dalla maniera al manierismo

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Maniera e Manierismi GIORGIO VASARI, Vite, Parte terza, Proemio [Prima maniera] Veramente grande augumento fecero alle arti, nella architettura, pittura e scultura quelli eccellenti maestri che noi abbiamo descritti sin qui nella seconda parte di queste Vite, aggiugnendo alle cose de' primi regola, ordine, misura, disegno e maniera, se non in tutto perfettamente, tanto almanco vicino al vero, che i terzi di chi noi ragioniamo da qui avanti, poterono mediante quel lume sollevarsi e condursi a la somma perfezione, dove abbiam le cose moderne di maggior pregio e più celebrate. La maniera venne poi la più bella, da l'avere messo in uso il frequente ritrarre le cose più belle, e da quel più bello mani o teste o corpi o gambe, agiugnerle insieme e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva; e metterla in uso in ogni opera per tutte le figure, che per questo se dice ella essere bella maniera. Queste cose non l'aveva fatte Giotto, né que' primi artefici, se bene eglino avevano scoperto i principii di tutte queste difficultà, e toccatele in superficie, come nel disegno, più vero che e' non era prima e più simile alla natura, e così l'unione de' colori et i componimenti delle figure nelle storie e molte altre cose, de le quali a bastanza s'è ragionato. Giotto, Compianto sul Cristo Morto, 1302 ca. Padova, Cappella degli Scrovegni.

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Page 1: Dalla Maniera al Manierismo

Maniera e Manierismi

GIORGIO VASARI, Vite, Parte terza,

Proemio [Prima maniera] Veramente grande augumento fecero alle arti, nella architettura, pittura e scultura quelli eccellenti maestri che noi abbiamo descritti sin qui nella seconda parte di queste Vite, aggiugnendo alle cose de' primi regola, ordine, misura, disegno e maniera, se non in tutto perfettamente, tanto almanco vicino al vero, che i terzi di chi noi ragioniamo da qui avanti, poterono mediante quel lume sollevarsi e condursi a la somma perfezione, dove abbiam le cose moderne di maggior pregio e più celebrate. La maniera venne poi la più bella, da l'avere messo in uso il frequente ritrarre le cose più belle, e da quel più bello mani o teste o corpi o gambe, agiugnerle insieme e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva; e metterla in uso in ogni opera per tutte le figure, che per questo se dice ella essere bella maniera.

Queste cose non l'aveva fatte Giotto, né que' primi artefici, se bene eglino avevano scoperto i principii di tutte queste difficultà, e toccatele in superficie, come nel disegno, più vero che e' non era prima e più simile alla natura, e così l'unione de' colori et i componimenti delle figure nelle storie e molte altre cose, de le quali a bastanza s'è ragionato.

Giotto, Compianto sul Cristo Morto, 1302 ca. Padova,

Cappella degli Scrovegni.

Page 2: Dalla Maniera al Manierismo

Seconda Maniera «Ma se ben i secondi augumentarono grandemente a queste arti tutte le cose dette di sopra, elle non erano però tanto perfette, che elle finissino di agiugnere a l'intero della perfezzione. Mancandoci ancora nella regola una licenzia che, non essendo di regola, fusse ordinata nella regola e potesse stare senza fare confusione o guastare l'ordine, il quale aveva di bisogno di una invenzione copiosa di tutte le cose e d'una certa bellezza continuata in ogni minima cosa, che mostrasse tutto quell'ordine con più ornamento. Nelle misure mancava uno retto giudizio, che senza che le figure fussino misurate avessero in quelle grandezze, ch'elle eran fatte, una grazia che eccedesse la misura. Nel disegno non v'erano gli estremi del fine suo, perché se bene e' facevano un braccio tondo et una gamba diritta, non era ricerca con muscoli con quella facilità graziosa e dolce, che apparisse fra 'l vedi e non vedi, come fanno la carne e le cose vive: ma elle erano crude e scorticate, che faceva difficultà a gli occhi e durezza nella maniera, alla quale mancava una legiadria di fare svelte e graziose tutte le figure e massime le femmine et i putti con le membra naturali come a gli uomini, ma ricoperte di quelle grassezze e carnosità, che non siano goffe come li naturali, ma artefiziate dal disegno e dal giudizio.

