E COOPERAZIONE DECENTRATA

La logica della cooperazione decentrata al di là delle sue diverse inter-pretazioni (cfr. cap. 1), sembra potersi ben rapportare con quella dello

sviluppo locale. Attraverso il lavoro in rete essa sembra favorire la connes-sione non solo dei singoli soggetti, ma di un complesso di attori territoriali edi un intero sistema territoriale con un altro sistema territoriale.

Rappresenta un possibile anello di congiunzione tra territori differentiche attraverso la logica della cooperazione entrano in relazione e hanno lapossibilità di confrontarsi su problematiche comuni. Territori “distanti” nonsolo a livello geografico ma anche economico, sociale e culturale, si trova-no così a dialogare su questioni che li accomunano, fornendo e ricevendoreciprocamente stimoli a partire dalle diverse risposte individuate – o meno– per problematiche comuni, da ogni locale. Se non cambia dunque la di-

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stanza geografica, attraverso la cooperazione decentrata è possibile chevadano progressivamente diminuendo altre distanze, tra cui quelle econo-miche, tecniche, culturali e sociali, attraverso il confronto e l’apprendimentoreciproco. Queste considerazioni vanno lette alla luce di quello che rimanel’obiettivo principale della cooperazione decentrata, e cioè il contribuire al-lo sviluppo di contesti svantaggiati, per cui il partner del Nord continuerà agiocare un ruolo forte, sia in termini tecnici che finanziari, mettendo a dispo-sizione le proprie risorse. Quello che cambia è l’approccio, che sostituisceil rapporto di aiuto unidirezionale con un modello che favorisce il confrontoe che mostra come apprendimenti reciproci siano oltre che possibili, ancheutili e vantaggiosi, sia per incrementare i risultati della cooperazione sia peraprire le prospettive e le chiavi di lettura del Nord. Così nel caso della coo-perazione decentrata portata avanti con il progetto “Da rifiuto a risorsa”emergono diverse aspetti interessanti. Ogni contesto territoriale prende attoad esempio delle diverse dotazioni tecniche a disposizione dei vari locali(un sistema di raccolta capillare a Torino e Chieri a fronte degli scarsi mez-zi a disposizione delle città africane), e del diverso ruolo che possono gio-care la partecipazione e la sensibilizzazione della popolazione. Nella mag-gior parte dei contesti del Nord si è notato infatti che la gestione dei rifiuti equindi dei rapporti con l’ambiente è maggiormente delegata agli enti pre-posti, con il risultato di una minore necessità di partecipazione da parte delcittadino. Questo conduce a una minor attenzione verso il riuso e riciclag-gio, in quanto non rappresenta che una delle possibilità più scomode pergli utenti e a cui dunque ne vengono preferite altre. Viceversa nel contestoafricano la partecipazione assume un ruolo centrale, in quanto la mancan-za di strutture e strumenti per la gestione dei rifiuti fa sì che la problematicadiventi di rilevanza sociale e che la sensibilizzazione, l’attenzione al riuso eal riciclaggio diventino soluzioni obbligate e importanti.

Un approccio di questo tipo presenta una maggiore attenzione per le ca-ratteristiche del territorio e per la tipologia degli attori coinvolti, in quantoistituzioni omologhe sono in grado di comprendere meglio le rispettive posi-zioni e necessità, di instaurare un dialogo costruttivo e un confronto chepuò aprire le porte a stimoli, soluzioni, punti di vista arricchenti per entram-bi i contesti. Una tale prospettiva ben si sposa con la filosofia dello sviluppolocale, focalizzando l’attenzione sulle specificità dei singoli contesti e sullepossibilità di dialogo che ne possono scaturire. La cooperazione decentra-ta è in grado così di favorire la creazione di reti sovra-locali, cioè di fasci direlazioni che connettono i diversi sistemi locali, attraverso i quali le reti loca-li di attori possono instaurare rapporti e scambiare informazioni con altrisoggetti, occasione di apprendimento sia per i paesi del Nord del mondoche per quelli del Sud.

Il rischio è che rapportandosi esclusivamente tra omologhi (enti locali

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con enti locali, scuole con scuole, etc.) non si mettano in rete gli interi siste-mi territoriali, ma solo una parte di essi. In questo senso è fondamentaleche il dialogo, partito dal contatto tra istituzioni omologhe, si diffonda al re-sto degli attori territoriali, o quanto meno tenga conto della complessità diogni sistema locale.

In questo modo, cooperazione decentrata e sviluppo locale dovrebberomettere proficuamente in contatto le diverse specificità del territorio, e que-sto rappresenta un rilevante valore aggiunto che la cooperazione decentra-ta (rispetto alle altre scale e modalità di cooperazione allo sviluppo) rappre-senta nei confronti dello sviluppo locale.

La relazione che lega sviluppo locale e cooperazione decentrata paredunque forte e consequenziale nonostante siano differenti i ruoli e i pianid’intervento di ciascuna. L’idea alla base dello sviluppo locale è che occor-re pensare allo sviluppo di un intero territorio, o meglio di un sistema territo-riale locale nella sua complessità, mentre la cooperazione decentrata puòmeglio mettere in relazione le diverse specificità di ogni contesto, rafforzan-do le capacità dei territori di mettersi in relazione con altri e di approfondireattraverso l’interazione e il confronto, la comprensione dei propri dinamismiinterni.

2.6 LA GESTIONE DEI RIFIUTI COME COMPONENTE ATTIVA DEL MILIEU LOCALE

Giunti al termine di questa breve trattazione sullo sviluppo locale ci pareutile provare a svolgere qualche considerazione sul ruolo che la gestio-

ne dei rifiuti può giocare in un processo di sviluppo locale. Il concetto di milieu è cruciale ai fini della prospettiva qui considerata, in

quanto costituisce il tramite tra la rete degli attori locali e l’ambiente natura-le, rivelando in pieno la sua natura di “mediatore”. In esso, come abbiamovisto, non è presente tutto l’ambiente naturale, ma soltanto ciò che vienepercepito e utilizzato come risorsa nei processi di trasformazione territoria-le dai soggetti locali. Le dinamiche di gestione dei rifiuti rientrano in questosenso pienamente nella trasformazione e nell’uso che viene fatto dell’am-biente naturale e rappresentano un’espressione del grado di sensibilità econsapevolezza ambientale di un territorio e un indicatore importante delcomplesso rapporto società-ambiente. In questo senso la sensibilizzazionedel locale per la questione dei rifiuti, se percepita come importante e strate-gica dagli attori locali entra a far parte del milieu territoriale, analogamentead altri elementi, materiali, culturali e di capitale sociale.

Il milieu è dunque espressione delle relazioni che legano il sistema loca-le all’ambiente naturale: l’elasticità e la vulnerabilità dell’ecosistema, la ferti-lità del suolo, e la stessa gestione dei rifiuti vanno riferite al sistema di usi in

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cui essi sono coinvolte, alle relazioni verticali “ecologiche” instaurate dallarete locale. Il problema è che spesso la rete locale non “vede” l’ecosistema,ma unicamente le risorse dell’ecosistema che vengono connesse con il si-stema locale, in quanto funzionali alla riproduzione del sistema locale stes-so. La sfida del progetto “Da rifiuto a risorsa” consiste in questo, nel far en-trare la problematica della produzione e gestione dei rifiuti all’interno dei mi-lieu locali, favorendone la percezione come una questione dalla quale di-pende e dipenderà sempre più il benessere fisico e culturale di un sistemalocale. La capacità di attrezzarsi per affrontare la complicata questione deirifiuti, difficile al Sud per la mancanza di strumenti e di una sensibilità socia-le in questo senso, al Nord per la crescita esponenziale dei rifiuti prodotti eil disinteressamento da parte della società civile, può diventare una “presaforte” di milieu nel momento in cui viene percepita come necessità e poten-zialità strategica di sviluppo da parte di ogni collettività locale. Attraverso ladiscussione all’interno dei comitati di pilotaggio, la diffusione di informazio-ni e la sensibilizzazione degli attori locali direttamente coinvolti e via via al-largando sempre più il bacino di confronto, attraverso lo studio e la presad’atto delle conseguenze del non intervento o della mal gestione e ancoratramite il dialogo con realtà lontane che si interrogano su questioni simili,ogni sistema locale è in grado di mettere le prime pietre per la costruzionedi un sentiero di appropriazione e gestione del problema.

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CAPITOLO

COOPERAZIONE DECENTRATA E RIFIUTI URBANI: DAPROBLEMA A RISORSA PER LO SVILUPPO LOCALEUno sguardo dall’Italia

di Egidio Dansero, Domenico De Leonardis 1

3.1 INTRODUZIONE

In parallelo agli analoghi interventi dei colleghi senegalesi e burkinabé suirispettivi paesi esposti nei capitoli successivi, questo scritto presenta una

riflessione sul tema cooperazione decentrata e rifiuti solidi urbani con riferi-mento all’Italia. Tenendo conto della potenziale e auspicabile diffusione delvolume presso un pubblico internazionale di lettori, cercheremo di costruirela problematica a partire dalla presentazione del tema dei rifiuti solidi urba-ni in Italia, vista nelle sue dimensioni quali-quantititave e nelle sue criticitàattuali. Tale geografia dei rifiuti va ovviamente collocata all’interno dei pro-cessi di crescita e diffusione urbana e di cambiamento negli stili di vita e diconsumo che hanno interessato un paese come l’Italia, nella difficile transi-zione da un’economia industriale a una post-industriale. Prenderemo suc-cessivamente in considerazione il tentativo di passare da una considerazio-ne dei rifiuti visti unicamente nella loro negatività, e come tali da gestire at-traverso strutture tecniche dedicate, a una visione più complessa volta aconsiderarli non solo come problema, ma anche come risorsa potenzialeper processi di sviluppo locale, in dinamiche che coinvolgono, pur con ruo-li diversi, una pluralità di attori (dalle aziende municipalizzate, spesso in viadi privatizzazione, alle imprese commerciali, al mondo del no profit e del-l’associazionismo ambientalista e locale).

Nel passaggio conclusivo esploreremo complessità, ambiguità e poten-zialità del rapporto tra cooperazione decentrata, rifiuti-risorse e sviluppo lo-cale.

33

1 Per quanto il lavoro sia frutto di una impostazione ed elaborazione comune, la stesuradei par. 3.1, 3.2, 3.5, 3.6, 3.7 si deve a Egidio Dansero, quella dei par. 3.3, 3.4 a DomenicoDe Leonardis.

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3.2 UNA ECO-STORIA URBANA DI LUNGHISSIMO PERIODO

Un paese come l’Italia è caratterizzato da una storia urbana di lunghissimoperiodo, che affonda le sue radici nel periodo romano, e per molte città

anche in periodi antecedenti. Accanto alla storia urbana, che ci è per molti ver-si nota, esiste un’eco-storia urbana, in quanto da sempre la grande concentra-zione in luoghi ristretti di uomini, animali, costruzioni e merci ha posto il proble-ma della speculare concentrazione di rifiuti e della loro raccolta e gestione, ge-neralmente consistente nell’allontanamento dal centro abitato. I rifiuti sono cer-tamente, una grande risorsa per gli archeologi, che attraverso di essi possonoricavare preziosissime informazioni sui modi e stili di vita e consumo degli an-tichi abitanti di un dato luogo. Esiste pure una crescente attenzione da partedegli storici per i problemi ambientali (Caracciolo, 1988), tra i quali i rifiuti assu-mono un’importanza particolare (Sori, 2001), costituendo in qualche modo lafaccia nascosta della storia e delle geografie urbane, in quanto possono rive-lare le relazioni commerciali che le città intessevano con altri luoghi anche mol-to distanti. Se ogni civiltà ha avuto i suoi rifiuti, accanto alla storia dei rifiuti èsempre esistita una geografia degli stessi, sia tra città diverse, sia generica-mente tra città e campagna, poiché la grande concentrazione urbana svilup-pava modi di vita e consumo peculiari. All’interno di una eco-storia dei rifiuti,quelli urbani hanno sempre avuto una qualche loro specificità. Analizzare unaciviltà attraverso i rifiuti significa studiare effettivamente cosa si produce e siconsuma (e a che ritmo).

Tornando all’attualità, molte indagini basate sui rifiuti riescono a interpre-tare la nostra realtà meglio di tante indagini socioeconomiche che si basa-no su previsioni di vendita e di consumo (Viale, 1994).

La civiltà industriale ha certamente impresso un cambiamento brusco nel-la storia economica dei rifiuti urbani, sia per gli impetuosi processi di concen-trazione e crescita urbana, sia per il radicale cambiamento nei processi pro-duttivi e nelle tecnologie, con la progressiva affermazione del consumo diprodotti di derivazione chimica e sintetica oltre alla enorme crescita dei con-sumi materiali in generale. L’esempio di una città come Torino è particolar-mente significativo da questo punto di vista: dai circa 200.000 abitanti a fine‘800, ai 600.000 del secondo dopoguerra, al picco di 1,2 milioni negli anni’70, fino ai poco più dei 900.000 attuali. In questa evoluzione della città, conla sua crescita impetuosa, la sua espansione metropolitana e suburbana e ildeclino demografico, soprattutto nella parte centrale, si può leggere l’ascesae il passaggio da una società fordista della grande concentrazione urbano-industriale, a una fase post-fordista caratterizzata dalla diffusione urbana edalla flessibilità nelle forme localizzative di residenze e di attività economiche.Dietro questo cambiamento del modello insediativo c’è anche un enormecambiamento nella produzione di rifiuti in quantità e qualità.

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Il vivere urbano, con i suoi modelli abitativi, di mobilità e di consumo èsempre meno confinabile entro ambiti urbani compatti, facilmente delimita-bili. Come da tempo si è registrato in altri paesi in transizione al post-indu-striale, accanto al classico modello dell’urbanizzazione concentrata deicentri storici e delle città industriali compatte, si affermano sempre di piùdelle forme di urbanizzazione diffusa, di periurbanizzazione o, come lachiamano i geografi francesi, di rurbanizzazione. E anche i rifiuti urbani, vol-to nascosto dei modi di vita urbani, fuoriescono dalle città intese in sensoclassiche per diffondersi sul territorio.

All’interno di questi macrocambiamenti il post-industriale rappresenta al-lo stesso tempo il momento della piena affermazione di quella che GuidoViale definisce la “civiltà dell’usa e getta” (Viale, 1994) e dell’assunzione diuna crescente, per quanto insufficiente, consapevolezza ambientale sull’in-sostenibilità degli attuali modelli di consumo e di gestione dei rifiuti nella so-cietà contemporanea. Da una parte produciamo troppi rifiuti, sempre piùdifficili da trattare e da “far digerire” all’ambiente e all’opinione pubblica,dall’altra la crescente consapevolezza della scarsità delle risorse che il pia-neta ci mette a disposizione, induce a riconsiderare i rifiuti che produciamo,in quanto incorporanti materia ed energia da gestire con oculatezza in unacomplessiva strategia volta all’eco-efficienza.

All’interno di una problematica di carattere generale, esistono comun-que, come vedremo nella geografia dei rifiuti urbani in Italia, molteplici diffe-renze, sia nella produzione, sia, soprattutto, nella gestione degli stessi, e ildato dei rifiuti è uno dei più utilizzati nei diversi tentativi di comparazione eranking delle prestazioni ambientali delle città a livello italiano ed europeo2.

3.3 LA POLITICA DEI RIFIUTI: UN QUADRO DI SINTESI

Al fine di abbozzare una geografia dei rifiuti urbani in Italia prendiamodapprima in considerazione il contesto politico-normativo che attual-

mente vige in Europa e in Italia.I rifiuti urbani sono un tema al centro di politiche pubbliche di diversa

scala. Da problema igienico-sanitario degli ambiti urbani, lo smaltimentodei rifiuti come problema si è nel tempo trasformato radicalmente diventan-do un problema ambientale e sociale e raccogliendo intorno a sé nuovestrategie e nuovi attori. L’azione che oggi si esplica nelle varie realtà italianeè il frutto di politiche prima di tutto sovranazionali, in primo luogo comunita-

2 La più nota indagine di questo tipo sul caso italiano è l’annuale rapporto “Ecosistemaurbano” di Legambiente, una delle principali associazione ambientaliste in Italia. Per l’ultimorapporto Ecosistema urbano 2004 si veda sul sito: www.legambiente.com.

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rie e in secondo luogo nazionali, con ampi spazi che rimangono comunqueai livelli locali di governance ambientale al fine di adottare specifiche solu-zioni organizzative e gestionali.

� 3.3.1 Il quadro comunitario

In Europa le politiche in materia di rifiuti degli ultimi anni, di recente ag-giornate dal VI programma d’azione ambientale, si possono sintetizzare at-traverso questa scala di priorità:– riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti;– sostituzione delle sostanze pericolose per l’ambiente contenute nei pro-

dotti con altre meno pericolose;– raccolta di frazioni merceologiche omogenee;– valorizzazione energetica del rifiuto residuo dotato di buon potere calorifero;– smaltimento in condizioni di sicurezza dei soli rifiuti che non hanno altra

possibilità di recupero o trattamento.Questa azione complessiva è coordinata dall’Ue attraverso vari strumen-

ti – come norme, obiettivi, accordi negoziali, tariffazione dei servizi, piani digestione – che hanno l’obiettivo di fondo di coinvolgere intorno al tema deirifiuti gli attori economici e i consumatori.

L’interesse comunitario non è centrato solo a far crescere e consolidareuna nuova organizzazione economica pluriattoriale attorno alla gestione deirifiuti, ma anche a incrementare capacità e opportunità di innovazione daparte del settore privato.

Leggendo gli ultimi interventi normativi comunitari sotto questa particola-re ottica, l’applicazione estesa della direttiva Ippc3 sulla prevenzione e ridu-zione integrata dell’inquinamento e la conseguente promozione delle mi-gliori tecniche disponibili sono misure atte a incentivare un comportamentoproattivo del settore privato; così come la diffusione dei marchi ecologici(Ecolabel in primis4) su una più larga fascia di prodotti e servizi possono sti-molare un cambiamento degli stili di vita e di consumo degli europei.

3 L’Unione europea ha una serie di disposizioni comuni in merito all’autorizzazione degliimpianti industriali. Queste disposizioni sono esposte nella cosiddetta direttiva Ippc del1996. Ippc sta per Integrated pollution prevention and control (prevenzione e riduzione inte-grate dell’inquinamento). Essenzialmente, la direttiva IPPC tratta la riduzione dell’inquina-mento dai vari punti di emissione nell'intera Unione europea.

4 I marchi ecologici sono strumenti volontari, cioè non obbligatori per legge, di tutela einformazione nei confronti dei consumatori e di stimolo a comportamenti eco-efficienti neiconfronti dell’industria. L'Ecolabel è stato istituito nel 1992 con il Regolamento 880/92, poiaggiornato dal Regolamento 1980/2000. Con la revisione del Regolamento anche i servizioltre che i prodotti possono richiedere l'Ecolabel. I prodotti e servizi che soddisfano i criteridell'Ecolabel possono fregiarsi di una margherita riproducente la simbologia dell'Ue e facil-mente riconoscibile da parte dei consumatori.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE58

� 3.3.2 Il quadro nazionale

A livello italiano la gestione dei rifiuti è regolata dal decreto Ronchi e daisuccessivi decreti attuativi e di modifica5. Tale decreto ha dato vita anche inItalia a una gestione sistemica del ciclo dei rifiuti, recependo gran parte delleindicazioni comunitarie. Il passaggio da un sistema incentrato sulla “messa indiscarica” a un sistema integrato ha richiesto un periodo di transizione atto afare in modo che tutte le realtà locali italiane si adeguassero al nuovo sistemache nelle previsioni legislative definiva nuove forme di pianificazione per glienti locali, nuove strutture impiantistiche e nuove articolazioni organizzative.

Il decreto prevedeva dei momenti di valutazione sull’attuazione del siste-ma individuando degli obiettivi di raccolta differenziata intermedi: 15% entro il1999, 25% entro il 2001, 35% entro il 2003.

Rimandando al seguito di queste pagine lo stato di attuazione di questiobiettivi per quanto riguarda il contesto italiano e più specificatamente torine-se, bisogna qui anticipare alcune riflessioni sulla portata innovativa di questodecreto. In primo luogo, secondo il principio di sussidiarietà, si è assistito auna nuova pianificazione dei servizi a livello locale, individuando nuovi ambititerritoriali e richiedendo un salto culturale in prima istanza della pubblica am-ministrazione (basti pensare allo sviluppo degli osservatori regionali e provin-ciali sulla raccolta differenziata e al nuovo ruolo delle agenzie regionali am-bientali). In secondo luogo, il nuovo sistema integrato ha richiesto la realizza-zione di nuovi impianti che in taluni casi e in talune aree del Paese hannomesso in evidenza come la coscienza ambientale non sia cresciuta di paripasso con l’evoluzione economica e sociale. Alcune localizzazioni, tipica-mente quelle degli inceneritori e delle discariche, incontrano ancora conflitti eopposizioni da parte di più attori. È questo un fronte che ostacola la pienarealizzazione del sistema e che ha come conseguenza il raggiungimento didiverse situazioni critiche tanto da portare ai giorni nostri alla gestione com-missariata di diverse regioni del Sud Italia e alla diffusione di pratiche di smal-timento illegali (in cui prosperano i circuiti dell’ecomafia6). Recenti normative

5 Il decreto legge 22/97 prende il nome dell’allora ministro per l’Ambiente Edo Ronchi. Leprincipali modificazioni intercorse sono: il decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389; lalegge 24 aprile 1998, n. 128; la legge 9 dicembre 1998, n. 426; la legge 23 dicembre 1998,n. 448; la legge 23 dicembre 1999, n. 488; la legge 21 novembre 2000, n. 342; la legge 23marzo 2001, n. 93; la legge 28 dicembre 2001, n. 448; il decreto legislativo 28 dicembre2001, n. 452 convertito in legge con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2002, n. 16; lalegge 1° marzo 2002, n. 39; il decreto legislativo 7 marzo 2002, n. 22; la legge 31 luglio2002, n. 179; la legge 3 febbraio 2003, n. 14; il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; ildecreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182; il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209; ildecreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254.

6 Fenomeno con cui si tende a indicare gli interessi della malavita organizzata nel setto-re dell’ambiente quindi essenzialmente smaltimento clandestino dei rifiuti, abusivismi edilizi,

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come quella relativa all’incenerimento dei rifiuti cercano di ampliare il frontedelle garanzie per i cittadini. In terzo luogo, la prospettiva di un sistema inte-grato nella gestione dei rifiuti ha aperto di fatto spazi a diversi operatori (pro-venienti anche da settori del volontariato e dell’associazionismo) che si sonoaffacciati nel settore del recupero e riciclo riducendo in parte il monopolio del-la gestione da parte di un operatore unico, individuato precedentemente uni-camente nella municipalizzata che gestiva la raccolta.

Il sistema integrato previsto dal decreto Ronchi ha subito a distanza ditempo alcune integrazioni normative. Tra i provvedimenti più importanti si ri-cordano di recente oltre alla normativa sugli inceneritori, la revisione dei crite-ri di ammissibilità dei rifiuti a discarica, il decreto per l’incentivazione all’utiliz-zo di materiale riciclato da parte delle pubbliche amministrazioni, e il riequili-brio dei costi di smaltimento che ora internalizza i costi di smaltimento e i co-sti relativi alla gestione successiva alla chiusura.

Il decreto Ronchi (art.49) prevede una novità anche sul piano di vista del-la sostenibilità economica della gestione dei rifiuti con il passaggio dalla tas-sazione sui rifiuti (Tarsu) alla tariffa. Questa innovazione consente, da un lato,di creare una responsabilità condivisa, imputando alle diverse utenze un co-sto che è proporzionale alla propria produzione di rifiuti, dall’altro, rende tra-sparente la gestione dell’intero sistema rifiuti dando piena evidenza dei costisostenuti per il servizio7.

Il passaggio da tassa a tariffa, nonostante qualche rinvio, è ormai in fase diattuazione nelle varie realtà locali italiane.

3.4 DALL’EUROPA A TORINO: UNA GEOGRAFIA DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI

La quantità e la qualità dei rifiuti prodotti da un contesto urbanizzato forni-sce un’indicazione utile sui processi produttivi locali, sul livello dei con-

sumi e sulla durata di vita dei prodotti.I rifiuti rappresentano, però, un fattore di pressione sulle diverse compo-

nenti ambientali (aria, acqua, suolo), fattore che tuttavia cambia da conte-sto a contesto interagendo con molteplici variabili economiche e sociali.Rappresentare un quadro complessivo sui rifiuti significa in prima analisiconsiderare diversi contesti (europeo, nazionale e locale) e diverse compo-nenti, essenzialmente la produzione dei rifiuti e la raccolta differenziata.Questa sarà la traccia seguita nei successivi paragrafi.

etc. Per un quadro più esaustivo vedasi i rapporti annuali di Legambiente sul fenomeno sulsito: www.legambiente.com.

7 Il precedente sistema era basato su una tassa calcolata in base alla superficie (m2) del-l’abitazione che non copriva interamente i costi del servizio; i Comuni coprivano con la fisca-lità ordinaria i costi scoperti del servizio.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE60

� 3.4.1 La situazione europea

La quantità totale di rifiuti prodotta in Europa ogni anno è stimata intorno ai1,3 miliardi di tonnellate. I rifiuti urbani non esauriscono il tema complessivodei rifiuti in quanto essi rappresentano circa il 14% del totale (198 milioni ditonnellate): non si considerano quindi in questa esposizione la produzione dirifiuti generati dalle attività produttive e soprattutto dalle attività estrattive.

Considerando la popolazione di 375 milioni di europei si ha una produzio-ne media procapite di 527 kg/abitante per anno. L’Italia, in un raffronto tra ipartner europei, è poco distante da questo valore (516 kg/abitante al 2001).Sul fronte dello smaltimento, a livello europeo, il ricorso alla discarica, nono-stante i progressi registrati negli ultimi anni, è pari al 54%. Il riciclaggio e ilcompostaggio rappresentano circa il 27% mentre l’incerimento il 19%.

L’Italia, secondo i dati raccolti dall’Enea8 e riportati in tabella 3.1, qui regi-stra un ritardo rispetto agli altri paesi europei: smaltisce il 67,1% dei rifiuti indiscarica, differenzia il 24,2% ed incenerisce solo l’8,7% dei rifiuti prodotti.

8 Ente nazionale per l’energia e l’ambiente.9 Agenzia di protezione dell’ambiente e del territorio. L’Agenzia funge da struttura tecni-

ca del ministero dell’Ambiente. Ogni Regione ha a sua volta creato una propria Agenziaregionale di protezione ambientale (Arpa) che funziona sotto il coordinamento dell’assesso-rato regionale all’Ambiente.

Nazione Anno Discarica Incenerimento Riciclaggio e

(%) (%) compostaggio (%)

Austria 1999 35,0 10,2 54,8Belgio 1999 27,7 25,8 46,5Danimarca 1999 10,9 50,2 38,9Finlandia 1999 61,0 8,2 30,8Francia 1999 41,7 31,4 26,9Germania 1998 35,5 24,3 40,2Grecia 1997 91,4 - 8,6Irlanda 1998 91,4 - 8,6Italia 2001 67,1 8,7 24,2Lussemburgo 1999 21,6 47,8 30,6Olanda 2000 12,6 40,8 46,6Portogallo 2000 75,3 20,5 4,2Spagna 1999 71,5 11,0 17,5Svezia 1998 32,5 35,0 32,5Regno Unito 1999 80,8 7,7 11,5Europa 54,0 18,8 27,2

Fonte: Apat9 su dati Enea

Tab. 3.1 Gestione dei rifiuti urbani nei paesi dell’Unione europea

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Il maggiore ritardo italiano, confrontando i dati della tabella sovracitata,per quanto riguarda l’incenerimento dei rifiuti, riflette il periodo di transizio-ne da una politica del “tutto in discarica” a una politica di gestione integra-ta dei rifiuti (che richiede dei tempi lunghi per la realizzazione degli impian-ti). Sul piano della raccolta differenziata, pur rimanendo ben lontano dalleperformance di Austria, Olanda, Belgio e Germania, ormai sopra il 40%, hacomunque percentuali di raccolta simili se non superiori a Francia, Spagnae Regno Unito.

� 3.4.2 La situazione italiana

3.4.2.1 La produzione di rifiuti

Entrando più in dettaglio nella situazione italiana i dati dell’Agenzia diprotezione dell’ambiente e del territorio (Apat) relativi agli anni 2001 e 2002consentono di avere un quadro più esaustivo sulla gestione dei rifiuti urba-ni. La produzione di rifiuti urbani – così come definiti dal decreto legislativo22/97 – viene stimata sommando il quantitativo di rifiuti urbani destinati allosmaltimento (inclusi gli ingombranti) con quello dei rifiuti urbani oggetto diraccolta differenziata.

La produzione di rifiuti (Tab. 3.2) in Italia negli anni 1996-2002 ha regi-strato un aumento del 14% con un tasso di crescita medio annuo pari al2,2%.

Confrontando la produzione di rifiuti con il Pil si può rilevare che nellostesso periodo (1996-2001) si sono registrate analoghe tendenze: un au-mento del Pil del 12,1% e un aumento dei consumi delle famiglie del14,8% Secondo questi, dati, dunque non si verifica ancora quello sdoppia-mento tra crescita economica e crescita del consumo di risorse che do-vrebbe caratterizzare almeno in teoria la cosiddetta società post industria-le (Gerelli, 1995).

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE62

Scendendo ad un quadro sub-nazionale, si può vedere dalla tabella 3.2come le regioni del Nord Italia producano complessivamente circa il 45%della produzione totale dei rifiuti, seguite dalle regioni del Sud con il 32,3%del totale e quelle centrali con il 22,1%.

Rapportando questa cifra con la popolazione, il dato procapite (basatosui dati del 2000) fa registrare una produzione di 532,4 kg/abitante per an-no nel Nord, di 602,3 kg/abitante per anno nel Centro e 468,1 kg/abitanteper anno nel Sud (il valore medio nazionale è pari a 522,6 kg/abitante peranno).

Analizzando più da vicino il dato sui principali agglomerati urbani italiani,Venezia, Milano, Torino, Genova, Napoli (secondo i dati del 2002) fanno re-gistrare un leggero calo di produzione rispetto all’anno precedente arre-stando un processo di crescita della produzione avvenuta nei quattro anniprecedenti: nel periodo 1998-2002 si registrano invece notevoli crescite(Torino +40.000 tonnellate, Catania +62.000, Roma +194.000, Milano+40.000).

Il Piemonte contribuisce con un peso del 7% su base nazionale alla pro-duzione di rifiuti (16% se consideriamo il Nord Italia): la regione, infatti, haregistrato una produzione di rifiuti pari a 2.133.155 tonnellate nel 2002. A li-vello procapite il Piemonte è comunque abbastanza virtuoso mantenendosisotto la media comunitaria, nazionale e sub-regionale (497 kg/anno per abi-tante).

All’interno della regione più della metà (54%) dei rifiuti vengono prodottidalla provincia di Torino che è passata dalle 950.000 tonnellate del 1996 acirca 1.131.900 tonnellate nel 2003; alla crescità del periodo 1998-2000 sicontrappone però una stabilizzazione del dato dal 2001 in poi.

10 Dati provvisori per alcune Regioni.

Tab. 3.2 Produzione di rifiuti urbani per macroarea geografica, anni 1996-2002(1000t)

1996 1997 1998 1999 2000 2001 200210

Nord 11.550 11.889 12.245 12.856 13.276 13.402 13.617

Centro 5.383 5.618 5.841 6.068 6.214 6.501 6.572

Sud 9.027 9.098 8.760 9.440 9.469 9.506 9.599

Italia 25.960 26.605 26.846 28.364 28.959 29.409 29.788

Fonte: Apat

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3.4.2.2 La raccolta differenziata

Il decreto Ronchi definisce la raccolta differenziata come “la raccoltaidonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogeneecompresa la frazione organica umida, destinate al riutilizzo, al riciclaggio eal recupero di materia prima” (art. 6 comma 1 decreto legislativo 22/97).

La raccolta differenziata quindi esercita un ruolo prioritario nel sistema digestione integrata dei rifiuti consentendo:– la valorizzazione delle componenti merceologiche dei rifiuti sin dalla fase

di raccolta;– la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti da avviare allo smalti-

mento indifferenziato;– il recupero di materiali e di energia nella fase di trattamento finale;– la promozione di comportamenti più corretti da parte di cittadini.

Dopo un periodo di sperimentazione di vari approcci tecnologico-orga-nizzativi alla raccolta differenziata, la tendenza che si sta consolidando –sulla base dell’esperienza degli ultimi anni – è di privilegiare la raccolta do-miciliare affiancata da quella stradale e di ampliare il campo di applicazio-ne a frazioni più complesse come quella della frazione organica putrescibi-le o della raccolta multimateriale.

La raccolta differenziata secondo i dati Apat ha raggiunto nel 2001 i 5,1milioni di tonnellate, pari al 17,4% della produzione totale, con una crescitadella quota percentuale rispetto al 2000 del 3%. Con due anni di ritardo si èquindi raggiunto l’obiettivo minimo del 15% fissato dal decreto 22/97.

La situazione però è molto diversificata: il Nord raggiunge il 28,6% (ri-spettando i tempi del Ronchi), il Sud invece si attesta al 4,7% e il Centro siassesta sul 12,8%.

Le regioni più virtuose nel 2001 sono la Lombardia con il 36,1% (che hagià raggiunto nel 2001 l’obiettivo previsto nel 2003 dalla legge) e il Veneto

Provincia di Torino Piemonte Italia Ue

1996 427 423 452 507

1997 435 446 463 n.d.

1998 453 447 466 n.d.

1999 480 465 498 527

2000 497 476 501 n.d.

2001 503 485 516 n.d.

2002 510 497 523 n.d.

Fonte: Provincia di Torino

Tab. 3.3 Produzione procapite di rifiuti urbani (kg/abitante)

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34,5%. Seguono a ruota l’Emilia e la Toscana sul 24% circa, il Trentino(23,5%) e il Piemonte (21,6%). I dati del 2002, pur non essendo definitiviper alcune regioni, fanno registrare ulteriori aumenti (il Piemonte passa al24,6% per esempio, il Veneto supera la Lombardia con un 39%) .

Non cambia tuttavia il quadro dell’analisi: solo due regioni (Veneto eLombardia) hanno raggiunto con anticipo l’obiettivo del 2003 e solo Tosca-na, Emilia e Trentino raggiungono l’obiettivo del 2001 del 25% di raccoltadifferenziata con Piemonte e Friuli che lo hanno mancato di poco. Ci sonoperò ben 10 regioni che non riescono, nonostante il ritardo di 3 anni a cen-trare il primo obiettivo del 15%, e questo nonostante perduri da parecchianni in molte di queste regioni un commissariamento ad hoc sul tema dei ri-fiuti.

Questa Italia a più dimensioni è confermata dall’analisi a livello provin-ciale: nel 2001 più di un quarto delle province italiane aveva una raccoltadifferenziata ancora inferiore al 5% e più di un quarto registrava una raccol-ta superiore al 25%. Di queste ultime, 12 province superavano il 35% conLecco che raggiungeva il 50%, Bergamo e Cremona con tassi del 45%, eTreviso e Vicenza al di sopra del 40%. Al Centro le migliori performace sisono registrate a Prato e Lucca con il 28,5% a Firenze e a Siena con il 27%.Al Sud spiccano Teramo (15,4%) e Salerno (12,2%).

Complessivamente, prendendo in esame i dati Apat, l’aumento di rac-colta differenziata ha interessato tutte le tipologie di rifiuto (Tab. 3.4). I datipiù interessanti in questo caso sono i tassi di crescita nella raccolta dellafrazione organica e negli ingombranti a recupero.

La Regione Piemonte con la legge regionale n.24/2002 ha riorganizzatola gestione dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali (pressoché coincidenti conle province). Gli ambiti sono poi stati suddivisi in bacini dentro i quali sonoorganizzate le attività di gestione e realizzazione delle strutture al serviziodella raccolta differenziata. La stessa Regione ha previsto un sistema ag-giuntivo di incentivazione/disincentivazione per quei comuni che non rie-scano a raggiungere l’obiettivo fissato per il 2003 del 35%.

Organico Carta Vetro Plastica Metalli Ingombranti Legno

1997 598,34 782,48 643,57 96,79 – – –

1998 891,15 1.000,99 665,99 150,77 – – –

1999 1.112,56 1.204,15 726,26 160,11 168,74 – 111,76

2000 1.292,73 1.307,99 758,84 174,70 212,73 – 196,75

2001 1.601,66 1.567,81 874,92 230,11 200,64 217,89 191,09

2002 1.811,93 1.682,78 888,05 241,31 195,66 367,10 217,24

Fonte: Apat

Tab. 3.4 Raccolta differenziata delle principali frazioni su scala nazionale (1.000 t)

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Fig. 3.1 Raccolta differenziata per provincia in percentuale (1998-2002)

Fonte: Arpa

Come si può notare dalla Fig. 3.1 solo le provincie di Verbania e Novarahanno raggiunto l’obiettivo del 2001 del 25%. La provincia di Torino ha rag-giunto tale obiettivo con un anno di ritardo registrando un generale aumento diraccolta nelle aree fuori Torino e una stabilizzazione nel 2003 (+1%) della Cittàdi Torino (che da sola rappresenta il 45% della produzione di rifiuti dell’interaProvincia).

Dai dati dell’Osservatorio provinciale nel 2003 solo 19 Comuni sono riuscitia raggiungere l’obiettivo del 35% fissato dal decreto Ronchi mentre sono 115 iComuni che nel 2003 hanno raggiunto l’obiettivo fissato nel 2002 al 25%.

I dati della Città di Torino del 2004 appaiono più confortanti: il Comune si èposto l’obiettivo di raggiungere l’obiettivo del 35% entro il 2004 (raggiungendoquindi con un anno di ritardo l’obiettivo previsto dalla legge). A maggio 2004 laraccolta differenziata ha raggiunto il 30% con punte del 40% in quartieri comequello di Mirafiori Nord dove è stata avviata sperimentalmente la raccolta sotto-casa. Dato il successo dell’iniziativa in questo quartiere l’amministrazione co-munale avvierà su una popolazione di circa 78.000 abitanti la raccolta sottoca-sa rafforzando ulteriormente anche le iniziative nel settore commerciale e au-mentando la rete degli ecocentri11. Bisogna ricordare comunque che a livello digrandi aggregati urbani, la Città di Torino è attualmente la metropoli che vanta ilmiglior tasso di raccolta differenziata, essendo l’unica che supera il 30%.

50%45%

40%

35%

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0%

AL AT BI CN NO TO VB VC Regione

Obiettivo D.Lgs.vo 22/87 per il 20011998

1999

2000

2001

2002

11 Per ecocentri si intendono degli spazi in cui i cittadini possono disfarsi gratuitamentedi: tutti i materiali recuperabili e i rifiuti urbani pericolosi, i rifiuti ingombranti, le batterie esau-ste, i rifiuti domestici pericolosi, piccoli quantitativi di materiali di demolizione, oli esausti pro-venienti da auto e moto, con possibilità di effettuare il cambio sul posto. Nella città di Torinosono attivi tre ecocentri.

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Anche nella Regione Piemonte, infine, la principale frazione raccolta è lacarta, seguita dal vetro, mentre appare consolidarsi in tre province la rac-colta dell’organico, avviata comunque in tutte le province.

3.4.2.3 Lo smaltimento in discarica e l’incenerimento

Come sottolineato in precedenza, il modello italiano della gestione rifiutidifferisce ancora da quello dei partner europei per l’accentuato ricorso alladiscarica e il limitato utilizzo di sistemi di incenerimento. Anche qui si assi-ste a una differenziazione geografica. A Nord si è adottato un modello di ti-po industriale con impianti di discarica più grandi a servizio di ambiti territo-riali vasti, capaci di alte volumetrie, strettamente correlato con una produ-zione più alta di rifiuti procapite, ma anche all’esistenza di alte percentualidi raccolta differenziata; a Sud si assiste invece a una polverizzazione dinumerosi piccoli impianti al servizio di piccole realtà locali. Nel 2001 si regi-stravano 126 impianti di discariche al Nord, 68 al Centro, 425 al Sud. So-prattutto nel Mezzogiorno si è assistito a una riduzione del numero di disca-riche dal 1999 (ben 146 in meno), grazie soprattutto alla gestione commis-sariale in alcune di queste Regioni. Il Piemonte, secondo dati del 2001, hain funzione 22 impianti con una quantità smaltita di 1.647.132 tonnellate (laRegione Campania, per fare un esempio, ha una quantità simile a quellapiemontese – 1.655.568 tonnellate – ma utilizza 56 impianti di discarica). Èevidente, già dal semplice confronto statistico, la correlazione tra numero diimpianti di discarica, situazioni di rischio ambientale da controllare da partedelle istituzioni e relative tensioni sociali.

Per quanto riguarda l’incenerimento dei rifiuti, nonostante il ritardo gene-ralizzato sopra evidenziato, si assiste anche qui ad una profonda differen-ziazione geografica. Nel 2002, l’88% dei rifiuti urbani è stato avviato a ince-nerimento in impianti del Nord Italia. In particolare, le sole Lombardia edEmilia hanno gestito il 70% dei rifiuti avviati a incenerimento. Mentre quindil’Italia settentrionale fa da traino con trend crescenti nel trattamento termicodei rifiuti, il Sud rimane bloccato al 5% da grosse tensioni sociali e dallamancanza di una rete impiantistica. Il caso di Acerra in Campania12 dimo-stra come l’esasperazione sociale sia frutto anche di una mancata traspa-renza gestionale degli anni passati, che ha determinato una fase di stallo,con una gestione emergenziale delle discariche ormai giunte al loro limitedi capacità e con un sostanziale fermo nella realizzazione degli impianti diselezione e incenerimento. Si sconta un mancato investimento nella coope-

12 La popolazione di questo centro si è più volte mobilizzata – arrivando ad occupare perdiversi giorni la stazione ferroviaria, importante snodo per il traffico di lunga percorrenzaNord-Sud – per bloccare la realizzazione di un inceneritore.

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razione tra attori pubblici, attori economici e cittadinanza: ormai quest’ulti-ma non riconosce come credibile nessun interlocutore, proprio per il pessi-mo esempio dato nelle gestioni pregresse.

La conflittualità sociale sul tema dei rifiuti, però, è un elemento trasversa-le che, seppur in misura minore, colpisce territori più avanti di altri in temadi gestione dei rifiuti e che tentano di dare risposte costruttive. Il Piemonte,per esempio, avvia nei suoi due impianti di incenerimento il 4% della suaproduzione di rifiuti urbani. In particolare, l’area torinese, pressata dal-l’esaurimento della grande discarica di Basse di Stura, la cui chiusura èstata più volte prorogata13, non ha ancora realizzato il proprio inceneritorenonostante la scelta politica di affrontare un percorso di partecipazione einformazione con la comunità che avrebbe dovuto evitare la conflittualità re-gistrata in altre parti del paese14.

13 La giunta comunale ha recentemente approvato una deliberazione di proposta al con-siglio comunale per il differimento della chiusura della discarica di Basse Stura fino al 31dicembre 2009. Il provvedimento si è reso necessario per garantire, fino all’entrata in servi-zio del previsto nuovo termovalorizzatore, la possibilità di smaltire i rifiuti prodotti dalla cittàin modo autonomo, evitando di doversi rivolgere all’estero con costi non indifferenti a caricodei cittadini. Fonte: www.ecodallecitta.it).

14 Per ulteriori informazioni si rimanda al sito del progetto: www.provincia.torino.it/ambien-te-provto/nrds/index.htm. Allo stato attuale il sito individuato è Gerbido (La Repubblica e LaStampa, 29 settembre 2004).