Et avvegna che molti di loro cominciassino come Andrea Verrocchio, Antonio del Pollaiuolo e molti altri più moderni, a cercare di fare le loro figure più studiate, e che ci apparisse dentro maggior disegno, con quella imitazione più simile e più a punto alle cose naturali, non di meno e' non v'era il tutto ancora, che ci fussi una sicurtà più certa, ch'eglino andavano inverso il buono e ch'elle fussino però approvate secondo l'opere de gli antichi, come si vide quando il Verrocchio rifece le gambe e le braccia di marmo al Marsia di casa Medici in Firenze, mancando loro pure una fine et una estrema perfezzione ne' piedi, ancora che il tutto delle membra sia accordato con l'antico et abbia una certa corrispondenzia giusta nelle misure».

Artista romano (restauro Andrea Verrocchio), Marsia Rosso, I sec. Firenze, Uffizi

Page 3: Dalla Maniera al Manierismo

La terza Maniera

«Bene lo trovaron poi dopo loro gli altri, nel veder

cavar fuora di terra certe anticaglie citate da Plinio

de le più famose: il Lacoonte, l'Ercole et il Torso

grosso di Belvedere, così la Venere, la

Cleopatra, lo Apollo et finite altre, le quali nella

lor dolcezza e nelle lor asprezze con termini

carnosi e cavati da le maggior bellezze del vivo,

con certi atti, che non in tutto si storcono, ma si

vanno in certe parti movendo, si mostrano con una

graziosissima grazia. E furono cagione di levar

via una certa maniera secca e cruda e tagliente,

che per lo soverchio studio avevano lasciata in

questa arte Pietro della Francesca, Lazzaro Vasari,

Alesso Baldovinetti, Andrea dal Castagno,

Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Cosimo

Rosselli, l'Abate di San Clemente, Domenico del

Ghirlandaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna,

Filippo e Luca Signorello; i quali per sforzarsi

cercavano fare l'impossibile dell'arte con le fatiche

e massime ne gli scorti e nelle vedute spiacevoli

che, sì come erano a loro dure a condurle, così

erano aspre e difficili a gli occhi di chi le

guardava».

Piero della Francesca (1416/17-1492), Resurrezione, 1468 ca. Sansepolcro, Museo Civico

Page 4: Dalla Maniera al Manierismo

P. Perugino (1448-1523), Sposalizio della Vergine, 1505. Caen, Musée des Beaux Arts

«Et ancora che la maggior parte

fussino ben disegnate e senza

errori, vi mancava pure uno

spirito di prontezza che non

ci si vede mai, et una dolcezza

ne' colori unita, che la

cominciò ad usare nelle cose

sue il Francia Bolognese e

Pietro Perugino. Et i popoli

nel vederla corsero come matti

a questa bellezza nuova e più

viva, parendo loro

assolutamente che e' non si

potesse già mai far meglio».

Page 5: Dalla Maniera al Manierismo

Leonardo, Cenacolo, Milano, 1494-98. Santa Maria delle Grazie

«Ma lo errore di costoro dimostrarono poi chiaramente le opere di Lionardo da Vinci, il quale, dando principio a quella terza maniera noi vogliamo chiamare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, et oltra il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura così appunto come elle sono, con buona regola, migliore ordine, retta misura, disegno perfetto e grazia divina, abbondantissimo di copie e profondissimo di arte, dette veramente alle sue figure il moto et il fiato».