Torino Vercelli Novara Cuneo Asti Alessandria Biella VerbaniaAbitanti 2.165.299 176.666 343.097 556.359 208.221 417.751 186.960 158.941Produzione totale 1.129.741,18 88.038,53 164.613,05 261.299,32 90.274,64 233.180,06 86.851,00 79.157,45Raccolta indifferen. 882.775,00 74.060,00 91.398,00 196.020,00 73.656,00 183.918,00 65.012,00 42.401,00Raccoltadifferenz. 246.966,35 13.978,17 73.215,23 65.278,83 16.618,21 49.262,13 21.838,55 36.756,12% 22% 16% 44% 25% 18% 21% 25% 46%Frazioni principaliOrganico 24.310,96 522,10 15.105,11 977,56 322,92 4.694,50 1.409,17 7.445,81% 10% 4% 21% 1% 2% 10% 6% 20%Vetro 30.872,68 3.109,66 11.997,63 16.218,1 4.935,74 8.540,24 3981,89 5797,85% 13% 22% 16% 25% 30% 17% 18% 16%Plastica 8.793,79 600,45 3.784,97 3.235,63 1.468,63 2.818,74 1232,72 2637,43% 4% 4% 5% 5% 9% 6% 6% 7%Legno 14.296,39 474,82 4.124,31 5280,35 642,41 5.793,24 899,22 2157,16% 6% 3% 6% 8% 4% 12% 4% 6%Carta 107.845,22 4.300,33 16.924,18 21.334,99 6.684,57 13.583,4 7392,01 9164,9% 44% 31% 23% 33% 40% 28% 34% 25%

Fonte: Apat

Tab. 3.5 Raccolta differenziata per le principali frazioni delle Province piemontesi(dati 2002 espressi in t)

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� 3.4.3 Una geografia ineguale degli scarti, dei rifiuti e… dei consen-si

In conclusione, un’interpretazione geografica del problema rifiuti in Italiapuò essere la seguente.

La produzione di rifiuti sembra essere legata molto agli stili di vita moder-ni, per cui nelle aree più sviluppate del paese la produzione procapite di ri-fiuti è sensibilmente più alta. Laddove il reddito è invece più basso siamo inuna situazione diametralmente opposta. Questa suddivisione è trasversalee vale sia per la tradizionale visione Nord-Sud, sia in una contrapposizionemicro-urbana tra quartieri residenziali e periferici.

Sul piano della gestione, il nuovo sistema integrato dei rifiuti funziona neicontesti in cui più tradizionalmente c’è una partecipazione sociale alle deci-sioni. Questo terreno più fertile ha permesso molto probabilmente l’avvio diiniziative da parte di associazioni ambientaliste e del mondo del volontaria-to, creando quella rete di soggetti economico/sociali in grado di gestire arete il sistema dei rifiuti.

Questo aspetto ha consentito (anche se non sempre) una maggior tra-sparenza nelle decisioni su dove collocare determinati tipi di impianti consi-derati dalla collettività come pericolosi.

Le Regioni più sviluppate inoltre possono aver goduto, più di altre, di ca-pitali e competenze in grado di mettere in moto iniziative industriali che sisono aperte anche nel settore del riciclo, recupero e trattamento dei rifiuti.

Dove in altre parole il sistema funziona, siamo di fronte a una vera e pro-pria governance dei rifiuti con la partecipazione di una rete di attori che in-travedono occasioni di sviluppo anche nella gestione di un servizio colletti-vo.

Diversamente, non si hanno segnali di miglioramento dove non esisteuna rete di interlocutori, ma piuttosto un unico plenipotenziario (il commis-sario straordinario, piuttosto che la singola municipalizzata che mantiene iltradizionale controllo su tutte le fasi della filiera).

Questo unico interlocutore nelle sue varie fattispecie non riesce, suomalgrado, a sostituirsi alla rete di soggetti oggi necessari per una gover-nance del sistema dei rifiuti vuoi per un ritardo culturale, vuoi per logicheemergenziali. Tale gestione genera poi esasperazione e scontro sociale nelmomento in cui la decisione finale su situazioni critiche, oltre che non esse-re affatto definita assieme alla collettività locale, non viene neanche presa inmaniera autoritativa da chi rappresenta la legalità e ha potere d’agire. Incerti casi (Acerra docet) il commissario ha preferito non pronunciarsi e affi-dare la decisione al privato, il quale segue logiche spesso divergenti dalbene comune, senza dare nessuna garanzia alla collettività (studi di impat-to ambientale, compensazione attraverso bonifiche di aree).

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Questa visione privatistica dell’“affare rifiuti” ha due aspetti negativi. Inprimo luogo, si tende a voler giustificare che in certe aree dell’Italia sia im-possibile impostare una gestione sostenibile e legale dei rifiuti (un’idea in-fondata per la presenza in aree limitrofe di alcune esperienze positive), Insecondo luogo, si tende a sottovalutare l’utilità strumentale che i nostri scar-ti possono avere, come vedremo fra poco, in un processo di costruzione (ericostruzione in alcuni casi) di capitale sociale.

3.5 RIFIUTI-RISORSA E SVILUPPO LOCALE

Si è esaminato come il problema dei rifiuti solidi urbani sia stato oggettoa partire dalla fine degli anni ’70 di un’intensa attività regolativa a livello

comunitario, nazionale, regionale e locale che ha cercato di cambiare l’im-postazione complessiva delle modalità con cui veniva definito e attuato ilcomplessivo governo dei rifiuti. Si sono anche analizzate le ragioni che han-no spinto verso un cambiamento piuttosto marcato nelle modalità con cui ingenerale nelle città italiane viene affrontata la questione rifiuti (crescenti dif-ficoltà nel trattare e smaltire una massa sempre più grande dei rifiuti prodot-ti, di gestire la loro complessificazione dal punto di vista merceologico, con-nessa con i cambiamenti degli stili di consumo, il dilagare della cultura del-lo “usa e getta”, e l’affermazione di un’accresciuta consapevolezza ecologi-ca sulle implicazioni locali e globali del problema rifiuti).

Da alcuni anni si sta infatti facendo strada tra tecnici e amministratoripubblici la consapevolezza della gravità della situazione, ormai prossima ailimiti critici. Sempre più spesso tali limiti vengono superati, come dimostra-no i citati numerosi conflitti sorti in diverse città attorno al problema di loca-lizzazione, non solo di inceneritori o discariche, ma anche di assai menoimpattanti impianti di trattamento e selezione dei rifiuti provenienti dalle rac-colte differenziate. L’opinione pubblica di una società complessivamenteopulenta e alla ricerca di una maggiore qualità della vita, soprattutto sul la-to ambientale, è sempre meno propensa a farsi carico del problema degliscarti che essa produce, il che richiede un’attenzione particolare alle formedi comunicazione ambientale. La tendenza a responsabilizzare i produttoridi rifiuti, cittadinanza compresa, porta anche ad aumentare progressiva-mente ciò che si paga per i rifiuti, in una fase in cui il passaggio da tassa atariffa è politicamente delicato, in quanto gravoso per le tasche del contri-buente-elettore. Allo stesso tempo, in un contesto in cui aumenta la pressio-ne politica e normativa a far sì che ogni collettività locale si faccia carico delproblema dei rifiuti da essa prodotti, evitando di scaricare tale problema sualtri territori, prosperano le ecomafie. Sempre più specializzate nel trattarediscariche abusive e traffici interregionali e internazionali di rifiuti, con i loro

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traffici che sono tanto più vantaggiosi quanto più i rifiuti sono pericolosi etossici per l’ambiente e la salute umana, le ecomafie sono la regia occultadel governo ombra dei rifiuti (Cianciullo, 1995; Legambiente, 2004).

Nonostante questo quadro non certo rassicurante, vi sono come abbia-mo visto dei segnali di miglioramento. Essi riguardano soprattutto la raccol-ta differenziata dei rifiuti solidi urbani, passaggio imprescindibile in unacomplessiva strategia impostata sulle “tre erre”: riutilizzo del bene nella suaforma originaria (es. bottiglie di vetro), riciclaggio, con il recupero dei mate-riali contenuti nei rifiuti e il loro impiego come “materie prime seconde” innuovi processi produttivi (es. il riciclaggio della carta) e recupero energeti-co con la parte combustibile dei rifiuti di cui è impossibile o antieconomicoil riciclaggio. Troppo poco si fa ancora per la prima vera “erre”, cioè la ridu-zione dei rifiuti, con interventi soprattutto nella fase di progettazione e pro-duzione dei beni ripensandoli in modo da ridurre il contenuto materiale inessi presente, estenderne il ciclo di vita o facilitarne le operazioni di riutiliz-zo, riciclaggio e recupero a fine vita. Interventi anche importanti in tal sensosi scontrano con la sempre più diffusa cultura dell’usa e getta, che va nelladirezione opposta a quella della riduzione.

Tornando alla raccolta differenziata dei rifiuti, come si è visto, le città ita-liane hanno realizzato dei significativi risultati, pur risultando al di sotto deigiustamente ambiziosi obiettivi fissati dal decreto Ronchi.

Sul piano culturale, soprattutto attraverso la raccolta differenziata, si stafacendo strada quella consapevolezza che vede il passaggio da una visio-ne dei rifiuti come scarto, e dunque qualcosa di negativo da allontanare eda nascondere alla vista, a quella del rifiuto come risorsa su cui puntare, siaper contribuire positivamente alla riduzione del degrado ambientale e delconsumo di risorse naturali, sia come fonte di nuova occupazione in pro-cessi virtuosi di produzione di valore aggiunto sotto il profilo economico,ambientale e sociale. Come scrive Viale “la raccolta differenziata è la testadi ponte di un diverso rapporto della città e del suo apparato produttivo conle risorse di cui dispone” (Viale, 1999, p. 76).

La raccolta differenziata comporta da un lato un cambiamento radicalenel rapporto tra cittadino-produttore di rifiuti e servizio di raccolta e smalti-mento, generalmente svolto da un’impresa pubblica locale, richiedendoprofonde trasformazioni in entrambe le categorie di soggetti. Un efficace si-stema di raccolta differenziata si basa sulla collaborazione di un cittadino-produttore consapevole delle proprie responsabilità e potenzialità, in quan-to attore in una complessiva politica dei rifiuti e non solo in un ruolo passivoche si limita a mettere il sacchetto dei rifiuti fuori dalla porta o nei contenito-ri appositi. Ecco che allora sono state avviate nelle diverse città italiane ar-ticolate campagne di informazione e comunicazione ambientale volte a farcomprendere modalità e vantaggi della raccolta differenziata.

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Dall’altro lato la complessità delle operazioni connesse con la raccoltadifferenziata dei rifiuti ha richiesto e richiede una trasformazione profondadelle aziende tradizionalmente deputate all’igiene urbana, in quello cheGuido Viale definisce il passaggio dal modello di gestione fordista a quellopost-fordista (Viale, 1999, p. 75). Ciò che è interessante notare è che in mol-te città italiane sono avvenuti, pur con esiti diversi, quei cambiamenti teoriz-zati da Viale, e in questo campo Torino costituisce certamente un riferimen-to a livello italiano.

Accanto all’azienda municipalizzata di igiene urbana, interessata da tra-sformazioni profonde, nelle diverse attività di cui si compone la filiera dellaraccolta differenziata opera oggi a Torino un vasto arcipelago di altri sog-getti economici, soprattutto imprese sociali15 del terzo settore. Queste ulti-me hanno spesso anticipato l’ente pubblico aprendo nuovi ambiti di inter-vento e creando spazi occupazionali inediti, in cui, occupandosi dello scar-to e ridandogli vita con il riuso e il riciclo, rivitalizzando anche luoghi scarta-ti come aree urbane dismesse, reinseriscono socialmente persone scartateper varie ragioni dal mondo del lavoro16.

Pur ricondotte ai loro limiti quantitativi e considerandone anche le ambi-guità, queste iniziative che si sono avviate a metà degli anni Novanta costi-tuiscono un efficace esempio di come il rifiuto possa diventare risorsa, cre-ando spazi per azioni di sviluppo locale17.

Per quanto alle volte l’impegno di tali soggetti all’interno delle strategie lo-cali di gestione dei rifiuti tenda a essere ricondotto ad una logica di mero su-bappalto, basato solo sui bassi costi del lavoro, ha cominciato ad affermarsiin questi anni un nuovo approccio. Esso si basa sull’idea che quella dei rifiu-ti sia un’arena complessa al cui interno si trova una pluralità di attori e chedalla messa in rete e dall’azione di sistema di tali attori dipenda l’esito finaledelle politiche dei rifiuti: i cittadini, le associazioni di consumatori, le aziende

15 Nota per il lettore non italiano: le cooperative sociali sono imprese sociali finalizzateall’inserimento lavorativo di persone cosiddette svantaggiate per difficoltà sul piano fisico opsichico, o legate a situazioni di tossicodipendenza, alcolismo, etc.

16 Per una stimolante riflessione sullo scarto di luoghi, uomini e cose si veda il volume diLynch (1992).

17 Sono molte in Italia, le iniziative di associazioni, imprese sociali, come i networkCartesio e Ideambiente, e anche Ong come Mani Tese e il Cisv (attraverso la cooperativa el’associazione Triciclo) attive in questo campo, con la creazione e la gestione di eco-centri,luoghi di raccolta, riparazione e riprogettazione di oggetti usati, sedi di mercatini dell’usato,di laboratori sul riuso e il riciclo e sull’educazione ambientale. Si vedano ad esempio le rea-lizzazioni delle cooperative di Manitese a Milano e Firenze (www.manitese.it), dellaCooperativa Cauto a Brescia (www.cauto.it), della cooperativa Triciclo a Torino (www.trici-clo.com), della Comunità di Emmaus a Cuneo, delle cooperative “Di mano in mano”(www.dimanoinmano.it) nel milanese.

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di igiene urbana, le imprese e in particolare quelle sociali che si occupano dirifiuti, il mondo della ricerca e dell’applicazione della stessa nel trovare nuo-ve soluzioni tecnologiche nella direzione delle “quattro erre” e altri attori an-cora, come ad esempio il mondo della scuola ai diversi livelli formativi.

Non ci si può nascondere che questa per molti versi sia ancora una visio-ne dettata dall’ottimismo della volontà, ma è questa la direzione da intrapren-dere e occorre valorizzare tutte le iniziative che vanno in questa direzione. Edè sulla base di una tale visione complessa del sistema degli attori che ruota-no attorno alla politica dei rifiuti in ambito urbano che possono essere proget-tate delle azioni di cooperazione decentrata sulla tematica dei rifiuti e di unaloro rivalutazione in quanto potenziale risorsa per lo sviluppo.

3.6 COOPERAZIONE DECENTRATA E RIFIUTI

L’attività di cooperazione decentrata ha conosciuto una decisa impenna-ta in Italia, come appare da molteplici indagini e censimenti a livello re-

gionale e nazionale. Dalla seconda metà degli anni Novanta si riscontra unun marcato protagonismo di enti locali – regioni, province e comuni – al cuifianco troviamo parchi, associazioni di categoria, imprese pubbliche, e ilvasto mondo dell’associazionismo, oltre naturalmente alle Ong specializza-te nella cooperazione internazionale18. Negli ultimi 4-5 anni, siamo anzi en-trati in una fase più matura di riflessione critica sugli esiti e le forme del di-namismo un po’ improvvisato che aveva caratterizzato le fasi pioniere dellacooperazione decentrata in Italia. Assistiamo infatti ad una sistematizzazio-ne di pratiche, direzioni, modalità e priorità di intervento ed al consolida-mento di reti di cooperazione sia a livello locale, sia con i partner stranieri.

All’interno di questo ampio e variegato scenario della cooperazione de-centrata, le attività legate alla gestione dei rifiuti, soprattutto urbani, assu-mono un peso consistente e si esprimono attraverso una notevole quantitàdi progetti. Allo stato attuale, non disponiamo tuttavia di un quadro com-plessivo della situazione e di ricerche specifiche sull’argomento, sicché an-che il semplice citare l’uno o l’altro progetto risulta oltremodo arbitrario.

Di fatto il tema rifiuti si presenta come trasversale rispetto ai tre ambiti ti-pici della cooperazione decentrata, come individuati dall’Osservatorio inter-regionale sulla cooperazione allo sviluppo19: il buon governo (e in particola-

18 Facciamo in questa sede riferimento a una definizione estensiva di “cooperazionedecentrata”, come quella assunta dalla Ue, che ne individua i protagonisti non solo nelle col-lettività locali ma anche nella società civile (cfr. cap. 1).

19 L’Oics è nato nel settembre 1991 per volontà della conferenza dei presidenti delleRegioni e delle Province autonome italiane, come “agenzia comune” in materia di coopera-

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re la capacità di governance e pianificazione del territorio); i pubblici servi-zi (e in particolare i servizi ambientali urbani); lo sviluppo economico (l’ap-poggio a imprenditorialità locali, le attività di formazione professionale). Tut-tavia l’ambito di intervento “rifiuti urbani” non è di facile individuazione all’in-terno dei diversi cataloghi sulle attività di cooperazione decentrata, comequello realizzato dalla Regione Piemonte e disponibile sul sito web “AgoràPiemonte”20 o quello della Cooperazione Toscana. Esso non viene identifi-cato come settore di intervento specifico, ma risulta accorpato all’interno divoci più generiche come “ambiente” o “habitat” o “servizi per l’igiene” o al-tre ancora.

All’interno di questi progetti, accanto agli enti locali, ritroviamo con varie-gate combinazioni la pluralità dei soggetti che si muovono sulla scena delgoverno e gestione dei rifiuti solidi urbani: aziende municipalizzate e con-sorzi specializzati nella gestione dei rifiuti; imprese sociali del terzo settoreimpegnate spesso in attività di raccolta differenziata; scuole e centri di ri-cerca pubblici, in particolare universitari, e privati che svolgono un suppor-to tecnico e di consulenza all’attività di interfaccia di Ong e altri soggettipresenti sul territorio dei paesi destinatari degli interventi.

A partire dall’ampia casistica offerta dalle notizie presenti su Internet, sianelle banche progetti di cooperazione decentrata, sia in siti web dedicati,senza alcuna pretesa di esaustività, possiamo tentare di ricondurre ad alcu-ne categorie i progetti di cooperazione decentrata che riguardano la tema-tica “rifiuti urbani”, distinguendoli sulla base degli attori coinvolti21:– relazione tra enti locali, con coinvolgimento dell’azienda municipalizzata

italiana o consorzio di servizi ambientali, che forniscono soprattutto unsupporto tecnico. Vi sono molti interventi di questo tipo, sia nella forma diaiuto allo sviluppo, sia in quella di interventi di emergenza in situazioni diricostruzione post-bellica, come nell’ex Jugoslavia;

– interventi inseriti all’interno di macro-progetti quadro, sotto forma di tavolicittà o regione, in cui il campo dei rifiuti urbani è indicato come un ambitodi possibile intervento. Potenzialmente in questi progetti, la rete dei sog-

zione decentrata allo sviluppo. È un’organizzazione senza fini di lucro e ha la natura giuridi-ca di associazione privata di enti pubblici (www.oics.it).

20 Il sito “Agorà Piemonte” presenta una schedatura dei soggetti e progetti di coopera-zione decentrata in Piemonte: http://agora.regione.piemonte.it). Analoga banca dati dei pro-getti in Toscana, altra regione molto attiva sul fronte della cooperazione decentrata, si trovasul sito del “Sistema informativo della cooperazione decentrata Toscana” (http://cdt.iao.flo-rence.it/cerca.phtml).

21 In mancanza di ricerche sistematiche sui progetti di cooperazione decentrata sul tema“rifiuti urbani”, gli esempi indicati nel tentativo di classificazione dei progetti e delle reti diattori hanno un valore puramente esemplificativo e didascalico.

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geti è piuttosto ampia, in quanto sono tendenzialmente coinvolti la plurali-tà dei soggetti della cooperazione decentrata, dagli enti locali, ai servizitecnici, alle Ong, alle associazioni ambientaliste, imprese sociali e non,università e centri di ricerca, etc. Tuttavia, spesso tali progetti possono ef-fettivamente vedere all’opera una rete di attori molto meno articolata, rica-dendo nelle situazioni indicate nel punto precedente o in quello successi-vo;

– intervento di una Ong, finanziata dai fondi regionali per la cooperazionedecentrata, oppure da fondi nazionali e internazionali, sulla tematica deirifiuti, con coinvolgimento di partner pubblici e tecnici locali. Un esempiosignificativo è rappresentato dai progetti condotti dalla Ong piemonteseLvia sia in Senegal sia in Burkina Faso nel campo della gestione dei rifiutiurbani e soprattutto del riciclaggio innovativo della plastica22. In progettidi questo tipo, in relazione al radicamento territoriale (al Nord e al Sud)della Ong, può crescere la complessità delle relazioni tra attori e degli in-terventi, che in genere oltre a svolgersi su un piano più prettamente tecni-co nella gestione dei rifiuti, puntano su processi partecipativi volti al coin-volgimento della popolazione locale, e in particolare di associazioni, Ong,reti dell’economia solidale;

– intervento di un’associazione ambientalista italiana, che collabora spessocon una Ong italiana, intervenendo nel campo della gestione rifiuti. Vi so-no diversi esempi di questo tipo di progetti. Ad esempio, Legambiente,sia a livello nazionale, sia a livello locale, è attiva in interventi in cui gliaspetti di sensibilizzazione ed educazione ambientale acquistano un va-lore determinante;

– collaborazione di un’impresa sociale, talvolta in supporto all’attività di unaOng, in progetti tematici sui rifiuti23. Nel caso torinese, ad esempio, il net-work Cartesio che si occupa principalmente di progetti innovativi nel cam-po della raccolta differenziata, ha collaborato ad alcuni progetti nel cam-

22 Si tratta del Programma di riduzione del degrado ambientale in ambito urbano e rici-claggio plastica (Thiès, Saint Louis, Mbour, Kaolak), realizzato in Senegal dall’Ong Lvia conun contributo della cooperazione italiana. L’esperienza maturata in Senegal è stata fonda-mentale per la formulazione di un altro progetto di grande interesse, rappresentato dal pro-getto dell’Lvia, in partenariato con il Comune di Ouagadougou, il Comune di Torino e laRegione Piemonte per la realizzazione a Ouagadougou del primo Centro di riciclaggio deirifiuti plastici del Burkina Faso. Tale progetto è stato premiato dalla Banca mondiale nell’am-bito del programma Development Marketplace (letteralmente “borsa per lo sviluppo”, sulsito web: www.developmentmarketplace.org) che ogni due anni vede premiati a livello mon-diale i progetti più innovativi nel settore della cooperazione internazionale.

23 Le attività dell’associazione e della cooperativa Triciclo, coinvolte nel progetto “Da rifiu-to a risorsa”, possono rientrare in questa categoria e in quella precedente.

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po dei rifiuti condotti dalla Ong Cisv e con i progetti del Gruppo Abele inCosta d’Avorio24.

– un caso particolare, che merita di essere ricordato, è quello di un’associa-zione di immigrati in Italia, che appoggiandosi ad una Ong, magari con ilsupporto di enti locali o di privati donatori, finanzia realizzazioni nel cam-po della gestione dei rifiuti nel paese e più in particolare nella località diprovenienza. Citiamo il caso del progetto che vede coinvolta un’associa-zione di immigrati senegalesi presenti in provincia di Cuneo, in Piemonte,che con l’appoggio della Ong Cisv, finanzia iniziative volte al migliora-mento della raccolta dei rifiuti urbani nella città senegalese di Darou Mou-sty, luogo di provenienza degli immigrati. In conclusione di questo veramente approssimativo e parziale tentativo

di individuare delle tipologie nelle reti di attori coinvolte, possiamo afferma-re, per quanto a nostra conoscenza, che sono comunque abbastanza rari icasi in cui si riescono a stabilire azioni di sistema tra la complessa rete diattori che operano nel campo della gestione dei rifiuti in Italia e un’altrettan-ta variegata rete di attori nei paesi co-operanti. Da questo punto di vista, ilprogetto “Da rifiuti a risorsa”, potrebbe costituire un esempio interessante.Partito inizialmente su un piano puramente didattico-educativo, comescambio tra scuole, si è progressivamente esteso ad una gamma più ampiadi interventi, anche sul piano concreto della gestione dei rifiuti.

3.7 COOPERAZIONE DECENTRATA, RIFIUTI E SVILUPPO LOCALE: RIFLESSIONI CONCLUSIVE

A ll’interno di un’eco-storia urbana di lunghissimo periodo, la gestione deirifiuti urbani – pur sotto la spinta di impulsi vari sovralocali, sensibilità e

contesto culturale, normative, strategie politiche, innovazioni tecnologichee organizzative, buone pratiche – è sempre stata un tema di tradizionalegestione locale. Si sono così sviluppate e accumulate nel tempo delle rispo-ste e dei saperi localmente specifici nella gestione dei rifiuti, nelle soluzionitecnico-organizzative, nelle capacità politiche e gestionali, negli atteggia-menti della popolazione. Allo stesso tempo, come per altri problemi am-

24 Un altro caso molto interessante di coinvolgimento di imprese sociali in progetti di coo-perazione decentrata sui rifiuti urbani è rappresentato dal progetto di Idea Ambiente, unconsorzio di cooperative sociali impegnato nello sviluppo di azioni imprenditoriali nel campoambientale, finalizzate alla creazione di lavoro per persone svantaggiate. Con la creazionedi Idea Ambiente Senegal sono state infatti avviate delle iniziative a metà strada tra la coo-perazione decentrata e l’impresa commerciale per l’importazione in Africa di beni usati oricondizionati (abiti, computer, etc). Sito web: www.ideambiente.it.

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bientali, si riscontra una tendenza di carattere generale, descritta molto be-ne dal sociologo Luhmann nella sua riflessione critica sulla capacità dellasocietà di affrontare i problemi ambientali (Luhmann, 1989): una volta iden-tificato e circoscritto “il problema”, occorre istituzionalizzarlo, settorializzan-dolo e affidandone la gestione/soluzione a un servizio tecnico dedicato.Questa tendenza è stata forse accentuata dalla particolare tematica dei ri-fiuti, in quanto scarti di cui si vuole liberare, che richiedono particolari tratta-menti tecnici e strutture per essere poi affidati alla soluzione che per lungotempo ha prevalso: “sotterriamoli o bruciamoli, e non pensiamoci più”.

Come si è visto, tuttavia, la complessità odierna della questione rifiuti ri-chiede di superare una logica basata sull’isolamento del problema, affidan-dolo a una sfera tecnico-gestionale. Anche le innovazioni normative in ma-teria di raccolta differenziata si fondano sulla consapevolezza che una ge-stione sostenibile dei rifiuti solidi urbani debba avvenire attraverso strategiesistematiche di coinvolgimento della popolazione e dei soggetti economiciche vanno al di là delle pur necessarie innovazioni nei sistemi di raccolta edi campagne di informazione e comunicazione ambientale. Si tratta di con-solidare una visione della politica dei rifiuti concepita come governance diun quadro più complesso di attori (enti locali, aziende municipalizzate, im-prese private e sociali, gruppi di consumo critico, movimenti ambientalisti)all’interno di un cambiamento culturale e organizzativo profondo.

In questo contesto, ecco allora un senso ulteriore per una cooperazionedecentrata attorno al tema dei rifiuti urbani. I principi della cooperazionedecentrata sono infatti orientati allo stabilire delle relazioni tra territori, ve-dendole non solo come collegamento inter-locale di singoli attori isolati, perquanto omologhi (ente locale con ente locale, scuola con scuola, Ong conOng, etc.), ma come messa in rete del complesso di attori presenti su unterritorio. Essi puntano cioè allo stabilire delle interconnessioni tra sistemiterritoriali di attori. La logica della cooperazione decentrata, pur tra le moltedifficoltà e ambiguità che la caratterizzano, potrebbe aumentare la capaci-tà degli attori stessi di lavorare insieme sul territorio italiano. È questo, infondo, che abbiamo da imparare da alcune positive esperienze che la real-tà del progetto “Da rifiuto a risorsa” ha sia svelato, sia aiutato a mettere inmoto. E cioè che, al di là delle pur fondamentali e imprescindibili necessitàsul piano economico, tecnico e organizzativo, una nuova politica dei rifiutipassa attraverso la necessità di far leva sul protagonismo e la partecipazio-ne di realtà associative urbane. Con alle spalle storie e geografie diverse, lecittadinanze di un futuro sostenibile sono accomunate dall’esigenza di ri-pensare a ciò che consumiamo e scartiamo per scoprire chi siamo e chi vo-gliamo essere.

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CAPITOLO

I RIFIUTI DOMESTICI NELLE CITTÀ SENEGALESIDa rifiuti a risorse, il protrarsi di una lunga crisi

di Cheikh Sarr

4.1 INTRODUZIONE

Nel contesto delle città senegalesi di origine coloniale1 o post-coloniale2,le politiche pubbliche attuate in passato o attualmente sperimentate

sotto la voce “igiene urbana” sono state determinanti nella strutturazione,nel consolidamento urbano e nella gerarchizzazione dei quartieri. Ciò nono-stante gli spazi della città, compresi anche i più valorizzati, rimangono inva-si dai rifiuti.

La notevole estensione sul territorio fa dei rifiuti domestici uno dei puntisui quali è necessario interrogarsi quando si parla di città e di ambiente ur-bano, concentrandosi in particolare sul problema della “situazione di stallo”delle città senegalesi, dovuta in gran parte alle debolezze della gestionepubblica dei contesti urbani.

Quale analisi fare dell’emergenza della gestione dei rifiuti e della confer-ma delle iniziative private che reagiscono contro le evidenti mancanze diquesto servizio urbano vitale?

I tentativi di risposta si svilupperanno in due direzioni. Da un lato ci si sof-fermerà sul quadro generale di evoluzione economica e sociale del paesein rapporto alla produzione e all’eliminazione dei rifiuti, dall’altra si esamine-ranno, a partire da alcuni casi pratici, i ruoli e le strategie messe in motodalle parti coinvolte in questo meccanismo per arrivare, in ultima analisi, al-la ricomposizione di un quadro della gestione globale dei rifiuti nelle cittàsenegalesi.

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1 Si tratta di Dakar, capitale del paese, Saint Louis antica capitale dell’impero colonialefrancese in Africa occidentale e Rufisque, o più semplicemente nelle città che erano antichiscali ferroviari e fluviali, Mékhé, Khombole, Dagma, Podor, etc.

2 Touba, Richard Toll, etc.

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4.2 I RIFIUTI IN CITTÀ

� 4.2.1 I dati urbani

Il Senegal è un paese caratterizzato da una rapida urbanizzazione. Apartire dal periodo detto “dei quattro comuni urbani” nel 1872 sino a questoinizio del terzo millennio, l’evoluzione delle città e del numero dei suoi abi-tanti è stata straordinaria.

Secondo i risultati provvisori3 dell’ultimo censimento, attualmente si con-tano più di un centinaio di comuni che catalizzano circa il 45% della popo-lazione totale, stimata in 10 milioni di abitanti e con un tasso di crescita de-mografica del 2,7% l’anno. Questa popolazione, però, è distribuita in modosquilibrato, con il 65% concentrato nel 14% del territorio nazionale. Non so-lo, il tasso di crescita della popolazione varia da una regione all’altra: la po-polazione della regione di Dakar, che rappresenta circa il 30% della popo-lazione totale, cresce al ritmo medio del 3,7% l’anno, contro l’1,1% della re-gione di Louga (Wane, 2004).

I 35 mila abitanti che vivevano a Dakar nel 1920 sono diventati 2 milioninel 2002. Touba, nella regione di Diourbel, che era un villaggio di 2 milapersone nel 1960, si è trovato inserito tra Dakar e la città di Thiès4 (che oc-cupa la seconda posizione demografica con circa 231 mila abitanti nel2000) e, secondo le stime ufficiali, raggiunge oggi i 500 mila abitanti, deter-minando un’esplosione urbana unica negli annali delle città del paese che,tuttavia, hanno conosciuto dei fenomeni di crescita a due cifre.

Le città di Richard Toll (12% negli anni ‘70) e Mbour (11% negli anni ‘80)illustrano bene questi processi di rapida urbanizzazione, dei veri e propripicchi di crescita in un processo generalizzato di sviluppo urbano esponen-ziale (3,9% di crescita urbana l’anno).

Lo sviluppo urbano ha determinato un’eccessiva disparità nella distribu-zione delle città sul territorio nazionale, dal litorale atlantico fino a un centi-naio di km verso l’interno, in cui si concentrano la maggior parte dei nucleiurbani. In quest’area del paese si concentrano i tre quarti delle attività pro-duttive, generatrici della maggior parte della ricchezza.

Naturalmente si è anche sviluppato un grande mercato di consumi, ge-neratori di rifiuti di ogni specie legati alle attività economiche e domestiche.

3 Censimento del 2002.4 Mbour conta 250 mila abitanti, Kaolack 200 mila, Saint Louis 160 mila.

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� 4.2.2 Livello di sviluppo e rifiuti domestici

Le città si definiscono in generale a partire dalla demografia, a sua voltalegata all’emergere di un grande mercato di consumo. Alcuni dicono che laproduzione di rifiuti dipenda dai consumi, a loro volta determinati dal tenoredi vita. Anche se il Senegal resta un paese povero, il tasso di crescita dellapopolazione è largamente inferiore al Pil. Infatti, il Pil è passato dai 1.551,5miliardi di franchi Cfa del 1991 (2,36 miliardi di euro circa) ai 2.761 miliardidi franchi Cfa nel 1998 (4,2 miliardi di euro circa), con un incremento an-nuale di più del 7%5. L’analisi statistica considera anche che l’aumento diricchezza pro capite sia stato del 5% durante il periodo preso in considera-zione (1990-1998). Per la maggioranza della popolazione, questo incre-mento del reddito disponibile va ad aumentare i consumi alimentari (Wane,2004), par cui sono proprio i rifiuti derivati dai consumi alimentari a costitui-re la maggior parte dei rifiuti domestici. I rifiuti della nettezza urbana sonocostituiti dai resti delle attività informali, principalmente dei commerci e deiservizi di vendita al dettaglio6 installati sui marciapiedi delle vie delle città.

Da quanto detto si deduce che la produzione di rifiuti solidi è proporzio-nale alla dimensione della popolazione7: più questa aumenta in quantità equalità (tenore di vita), più cresce la produzione di rifiuti. La loro composi-zione è molto variabile e dipende dal grado di urbanizzazione, dalle stagio-ni, dagli stili di vita.

Da alcuni studi si desume che, in paesi come il Senegal, un cittadinoproduce circa 500 grammi di rifiuti al giorno, ossia 180 kg l’anno. Se si ana-lizzano queste cifre, a partire dalle 400 mila tonnellate di rifiuti raccolti an-nualmente a Dakar, per esempio, ci si rende conto che nel 2000 questa rac-colta non copriva che il 40% dell’insieme dei rifiuti prodotti, che raggiungo-no la cifra di un milione di tonnellate l’anno. Applicando questo procedi-mento logico alla totalità dei 45% di cittadini urbani senegalesi, si arrivereb-be a 2,25 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti dalle città senegalesi. Secon-do uno studio realizzato dal Servizio nazionale d’igiene, citato da Thiombia-no (2000), in Senegal solamente il 43% delle famiglie elimina in modo ade-

5 “Questo ritmo relativamente elevato di crescita della creazione di ricchezza nazionale siè tradotto in un aumento del Pil pro capite che è passato dai 212.534 franchi Cfa ai 306.778nel 1998” (Diop, 2004), rispettivamente 324 e 468 euro circa.

6 Quello informale è il principale settore di attività dei centri urbani e ne riassume la fun-zione economica. Occupa fino all’80% delle attività di una città come Dakar, che tuttavia è lapiù industrializzata del paese.

7 Nel rapporto città/campagna è chiaro che in campagna il tenore di vita, le attrezzaturee i consumi sono inferiori, e questo influenza il divario tra la produzione dei rifiuti pro capitedella popolazione rurale e quello della popolazione urbana.

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guato i suoi rifiuti. Per la grande maggioranza dei consumatori, dunque, glisforzi per tenere puliti gli spazi privati che circondano le case non prose-guono nelle strade negli spazi pubblici e collettivi che circondano l’abitato.A causa della carenza del sistema istituzionale di raccolta, questi ultimivengono trasformati molto rapidamente in depositi selvaggi in cui si am-mucchiano i rifiuti prodotti dal vicinato.

4.3 LA GESTIONE DEI RIFIUTI IN SENEGAL

� 4.3.1 Il quadro legislativo e amministrativo

Le leggi francesi del XIX secolo sull’igiene urbana pubblica (Poinsot, Si-nou et al., 1989)8 sono state applicate nei centri urbani del Senegal. Da al-lora sino a oggi le politiche dette igieniste o di igiene urbana pubblica o disalute pubblica costituiscono il vanto delle politiche urbane.

Dalla polizia delle banchine che proibiva il deposito di immondizia sullesponde del fiume Senegal, alle leggi che vietavano l’accumulo di immondi-zia nei cortili delle case, l’amministrazione pubblica ha sempre tracciato unquadro legislativo per gestire i rifiuti, senza tuttavia riuscire a impedire la cri-si. Durante il periodo post-coloniale i primi testi legislativi del vecchio rego-lamento sull’ambiente, sebbene caratterizzati da una certa dispersività, im-ponevano comunque delle norme, soprattutto agli inquinatori che eranosanzionati secondo il principio “chi inquina paga”, fatto che, comunque,non risolveva il problema del degrado ecologico che incombeva sulle cittàsenegalesi. A questo proposito, dal marzo 2000, in occasione dell’alternan-za politica, è intervenuta una modifica del quadro normativo di cui si sonorapidamente comprese le motivazioni. L’istituzione si un sovra ministerodell’ambiente traduce le preoccupazioni dei nuovi dirigenti in materia diigiene9.

In questa prospettiva l’elaborazione del codice10 dell’ambiente è un ele-mento fondamentale dell’arsenale giuridico-amministrativo dispiegato perimprimere una nuova dinamica alla problematica della gestione dell’am-

8 Leggi del 1850 concernenti le abitazioni insalubri, decreto del 14 aprile 1904 relativo al-la protezione della salute pubblica etc.

9 Le proposte aneddotiche attribuite alla first lady, messe in risalto sulla stampa all’indo-mani del 19 marzo 2000, sulla “sporcizia” delle cucine del palazzo della Repubblica e i bron-ci presidenziali sui “comuni sporchi” sono indice della determinazione politica dei pubblicipoteri per braccare il “male” più snaturante delle città senegalesi.

10 Legge n. 2001 del 15 gennaio riguardante il codice ambientale e decreto n. 2001-282del 1° aprile 2001.

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biente. Parallelamente a questa procedura di portata nazionale, la gestionelocale si è irrobustita con la creazione di strutture locali di gestione dei rifiu-ti. D’altronde questo è reso possibile dal decentramento amministrativo invigore dal 1996, in nome del quale le collettività locali sono competenti inmateria di ambiente.

È in quest’ottica che si inquadra la creazione nella capitale senegalese,nel maggio 2000, dell’Alta autorità per la pulizia di Dakar (Aprodak). Questastruttura lavorava sotto la tutela del ministero della Gioventù, dell’Ambientee dell’Igiene Pubblica. Il suo assoggettamento a questo ministero è rivelato-re di nuovi rapporti tra lo stato e i giovani del paese11, ed è la prova che lenuove autorità politiche, rispetto alle precedenti, vogliono investire sullasensibilizzazione della gioventù. L’entrata e l’affermazione dei giovani comeattori determinanti del gioco politico senegalese costituisce dunque unareazione contro il degrado delle infrastrutture pubbliche: ad esempio, laquasi assenza della raccolta dei rifiuti domestici nei quartieri popolari, hadato origine al movimento Set-Setal. A tal proposito M. Diouf (O’Brien, Diop,Diouf, 2004) afferma che questo movimento è la risposta locale data daigiovani all’abbandono da parte dello stato del luogo in cui essi vivono. Que-sto spiegherebbe perché un tale genere di azioni sia centrato esclusiva-mente sul quartiere.

In seguito, il problema dei rifiuti domestici e il suo apporto ai movimentidei giovani è uscito dal quadro informale micro-locale per integrarsi in unaltro tipo di azione più formalizzato e su scala più vasta. Questa logica haprevalso ed è diventata essenziale nella strutturazione di interventi istituzio-nali e degli attori non istituzionali, formalizzazione resa necessaria dallapratica obbligatoria di governance urbana nella gestione delle città.

In realtà, nella maggior parte delle città l’elemento essenziale delle strut-ture dei comitati e consigli di quartiere creati dalle municipalità è costituitodalle associazioni di giovani, principalmente le Asc (Associazioni sportive eculturali), dalle quali furono creati i Gie (Gruppi d’interesse economico) di-rettamente implicati nella gestione dei rifiuti degli abitanti dei quartieri piùpopolosi.

Rispetto alla problematica dei rifiuti domestici, queste strutture di basecostituiscono l’ultimo gradino nei nuovi quartieri amministrativi incaricati dioccuparsi dell’igiene pubblica e si presume che esse accompagnino gli in-terventi pubblici.

11 A questo proposito si legga l’articolo di Mamadou Diouf, 2002, “Les jeunes dakaroisdans le champ politique”, in La construction de l’état au Sénégal, Karthala.

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� 4.3.2 Lo stato e i rifiuti domestici

Oltre che attraverso la legge ambientale, conformemente alle sue prero-gative e malgrado parecchi insuccessi, lo stato e le municipalità hanno cer-cato di organizzare il loro intervento creando delle società ad hoc o asso-ciandosi con altri partner per occuparsi della gestione dei rifiuti prodotti dal-le città.

4.3.2.1 La raccolta ufficiale dei rifiuti: tentativo di un bilancio

Dopo l’indipendenza del paese, le politiche di gestione dell’igiene urba-na a Dakar hanno conosciuto molte peripezie e l’alternarsi di diverse socie-tà di raccolta dei rifiuti.

Il nostro punto di partenza è volontariamente fissato al 1971, anno in cuifu firmato un contratto tra il comune di Dakar e la Società africana di diffu-sione e promozione (Soadip). In quel periodo la città contava 1 milione diabitanti. Benché non riguardasse che alcuni quartieri regolarmente lottizza-ti, il sistema di raccolta aveva temperato la cattiva igiene urbana in città,confinandola in alcuni quartieri o settori.

Una decina di anni più tardi, di fronte ai cambiamenti demografici, socio-logici, economici e culturali della città, questo sistema mostrò i suoi limiti eindicò i termini del suo superamento. Fu così che nel 1984 la Direzione tec-nica dei servizi comunali del municipio di Dakar si riprese la gestione dei ri-fiuti dalla Soadip, che gli affidò subito il materiale e le attrezzature che utiliz-zava. Da subito questo capitale si rivelò insufficiente, obbligando la munici-palità ad affittare attrezzature supplementari.

Trovandosi impreparato e non disponendo dell’esperienza necessaria, labuona volontà del Comune di Dakar si rivelò insufficiente in rapporto al-l’enorme compito della raccolta dei rifiuti e, nel giro di otto mesi, la capitaleaveva finito per trasformarsi in un immenso deposito di rifiuti.

Dakar invasa dall’immondizia: questo voleva dire che lo stato senegale-se era colpito nel cuore del paese, bisognava dunque reagire rapidamenteper evitare una definitiva degenerazione della situazione. Nel febbraio 1985un’operazione di Set-Setal permise di diminuire i cumuli di rifiuti dissemina-ti nei quartieri centrali. In due mesi furono circa 160 mila le tonnellate di ri-fiuti che furono rimossi dalle strade della capitale.

Sulla scia di questo investimento umano fu creata il 16 aprile 1985 la So-cietà industriale di risanamento del Senegal (Sias). Questa società firmò su-bito un contratto con la comunità urbana di Dakar (Cud) e con un organi-smo sovracomunale che raggruppava i comuni di Dakar, Pikine-Guédiawa-yes, Rufisque e Bargny, che l’impegnava a pulire e a mantenere pulite lestrade di Dakar. Nel 1995 la Sias si sciolse.

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A partire da questa data, il compito venne quindi assunto dall’Agenzia dilavori temporanei (Agetip)12 che esercita tutt’ora il suo mandato in collabo-razione con il Coordinamento delle associazioni e dei movimenti dei giova-ni della comunità urbana di Dakar (Camcud).

Mentre le prime società statali erano state create per occuparsi unica-mente di Dakar, l’Agetip opera su tutto il territorio nazionale, dunque in tuttele città senegalesi in cui essa guida l’esecuzione di attività in qualità di re-sponsabile dei lavori. Per Dakar, ad esempio, fu firmata nel 1996 una con-venzione con la Cud del costo di 1 miliardo di Cfa (1.524 euro circa), di cuiil 50% a carico della Cud e gli altri 50% finanziati dalla Banca mondiale.Questa convenzione ha permesso all’Agetip di realizzare il progetto “Em-ploi jeune” (lavoro per i giovani) che si fonda su un approccio comunitariodi gestione dei rifiuti ed è fonte di un discreto numero di posti di lavoro.L’agenzia paga e tratta direttamente con le società concessionarie, metten-do a disposizione dei Gie di quartiere i mezzi materiali necessari per puliree spazzare e assicurando ai lavoratori l’assistenza medica. La raccolta è af-fidata a imprese private che utilizzano mezzi propri, pagate in base al pesodel carico. La fatturazione viene effettuata alla discarica di Mbeubeuss,grazie a una bilancia basculante che pesa i camion in entrata e in uscita.Sono queste procedure triangolari tra l’Agetip, le municipalità e il privato(impresa e Gie) a prevalere oggi, anche se coesistono con altre forme digestione dei rifiuti nelle città, come quella con la società privata Alcyon, chenel novembre 2002 ha firmato un contratto con lo stato senegalese per lapulizia e la raccolta dei rifiuti domestici a Dakar.

L’Alcyon è il partner strategico di una società locale, chiamata Ama-Se-negal, creata per svolgere un ruolo chiave nella nuova logica ambientale.Essa dà lavoro a più di 1.300 salariati che provengono dai Gie, gli stessiche hanno assicurato la raccolta rifiuti per conto della Cud dopo lo sciogli-mento della Sias.

Lo scioglimento della Cud all’inizio di questo millennio rientra nella ridefi-nizione del nuovo pacchetto istituzionale che il governo dell’alternanza ten-ta di realizzare, per correggere, secondo quanto dice Touré (2004), le di-sfunzioni strutturali che sono alla base dell’insufficienza dell’offerta istituzio-nale rivolta ai cittadini. I fallimenti successivi delle società di pulizia dai rifiu-ti si inscrivono dunque nella logica di quelle entità create dallo stato, chenon hanno mai adempiuto al ruolo per il quale erano state create.

12 “Per favorire i lavori con grande quantità di mano d’opera parecchi stati africani hannocreato, con l’aiuto della Banca mondiale, delle agenzie autonome con un loro statuto, il cuiprototipo è stato l’Agetip di Dakar. Queste agenzie sono incaricate di far realizzare dei lavo-ri di interesse pubblico da piccole imprese locali, aggirando le regole che fino ad allora re-golavano i mercati pubblici” (Jaglin, Dubresson, 1993, p.121).

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Riorientare la sua azione è diventato un imperativo per lo stato, che hasempre più bisogno di nuovi partner per essere più forte di fronte alle esi-genze dei cittadini di ottenere servizi urbani di qualità. E ciò sottintende lapartecipazione dei privati, le cui iniziative innovatrici hanno dato una nuovadimensione alla lotta contro la cattiva igiene urbana.

4.4 INIZIATIVE LOCALI E PARTENARIATO NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI

Le nuove pratiche adottate dallo stato senegalese portano elementi sup-plementari di comprensione della complessità del problema dei rifiuti.

Per meglio capirli esamineremo due città senegalesi, Saint-Louis e Thiès,caratterizzate dall’originalità della gestione istituzionale dei rifiuti (SaintLouis) e dalle difficoltà della pratica municipale in materia (Thiès).

� 4.4.1 Il progetto Cetom a Saint Louis

Nel 1994 il progetto di raccolta, smaltimento e trasformazione dei rifiutidomestici (Cetom) è stato realizzato nella città di Saint Louis per organizza-re la raccolta dei rifiuti domestici nei quartieri popolari delle città.

Il progetto ha messo in collaborazione con il municipio 17 Gie, chiamatiGie Cetom, che hanno raccolto più del 20% dei rifiuti domestici. Il progettoè definito come una delle azioni prioritarie realizzate nel quadro del parte-nariato tra la regione Pas de Calais (Francia) e la città di Saint Louis.

L’obiettivo di questa azione è sia di migliorare la raccolta, lo smaltimento,e il trattamento dei rifiuti domestici nel comune, sia di procurare risorse fi-nanziarie ai giovani dei quartieri. Una sovvenzione economica è accordatadal comune, oltre alla possibilità che è data agli attori di vendere alcuni rifiu-ti e di recuperare una “tassa di rimozione” versata dalla popolazione perpagare il servizio. Questa somma varia in funzione di una gerarchia deiquartieri che essi stessi hanno codificato, e di cui il criterio più obiettivo è ladistanza dal centro di Saint Louis: 250 franchi Cfa (38 centesimi di euro cir-ca) a Bongo (un villaggio periferico attaccato alla città), 500 (76 centesimidi euro circa) a Diameguène (quartiere periferico-centrale) e 1.000 (1,5 eu-ro circa) a Ndjollofène (quartiere residenziale vicino al centro).

Gran parte di questo denaro è utilizzato per i mezzi e le spese di perso-nale. I mezzi logistici che rispondono ai bisogni dei Gie Cetom sono: stalle,carri, siti per il compostaggio, materiale come carriole, pale, etc. Il persona-le tecnico di funzionamento viene reclutato secondo i mezzi utilizzati. Si trat-ta perciò di conducenti di carri, spazzini e operai per il compostaggio. Que-sta forma di utilizzo rudimentale è determinata da un sistema locale di ge-

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stione dei rifiuti e da una morfologia di quartieri dalla struttura irregolare. Inogni caso, l’efficacia della pratica (circa 2.420 m3 ossia 880 tonnellate almese) aveva finito per convincere il consiglio municipale che era stata tro-vata una soluzione per i rifiuti prodotti nei quartieri della città non serviti dal-la raccolta con mezzi meccanici. Le sovvenzioni ai Gie Cetom sono andateaumentando: 3 milioni di franchi Cfa (4.573 euro circa) nel 1995, 4 milioni(6.098 euro circa) nel 1997, 9 milioni (13.720 euro circa) nel 1998 e 13 milio-ni (19.818 euro circa) nel 1999. L’azione dei Gie Cetom va dalla raccolta deirifiuti al loro riutilizzo come risorsa. Nel luogo di deposito i rifiuti sono setac-ciati e suddivisi: la sabbia serve come terrapieno, la plastica viene messada parte per un pre-trattamento, etc. Il compost che proviene dai rifiuti èvenduto agli ortolani e ad altri utilizzatori.

Un altro aspetto non meno importante dei Gie Cetom è la sensibilizzazio-ne verso comportamenti più consapevoli. È risultato evidente che il com-portamento delle popolazioni è un fattore da non trascurare nella problema-tica di gestione dei rifiuti domestici in città. Per questo è stato creato un or-gano incaricato della sensibilizzazione e dell’informazione della popolazio-ne sull’organizzazione generale della filiera dei rifiuti domestici. Molti abi-tanti di diversi ceti sociali sono stati consultati in quanto parte integrante delprogramma. Si tratta di responsabili eletti, membri della società civile, guidereligiose, alcune categorie socio-professionali come i commercianti. I loropareri sono stati raccolti e vengono presi in considerazione per migliorare ilservizio di igiene urbana dei quartieri.

Questa azione è stata allargata a una rete di partner privilegiati per me-glio consolidare la politica realizzata. A livello regionale e comunale è statastabilita una collaborazione con i centri che potevano agire direttamentenella logistica. Il centro regionale di formazione professionale per la costru-zione e manutenzione dei carri, la scuola di allevamento per la cura dei ca-valli, la formazione dei palafrenieri e il centro orticolo per la trasformazionedi alcuni rifiuti in compost hanno avuto un ruolo di primo piano nella riuscitadel programma. Analogamente, a livello nazionale, è stata costituita una re-te che ha messo a disposizione le risorse necessarie allo sviluppo del pro-gramma grazie alla ricerca scientifica iniziata con i concorsi dell’Istituto diricerca per lo sviluppo (Ird) e anche della scuola nazionale di agricolturadel Senegal (Ensa).

Alla fine di questa presentazione ci sembra importante trarne alcuni in-segnamenti legati ai risultati positivi di un’esperienza locale. A parte il fattoche il programma ha agito positivamente sulle cattive condizioni igienichedei quartieri che sono stati lasciati da parte dalla crescita urbana, esso haanche contribuito alla nascita di una nuova mentalità legata a un alto livellodi attenzione nei confronti dei rifiuti domestici. I sistemi di raccolta fisica deirifiuti andrebbero contemporaneamente integrati con azioni di sensibilizza-

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zione condotte presso le popolazioni. Esse costituiscono un lavoro di vici-nanza che ha senza dubbio possibilità di dare maggiori risultati rispetto almessaggio dello stato, veicolato attraverso i media, che finisce per esserepercepito come più distante e stereotipato (creazione e diffusione di 20sketch per lottare contro la cattiva igiene urbana e lancio dell’operazione“Senegal città pulita”).

� 4.4.2 La politica municipale e le iniziative della città di Thiès

Contrariamente ai casi pratici di Dakar o di Saint Louis, città in cui le mu-nicipalità hanno tentato di privatizzare la raccolta dei rifiuti (Italiana investi-menti a Saint Louis), a Thiès la raccolta è gestita dai servizi tecnici munici-pali.

Tuttavia, solo i quartieri a geometria regolare beneficiano di una rimozio-ne regolare. Il sistema è dunque gerarchizzato secondo l’integrazione deiquartieri nella città e si struttura in tre forme.

La più utilizzata è la raccolta porta a porta: i rifiuti domestici vengono de-positati in recipienti di fortuna che fungono da cassonetti (vecchi secchi,bacinelle usate, cartoni da imballaggio, fusti, sacchi di plastica, etc.) postisui marciapiedi e davanti alle case. La raccolta in ciascun quartiere vieneeffettuata secondo un calendario prestabilito.

Un secondo tipo di raccolta (sur point) si fa a partire da depositi fissi, lo-calizzati in differenti quartieri, che costituiscono dei luoghi di pre-raccoltaaccessibili ai camion. Lo svuotamento dei depositi avviene con una fre-quenza tale da evitare i danni dovuti allo straripamento dei cassonetti.

Infine c’è una raccolta che riguarda i cumuli di rifiuti depositati in puntinon autorizzati. Questa pratica è generalizzata là dove il sistema è irregola-re e non riesce a coprire tutto il territorio, e questo autorizza l’utilizzazione diterreni abbandonati privati o pubblici come depositi.

Questa tipologia di approccio, che si è diversificato e adattato al conte-sto, non è tuttavia riuscita a scongiurare la crisi dei rifiuti nella città di Thiès.L’azione segregazionista imposta alla municipalità sia dalla morfologia del-la città (quartieri irregolari in attesa di regolarizzazione) che da un bilanciolimitato (15 milioni di Cfa all’anno, 22.867 euro circa)13 è il segno che la riu-scita di queste azioni è parziale e richiede dunque di essere completata.

13 “I comuni non dispongono che della Teom (tassa sui rifiuti domestici) come risorsa difinanziamento dei servizi di pulizia. Ma i tassi di riscossione sono deboli nell'insieme del pae-se. Lo scarto nel livello dell'emissione potenziale della Teom arriva, a Dakar, a 2,2 miliardi difranchi Cfa nel 1998” (3.353 milioni di euro circa) (LY, 2004, p. 199).

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� 4.4.3 Iniziative private e partenariati

L’analisi dei comuni e delle municipalità che le dirigono mette in eviden-za, tra l’altro, l’esiguità delle risorse dedicate alla gestione urbana, fattoreche, tra gli altri, blocca lo sviluppo locale. Come uscirne? La trasformazionedei comuni in collettività locali dotate di prerogative di autonomia di gestio-ne degli affari locali rappresenta un’apertura verso l’esterno. Questa visioneè stata considerata nell’elaborazione delle politiche comunali che si fonda-no, ormai, su un approccio partecipativo per dare soluzione ai problemi po-sti dalla crescita urbana. Tale crescita è avvenuta in un periodo contrasse-gnato dalla mancanza di risorse finanziarie dello stato e dei comuni e dallafine dello stato assistenziale. Situazione che ha, di colpo, spezzato la fron-tiera pubblico/privato, lasciando spazio alle iniziative promosse da attoriistituzionali privati, organismi internazionali, organizzazioni non governativee finanziatori. Sul piano dell’igiene pubblica, che è per eccellenza un inve-stimento non direttamente produttivo, queste nuove procedure hanno datoorigine a numerose azioni in partenariato bilaterale e multilaterale .

In particolare, una valida azione di partenariato è stata quella condottaper affrontare la questione dell’eliminazione dei rifiuti plastici che hanno in-vaso tutti gli spazi urbani e rurali, creando un vero problema ecologico acausa della loro non biodegradabilità.

Il centro di pre-trattamento dei rifiuti plastici “Ploplast – Silmang” è unprogetto che deriva da un partenariato esemplare tra la popolazione di unquartiere periferico della città di Thiès, l’Ong Lvia e il governo giapponese.I tre mila abitanti di questo antico villaggio integrato nei confini comunalihanno manifestato il desiderio di veder sparire una discarica selvaggia inprossimità delle loro abitazioni e soprattutto di lottare contro i sacchetti e al-tri rifiuti in plastica che costituiscono un pericolo per il bestiame e che la na-tura non riesce a trasformare.

Con finanziamenti di Lvia, dell’Ambasciata del Giappone e del Program-ma prioritario di creazione di impiego (Ppge), una somma di 50 milioni difranchi Cfa (76.225 euro circa) è stata resa disponibile per la costruzione diuno stabilimento inaugurato l’8 luglio 1999. Il suo funzionamento si fondasulla mano d’opera messa a disposizione da un gruppo femminile che si ècostituito sul posto. Lo stabilimento è il primo centro del genere in Africa.Permette il recupero dei rifiuti plastici e la loro trasformazione a un più bas-so costo. Il materiale viene fornito al centro direttamente dalla popolazione,che riceve 25 Cfa (3,8 centesimi di euro circa) per ciascun chilo raccolto eportato al centro.

La quantità media di plastica lavorata è di 20 kg a persona e la quantitàmedia di rifiuti trasformati è di 600 kg al giorno. Il prodotto finale viene ven-duto alle industrie di Dakar, come la Transtech Industrie, che ne fa articoli

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diversi: fosse stagne, seggiole, fusti, cassoni per l’acqua, etc. Il centro ri-vende la plastica recuperata a un prezzo che varia dai 150 ai 250 franchiCfa (22-38 centesimi di euro circa) a seconda della qualità del prodotto. Ildenaro ottenuto dalla vendita è suddiviso tra il bilancio di funzionamentodel centro, i salari dei lavoratori e l’acquisto di materie prime plastiche.

Questo centro realizza un obiettivo raggiunto in nessuna altra parte inSenegal che consiste nel trarre profitto dai rifiuti o più precisamente dallaloro trasformazione in materiali di base. È a questo livello che si collocano lasua efficacia e la sua originalità.

4.5 CONCLUSIONI

Iproblemi ambientali che caratterizzano il Senegal prefigurano una situa-zione assai complessa.Il fallimento dei tentativi dello stato e delle municipalità di gestire dall’alto

il problema dei rifiuti dimostra l’impossibilità di operare secondo dei model-li importati. L’aumento del livello di vita osservabile e quantificabile a partiredal consumo delle famiglie non è proporzionale all’evoluzione delle menta-lità verso una presa di coscienza ecologica dell’ambiente di vita. Tuttavia ilcoinvolgimento nel processo decisionale politico locale degli attori diretta-mente coinvolti dalla questione dei rifiuti ha generato delle azioni con un ri-torno benefico per tutte le parti. È in questa direzione che bisognerà anda-re, in modo che l’igiene e la cura con cui vengono tenute le case private sirispecchino nella gestione degli spazi pubblici.

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CAPITOLO

PROBLEMATICHE LEGATE A UNA GESTIONE PARTECIPATIVA DEI RIFIUTI URBANI IN BURKINA

Il caso di Ouagadougoudi Tanga Pierre Zoungrana

5.1 INTRODUZIONE

La qualità dell’ambiente nei contesti urbani di tutto il mondo, e in modoparticolare dei paesi in via di sviluppo, interessa tanto i cittadini quanto

le collettività locali. Amplificato dalla crescita demografica e dalla notevoleestensione della città, quello della gestione dei rifiuti urbani risulta uno deiproblemi centrali di Ouagadougou. Poiché l’evoluzione nelle abitudini di vi-ta e negli stili di consumo hanno implicato una maggiore produzione di rifiu-ti a cui la municipalità non riesce a far fronte, diventa imperativo coinvolge-re i cittadini nella gestione degli stessi.

I paragrafi che seguono descrivono la gestione dei rifiuti nella città diOuagadougou e propongono alcune riflessioni sulla partecipazione dellapopolazione al processo di raccolta e smaltimento e sul contributo dellacooperazione decentrata allo sviluppo delle capacità gestionali degli attoricoinvolti. La scelta di prendere in esame il caso di Ouagadougou si spiegaconsiderando la struttura urbana del paese, caratterizzata dalla sostanzialemacrocefalia della capitale. Infatti, sebbene la popolazione urbana nonrappresenti che il 15,5% della popolazione totale del paese, a Ouagadou-gou nel 1996 si concentravano il 43% dei cittadini burkinabé, con quasi752.236 abitanti contro i 312.330 di Bobo Dioulasso (la seconda città delpaese).

5.2 LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI

La gestione dei rifiuti urbani consta di diverse fasi: la prima consiste nel-la pre-raccolta dei rifiuti tra le famiglie, che in seguito vengono raccolti e

trasportati verso le discariche o verso gli “immondezzai” per venire infineconvogliati, con o senza trattamento, verso i siti definitivi di stoccaggio al di

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fuori della città. Per comprendere a fondo le caratteristiche e le problemati-che insite in questo processo è necessario esaminarne in dettaglio alcunetappe: la produzione dei rifiuti, i metodi di raccolta e i problemi ad essi cor-relati.

� 5.2.1 La produzione di rifiuti domestici

Il problema della gestione dei rifiuti urbani coinvolge la loro produzionesecondo il principio dell’“inquinatore pagante” che, anche se non diretta-mente applicabile, fornisce una base per la riflessione sulla responsabiliz-zazione degli attori, fondamentale per innescare processi di sviluppo loca-le.

Senza voler trascurare le altre forme di rifiuti, l’attenzione si concentreràsui rifiuti solidi per via della loro consistenza fisica e dei loro effetti che, piùche i liquidi e i gassosi, coinvolgono tutti i cittadini e interpellano ciascunonel proprio comportamento sociale (di produzione degli scarti) ed economi-co (di gestione).

5.2.1.1 Le fonti di produzione di rifiuti solidi

I rifiuti urbani di Ouagadougou provengono da tre fonti principali: le fami-glie, l’amministrazione e gli esercizi commerciali. Le prime, considerate co-me singole o collettive (scuole, caserme, ospedali), producono sostanzefermentabili, inerti, carboni e combustibili. L’amministrazione produce com-bustibili, principalmente carta e cartone. In quanto al settore commerciale, irifiuti si compongono di sostanze putrescibili, combustibili e inerti. Non solola fonte di produzione influenza la composizione dei rifiuti ma anche lequantità. In effetti uno studio del Crepa1 (2000) indica che gli uomini possie-dono un potenziale elevato di produzione di rifiuti nel contesto ospedalieroe nel mercato centrale di Ouagadougou (Tab. 5.1). Gli hotel e i mercati se-condari sono due volte meno inquinanti, ma producono sicuramente più ri-fiuti pro capite delle famiglie.

Le attività urbane generano rifiuti la cui composizione, quantità e densitàsono fortemente correlate al potere di acquisto e alle modalità di consumo.Le famiglie destinano una parte importante del loro reddito (52,2%) all’ac-quisto di prodotti alimentari. Uno studio condotto dal Crepa nel 1998 mostrache, nonostante il debole potere d’acquisto della popolazione, la quantitàdi rifiuti resta importante. Le quantità prodotte diminuiscono nel momento in

1 Centre régional pour l’alimentation en eau potable et assainissement, Centro regionaleper l’acqua potabile e il risanamento.

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cui il livello di vita si abbassa: così la produzione media di rifiuti passa dagli0,85 kg pro capite al giorno per gli abitanti della zona a più alto reddito, agli0,68 kg al giorno per abitante della zona a medio reddito, agli 0,54 kg algiorno per abitante della zona più povera.

5.2.1.2 Le caratteristiche dei rifiuti domestici

È difficile fare una scelta tecnologica appropriata per un piano strategicodi gestione dei rifiuti solidi senza prima conoscerne la composizione e lavariazione delle loro quantità nel tempo e nello spazio.

I rifiuti solidi domestici si suddividono tra combustibili, sostanze fermen-tabili, carboni e inerti in proporzioni variabili. Le differenze nella composizio-ne dei rifiuti dipendono da un lato, dal potere di acquisto e dalle abitudini diconsumo della popolazione, dall’altro dalla stagione e dal tenore di vita inun determinato ambiente.

Durante la stagione secca, i rifiuti che provengono dalle zone più ricche(Zone du Bois, Cités Socogib, Ouaga 2000, 1200 Logement, Cités Azimo) ea medio reddito (Samadin, Koloh-Naba) contengono più sostanze fermen-tabili, combustibili e inerti di quelli provenenti dalle zone a più basso reddi-to (per lo più quartieri periferici). Sempre nei quartieri ad alto e medio reddi-to, è consistente il consumo di imballaggi di qualunque natura (plastica,carta e cartoni) e di giornali; i rifiuti contengono inoltre resti di alimenti, fo-glie e fiori. La proporzione di carboni è invece più elevata tra i rifiuti prove-nienti dalle zone più povere, poiché la loro produzione deriva soprattutto daceneri e polvere che proviene dal suolo e dall’uso massiccio di combustibi-li lignei (legno) come fonte di energia nella preparazione di alimenti.

Nella stagione delle piogge aumentano i rifiuti prodotti sia nelle zone piùagiate che in quelle più povere, in proporzione diminuiscono leggermentele sostanze fermentabili, mentre si assiste a un consistente incremento del-le quantità di combustibili causato dal consumo elevato di imballaggi diplastica.

In generale, l’analisi della composizione ponderata media annuale dei ri-

Fonte Produzione pro capite giornaliera (in kg)

Mercato centrale 0,88

Mercati secondari 0,45

Hotel 5 stelle 0,46

Hotel 3 stellle 0,15

Ospedale 0,9 – 1,2

Fonte: Crepa, 2000

Tab. 5.1 Quantità di rifiuti prodotti a Ouagadougou nel 2000, in base all’origine

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fiuti dà un’idea sulla composizione dei rifiuti domestici in rapporto al tenoredi vita nei diversi contesti (tab. 5.2 e fig. 5.1).

Zona (% popolazione) Combustibili Sostanze Inerti Carboni Totalefermentabili

Zona ad alto reddito (11) 13,6 51,7 5,7 29 100

Zona a medio reddito (45) 8,7 32,4 5 53,9 100

Zona a basso reddito (44) 5,7 18,8 5,7 69,8 100

Fonte: Crepa, 1995 e Pacvu, 1995

Tab. 5.2 Composizione annuale ponderata dei rifiuti domestici per zona abitativa(%) a Ouagadougou

Fig. 5.1 La suddivisione della città di Ouagadougou in settori secondo la fascia direddito prevalente

La composizione dei rifiuti varia da una zona all’altra e all’interno di unastessa zona. La tabella 5.2 mostra che, con l’eccezione delle aree ad altoreddito, i carboni occupano una proporzione (più del 50%) importante neirifiuti delle altre due aree. La zona più ricca produce più fermentabili certa-mente a causa dell’importanza delle distese erbose (giardini e prati).

I rifiuti domestici, sebbene possano avere quasi la stessa composizionepercentuale, differiscono per peso e volumi complessivi. Inversamente alla

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produzione, la densità specifica media dei rifiuti è più elevata nelle zone abasso reddito (0,85 tonnellate/m3) rispetto alle zone ricche (0,37 tonnella-te/m3). La densità specifica è legata al peso dei rifiuti nei vari quartieri. Laclasse agiata produce dunque molti più rifiuti con una bassa densità speci-fica, ovvero sia rifiuti ingombranti come cartoni, imballaggi in poliestere o inalluminio, etc., contrariamente alla popolazione a basso reddito di cui piùdella metà dei rifiuti è composta essenzialmente da carboni.

L’uomo nella sua rincorsa al benessere produce involontariamente rifiutiche, se mal gestiti, possono avere delle conseguenze su di lui e sul suo am-biente. Si stima che nel 1996 la produzione di rifiuti domestici sia stata di ol-tre 500 tonnellate nella città di Ouagadougou, valore che deve essere au-mentato come conseguenza della crescita demografica degli ultimi anni edel cambiamento nelle abitudini di consumo. Restando debole la capacitàdi raccolta e di trattamento dei rifiuti, vi si scorge una reale minaccia perl’ambiente e per la salute della popolazione.

� 5.2.2 Gli impatti dei rifiuti domestici

I rifiuti domestici hanno effetti devastanti sull’ambiente, sull’inquinamentodell’aria, delle acque e dei suoli. L’inquinamento atmosferico, generalmenteimputato ai gas di scarico delle industrie e dei veicoli automobilistici neipaesi sviluppati, risente, nei paesi in via di sviluppo, della considerevoleproduzione di gas (NO2, CO2) e componenti volatili da parte delle famiglie.Questa situazione è data dall’utilizzo di legno e di carbone per la cotturadegli alimenti da parte del 78% delle famiglie della città (Insd, 2000). Se-condo uno studio del ministero dell’Ambiente del Burkina Faso (1998), lacombustione di prodotti lignei costituirebbe una fonte di emissione di gastossici il cui volume supera a volte quello delle automobili e dei motorini:14% di NO2, 80% di CO2 e 29% di componenti volatili. A questo fattore didegrado ambientale si aggiungono delle pratiche non conformi alla prote-zione dell’ambiente:– i cattivi odori dovuti alla putrefazione delle sostanze fermabili;– le discariche abusive;– l’incenerimento di rifiuti a cielo aperto, che provoca una forte emissione di

fumi e di odore di etilene.Questi fattori di degrado alterano il contesto di vita dei cittadini e provo-

cano danni alla loro salute. Per porvi rimedio i poteri pubblici hanno elabo-rato una regolamentazione, creato una strategia di raccolta, eliminazione etrasformazione dei rifiuti. Ma queste misure, che per il momento riguardanosolamente quattro città del Burkina, hanno un debole impatto rispetto alladomanda globale di risanamento.

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� 5.2.3 I metodi di raccolta e di eliminazione

Il coinvolgimento della popolazione e delle collettività costituisce il cuoredelle raccomandazioni del documento di strategia nazionale del sotto-settoredel risanamento in Burkina Faso (1996). Le pratiche nella gestione dei rifiutisono inquadrate nella politica di risanamento del paese: coinvolgimento delleautorità e delle comunità locali, diversificazione degli attori, negoziazione tra ipartecipanti, etc. Prima di presentare l’organizzazione della raccolta e deltrattamento dei rifiuti, è importante renderne noto il quadro regolamentare.

5.2.3.1 Il quadro regolamentare e istituzionale in materia di risanamento

Le disposizioni relative alla gestione dei rifiuti municipali in Burkina Fasosono contenute in pochi testi legislativi. Si tratta del decreto n.85/404 di ap-plicazione della riorganizzazione agraria e fondiaria contenuta nell’articolo215, del codice ambientale, della legge n.005/97 Adp del 30 gennaio 1997e dei decreti municipali n.97/MATS/PKAD/CO.

I testi relativi alla gestione dell’ambiente forniscono delle direttive relati-vamente agli obblighi e alle regole da rispettare, così come alle sanzionipreviste in caso di contravvenzione ai testi relativi il risanamento urbano.Purtroppo nessuna di queste misure viene effettivamente applicata sia daparte della popolazione che da parte delle autorità. In realtà, un porzioneconsistente della popolazione ignora l’esistenza stessa di queste disposi-zioni. Nessuno di questi testi fa menzione di obblighi di abbonamento a ser-vizi di raccolta dei rifiuti domestici o ai tipi di materiali indicati per la pre-rac-colta dei rifiuti a livello delle famiglie e di altre fonti di produzione.

5.2.3.2 Le operazioni di raccolta

La raccolta dei rifiuti si suddivide in due fasi: la pre-raccolta coinvolge lefamiglie e consiste nello stoccaggio dei rifiuti in recipienti, che saranno poisvuotati dai servizi di raccolta o dagli utenti stessi verso le discariche. Nonc’è un modello standard di recipiente. La tipologia e la qualità dei recipien-ti variano a seconda del reddito delle famiglie e del livello dei servizi offertidalle imprese di raccolta: cartoni, vecchi piatti o secchi, fusti metallici o diplastica, etc. Secondo Ouédraogo (2003) il 59% delle famiglie utilizzano deifusti per stoccare i propri rifiuti.

Nella zona ad alto e medio reddito, una porzione importante delle fami-glie (56%) utilizza fusti o pattumiere per la pre-raccolta dei rifiuti. Questapercentuale è più elevata nella zona ad alto reddito (91%) rispetto a quellaa medio reddito (82%), mentre è molto debole nei quartieri popolari (8,57%)dove, per adattarsi ai mezzi di trasporto e di evacuazione, si ricorre mag-giormente ad altre tipologie di contenitori.

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La raccolta consiste nell’evacuazione dei rifiuti dai centri abitati verso lediscariche. A Ouagadougou coesistono due sistemi di raccolta: – il porta a porta, che consiste nel passare tra gli abbonati e raccogliere i ri-

fiuti secondo un calendario settimanale, essenzialmente praticato da im-prese private, associazioni di settore, carrettieri e Direzione della proprie-tà (Dp);

– il sistema di raccolta per cassonetti, praticato dalla municipalità nel dipar-timento di Baskuy, dove in alcune zone vengono sistemati dei cassonettiin cui le famiglie depongono l’immondizia.I mezzi di trasporto utilizzati in questa fase sono di due tipi: veicoli moto-

rizzati (benne, camion, trattori), appannaggio delle imprese e della munici-palità, e carretti trainati da asini che sono invece alla portata delle associa-zioni di settore e di privati. Questi mezzi restano tuttavia insufficienti e pocoadatti alle necessità di risanamento: il 63,6% dei servizi dispone di trattori inpiù o meno buono stato, il 18,2% utilizza veicoli, il 9% si serve di carrette atrazione animale, il 18% affitta il mezzo per lavorare (Ouédraogo, 2003).

5.2.3.3 I processi di eliminazione

I rifiuti domestici vengono eliminati sia nelle cinque discariche a cieloaperto autorizzate dalla municipalità, sia in immondezzai abusivi. Alcuni ri-fiuti vengono riciclati (bottiglie, imballaggi, etc.) altri vengono trasformati incompost (materie organiche) o in oggetti artistici (plastica), ma l’inceneri-mento resta purtroppo la pratica più frequente.

Il riciclaggio fa vivere diversi gruppi socio-professionali: coloro che diret-tamente recuperano i materiali, gli intermediari, i rivenditori e gli artigianitrasformatori, i quali producono degli oggetti riutilizzabili a partire da mate-riali di recupero.

Secondo uno studio condotto dal Crepa e da Iagu2 nel 1992, due terzi dicoloro che si occupano di recuperare i materiali sono analfabeti. In ogni ca-so si tratta di popolazioni che non possiedono alcuna qualificazione per po-ter aspirare a impieghi nel settore formale.

Gli oggetti recuperati sono bottiglie, scatole, ferraglia, scarpe, alluminio,diversi imballaggi, che serviranno a creare attività commerciali nei mercati,alcuni dei quali hanno acquisito una certa reputazione proprio grazie a que-sta attività: Baskuy yaar, Boins yaar, Sankar yaar. Il reddito minimo settima-nale dei riciclatori si aggira sui di 350 franchi Cfa, corrispondenti a 53 cen-tesimi di euro (Arcens, 1997).

Esiste anche un’attività di riciclaggio del compost, terra nera risultato

2 Institut africain de gestion urbane, Istituto africano di gestione urbana.

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della decomposizione dei rifiuti domestici mischiati alla terra. Questo pro-dotto viene utilizzato come concimante organico per l’agricoltura cittadina eil giardinaggio. Viene venduto all’incirca a 450 franchi la carretta (68 cente-simi di euro circa). Nel caso di un’associazione del settore 10, la produzio-ne mensile di compost a partire dai rifiuti organici raggiunge le 2,4 tonnella-te per operaio. Questo concime organico viene venduto a 15.000 franchi latonnellata (22,72 euro circa), ma l’attività resta marginale mancando unaclientela sufficientemente numerosa.

Altri operatori del settore informale raccolgono rifiuti di plastica e li rici-clano fabbricando corde, sacchi e molti altri oggetti utili come i cartelli e ipannelli segnaletici.

Nonostante queste iniziative, l’eliminazione dei rifiuti domestici costitui-sce un vero problema per la municipalità. Le difficoltà riguardano sia la ge-stione, la regolamentazione e le tecniche, sia le risorse finanziarie, materia-li e umane.

� 5.2.4 I problemi di gestione

5.2.4.1 I problemi istituzionali, giuridici e regolamentari

Le responsabilità amministrative in materia di protezione dell’ambientesono a carico di più dipartimenti ministeriali. I testi che regolano il funziona-mento di queste differenti strutture mancano di armonizzazione e di chia-rezza nel definire i rispettivi ruoli e, nella pratica, si assiste a una sovrappo-sizione delle attività sul terreno.

La protezione dell’ambiente è un ambito delicato e teoricamente dovreb-be essere gestito da una struttura competente con personale qualificato.Per evitare le rivalità e i conflitti, sarebbe opportuno chiarire le funzioni diciascuna istituzione. Questa constatazione è estendibile al quadro normati-vo dove più testi regolano lo stesso settore, senza coordinamento alcunotra le azioni delle diverse strutture.

Gli organi di controllo e di applicazione dei testi normativi, quando esi-stono, non forniscono materiale di lavoro sufficiente e di conseguenza sonoinefficaci. È il caso ad esempio del servizio d’igiene del comune e della po-lizia municipale. Attualmente è difficile applicare le leggi presso le popola-zioni senza renderle più accessibili.

5.2.4.2 I problemi tecnici e finanziari

La mancanza di risorse finanziarie costituisce un freno alla gestione deirifiuti domestici. Gli operatori pubblici e privati non hanno a loro disposizio-ne fondi sufficienti per poter lavorare efficacemente. Il ricorso a prestiti ban-cari non costituisce una soluzione poiché le condizioni di accesso al credi-

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to escludono la maggior parte dei potenziali richiedenti: le casse popolaripretendono un deposito equivalente al 25% del valore del prestito, deposi-to che passa al 50% nelle banche commerciali, oltre all’esigenza di un tito-lo fondiario. Vista la difficoltà di accesso al credito, le imprese private me-glio equipaggiate hanno beneficiato di un dono della Cassa francese di svi-luppo (Cfd).

Un appoggio finanziario e tecnico è stato fornito da una parte dal Crepae dalla Ong East3 alle associazioni settore, dall’altra dal secondo progettodi sviluppo urbano e dal progetto per il miglioramento delle condizioni di vi-ta urbane (Pacvu) alla municipalità, il cui materiale mobile è stato acquisitoprincipalmente attraverso un gemellaggio con Lione e Torino.

L’appoggio tecnico alle associazioni da parte dei progetti è destinato acorreggere le carenze del personale in materia di igiene. Molti operatori ri-conoscono la mancanza di formazione in risanamento e la cattiva organiz-zazione delle attività di raccolta. Nessuna impresa privata di raccolta rifiutiha ricevuto una formazione in igiene pubblica. I promotori, giovani impren-ditori, hanno intrapreso questa attività per risolvere il problema della disoc-cupazione, ma solo qualcuno ha potuto formarsi in occasione di seminari eatelier.

L’assenza di dati sulla quantità di rifiuti raccolti da ciascun trattore e l’as-senza si informazioni riguardo ai km e agli itinerari dei veicoli è indice di unacattiva gestione delle attività da parte dell’amministrazione. Inoltre, l’assen-za di concertazione tra la municipalità e le imprese intralcia la gestione deirifiuti urbani.

5.2.4.3 I problemi materiali e umani

I tipi di materiali utilizzati per la raccolta dei rifiuti domestici non sempresono adatti alla realtà della città, il loro modello dovrebbe rispondere a cri-teri come la capacità di produzione di rifiuti solidi della popolazione, le in-frastrutture stradali e il rispetto delle norme di igiene. Attualmente esistonodiversi strumenti per la raccolta dei rifiuti urbani.

I trattori presentano numerosi inconvenienti:– la pessima adattabilità alle strette strade non asfaltate dei settori periferi-

ci;– la scarsa capacità di carico (1,8 t per viaggio) che moltiplica il numero di

viaggi;– l’insufficienza numerica e il cattivo stato;– la lentezza che implica un minor numero di navette al giorno.

3 Eau, assainissement, santé, acqua, risanamento, sanità.

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Le benne, che come i carretti impediscono ai rifiuti di disperdersi duran-te il trasporto, non sono tuttavia indicate per la raccolta di rifiuti ad alto con-tenuto di carboni, oltre al loro costo elevato (all’incirca 40 milioni di franchiCfa ciascuna, l’equivalente di 61.000 euro).

I carretti forniti dal Crepa, poco capienti (0,36 t per viaggio), richiedonoper il loro utilizzo molta energia al conducente (più spesso alla conducente)che deve spesso trainare l’asino al quale è agganciato il carretto; questo bi-sogno di sforzo fisico spiega le discariche selvagge in prossimità delle abi-tazioni.

Oggi l’acquisizione di strumenti efficienti è un problema cruciale per gliimprenditori. La mancanza di risorse finanziarie è aggravata dall’assenza dimateriale e di pezzi di ricambio dei trattori sul mercato nazionale. Al di fuoridei carretti, la quasi totalità del materiale mobile viene dall’estero (India eEuropa).

Nessuna società di raccolta dei rifiuti domestici dispone di materiale asufficienza e di personale qualificato per rispondere alle esigenze degli ab-bonati. L’obsolescenza del materiale mobile e la frequenza dei guasti ren-dono il lavoro aleatorio.

5.3 I RIFIUTI URBANI E LO SVILUPPO LOCALE

I l concetto di “sviluppo locale” è di uso recente in Africa e tende a prende-re il posto di quello di “gestione dei territori”, anche se non si tratta esatta-

mente della stessa cosa. È stato definito da Mengin (1989) come “un inter-vento strutturato, organizzato, ad aspirazione globale e continua in un pro-cesso di cambiamento delle società locali in preda a destrutturazioni e a ri-strutturazioni”. Ciò rinvia a due idee essenziali che ne sono a loro volta ledeterminanti: la durata e il territorio. Lo sviluppo non si estende dunque al difuori di una dinamica funzionale tra i processi (partecipativi) e uno spaziopertinente (scala significativa della durata delle azioni).

Nel contesto del Burkina Faso il meccanismo è stato collegato negli anniNovanta al decentramento, un processo di trasferimento delle competenzedallo stato verso le collettività locali. Ouagadougou, benché goda dello sta-tus di comune a partire dal 1956, non ha coltivato il concetto di cittadinanzanello spirito e nella pratica dei suoi abitanti. Qual è il livello di responsabiliz-zazione e di coinvolgimento dei cittadini nella gestione dei rifiuti? Quali so-no gli operatori locali emergenti e di quali capacità dispongono? Quale arti-colazione tra pubblico e privato nella ripartizione dei compiti, dei doveri edei diritti? Queste domande troveranno delle risposte attraverso la descri-zione della dinamica locale e delle difficoltà a esse collegate.

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� 5.3.1 L’emergere recente di una dinamica locale?

Secondo gli archivi, le prime elezioni municipali a Ouagadougou eranopreviste per il 1956, ma il susseguirsi di regimi di eccezione ha fatto sì chesi svolgessero effettivamente solo nel 1995.

Il nuovo corso politico ha tentato di rendere i cittadini partecipi alla ge-stione degli affari locali. In materia di igiene urbana la municipalità si è po-sizionata, sin dai tempi dello stato monarchico, come l’unica responsabiledel risanamento della città (raccolta dei rifiuti, pulizia dei canali di scolo, ir-rorazione contro le zanzare durante la stagione delle piogge, etc.), senzaconsiderare la partecipazione del cittadino alla gestione urbana.

Il decentramento della raccolta dei rifiuti deriva dalle difficoltà riscontra-te dalla municipalità di Ouagadougou: debole tasso di raccolta, scarsa co-pertura della città, assenza di contribuzione da parte della popolazione,etc.

Gli attori che intervengono nella raccolta dei rifiuti si ripartiscono in trecategorie: le istituzioni pubbliche, le private e le Ong.

Le istituzioni pubbliche dipendono da tre dipartimenti ministeriali: il mini-stero dell’Amministrazione Territoriale e della Decentralizzazione, il ministe-ro della Sanità e il ministero dell’Ambiente e del Quadro di vita. Una struttu-ra del comune, la Direzione della proprietà, è incaricata della rimozione, deltrattamento e della valorizzazione dei rifiuti urbani. Essa collabora con ilCrepa per le tecniche di compostaggio, con l’Onea4 per la cura delle fossebiologiche e con il ministero dell’Ambiente per la prevenzione dell’inquina-mento e del degrado ambientale.

Tra le associazioni di settore undici realtà di recente creazione, che si so-no impiantate in 10 settori5 periferici della città, si occupano essenzialmen-te della pre-raccolta dei rifiuti, ma diversificano le loro azioni dedicandosianche ad attività di animazione e di formazione per la costruzione di latrine,o investendo le loro energie nel compostaggio, nella produzione di saponee nel rimboschimento.

I carrettieri, un gruppo informale di cui si ignora il numero e la ripartizio-ne, operano nei quartieri, presso le famiglie, previa sottoscrizione di un ab-bonamento mensile con un prezzo variabile tra i 400 e i 600 franchi (tra 60e 90 centesimi di euro). Il loro nome deriva dai carretti trainate da asini cheutilizzano durante la raccolta dei rifiuti.

CAPITOLO 5 101

4 Office national de l’eau et de l’assainissement, ufficio nazionale per l’acqua e il risana-mento.

5 Il comune di Ouagadougou conta 30 settori distribuiti su cinque circoscrizioni ammini-strative.

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Le imprese private sono undici e intervengono presso le famiglie, i servi-zi, le istituzioni, gli hotel, etc., attraverso l’utilizzo di veicoli (trattori e benne).Attive in periferia come nei settori centrali della città, esse si caratterizzanoper un insieme di attività: oltre alla raccolta dei rifiuti, si occupano di giardi-naggio, pulizia, manutenzione, compostaggio, decorazione, etc. Solo il13% di loro si occupa esclusivamente di raccolta rifiuti.

Considerando la varietà degli attori, potremmo supporre l’emergere diuna dinamica locale nella gestione dei rifiuti. In realtà, la collaborazione traoperatori, quando esiste, non è sufficiente a generare un impulso concreto,una pedagogia dello sviluppo che posi su una gestione concertata (coordi-nazione nell’organizzazione) e una comune animazione (verso la costruzio-ne di un progetto di società). Il problema dei rifiuti è percepito da tutta la po-polazione, ma ciascuno lo affronta con un proprio approccio e inizia ad ap-plicare soluzioni senza tenere conto degli altri residenti. Anche i grandi pro-getti all’orizzonte sono lontani dall’avere una qualunque legittimità, a causadella mancanza di informazioni e scambi con le parti interessate.

� 5.3.2 Le difficoltà di coinvolgimento della popolazione nellagestione dei rifiuti

L’urbanizzazione di Ouagadougou è un fenomeno relativamente recen-te. Piccolo borgo nel 1900, la sua popolazione da 59.126 abitanti nel 1960,è passata a 750.358 nel 1996, con un tasso medio annuale di crescita de-mografica del 5%. Secondo un censimento del 1975, i cittadini della capita-le erano 172.661, quasi il triplo rispetto al 1960. Il loro numero è aumentatodi 2,5 volte tra il 1975 e il 1985 e di 1,7 volte tra il 1985 e il 1996. Attualmen-te la popolazione si aggira intorno ai 1,2 milioni di abitanti, contro i 364.540di Bobo Dioulasso. Questa crescita demografica si è accompagnata aun’estensione spaziale dell’habitat: 5.300 ettari nel 1961, 6.860 nel 1980,13.386 nel 1985, 19.212 nel 1996 e 21.930 nel 2001. Questa estensionedello spazio urbano costituisce un ostacolo alla gestione efficiente dei rifiu-ti, tenuto conto dei deboli mezzi finanziari e umani a disposizione della mu-nicipalità.