Page 6: Dalla Maniera al Manierismo

«Seguitò dopo lui, ancora che

alquanto lontano, Giorgione da

Castelfranco, il quale sfumò le sue

pitture e dette una terribil movenzia

a certe cose, come è una storia nella

scuola di San Marco a Venezia,

dove è un tempo torbido che tuona,

e trema il dipinto, e le figure si

muovono e si spiccano da la tavola,

per una certa oscurità di ombre bene

intese. Né meno di costui dette alle

sue pitture forza, rilievo, dolcezza e

grazia ne' colori fra' Bartolomeo di

San Marco».

Giorgione, Tempesta, 1505 ca. Venezia, Galleria dell’Accademia.

Page 7: Dalla Maniera al Manierismo

«Ma più di tutti il graziosissimo Raffaello da Urbino, il quale studiando le fatiche de' maestri vecchi e quelle de' moderni,

prese da tutti il meglio, e fattone raccolta, arricchì l'arte della pittura di quella intera perfezzione, che ebbero anticamente le

figure di Apelle e di Zeusi e più, se si potessi dire o mostrare l'opere di quelli a questo paragone. Laonde la natura restò

vinta da i suoi colori, e l'invenzione era in lui sì facile e propria quanto può giudicare chi vede le storie sue, le quali

sono simili alli scritti, mostrandoci in quelle i siti simili e gli edificii, così come nelle genti nostrali e strane, le cere e gli

abiti, secondo che egli ha voluto: oltra il dono della grazia delle teste, giovani, vecchi e femmine, riservando alle modeste la

modestia, alle lascive la lascivia et a i putti ora i vizii ne gli occhi et ora i giuochi nelle attitudini. E così i suoi panni piegati,

né troppo semplici, né intrigati, ma con una guisa che paion veri. Seguì in queta maniera, ma più dolce di colorito e non tanta

gagliarda Andrea del Sarto, il qual si può dire che fusse raro, perché l'opere sue son senza errori. Né si può esprimere le

leggiadrissime vivacità vive che fece nelle opere sue Antonio da Correggio, sfilando i suoi capelli con un modo, non di

quella maniera fine che facevano gli innanzi a lui, ch'era difficile, tagliente e secca, ma d'una piumosità morbidi, che si

scorgevano le fila nella facilità del farli, che parevano d'oro e più belli che i vivi, i quali restano vinti da i suoi coloriti».

Raffaello, Scuola d’Atene, 1509-11. Città del Vaticano, Stanze di Giulio II.

Page 8: Dalla Maniera al Manierismo

«Il simile fece Francesco Parmigiano suo creato, il

quale in molte parti di grazia e di ornamenti e di

bella maniera lo avanzò, come si vede in molte

pitture sue, le quali ridano nel viso e de gli occhi

veggono vivacissimamente, scorgendosi il batter de'

polsi, come più piacque al suo pennello. Ma chi

considererà l'opere delle facciate di Polidoro e di

Maturino, vedrà le figure far que' gesti che

l'impossibile non può fare, e stupirà come e' si possa

non ragionare con la lingua ch'è facile, ma esprimere

col pennello le terribilissime invenzioni messe da

loro in opera con tanta pratica e destrezza,

rappresentando i fatti de' Romani come e' furono

propriamente. E quanti ce ne sono stati che hanno

dato vita alle loro figure coi colori ne morti? Come

il Rosso, fra' Sebastiano, Giulio Romano, Perin del

Vaga, perché de' vivi, che per se medesimo son

notissimi, non accade qui ragionare. Ma quello che

fra i morti e vivi porta la palma e trascende e

ricuopre tutti è il divino Michel Agnolo Buonarroti

il qual non solo tien il principato di una di queste arti,

ma di tutte tre insieme. Costui supera e vince non

solamente tutti costoro, che hanno quasi che vinto

già la natura, ma quelli stessi famosissimi antichi,

che sì lodatamente fuor d'ogni dubbio la

superarono» Michelangelo, Giudizio Universale, particolare, 1536-41.