Poiché i contribuenti del comune non pagano regolarmente la tassa diresidenza, la privatizzazione della gestione urbana dei rifiuti, almeno perciò che riguarda le raccolta, permette di aggirare le difficoltà di coperturadelle spese. Le famiglie nei quartieri sottoscrivono un abbonamento mensi-le il cui prezzo varia da 400 a 600 franchi per il servizio offerto dai carrettie-ri e dalle associazioni di quartiere, da 1.000 a 3.000 franchi per le impreseprivate, da 350 a 1.000 franchi rispettivamente per l’utilizzo dei cassonetti oper il servizio di raccolta porta a porta della municipalità. Questo sistema,

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rispetto alla tassa di residenza, offre il beneficio di legare il pagamento di unservizio direttamente alla prestazione ricevuta; il cliente sa perché paga epuò valutare la qualità del servizio. L’indigenza finanziaria della municipali-tà e dei cittadini ha obbligato gli attori a ricorrere a una forma di decentra-mento per la quale non si è veramente costruito un approccio in grado direndere perenni le esperienze di gestione locale. A tal punto che il rifiuto diabbonarsi di numerose famiglie annulla gli sforzi dei propri concittadini.

Nella dinamica attuale, così come nel passato, il comune auspica la par-tecipazione dei cittadini nella gestione dei rifiuti. La nozione di contribuzio-ne viene percepita con formalismo nella misura in cui si è pronti a incassa-re le risorse ma non a rendere conto del loro utilizzo. Il meccanismo dellapartecipazione non basta a vincere le abitudini dirigiste di gestione. Non èforse necessario riorganizzare i nuovi poteri così da suscitare l’adesione diun maggior numero di attori a degli obiettivi preselezionati, nel quadro diun’integrazione al processo della mondializzazione? In effetti, come possia-mo introdurre la partecipazione senza prendere in considerazione la con-certazione nell’assunzione delle decisioni? I consiglieri che rappresentano icittadini al consiglio municipale ricercano meccanismi per informare rego-larmente i cittadini e scegliere i problemi su cui dibattere? Nel caso specifi-co dei rifiuti, l’esistenza di testi normativi non è una garanzia di efficacia:quanti cittadini li conoscono e che cosa ne pensano? La creazione di disca-riche, ufficiali o spontanee, non è stata discussa e approvata da parte degliutenti, così come per i nuovi progetti dei centri di raccolta e di infossamen-to presentati dal piano dirigente della gestione dei rifiuti.

Ne scaturiscono tre conclusioni essenziali:– l’insufficienza della collaborazione tra strutture pubbliche e private;– la mancanza di volontà nella creazione di una società equilibrata nella

quale gli interessi e le aspirazioni degli individui politicamente deboli pos-sano influire realmente sul processo decisionale e sulle riforme legislative;

– lo scarto tra il trasferimento delle responsabilità e il decentramento effetti-vo dei poteri, delle risorse e dei meccanismi di produzione di soluzioni(rottura tra la popolazione e i propri rappresentanti del consiglio munici-pale; mancanza di motivazione dei contribuenti per il pagamento dellatassa di residenza6, esigenze di conti alla municipalità; deficit di sensibi-lizzazione della popolazione ed esigenze di contribuzione della municipa-lità; richiesta di partecipazione nelle risorse finanziarie e non nel processodecisionale, etc.).

6 La tassa di residenza, secondo la legge n.050/98/AN del 20/11/98, è assoggettata atutte le persone residenti in una zona urbana regolare del Burkina Faso e aventi la disposi-zione o l’usufrutto legale dei locali imponibili. Si ritiene che questa tassa procuri le risorse al-la collettività per la manutenzione del manto stradale urbano.

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� 5.3.3 Le prospettive della partecipazione

Per riuscire, lo sviluppo locale deve essere concepito come un processofondamentalmente politico (prima di occuparsi degli aspetti tecnici), in gra-do di stimolare ogni cittadino a divenire un soggetto attento al proprio avve-nire. Si dovranno dunque favorire misure che coinvolgano progressivamen-te la popolazione nella gestione urbana, soprattutto in quella dei rifiuti che,pur se prodotti e gestiti a livello familiare e di quartiere, riguardano l’igieneurbana della città nel suo insieme. Le imprese e soprattutto le associazioni,in ragione della loro originalità (utilizzo di carretti a trazione animale, perso-nale conducente per lo più femminile, riconoscimento da parte delle fami-glie, etc.) meritano un appoggio gestionale e organizzativo volto a rafforza-re le capacità imprenditoriali.

È importante, senza alcun pregiudizio, tener conto degli schemi culturalipresenti. In effetti, la distribuzione familiare del lavoro attribuisce alla donnala cura della casa, del cortile e delle bancarelle per vendere. Molte famigliepuliscono spontaneamente i tratti di strada adiacenti al muro di cinta e il pro-prio lato della via. Questo istinto civico delle donne è una garanzia di suc-cesso nella raccolta e gestione dei rifiuti domestici che andrebbe sfruttata,per questo nei quartieri periferici la maggior parte delle donne cosiddette“casalinghe” che si dedicano al piccolo commercio al dettaglio, assai pocoredditizio, sarebbero motivate a lavorare nella gestione dei rifiuti, in un qua-dro appropriato che assicuri l’impiego, stabilizzi il reddito, senza danneggia-re l’integrità morale dell’individuo. Il successo delle “brigate verdi” ne è unesempio: la municipalità di Ouagadougou ha reclutato 1.200 donne che daqualche anno si occupano della pulizia quotidiana delle grandi arterie dellacittà. L’essenziale sarà mettere a punto una regolamentazione per dare cre-dito ai contratti tra datori di lavoro e impiegati e tra operatori e clienti.

Sarebbe interessante sostenere l’adeguamento del materiale di raccoltaalle condizioni locali. L’utilizzo di carrette ben si adatta alle strette strade deiquartieri periferici e al basso potere di acquisto della popolazione. Inoltre,la loro manutenzione è relativamente semplice per le donne incaricate diquesti compiti. Questa misura sostiene lo sviluppo di un’economia locale: ilricorso a manodopera femminile è certamente una buona carta da giocarenella lotta contro la povertà urbana, ma l’organizzazione trarrebbe vantag-gio dall’abbandonare il livello familiare per diventare impresa femminile;l’esempio dei saponifici e delle presse per il karité testimoniano validità edefficacia di tali associazioni. Infine, è indispensabile sforzarsi di migliorarela raccolta dei rifiuti (tasso di raccolta, copertura spaziale) in tutta la città. Ineffetti, se in alcuni quartieri la raccolta viene fatta male (quando non vienefatta del tutto), i venti trasportano i rifiuti anche nei quartieri puliti, annullan-do così gli sforzi fatti per il risanamento.

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CAPITOLO 5 105

Infine, si impone una distribuzione accorta dei ruoli che dia coerenza al-la ripartizione dei compiti e delle risorse tra gli attori. In applicazione al prin-cipio di sussidarietà, si potrebbe immaginare uno scenario in cui:– la municipalità (centrale o di circoscrizione) assicura gli strumenti e i ma-

teriali;– le imprese e le associazioni gestiscono le discariche della loro zona d’in-

tervento e assicurano il servizio di raccolta dietro il pagamento di un ca-none presso le famiglie abbonate;

– in funzione della quantità di rifiuti, le imprese e associazioni pagano a lorovolta una tassa alla municipalità che assicura loro il trasporto dei rifiuti finoai siti di smaltimento.In queste condizioni resta da regolare la questione delle imprese familia-

ri equipaggiate di carretti trainati da asini. La loro efficienza dipende dallaloro capacità di diventare delle organizzazioni con una contabilità seria esalari adeguati. La forma associativa costituirebbe una posizione interme-dia. Questo tipo di organizzazione regola allo stesso tempo i problemi dellalontananza delle discariche ufficiali (15 km dai punti di raccolta), delle di-scariche abusive all’interno dei quartieri, della debole efficacia del carro atrazione animale che non farà che brevi tratte.

Stabilito che i concetti di partecipazione e di sviluppo locale provengonoda una retorica del potere, a partire dal momento in cui il trasferimento dipotere alle collettività non è sufficientemente operativo, in cosa il processorisponde alle aspirazioni della popolazione? Tra la raccolta e l’eliminazionedei rifiuti, l’attenzione si dovrà soprattutto rivolgere alla valorizzazione e altrattamento. È importante dunque sviluppare operazioni di selezione peruna valorizzazione ottimale dei rifiuti per il compostaggio, il recupero e il ri-ciclaggio, etc.

Queste prospettive richiedono mezzi inaccessibili alla maggior parte de-gli attori. In assenza di condizioni preferenziali di accesso al credito pressole istituzioni bancarie (che potrebbero, del resto, nel contesto di una politi-ca impegnata in questa direzione, rendere più agili le modalità di accessoal credito per le imprese operanti nella gestione dei rifiuti), la cooperazionedecentrata resta uno dei rimedi per l’equipaggiamento degli operatori.

5.4 LA COOPERAZIONE DECENTRATA E I RIFIUTI URBANI

Collaborazione tra due collettività, la cooperazione decentrata è unanuova forma di solidarietà su scala internazionale. Di fronte alla rigidità

dei rapporti tra stati, si tratta in questo caso di dare un volto umano ai citta-dini dei paesi del Nord e del Sud del mondo. Essa coinvolge direttamente lepopolazioni e ha per missione principale l’innalzamento dei redditi dei più

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poveri e la formazione dei futuri cittadini del mondo. Questa forma di solida-rietà, che milita per uno sviluppo duraturo, rispettoso dell’ambiente, dellelingue e delle culture, utilizza gli strumenti presenti, i materiali locali, le intel-ligenze e le competenze del luogo. Ciascun progetto viene immaginato econcepito in collaborazione con i beneficiari.

La città di Ouagadougou si posiziona in questo contesto di solidarietà in-ternazionale, attraverso il comitato di gemellaggio, le associazioni di quar-tiere, i comuni e un insieme di città partner. Entro quale panorama di coope-razione internazionale si sta evolvendo? Quali sono le conseguenze in ter-mini di sviluppo locale? Quali sono le prospettive in materia di gestione deirifiuti? Scopo della presente riflessione è quello di evidenziare i vincoli e ibenefici che la città può trarre dalla cooperazione decentrata, nel campodella gestione dei rifiuti.

� 5.4.1 Un contesto dominato dai partner francesi

Iscritta nella dinamica di gemellaggio tra “città del mondo” dal 1967,Ouagadougou conta una dozzina di città partner: tre città francesi (Loudun,Lione, Grenoble) e un dipartimento (Allier), Québec (Canada), Leuze (Bel-gio), Koweït City, due città italiane (Torino e San Miniato), Taipeh (Taiwan),etc. Fino al 1998 la cooperazione decentrata si è esclusivamente sviluppa-ta sull’asse Loudun-Ouagadougou. Il rafforzamento della rete relazionale siappoggia sulla nuova dinamica di decentramento e su una nuova ideologiadei rapporti Nord-Sud che privilegia, dopo un decennio, le forme di coope-razione tra collettività locali.

Loudun ha finanziato principalmente la costruzione di infrastrutture urba-ne (strade René Monory) e le strumentazioni informatiche. Lione intervienein diversi settori tra cui il risanamento; essa ha fornito ai servizi municipalisei benne, due carri funebri, due autobus per trasporto passeggeri, ottomotociclette. Ha inoltre organizzato 20 stage di formazione in meccanica,guida, etc. a favore degli agenti municipali di Ouagadougou. Dal canto suoGrenoble ha fornito l’energia elettrica a una scuola di quartiere, offerto librie una macchina fotografica a un’altra, realizzato un programma musicale,sostenuto l’edizione di un libro scritto dagli allievi di due istituti gemellati diOuagadougou e Grenoble.

Sul fronte della cooperazione italiana, attraverso l’assistenza tecnica diLvia sono state sviluppate collaborazioni nel campo della pulizia con la cit-tà di Ouagadougou. Nel 2003, la società di gestione dei rifiuti della città diTorino (Amiat) ha dotato la capitale burkinabé di due benne e tre vetture perla raccolta dei rifiuti ed è intervenuta nella formazione tecnica, l’educazioneambientale e la gestione degli spazi verdi urbani.

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In definitiva, la cooperazione decentrata con la città di Ouagadougou ècaratterizzata dall’antecedenza delle municipalità francesi. La maggior par-te delle collaborazioni sono nate da recenti convenzioni: alcune sono anco-ra formali, altre hanno solamente definito gli assi di cooperazione, altre an-cora stanno per intraprendere dei progetti. Le realizzazioni sono poche ri-spetto al numero di partner. Tra le città gemellate di Ouagadougou, le muni-cipalità di Lione e di Torino si distinguono nella gestione dei rifiuti e del risa-namento, senza farne l’unico settore di intervento.

� 5.4.2 Tra cooperazione decentrata e cooperazione non governativa

Sulla base della documentazione disponibile, la cooperazione decentra-ta è recente e ancora a uno stadio embrionale nel suo insieme. Se la Fran-cia, per ragioni storiche, ha occupato il terreno da oltre un secolo e si man-tiene in una posizione privilegiata – e per questo fa da referente agli altri at-tori europei – le collettività e le Ong italiane non hanno per il momento unaforte presenza nel dispositivo.

Il dinamismo della Francia è sintomatico di una situazione complessa dicooperazione che associa le risorse delle collettività ai fondi del governofrancese. Da alcuni decenni, il Burkina è diventato una terra d’elezione perle Ong e le collettività europee, soprattutto francesi. Più di 200 Ong e asso-ciazioni, 130 collettività locali contribuiscono allo sviluppo locale e al raffor-zamento della società civile, grazie ai loro legami con le province, i diparti-menti, i comuni o i villaggi del Burkina. La cooperazione non governativa (edecentrata) è dunque complementare alle azioni di cooperazione bilatera-le. La professionalità e le capacità relazionali di alcune Ong hanno incorag-giato la cooperazione francese ad appoggiare i loro progetti.

Questa cooperazione, che conta 120 comitati di gemellaggio franco-burkinabé, partecipa allo sviluppo locale e alla strutturazione della societàcivile, stimolando la rete delle associazioni e i gruppi cooperativi del paese.In generale, le Ong straniere hanno appoggiato la creazione o il rafforza-mento delle associazioni locali. Molte di loro beneficiano di un sostegno isti-tuzionale e finanziario dei partner stranieri, mentre in alcuni casi l’associa-zione locale ha l’autonomia gestionale del progetto, sia perché il partnernon dispone di capacità organizzative sufficienti, sia perché desidera re-sponsabilizzare la controparte locale.

Parallelamente, alcune collettività locali europee hanno avuto la tenden-za a ricorrere a operatori sul terreno, in particolare nei casi francese e italia-no. Questi programmi, che rafforzano le capacità d’azione dei beneficiari,partendo da un loro più profondo coinvolgimento nella stessa definizione

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delle azioni da intraprendere e nella gestione tecnica e finanziaria dei pro-getti, consolidano i processi di democratizzazione e di decentralizzazionein Burkina Faso.

Così, l’Afvp conduce dal 1993, per conto delle collettività francesi, piùprogrammi di sviluppo locale. Allo stesso modo, la municipalità di Torino siappoggia sull’esperienza di Lvia per costruire un centro di trattamento deirifiuti plastici nella periferia di Ouagadougou. In occasione della cerimoniaper la firma del protocollo del 10 febbraio 2004, il sindaco di Ouagadougouha riconosciuto che Lvia è diventato uno dei canali privilegiati di rafforza-mento delle relazioni tra le due città.

Il processo di decentramento è stato accompagnato da un riequilibriodei rapporti tra Ong, comitati di gemellaggio e responsabili locali. Ormai,da un lato, i partner hanno spesso come interlocutori i rappresentanti eletti,dall’altro il contributo materiale e finanziario della cooperazione decentratatende a essere integrato nei programmi di sviluppo dei comuni e nella loroprogrammazione finanziaria. Se ne conclude che la cooperazione decen-trata e la cooperazione non governativa si intersecano e si completano vi-cendevolmente. Questa simbiosi rappresenta un progresso significativo neinuovi rapporti tra gli stati del Sud e del Nord, poiché le Ong si sono moltipli-cate negli anni Settanta per correggere i difetti della cooperazione bilatera-le.

� 5.4.3 Le prospettive della cooperazione decentrata

I grandi progetti in corso nella città di Ouagadougou in relazione alla ge-stione dei rifiuti sono il centro di sotterramento tecnico dei rifiuti domestici, ilrisanamento collettivo e il centro di trattamento dei rifiuti plastici.

Nel primo caso, un sito di 70 ettari sfruttabile per i prossimi 20-25 anni, anord della città, con un costo di oltre 2,5 miliardi di franchi Cfa (opere comple-mentari incluse), diventerà una sorta di discarica controllata dove il sistema dieliminazione tiene conto delle misure di protezione dell’ambiente e della po-polazione: aree di selezione e di compostaggio, celle di sotterramento dei ri-fiuti domestici e industriali, etc. Presto inizierà a essere attiva e coinvolgerà iprivati nel suo sfruttamento. La città verrà divisa in sei zone di raccolta attri-buite a operatori privati incaricati di riunire i rifiuti in centri di raccolta dove lebenne assicureranno il trasporto fino al centro di infossamento.

Il secondo progetto riguarda la creazione di una rete fognaria, cofinan-ziata dall’agenzia francese per lo sviluppo (Afd7) e la Banca mondiale. Le

7 Agence française de développement.

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famiglie potranno collegarsi alla rete fognaria, anche se non si conosconoancora quali saranno le modalità di allacciamento. La direzione dei lavori èassicurata dall’Onea, i cui abbonati pagano una tassa di risanamento dapiù di 20 anni.

Il terzo progetto costituirà un’importante fonte di reddito per la popola-zione locale che potrà raccogliere i rifiuti per venderli, con il coinvolgimentodi imprese e numerosi artigiani locali. Alla fine del processo è prevista laproduzione di una serie di prodotti in plastica riciclata di pubblica utilità:pannelli di segnalazioni, pattumiere, mobili, etc. Il progetto impiegherà atempo pieno circa 30 donne e sarà una fonte di reddito per quasi 5.000 per-sone nel dipartimento di Nongr-Maasom.

Qual è il ruolo della cooperazione decentrata nel programma di risanamen-to e gestione dei rifiuti domestici? Compito della cooperazione bilaterale e mul-tilaterale è quello di occuparsi dell’equipaggiamento di base. Inoltre i partnerhanno la possibilità di fornire pareri e sostenere le azioni di accompagnamen-to a livello cittadino, di dipartimento e presso le associazioni e le Ong.

Le città partner di Ouagadougou sono centri urbani con una lunga espe-rienza di gestione locale dei servizi collettivi, con il compito di appoggiare ildecentramento. Possono impegnarsi in azioni di formazione dei rappresen-tanti eletti e degli agenti municipali e partecipare al finanziamento o allarealizzazione di piani di sviluppo comunali.

La nuova sfida per la cooperazione decentrata sarà quella di trovare le si-nergie da applicare tra partner istituzionali e associativi per sviluppare azio-ni coerenti tanto a livello settoriale quanto geografico, nel rispetto delle poli-tiche nazionali. Le iniziative di Grenoble con i quartieri di Ouagadougou nonsi accontentano di una collaborazione tra eletti o collettività, ma coinvolgonoi cittadini nella loro vita quotidiana. Da qui la controversia riguardo l’impor-tanza numerica dei partner: alcuni pensano che una loro molteplicità impli-chi una dispersione degli sforzi e uno sgretolamento dei programmi di svi-luppo (con l’impossibilità di convogliare le iniziative in un programma coe-rente); altri sostengono il contrario. In ogni caso un coordinamento tra par-tner diventa condizione indispensabile per poterne valorizzare i contributi.

Nel caso dei partner descritti si constata l’assenza di operatori privati. Vi-sti i risultati dei gemellaggi tra collettività, sarebbe utile tentare l’esperienzatra le imprese che operano nello stesso settore, come quello della gestionedei rifiuti.

Le prospettive si estendono ugualmente in termini di responsabilizzazio-ne della popolazione di fronte ai problemi: ruolo di ciascuno nella produzio-ne e gestione dei rifiuti, implicazioni sulla salute e il benessere dei cittadini,necessità di una contribuzione (possibilmente proporzionale alla produzio-ne dei rifiuti) al risanamento urbano, etc. Il progresso ricercato non deveper forza esprimersi in termini di una modernizzazione dei mezzi di traspor-

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to, ma in un cambiamento delle condizioni di vita. L’estensione dei carrettitrainati da asini, in sostegno alle piccole unità femminili di raccolta dei rifiu-ti domestici nei quartieri, sarebbe un processo interessante di sviluppo lo-cale e una sfida lanciata ai potenziali partner della cooperazione decentra-ta. Il ricorso alla tassa di residenza per le azioni alla base avvicina l’ammini-strazione al cittadino, preoccupazione essenziale che ha giustificato il pro-cesso di decentramento in Burkina.

La cooperazione decentrata, nata per colmare le carenze dei rapportisquilibrati tra stati, non sarà efficace fintanto che non accompagnerà pro-cessi di sviluppo guidati dalle collettività beneficiarie.

È necessario sostenere in questo senso due assi capaci di orientare glisforzi degli attori in grado di promuovere processi di sviluppo: la trasforma-zione di mentalità e atteggiamenti passivi in relazione alla gestione dei rifiu-ti e lo sforzo di coinvolgere la popolazione in una partecipazione attiva e co-stante. La sensibilizzazione e la formazione degli attori alla base richiedeun sostegno vigoroso per far emergere una nuova cittadinanza, sensibilealla tutela dell’ambiente in cui vive. Allo stesso modo, la gestione (in un’otti-ca di riuso e valorizzazione) dei rifiuti da parte della popolazione non puòfare a meno del sostegno alle imprese familiari e associative di quartiere,così come delle iniziative di recupero.

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CAPITOLO

“DA RIFIUTO A RISORSA”: ANALISI DELLE RETIDI SOGGETTI E DELLE RISORSE TERRITORIALIATTIVATE DAL PROGETTO

di Elisa Bignante e Simona Guida 1

6.1 INTRODUZIONE

Idifferenti contesti territoriali coinvolti, l’incontrarsi e il sovrapporsi di vocidiverse (di studenti e insegnanti, di amministratori e cittadini, di associa-

zioni locali e cooperanti) e la molteplicità di iniziative e azioni succedutesinel tempo fanno del progetto “Da rifiuto a risorsa” un campo di indagine pri-vilegiato per valutare come e in che termini la cooperazione decentratapossa rappresentare una risorsa per lo sviluppo locale.

Il percorso che seguiremo in questo capitolo non intende fornire un qua-dro dettagliato delle attività realizzate in questi anni dal progetto o dei risul-tati raggiunti, ampiamente illustrati nelle schede di lettura del progetto pre-sentate al fondo del capitolo, quanto piuttosto valutare se e in che termini“Da rifiuto a risorsa” sia riuscito a stimolare la nascita di partenariati tra isoggetti locali, in grado di mettere in valore le risorse specifiche di ognicontesto per affrontare la problematica della gestione dei rifiuti.

Il focus del progetto è rinvenibile, come si è avuto modo di sottolineare inprecedenza (cfr. introduzione), non tanto nell’individuazione di interventimateriali quanto nell’educazione e sensibilizzazione delle società locali ri-spetto alla gestione dei rifiuti urbani. Su questo tema si sono confrontati igiovani delle scuole, i membri delle associazioni di base, i rappresentantieletti e i tecnici dei comuni in cui si è svolto il progetto, accompagnati inogni città da un facilitatore locale (l’Ong partecipante alla rete) che ha avu-to il compito di coordinare, stimolare e animare il dibattito e il confronto sul-le problematiche di ogni contesto locale rispetto alla gestione dei rifiuti. Ta-le confronto si è sviluppato e arricchito negli anni sia in termini di territori e

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1 Per quanto il lavoro sia frutto di un’impostazione ed elaborazione comuni, la stesura deipar. 6.1, 6.4, 6.5, 6.7 si deve a Elisa Bignante, quella dei par. 6.2, 6.3, 6.6 a Simona Guida.

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numero di attori coinvolti, sia per quanto riguarda gli obiettivi e le azioni in-traprese. Si è trattato di un processo dinamico, le cui evoluzioni non eranotutte attese a priori, in cui si sono incrociate più variabili che proveremo aesaminare ricostruendo il percorso di lavoro di ogni città partner del proget-to, singolarmente come anche nelle sue relazioni con gli altri contesti terri-toriali coinvolti.

L'impostazione dell’iniziativa progettuale, il suo sviluppo nel tempo, lapluralità e diversità dei contesti territoriali2 e la necessità di adattare le azio-ni a caratteristiche, bisogni e volontà di ogni territorio, rendono più ardui maal contempo estremamente interessanti l’analisi e il confronto tra le metodo-logie di lavoro prescelte da ogni contesto e i risultati ottenuti. Ci si concen-trerà in particolare sui due assi attorno ai quali si è sviluppato negli anni ilprogetto “Da rifiuto a risorsa”: il primo costituito dal lavoro delle reti di sog-getti locali formatesi in ogni città partner del progetto, il secondo dalloscambio tra le diverse reti locali di soggetti dei risultati, delle buone prati-che, delle metodologie e degli approcci sperimentati, al fine di migliorare,rafforzare e in alcuni casi organizzare la gestione dei rifiuti solidi nei territoridi riferimento.

6.2 IL RUOLO DEI SOGGETTI LOCALI NEL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”:DALLA COSTITUZIONE DEI COMITATI DI PILOTAGGIO ALLA NASCITA DI RETI

TERRITORIALI DI RELAZIONE E DI COOPERAZIONE

In un progetto il cui principale obiettivo è la sensibilizzazione dei soggettilocali, la capacità di generare interesse e attivare dinamiche cooperative

in relazione alla tematica dei rifiuti costituisce la base per ogni successivointervento.

Non si tratta tuttavia di un’impresa facile quando i contesti locali coinvol-ti si differenziano gli uni dagli altri sia per grado di sviluppo e metodologia digestione della questione dei rifiuti (differenze Nord-Sud) sia in relazione alledisomogeneità tra le singole città partner del progetto, che presentanoestensione, numero di abitanti e caratteristiche produttive assai diverse.

L’incrocio di questi due fattori (differenze Nord-Sud e presenza di cittàcon caratteristiche molto diverse) determina in particolare:– la presenza di risorse differenti;– bisogni diversificati;

2 Partecipano all’esperienza, come si è avuto modo di esaminare in precedenza, due cit-tà italiane (Torino e Chieri), tre città del Burkina Faso (Tenkodogo, Nanoro e Ouagadougou)e tre città del Senegal (Mbour, il quartiere Parcelles Assainies di Dakar, e Louga).

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– una diversa produzione, gestione e percezione della problematica dei ri-fiuti.La presenza di un tessuto così vario rappresenta una ricchezza, fornen-

do a realtà che hanno seguito percorsi diversi per affrontare la stessa que-stione l’opportunità di confrontarsi stimolando l’apprendimento reciproco,ma inevitabilmente pone la necessità di individuare una metodologia di la-voro adatta a tener conto delle differenti necessità di ogni contesto.

“Da rifiuto a risorsa” ha individuato in questo senso nella costituzione deicomitati di pilotaggio locali (Cpl) e di una più ampia rete di soggetti del ter-ritorio da coinvolgere per stimolare il confronto e la ricerca di soluzioni, lostrumento per permettere a ogni contesto locale di trovare soluzioni partico-lari e condivise a problematiche comuni.

La costruzione delle reti di relazioni e di cooperazione nelle città partnernon ha dunque seguito le stesse modalità e non ha dato i medesimi risulta-ti in ogni contesto. Si è trattato inoltre di un processo lento e incrementale.

Il progetto nasce a partire da un primo intessersi di legami tra alcuni isti-tuti scolastici impegnati in attività di approfondimento della tematica dei ri-fiuti in un’ottica di confronto reciproco. Si tratta dei licei Demba Diop diMbour, Malick Sall di Louga, Ryalé di Tenkodogo, e degli istituti tecnici su-periori P. Boselli e Regina Margherita di Torino e dell’istituto Vittone di Chie-ri. A questo livello sono presenti pochi soggetti protagonisti delle relazioni,omogenei in quanto appartenenti alla stessa sfera: il mondo dell’istruzione.

È a partire dal lavoro negli specifici territori di appartenenza portatoavanti da ogni istituto scolastico che ci si rende conto della necessità di ri-cercare altri soggetti delegati alla gestione dei rifiuti con cui confrontarsi econ cui identificare possibili azioni e obiettivi da realizzare. Le relazioni in-staurate in un primo momento non paiono più “sufficienti”, si sente il biso-gno di raffrontarsi con altri punti di vista per ricomporre all’interno del pro-getto, almeno in parte, la complessità di ogni territorio.

In questo modo, in seguito a passaggi successivi e con tempistiche di-verse, si formano i comitati di pilotaggio locali (cfr.§ 6.4), con il compito diorientare, gestire e rendere operativo il progetto nei diversi territori. Nuovecittà prendono inoltre parte al progetto: il quartiere di Dakar, Parcelles As-sainies, in Senegal (2002), la città di Nanoro in Burkina Faso (2003) e ai co-mitati di pilotaggio vanno affiancandosi tutta una serie di soggetti (associa-zioni, comitati di quartiere, imprese di raccolta dei rifiuti, etc.3) che parteci-pano attivamente all’esecuzione dei piani locali d’azione.

3 Per un elenco completo dei soggetti coinvolti si rimanda alle schede di lettura del pro-getto al fondo del capitolo.

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6.3 UN PUNTO IN COMUNE TRA I TERRITORI SAHELIANI: ASSOCIAZIONISMO E GESTIONE DEI RIFIUTI

Nel processo incrementale di costruzione dei Cpl e della più ampia retedi soggetti locali4 con cui dialogare e relazionarsi, un ruolo importante

è stato assunto in Senegal e Burkina Faso dalla presenza di un movimentoassociativo attivo e dinamico, in particolar modo nelle zone rurali, nato nel-la maggior parte dei casi per fronteggiare sia la debolezza del mercato chel’assenza dello stato nella gestione delle politiche ambientali e urbane.

Con riferimento al ruolo dello stato, le politiche interventiste degli anni ’60e ’70 e quelle di aggiustamento strutturale degli anni ’80 si sono dimostrateentrambe deboli nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, con laconseguenza che, di fronte alla crisi della diade stato-mercato si è andatasviluppando una risposta dal basso nella forma dell’economia informale edell’impresa cooperativa, per rispondere alla debolezza dell’imprenditoriali-tà privata e delle strutture statali. In questo modo la maggioranza della po-polazione, esclusa dallo sviluppo, ha cercato e continua a cercare soluzio-ni alternative per uscire da un’insostenibile condizione di miseria (Luzzati,2002).

L’associazionismo, sia in Senegal che in Burkina Faso, rappresenta an-cora oggi, nelle più svariate forme giuridiche (cooperative, gruppi di inte-resse economico, etc.) e nei diversi mandati posti dai membri (interessi pro-duttivi, culturali, ambientalisti, etc.), l’unica soluzione concreta e possibileper fronteggiare i problemi delle popolazioni dei contesti rurali, ma spessoanche urbani.

Negli anni ’90 in entrambi i paesi africani si è avviato un processo di de-centramento politico e amministrativo, che ha portato alla nascita di colletti-vità locali governate dagli eletti. Alla debolezza statale si associa la fragilitàdegli enti locali che spesso non hanno i mezzi finanziari e tecnici per farfronte alle competenze delegate dallo stato.

La gestione della filiera dei rifiuti (bene pubblico locale) è delegata allecollettività locali in entrambe i paesi, ma spesso sono le cooperative deiquartieri delle città che si auto-organizzano e gestiscono la raccolta e losmaltimento nei depositi sovente non autorizzati.

Questa è la realtà delle città come Louga dove i mezzi della Municipalitàriescono a gestire solo la pulizia di una piccola parte del territorio, il resto èin carico alla popolazione e quindi alle associazioni dei quartieri. Allo stes-

4 Per approfondimenti sul concetto di reti locali territoriali si vedano tra gli altri Dematteis(1995 e 2001) e Governa (1997 e 2001). Per approfondimenti sulle metodologie di analisi deireticoli sociali si rimanda a Scott (1991), Piselli (1995 e 1997), Chiesi (1999).

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so modo a Parcelles Assainies la gestione dei rifiuti è a carico di una socie-tà privata vincitrice dell’appalto pubblico, ma i gruppi di “recuperatori dimateriali riciclabili” (metallo, vetro, etc.) facilitano notevolmente il lavoro deitecnici dell’agenzia. Così a Ouagadougou sono undici le associazioni chesi occupano della pre-raccolta dei rifiuti nei loro quartieri periferici. Gli abi-tanti delle zone periferiche, che accolgono i flussi provenienti dalle campa-gne, sovente non sono in grado – amministrativamente, finanziariamente etecnicamente – di organizzarsi e le condizioni dell’habitat risultano notevol-mente insalubri.

Alla base della gestione della filiera c’è dunque una partecipazione atti-va della cittadinanza e nei contesti in cui l’ente locale non ha i mezzi per farfronte alla soluzione del problema il territorio si organizza facendo leva sul-le associazioni locali.

Alcuni contesti sono stati più capaci di altri di coinvolgere il tessuto asso-ciativo locale in maniera efficace e continuativa, in particolar modo le cittàdi Louga, Mbour e il quartiere di Parcelles Assainies, mentre gli altri hannoin qualche modo perso un’occasione preziosa.

Un primo passo nel coinvolgimento di realtà associative si è verificatoanche a Torino, in cui sono entrate a far parte del comitato di pilotaggio lo-cale l’associazione Triciclo e il centro per il protagonismo giovanile El Bar-rio, attivi da tempo, in particolar modo il primo, nella sensibilizzazione dellapopolazione torinese sul tema del riutilizzo dei materiali e degli oggetti usa-ti e scartati.

6.4 AZIONI E METODOLOGIE DI LAVORO DI OGNI RETE LOCALE DI SOGGETTI

Nelle schede di lettura del progetto sono sintetizzate le principali azioniportate avanti da ogni rete locale di soggetti. Il fatto che si tratti soprat-

tutto di azioni immateriali finalizzate a favorire la presa di coscienza della“questione rifiuti” dipende dalla tipologia di obiettivi di cui si fa carico il pro-getto “Da rifiuto a risorsa”: trattandosi di educare e sensibilizzare le popola-zioni locali gli interventi materiali sono previsti soprattutto quando finalizzatiall’apprendimento di tecniche e modalità di comportamento.

Quanto queste azioni presentino una coerenza interna rispetto agli obiet-tivi dell’intero progetto o quanto invece rappresentino manifestazioni dellavolontà di singoli attori è un aspetto di non facile trattazione, che per essereaffrontato necessita di un’analisi più dettagliata del lavoro condotto da ognirete locale di soggetti.

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� 6.4.1 Il lavoro della rete di soggetti di Mbour

Quali caratteristiche contraddistinguono l’approccio della rete di sogget-ti di Mbour? Durante la prima annualità del progetto si riscontra la presenzadi un solo attore centrale, il liceo Demba Diop, che ha svolto una serie di at-tività volte alla sensibilizzazione degli alunni, grazie all’introduzione di labo-ratori sperimentali in alcune delle classi che hanno partecipato allo scam-bio con gli studenti italiani. Dal 2002 si assiste a un’apertura della rete, e illiceo inizia a coordinare le proprie azioni con i servizi tecnici della Municipa-lità di Mbour, con il servizio nazionale d’igiene, con un’impresa di raccoltarifiuti, con alcune scuole elementari e medie della città e con i comitati perl’igiene urbana dei quartieri, formando il comitato di pilotaggio del progetto,che a sua volta dà vita a una stabile interazione con le associazioni sportivee culturali e con i gruppi femminili del territorio. Il lavoro del Cpl è coordina-to dall’Ong Cps. Alla rete locale prendono così parte diversi attori che com-piono azioni per la salvaguardia dell’ambiente di Mbour, città che polarizzamolte attività economiche della petite côte senegalese (come la pesca, latrasformazione del pesce, il turismo, etc). Le azioni portate avanti da questonucleo allargato di soggetti si sono rivolte alla sensibilizzazione e animazio-ne della cittadinanza (giornate di set setal5) e le giornate di educazione am-bientale nei quartieri sono state animate direttamente dai membri delle as-sociazioni di base dei quartieri della città. Parallelamente il Cpl di Mbour haorganizzato delle attività finalizzate alla gestione tecnica della filiera dei ri-fiuti, come la conferenza sul “Trattamento dei rifiuti solidi” a cura del servizionazionale d’igiene. Il lavoro del cpl ha trovato complementarietà ed integra-zione nelle altre attività concrete coordinate dall’Ong Cps (alcune condottein partenariato con l’Ong Lvia, grazie a un co-finanziamento del ministerodegli Affari Esteri italiano) nell’ambito del risanamento dei quartieri della cit-tà. La Cps ha svolto e svolge azioni come la costruzione di pozzi e di latrinea beneficio degli istituti scolastici e delle abitazioni dei vari quartieri.

La rete locale di Mbour è riuscita così a mettere in atto una serie di azio-ni prettamente immateriali (sensibilizzazione, confronto tra soggetti locali,educazione ambientale, etc.) a cui sono state accostate azioni dirette (puli-zia dei quartieri, gestione dei rifiuti, etc.) quando ritenute utili per sostenereil processo di sensibilizzazione della popolazione. Interessante notare co-

5 Il termine “set” (in wolof, lingua parlata in Senegal, pulizia) è ripreso da una canzonemolto popolare del cantante Youssu Ndour. Set setal significa letteralemente “pulire per es-sere puliti”. Le associazioni giovanili urbane degli anni ‘80, cominciando da quelle di Dakar,si sono spesso mobilitate per realizzare direttamente la pulizia dell’ambiente esterno apren-do una polemica contro l’assenteismo delle autorità locali.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE118

me il Cpl abbia saputo costruire un partenariato stabile e ampio con la retepiù vasta dei soggetti locali attivi presenti sul territorio, al punto da coinvol-gere direttamente le associazioni, tramite bando, nel processo decisionale.Il comitato di pilotaggio ha deciso infatti di utilizzare i fondi resi disponibilidal progetto non per finanziare attività decise in seno al comitato, bensì lan-ciando un bando rivolto alle associazioni di base del territorio: queste sonostate invitate a presentare un progetto contenente idee e azioni che si rifa-cessero a un approccio partecipativo di gestione dell’ambiente. In seguitoalla candidatura dei progetti, il comitato di pilotaggio ha scelto, in base auna scheda di valutazione, quelli da sostenere.

Fig. 6.1 – La rete di soggetti di Mbour

� 6.4.2 Il lavoro della rete di soggetti di Parcelles Assainies-Dakar

Il quartiere di Parcelles Assainies è entrato nel progetto nell’anno 2002-2003, dopo aver partecipato al seminario conclusivo della prima annualitàtenutosi a Torino nel settembre 2002.

A Parcelles Assainies si è verificato, a partire dalla seconda annualità(2002-2003), un livello di coordinamento molto intenso tra i rappresentantidel Consiglio municipale, l’Ong capofila Mais, l’unione degli artigiani e gli

LiceoDemba Diop

Ong Cps(Cisv nel

2001) Municipalità

Servizio nazionaled’igiene

Comitati diquartiere

Impresa diraccoltarifiuti

Scuoleelementari e

medie

Associazioni sportive eculturali

Gruppi di promozionefemminile

Altreassociazioni

CPL

dal 2001dal 2002dal 2003

Altrescuole

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abitanti del quartiere rappresentati dai Gruppi di interesse economico6

(Gie) e dagli artigiani. Questi ultimi sono tra i primi produttori di rifiuti delquartiere, ma al contempo tra i principali attori che li riciclano. Il Cpl di Par-celles Assainies è riuscito a coinvolgere nelle proprie attività l’Ama-Sene-gal, la società romana che gestisce la raccolta e smaltimento dei rifiuti aDakar, e l’Aprodak, un’agenzia autonoma che realizza campagne di sensi-bilizzazione per conto del ministero dell’Ambiente del Senegal. I gruppi e leassociazioni che hanno appoggiato il Cpl nella realizzazione del pianod’azione sono stati contattati in seguito a una ricognizione di tutti gli attoriche si occupano di ambiente e igiene urbana presenti nel quartiere. Attual-mente non figurano scuole all’interno del progetto, ma si prevede di farlepartecipare prossimamente, così come si intendono contattare i servizi diigiene.

Le attività svolte dal Cpl di Parcelles sono state quasi tutte dedicate allasensibilizzazione della popolazione per la diminuzione della produzione deirifiuti e per la partecipazione attiva della cittadinanza intera al deposito del-la spazzatura nei punti di raccolta dell’agenzia delegata alla gestione dei ri-fiuti. La parola chiave delle azioni di Parcelles è stata “comunicare” per farcircolare le idee tra gli abitanti del quartiere al fine di risolvere insieme laproblematica della gestione dei rifiuti. I messaggi sono passati attraverso leanimazioni alla radio, le scritte sulle magliette, le discussioni al mercato. Inparticolare il comitato di Parcelles Assainies ha utilizzato la metodologia deldiagnostico partecipativo (cfr. cap. 7) per coinvolgere attivamente la popo-lazione nei processi di analisi del territorio e nella definizione delle proble-matiche.

La rete locale di Parcelles Assainies ha lavorato in maniera molto intensaper raggiungere il maggior numero di cittadini possibile. Le azioni materialimesse in campo dalla rete sono state tutte strumentali a questo scopo (co-struzione di bidoni collocati nel quartiere, scritte sulle magliette, pulizie deiquartieri e delle discariche abusive). L’assenza di scuole all’interno del Cplha forse contribuito a creare un legame più stretto tra le autorità municipalie l’Ong di appoggio (Mais), ma questo non ha impedito il coinvolgimento didelegazioni di quartiere, associazioni e gruppi d’interesse economico. Ri-sorsa cardine individuata dalla rete locale è dunque la popolazione locale,che si è tentato di raggiungere facendo leva su canali diversi a seconda deltarget.

6 I Gie sono strutture giuridiche che hanno come obiettivo principale la creazione di mez-zi volti a supportare le attività economiche dei propri membri ottimizzandone i risultati. Le at-tività dei Gie hanno carattere esclusivamente ausiliario, devono collegarsi direttamente all’at-tività economica dei soci e non richiedono il versamento di alcun capitale minino.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE120

Fig. 6.2 – La rete di soggetti di Parcelles Assainies

� 6.4.3 Il lavoro della rete di soggetti di Louga

Il liceo Malick Sall di Louga ha attivato i primi laboratori di educazioneambientale nel 2002, rappresentando, in quell’annualità, l’unico attore pre-sente sul territorio. L’équipe pedagogica del liceo ha approfondito le tema-tiche previste nel piano di studi grazie all’introduzione di moduli sperimen-tali per alcune delle classi dell’istituto e per i membri del “club environne-ment”. Dal 2002 a oggi i ragazzi esprimono i loro messaggi tramite varie for-me artistiche (concorsi rap, recite teatrali, poesie, etc.) e la realizzazione diesperimenti negli atelier (riciclo della carta per la fabbricazione di materialecombustibile ad uso domestico).

Nel 2003, per estendere il suo raggio d’azione, il liceo ha cercato dellesinergie con il Comune di Louga, che ha organizzato una formazione in me-todologia “plaidoyer” e tecniche Sarar7 per il tessuto associativo della città

Mais Assessoreambiente

Assessorecomunicazione

Rappresentanticomunali

Unionedegli

artigiani

Ong SOSEnvironment

Altrescuole Delegati di

quartiere

Altreassociazioni

Ama - SenegalAprodak

Servizid’igiene

Associazionisportive e culturali

Gruppi di interesseeconomico

ArtigianiCPL

dal 2001dal 2002dal 2003

Ong

7 L’approccio Sarar (Self-esteme, Associative strenghts, Ressourcefulness, Action Plan-ning, Responsability) utilizzando supporti visuali di comprensione immediata, promuove ilcambiamento del comportamento in favore dell’igiene e della salute. Si veda a questo pro-posito il cap. 7 di questo stesso volume.

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(associazioni ambientaliste e gruppi incaricati della raccolta rifiuti) e per glistudenti del liceo.