Città del Vaticano, Cappella Sistina

Page 9: Dalla Maniera al Manierismo

I schola

«Che questi viventi si reducono a quattro ordini, classe o ver vogliam dire

schole, una delle quali è quella del Caravaggio, assai seguita, camminando per

essa con fine, diligentia e sapere Bartolomeo Manfredi, lo Spagnoletto,

Francesco detto Cecco del Caravagio, lo Spadarino et in parte Carlo

Venetiano». Proprio di questa schola è di lumeggiar con lume unito che venghi

d’alto senza reflessi […]. Questa schola in questo modo d’operare è molto

osservante del vero, che sempre lo tien davanti mentre ch’opera; fa bene una

figura sola, ma nella compositione dell’historia et esplicar affetto, pendendo

questo dall’immagination e non dall’osservanza della cosa, per ritrar il vero

che tengon sempre avanti, non mi par che vi vagliano, essendo impossibil di

mettere in una stanza una moltitudine d’huomini che rappresentin l’historia

[…]. E di questa schuola non credo forsi che se sia visto cosa con più gratia et

afffetto che quella zingara che dà la buona ventura a quel giovenetto, mano del

Caravaggio[…]»

GIULIO MANCINI

(1559-1630)

«Le quattro schole». Da Considerazioni sulla pittura (ca. 1620)

Page 10: Dalla Maniera al Manierismo

II schola

La seconda è quella dei Caracci, dei tre fratelli e nepote, con

Guido, Albano, Domenichino, et questi viventi di Bologna, et altri

di sopra nel Rolo proposti. Questa ha per proprio l’intelligenza

dell’arte con gratia et espression d’affetto, proprietà e composition

d’histoira, havendo congionto insieme la maniera di Raffaelo con

quella di Lombardia, perché vede il naturale, lo possiede, ne piglia

il buono, lascia il cattivo, lo migliora, e con lume naturale gli dà il

colore e l’ombra con le movenze e gratie

Page 11: Dalla Maniera al Manierismo

III schola

«La terza è quella del Cavalier Giuseppe, che ha

per proprio un spirito e proprietà di natura, con

buona compositione e gratia et in particolare

delle teste. E se bene non va osservando tanto

essattamente il naturale come quella del

Caravaggio / né quella gravità e sodezza di quella

delli Caracci, nondimeno ha in sé quella

vaghezza che in un tratto rapisce l’occhio e

diletta»

Page 12: Dalla Maniera al Manierismo

«Vi è la quarta schuola, e più tosto diremo ordine e grado che

schiola, et è di quei pittori, quali o vivono o poco prima son morti,

quali essendo tutti di valore nella professione, hanno operato con

un modo proprio et particolar senza andar per le pedate d’alcuno. Il

primo è il cavalier Cristofano Roncagli che con saper grande con

un suo proprio modo di colorire piace e piacerà più agl’intendenti

che agli huomini communi […]

Il secondo è il cavalier Passignano di maniera fra la natione

fiorentina e venetiana; ha gran prattica, risolutione e buon colorito

da mastro […]

Il terzo è il Cigoli, huomo di gran studio e sapere, ma duro

nell’operare […]

Il quarto è il cavalier Baglioni, il quale d’assai buon gusto e si son

visti alcuni ritratti molto boni

[…]

Page 13: Dalla Maniera al Manierismo

G. Baglione (1566 ca.-1643), Apparizione dell’Angelo a Giuseppe,

1598. Mosca, Museo Puškin (già Cappella S. Croce a S. Martino ai

Monti).

C. Roncalli (1553-1626), Santa Domitillla, Nereo e Achilleo, 1598-99, Roma,

chiesa dei Santi Nereo e Achilleo.

Page 14: Dalla Maniera al Manierismo

VINCENZO GIUSTINIANI (Lettera sulla pittura al Signor Teodoro Amideni, in Lettere Memorabili dell’Ab.

Michele Giustiniani, Roma, Tinassi, 1675).