Attraverso la costituzione di una rete di soggetti ricca e variamente com-posta (enti pubblici, scuole, organizzazioni di base, associazioni) il Cpl diLouga è stato in grado di costruire un dialogo ampio e continuativo tra so-cietà civile e amministrazione locale. Particolarmente interessante il fattoche le attività del Cpl si siano incrociate con quelle del comitato Agenda 21del comune di Louga e che da questo incontro sia scaturita una collabora-zione che ha portato nel 2002 il Comitato A21 della Città di Louga d entrarea far parte del Cpl di “Da rifiuto a risorsa”.

Frutto del dialogo tra i diversi soggetti del territorio sono state realizzateuna serie di azioni fortemente calibrate sulle effettive specificità e necessitàdel territorio, indagate attraverso il confronto e la discussione attivata all’in-terno della rete. Durante l’estate del 2003 le associazioni, il Comune, il liceodi Louga e l’Ong Cisv, che coordina il Cpl, hanno condotto una campagnadi sensibilizzazione della popolazione sulla problematica dei rifiuti su tutto ilterritorio. I temi trattati hanno cercato di stimolare la diffusione delle buonepratiche (tecniche di compostaggio domestiche, etc.) e la ricerca di solu-zioni all’esigenza della raccolta e smaltimento dei rifiuti. La metodologiaadottata per le animazioni, playdoyer/Sarar, ha riscontato un buon impattopoiché ha permesso l’interazione tra risorse attive del territorio.

Nel 2004 il Cpl, oltre a continuare le attività di sensibilizzazione degli stu-denti del liceo e della popolazione, ha indetto un concorso per gli artigianidella città al fine di trovare delle soluzioni sostenibili al problema dei rifiutiplastici “leggeri” – come i piccoli sacchetti usati per il trasporto degli ali-menti e i regolari sacchetti della spesa – grande problema che invade la cit-tà. Le azioni del progetto rientrano nel più ampio programma d’azione del-l’Agenda 21 del Comune di Louga. Azioni materiali quali ad esempio il con-corso per artigiani rappresentano tentativi di creare nuove professionalità edi trovare approcci e soluzioni adatte al contesto locale. Numerose e variele azioni immateriali, che come abbiamo visto poggiano sull’allargamentoprogressivo dei beneficiari, attraverso forme di animazioni originali (playdo-yer e Sarar) successivamente mutuate anche da altri Cpl.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE122

Fig. 6.3 – La rete di soggetti di Louga

� 6.4.4 Il lavoro della rete di soggetti di Tenkodogo

A Tenkodogo, gli attori coinvolti nel progetto erano, al principio, la Muni-cipalità, che avrebbe dovuto assumere il ruolo di promotrice e coordinatricedel comitato di pilotaggio del progetto nella propria città, l’Ong Lvia e il Li-ceo Ryalé, che già dal 1999 intratteneva relazioni di scambio con le scuoletorinesi sul tema dell’alimentazione. Tuttavia un vero e proprio comitato dipilotaggio non si è mai formato.

La rete di Tenkodogo, a causa della scarsa varietà di attori coinvolti (il li-ceo, l’Ong Lvia e la Municipalità), ha finalizzato le proprie azioni, sia materia-li (ad esempio la costruzione di alcuni cassonetti) che immateriali (azioni for-mative, visite didattiche, realizzazione di spettacoli, laboratori di educazioneambientale) alla sensibilizzazione degli studenti del liceo, non riuscendo acreare un circuito comunicativo in grado di includere altri soggetti. I ragazzisi sono confrontati sul tema dei rifiuti sotto diversi aspetti e grazie allo scam-bio con le altre scuole senegalesi e italiane studenti e professori hanno potu-to constatare la diffusione del problema rifiuti in ogni territorio8. Nonostante la

Cisv Liceo Malick Sall

Municipalità diLouga

Comitato A21di Louga

Associazioniattive nelcampo

ambientaleChambre desmétiers della

Regione di Louga Gruppi diinteresse

economico

Artigiani

CPL

dal 2001dal 2002dal 2003

8 Per meglio pianificare ed eseguire le attività previste nel quadro del progetto, il liceoRyalé si è dotato al suo interno del club Bis (Burkina-Italia-Senegal) e di un comitato di ge-mellaggio, composto da professori, allievi e membri dell’amministrazione, diretto dal presi-dente nella veste di coordinatore principale.

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vivacità delle azioni del liceo, le azioni realizzate paiono non così fortementelegate alle specificità del contesto locale, ma più rivolte a una generale for-mazione e sensibilizzazione degli studenti.

Fig. 6.5 – La rete di soggetti di Tenkodogo

� 6.4.5 Il lavoro della rete di soggetti di Ouagadougou

Il ruolo della città di Ouagadougou all’interno del progetto avrebbe dovu-to essere quello di promotore e coordinatore del comitato di pilotaggio,sfruttando la propria esperienza nell’ambito dei servizi tecnici di raccoltadei rifiuti urbani e dei progetti pilota di educazione ambientale. In realtà allafine della seconda annualità del progetto nessun comitato di pilotaggio eraancora stato costituito. In quell’anno è entrato nel progetto il parco urbano“Bãngr-Weoogo”, che svolge un ruolo fondamentale nella conservazione evalorizzazione delle biodiversità, costituendo, oltre che un luogo di svago,uno spazio di educazione ambientale.

Come la rete di Tenkodogo anche quella di Ouagadougou si polarizza suun attore principale, il parco urbano Bãngr-Weoogo, al cui attivismo si devo-no una serie di azioni materiali e immateriali di sensibilizzazione, che nonsono tuttavia frutto di un’azione territoriale concertata né paiono essere sta-te in grado di coinvolgere altri soggetti. La rete locale di Ouagadougou halavorato in particolare sulla sensibilizzazione della popolazione urbana sul-

OngLvia

Liceo Ryalé

Servizioprovinciale

dell’ambiente

Ong Ecla

Servizio d’igiene delladirezione regionale

della sanità

CPL

Municipalità(fino al 2002)

dal 2001dal 2002dal 2003

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l’impatto della plastica sull’ambiente, attraverso l’organizzazione di un con-corso e trasmissioni radiofoniche in cui il tema è stato pubblicamente dibat-tuto. Il parco Bãngr-Weoogo sta inoltre lavorando per il coinvolgimento di al-cuni istituti scolastici presenti sul territorio per iniziare con loro dei laborato-ri di educazione ambientale più specifici.

Fig. 6.6 – La rete di soggetti di Ouagadougou

� 6.4.6 La rete di soggetti di Nanoro

Nanoro è entrata tra i partner del progetto “Da rifiuto a risorsa” a partiredalla terza annualità. Questa idea di cooperazione si inserisce nel contestodelle iniziative di scambio avviate dalla Confraternita della Sacra Famigliadi Chieri che, a partire dal 1974, ha sviluppato con la popolazione di Nano-ro, e in accordo con le autorità civili, un vasto programma di sviluppo globa-le della regione, coinvolgendo progressivamente sempre di più la cittadi-nanza e, in particolare, le scuole di Chieri, fino alla firma, nel dicembre del2001, di un atto di gemellaggio tra le due città.

Partecipa al comitato di coordinamento del progetto “Da rifiuto a risorsa”il liceo professionale agricolo di Nanoro, fondato nel giugno del 1994 dallaConfraternita della Sacra Famiglia di Chieri e che ospita circa 150 studentisuddivisi in quattro classi, che ha iniziato una relazione di scambio con le

Lvia

Parco urbanoBãngr-Weoogo

Liceo Bambata LiceoBogodogo

Univerisità diOuagadougou

Liceo Vénegré

Liceo Mixte

CPL

Municipalità

dal 2001dal 2002dal 2003

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scuole chieresi9, e a cui sarà affidato il compito di attivare progetti di sensi-bilizzazione presso i giovani.

Le città di Nanoro e Chieri stanno portando avanti diverse attività discambio e cooperazione diretta tra le scuole professionali agrarie che rea-lizzano al loro interno degli atelier di riflessione sulla problematica dei rifiutie in generale sull’educazione ambientale. Attualmente a Nanoro non è pre-sente una vera e propria rete locale di soggetti, mentre le singole azionivengono portate avanti in maniera relativamente indipendente e dall’istitutoscolastico coinvolto.

Fig. 6.6 – La rete di soggetti di Nanoro

� 6.4.7 Il lavoro della rete di soggetti di Torino

La rete locale di Torino, formata da una pluralità di soggetti con caratteristi-che diverse (Ong, enti locali, associazioni, scuole, servizi comunali) ha rivoltole sue azioni (quasi tutte di natura immateriale) a un target composto princi-palmente dagli studenti delle scuole coinvolte nel progetto. Sono tre gli orga-nismi non governativi coinvolti nel progetto, ciascuno dei quali ha il compitodi mantenere le relazioni con le realtà africane grazie ai volontari internaziona-

Prefetturadi Nanoro

Confraternita deifratelli della

Sacra Famiglia

Univerisità diOuagadougou Ong Lvia

CPL

LiceoSainte Anne

dal 2003

dal 2001dal 2002

9 Gemellaggio con le classi II A e III A dell’istituto agrario “Ubertini”.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE126

li presenti in loco. In particolare, il Cisv, oltre a essere capofila e coordinatoredel progetto, mantiene i contatti con le città di Louga e di Mbour, Mais conl’Arrondissement des Parcelles Assainies e Lvia con la città di Ouagadougou.

Molte attività educative sono state organizzate dal Cpl di Torino dall’iniziodel progetto a questa parte. Le scuole hanno organizzato al loro interno atti-vità di informazione e sensibilizzazione, attraverso l’incontro con tecnici deiservizi di smaltimento rifiuti (Amiat) e operatori nel campo dell’educazioneambientale, per poi aprirsi al territorio con manifestazioni pubbliche e il coin-volgimento di altre classi e scuole attraverso iniziative di peer-education.

Nel 2003-2004 sono entrate nel progetto alcune realtà coinvolte in prece-denza con la nascita di nuove iniziative. In particolare, il centro per il prota-gonismo giovanile El Barrio ha avviato un corso di sensibilizzazione rivolto agiovani-adulti sul tema della cooperazione decentrata e dello sviluppo loca-le; l’associazione Triciclo, esperta nel campo dell’educazione ambientale,ha saputo sensibilizzare e coinvolgere i ragazzi delle scuole; l’Universitàdegli studi di Torino, in particolare la Facoltà di Scienze Politiche, ha datoun supporto scientifico e metodologico al progetto, mettendosi a sua voltain relazione con l’università di Saint Louis in Senegal e di Ouagadougou inBurkina Faso, e organizzando nel giugno 2004 un seminario sul progetto“Da rifiuto a risorsa” in cui sono stati coinvolti gli studenti del corso di laureain Sviluppo e Cooperazione.

Fig. 6.7 – La rete di soggetti di Torino

OngCisv Amiat

Ong Lvia

Settore cooper.internaz. e paceCittà di Torino

IstitutoBoselli

Istituto ReginaMargherita

Istitutoprofessionale Giulio

Circoscrizione V

VI Circoscriz.Scuola elementare

Madonna dellaScala

Agenzia di sviluppoS. Salvario

Scuolamedia Pola

Ong Mais

Università diTorino

Triciclo

CPL

Scuole elemen. V, VIe VIII circoscriz.

Regione Piemonte

dal 2001dal 2002dal 2003

El barrio

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� 6.4.8 Il lavoro della rete di soggetti di Chieri

Per quanto riguarda la città di Chieri non si può parlare di una rete locale disoggetti fino al 2003. Fino a questa data infatti l’unico partner del progetto“Da rifiuto a risorsa” è stato l’istituto Vittone, uno degli attori che storicamenteha seguito tutto l’evolversi del progetto. Pur non riuscendo negli anni a coin-volgere altri soggetti del territorio, l’istituto scolastico si è dimostrato assai at-tivo nell’organizzazione di una serie fitta di eventi e attività sul tema della ge-stione dei rifiuti: visite all’Amiat, incontri sui temi dello sviluppo sostenibile edel turismo responsabile, laboratori e scambi internazionali nel 2001-2002; at-tività di sensibilizzazione e peer education e una mostra fotografica nel 2002-2003; attività di apprendimento della tecnica batik, partecipazione a mostre eeventi, corrispondenza con gli studenti del liceo agricolo di Nanoro nel 2003.La situazione si è parzialmente modificata nel 2003 con il coinvolgimento nelprogetto della Città di Chieri10, ufficialmente entrata a fare parte di “Da rifiutoa risorsa” in quest’ultima annualità, con la presenza al seminario a Dakar neldicembre 2003 e la presentazione del suo ingresso nell’aprile 2004, in occa-sione della visita di una delegazione di Nanoro.

È venuta così a formarsi sul territorio chierese una rete locale compostada due soggetti, che tuttavia sembra essere ancora in cerca del livello di in-terazione dinamica che caratterizza altri partner del progetto.

6.5 ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE TIPOLOGIE DI RELAZIONI AVVIATE

I risultati raggiunti dal progetto in termini di creazione di partenariati ampi estabili tra i soggetti locali, come emerge dai paragrafi precedenti, sono

fortemente differenti a seconda dei casi. In alcuni contesti ci si trova in pre-senza di reti aperte, in grado cioè di accogliere e coinvolgere soggetti e didialogare con l’esterno, in altri casi ci si trova invece davanti a reti più chiu-se, in cui le relazioni si esauriscono all’interno dei circuiti locali. In alcuni al-tri casi ancora più che di chiusura è opportuno parlare di debolezza dellarete, spesso determinata da una sua più recente costituzione.

Ad una prima analisi pare possibile individuare nei casi di Mbour, Louga,Parcelles e Torino delle reti “aperte”, che sono state in grado di confrontarsie di cooperare con istituzioni e attori, interni ed esterni al territorio, sia nella

10 La Città di Chieri è gemellata dal 2001 con quella di Nanoro. Questo legame era statoreso possibile dalla presenza, sia nella realtà italiana che in quella burkinabé, della Confra-ternita dei Fratelli della Sacra Famiglia di Chieri, una congregazione di religiosi che svolgeattività missionarie.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE128

riflessione che nella mobilitazione comune sulla gestione dei rifiuti. Il Cpl diTorino ha saputo, nel corso degli anni, coinvolgere molte istituzioni di natu-ra diversa come le Circoscrizioni V e VI, le associazioni e i centri giovanilicome El Barrio, Triciclo, le Ong e molte scuole. Anche Louga ha avuto la ca-pacità di agganciare un crescente numero di soggetti attivi del territorio co-me i diversi servizi comunali responsabili della salvaguardia dell’ambiente,le associazioni di base, i gruppi di interesse economico demandati alla rac-colta rifiuti nei quartieri che il Comune non riesce a servire, la camera deimestieri regionale, il liceo (corpo insegnanti ed associazioni degli allievi) ein particolare il comitato A21 locale. Il progetto ha realizzato azioni (come lesensibilizzazioni) previste dal processo partecipativo del programma Agen-da 21 del Comune di Louga. A Parcelles partecipano attivamente una granparte dei dirigenti comunali eletti, i rappresentanti degli artigiani e delle as-sociazioni e dei gruppi e l’Ong Sos-Environnement e la rete si sta impe-gnando con successo nel coinvolgimento attivo dei cittadini.

L’apertura di queste reti locali può essere attribuita a molti fattori, tra cuila particolare dinamicità delle istituzioni demandate alla gestione dell’am-biente e delle associazioni di base presenti in ciascun territorio. Inoltre, lecittà di Mbour, Parcelles, Louga e Torino hanno già precedentemente matu-

Fig. 6.8 – La rete di soggetti di Chieri

Ufficio pace ecooper. intern.Città di Chieri

Istituto Vittone

Scuola mediaNino Costa di

Andezeno

Scuola elementare diMoriondo

Scuola elementareNostra Signora della

Scale

Confraternita deiFratelli della Sacra

Famiglia

CPL

dal 2001dal 2002dal 2003

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CAPITOLO 6 129

rato la capacità di concertazione e di cooperazione tra gruppi di attori di-somogenei.

Altre reti come quelle di Ouagadougou, Tenkodogo, Nanoro e Chieri pre-sentano un livello di apertura minore, questo in parte in quanto le istituzioniche hanno rappresentato la “porta di ingresso” del progetto sul territorionon sono state in grado di coinvolgere direttamente altri soggetti già attivi opotenzialmente interessati a lavorare nel settore della gestione dei rifiuti. Lemotivazioni assumono profili diversi a seconda della realtà territoriale. AOuagadougou ad esempio si sconta la presenza attiva nella rete locale diappena un attore, il parco, come anche a Tenkodogo, dove dal 2001 parte-cipa attivamente al progetto solo il liceo Ryalé, nonostante siano stati com-piuti sforzi per il coinvolgimento delle autorità locali, che tuttavia privilegia-no altri campi di intervento.

In entrambe le città (Ougadougou e Tenkodogo) i beneficiari delle azio-ni, cioè i ricettori e portatori dei messaggi di sensibilizzazione per il rispettodell’ambiente e per una gestione consapevole dei rifiuti, sono i fruitori delparco urbano di Ouagadougou e i liceali di Tenkodogo. I destinatari delleazioni sono ugualmente molti, ma le istituzioni coinvolte poche e le associa-zioni dei gruppi di base del tutto assenti.

La debolezza delle reti di Chieri e Nanoro ha ragioni diverse, legate al re-cente coinvolgimento delle municipalità nel progetto e dal fatto che le “por-te di entrata” territoriali (le due scuole e le autorità politiche di riferimento)non hanno ancora avuto tempo a sufficienza per promuovere una crescita“orizzontale” della rete locale attraverso il coinvolgimento di altri attori ri-spetto alla tematica dei rifiuti.

È interessante poi ragionare sul tipo di ramificazioni delle reti locali e sul-la capacità di prendere le decisioni in maniera concertata (rete policentrica)o gerarchica (rete monocentrica). Va notato a questo proposito che, nono-stante i comitati di pilotaggio rappresentino gli anelli più stabili di ogni retelocale, in alcuni casi le proposte e le attività svolte dalla rete sono nate gra-zie alla partecipazione e al contributo di tutti gli attori (rete policentrica). Èquesto il caso di Louga, dove i rappresentanti della Municipalità (eletti, ser-vizi tecnici e responsabili del programma Agenda 21) e del liceo DembaDiop hanno sempre condiviso e discusso in maniera congiunta la pianifica-zione delle azioni. In questo senso è possibile affermare che a Louga, nes-suno degli attori centralizza l’orientamento del progetto.

Altrettanto policentrica è la rete di Mbour in cui attori disomogenei hannoavuto uguale potere propositivo e decisionale nella realizzazione del pro-getto.

Lo stesso si può dire per la rete torinese in cui insegnanti, Ong, tessutoassociativo torinese e amministratori comunali hanno pilotato il progetto in-sieme e con uguale capacità propositiva.

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Diverso si presenta il caso di Parcelles Assainies in quanto la Municipa-lità, nonostante rappresenti una sola delle voci della rete locale, si è forte-mente e positivamente appropriata dell’iniziativa grazie alla partecipazioneal progetto di molti dei rappresentanti eletti. La stessa situazione si presen-ta nelle restanti reti, in cui la municipalità rappresenta il soggetto trainante.Allo stesso modo sono monocentriche anche le reti di Tenkodogo e Ouga-dougou, dove il liceo in un caso e il parco nell’altro sono gli unici attori pro-positivi e realizzatori delle azioni.

Dall’esame dei programmi attuati nelle diverse città si trova infine confer-ma dell’attenzione rivolta da tutti i comitati di pilotaggio alle risorse umane(studenti, giovani, cittadini, artigiani, tecnici comunali, ecc.). Una serie diaspetti ricorrenti, come l’artigianato, gli spazi verdi, i quartieri cittadini, le at-tività economiche, ricorrono inoltre in quasi tutte le città come catalizzatoridi azioni e progettualità. Il fatto che i diversi territori riconoscano risorsemolto simili potrebbe essere ricondotto ad una mancata o incompleta anali-si delle condizioni territoriali di ogni contesto, o ad una dinamica di condu-zione del progetto per certi versi “standardizzata”. A nostro avviso la ragio-ne risiede tuttavia nel tentativo di lavorare – ogni città con propri approcci,tempi e strumenti - su quelle risorse tangibili e centrali in ogni città in gradodi dare un ritorno immediato in termini di buone prassi e sensibilizzazionedella popolazione. Tali risorse sono coincise nei vari contesti con i luoghi diaggregazione sociale primari (i quartieri, le piazze), con le attività economi-che più promettenti (l’artigianato, l’agricoltura), e infine con i soggetti più fa-cilmente in grado di fungere da vettori di trasmissione e diffusione delle in-formazioni (soggetti dinamici: studenti, giovani, comitati di quartiere, arti-giani, etc.). La presenza di risorse analoghe in diversi contesti ha poi rap-presentato un’opportunità, come approfondiremo nel prossimo paragrafo,nel momento in cui ha consentito alle varie reti locali di scambiarsi espe-rienze e di mutuare approcci dimostratisi vincenti (come nel caso delle atti-vità predisposte per gli artigiani, nell’esperienza degli orti cittadini, etc.).

6.6 LA RETE INTERLOCALE DI SOGGETTI

Le esperienze, le azioni, i risultati raggiunti da ogni contesto locale accre-scono la propria portata nel momento in cui si presenta la possibilità di un

confronto con il lavoro delle reti di soggetti di altre località. Come procedere auna condivisione delle buone (e cattive) pratiche emerse nel corso del tem-po? Ciascuna rete locale coinvolta nel progetto, ha la possibilità di scambiareesperienze e suggestioni attraverso una “rete interlocale”, in cui confluisconotutti i comitati di pilotaggio. Lo scambio di informazione all’interno della reteinterlocale è facilitato dalla presenza di un sito internet(http://www.comune.torino.it/cooperazioneint/rifandris/index.htm) e di una

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newsletter periodica, nella quale vengono illustrate le attività svolte da ognicomitato e si discute sui possibili momenti di incontro collettivo e sulle iniziati-ve da portare avanti in maniera congiunta. Va considerato tuttavia che nonper tutti lo strumento internet è di facile accesso e il più intenso e proficuo mo-mento di scambio rimane il seminario annuale, che si è tenuto a Torino nel set-tembre 2002 e in Senegal nel dicembre del 2003. L’obiettivo del primo semi-nario è stato quello di avviare formalmente il lavoro di rete tra le città, mentre ilsecondo è stato un momento di vero scambio delle metodologie e delleesperienze degli attori coinvolti. Il secondo incontro ha dato modo ai rappre-sentanti delle reti locali di presentare le attività svolte nel quadro del progettoe più in generale ciò che ogni città ha realizzato rispetto al tema della gestio-ne dei rifiuti, analizzando i successi e le debolezze delle metodologie speri-mentate. In molti casi lo scambio ha suggerito ai rappresentanti delle reti lo-cali nuove idee e percorsi di sviluppo potenziali e inattesi. Ad esempio, la va-lorizzazione del riciclaggio di vetro, plastica e metallo del 2003 dell’unionedegli artigiani di Parcelles Assainies è stata riproposta nel 2004 dal comitatodi pilotaggio di Louga, con adattamenti alle caratteristiche della realtà produt-tiva e sociale locale. Allo stesso modo l’inchiesta approfondita sulla tipologiadei rifiuti prodotti condotta dai liceali di Torino nel 2003 ha dato spunti per il la-voro dei licei di Tenkodogo e Louga nel 2004, e la metodologia playdoyer el’approccio Sarar usati nel 2003 dalle associazioni di Louga per le sensibiliz-zazioni nei quartieri sull’importanza della partecipazione per l’organizzazionedella filiera dei rifiuti ha interessato tutti i rappresentanti dei comitati locali.

La rete interlocale ha reso possibile inoltre la nascita di canali di dialogoprivilegiato come quello delle tre città senegalesi che hanno partecipato at-tivamente all’atelier per la lotta al pericolo della plastica a Louga (Atti del-l’atelier “Rencontre du réseau des Villes et des organisations partenairessénégalaises du projet De déchet à ressource”, marzo 2004).

Non meno importante è stata la ricerca della sinergia tra il liceo di Tenko-dogo e il parco di Ougadougou, unici nodi delle due località. Nel 2004, aseguito del seminario senegalese, i ragazzi del liceo Ryalé si sono recati invisita di formazione al parco urbano di Ougadougou, mentre il dialogo diret-to tra Chieri e Nanoro continua a rappresentare un canale privilegiato per ledue città per via della trentennale relazione che le lega.

Va infine segnalato il legame che nell’ultimo anno si è stretto tra la Facol-tà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino, l’Università diSaint Louis in Senegal11 e l’Università di Ouagadougou in Burkina Faso. Letre Università, legate dalla comune partecipazione al progetto, hanno avvia-

11 L’università di Torino e l’Università di Saint Louis sono inoltre partner dal 2003 di un pro-getto di cooperazione decentrata tra Università finanziato dalla Regione Piemonte.

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to a partire da precedenti collaborazioni una serie di relazioni rivolte al-l’esplorazione delle rispettive attività di didattica, all’individuazione di cam-pi di ricerca comuni e rivolti infine alla ricerca di opportunità di stage e pe-riodi di studio nelle rispettive facoltà.

La rete interlocale è stata così in diversi modi in grado di stimolare il la-voro dei vari locali, sia per lo sforzo di auto analisi che ogni rete ha dovutocompiere per presentarsi agli altri, sia per l’apprendimento reciproco datodal confronto sul tema specifico della gestione dei rifiuti.

Il dialogo tra pari ha generato valore aggiunto al lavoro prodotto nel cam-po della gestione dei rifiuti. Questo surplus è più percettibile dove gli attorisono riusciti a creare sinergie locali e dove sono stati sostenuti dall’Ongpresente nel territorio.

6.7 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

G iunti al termine di questo breve percorso, si ripropone il quesito intro-dotto in apertura: fino a che punto “Da rifiuto a risorsa” ha rappresenta-

to un’occasione di sviluppo locale per i territori coinvolti? Il dialogo tra i soggetti partecipanti alle reti locali e alla più ampia rete in-

terlocale, il tentativo di individuazione di risposte basate sulle risorse e spe-cificità di ogni contesto territoriale e la volontà/capacità di adattare una pro-blematica “globale” come la gestione dei rifiuti alle necessità e peculiaritàdi ogni “locale” rappresentano alcuni elementi indiziali del tentativo da par-te di alcuni territori di cercare un sentiero di sviluppo adatto al proprio con-testo e realizzabile a partire da risorse (fisiche, umane, finanziarie) disponi-bili e attivabili, “locale” in quanto endogeno e radicato, non riproducibile al-trove con le medesime caratteristiche.

Sensibilizzazione e sinergie tra attori sono due dei termini che con più fre-quenza ricorrono in queste pagine. Non è casuale dal momento che su que-sti due aspetti si è giocata buona parte di un progetto come “Da Rifiuto a Ri-sorsa” che, nonostante un budget decisamente modesto è riuscito a cresce-re e consolidarsi negli anni generando entusiasmi e accrescendo il numerodi territori coinvolti e la quantità di soggetti partecipanti. Al raggiungimentodi questi risultati sembra aver contribuito una definizione puntuale degliobiettivi: sensibilizzare società locali del Nord e del Sud del mondo su unaproblematica forte che in maniera diversa tocca entrambi da vicino. Obietti-vi che divengono realizzabili anche in presenza di un budget limitato. Obiet-tivi coerenti con la volontà di affrontare la gestione dei rifiuti non tanto ricer-cando soluzioni tecniche, ma soprattutto creando una nuova coscienza neicittadini del Nord come in quelli del Sud. Ecco che allora la cooperazionedecentrata dispiega la sua funzione di tramite per la creazione di ponti di

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dialogo, di scambio, di apprendimento reciproco tra realtà fisicamente e cul-turalmente distanti. Obiettivi infine che ben hanno saputo cogliere le strozza-ture dei contesti del Sud del mondo, in cui prima ancora della mancanza distrutture, macchinari, impianti, si avverte la mancanza di una sensibilità so-ciale condivisa verso una problematica le cui ricadute sono sempre più pre-occupanti, soprattutto laddove è più difficile affrontarle in maniera diretta perla mancanza dei mezzi e per la debolezza (politica oltre che finanziaria) de-gli enti locali preposti alla risoluzione. Sensibilità sociale in gran parte assen-te anche in un Nord sicuramente più dotato di infrastrutture ma forse proprioper questo più dimentico del ruolo di ogni cittadino nella preservazione del-l’ambiente e degli spazi pubblici. Da qui il coinvolgimento successivo di unnumero crescente di attori, che non ha dato risultati ugualmente positivi inogni contesto, ma che dove è funzionato ha portato alla ricerca del dialogo ealla messa in campo di azioni e di proposte. È in questo senso che lo svilup-po locale e la cooperazione decentrata assumono un nuovo significato,quello del confronto, della condivisione del lavoro che parte dai bisogni edalle particolarità di ogni contesto, Nord e Sud, piccoli e grandi centri, am-ministratori e amministrati, cooperanti e società civile.

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Mbour

La città di Mbour si trova nella regione di Thiès, sulla Petite Côte, a 83 km asud-est di Dakar, e dà il nome al dipartimento omonimo. La sua posizione naturale in riva all’oceano Atlantico favorisce lo sviluppo diattività legate al turismo e alla pesca, oltre che a renderla un importante cen-tro di scambi commerciali. È inoltre attraversata dall’arteria stradale nazionaleche le permette di collegarsi con i quattro paesi confinanti (Gambia, Guinea,Mali e Guinea Bissau), oltre che con il resto del paese.Nei dintorni della città ci sono sette foreste, tre di mangrovie e due riserve eco-logiche, in cui sono presenti una grande varietà di animali e di specie protet-te.

CLIMA

La città gode di un clima tipicamente tropicale caratterizzato dall’alternanza diuna stagione secca, che dura nove mesi circa, e una stagione di piogge (dagiugno a ottobre). Mbour è esposta alle correnti dell’aliseo marittimo che rin-frescano le temperature e diminuiscono l’umidità dell’aria. Nella stagionesecca soffia l’harmattan, un vento caldo e secco che viene da nord. Le tem-perature vanno da una media di 22°C nei mesi invernali ai 35°C nei mesi piùcaldi.

ABITANTI

250 mila su una superficie di 18 km2. Mbour è la città con il più elevato tasso dicrescita annuale del Senegal (6,3% contro il 2,3% del resto del paese), fattoreproblematico in diversi ambiti, non da ultimo la gestione dell’ambiente.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Fra le principali attività economiche di Mbour si rilevano la pesca e il turismo(il porto di Mbour è il terzo per quantità di pescato in Senegal), dovuti alla posi-zione costiera della città, che l’ha resa un importante snodo commerciale delpaese. Il turismo ha visto un notevole sviluppo a partire dalla fine degli anni ’70con la creazione del centro balneare di Saly Portudal a 7 km dalla città. Nonsono da sottovalutare, tuttavia, l’avicoltura, l’allevamento e l’orticoltura.

ASSOCIAZIONI

42 Asc (Associazioni sportivo cultuali – associazioni giovanili) e 48 Gpf(Gruppi di promozione femminile).

SCUOLE

1 scuola superiore, 5 scuole medie pubbliche, 5 scuole medie private, 28scuole elementari, 16 scuole materne.

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URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

Nel corso degli ultimi decenni Mbour ha vissuto una profonda e rapida trasfor-mazione con un aumento della popolazione da circa 50 mila abitanti della finedegli anni ’70 agli attuali 250 mila1.Mbour è diventato un polo di attrazione di migrazione interna al paese a causadello sviluppo turistico della regione e delle prospettive occupazionali connes-se: la stazione balneare di Saly Portudal e i grandi villaggi turistici della costatra Nianing e Joal si trovano infatti a pochi chilometri dalla città.La domanda di forza lavoro espressa dalle nuove strutture turistiche è stata infe-riore rispetto alle attese; si è pertanto sviluppato un ampio settore di attività infor-mali, o spesso decisamente illegali, legate al fenomeno turistico: guide e accom-pagnatori improvvisati, venditori ambulanti, facchini, tassisti, senza dimenticareil fenomeno diffuso della prostituzione, sia femminile che maschile. Il rapido e incontrollato sviluppo della città ha portato gravi problemi di carat-tere ambientale e igienico-sanitario, soprattutto nei quartieri periferici di nuovaformazione; infatti, alla carenza di infrastrutture e di servizi (a Mbour non esi-ste un vero sistema fognario) si aggiunge l’arrivo continuo di nuovi gruppi fami-liari che si installano nelle aree ancora disponibili (ai margini dell’insediamen-to urbano, in zone a volte precedentemente usate come discariche abusive).

GESTIONE DEI RIFIUTI

� I rifiuti solidiFino agli anni ’90 è prevalso il metodo di gestione municipale dei rifiuti, in cuil’autorità reclutava direttamente del personale e metteva a sua disposizione imezzi materiali necessari alla pulizia delle strade, raccolta e smaltimento deirifiuti. Tuttavia l’insufficienza e l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione, cosìcome l’invecchiamento della mano d’opera o situazioni politiche-sociali insta-bili, hanno determinato un successo molto limitato di questo sistema, nono-stante l’apparizione di un partner come l’Agetip2, che ha rafforzato i mezzi leg-geri a disposizione del comune e gli ha procurato una più ampia manodope-ra che si occupa di pulizia e raccolta dei rifiuti.Visto il fallimento della gestione municipale, le autorità hanno optato per la pri-vatizzazione di tutta la filiera. Nonostante alcuni miglioramenti, dopo un annodi gestione privata della raccolta rifiuti il problema non può ancora dirsi risolto

1 Questa cifra (in attesa dei risultati del censimento nazionale, promosso dallo stato allafine del 2002) è una stima (per difetto) dei volontari Cps su dati forniti dalla sotto-briga-ta del servizio nazionale dell’igiene di Mbour, che dichiara la presenza nella città dialmeno 30.000 nuclei abitativi (si deve considerare che mediamente in ognuno di que-sti vivono dalle 7 alle 10 persone).2 Agence d’exécution de travaux d’intérêt public, trattasi di un’agenzia che, nel quadrodelle sue missioni definite dallo stato, doveva trovare delle risposte al problema delladisoccupazione della popolazione attraverso la moltiplicazione di azioni che prevedes-sero un massiccio impiego di manodopera.

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(ad esempio alcune vie e piazze restano piene di mucchi di immondizia anchedopo il passaggio degli operatori).Le autorità municipali ritengono che un prezioso contributo possa essereapportato dalla gestione partecipativa da parte della popolazione. Da quinasce l’adesione di Mbour al progetto “Da rifiuto a risorsa”. Già in preceden-za, la municipalità si era mossa in questa direzione attraverso la creazione inalcuni quartieri, in accordo con l’equipe del servizio d’igiene nazionale, dicomitati di igiene urbana, essenzialmente con compiti di educazione e sensi-bilizzazione della popolazione relativamente ai problemi inerenti alla gestionedei rifiuti e, più in generale, alla gestione dell’ambiente. Sempre in questa pro-spettiva si inserisce il legame tra comune e liceo Demba Diop all’interno delprogetto ”Lycée et ses environs propres”, il cui obiettivo è quello di contribui-re al miglioramento del piano locale di smaltimento dei rifiuti.

� I rifiuti liquidiLa città soffre di gravi difficoltà di smaltimento dei rifiuti liquidi (acque pluviali,acque reflue e acque nere) e la densità della popolazione, in continuo aumen-to, non fa che aggravare ulteriormente il problema. A Mbour solo lo 0,73%delle famiglie hanno una fossa settica per eliminare le acque nere; il 26% nonha servizi igienici3.Mbour dispone di una sola rete di smaltimento delle acque pluviali lunga 700metri che collega unicamente il quartiere Escale (uno dei quartieri antichi dellacittà) all’oceano. La gestione dei rifiuti liquidi viene così affidata alla naturaleevaporazione, infiltrazione, o raccolta in fosse biologiche che vengono suc-cessivamente prelevate da strutture private, per essere poi riversate al di fuoridella città all’interno di scavi, vecchie cave o semplici depressioni del terreno,con gravi conseguenze dal punto di vista sanitario. I rari interventi della collet-tività locale si limitano ad azioni saltuarie di evacuazione delle acque stagnan-ti in occasione delle grandi piogge.La gravità della situazione ha fatto sì che lo stato ritenesse necessario interve-nire, assumendosi direttamente la responsabilità di realizzare un piano di risa-namento del territorio4, i cui lavori non hanno ancora avuto inizio.Nel frattempo, a partire dal 2002, è stato lanciato in quattro quartieri perifericidella città un progetto di “lotta contro il degrado ambientale” (dalle Ong Lviadi Cuneo e Cps di Castellammare di Stabia in collaborazione con laMunicipalità di Mbour e il servizio nazionale d’igiene) che prevede interventisia sui rifiuti liquidi sia su quelli solidi. Quattro comitati di quartiere gestisconoun fondo di credito rotativo che permette alle famiglie di poter costruire unalatrina e/o un puisard (pozzo per lo smaltimento delle acque grigie) e ripagar-lo in 18 rate mensili. In questo modo, in due anni sono state realizzate più di130 opere e i comitati hanno creato un’ampia campagna di sensibilizzazione.

3 Fonte: servizio d’igiene nazionale Mbour, agosto 2001.4 Tale progetto è finanziato dal Fes (Fondo europeo di sviluppo).

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IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

Annualità I II III

MBOUR 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Ong Cisv Cps* Cps*

Scuole Liceo Demba Diop Liceo Demba Diop - Scuole elementari

e medie;

- Liceo Demba Diop

Autorità Municipalità - Municipalità; - Municipalità;

municipali / - Servizio nazionale - Servizio nazionale

locali d’igiene d’igiene;

Organizzazioni di Comitati di quartiere Comitati di quartiere

base o realtà per protezione per la protezione

associative ambientale/sanitaria ambientale/sanitaria

Servizi comunali Impresa di raccolta Impresa di raccolta

rifiuti per conto rifiuti per conto

della municipalità della municipalità

Scuole Scuole elementari

e medie

Autorità municipali

/ locali

Organizzazioni Associazioni - Associazioni - Associazioni

di base o di sportive e sportive e sportive e

quartiere culturali (Asc) culturali (Asc); culturali (Asc);

- Gruppi di promozione - Gruppi di promozione

femminile (Gpf); femminile (Gpf);

- Altre associazioni - Altre associazioni

di quartiere di quartiere

Servizi

comunali

Alt

ri s

ogg

etti

coi

nvo

lti

Com

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gio

*La Cps (Comunità promozione e sviluppo) Ong di Castellammare di Stabia, coordinaper conto del Cisv le attività del progetto “Da rifiuto a risorsa” nella Città di Mbour.

ANNUALITÀ 2001-2002

– formazione e avvio del comitato di pilotaggio;– coinvolgimento e sensibilizzazione mediante il club Bis (Burkina-Italia-

Senegal) nel Liceo Demba Diop;– progetto “Lycée et ses environs propres“ realizzato dal Liceo Demba Diop;– accoglienza della delegazione degli istituti scolastici piemontesi.

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ANNUALITÀ 2002-2003

– rafforzamento e allargamento del comitato di pilotaggio;– manifestazione pubblica del 5 giugno: pulizia del liceo e dintorni, seminario,

rappresentazioni teatrali a cura degli studenti del liceo, conferenza sul“Trattamento dei rifiuti solidi” a cura del servizio nazionale d’igiene;

– attività di sensibilizzazione: incontri nelle scuole, incontri con la popolazionedi informazione sul progetto e sulle sue realizzazioni;

– azioni dirette: giornate di “set-setal” (pulizia dei quartieri), finanziamento diattività di pulizia, gestione rifiuti, educazione ambientale promosse da asso-ciazioni di base individuate tramite “bando” (finanziamento di 9 progetti – 21giornate di set-setal, 28 manifestazioni di sensibilizzazione);

– festa di sensibilizzazione (8 dicembre 2003) che ha coinvolto tutte le asso-ciazioni e i gruppi che hanno partecipato al progetto e la popolazione dellacittà;

– partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità 2002-2003 del proget-to, che si è tenuto in parte a Dakar nel dicembre 2003 e in parte in forma iti-nerante nelle tre città senegalesi coinvolte in “Da rifiuto a risorsa”. Mbour haaccolto i partecipanti e fatto vedere loro quali attività sono state svolte nel-l’ambito del progetto.

ANNUALITÀ 2003-2004

– rafforzamento e allargamento del comitato di pilotaggio, incontri con altri par-tner istituzionali;

– partecipazione all’incontro organizzato dal comitato di pilotaggio di Louga erivolto ai partner senegalesi di “Da rifiuto a risorsa” sul tema del riciclaggiodei sacchetti di plastica;

– attività di sensibilizzazione della popolazione e manifestazioni pubbliche diinformazione sul progetto e sulle sue realizzazioni;

– attività dirette: attività proposte sull’educazione ambientale, rifiuti e riciclag-gio nelle scuole, attività di pulizia, gestione dei rifiuti, educazione ambienta-le promosse da associazioni di base e scuole individuate tramite “bando”(nella prima metà del 2004 sono stati finanziati i progetti di 6 scuole elemen-tari e di 6 associazioni di base);

– manifestazione pubblica del 5 giugno: è stata organizzata, in relazione altema scelto per quest’anno dalle Nazioni unite, una giornata sulla protezionedei mari. Si è lavorato, in particolare, sulla zona del porto di pesca di Mbour(zona molto problematica dal punto di vista ambientale) organizzando unamanifestazione con l’associazione dei pescatori e delle donne commercian-ti di pesce;

– attività di formazione con lo scopo di formare dei giovani che possano daredurabilità e sostenibilità alle azioni promosse dalle varie associazioni/scuole.

Il progetto “Da rifiuto a risorsa” ha visto coinvolto sin dall’inizio il liceo DembaDiop di Mbour. Nella seconda annualità si è ampliato il numero di soggetti par-

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tecipanti al comitato di pilotaggio, in cui si sono inseriti rappresentanti dellamunicipalità di Mbour, particolarmente interessata alla diffusione di tali meto-dologie di coinvolgimento per stimolare la partecipazione degli abitanti.Il comitato di pilotaggio ha deciso di utilizzare i fondi resi disponibili dal pro-getto non per finanziare attività decise in seno al comitato, bensì per lanciareun bando rivolto alle associazioni di base del territorio: queste erano invitate apresentare un progetto contenente idee e azioni che si rifacessero a unapproccio partecipativo di gestione dell’ambiente. In seguito alla candidaturadei progetti, il comitato di pilotaggio ha scelto, in base a una scheda di valu-tazione, quelli da sostenere.Nel 2003 sono stati finanziati nove progetti di altrettante associazioni, a cui èstato chiesto di garantire il 10% del valore del progetto (calcolato valorizzan-do l’apporto materiale e di lavoro). Le attività sostenute hanno riguardato azio-ni di sensibilizzazione e informazione della popolazione, azioni di pulizia deiquartieri, di rimboschimento, di rimessa a punto di alcune zone. I progettifinanziati nel 2004 sono dodici, riguardano per una metà interventi di scuoleelementari, per l’altra associazioni di base.

ContattiDjibril SY (Segretario Municipale)

Commune de MbourR.te de Joal

B.P. 58 – Mbourtel. e fax: 00221.9571047

Cps (Comunità promozione e sviluppo)Rue 15 – Quartier Thioce Est

B.P. 02 – Mbourtel. e fax: 00221.9571223

e-mail: [email protected]

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE140

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Parcelles Assainies

Il quartiere di Parcelles Assainies si estende lungo il litorale atlantico, tra laperiferia di Pikine e Dakar, all’interno della regione omonima. Questo quartiereè nato negli anni ‘80, in collaborazione con la Banca mondiale, nell’ambitodella politica statale di creazione di spazi abitativi per cittadini poveri e abasso reddito, per far fronte alla crescita rapida e incontrollata di nuovi sob-borghi.Nel 1996, a seguito della riforma sul decentramento, è stata costituita con ildecreto n.96-745 dello stato senegalese, la Commune d’Arrondissement desParcelles Assainies (Capa), la diciottesima di Dakar. Conta 20 unités de voisina-ge (dalla 7ª alla 26ª), si estende su 14 km2 con 10.925 concessioni, diversi sta-bilimenti scolari, quattro mercati, un centro socio-culturale e un’autostazione.

CLIMA

Tipicamente saheliana, la regione di Dakar è caratterizzata da un microclimacostiero, influenzato da alisei marittimi, con una temperatura media attorno ai24°C. Le precipitazioni raggiungono il loro apice nei mesi di agosto e settem-bre e registrano tra i 500 e i 600 mm annui.

ABITANTI

Oltre 300 mila su una superficie di 14 km2 circa. La popolazione in continuafluttuazione crescente è difficilmente quantificabile, anche con i pochi censi-menti ufficiali. Rappresenta tutte le etnie senegalesi in un complesso crogiololinguistico e culturale.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Nato come periferia-dormitorio, questo comune si è trasformato in un centroattivo e dinamico, la cui economia informale poggia sull’artigianato, il commer-cio, i servizi, le piccole officine e una ridotta produzione agricola. Non esisto-no industrie.

ASSOCIAZIONI

È difficile quantificarle perché si creano, vivono, stagnano e muoiono di conti-nuo. È notorio comunque lo spirito aggregativo e associativo della popolazio-ne che si riunisce su base etnica, generazionale, di genere e di religione, ascopi economici, sociali, culturali o di reciproco aiuto, formando associazionisportive e culturali, gruppi di iniziativa economica (Gie), Ong, gruppi di ressor-tissents, tontines, etc.

SCUOLE

16 scuole primarie, 2 secondarie pubbliche, inoltre varie istituzioni private tracui un liceo e alcune scuole confessionali.

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URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

Il quartiere di Parcelles Assainies è stato creato in seguito a un forte processodi urbanizzazione che ha interessato la città di Dakar, progressivamente inva-sa da un numero sempre crescente di persone con conseguenti difficoltà rela-tive all’occupazione e all’abitazione. All’inizio, lo spazio del nuovo quartiere eraprevisto per una popolazione di 133 mila persone su di una superficie di 407ettari, raggruppate in 4 settori divisi in 26 unités de voisinage (6 delle qualisono state unite al comune di Guédiawaye). Per ogni unità erano previste: unascuola primaria e una di insegnamento secondario, un campo sportivo, 4 piaz-ze pubbliche, 4 fontane. A 25 anni dal progetto iniziale la popolazione è dicirca 300 mila abitanti, con 16 scuole primarie, 2 secondarie e 4 dispensari.La crescita rapida e incontrollata della popolazione del quartiere con la con-seguente occupazione degli spazi è la causa principale dei molti mali dellazona.

GESTIONE DEI RIFIUTI

La raccolta dei rifiuti viene gestita dalla società Alycon, aggiudicatrice dell’ap-palto statale per la nettezza del dipartimento di Dakar, che ha subappaltato ilservizio alla società Ama-Senegal1. Questa dispone di camion con cui percor-re le strade asfaltate del quartiere, sostando in punti fissi prestabiliti dove lepersone accorrono portando i loro rifiuti in contenitori di fortuna, poiché nonesistono cassonetti appositi. Nonostante sia aumentato il tasso di coperturadella raccolta, grazie a un incremento dei mezzi a disposizione, il servizio rag-giunge ancora risultati parziali, poiché le strade non asfaltate sono molte e perquesto le persone devono percorrere lunghi tratti per colmare la distanza chesepara le loro case dai punti di raccolta (incarico che spesso incombe suibambini o sulle petites bonnes, colf minorenni).Nella raccolta dei rifiuti, la società incaricata è affiancata da alcuni gruppi diiniziativa economica nati all’interno di associazioni giovanili. Oltre a tenere puli-ti gli spazi attorno ai mercati e ad aiutare la popolazione, questi effettuano unaprima selezione dei rifiuti durante la raccolta stessa (plastica, vetro, metallo)che rivendono direttamente o tramite intermediari. Il resto finisce nella grandediscarica a cielo aperto di Mbeubeuss, a una decina di chilometri, dove altrieffettueranno una selezione accurata di tutto ciò che può essere recuperato,riciclato o trasformato prima di incenerire gli ultimi scarti.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE142

1 Ama è la società che gestisce la raccolta e smaltimento dei rifiuti a Roma.

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CAPITOLO 6 143

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

2 L’Aprodak è un’agenzia autonoma che realizza campagne di sensibilizzazione perconto del ministero dell’Ambiente del Senegal.

Annualità II III

PARCELLES ASSAINIES 2002-2003 2003-2004

Ong Mais Mais

Sos Environnement

Scuole

Autorità municipali / - assessorato Ambiente;

locali - assessorato Comunicazione

Organizzazioni di base - rappresentanti comunali;

o realtà associative - unione degli artigiani

Servizi comunali Supervisore lavori tecnici

Scuole scuole elementari;

scuole medie

Autorità municipali delegati di quartiere

/ locali

Organizzazioni di base - Associazioni sportive e

o realtà associative culturali (Asc);

- gruppi d’interesse

economico (Gie);

- Ong Svi (da coinvolgere);

- Artigiani

Servizi - Ama – Senegal;

comunali - Aprodak2;

- servizi d’igiene

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ANNUALITÀ 2002-2003

– formazione e avvio dell’attività del comitato di pilotaggio, coinvolgimento deidelegati di quartiere;

– analisi della situazione: diagnostico partecipativo;– attività di sensibilizzazione: dibattiti nei diversi mercati e forum con la popo-

lazione, animazione musicale per i giovani, campagna mediatica attraversola radio, video realizzato riprendendo i vari momenti, realizzazione di T-shirt;

– azioni dirette: distribuzione di bidoni per la spazzatura presso le scuole e i mer-cati, pulizia all’interno delle 20 unità e rimozione delle discariche abusive;

– manifestazione pubblica del 5 giugno: festa, seminario, raccolta della plasti-ca nel comune;

– partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità 2002-2003 del proget-to, che si è tenuto in parte a Dakar nel dicembre 2003 e in parte in forma iti-

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nerante nelle tre città senegalesi coinvolte nel progetto “Da rifiuto a risorsa”.Parcelles Assainies ha accolto i partecipanti e fatto vedere loro quali attivitàsono state svolte durante l’anno.

ANNUALITÀ 2003-2004

rafforzamento e allargamento del comitato di pilotaggio, incontri con altri par-tner istituzionali;partecipazione all’incontro organizzato dal comitato di pilotaggio di Louga erivolto ai partner senegalesi di “Da rifiuto a risorsa” sul tema del riciclaggio deisacchetti di plastica;attività di sensibilizzazione: incontri nelle scuole sui rifiuti e la raccolta differen-ziata, promozione dei Ceve (Comitati di educazione alla vita ecologica) nellescuole e distribuzione di piccola attrezzatura di pulizia, dibattiti televisivi eradiofonici, diffusione del diagnostico partecipativo e di altri strumenti digestione, incontri con delegati e associazioni di base (Asc, Gie, etc.), ricono-scimento pubblico e premiazione di persone-risorsa nell’ambito del progetto;manifestazione pubblica del 5 giugno.

ContattiCommune d’Arrondissement des Parcelles Assainies

Adjoint au Maire Idrissa NiakhassoB.P: 26460

Ville de DakarTel. 00221.8359511

e-mail: [email protected]

MaisLaurent Diène

B.P: 11768Ville de Dakar

tel. 00221.8357859e-mail: [email protected]

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE144

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CAPITOLO 6 145

Louga

La città di Louga si trova nel nord del Senegal, nel dipartimento che porta ilsuo stesso nome, a 200 km da Dakar. Gode di una posizione strategica: soli30 km la separano dalla costa occidentale e 70 dal centro cittadino di Saint-Louis, più a nord, permettendole di essere città di scambio fra regioni diverse.

CLIMA

Tipicamente saheliano, è caratterizzato dalla presenza di due stagioni, una dipiogge, da luglio a settembre e una secca da ottobre a giugno. Le temperatu-re medie variano tra i 23 e i 30°C.

ABITANTI

100 mila su una superficie di 33 km2 circa.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Accanto al settore dell’artigianato in piena espansione, si registra una gradua-le crescita delle attività economiche legate al trasporto e alle telecomunicazio-ni. La carenza d’acqua e l’avanzare del processo di desertificazione danneg-giano pesantemente il settore agricolo e l’allevamento urbano. Il tessuto industriale di Louga è composto di tre grandi complessi industriali.

ASSOCIAZIONI

52 associazioni affiliate, 1620 membri circa.

SCUOLE

3 scuole materne, 13 scuole, 5 scuole medie (di cui 2 private), un collegio diinsegnamento medio tecnico, 2 licei. Le classi sono composte mediamente di49 alunni (un dato inferiore rispetto alla media nazionale che è di 58), ma 60classi su 110 funzionano a doppio flusso. Complessivamente 6 bambini su 10non hanno accesso all’istruzione di base.

URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

Negli ultimi trent’anni Louga è stata protagonista di una forte urbanizzazione,effetto di due tendenze di segno opposto: da un lato, la città ha assistito a unaforte immigrazione dalle campagne circostanti, in parte causata dal processodi desertificazione, dall’altro l’impoverimento economico della città ha spintomolti uomini a emigrare verso Dakar o l’Europa. La forte emigrazione ha influi-to sulla composizione prevalentemente femminile dalle popolazione urbana,ma è stata più che compensata in termini numerici dall’esodo rurale verso ilcapoluogo Louga, che presenta un’evoluzione demografica superiore rispettoalla media del paese. La densità dei quartieri periferici è aumentata notevolmente, causa le nuovelottizzazioni e la proliferazione di quartieri spontanei.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE146

GESTIONE DEI RIFIUTI

� Rifiuti solidiGli attori che intervengono nella gestione dei rifiuti solidi sono suddivisibili inquattro grandi categorie:1. lo stato senegalese, e i suoi servizi decentrati (servizio di igiene, servizio

delle acque e delle foreste, etc.), che fornisce gli orientamenti istituzionaliattraverso la politica ambientale contenuta nel suo codice dell’ambiente,che rende obbligatorio a chiunque produca o possegga rifiuti di assicurar-ne l’eliminazione o il riciclo;

2. il comune di Louga che ha concepito la sua Agenda 211 grazie all’appog-gio finanziario dell’agenzia Onu Habitat e tecnico di Iagu (Institut africain degestion urbaine);

3. le organizzazioni comunitarie di base, rappresentanti della società civile:– le associazioni sportive e culturali (Asc) che hanno tra i loro obiettivi quello di

mobilitare la società sulle problematiche comuni (come la salvaguardia del-l’ambiente) e organizzano spettacoli teatrali di sensibilizzazione su vari temi;

– i gruppi di promozione femminile (Gpf) che contribuiscono all’eliminazio-ne dei rifiuti attraverso operazioni periodiche di set-setal;

4. le Ong come il Cisv e Sos Sahel Sénégal che realizzano programmi di edu-cazione ambientale.

Come tante altre città Louga si trova quotidianamente a combattere il proble-ma dei rifiuti, in particolare i sacchetti di plastica che invadono le strade e ilpaesaggio.La gestione dei rifiuti industriali e di quelli ospedalieri è affidata alle industrie e aicentri sanitari che a propria discrezione stabiliscono i metodi di smaltimento (ades. i rifiuti degli ospedali vengono inceneriti sul posto), mentre la gestione deirifiuti domestici e degli esercizi commerciali spetta al comune. La municipalità,tuttavia, non è in grado di sopportarne l’intero carico: i mezzi a disposizione deiservizi tecnici municipali sono obsoleti (attualmente il comune può contare perl’attività di raccolta di rifiuti solamente su di un trattore e un camion) e spesso ina-datti al contesto2. Inoltre l’incremento demografico degli ultimi anni ha provoca-

1 Il progetto Agenda 21 di Louga è un’iniziativa collettiva, il cui obiettivo è di sviluppa-re le capacità locali per una gestione e una pianificazione razionale della città che per-metta di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni. L’elaborazione del profiloambientale dovrebbe dunque essere il risultato di una concertazione intersettoriale,necessaria per giungere a delle soluzioni concrete. Tale concertazione prevede: il coin-volgimento e la condivisione di informazioni tra i diversi attori dello sviluppo urbano(stato, comune, privati e società civile), la comunicazione continua tra attori e scambidi esperienze, una democratizzazione della riflessione per migliorare il quadro di vita.2 Si contano tre trattori, di cui due immobilizzati a causa di un guasto meccanico, unamacchina impilatrice e due camion inutilizzabili a causa della loro inadattabilità allestrade sabbiose e alla ghiaia presente nei rifiuti (materiale ricevuto nel 2000 come donodella cooperazione decentrata della provincia belga di Namur); un camion Berliet cheha più di 40 anni e alcuni carretti. Con l’operazione “Città Pulite” il municipio ha ricevu-

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CAPITOLO 6 147

to un conseguente aumento dei rifiuti prodotti a cui non è corrisposto un miglio-ramento del servizio di raccolta/smaltimento. Oggi Louga dispone di una disca-rica autorizzata e 25 depositi selvaggi, non controllati. Il sistema di raccolta dei rifiuti è misto: la raccolta porta a porta è combinatacon alcune zone di deposito. Nel primo scenario i rifiuti sono raccolti diretta-mente presso le case degli abitanti con l’utilizzo di carrette trainate da cavallio asini. In questo caso i cittadini si auto-organizzano pagando mensilmenteuna quota ai dirigenti delle associazioni per far fronte alle spese date dallanutrizione e cure veterinarie dei cavalli, dal salario dei conduttori e dalle ripa-razioni delle carrette. Su dodici quartieri della città, solo tre si sono efficiente-mente organizzati per la raccolta, ma spesso non rispettano l’evacuazione deirifiuti nella discarica autorizzata contribuendo anch’essi alla generazione deidepositi abusivi. Altri quattro quartieri della città, quelli centrali, sono serviti dalcomune grazie ai pochi mezzi a disposizione. Purtroppo, solo in sette quartieri su dodici la gestione dei rifiuti non è un’emer-genza. Le zone di deposito sono il risultato di una mancanza di mezzi e disenso civico nel comportamento delle popolazioni, che usano gli spazi liberiper accumulare i loro rifiuti. Spesso nei quartieri in cui non esiste nessun metodo di raccolta ci sono car-rettieri privati che non fanno che aggravare la situazione dei depositi abusivi.Negli ultimi anni, il comune e i servizi tecnici di Louga collaborano per cerca-re soluzioni omogenee per tutto il territorio comunale. Uno dei programmimessi a punto dall’Agenda 21 del 2003 è stato l’organizzazione della filiera deirifiuti, che ancora oggi, però, non ha mobilitato fondi né pubblici né privati.

� Rifiuti liquidiLouga è una delle poche città del Senegal che dispongono di due canalizzazio-ni separate per la gestione delle acque pluviali e della rete fognaria, tuttavia que-ste reti non coprono la totalità del territorio cittadino3 (meno del 5% delle famiglieevacuano le loro acque sporche nella rete fognaria) e non sono efficienti.Il problema del risanamento si pone seriamente soprattutto nei nuovi quartieriperiferici in cui le condizioni di vita sono precarie e la non gestione dei rifiutiliquidi costituisce una minaccia per la salute pubblica. La città dispone di una stazione di depurazione che riversa le acque trattatesull’antico letto del Marigot e di cinque stazioni di rilevamento delle acque dicui due a Grand Louga e tre nel centro città.I principali attori locali e nazionali nella gestione delle acque sono: – il comune, incaricato della bonifica dei canali d’acqua pluviali a cielo aperto;

to in dono dal ministro dell’Ambiente piccoli attrezzi come pale, rastrelli e scope per lapulizia manuale delle vie e delle piazze pubbliche.3 La zona coperta dalla rete fognaria è di 7.300 m a Grand Louga e 6.300 m nel centrocittà.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE148

– la società Sonees (Société nationale Exploitation des eaux du Sénégal),responsabile della rete fognaria e idrica;

– alcune associazioni, come l’Aderel, che ha realizzato un programma per lacostruzioni di pozzi4 e latrine in collaborazione con l’Ong italiana Cesvi e gra-zie a un finanziamento del ministero degli Affari Esteri italiano;

– l’Onas (Office national assainissement du Sénégal) che è il servizio tecniconazionale di riferimento per la gestione della rete fognaria e della canalizza-zione delle acque pluviali.

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

4 Secondo uno studio prodotto da Cesvi e Aderel, lo svuotamento delle fosse biologi-che è assicurato al 2,6% dal comune, al 30% da imprese private, al 35% da manodo-pera privata, al 7% dagli utenti stessi.

Annualità I II III

LOUGA 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Ong Cisv Csv Csv

Scuole Liceo Malick Sall Liceo Malick Sall Liceo Malick Sall

Autorità municipali Comune di Louga Comune di Louga

/ locali

Organizzazioni di

base o realtà

associative

Servizi comunali Agent Voyeur Agent Voyeur Programma Agenda 21 Programma Agenda 21

della Città di Louga della Città di Louga

Scuole

Autorità municipali Comune di Louga - Chambre des métiers/ locali della Région de Louga;

- artigiani coinvolti nelconcorso per il riciclaggio della plastica leggera

Organizzazioni - Gie: gestiscono la - Gie: gestiscono ladi base o di raccolta rifiuti raccolta rifiuti quartiere nei quartieri di Louga; nei quartieri di Louga;

- associazioni che - associazioni che hanno tra i loro obiettivi hanno tra i loro obiettiviquello della salvagurdia quello della salvagurdia

dell’ambiente o la dell’ambiente o la salubrità della comunità salubrità della comunità

Servizi Agent Voyeur comunali Programma

Agenda 21della Città di Louga

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CAPITOLO 6 149

ANNUALITÀ 2001-2002

– formazione e avvio del comitato di pilotaggio;– azioni di sensibilizzazione e informazione presso il liceo Malick Sall, le asso-

ciazioni sportive e culturali di quartiere;– partecipazione al seminario del progetto a Torino dal 23 al 27 settembre

2002; – creazione all’interno del liceo Malick Sall di uno spazio per la raccolta diffe-

renziata di carta e plastica, contatti della scuola con il ministerodell’Ambiente e della Gioventù per far sì che i rifiuti raccolti possano trasfor-marsi in risorse se venduti o consegnati, a imprese in grado di trasformarli;

– organizzazione della “Giornata della pulizia”;– organizzazione del concorso letterario e fotografico “L’uomo e i suoi rifiuti”;– realizzazione da parte degli studenti di un video sul progetto.

ANNUALITÀ 2002-2003

– rafforzamento e allargamento del comitato di pilotaggio; – attività di sensibilizzazione: sessioni di animazione e di comunicazione

sociale condotte dalle organizzazioni comunitarie dei giovani (Ocb) nei quar-tieri sul tema della gestione dei rifiuti solidi attraverso le strategie del“Plaidoyer” e le tecniche Sarar5; creazione e utilizzo di strumenti di sensibi-lizzazione (cartelloni, scritte e slogan) sull’utilità del riciclaggio da parte delliceo Malick Sall (concorso rap e di slogan); visita organizzata di allievi, inse-gnanti e Ocb dei giovani all’impianto di trasformazione dei rifiuti Transtech diDakar; presentazione al liceo Malick Sall dell’esperienza di educazioneall’ambiente sviluppata dalle scuole elementari nel quadro del progetto SosSahel;

– azioni dirette: giornata di set-setal del liceo;– manifestazione della Giornata mondiale dell’ambiente: atelier tematico sulla

gestione delle acque reflue6; – incontro di scambio e armonizzazione tra città senegalesi preliminare al

seminario conclusivo della seconda annualità;– partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità 2002-2003 del proget-

5 Coinvolte oltre 1.300 persone, oltre alla formazione di 65 intermediari comunitari neidiversi quartieri. Lobbying sui leader dell’opinione pubblica (delegati di quartiere, con-siglieri di quartiere, consiglieri municipali, media locali, gruppi di donne e associazionidi giovani), miglioramento dei rapporti tra le strutture che intervengono nella gestionedei rifiuti (Comune, servizio d’igiene e organizzazioni comunitarie).6 Hanno partecipato all’incontro oltre 60 persone, tra cui rappresentanti di: Comune diLouga, Cisv/Louga, Adk Louga, commissione per l’ambiente, liceo Malik Sall, IrefLouga, Aderel, Enda Ecopop, Lvia di Thiès, la radio della Regione di Louga, Sos Sahela Dakar, Gadel, vari Gie, associazione degli amici della natura, servizio regionale dellapesca ed esperti in tematiche amibientali. Resta altrettanto da segnalare la mancatapresenza di strutture quali la Sénégalaise des Eaux (Sde) e l’Onas.

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to, che si è tenuto in parte a Dakar nel dicembre 2003 e in parte in forma iti-nerante nelle tre città senegalesi coinvolte in “Da rifiuto a risorsa”. Louga haaccolto i partecipanti e fatto vedere loro quali attività sono state svolte nel-l’ambito del progetto.

ANNUALITÀ 2003-2004

– rafforzamento e allargamento del comitato di pilotaggio;– attività di sensibilizzazione: divulgazione delle tecniche di analisi e di anima-

zione Sarar e Plaidoyer, sensibilizzazioni dei giovani durante le “navet tans”(manifestazioni sportive estive);

– organizzazione di un seminario rivolto ai partner senegalesi di “Da rifiuto arisorsa” sul tema del riciclaggio dei sacchetti di plastica;

– manifestazione della Giornata mondiale dell’ambiente: Forum cittadinodell’Agenda 21, sessioni di animazione nei quartieri, a cura dei giovani delliceo Malik Sall;

– organizzazione di un concorso rivolto agli artigiani di Louga per la produzio-ne di oggetti commercializzabili localmente o su scala nazionale compostida plastica leggera riciclata.

ContattiDirection Lycée Malick Sall

Commune de Louga(Agent voyeur)

Chargé programme Agenda 21 à LougaE-mail: [email protected]

Cisv LougaE-mail: [email protected]

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE150

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CAPITOLO 6 151

Tenkodogo

Il comune di Tenkodogo, che in lingua originale significa “terra antica, paesedi origine di tutti i Mossi e affini”, si trova nella regione centro orientale delBurkina Faso, a 185 km dalla capitale Ouagadougou. Cento km lo separanodal confine con il Togo e 80 km circa dal Ghana.Il comune di Tenkodogo comprende l’omonima città di Tenkodogo divisa in seisettori, a loro volta suddivisi in sottoquartieri, a cui si aggiungono i villaggi diDoncinin, Zinegodin, Zinegodin-Peul.

CLIMA

Sud-saheliano, caratterizzato dall’alternarsi di una stagione secca (novembre-aprile) e di una stagione delle piogge (maggio-ottobre). Le temperature mediesi aggirano intorno ai 30°C, con minime di 19°C nei mesi di dicembre-genna-io e picchi di 40°C nei mesi di aprile-maggio.

ABITANTI

33 mila circa su una superficie di oltre 130 km2 e un tasso di crescita dellapopolazione pari al 2,85%.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Accanto all’agricoltura, principale attività economica della zona, si riscontrauna crescita del piccolo artigianato e dell’allevamento, soprattutto per quantoriguarda il bestiame di grossa taglia utilizzato per la trazione in agricoltura.Stenta invece ad affermarsi l’industria, con un’unica importante eccezionecostituita dal Centro nazionale di equipaggiamento agricolo (Cnea) che produ-ce aratri, zappe, pozzi e impianti di perforazione.

ASSOCIAZIONI

Sono 17 le associazioni che lavorano in differenti aree tematiche: promozione fem-minile e giovanile, attività socio-economiche, lotta contro l’aids, lotta contro le muti-lazioni genitali femminili, salvaguardia dell’ambiente, ecologia, agricoltura, etc.

SCUOLE

27 scuole elementari di cui 5 private e 22 pubbliche, 5 istituti secondari di cui3 pubblici e 2 privati.

URBANIZZAZIONE E MMIGRAZIONE

I problemi legati all’urbanizzazione della città di Tenkodogo sono, secondo iservizi tecnici del comune, legati all’approvigionamento di acqua potabile, allaviabilità, alla mancanza di una rete fognaria per l’evacuazione delle acquereflue e delle acque pluviali che ristagnano a fianco delle abitazioni costituen-do così dei luoghi di nidificazione per le zanzare. Questi problemi hanno comeconseguenze ambienti malsani che causano delle malattie, inacessibilità deiquartieri che limita le possibilità di gestione dei rifiuti domestici, etc.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE152

GESTIONE DEI RIFIUTI

Tenkodogo fa parte delle dieci città di media grandezza del Burkina Faso. Èun comune in piena crescita e alcune volte i mezzi disponibili non permettonodi rispondere efficacemente alle aspettative e ai bisogni della popolazione. Lequestione della gestione dei rifiuti resta una carenza che deve necessariamen-te essere affrontata dalle autorità comunali e dallo stato in primo luogo.

� Rifiuti solidiI rifiuti solidi domestici vengono raccolti con il sistema del “porta a porta”. Il tra-sporto verso i siti di deposito viene fatto per mezzo di carretti, ma i rifiuti cosìdepositati non vengono specificamente trattati. Tuttavia si prevede di procede-re a una selezione dei rifiuti biodegradabili che potranno essere trasformati incompost. La raccolta è assicurata da due associazioni che si spartiscono i set-tori della città: l’associazione Pug-wisenga per i settori 1 e 6 e l’associazioneNuru-naguiti per i settori 2, 3, 4 e 5 del comune.

� Rifiuti liquidiPer il momento non si procede alla gestione dei rifiuti liquidi. A livello individua-le le popolazioni li evacuano in fosses sceptiques che sono svuotate da appo-siti camion provenienti dalla capitale del paese (a spese degli utenti). Non esi-ste dunque un sistema di raccolta o di trattamento dei rifiuti liquidi. Coloro chenon dispongono di mezzi per lo svuotamento li evacuano nelle strade, crean-do così insalubrità nei quartieri.

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

Annualità I II IIITENKODOGO 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Ong Livia Livia LiviaScuole Liceo Ryalé Liceo Ryalé Liceo RyaléAutorità municipali Municipalità Municipalità Regione/ localiOrganizzazioni di base o realtà associativeServizi comunaliScuole Liceo Ryalé Liceo Ryalé Liceo RyaléAutorità municipali / localiOrganizzazioni di Ong Eclabase o di quartiereServizi - Servizio d’igiene della direzione re-comunali gionale della sanità;

- servizio provinciale dell’ambiente;- progetto integrato di idraulica di

villaggio e di educazione alla salute; - progetto di valorizzazione della valle

di Nouaho;- progetto di sviluppo rurale di Boulgou

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CAPITOLO 6 153

ANNUALITÀ 2001-2002

– inchiesta preliminare presso gli studenti del Lycée Ryalé per testare il livellodi conoscenza sulla tematica della gestione dei rifiuti;

– ricerche sul campo e interviste da parte di 33 allievi del club Bis1 (presso iresponsabili dei servizi tecnici e delle Ong coinvolte nella gestione dei rifiu-ti);

– presentazione agli allievi di due documentari sul recupero dei rifiuti realizza-ti dal ricercatore Philippe Yoda e dall’Ong Ecla2;

– incontro di scambio tra l’esperto Philippe Yoda e gli allievi del club Bis;– sintesi e analisi delle informazioni raccolte per la successiva realizzazione di

uno spettacolo teatrale di sensibilizzazione;– partecipazione al seminario di Torino di un tecnico municipale per l’igiene

urbana e di una delegazione del liceo (23-27 settembre 2002).

ANNUALITÀ 2002-2003

– visita del club Bis nei villaggi di Loanga e Sasma, alla periferia di Tenkodogo,per visitare le infrastrutture socioeconomiche realizzate dagli italiani;

– creazione di uno spettacolo teatrale da parte del club Bis, messo in scenaanche in occasione della giornata mondiale per l’ambiente, poi registrato susupporto video per essere visionato dai partner del progetto;

– costruzione nel mese di marzo 2003 di due cassonetti dell’immondizia all’in-terno del recinto del liceo;

– connessione a Internet della sala informatica del liceo (giugno 2003);– manifestazione della Giornata mondiale dell’ambiente: spettacolo teatrale e

attività di sensibilizzazione cittadina;– partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità a Dakar nel dicembre

2003 attraverso la relazione svolta dal liceo Ryalé.

ANNUALITÀ 2003-2004

– attività di sensibilizzazione: realizzazione di uno spettacolo teatrale nel liceoe nella città, laboratori di educazione ambientale per studenti e cittadini;

– azioni formative: visita al parco urbano di Ouagadougou, laboratori di trasfor-mazione dei rifiuti, lezioni informatiche degli allievi del club Bis per la crea-zione di un sito web per una migliore diffusione del progetto;

– scambi scolastici; – azioni dirette di “igiene urbana”;

1 È composto da allievi volontari selezionati nelle classi prime e seconde. I primi anniera costituito da 40 membri ma poi tale numero è stato ridotto a 33 perché ritenuto piùefficace. Il club porta avanti le attività sotto la supervisione di due o tre professori.Periodicamente il club è chiamato a rendere conto delle proprie attività agli altri allievidel liceo.2 Etre comme les autres.

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– manifestazione della Giornata mondiale dell’ambiente: spettacolo teatrale eattività di sensibilizzazione cittadina.

ContattiProfesseur Hamadou MandéLycée Ryalé de Tenkodogo

tel. 00226.224212e-mail : [email protected]

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE154

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CAPITOLO 6 155

Ouagadougou

Capitale del Burkina Faso dal 1947, la città di Ouagadougou è situata nelcuore del paese, e conta 5 arrondissement e 30 settori. La sua superficie è di21.930 ettari, ma diventano 30.250 se si considerano anche i 17 villaggi peri-ferici collegati alla città.

CLIMA

Sud-saheliano, caratterizzato dall’alternarsi di due stagioni: una stagionesecca, da novembre ad aprile, durante la quale la città è sotto l’influenza del-l’harmattan e una stagione delle piogge, da maggio a ottobre, caratterizzatadal monsone, un vento all’origine delle precipitazioni che proviene dall’ocea-no. Le temperature medie si aggirano intorno ai 30°C, con minime di 19°C neimesi di dicembre-gennaio e picchi di 40°C nei mesi di aprile-maggio.

ABITANTI

All’incirca 1 milione 600 mila, con un tasso di crescita demografica annualeche si aggira intorno al 9,8%.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Con la svalutazione del franco Cfa e l’attuazione dei piani di aggiustamentostrutturale, la città assiste a un incremento delle attività del settore informale:più del 60% della popolazione nel 1994. Nel 1996, i redditi salariali costituiva-no solamente il 17,5% dei redditi di Ouagadougou.Secondo uno studio sul profilo della povertà, il 24,6% della popolazione urba-na di Ouagadougou vive al di sotto della soglia globale della povertà1 e il tassodi disoccupazione varia dal 30% per la fascia d’età dai 15 ai 24 anni al 9,2%per gli over 45.Le attività economiche sono caratterizzate soprattutto dalla prevalenza del set-tore secondario: industria, artigianato, agricoltura e allevamento.Ouagadougou è il primo centro industriale del Burkina, qui si concentra il mag-gior numero di industrie del paese (53,4% delle grandi unità industriali). Il set-tore trainante è quello edile (infrastrutture e lavori pubblici) che ingloba il 43%delle industrie, seguito dal settore siderurgico (14,79%) e da quello alimenta-re (14,08%)2. Ai giorni nostri le imprese industriali del comune di Ouagadougou e delBurkina in generale, subiscono vincoli interni ed esterni.Con la crisi del settore moderno si assiste a un ritorno di interesse per l’artigia-nato. Si stima che tra il 1991 e il 1994, il crollo del potere di acquisto della

1 per la città di Ouagadougou la soglia di povertà è di 106.249 franchi Cfa.2 Fonte: rapporto dell’Insd del 1988.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE156

popolazione mediamente del 3% annuale spieghi, tra le altre cose, il ritorno aipiccoli mestieri. Il settore informale è dunque diventato un palliativo alle caren-ze del settore moderno; contribuendo per il 7% al Pil nazionale. La categorieartigianali tipiche sono i venditori di oggetti d’arte, saldatori, falegnami. La red-ditività media dell’artigianato è all’incirca di 480.000 franchi Cfa annuali perl’artigianato artistico e di 2.500.000 franchi Cfa annuali per l’artigianato di pro-duzione. L’attività agricola si è sviluppata a livello di superfici di colture di cereali (riser-ve amministrative, parcelle vuote, bassi fondi e spazi liberi dei giardini perma-nenti) dove si pratica l’orticoltura e l’arboricoltura. La coltivazione di cereali èmarginale e precaria a causa del processo di urbanizzazione. L’agricoltura ècaratterizzata da tre attività principali: la coltura del riso, i frutteti e l’orticoltura.Quest’ultima è la più redditizia da un punto di vista finanziario, molto sviluppa-ta e intensiva, viene praticata sulle rive delle tre principali dighe di Ouaga. L’allevamento è di tipo intensivo sotto forma di fattorie e atelier di ingrassamen-to (bovini, caprini, suini) e allevamento di pollame3.Il settore terziario (commercio, banche, turismo, amministrazione e trasporti)sta gradualmente assumendo una certa rilevanza, ma occupa ancora unaparte marginale nelle attività economiche.

SCUOLE

50 asili nidi per un totale di 4.025 bambini (il 2,5% dei bambini in età presco-lare). La scuola primaria è composta da 261 scuole pubbliche e 109 scuoleprivate, il tasso di scolarizzazione è del 63%. Sono presenti 56 scuole secon-darie circa, di cui 10 pubbliche, per un totale di oltre 37 mila studenti. Per ciòche riguarda gli istituti di insegnamento superiore, oltre all’università pubblicaci sono un’altra ventina di istituti privati.

URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

L’urbanizzazione di Ouagadougou è un fenomeno relativamente recente. Lacrescita demografica della città è la diretta responsabile dell’estensione urba-na della capitale che è passata dai 5.300 ettari del 1960 ai 21.930 del 2001.Tale espansione ha creato bisogni enormi in termini di infrastrutture e di equi-paggiamento (carenza di alloggi, difficoltà di accesso all’acqua potabile,insufficienza di servizi sanitari e di scuole, etc.) costituendo inoltre un ostaco-lo all’efficiente gestione dei rifiuti4.

3 Secondo una ricerca sugli allevamenti urbani realizzata nel 1996 da Dsap del ministe-ro delle Risorse Animale, si contano all’incirca 749 allevamenti. La circoscrizione diBogodogo viene in testa con 288 allevamenti (36,05%), seguita da Sig-noghin(24,53%), da Baskuy con 181 allevamenti (22,65%), da Nongremassom con 70 alleva-menti (8,76%) e infine da Boulmiougou con 63 allevamenti (7,88%). 4 Si stima che nel 1996 la produzione di rifiuti domestici sia stata di oltre 500 tonnella-

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CAPITOLO 6 157

GESTIONE DEI RIFIUTI

� Rifiuti solidiIl processo di decentramento in atto dal 1995 ha coinvolto anche il sistema diraccolta dei rifiuti, conferendo una maggiore autonomia gestionale alle muni-cipalità. Sono coinvolte in queste attività numerose realtà che appartengono aisettori pubblico, privato, informale e delle Ong. Per quanto riguarda l’intervento del comune, una sua struttura, la Direzionedella proprietà (Dp), è incaricata della rimozione, del trattamento e della valo-rizzazione dei rifiuti urbani. Essa collabora con il Crepa5 per le tecniche dicompostaggio, con l’Onea6 per la cura delle fosse biologiche e con il Ministerodell’Ambiente per la prevenzione dell’inquinamento e del degrado ambientale. Rispetto all’intervento del privato si contano 11 associazioni, per la maggiorparte costituite su basi comunitarie, che si occupano essenzialmente dellapre-raccolta dei rifiuti7 e sono impegnate in attività di animazione e formazio-ne in ambito igienico-sanitario. Queste realtà, il cui obiettivo è quello di mobi-litare risorse locali, operano in settori periferici ed economicamente svantag-giati della città, appoggiandosi finanziariamente e tecnicamente a delle Ong.Altri soggetti che si occupano della raccolta dei rifiuti presso le famiglie (portaa porta) sono i carrettieri, un gruppo informale di operatori ecologici privati(spesso bambini) di cui si ignora il numero, che lavorano servendosi di sem-plici carrette trainate da asini e si occupano della raccolta di rifiuti a prezzipoco onerosi. Alla raccolta porta a porta, praticata da imprese private, associazioni di setto-re, carrettieri e Direzione della proprietà, si affianca il sistema utilizzato dallamunicipalità nell’arrondissement di Baskuy, dove vengono disposti dei casso-netti per l’immondizia.Le famiglie sottoscrivono un abbonamento mensile il cui prezzo varia da 400a 600 franchi Cfa (da 60 a 90 centesimi di euro circa) per il servizio offerto daicarrettieri e dalle associazioni di quartiere, da 1.000 a 3.000 franchi Cfa (da 1,5a 4,5 euro) per le imprese private, da 350 a 1.000 franchi Cfa (da 560 cente-simi a 1,5 euro) rispettivamente per l’utilizzo dei cassonetti o per il servizio diraccolta porta a porta della municipalità.

te nella città di Ouagadougou, ma questo valore deve essere aumentato come conse-guenza della crescita demografica degli ultimi anni e il cambiamento nelle abitudini diconsumo.5 Centre régional pour l’alimentation en eau potable et assainissement.6 Office national de l’eau et de l’assainissement. 7 La pre-raccolta consiste nello stoccaggio dei rifiuti da parte delle famiglie in recipien-ti poi svuotati dai servizi di raccolta o dagli utenti stessi verso le discariche. La tipolo-gia e la qualità dei recipienti dipende dal reddito delle famiglie e dall’impresa incarica-ta del loro recupero, in particolare nei quartieri scoperti dal servizio di raccolta munici-pale, gli abitanti non utilizzano recipienti standard per poterli più facilmente trasportareverso i punti di raccolta.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE158

I rifiuti domestici vengono eliminati nelle cinque discariche a cielo aperto auto-rizzate dalla municipalità oppure in immondezzai abusivi senza alcuna valoriz-zazione. Alcuni rifiuti vengono riciclati (bottiglie, imballaggi, etc.) altri vengonotrasformati in compost o in oggetti artistici, ma l’incenerimento resta purtroppola pratica più frequente.Per creare un ambiente sano per i cittadini, è stata prevista la chiusura dellediscariche abusive e la costruzione di un centro di sotterramento tecnico deirifiuti domestici8, una sorta di discarica controllata dove il sistema di elimina-zione tiene conto delle misure di protezione dell’ambiente e della popolazione(aree di selezione e di compostaggio, celle di sotterramento dei rifiuti domesti-ci e industriali, etc.).Inoltre a fine luglio 2004 sono iniziati i lavori per la realizzazione del Centro perla trasformazione della plastica, un progetto ambientale dell’Ong Lvia finanzia-to dalla Banca mondiale, volto al recupero e riutilizzo dei rifiuti plastici.La mancanza di coordinamento tra gli attori che intervengono e l’assenza diconcertazione tra la municipalità e le imprese rappresentano un serio ostaco-lo al miglioramento nella gestione dei rifiuti urbani. Inoltre nessuna società diraccolta dei rifiuti dispone di mezzi finanziari e materiali sufficienti e di perso-nale qualificato per rispondere alle esigenze dei cittadini.

� Rifiuti liquidiTra i grandi progetti in corso di realizzazione, per la prima volta nella sua sto-ria, la capitale burkinabé assisterà alla creazione di una rete fognaria, co-finan-ziata dall’agenzia francese per lo sviluppo (Afd9) e dalla Banca mondiale, a cuisi potranno allacciare le famiglie pagando una tassa all’Onea, incaricata dellasua gestione10.

8 Quest’opera pubblica si estende su di una superficie di 70 ha, è costata più di 1miliardo e 600 milioni di franchi Cfa e si calcola che per i prossimi 20 anni dovrebberisolvere i problemi di una gestione razionale dei rifiuti nella città di Ouagadougou.9 Agence française de développement. 10 L’inizio dei lavori è previsto entro il 2004, per un costo stimato di 5 miliardi di franchiCfa (7 milioni e mezzo di euro).

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CAPITOLO 6 159

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

Annualità I II III

OUAGADOUGOU 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Ong Lvia Lvia Lvia

Scuole

Autorità municipali Municipalità Municipalità Municipalità

/ locali

Organizzazioni di

base o realtà

associative

Servizi comunali Parco urbano Parco urbano “Bangr Weoogo” “Bangr Weoogo”

Scuole - Università di

Ouagadougou;

- Liceo Bambata;

- Liceo Bogodogo;

- Liceo Vénégré;

- Liceo Mixte;

Autorità municipali

/ localiOrganizzazioni di base o di

quartiereServizi comunali

Alt

ri s

ogg

etti

coi

nvo

lti

Com

itat

o d

i pilo

tag

gio

ANNUALITÀ 2001-2002

Partecipazione al seminario del progetto a Torino dal 23 al 27 settembre 2002.

ANNUALITÀ 2002-2003

Partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità 2002-2003 del progetto,che si è tenuto nel dicembre 2003 in parte a Dakar e in parte in forma itineran-te nelle tre città senegalesi coinvolte in “Da rifiuto a risorsa”.

ANNUALITÀ 2003-2004

Concorso rivolto ai licei di Ougadougou indetto dal parco urbano “Bãngr-Weoogo” sul tema dell’impatto della plastica sulla natura e sull’ambiente perproporre attività di sensibilizzazione ambientale (spettacoli teatrali, mostrefotografiche, documentari, etc.). Le migliori proposte hanno ricevuto un premiodi 1000 euro per realizzare attività sul territorio in occasione della giornatamondiale dell’ambiente;

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– attività di educazione ambientale pulizia nel parco urbano “Bãngr-Weoogo”;– emissioni radiofoniche di conoscenza del parco;– visite guidate, relazioni, proiezione di filmati di educazione ambientale;– festa per la giornata mondiale dell’ambiente sul tema sanità e ambiente;– identificazione di quattro licei e di temi di studio;– incremento del numero di cestini per i rifiuti vicino alle panchine o in altri luo-

ghi pubblici;– coinvolgimento dell’università di Ouagadougou.

ContattiComunità Lvia

01 B.P. 783 – Ouagadougou 01 – BFtel e fax: 00226.50387959

tel: 00226.50357959e-mail: [email protected]

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE160

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CAPITOLO 6 161

Nanoro

Il dipartimento di Nanoro, il cui capoluogo omonimo è un comune rurale, faparte della Provincia del Boulkiemdé ed è situato a 75 km da Koudougou,capoluogo di provincia, e a 98 km da Ouagadougou, capitale del BurkinaFaso.Il dipartimento di Nanoro copre una superficie di 356 Km2, comprende 4 set-tori e 14 villaggi con 80 quartieri.

CLIMA

Sud-saheliano, caratterizzato dall’alternarsi di una stagione secca, da novem-bre ad aprile, e di una stagione delle piogge, da maggio a ottobre, caratteriz-zata dal monsone. Le temperature medie si aggirano intorno ai 30°C, con mini-me di 19°C nei mesi di dicembre-gennaio e picchi di 40°C nei mesi di aprile-maggio.

ABITANTI

La popolazione censita dal comune di Nanoro nel 1996 è di 7.000 abitanti equella del dipartimento o prefettura di Nanoro è di 27.500.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Il 99% della popolazione vive di allevamento (bovini, ovini, caprini, pollame esuini) e agricoltura (durante la stagione delle piogge: sorgo, miglio, riso, ara-chidi, cotone e sesamo; durante la stagione secca: orticoltura).

ASSOCIAZIONI

16 groupements agricoli, la sede di un’associazione di disabili, molti groupe-ments féminins.

SCUOLE

2 scuole elementari pubbliche, 1 collège, il liceo professionale agricolo SainteAnne.

URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

Un tempo il dipartimento di Nanoro era poco popolato, ciascun villaggio eraattorniato da una vasta savana arborea: lo sfruttamento tradizionale del territo-rio non rispondeva all’obiettivo di accumulazione dei beni, ma piuttosto all’esi-genza di autosussistenza. Oggi, invece, i suoli sono più poveri a causa di unosfruttamento estensivo, fattore a cui si aggiunge il peggioramento climaticoche da tempo interessa tutte le aree del Sahel e che contribuisce pesantemen-te all’impoverimento delle risorse naturali. Si stima che il 50% del territorio sistia degradando, ed è proprio il caso del nord del paese, alle porte del qualesi situa il dipartimento di Nanoro.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE162

GESTIONE DEI RIFIUTI

Trattandosi di un comune rurale, quindi non ancora dotato di un’amministrazio-ne decentrata e di un consiglio comunale eletto, la gestione dei rifiuti non èancora organizzata. Inoltre la povertà della popolazione nonché un certo iso-lamento rispetto a centri abitati più popolati (e dunque più caratterizzati daeconomie “di mercato”) fanno si che i problemi derivanti dalla diffusione dirifiuti non biodegradabili (plastica, ferro, olii usati, etc.) non sono ancora moltosentiti. Tuttavia sarebbe importante, come in tutte le zone rurali del Burkina, promuo-vere il buon utilizzo dei rifiuti organici derivati sia dai consumi a livello familia-re che dalle normali attività di agricoltura e allevamento condotte dalla mag-gioranza della popolazione. Ad esempio, promuovere la diffusione delle fosse di compostaggio (buchescavate a lato delle abitazioni familiari) in cui accumulare i rifiuti misti a terric-cio consentirebbe di poter disporre di un ottimo materiale fertilizzante per i ter-reni agricoli nei periodi antecedenti alle semine, contribuendo così alla restau-razione della fertilità dei suoli e alla loro protezione contro l’erosione idricadurante le piogge.