• “Decimo, è il modo di dipingere, come si dice, di maniera, cioè che il pittore con lunga pratica di disegno e di colorire, di sua fantasia, senza alcun esemplare, forma in pittura quel che ha nella fantasia, così di teste, o figure intiere, come in istorie compite, o qualsivoglia altra cosa di disegno e colorito vago, nel quale modo ha dipinto a’ tempi nostri il Barocci, il Romanelli, il Passignano e Giuseppe d’Arpino, particolarmente nelle pitture a fresco in Campidoglio, nel che ha prevalso assai; ed in questo modo molti altri hanno a olio fatto opere assai vaghe e degne di lode”.

D. Passignano (1559-1638), Annunciazione, 1589-91. Roma, S. Maria in Vallicella

Page 15: Dalla Maniera al Manierismo

«Undecimo modo, è di dipignere con l’avere gli oggetti naturali davanti. S’avverta però che non basta farne il semplice ritratto; ma è necessario che sia fatto il lavoro con buon disegno, e con buoni e proporzionati contorni, e vago colorito e propri, che dipende dalla pratica di sapere maneggiare i colori, e quasi d’istinto di natura, e grazia a pochi conceduta; e soprattutto con saper dare il lume conveniente al colore di ciascheduna parte […] hanno dipinto il Rubuens, Gius. Spagnuolo, Gherardo [van Honthorst], Enrico [Hendrick ter Brugghen], Teodoro [van Baburen] ed altri simili, la maggiorparte Fiamminghi esercitati in Roma, che hanno saputo ben colorire».

T. Van Baburen, Deposizione, 1617. S. Pietro in

Montorio, Cappella Cusida.

Page 16: Dalla Maniera al Manierismo

• “Duodecimo modo, è il più perfetto di tutti; perché è più difficile, l’unire il modo decimo con l’undecimo già detti, cioè dipingere di maniera, e con l’esempio davanti del naturale, ché così dipinsero gli eccellenti pittori della prima classe, noti al mondo; ed ai nostri dì il Caravaggio, i Carracci, e Guido Reni, ed altri, tra i quali taluno ha premuto più nel naturale che nella maniera, e taluna più nella maniera che nel naturale, senza però discostarsi dall’uno, né dall’altro modo di dipignere, premendo nel buon disegno, e vero colorito, e con dare i lumi propri e veri”.

G. Reni, Strage degli innocenti, 1611. Bologna, Pinacoteca

Nazionale, Bologna.

Page 17: Dalla Maniera al Manierismo

Giovan Pietro Bellori

(1613-1696)

Page 18: Dalla Maniera al Manierismo

Rosso Fiorentino (1495-1540), Deposizione, Volterra, Museo Civico, 1521.

• “L’arte che da Cimabue e da Giotto, nel corso ben lungo di anni ducento cinquanta, erasi a poco a poco avanzata, tosto fu veduta declinare, e di regina divenne umile e volgare. Sicchè mancato quel felice secolo, dileguossi in breve ogni sua forma; e gli artefici, abbandonando lo studio della Natura, viziarono l’Arte con la maniera, o vogliamo dire fantastica Idea, appoggiata alla pratica, e non all’imitazione. Questo vizio distruttore della Pittura cominciò da prima a germogliare in maestri di onorato grido, e si radicò nelle scuole, che seguirono poi: onde non è credibile a raccontare quanto degenerassero non solo da Raffaele, ma dagli altri, che alla maniera diedero cominciamento.”