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

Annualità III

NANORO 2003-2004

Ong / associazioni Confraternita dei Fratelli della Sacra Famiglia

Scuole Liceo professionale agricolo

Sainte Anne di Nanoro

Autorità municipali / locali Prefettura di Nanorò

Organizzazioni di base

o realtà associative

Servizi comunali Non presenti, essendo un comune rurale

Scuole Scuole del comune di Koudougou

(da coinvolgere)

Autorità municipali / locali Comune di Koudougou (da coinvolgere)

Organizzazioni di base Ong Lvia

o realtà associative

Servizi comunali

Alt

ri s

ogg

etti

coi

nvo

lti

Com

itat

o d

i pilo

tag

gio

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ANNUALITÀ 2003-2004

– partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità 2002-2003 del proget-to, che si è tenuto nel dicembre 2003 in parte a Dakar e in parte in forma iti-nerante nelle tre città senegalesi coinvolte in “Da rifiuto a risorsa”;

– visita a Chieri nell’aprile 2004 da parte del prefetto e sindaco di Nanoro,Madame Leocadie Tiao, del preside del liceo agricolo, Etienne Ouedraogo,e del direttore della scuola elementare, Baki Timothée.

ContattiFrère Etienne Ouedraogo

Lycée Professionel AgricoleSainte Anne de Nanorò

Tel. 00226.50446212-11-10e-mail: [email protected]

CAPITOLO 6 163

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE164

Torino

Torino, capoluogo regionale del Piemonte e dell'omonima provincia, è una cit-tà che si trova nell’Italia del nord-ovest, ai piedi delle Alpi. È attraversata dalfiume Po, il corso d’acqua più lungo del paese, che con i suoi molti affluenti ir-riga e rende fertile la pianura Padana permettendo coltivazioni quali mais, fru-mento, riso. Prima capitale ai tempi dell’unificazione italiana, Torino gode di una posizionegeografica strategica, essendo alla convergenza di alcune delle più importan-ti vie di comunicazione, stradali e ferroviarie. Negli ultimi anni, a fianco della riprogettazione di spazi urbani e al recupero delpatrimonio storico e architettonico, sono state portate avanti molte iniziativeambientali e sociali, molte delle quali volte alla riqualificazione dei quartieri, so-prattutto quelli periferici, con iniziative di coinvolgimento attivo della popolazio-ne. Questo nel tentativo di ricondurre le periferie al centro, ridisegnando glispazi e ricreando l’identità dei vari luoghi cittadini. Dal punto di vista ammini-strativo è divisa in dieci circoscrizioni cittadine.

CLIMA

Torino è caratterizzata da un clima continentale, con inverni piuttosto freddi edestati calde e afose. Le precipitazioni si distribuiscono nell’arco annuale, conconcentrazioni piovose in autunno e primavera, temporali in estate e lievi nevi-cate in inverno. Le temperature medie vanno dai 5°C registrabili in inverno ai30°C in estate.

ABITANTI

901.952 mila1 su una superficie di 130,17 km2.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

La città, che deve la sua importanza industriale allo sviluppo della metallurgiae della meccanica, è stata per decenni la capitale dell’industria automobilisti-ca italiana essendo sede dello stabilimento Fiat. Da qualche anno è attraversa-ta dalla crisi del settore e ha sviluppato un processo di riconversione che favo-risce lo sviluppo del terziario, in particolare dei servizi, del settore delle teleco-municazioni e dell’editoria. Rilevanti le attività nell’ambito del tessile, dell’abbi-gliamento, della chimica e dell’enologia.

ASSOCIAZIONI

1.3552 associazioni.

1 Dato aggiornato al 31/05/2004. Fonte: Comune di Torino, Ufficio Statistica. 2 Fonte: registro associazioni del Comune di Torino, aggiornato al luglio 2004. Il dato forni-sce un’indicazione parziale del panorama associativo torinese, essendo la registrazione aquesto albo non obbligatoria. Il numero di associazioni di Torino è certamente più elevato.

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CAPITOLO 6 165

SCUOLE

53 scuole materne, 41 elementari, 26 medie, 11 istituti comprensivi3.Le scuole superiori sono 524.

URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

La Città di Torino è stata investita nel corso degli ultimi decenni da diverse on-date migratorie. Se negli anni ’60 Torino era il polo verso cui si trasferivano mi-gliaia di italiani provenienti dalle regioni meridionali del paese, con la prospet-tiva di trovare lavoro (visto il grande bacino occupazionale rappresentato dallaFiat e dalle industrie dell’indotto). A partire dagli anni Novanta il fenomeno del-l’immigrazione ha interessato sempre più persone provenienti da altri paesi,prima europei poi extracomunitari. Se il numero di stranieri registrato nel 1990era di 13.808 presenze, alla fine del 2003 è passato a 61.2275, non uniforme-mente distribuiti sul territorio cittadino, ma con una maggiore concentrazionein alcuni quartieri (Aurora, San Salvario, Barriera di Milano).Parallelamente, si è riscontrato un trend demografico negativo che ha visto dimi-nuire le percentuali di minori e adulti in città, mentre la popolazione anziana èprogressivamente aumentata. La crescita negativa ha determinato una diminu-zione della popolazione totale, che è passata dai 991.670 residenti del 1990 ai901.952 del 2004.In questi ultimi anni la città è interessata da notevoli modifiche conseguenti al-la realizzazione di grandi opere (metropolitana, interramento linee ferroviarie,strutture per le Olimpiadi del 2006, etc.). Questo potrà causare migrazioni in-terne alla città, con una ”riallocazione” di quartieri con forti problematiche diemarginazione sociale.

GESTIONE DEI RIFIUTI

� Rifiuti solidi6Il Comune di Torino si è occupato direttamente della pulizia della città dal1963, con la creazione di un’apposita apposita Azienda municipale per la rac-colta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti urbani (Amrr), divenuta in seguitoAzienda multiservizi igiene ambientale Torino (Amiat), prima azienda specialedel comune, poi società per azioni dal 2000. In particolare, l’Amiat è impegna-ta nelle operazioni di raccolta e smaltimento dei rifiuti e dell'igiene del suolo.Il sistema di gestione dei rifiuti torinese ha tra i principali punti di riferimento il de-creto legislativo 22/97, conosciuto come decreto Ronchi, che recepisce e attuale direttive comunitarie definendo un sistema integrato volto a ridurre la produzio-ne di rifiuti e il loro impatto ambientale favorendo il recupero e il riciclaggio.

3 Si definiscono “comprensivi” gli istituti che comprendono al loro interno edifici di diversigradi di istruzione. Fonte: settore Divisione Sevizi Educativi della Città di Torino. 4 Il dato comprende anche 26 scuole succursali. Fonte: Provincia di Torino.5 Fonte: Osservatorio sugli stranieri in Provincia di Torino. I dati, che riguardano solo glistranieri residenti, sono un indicatore parziale, poiché non tengono conto degli immigratiirregolari. 6 Per maggiori approfondimenti si veda il cap. 3.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE166

In città si producono oltre 510 kg di rifiuti pro capite in un anno7 (contro i 427 del1996), con un progressivo aumento legato all’incremento dei consumi. Le circa500 mila tonnellate di rifiuti prodotti vengono gestite attraverso la raccolta dei ri-fiuti solidi urbani, la raccolta dei rifiuti nei mercati, la raccolta dei rifiuti ingom-branti, le raccolte differenziate e i centri multiraccolta, o ecocentri (dove i cittadi-ni possono disfarsi gratuitamente dei rifiuti pericolosi e di quelli ingombranti). Le raccolte differenziate riguardano materiali che possono essere recuperati o ri-ciclati, come carta, vetro e lattine, plastica, indumenti usati e tessuti, legno e ver-de, frazione organica e i rifiuti urbani pericolosi (pile esaurite, medicinali scadutie siringhe usate, oli esausti, accumulatori, vernici, colle smacchiatori, insetticidi). Buoni i risultati registrati sino ad ora: a maggio del 2004 la percentuale dei rifiutismaltiti attraverso la raccolta differenziata ha superato il 30%, con l’obiettivo diraggiungere il 35% entro la fine dell’anno. Per ottenere questo risultato l’Amiat hapredisposto un piano di intervento che prevede novità sostanziali nell'organizza-zione di questo sistema di raccolta. Innanzitutto in alcune zone cittadine si stasperimentando la raccolta porta a porta8 con raccoglitori appositi localizzati nonpiù sulla strada, ma all’interno dei singoli cortili. Inoltre, integreranno questa mo-dalità il progetto Cartacinesca (raccolta degli imballaggi cartacei voluminosi chei negozianti potranno lasciare fuori dal loro punto vendita) e la raccolta banco abanco in 23 mercati cittadini sperimentata in alcune zone (ai commercianti sonoconsegnati al mattino cassonetti per la separazione dei rifiuti, raccolti in giornatae avviati direttamente al recupero - consente di riciclare il 90% dei rifiuti).I rifiuti accumulati con la raccolta differenziata vengono il più possibile smaltiti at-traverso canali di recupero e trattamento, fra cui merita segnalare l’impianto Pu-blirec (selezione di legno, cartone e ferro e di trattamento della plastica) e l’im-pianto di compostaggio di Borgaro Torinese, in cui viene convogliato il materialeorganico per produrre compost destinato alla commercializzazione. I rifiuti non recuperabili erano fino ad oggi convogliati nella discarica di Basse diStura, un impianto a interramento controllato che, però, ha raggiunto la capienzamassima utilizzabile. Sono ancora in corso le discussioni rispetto alla soluzionedel problema, che vedrà l’utilizzo di un inceneritore. L’Amiat si occupa anche della gestione della pulizia del suolo cittadino (31 milio-ni di m2 con lo spazzamento manuale e meccanizzato di piazze e strade e la ma-nutenzione di alcuni parchi.

� Rifiuti liquidiLa gestione delle reti idriche e degli impianti di trattamento delle acque potabi-li e reflue è affidata alla Smat (Società metropolitana acque Torino), una socie-tà per azioni di proprietà interamente pubblica che serve una grande parte delterritorio piemontese.

7 Dati relativi al 2002, fonte: Trattamento rifiuti metropolitani, http://www.trm.to.it/rifiuti/quan-ti.htm. 8 I primi quartieri in cui è stato introdotto questo sistema sono Mirafiori, Falchera e Campi-doglio.

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CAPITOLO 6 167

Prima in Italia a utilizzare acqua di origine superficiale per la produzione di ac-qua potabile, possiede un impianto che consente di rendere potabili fino a2.500 litri al secondo di acque prelevate dal fiume Po, pari al 20% dell'acquadistribuita. Conta 289 impianti da pozzo che attingono a una o più falde acqui-fere sotterranee a una profondità che va dai 40 agli oltre 100 metri. A questasocietà spettano la conduzione e manutenzione di oltre 3.500 km di reti fogna-rie comunali nere, bianche e miste, consentendo la raccolta continua delle ac-que reflue urbane di origine civile, industriale e meteorica, e il controllo degliscarichi industriali in pubblica fognatura9.

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

9 Le informazioni contenute in questo paragrafo sono reperibili sul sito: www.smatorino.it.

Annualità I II IIITORINO 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Ong Cisv* Cisv* Cisv*Lvia, Mais Lvia, Mais Lvia, Mais

Scuole Istituti tecnici Istituti tecnici Istituti tecnici superiori:superiori: superiori: - “P. Boselli”

- “P. Boselli” - “P. Boselli” - “Regina Margherita”;- “Regina Margherita”; - “Regina Margherita”; - Università degli Studi

di Torino (Facoltà diScienze Politiche)

Autorità municipali Settore Settore Settore/ locali Cooperazione Cooperazione Cooperazione

Internazionale e Pace Internazionale e Pace Internazionale e Pacedella Città di Torino della Città di Torino della Città di Torino

Organizzazioni di - Associazione Triciclo;base o realtà - Centro per il associative protagonismo giovanile

El BarrioServizi comunali AmiatScuole - Scuola media Pola; Scuole Elementari

- Scuola elementare della Circoscrizione VI,“Madonna della Scala” della Circoscrizione VIIIIstituto professionale e della Circoscrizione V

“Giulio”Autorità municipali Regione Piemonte - Regione Piemonte - Regione Piemonte/ locali - Circoscrizione V; - Circoscrizione V;

- Agenzia di sviluppo - Circoscrizione VIdi San Salvario (pro-getto “Sul tappeto

volante”)Organizzazioni Associaz.Triciclo Associazione Triciclodi base o realtà Centro per il protago-associative nismo giovanile El BarrioServizi Amiatcomunali

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*Ong capofila

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE168

ANNUALITÀ 2001-2002

– visita degli studenti delle scuole superiori coinvolte alla discarica dell’Amiat,all’impianto di compostaggio e alla Publirec (raccolta e selezione di legno,cartone e ferro), incontro delle classi con i tecnici dell’Amiat;

– incontri delle classi con volontari e operatori del Cisv sui temi dello svilupposostenibile e del turismo responsabile;

– laboratorio di video per le classi; – preparazione di scambio internazionale scolastico e viaggio di una delega-

zione di studenti in Senegal, con successiva realizzazione di un video sul-l’esperienza;

– sede del seminario conclusivo della prima annualità di progetto (settembre2002) a cui hanno partecipato delegazioni di tutte le città coinvolte nel pro-getto.

ANNUALITÀ 2002-2003

– rafforzamento del comitato di pilotaggio e delle relazioni istituzionali avviate;– realizzazione di una pubblicazione bilingue sul progetto a disposizione di

ogni scuola o associazione coinvolta con ruolo attivo nella promozione/sensi-bilizzazione prevista dal progetto;

– realizzazione di un sito internet dedicato alla promozione del progetto e allesue iniziative, con materiali informativi e contatti;

– attività di sensibilizzazione e peer education nelle scuole: inchieste sulle abi-tudini rispetto alla raccolta differenziata, realizzazione di oggetti creativi conmateriali di recupero, reportage fotografici sulla situazione dei rifiuti;

– realizzazione di una newsletter periodica di servizio alla rete; – manifestazione pubblica del 5 giugno: eventi dislocati nelle due circoscrizio-

ni cittadine in cui sono presenti le scuole del progetto con la loro esposizionedei lavori, proiezione di video presso il centro per il protagonismo giovanile ElBarrio;

– partecipazione di una delegazione torinese al seminario conclusivo dell’an-nualità 2002-2003 del progetto, che si è tenuto nel dicembre 2003 in parte aDakar e in parte in forma itinerante nelle tre città senegalesi coinvolte in “Darifiuto a risorsa”.

ANNUALITÀ 2003-2004

– rafforzamento e allargamento del comitato di pilotaggio;– corso di formazione “Torino-Dakar: un progetto di cooperazione decentrata”

rivolto ai giovani per sensibilizzare sulle tematiche della cooperazione e sulprogetto “Da rifiuto a risorsa”;

– seminario presso l’Università di Torino: “La cooperazione decentrata e lo svi-luppo locale: il caso del progetto Da rifiuto a risorsa”;

– attività delle scuole superiori coinvolte nel progetto: incontri di sensibilizza-zione con giornalisti africani e con vari ospiti africani delle città gemellate,formazione degli studenti come educatori ambientali, azioni di peer educa-

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tion nei confronti di studenti di scuole elementari, realizzazione di video,sketch teatrali, tavole rotonde di approfondimento, redazione di giornalino in-formativo, partecipazione al seminario presso l’Università;

– realizzazione di una pubblicazione bilingue sul progetto e sulla gestione par-tecipata del problema dei rifiuti nel Nord e nel Sud del mondo a cura dell’Uni-versità di Torino;

– manifestazione pubblica del 5 giugno: serata senegalese presso il centroper il protagonismo giovanile El Barrio con animazione dei giovani del centro,cena e spettacolo teatrale, mostra di manifesti, laboratori creativi sul riciclo dicarta, vetro e plastica, proiezione di video a carattere ambientale.

ContattiMaura Favero

settore Cooperazione Internazionalee Pace della Città di Torino

via delle Orfane 2210122 Torino

tel. 0039.011.4434877e-mail: [email protected]

web site: www.comune.torino.it/cooperazioneint

CAPITOLO 6 169

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE170

Chieri

Chieri è una cittadina del nord Italia a soli 16 km di distanza dal capoluogo delPiemonte, Torino. È posta tra le colline torinesi, molto conosciuta per i suoi mo-numenti, le sue chiese e per l'industria tessile. Le prime testimonianze della cit-tà risalgono all'epoca romana, ma le sue origini come libero comune risalgonoal Medio Evo.

CLIMA

La città di Chieri è caratterizzata da un clima continentale con inverni piuttostofreddi ed estati calde e afose. Le precipitazioni si distribuiscono nell’arco an-nuale, con concentrazioni piovose in autunno e primavera, temporali in estatee lievi nevicate in inverno. Le temperature medie vanno dai 5°C registrabili ininverno ai 30°C in estate.

ABITANTI

31 mila circa su una superficie di 54,3 km2.

ATTIVITÀ ECONOMICHE

Il chierese è ricco di competenze tradizionali riconosciute, di specializzazioni pro-duttive codificate (il tessile, i prodotti da forno, il vino, alcuni ortaggi e prodottiagricoli, la carne, etc.), di diffusa imprenditorialità e di una grande varietà di risor-se culturali, paesaggistiche e storico-architettoniche. Le principali attività econo-miche sono la produzione di vini tipici quali il “freisa” e soprattutto le industrie tes-sili. Il modo di lavorare i tessuti, in particolare il "fustagno" (tessuto resistente) fu ilpunto d'appoggio dell'economia, caratterizzando sino al XIX secolo l'orientamen-to dei tessitori e imprenditori di Chieri. Successivamente si affermerà la cultura ela lavorazione della canapa e del lino, nonché l'allevamento dei bachi da seta e imetodi di lavorazione della stessa. L'industria tessile di Chieri è ancora all'avan-guardia per le tecnologie utilizzate e per la qualità dei suoi prodotti.

ASSOCIAZIONI

Circa 140 (volontariato sociale, sportivo e culturale).

SCUOLE

Sul territorio chierese sono presenti 9 scuole materne, 7 scuole elementari, 2scuole medie inferiori, un liceo scientifico ed un polo scolastico tecnico forma-to dall’istituto tecnico Vittone (ragionieri e geometri), dall’istituto commercialeLagrange (commerciale) e dall’istituto Ubertini (agrotecnico).

URBANIZZAZIONE E IMMIGRAZIONE

Chieri ha assistito a una massiccia immigrazione, proveniente principalmentedal Veneto e dal sud Italia, iniziata negli anni ’50 e giunta a pieno regime neglianni ’60, che ha fatto salire la sua popolazione dai 14 mila ai 30 mila abitanti

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CAPITOLO 6 171

nel giro di dieci anni. L’immigrazione verso Chieri ha subito una battuta d’arre-sto a partire dagli anni ’80.

GESTIONE DEI RIFIUTI

� Rifiuti solidiLa raccolta dei rifiuti e i servizi di igiene urbana sono stati gestiti in forma diret-ta dal comune di Chieri, tramite una propria impresa appaltatrice, fino al feb-braio 2001. In seguito, poiché la città di Chieri fa parte del consorzio chiereseper i servizi, la raccolta, il trasporto e il conferimento a impianti di smaltimentodei rifiuti solidi urbani sono stati affidati al consorzio stesso. Tale realtà è statacostituita secondo il programma provinciale di gestione dei rifiuti della Provin-cia di Torino, cui la città di Chieri fa riferimento, che prevede una strutturazionedel sistema di gestione dei rifiuti attraverso la razionalizzazione e l’ottimizzan-do di risorse ed energie. Attualmente i rifiuti non pericolosi della città vengono conferiti in una discaricanel comune di Cambiano. La produzione pro-capite giornalieri di rifiuti è progres-sivamente aumentata, passando dagli 0,92 kg del 1989 agli 1,21 kg del 2001. All’interno dell’attività di Agenda 21 della città sono stati programmati interven-ti ed elaborate nuove progettualità, con lo scopo di dotarsi di servizi di raccol-ta differenziata innovativi, che consentano il raggiungimento di percentuali diraccolta ben più elevate di quanto indicato dalle norme statali (fino al 47% -50% sul totale dei rifiuti prodotti). Queste tematiche sono state dibattute e con-frontate anche con i cittadini, che hanno partecipato al forum tematico rifiuti diAgenda 21, chiedendo all’amministrazione di promuovere un modello di rac-colta premiante che incentivi la separazione.Chieri ha dato, così, avvio a programma di raccolta dei rifiuti porta a porta, cheha sostituito il precedente servizio di raccolta differenziata (appositi cassonettiper carta, plastica, vetro, organico e rifiuti indifferenziati erano posti sulla stra-da e svuotati periodicamente). In base al nuovo sistema, gli incaricati dellaraccolta passano direttamente presso le abitazioni dei cittadini a ritirare i rifiutiseparati per tipi, in giorni prefissati. I recipienti devono essere esposti, se pie-ni, solo ed esclusivamente nei giorni in cui si effettua la raccolta e sono con-teggiati tutti gli svuotamenti dei contenitori del rifiuto non recuperabile: questosignifica che meno si differenziano i rifiuti, più si paga. Il sistema di pagamen-to della tariffa rifiuti, infatti, è cambiato: si applicata una tassa composta da unaparte fissa, che garantisce la raccolta dei rifiuti differenziati (riciclabili) e il ser-vizio di igiene urbana,e da una parte variabile, personalizzata e in funzione delnumero di esposizioni da parte dell’utente.

� Rifiuti liquidiNel comune di Chieri sono attivi tre impianti di depurazione delle acque reflueurbane. Per ciò che riguarda la gestione dei rifiuti liquidi, anche a Chieri, cosìcome a Torino, è la Smat (Società metropolitana acque Torino) la principale in-caricata del servizio (cfr. cap. 3).

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE172

IL PROGETTO “DA RIFIUTO A RISORSA”

Annualità I II III

CHIERI 2001-2002 2002-2003 2003-2004

Ong Cisv Cisv Cisv

Scuole Istituto tecnico Istituto tecnico Istituto tecnico

superiore “Vittore” superiore “Vittore” superiore “Vittore”

(professionale commer-

ciale ex Lagrange e

tecnico agrario

ex Ubertini)

Autorità municipali Ufficio Pace e

/ locali Cooperazione

Internazionale della

Città di Chieri

Organizzazioni di

base o realtà

associative

Servizi comunali

Scuole - Scuola elementare di

Moriondo Torinese e di

Nostra Signora della

Scala;

- Scuola media statale

Nino Costa Andezeno

di Torino

Autorità municipali

/ locali

Organizzazioni Confraternita dei

di base o di Fratelli della Sacra

quartiere Famiglia

Servizi

comunali

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ANNUALITÀ 2001-2002

– visita degli studenti delle scuole superiori coinvolte alla discarica dell’Amiat,all’impianto di compostaggio e alla Publirec (raccolta e selezione di legno,cartone e ferro), incontro delle classi con i tecnici dell’Amiat;

– incontri delle classi con volontari e operatori del Cisv sui temi dello svilupposostenibile e del turismo responsabile;

– laboratorio di video per le classi; – preparazione di scambio internazionale scolastico e viaggio di una delega-

zione di studenti in Senegal, con successiva realizzazione di un video sul-l’esperienza;

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CAPITOLO 6 173

– partecipazione al seminario conclusivo della prima annualità di progetto (To-rino, settembre 2002) a cui hanno partecipato delegazioni di tutte le cittàcoinvolte nel progetto.

ANNUALITÀ 2002-2003

– attività di sensibilizzazione e di peer education degli studenti della scuola su-periore coinvolte nel progetto con classi di scuole medie ed elementari;

– manifestazione pubblica del 5 giugno: realizzazione di mostra fotograficapubblica per mostrare le attività della scuola all’interno del progetto, sfilata dimoda con abiti realizzati con materiali di recupero;

– partecipazione al seminario conclusivo dell’annualità 2002-2003 del proget-to, che si è tenuto nel dicembre 2003 in parte a Dakar e in parte in forma iti-nerante nelle tre città senegalesi coinvolte in “Da rifiuto a risorsa”.

ANNUALITÀ 2003-2004

– avvio del comitato di pilotaggio;– creazione all’interno della scuola superiore di un gruppo di giornalisti e tra-

duttori che documentino l’esperienza di Chieri attraverso attività quali: incon-tri con giornalisti africani e italiani, operatori del Cisv, lezioni di comunicazio-ne con esperti del settore;

– attività di apprendimento del batik, tipica tecnica africana di tintura dei tessu-ti, con un artista del Burkina Faso presso la Sacra Famiglia di Chieri;

– visita alla mostra “Africa” degli studenti;– inizio della corrispondenza e dello scambio fra gli studenti delle classi della

sezione agraria del “Vittone” con il liceo agricolo di Nanoro;– accoglienza della delegazione di Nanoro ospite per una settimana per even-

ti pubblici di presentazione del gemellaggio tra Chieri e Nanoro e sulle attivi-tà di “Da rifiuto a risorsa”;

– partecipazione alla manifestazione pubblica del 5 giugno presso il centroper il protagonismo giovanile El Barrio con animazione dei giovani del centro,cena e spettacolo senegalese, mostra di manifesti, laboratori creativi sul rici-clo di carta, vetro e plastica, proiezione di video.

ContattiUfficio Pace e Cooperazione Internazionale

Via Palazzo di Città 1010023 Chieri

tel. 0039.011.94281e-mail: [email protected]

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CAPITOLO

I METODI PARTECIPATIVI: LEVA DI INIZIATIVE DI SVILUPPO IN AMBITO URBANO

7.1 INTRODUZIONE1

Nel corso degli anni ‘50 e ’60 la teoria e la pratica dello sviluppo eranofortemente ancorate alle idee occidentali che esaltavano il progresso

tecnologico basato sul concetto di sviluppo lineare. I politologi individuava-no infatti nel denaro e nella tecnologia moderna tutto ciò di cui c’era biso-gno per migliorare la situazione economica dei paesi del Sud del mondo.Quella che è stata chiamata “rivoluzione verde” è un tipico esempio di tra-sferimento di tecnologie dai paesi industrializzati moderni verso le nazionirurali più povere. Questa strategia ha avuto un evidente fallimento, con con-seguenze negative sull’ambiente provato da sistemi agricoli complessi einefficaci.

Gli anni ’70 hanno creato una presa di coscienza più forte: è emersa laconsapevolezza del fatto che il “trasferimento di tecnologie” tanto esaltatofosse una strategia altamente semplicistica che non poteva affatto risolverei problemi dei paesi del Sud. Questo ha determinato l’emergere di un nuo-vo paradigma (un gioco d’insieme coerente di concetti e azioni) e di unoschema di sviluppo fondato sulla partecipazione che si sforza di superare ilimiti e colmare le lacune dei tentativi precedenti finalizzati a comprendere epromuovere un cambiamento.

Nelle zone urbane questo tipo di sviluppo partecipativo costituisce unapedagogia di mobilitazione sociale che in questi ultimi anni ha fatto notevo-li progressi, grazie a una diffusione ampia di metodi partecipativi e di stru-menti di pianificazione concertata delle diverse azioni. Questo ha dato il viaa nuovi discorsi e pratiche sull’efficienza e la durata di possibili politiche ur-

77

1 I paragrafi 7.1 e 7.2 si devono a Ousmane Niang del comitato di pilotaggio di Louga.

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CAPITOLO 7 175

bane, ma anche a nuovi approcci che privilegiano la cooperazione, il parte-nariato, la solidarietà fra i diversi attori di sviluppo urbano.

Questo cambiamento parte da una critica delle politiche dirigiste, pro-vando a rompere con lo stile della direzione autocratica per espandersi ver-so il movimento sociale di Porto Alegre (recentemente prolungatosi a Da-vos) con la rivendicazione di nuove tipologie di rapporto fra la società civi-le, le collettività locali e i governi nella costruzione e la messa in opera dipolitiche sociali urbane.

7.2 CARATTERI DEI METODI PARTECIPATIVI

Imetodi partecipativi si presentano dunque come strumenti di una nuovapedagogia di gestione urbana suscettibile di instaurare e/o creare una

base per la governance locale che dia vita a una città che funziona, confor-memente a ciò che ci si aspetta da un insieme macro-economico struttura-to. La città non dovrebbe più definirsi solamente in rapporto alla sua funzio-ne di produzione, bensì come una struttura di governance che razional-mente sappia gestire, animare, dare impulso, attivare e coordinare le tran-sazioni economiche, sociali, politiche di cui è sede.

Questi tipi di approcci favoriscono in molti sensi il percorso verso obietti-vi quali l’impegno delle popolazioni, il partenariato e la mobilitazione dellerisorse, elementi che testimoniano una presa di coscienza delle popolazio-ni che decidono di impegnarsi per le loro comunità influenzando i processiin corso. La mobilitazione dei soggetti permette di raggiungere una capaci-tà di negoziazione fino ad ora sconosciuta, che concede un concreto ruoloda attori. Ciò determina nuove opportunità per la popolazione: condizioni diaccesso alle risorse per un maggior numero di persone, con un progressodi autonomia delle comunità che fa diminuire la dipendenza sociale. Nelcontesto di impegno nei confronti della città si assiste quotidianamente amanifestazioni di creatività popolare, che lasciano trasparire la necessità diuna nuova cultura urbana, intrinsecamente legata alla fioritura della cittadi-nanza nella sua pienezza.

Non si è ancora in grado di definire i modi migliori per ottenere la parte-cipazione della società civile, soprattutto in modo continuo e duraturo. Tra-dizionalmente i metodi di sviluppo, pianificazione e inclusione delle colletti-vità dipendevano in gran parte dagli urbanisti, dagli ideatori, dai promotorie da altri specialisti di questioni urbane.

La partecipazione comunitaria si è in gran parte realizzata caso per ca-so oppure si è concentrata su singoli aspetti o progetti, producendo risulta-ti variabili, che indicano la necessità di adottare nuove metodologie.

La partecipazione non dovrebbe essere considerata come un valore in

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE176

sé, come un criterio di condotta da rispettare, in quanto non è automatica-mente decretabile come “giusta”. I comportamenti che spingono a parteci-pare o a tirarsi indietro riflettono uno stato d’animo, aspettative, calcoli, pro-nostici, etc.

Ogni attore agisce o reagisce in funzione delle opportunità che credeesistere nella sua situazione vissuta e delle capacità che egli ha di coglier-le. In questo senso la partecipazione non è mai disinteressata. È semprestrutturata da elementi motivanti che ne fanno un comportamento razionale.In tale contesto, chi utilizza metodi partecipativi è un animatore, un negozia-tore che deve costantemente operare per spingere i gruppi di attori al coin-volgimento nei processi di mobilitazione sociale per lo sviluppo locale.

È a questo livello che conviene prendere in considerazione alcune di-mensioni normative e modelli di partecipazione.

In uno studio della Banca mondiale pubblicato nel 1987, Samuel Paul in-dividua quattro livelli d’intensità del fenomeno partecipativo:1. lo scambio di informazioni: i responsabili dei progetti scambiano informa-

zioni con le popolazioni beneficiarie al fine di facilitare la messa in operadelle azioni;

2. la consultazione: è data l’opportunità ai beneficiari di esprimersi sui di-versi aspetti dell’iniziativa in modo che le popolazioni interessate possa-no contribuire alla loro realizzazione;

3. la presa di decisione: a questo alto livello di partecipazione sono i bene-ficiari a prendere le decisioni, soli o con l’aiuto dei responsabili e anima-tori dei progetti;

4. la realizzazione dei progetti: non solo i beneficiari prendono le decisioni,ma lanciano le azioni.L’impostazione di Paul, che ha il vantaggio di circoscrivere e delimitare

gli assi normativi della partecipazione, non propone strumenti specifici chesocializzino i modi operativi di interazione fra chi interviene e i gruppi-clien-ti. Inoltre l’analisi presenta il limite di non proporre nella sua argomentazionele frontiere fra i diversi livelli d’intensità.

� 7.2.1 L’empowerment

L'empowerment è un altro concetto molto utilizzato nella letteratura dellosviluppo in questi ultimi anni, per indicare un livello di partecipazione dellecomunità e dei gruppi che conferiscono loro potere, responsabilità, capaci-tà di iniziativa, etc. Tutte le discussioni sull’empowerment partono dalla con-statazione del fatto che i gruppi comunitari sono disempowered. Questo si-gnifica che non possono esercitare un potere sulle risorse di cui hanno bi-sogno per assicurarsi il benessere. L’approccio è determinato dalle idee

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CAPITOLO 7 177

delle persone e dei gruppi per effettuare le trasformazioni necessarie ingrado di assicurare loro l’accesso o il controllo di queste risorse. È quindiuna partenza che ha lo scopo di sostenere le comunità nella prospettiva diacquisire potere sui loro destini. Di conseguenza, l’utilizzo di metodi parte-cipativi gioca un ruolo di animazione, concertazione, coordinamento e for-mazione.

La strumentazione dell’empowerment propone quattro assi:1. la partecipazione: l’empowerment deve simulare e sostenere una pro-

gressione perché tutte le persone possano esercitare i loro diritti e allostesso tempo assumersi le loro responsabilità partecipando alle decisio-ni che le riguardano;

2. la comunicazione: si offre come un sistema di alimentazione e regolazio-ne delle informazioni interattive fra le diverse parti in causa;

3. la coscienza critica: si appoggia sui tre livelli costituiti dalla coscienzacollettiva, sociale e politica;

4. la competenza: si fonda su tre capacità – scegliere, decidere e passareall’azione.Queste quattro dimensioni dell’empowerment sono identificabili nell’im-

magine di una fune formata da diverse corde intrecciate fra loro in cui ognu-na rinforza le altre, ritrovandosi a sua volta rinforzata.

L’empowerment si basa sulle potenzialità dei soggetti locali, su un orien-tamento strategico basato sulla cooperazione, sulla circolazione libera del-l’informazione, sul rinforzo del sentimento di appartenenza comunitaria esulla democrazia locale.

� 7.2.2 Il ruolo della partecipazione

La partecipazione interattiva porta dunque gli individui a intervenire ingruppo all’ideazione, alla pianificazione e alla prosecuzione delle attività diun processo di sviluppo locale. I quadri di concertazione e coordinamentointersettoriale delle attività sono spesso oggetto di un’istituzionalizzazione.

La partecipazione per motivi materiali è strutturata da bisogni immediatiche non si ancorano a un orizzonte temporale a lungo termine, per questo puòsubentrare un processo di smobilitazione nel caso in cui gli stimoli cessino.

La partecipazione fondata su una struttura di auto-mobilitazione rinvia ainiziative indipendentemente dalle istituzioni esterne, con lo scopo di ap-portare cambiamenti al sistema sociale. Presuppone un controllo sulle risor-se e una capacità di mobilitazione di risorse esterne addizionali.

Il concetto di partecipazione ha rivestito nel corso di questi ultimi anni sva-riati significati legati al consolidamento dei metodi partecipativi e al ruolosempre più importante delle organizzazioni e di parti della società civile nel

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE178

processo di sviluppo locale. Allo stesso tempo, è necessario osservare chesussiste sempre un’articolazione debole fra i discorsi e le pratiche da un latoe la formulazione delle politiche dall’altro. Per questo è necessario istituziona-lizzare i metodi partecipativi negli approcci di sviluppo in una logica di do-saggio e complementarietà di strumenti e tecniche per rendere i gruppi-clien-ti dei reali motori di sviluppo a partire dalla loro stessa cultura.

7.3 IL METODO SARAR2

L’auspicato miglioramento delle condizioni ambientali dei quartieri disa-giati e del livello sanitario delle comunità che vi risiedono si scontra con le

difficoltà legate al cambiamento di comportamento delle popolazioni in ma-teria di igiene e salubrità. Malgrado gli sforzi realizzati a diversi livelli, i risul-tati così ottenuti in materia di gestione del quadro di vita, di lotta contro lemalattie legate al pericolo fecale e alla proliferazione dei rifiuti domestici, re-stano deboli. Di qui la necessità di mettere a punto una metodologia di co-municazione partecipativa che permetta alle popolazioni interessate di par-tecipare all’analisi del loro contesto ambientale, all’identificazione delle si-tuazioni chiave a rischio sanitario e al cambiamento di comportamento dura-turo in termini di igiene, salubrità e miglioramento delle condizioni di vita: ilmetodo Sarar, utilizzato in sostegno alla messa in pratica dell’Agenda 21 delComune di Louga, di cui uno degli assi più importanti è costituito dal raffor-zamento delle capacità degli attori della filiera di gestione dell’ambiente.

La formazione al metodo Sarar cerca di rafforzare le capacità degliagenti di sviluppo e dei consiglieri regionali incaricati delle questioni legatealla gestione duratura dell’ambiente.

In particolare il modulo si indirizza ai leader delle associazioni, agli agen-ti delle Ong e di altre organizzazioni intermediarie, ai rappresentanti eletti eagli agenti dell’amministrazione comunale.

Al termine della formazione i partecipanti devono essere in grado di:– procedere all’analisi del contesto e alla diagnosi utilizzando gli approcci

partecipativi per identificare le situazioni chiave a rischio sanitario;– procedere alla guida di sessioni di animazione e di sensibilizzazione uti-

lizzando gli approcci partecipativi nelle comunità, in vista di giungere a uncambiamento duraturo nei comportamenti;

– utilizzare metodi e tecniche di valutazione degli strumenti di diagnosi del-l’ambiente in generale e in particolare dei progetti di gestione ambientalea livello comunitario.

2 Il paragrafo 7.2 e i relativi sottoparagrafi sono tratti dal rapporto Atelier de formation desacteurs de la filière de gestion de l’environnement à la méthode Sarar, Enda TM/Ecopop, 2003.

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Il metodo Sarar propone un approccio di sviluppo che privilegia la crea-tività, la crescita dell’autostima, della fiducia in sé stessi e nelle proprie ri-sorse reali e potenziali.

Nel suo manuale intitolato Tools for community participation, scritto per iformatori nella tecnica di partecipazione, il dottor Lyra Srinivasan mostra co-me, attraverso il Sarar, i formatori possono stimolare creatività tra coloro chevengono formati e potenziare la loro fiducia in sé stessi (Srinivasan, 19933).

L’acronimo Sarar che traduce i principi sottesi della metodologia è defi-nito dall’autore nel seguente modo:

3 Srinivasan L., 1993, Tools for community participation. A manual for training trainers inparticipatory techniques, Undp.

La «S» rinvia a self esteem, autosti-ma.

La «A» si riferisce a associativestrenghts, che sta per dinamismodi gruppo.

La «R» sta per resourcefulness, tra-ducibile con: gli uni risorsa per glialtri.

La «A» rinvia alla pianificazione del-l’azione.

La «R» si riferisce all’assunzione diresponsabilità.

Quando le persone scoprono le loro attitu-dini alla creatività e all’analisi, la loro fiduciain sé stessi aumenta e iniziano a credere dipiù nelle proprie potenzialità. Il sentimentodi autostima ne risulta rafforzato.

Nel momento in cui le persone mettono incomune le loro idee e si riuniscono per tro-vare delle soluzioni ai problemi con i qualisi confrontano, si rafforza la sensazione diautostima così come lo spirito d’équipe.

Una persona che ha creatività e risorse puòtrovare nel suo ambiente soluzioni allamaggior parte dei problemi con i quali siconfronta. Gruppi e individui creativi giun-gono a risultati inaspettati là dove altre per-sone falliscono. Essi costituiscono dunquedelle risorse potenziali per le loro comunità.

La pianificazione dell’azione è essenzialenella metodologia Sarar: nel momento incui le persone pianificano, intraprendonoazioni appropriate in grado di operare cam-biamenti importanti.

Quando una comunità decide di pianificaree intraprendere delle azioni deve essereanimata da una reale volontà di assumersidelle responsabilità e di realizzare azioniconcrete.

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Attraverso l’utilizzo della metodologia Sarar ci si aspetta che i parteci-panti siano in grado di identificare i concetti e le situazioni chiave legate alcambiamento di comportamento, selezionare gli strumenti più idonei per te-nere degli incontri di sensibilizzazione nel quadro di programmi di gestionedell’ambiente in generale, e dei rifiuti in particolare, e sfruttare gli strumentidi valutazione e misurare il loro impatto sul cambiamento di comportamen-to rispetto all’ambiente.

Nelle pagine che seguono verranno descritte alcune attività che fanno ri-ferimento alla metodologia Sarar, da realizzare in contesti concreti attraver-so l’approccio partecipativo.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE180

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CAPITOLO 7 181

Scheda Sarar 1

Caratteristiche ideali di una buona partecipazionecomunitaria alla gestione dell’ambiente

OBIETTIVI

Portare i partecipanti a rendersi conto dell’incidenza della “partecipazione co-munitaria” per quel che riguarda attitudini, disposizioni, abitudini, etc, che de-vono dimostrare e adottare le popolazioni per diventare dei partner indispen-sabili rispetto alla gestione dell’ambiente.

DURATA

2 ore circa.

MATERIALE

Una lista che recensisca una serie di qualità e abitudini: alcune caratteristichepossibili. Delle buste contenenti foglietti di carta distinti per ognuno degli attri-buti della lista.

PROCEDURA

Spiegare ai partecipanti che in quest’attività non ci sono né buone né cattive ri-sposte, ma che ciascuno deve giustificare le proprie scelte. In questo modo,essi possono fare appello alle proprie esperienze o a conoscenze acquisitenel corso delle loro attività con le persone.Dare una busta a ciascun gruppo. Spiegare che ciascuna busta contiene 32 fo-gli di carta. Su 29 di questi ci sono parole che descrivono abitudini, predisposi-zioni, comportamenti o attitudini. Molti di questi attributi, ma non tutti, sono quelliche possiamo sperare di riscontrare presso le popolazioni nel momento in cuiqueste sono pronte a “partecipare” a progetti nati da iniziative locali. Qualcunopuò essere in completo disaccordo. I fogli bianchi sono a disposizione per i casiin cui i partecipanti volessero aggiungere altre caratteristiche o attributi.Chiedere ai partecipanti di rileggere attentamente tutte le 29 caratteristiche edi sceglierne cinque che ritengono essenziali a un programma basato su unatotale partecipazione delle comunità al progetto. (Non superare il numero dicinque: il rigore della scelta è molto importante. I partecipanti dovranno meglioconcentrarsi a riflettere e ispirarsi alla loro esperienza per difendere la loroscelta. È ugualmente importante conservare lo stesso numero di caratteristi-che per tutti. Dando ai partecipanti la possibilità di sceglierne da 3 a 5, peresempio, si ottengono dei risultati irregolari).Suddividere i partecipanti in piccoli sottogruppi (da 5 a 6 persone). Inizialmen-te, ciascun partecipante del gruppo sceglie i 5 attributi separatamente, poi di-scute e consolida la sua scelta su una lista comune. Ciascun gruppo dovràscrivere un breve documento per spiegare le ragioni delle sua scelta. Dedica-re dai 15 ai 20 minuti a questo esercizio.Chiedere ai partecipanti di condividere i contenuti del loro breve documento inriunione plenaria davanti ai membri degli altri gruppi. Se c’è tempo a sufficien-za chiedere loro di sintetizzare le varie liste in un unica lista comune.Suggerire loro di riflettere sulle incidenze delle loro scelte. Per incoraggiarequeste qualità e queste caratteristiche a livello comunitario, che tipo di strate-gia educativa sarebbe più appropriata?Accettare tutti i suggerimenti e chiedere a un partecipante di annotarle. Que-ste idee saranno esaminate più tardi nel corso di un dibattito sulle strategie disostituzione.

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Scheda Sarar 2

La mappa comunitaria

OBIETTIVO

Permettere ai membri di una comunità di proiettare nello spazio la loro visionedella propria realtà. Questo strumento permette di raccogliere le informazionisu una comunità e sui suoi problemi specifici.

DURATA

2 o 3 ore. Tuttavia l’elaborazione della mappa può anche prendere una o piùgiornate in alcuni casi, tenuto conto delle discussioni spesso molto intense chesi instaurano tra i partecipanti.

MATERIALE

Un grande foglio di carta, evidenziatori, matite e gomme, o materiali che rap-presentino diversi aspetti ed elementi delle realtà locali.

PROCEDURA

Chiedere ai partecipanti di lavorare in gruppo o di organizzarsi attorno a unasuperficie di lavoro visibile a tutti. Chiedere loro di discutere l’immagine che sisono fatti di una comunità di cui loro sarebbero i membri e di farne una cartina.I membri del gruppo, durante la preparazione della cartina, devono stabilire lalista dei fatti e delle realtà, designati per stabilire il profilo del quartiere o dellazona.I partecipanti fanno in seguito un tour del quartiere o della zona, o visita am-bientale, nel corso della quale essi spiegano e verificano tra loro la topografia,la mappa e la ripartizione demografica della comunità. Le spiegazioni devonovertere sulle condizioni di vita degli abitanti, in particolare ciò di cui vanno fierie quegli aspetti che, ai loro occhi, rappresentano dei problemi.Questo stesso esercizio si può applicare per altre questioni che debbano es-sere oggetto di un intervento specifico (carte tematica sui lavori di bonifica,cartina tematica delle zone di inondazione, etc.).Questo esercizio può anche essere utilizzato per pianificare con le popolazio-ni le azioni (carta prospettiva). L’elaborazione di questa carta permette aimembri della comunità di proiettarsi nel tempo e di fare esercizi di prospettivasul divenire della comunità in sei mesi, un anno, cinque anni.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE182

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Scheda Sarar 3

Scala Sarar di resistenza al cambiamento

OBIETTIVI

Sensibilizzare i partecipanti rispetto al fatto che ognuno all’interno della comu-nità può avere ragioni diverse per non desiderare cambiamenti, ragioni chehanno un fondamento legittimo per queste persone.Mostrare una maniera semplice di catalogare le resistenze più diffuse, per po-ter meglio distinguere il loro grado e natura. Dedurre da questa analisi i tipid’approccio che sarebbero più appropriati quando si lavora con persone aper-te o, al contrario, resistenti al cambiamento.

DURATA

Da 1 ora a 1 ora e 30.

MATERIALI

Una lavagna o della carta su cui si disegna il diagramma di una scala che mo-stra 7 pianerottoli o tappe di resistenza al cambiamento o di accettazione delcambiamento (se si vuole è possibile segnalare 8 tappe aggiungendone unaall’estremità della scala).Alcuni disegni che rappresentano i membri della comunità.Messaggi che traducano i sentimenti o le attitudini dei diversi membri della co-munità rispetto al cambiamento proposto. Si dovrebbe disporre di questi mes-saggi in quantità sufficiente per riempire tutte le tappe della scala.Un disegno con un messaggio che suscita generalmente delle resistenze al-l’interno della comunità, per esempio «utilizzare un veicolo ippotrainato».

PROCEDURA

Invitare i partecipanti a citare degli esempi di resistenza a dei messaggiespressi da persone esterne alla comunità e che vanno a coinvolgere una se-rie di credenze, di valori e di attitudini sanzionate dalla cultura e dalla tradizio-ne.Far notare che spesso le credenze non sono espresse apertamente davanti aqualcuno che non fa parte della comunità. Se queste credenze non sono espli-citate o discusse con rispetto, la persone che apprendono non sono pronte afar posto ai punti di vista di una persona che viene dall’esterno.

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Scheda Sarar 4

Vie di contaminazione

OBIETTIVI

Guidare la comunità nella conoscenza delle vie di trasmissione delle malattie enel trovare mezzi di prevenzione.Far comprendere alla popolazione la nozione di focolaio d’infezione, vettore eospite.

DURATA

Da 1 h a 1 h e 30.

MATERIALI

Immagini che rappresentino:– una mano;– cibo non protetto;– depositi selvaggi di rifiuti;– una mosca;– animali;– una bocca;– un piede nudo.

PROCEDURA

Presentare le immagini alla comunità per essere certi che le abbiano ricono-sciute.Far costruire la catena di trasmissione delle malattie con le immagini.

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Scheda Sarar 5

La fase della prevenzione

MATERIALI

Le immagini necessarie alla fase della prevenzione sono:– cibo protetto;– sandali;– il gesto di lavarsi le mani;– una pattumiera;– una donna che butta l’immondizia dentro la pattumiera.

PROCEDURA

Distribuire le immagini di prevenzione e invitare i membri del gruppo a com-prendere e interpretarle prima di metterle dove ritengono più opportuno conl’obiettivo di bloccare il processo di trasmissione.Dare successivamente avvio a uno scambio di punti di vista in merito alle bar-riere facili o difficili da eliminare.

NOTE PER GLI ANIMATORI

Informarsi bene sulle malattie presenti (in funzione del contesto).Assicurarsi che le immagini siano ben interpretate dalla comunità.Rispettare la scelta delle comunità, invitandoli a comprendere il processo ditrasmissione.

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Scheda Sarar 6

Incidente critico

OBIETTIVI

Educare facendo perno sulla sensibilità della comunità.

MATERIALI

Immagini che illustrino un fatto problematico o un incidente.

DURATA

Da 30 minuti a 45 minuti.

PROCEDURA

Mostrare un’immagine in cui figura l’agente di sviluppo mentre cerca di sensi-bilizzare i membri della comunità per spingerli a un cambiamento di comporta-mento.Introdurre l’immagine di un membro della comunità che ha delle resistenze eche, dopo la partenza dell’agente di sviluppo, tenta di scoraggiare la comuni-tà.Mostrare un bambino (il figlio del soggetto reticente) che gioca in mezzo ai ri-fiuti.Introdurre l’immagine di una famiglia riunita attorno a un bambino malato.

Bisogna ogni volta porre delle domande per conoscere il significato delle im-magini e avviare una discussione.Questo strumento può essere messo in scena sotto forma teatrale.

NOTA PER GLI ANIMATORI

Questo strumento permette di disarmare coloro che scoraggiano la comunitàdistruggendo le proposte avanzate dall’agente di sviluppo una volta che eglinon è più presente. Aiuta anche la comunità ad analizzare la situazione attualee considerare il più in fretta possibile le opzioni che conducono alle soluzionipiù appropriate.

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Scheda Sarar 7

Le tre pile di carte assortite

OBIETTIVI

Sviluppare la capacità di analisi e di ricerca di soluzioni dei membri di una co-munità così come la loro attitudine a stabilire delle relazioni di causa- effetto.Delineare i contorni della percezione che i membri della comunità hanno ri-guardo a vantaggi e inconvenienti di una serie di comportamenti che vengonoloro presentati e illustrati.Far identificare dalle comunità la categoria di comportamento più rappresenta-tiva della comunità stessa. Uscito dall’incontro, l’agente di sviluppo percepi-sce meglio la lacuna da riempire per un cambiamento di comportamento.

DURATA

Da 1 ora 30 a 2 ore.

MATERIALI

Disegni che illustrano tre categorie di comportamenti (buoni, meno buoni ecattivi), che rappresentano aspetti della salute, risanamento, igiene. È impor-tante identificare e distinguere le diverse categorie di comportamento legatealle situazioni critiche (per esempio, l’igiene dell’acqua, lavarsi le mani, l’igienedel corpo, etc.).

PROCEDURA

Invitare un gruppo di partecipanti a formare un cerchio e consegnare loro ilblocco di disegni da classificare in tre categorie: buoni, meno buoni e cattivi.Spingerli a ridiscutere la loro classificazione con gli altri membri del gruppo ocon gli altri partecipanti se si lavora con un solo gruppo.Porre loro domande o suscitare un dibattito sulla classificazione, le giustifica-zioni, le spiegazioni e ricostruire le regole d’igiene elaborate dalla comunità, idifetti, etc.La sintesi deve vertere sull’importanza delle regole d’igiene che devono esse-re rispettate dalla comunità.

NOTA PER GLI ANIMATORI

L’attività rafforza nei i partecipanti la fiducia in sé stessi nell’analisi dei proble-mi.Ci sono più occasioni in cui si può adottare questo metodo che può essere unbuon inizio nella pianificazione delle attività.Può capitare che i partecipanti classifichino i disegni in due sole categorie,buone e cattive, questo non toglie nulla allo spirito dell’esercizio. Permette inol-tre di conoscere la percezione dei partecipanti del proprio comportamento edel suo impatto sull’ambiente.

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Scheda Sarar 8

Correzione dei comportamenti sbagliati

OBIETTIVI

Identificare i problemi e pianificare le azioni da intraprendere per risolverli.

DURATA

1 ora.

MATERIALI

Immagini (comportamenti corretti e scorretti), fogli di carta, pennarello o evi-denziatore.

PROCEDURA

Presentazione dell’immagine che rappresenta il comportamento sbagliato.Identificazione dei problemi e analisi delle cause:– se i problemi sono stati subito ben individuati, si passa alle soluzioni;– se i problemi non sono ancora stati sufficientemente rilevati, viene presenta-

ta l’immagine del comportamento ideale per guidare le risposte.Pianificazione delle azioni.Identificazione delle risorse.

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Scheda Sarar 9

Analisi delle risorse a disposizione

OBIETTIVI

Aiutare i partecipanti a comprendere la teoria che sottende le tecniche di par-tecipazione che adotteranno e utilizzeranno a livello di comunità.

DURATA

1ora 35 minuti.

MATERIALI

Tre fogli grandi (1,50m x 0,60m) che riproducono lo schema qui sotto senza al-cuna annotazione.

Nella casella di sinistra, inserire l’immagine di una situazione critica, per esem-pio una donna che porta un pesante fardello.

PROCEDURA

Suddividere i partecipanti in tre gruppi.Appendere uno dei tre fogli alla lavagna.Spiegare il diagramma, in cui la casella a sinistra presenta la situazione attua-le che si spera di cambiare; domandare quindi al gruppo cosa c’è che non vain quell’immagine. La casella all’estremità destra rappresenta una situazionemigliore o una situazione ideale, un obiettivo verso il quale ci si incammina par-tendo dalla situazione attuale (scrivere “futuro” al di sopra della seconda ca-sella e aggiungere una data che suggerisca un lasso di tempo determinatoper raggiungere questo obiettivo).Precisare che la freccia si direziona dal presente verso il futuro. Le frecce che sono direzionate verso il presente rappresentano dei vincoli odegli ostacoli che impediscono il raggiungimento dell’obiettivo proposto. Lefrecce che vanno in direzione della casella di destra rappresentano invecedelle risorse che permettono di avvicinarsi all’obiettivo. Aggiungere le annota-zioni “vincoli” e “risorse”. Sarà compito dei partecipanti indicare su dei bigliet-tini che verranno mano a mano appesi al livello delle freccette quali sono gliostacoli, ma anche le risorse, a disposizione della comunità.Spiegare ai partecipanti che ciascun gruppo riceverà un esempio di diagram-ma. Il primo compito è quello di definire nel dettaglio ciò che non funziona nel-la situazione attuale e di formulare la situazione desiderata. Successivamente

CAPITOLO 7 189

Situazione attuale(presente)

inserire un immaginecritica o negativa da

evitare

Obiettivo o situazionedesiderata (futuro)

Inserire un immagine positivadi ciò che si spera ottenere

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si dovranno recensire le risorse a disposizione e gli ostacoli relativi al caso stu-diato.Distribuire i tre fogli con i diagrammi.Dopo questo lavoro, i partecipanti fanno un resoconto in plenaria e inizianouna discussione basandosi sull’analisi effettuata dai gruppi.Spiegare il secondo livello, ovverosia scegliere un ostacolo e individuare letappe che possono ridurlo o sopprimerlo, utilizzando una o più risorse a dispo-sizione.I partecipanti fanno nuovamente un resoconto e intraprendono una discussio-ne.

NOTA PER GLI ANIMATORI

Gli animatori devono sapere come introdurre, in modo semplice, i concetti e lecompetenze in materia di pianificazione a livello della comunità, così come de-vono poter applicare queste esperienze nel proprio lavoro, a un livello piùcomplesso.Una volta che il gruppo intraprende l’attività della “storia a iato” (metodo di pia-nificazione), i partecipanti saranno in grado di comprendere più facilmente lasua forma astratta, come nel diagramma precedente.Questo esercizio permette di intraprendere la riflessione di gruppo al di la diciò che permette la “storia a iato”. Questo strumento esige che i partecipantievidenzino non solo le tappe d’azione, ma anche le risorse e i vincoli che influi-scono sulla realtà dell’obiettivo individuato.Questo esercizio prepara ugualmente gli animatori al loro compito principale dipianificazione delle attività future dopo la conclusione del laboratorio, utilizzan-do il metodo partecipativo.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE190

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CAPITOLO 7 191

Scheda Sarar 10

Quadro a tasche

OBIETTIVI

Aiutare le comunità a valutare la propria situazione presente, a guardarla daun’altra angolazione e se possibile a fare delle scelte.

DURATA

Da 1 ora a 1 ora 30 minuti.

MATERIALI

Per la raccolta di informazioniNella forma più semplice il quadro a tasche è composto da una fila di buste, ingenere da quattro a sei in orizzontale e da sei a dieci in verticale. Una serie diimmagini viene appesa al di sopra della fila superiore di buste.Queste immagini rappresentano degli ambiti sui quali si ha bisogno di informa-zioni; un’immagine potrebbe essere, per esempio, un cumulo di rifiuti (discari-che selvagge, pattumiere domestiche, depositi, momenti di set setal).Ogni immagine è posta in alto rispetto a ogni colonna verticale (si possonougualmente porre delle immagini alla sinistra del quadro indicando altre varia-bili, per esempio dei gruppi di uomini, donne, bambini o altri gruppi seleziona-ti in base al reddito o alla posizione sociale).

Per la costituzione dei comitati di gestioneIl quadro a tasche è un grande foglio di carta (o stoffa) con ha applicate delletasche. Tre immagini di misura differente con le diciture: «molto importante»,«importante», «non importante» sono poste orizzontalmente. Una serie di im-magini che traducono le diverse situazioni su cui si ha bisogno di informazionisono poste verticalmente: quota, formazione, disponibilità di materiale, appor-to esterno, trasparenza nella gestione, disponibilità dell’artigiano riparatore,manutenzione e prevenzione.

PROCEDURA

Appendere il cartellone, spiegando al gruppo che il metodo di elezione delleopzioni consiste nell’introdurre il bollettino di voto nella busta corrispondenteall’opzione scelta.Invitare i membri della comunità a votare.Attirare la loro attenzione sul carattere confidenziale (si può girare il cartellonecosì che non sia visibile al gruppo).Alla fine della votazione, lo spoglio viene fatto insieme ai partecipanti. Il gruppoanalizza il significato dei risultati raccolti, per esempio: perché così tante (o cosìpoche) persone hanno scelto questa opzione? Quali altre opzioni le comunità pre-feriscono? Qual è l’effetto di queste scelte sulla loro salute e il loro benessere?

NOTA PER GLI ANIMATORI

Questo strumento può essere utilizzato in diverse occasioni, per definire i ruolie le responsabilità dei diversi attori coinvolti o raccogliere il punto di vista dellecomunità su una questione particolare.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE192

Scheda Sarar 11

Come diventare un animatore la cui azione è concentrata sul soggetto che apprende

Il tipo di approccio partecipativo implica un notevole cambiamento di atteggia-mento nella relazione tra colui che tradizionalmente gioca il ruolo di insegnante,o di specialista che detiene tutte le risposte, e coloro che, poiché sono pocoistruiti o addirittura analfabeti, giocano il ruolo passivo di “teste da riempire”.Alcuni specialisti tecnici e una parte del personale dei progetti possono nonapprezzare che delle comunità propongano loro soluzioni alternative o che simostrino reticenti davanti al loro piano d’azione. Come ha affermato un giornoun direttore di progetto: “Non amo che si metta in dubbio ciò che dico; ciò di-minuisce la mia autorità”.Nelle attività basate sulla partecipazione comunitaria, però, gli animatori rico-noscono e rispettano il fatto che i membri della comunità abbiano anche attitu-dini e talenti lasciati liberi di esprimersi. È solo allora che esse giocano vera-mente il loro ruolo di partner nello sviluppo.Nella misura in cui le attività partecipative permettono alle comunità di acquisi-re nuove competenze e la fiducia nelle proprie capacità, l’agente esterno, cheè l’agente di sviluppo, apprende a sua volta moltissimo sulla comunità.Il metodo di lavoro partecipativo può richiedere molto tempo e può essere per-cepito come un modo di procedere incompatibile con il buon andamento dellavoro. Ecco cosa ha affermato un giorno, senza mezzi termini, un ingegnere:“Io sono pagato per scavare pozzi. Fate partecipare le comunità se volete, manon disturbate la mia pianificazione del lavoro”.La radice del problema è spiegata da J. M. Flavier, direttore dell’Istituto inter-nazionale per la ricostruzione rurale (Iirr) nelle Filippine che ha scritto nella Ru-ral Reconstruction Review:“La prima cosa che abbiamo appreso è l’importanza di prendersi sufficientimargini di tempo. Ciò significa avere la pazienza di affrontare ore di dialoghi econsultazioni. Purtroppo l’efficienza viene spesso definita dal rapporto produ-zione/tempo; cosicché più un’azione viene realizzata velocemente, più sembraefficiente. Tuttavia, una tale efficienza ha luogo a spese dell’adesione realedelle comunità che pur costituiscono l’obiettivo e i beneficiari finali di tutto losforzo di sviluppo. Al principio mi scusavo di tutto il tempo impiegato a far par-tecipare i contadini. Ma un giorno un filosofo indiano ha appianato le mie in-quietudini dicendomi: «Se qualcuno ritiene che il vostro modo di procedereprenda troppo tempo, dategli un uovo e chiedetegli cosa ne vuole fare. Perdelle uova fritte, dieci minuti sono più che sufficienti. Se è un pulcino ciò chevuole, beh, gli ci vogliono 21 giorni»”. Non solo si è imparato a prendere inconsiderazione la durata, ma anche il momento in cui si interviene. Adessonon interveniamo che nel caso in cui siano le comunità stesse a richiederemaggiori informazioni per acquisire competenze a livello locale.La più grande tentazione per il personale tecnico è di predisporre lui stessotutto il processo. Ma i fallimenti del passato hanno insegnato a non ripeterequesto “atteggiamento che esclude la popolazione”.

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CAPITOLO 7 193

QUALCHE INDICAZIONE PER LA PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ PARTECIPATIVE

Se volete aver successo dovete:

fissare un compito breve e chiaro, in-vece di fare dei discorsi o porre dellequestioni

utilizzare del materiale pratico e mul-tisettoriale, anziché limitarvi alla co-municazione verbale

creare un clima formale e nel con-tempo disteso

scegliere un’attività che coinvolga ipartecipanti

evocare sentimenti, credenze, biso-gni, doveri, percezioni, aspirazioni

incoraggiare la creatività, lo spiritod’analisi, la pianificazione

decentralizzare l’assunzione di deci-sioni

Così facendo:

dividerete tra voi il potere

allargherete la vostra base di parteci-pazione

metterete tutti in una condizione dieguaglianza

farete venir fuori i talenti, le qualità dirispetto reciproco

vi assicurerete della loro pertinenza

rafforzerete la fiducia in sé stessi, il ri-spetto in sé stessi, la capacità di ca-varsela

svilupperete la loro capacità di intra-prendere azioni pratiche

SUGGERIMENTI PER GLI ANIMATORI

Privilegiate le riunioni ristrette, lavorare in gruppi poco numerosi permette:– di meglio analizzare i problemi;– di scambiarsi le idee.Siate il facilitatore, la persona che:– spiega le attività di gruppo;– guida il dibattito;– dà le informazioni nel momento in cui la necessità si impone.Essere in grado di fare da moderatore e coinvolgere i partecipanti alle riunionicomunitarie richiede conoscenza e abilità.Programmate e preparate le riunioni comunitarie al fine di creare un’atmosferache intrattenga l’attenzione delle popolazioni e permetta loro di partecipare at-tivamente alla riunione:– siate flessibili;– cercate di identificare i problemi a partire dai differenti punti di vista espres-

si;

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– date la parola e sappiate come interromperla (ponendo delle domande e/ointroducendo alcune attività);

– cominciate con ciò che la gente conosce e continuate progressivamente laseduta a partire da questa base;

– evitate di dire alle persone ciò che devono fare (di dare loro una risposta giàpreconfezionata);

– prevedete i tempi per le sintesi e le domande;– date stimoli e idee in grado di suscitare la reazione dei partecipanti.

1) Occorre considerare i punti seguenti:– Dove: cercate di tenere le riunioni comunitarie in luoghi neutri e mai in luoghi

non accessibili all’insieme della comunità (tenete dunque conto dei vari ob-blighi sociali, culturali, economici, sociologici, etc.).

– Disponete le persone lungo una circonferenza affinché ciascuno veda gli al-tri partecipanti.

– Cosa: fate in modo che strumenti e risorse (supporti alla riunione) siano di-sponibili.

– Chi: lavorate con 12, 15 o 20 persone. Un numero troppo elevato non favori-sce una buona partecipazione, mentre un numero troppo basso non permet-te di sfruttare tutte le “persone risorsa” disponibili all’interno della comunità.

– Come: per alcune discussioni e attività, utilizzate gruppi di lavoro da 2 a 5persone. Per la ricerca di soluzioni ad alcuni problemi può essere interessan-te avere gruppi separati di uomini e donne. Questo aiuta ciascun gruppo adaprirsi, a esteriorizzarsi.

– Quando: pianificate la vostre riunioni in funzione della disponibilità dei parte-cipanti (in alcune comunità, le donne hanno tutte le mattinate impegnate dailavori domestici). Preoccupatevi che tutti siano comodamente seduti in circo-lo e siano a loro agio. Scegliete un segretario che prenda appunti durante ildibattito e fate ogni volta il riassunto della discussione.

2) Mantenete l’atmosfera attraverso diverse attività. Questo aiuterà i parteci-panti a rilassarsi prima, durante e dopo la riunione comunitaria.In qualità di mediatori della riunione, voi dovrete vegliare affinché si rispettino:– la libertà accordata a ciascuno per esprimere liberamente le proprie opinio-

ni;– la necessità di ascoltare nel momento in cui uno dei partecipanti parla;– l’obbligo di non interrompere colui che parla;– il bisogno di discrezione e di confidenzialità;– la cortesia di lasciare che ciascuno si esprima, senza fare pressioni.

3) Durante le discussioni:– cercate di mantenere l’atmosfera;– cercate di comprendere le abitudini, le credenze, i punti forti e i punti deboli

di ciascun partecipante;– tenete conto del loro livello di formazione, della loro saggezza e volontà;

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4) Ricordatevi le regole importanti:– seguite e mantenete il contatto visivo con ciascuno;– siate coincisi e semplici;– evitate linguaggi troppo complicati (le parole troppo sofisticate o troppo tec-

niche);– siate chiari nelle vostre spiegazioni sui comportamenti in materia di igiene,

parlate di soluzioni e di alternative;– ripetete le informazioni senza essere noiosi;– chiedete ai partecipanti di fare la sintesi di ciò che hanno recepito;– non erigetevi a professore che impartisce lezioni;– evitate di parlare troppo;– non date consigli se non dove è necessario;– siete attenti;– evitate di litigare con i partecipanti o di essere nervosi;– canalizzate le discussioni di gruppo;– aiutate il gruppo a non perdere di vista gli obiettivi che voi perseguite;– aiutate il gruppo a rispettare gli orari.

5) Osservate i diversi modi di fare:– chiedetevi come si sentono le persone: i partecipanti sono confusi, arrabbia-

ti, annoiati, frustrati, felici, interessati, attenti, seduti comodamente (su sediecomode, disposti in cerchio, etc.)? Ciò vi permetterà di apprezzare l’umoredei partecipanti e la loro disponibilità, l’andamento della discussioni in vistadelle azioni che devono essere intraprese;

– siate pronti ad affrontare delle situazioni difficili quali comportamenti scorret-ti da parte dei membri di un gruppo che potrebbero impedire il normale svol-gimento della riunione (urla, collera, minacce, etc.);

– cercate di risolvere questi problemi ponendo delle domande come:• secondo voi, quale può essere la causa di questo problema?• cosa pensano gli altri di questo problema?• dite “Grazie per il vostro contributo. Adesso, ascoltiamo cosa ne pensanogli altri”;• utilizzate i giochi di ruolo per dimostrare un fatto;• domandate il punto di vista di un partecipante tranquillo.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE196

7.4 IL DIAGNOSTICO PARTECIPATIVO4

I l progetto “Da rifiuto a risorsa” si propone di sensibilizzare la popolazionesul tema dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla raccolta, all’eliminazione

o all’eventuale recupero.Data la complessità del problema – origini, tipologia e quantità dei rifiu-

ti, attori coinvolti, caratteristiche delle città e dei quartieri rispetto a infra-strutture e mezzi a disposizione – la popolazione deve prendere coscienzadell’importanza della sua partecipazione attiva. Fra le metodologie indivi-duate per svolgere le attività vi è l’approccio partecipativo a livello locale.Questo significa la consultazione del comitato di pilotaggio e dei diversielementi costitutivi della società locale e la presentazione da parte lorodelle modalità di realizzazione per assicurare un’educazione ambientale eun’integrazione di tutte le risorse umane, tecniche e materiali.

Il comitato di pilotaggio di Parcelles Assainies ha deciso di realizzare nel2003 un diagnostico partecipativo per conoscere, da un lato, la percezione suitemi di rifiuti/ambiente/qualità della vita della popolazione nei diversi quartieri,e per valutare, dall’altro, il progetto e le azioni di sensibilizzazione realizzate.

� 7.4.1 Definizioni

Lo sviluppo partecipativo è un cambiamento positivo dello status (socia-le, culturale, economico) dei beneficiari in seguito al loro coinvolgimentoresponsabile nel processo di analisi e azione.

L’approccio partecipativo è un processo pluridisciplinare iterativo, e cioèun insieme di attività informali, sistematiche e di apprendimento progressivoutilizzate per il diagnostico, la pianificazione, lo svolgimento e la valutazione.

4 I successivi paragrafi sono stati redatti da Monica Berti e Laurent Diène del comitato dipilotaggio di Parcelles Assainies.

Informale La generazione di informazione e di cono-scenza non segue uno schema fisso, maadatta gli strumenti alle circostanze.

Il rapporto fra gli attori che intervengononon è rigido, verticale, che oppone i tecni-ci “che sanno” alla popolazione “che nonsa”, piuttosto rilassato, amichevole, orien-tato alla ricerca collettiva in cui ognunoporta le sue conoscenze.

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� 7.4.2 Storia

A partire dagli anni Sessanta le persone che lavoravano in programmi disviluppo hanno cominciato un analisi sui diversi fallimenti che si lasciavanoalle spalle. Si fece strada una constatazione: tutte le decisioni venivano dal-l’alto, dall’esterno, così come le analisi, le programmazioni e le valutazioni.I programmi si realizzavano solo con un trasferimento di tecnologie. Lapopolazione rurale o urbana non era che un fattore del progetto chiamato“i beneficiari”.

Poco alla volta sono nate diverse metodologie per migliorare la ricerca,il contatto con la popolazione, un reale trasferimento di competenze, lamessa in comune dei saperi e la valorizzazione dell’esperienza locale.

Ricerca-sistema, ricerca-sviluppo, rapid rural appraisal (Rra), approccioSondeo, diagnostico rurale partecipativo, Zoop, Sarar, metodo attivo diricerca e pianificazione partecipativa (Marp) e altri ancora sono i metodipartecipativi che si sono affacciati sulla scena di diversi paesi. Hanno tuttiin comune la volontà di accordare una maggior responsabilità alle basi, for-nendo loro degli strumenti di autoanalisi e facilitando il trasferimento dicompetenze. Una sinergia interattiva, su una base di uguaglianza, fra atto-ri che intervengono dall’esterno e attori alla base è il risultato dei suoi meto-di.

I metodi partecipativi vogliono coinvolgere tutte le categorie sociali,comprese le più marginali, nell’analisi dei problemi e la ricerca di soluzioni

Sistematico

Apprendimento progressivo

Il tema è analizzato nel suo complessocome un sistema in cui intervengono nume-rosi fattori (sociali, economici, culturali,ambientali, storici, etc.) che agiscono traloro e si influenzano reciprocamente.

Diverse competenze sono raggruppate inun’equipe pluridisciplinare per affrontare iltema secondo i diversi punti di vista.

A ogni incontro nuove informazioni vengo-no raccolte, analizzate e completate pro-gressivamente.

L’approccio modifica l’attitudine dei parte-cipanti perché richiede la messa in comu-ne dei vari “saper fare” e apporta un cam-biamento del “saper essere”.

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE198

perché esse conoscono il loro contesto di vita e hanno la capacità di deci-dere e di agire.

� 7.4.3 Alcuni principi dell’approccio partecipativo

L’approccio partecipativo si basa su alcuni principi fondamentali:– il cambiamento di attitudine dei partecipanti: gli attori che intervengono

dall’esterno non sono più i soli esperti che parlano a monologhi e guarda-no gli altri dall’alto. Gli attori della base – la popolazione rurale, il gruppodi produttori, le associazioni femminili, etc. – devono prendere confiden-za con se stessi, riconoscere che hanno delle conoscenze, dei saper faree delle esperienze che devono essere presi in considerazione, valorizza-ti e completati con apporti esterni (ricerche scientifiche, scambi con altrigruppi, apporti bibliografici, etc.);

– la volontà collettiva di imparare e rimettersi in discussione grazie a scam-bi orizzontali, fra persone che si considerano sullo stesso livello, con loscopo di realizzare l’analisi più completa e la ricerca di soluzioni migliori;

– la scelta di lavorare in equipe multidisciplinari per conoscere un proble-ma in tutte le sue sfaccettature e integrare tutte le variabili di conoscen-za;

– la voglia di lavorare in un contesto rilassato, piacevole, in cui tutti si sen-tono a loro agio (all’ombra di un albero, su un terrazzo, in una semplicesala, etc.) con materiali locali, economici, facili da reperire e da usare pernon creare un arresto tecnologico. Tutto questo semplifica l’adozione delmetodo da parte delle popolazioni di base e il loro impiego al di fuori dei“progetti di ricerca fondi”;

– la capacità di ascoltare senza interrompere e di lasciar parlare tutti, com-prese le persone timide e quelle che appartengono alle classi sociali piùemarginate (poveri, malati, etc.);

– l’impiego di diversi strumenti/tecniche che permettono a tutti i partecipan-ti di elaborare informazioni, sia che siano essi analfabeti o istruiti;

– la triangolazione delle informazioni ottenute con i diversi strumenti, quin-di il paragone e l’incrocio delle esperienze per completare la comprensio-ne ed eliminare il più possibile tutte le variabili d’interpretazione (cultura-le, linguistica, sociale, economica, di genere o generazionale, etc.);

– la flessibilità, la capacità e la fantasia per reinventare e modificare gli stru-menti per adattarli al meglio alle diverse situazioni, affinché ciascuno sisenta a suo agio e possa portare il suo punto di vista;

– la coscienza del fatto che non si può avere una conoscenza totale, al con-trario è normale avere una certa ignoranza sia qualitativa che quantitati-va su un argomento; l’importante è aver scandagliato il problema e gene-

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rato un’analisi collettiva e una presa di coscienza da parte di tutti gli atto-ri;

– la convinzione che le percezioni e le opinioni qualitative sono importantitanto quanto i dati quantitativi e numerici, perché le une completano lealtre e tutte svelano un aspetto della realtà;

– la piena accettazione della rimessa in discussione e della modifica di unostrumento da parte dei partecipanti. Per questo si consiglia di non fissa-re stabilmente i fogli di carta prima della messa in comune e della trian-golazione;

– lo sforzo di essere sempre curiosi e di voler comprendere, verificare, ana-lizzare tutto ciò che ci pare poco chiaro. Questo fa parte della triangola-zione e permette di liberare nuove piste di analisi e ricerca.

� 7.4.4 Alcuni strumenti dell’approccio partecipativo

Gli strumenti o tecniche utilizzabili possono essere suddivisi in tre cate-gorie, a seconda che permettano di individuare:– la dimensione spaziale: carte, piani, sezione trasversale, etc.– la dimensione temporale: profilo storico, calendario annuale e stagionale,

linea di tendenza, etc.– la dimensione sistemica: diagramma di flusso, diagramma di Venn, albe-

ro dei problemi, diagramma di impatto, matrici, etc.Per un primo diagnostico sulla questione dei rifiuti a Parcelles Assainies

sono stati utilizzati in ogni zona solo alcuni strumenti, a causa di limitazionitemporali ed economiche.

È utile ricordare che:– gli strumenti non sono lo scopo del diagnostico. Questo significa che

devono servire a far parlare la gente permettendo loro di esternare le loroopinioni;

– una discussione non è un interrogatorio, quindi bisogna far uscire le ideeper mezzo di domande aperte, che iniziano per “Chi? Dove? Quando?Perché? Come?” ed evitare le domande che esprimono un giudizio (Lasituazione dei rifiuti è grave a Parcelles, non è vero?) o che implicano solosì/no come possibile risposta (Portate i vostri rifiuti al camion dell’Ama?);

– la memoria è debole. È necessario prendere nota di tutti i commenti, puntidi vista, opinioni discordanti o riflessioni a lato per analizzarle, triangolar-le e completarle in fase di lavoro a tavolino;

– l’equipe multidisciplinare è una carta vincente. Alla fine di ogni diagnosti-co l’equipe di facilitatori/animatori deve ritrovarsi per scambiare le impres-sioni e mettere insieme le informazioni raccolte;

– la restituzione delle informazioni raccolte e del sapere generato è fonda-

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mentale in tutte le tappe e parte integrante del diagnostico. Quando sisvolgono i laboratori nelle diverse zone, ci vuole un momento di plenariaperché ogni gruppo presenti le informazioni ottenute con lo strumento uti-lizzato e tutti i partecipanti possano così completarli, correggerli, modifi-carli. Dopo il diagnostico di zona i risultati elaborati saranno presentati erimessi in discussione da una nuova triangolazione in occasione del semi-nario finale;

– il diagnostico non sarà mai finito perché la realtà è in permanente cam-biamento. Bisogna dunque fare attenzione alla migliore percezione in uncerto momento e rinnovare il diagnostico dopo i momenti importanti.Gli strumenti utilizzati permettono di delineare una visione di insieme

sulla percezione della popolazione dei rifiuti – cause, conseguenze, solu-zioni possibili – sugli attori che producono ed eliminano rifiuti e sull’impattoche la fase svolta del progetto ha avuto sulla presa di coscienza e la sen-sibilizzazione ambientale.

Per questa ragione sarà importante esporre, al termine delle varie ses-sioni di animazione, tutti gli strumenti elaborati nelle diverse zone del quar-tiere per un’analisi e una comparazione dei risultati ottenuti.

L’equipe multidisciplinare (il comitato di pilotaggio) presenterà le analisie i commenti che avrà realizzato durante il lavoro a tavolino aggiungendotutte le informazioni intercettate durante i diagnostici di zona, con la realiz-zazione degli strumenti per gruppo e la restituzione in plenaria.

È necessaria una verifica della comprensione, valorizzazione di tutti gliapporti e della presentazione del lavoro, come una nuova triangolazioneche permetterà di completare e migliorare il documento.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE200

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Scheda diagnostico 1

L’albero dei problemi

Questo strumento permette di collegare, per un certo problema, le cause alleconseguenze e alle soluzioni possibili.

Il problema è definito insieme o individuato secondo la necessità del diagnosti-co: rappresenta il tronco.Le diverse cause sono elencate, scritte, simboleggiate o disegnate su dei foglidai partecipanti: sono le radici.Gli effetti o le conseguenze su diversi livelli sono altresì scritti su dei fogli: rap-presentano i rami.Le possibili soluzioni corrispondono ai frutti appesi ai rami.Attenzione: A volte non è semplice distinguere conseguenze da cause. Occor-re sempre avere chiaro in mente il problema a cui ci si riferisce.

CAPITOLO 7 201

conseguenza

conseguenzaconseguenza

soluzione

conseguenza

soluzione

effetto

effetto

causacausacausa

causa

PROBLEMADA

ANALIZZARE

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Scheda diagnostico 2

Il diagramma di Venn

Simile a un tiro a segno, questo strumento permette di identificare tutti gli atto-ri su un tema, individuare il loro ruolo e definire le interazioni e sinergie esisten-ti.

Al centro (bersaglio) si trova la zona/quartiere in questione e i suoi rifiuti. Tuttointorno, più o meno vicini, si mettono gli attori il cui nome è scritto su dischi dicarta (i proiettili)La distanza dal centro indica la percezione dell’utilità, dell’impatto delle azionirealizzate dall’attore. La sovrapposizione parziale fra attori indica la collabora-zione. Il centro può dividersi come una torta per indicare i diversi produttori di rifiuti ela loro importanza relativa. Si ottiene questa distinzione elencando i produttori di rifiuti e poi invitandoqualcuno dei partecipanti a dare un “peso” o un “voto”.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE202

Diagramma realizzato dal Comitato di pilotaggio di Parcelles Assainies

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Scheda diagnostico 3

Il diagramma di flusso

Questo strumento facilita la comprensione dei tipi di rifiuti prodotti, dell’itinera-rio che seguono per essere eliminati o riciclati, chi interviene a ogni tappa, ledistanza percorse da ogni attore.

I cerchi indicano i luoghi in cui i rifiuti sono deposti, le frecce permettono di di-stinguere chi trasporta i rifiuti e con quale mezzo, la lunghezza della freccia in-dica la distanza percorsa o la difficoltà di trasporto. Si possono distinguere i rifiuti domestici dagli altri rifiuti (degli artigiani, deicommercianti, degli ambulatori medici, dei carrettieri, etc.) e paragonare i per-corsi di eliminazione.Attenzione: occorre essere attenti a che il diagramma rimanga chiaro e di faci-le lettura. Bisogna annotare alcune informazioni per non dimenticarle, come icommenti e i giudizi qualitativi.

CAPITOLO 7 203

Discaricaabusiva

CamionAMA

Discaricadi

bottiglie divetro e

Bambini,domestiche

Secchi,sacchi Domestiche

donnebambini

camion

domestiche

secchi

riciclatorispiagge

secchi

RIFIUTI

ALTRI RIFIUTI

Diagramma realizzato dal Comitato di pilotaggio di Parcelles Assainies

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Scheda diagnostico 4

Il diagramma di impatto

Simile al sole che tramonta sul mare, questo strumento permette di valutare unprogetto, un’azione o un intervento con, da una parte, gli effetti negativi e le so-luzioni da intraprendere nel futuro, dall’altra gli impatti positivi e le conseguen-ze a medio termine. In questo caso, sono state prese in considerazione le attività nell’ambito delprogetto “And setal sunu gox”.

Ogni raggio di sole collega un effetto negativo o un risultato positivo all’internodi un primo cerchio, poi una soluzione o un impatto a medio termine.È più semplice cominciare dai risultati positivi, per continuare con gli effetti ne-gativi o le debolezze. In seguito si identificano le soluzioni e infine gli impatti amedio termine. Attenzione: bisogna riuscire a sintetizzare, disegnare o simboleggiare gli effet-ti negativi e gli impatti positivi affinché il diagramma non risulti troppo pesante.Bisogna permettere una comprensione che vada oltre le barriere linguistiche.

RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE204

Impatto futuro

Soluzione

Conseguenze amedio termine

Soluzione

PROGETTOAND

SETALSUNUXGOX

Risultatopositivo

Risultatopositivo

Risultatopositivo

Risultatopositivo

Risultatopositivo

Effettonegativo

Effettonegativo

Effettonegativo

Effettonegativo

Effettonegativo

Diagramma realizzato dal Comitato di pilotaggio di Parcelles Assainies

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Scheda diagnostico 5

La matrice di pesi

Data la complessità del problema di gestione dei rifiuti, è importante elaborareun piano d’azione efficace per i futuro sulla base delle priorità identificate dal-la popolazione. Per questo si possono utilizzare due nuovi strumenti: la matri-ce e la pianificazione. Questo strumento serve a identificare gli aspetti prioritari di un problema, quel-li che costituiscono un gran peso per la popolazione. Permette inoltre di distin-guere i criteri di analisi del problema.La matrice è una griglia in cui le righe corrispondono alle diverse categorie, lecolonne i diversi criteri di analisi.Sia le categorie che i criteri devono essere indicati dai partecipanti. Occorreavere ben chiaro che alcuni criteri sono negativi (tossicità) e altri positivi (pos-sibilità di recupero o di riutilizzo).

Un “peso” o un “voto” verrà dato a ogni categoria per ogni criterio, dopo averdeciso la scala di valori, per esempio: 1 (poco), 5 (medio), 10 (molto).Si può procedere in due modi:alcuni partecipanti avranno a disposizione pietre, conchiglie, pezzi di legnoche dovranno spostare per quantificare ogni intersezione. Il risultato verrà vali-dato dagli altri partecipanti;insieme si cerca di dare un valore che rappresenti l’opinione di tutti.Infine si sommano i “pesi” o i “voti” di ogni categoria e si effettua la classifica-zione in ordine di priorità decrescente (il totale più alto indica la categoria cheha una priorità più alta).Se ci sono dei criteri positivi e negativi bisogna procedere in due tappe. Innan-zitutto sommare separatamente i valori negativi totali (totale N) e positivi (tota-le P), poi sottrarre il totale degli aspetti positivi a quello degli aspetti negativi:totale N – totale P = totale di categoria. Attenzione: Può essere che ci siano percezioni differenti a seconda dei gruppisociali (donne, anziani, bambini, artigiani, etc.). Non bisogna perdere troppotempo nel decidere il peso, sono la discussione e i motivi i punti rilevanti cheoccorre annotare.

CAPITOLO 7 205

Criterio Peso o voto Livello di totale importanza

Tipo di rifiuti

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RIFIUTI URBANI E SVILUPPO LOCALE206

Scheda diagnostico 6

La pianificazione

Si tratta di una griglia in cui appaiono i problemi per ordine di priorità, le solu-zioni adottate e gli attori da responsabilizzare.Si realizza in plenaria, ma costituisce l’inizio di una discussione che dovrà es-sere approfondita e completata con i mezzi da realizzare e il calendario dellesequenze.

Problemi in ordine di priorità Soluzioni identificate Attori daresponsabilizzare

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Scheda diagnostico 7

Alcuni suggerimenti per continuare a riflettere

La preparazione teorica serve a poco, è la pratica che permette di appropriar-si degli strumenti e di sentirsi a proprio agio nel loro utilizzo ed eventuale modi-fica per adattarli allo scopo prefisso (soggetto da analizzare, gruppo bersa-glio, etc.).L’approccio partecipativo permette di generare molte informazioni e dati, èimportante sistematizzarli e divulgarli.Le informazioni raccolte sono affidabili perché risultano dall’apporto di tutti (eli-minazione dell’unicità di prospettiva) e della triangolazione (impiego di diversistrumenti complementari).La visualizzazione delle informazioni è un mezzo di animazione pedagogicache permette di motivare le discussioni, di stimolare l’apporto del singolo, disistematizzare e capitalizzare le conoscenze. Il cambiamento di attitudine e di comportamenti durante i laboratori partecipa-ti innesca un cambiamento di rapporti di forza tra attori e nicchie sociali nellavita quotidiana. Spesso alla fine di una sequenza partecipativa la popolazione rivela una presadi coscienza di fronte a una situazione sempre vissuta ma mal compresa epoco gestita. L’approccio partecipativo è fondato sul principio di democratizzazione delpotere di conoscenza e di azione e permette di rafforzare tutte le capacitàdegli attori. L’auto-analisi della popolazione sfocia in una responsabilizzazione e volontà diazione trasformandoli in attori di sviluppo anziché semplici spettatori. Assicura una durata, equità e coerenza di programmi di sviluppo così comeuna più grande efficacia/efficienza delle azioni intraprese.

Attenzione: non bisogna deludere le aspettative della popolazione. È impor-tante dare seguito alle pianificazioni e praticare l’approccio partecipativo nellefasi successive e nella valutazione futura.

CAPITOLO 7 207