Page 19: Dalla Maniera al Manierismo

F. Salviati (1510-1563), L’occasione, 1554 ca. Roma, Palazzo Ricci Sacchetti.

G. Vasari (1511-1574), Adorazione dei magi, 1566-1567. Bosco Marengo (Alessandria).

Page 20: Dalla Maniera al Manierismo

• «Fiorenza che si vanta di essere madre della Pittura, e ‘l paese tutto di Toscana, per li suoi professori gloriosissimo, taceva già senza laude di pennello; e gli altri della Scuola romana non alzando più gli occhi a tanti esempj antichi e nuovi, avevano posto in dimenticanza ogni lodevole profitto; e sebbene in Venezia più, che altrove, durò la Pittura, non però quivi , o per la Lombardia udivasi più quel chiaro grido de’ colori, che tacque nel Tintoretto, ultimo sin’ora de’ Veneziani pittori. Dirò di più quello, che parrà incredibile a raccontarsi: né dentro, né fuori d’Italia, si ritrovava pittore alcuno; non essendo gran tempo, che Pietro Paolo Rubens, il primo riportò fuori d’Italia i colori; e Federico Barocci, che avrebbe potuto ristorare e dare soccorso all’Arte languiva in Urbino, e non le prestò ajuto alcuno».

F. Barocci (1535-1612), Madonna del Popolo, 1579. Firenze, Uffizi

Page 21: Dalla Maniera al Manierismo

“In questa lunga agitazioe, l’Arte veniva combattuta da due contrarj estremi; l’uno tutto soggetto al naturale, l’altro alla fantasia. Gli autori in Roma furono Michel’Angelo da Caravaggio, e Giuseppe di Arpino. Il primo copiava puramente li corpi, come appariscono agli occhi, senza elezione; il secondo non riguardava punto il naturale, seguitando la libertà dell’istinto; e l’uno e l’altro nel favore di chiarissima fama era venuto al mondo in ammirazione, ed in esempio.

Caravaggio, Ragazzo con canestra di

frutta, 1596-97. Roma, Galleria Borghese

Giuseppe Cesari (Cavalier d’Arpino), Davide e Golia, 1599 ca. Collezione privata.

Page 22: Dalla Maniera al Manierismo

Annibale Carracci, (1560-1609), Assunta, 1600 ca. Roma, S. Maria del Popolo

• “Così quando la Pittura volgevasi al suo fine, si rivolsero gli astri più benigni verso l’Italia e piacque a Dio che nella città di Bologna, di scienze maestra, e di studj, sorgesse un elevatissimo ingegno, e che con esso risorgesse l’Arte caduta, e quasi estinta. Fu questi Annibale Carracci”

Page 23: Dalla Maniera al Manierismo

L’abate Luigi Lanzi

(1732-1810) “Trasferivan poi nelle proprie composizioni quella rigidezza statuaria, quella membratura, quell’entrare ed uscire di muscoli, quella severità di volti, quelle attitudini di mani e di vita, che formano il suo terribile. Ma non penetrando nelle teorie di quell’uomo quasi inimitabile, né ben sapendo qual gioco faccian le molle del corpo umano sotto gl’integumenti della cute, essi erravano facilmente; or attaccando i muscoli fuor di luogo; or pronunziandoli a un modo stesso in chi si move, e in chi sta; in un giovane delicato, e in un uomo adulto. Contenti di questa cos’ creduta grandiosità di maniera, non si curavano molto del rimanente. Vedrete in certi lor quadri una folla di figure l’una sopra l’altre posate non si sa in qual piano; volti che nulla dicono, attori seminudi che nulla fanno se non mostrare pomposamente come l’Entello di Virgilio magna ossa lacertosque. La pittura, specialmente a fresco, divenne un lavoro di pratica, e quasi un meccanismo, una imitazione non del naturale a cui non guardavasi, ma delle idee capricciose che nascevano in testa agli artefici” (L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, 1796).

Marco Pino (1521-1583), Resurrezione, 1555, Roma, Galleria Borghese

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J. Zucchi (1540 ca.-1596), Betzabea al bagno, 1573. Roma, Galleria Nazionale d’Arte antica.

Page 25: Dalla Maniera al Manierismo

Taddeo Zuccari (1529-1566), Conversione di S.

Paolo, 1564-1566. Roma, S. Marcello, Cappella

Frangipane.