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CURIOSANDO NELL' ARTE CONTEMPORANEA DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO LA BODY ART

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CURIOSANDO NELL' ARTE CONTEMPORANEA

DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO

LA BODY ART

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Con il termine body art ("arte del corpo" dall'inglese), si intendono tutte quelle forme artistiche che utilizzano il corpo come mezzo d'espressione e/o come linguaggio. Le forme più comuni di body art sono il tatuaggio o il body piercing. Altre pratiche tipiche della body art comprendono la scarificazione, il Branding, gli impianti sottopelle, il body painting ed altre forme di modificazione corporea. Il termine Body Art è stato inizialmente adottato da una corrente artistica diffusasi negli Stati Uniti e in Europa negli anni sessanta del Novecento e successivamente inscritto nel più ampio ambito della performance art, ossia della prassi artistica teorizzata da Allan Kaprow nel 1959, che fece dell'azione dell'artista l'opera stessa, spesso coinvolgendo il pubblico.

Alcune forme estreme di body Art possono spingere il corpo fino al limite, ad esempio nell'Azionismo viennese ci si spinge in pratiche dissacranti e profanatorie del corpo umano, talvolta con connotati religiosi.

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Marina Abramović esplora i suoi limiti fisici e la sua resistenza psichica, grazie anche ad una lunga preparazione mentale. In una delle prime performance restò in piedi al centro di una stella infuocata, e quando il fuoco consumò l'ossigeno svenne; venne salvata da un medico presente tra il pubblico. Nella performance "The artist is present", svoltasi recentemente al M.O.M.A di New York, restò seduta immobile su una sedia ogni giorno per tre mesi, a incontrare con lo sguardo chiunque si fosse seduto innanzi a lei.

Altri artisti eseguono performance irriverenti e molto forti; Vito Acconci si masturba sotto al pavimento della sua esposizione, rendendo partecipi i visitatori delle sue fantasie erotiche; Hermann Nitsch propone dei riti tra il pagano e la simbologia cristiana dove sventra animali morti e cosparge i corpi dei suoi aiutanti con sangue e interiora; Gina Pane si ferisce con spine di rosa, lame, o rotolando su dei vetri per denunciare la concezione maschilista della figura femminile.

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Nell'ambito della liberazione della donna furono molte le body artiste a combattere col proprio corpo contro le concezioni antiquate ancora in voga. Valie Export entrò in un cinema sperimentale vestita in modo provocante, con uno spacco nei pantaloni all'altezza dei genitali, per sfidare la concezione tradizionale cinematografica che voleva le donne come oggetti passivi incapaci di agire[2].

Orlan si sottopose a varie operazioni di chirurgia plastica, filmandole e rendendole pubbliche, nelle quali arrivò a ricercare una deformazione del proprio volto, in contrasto con l'idea di bellezza conformistica imposta alle donne.

In tempi più recenti, il corpo è diventato territorio di sperimentazioni: impianti, protesi, simbiosi fra corpo e nuove tecnologie, realtà virtuale. Anche in questo campo la body art ha sperimentato molto.

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L'IMPIENGO DEL CORPO NELLE PERFORMACE ARTISTICHE

Il principale mezzo espressivo usato per questo genere artistico è il corpo umano.

Il corpo è usato per allestire eventi estemporanei con movimenti corporei accompagnati da musica, elementi scenografici, danze, sequenze di azioni e gesti.

La body art rende il corpo protagonista assoluto considerandolo soggetto e oggetto dell'espressione artistica ed esibendolo come opera. Vi è la volontà di provocare, di scuotere le convinzioni in fatto di arte.

All'uso del corpo come linguaggio, ricorrono sempre più artisti contemporanei di differenti tecniche e tematiche. Lea Vergine parla di alcuni caratteri che fanno da comune denominatore a questa maniera di fare arte: «la perdita di identità; il rifiuto del prevalere del senso della realtà sulla sfera emozionale; la romantica ribellione alla dipendenza da qualcuno o da qualcosa; la tenerezza come meta mancata e quindi frustrante; l'assenza (e l'angoscia che ne deriva) di una forma adulta, altruistica, d'amore».

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In queste azioni spesso gli autori sono ossessionati dalla necessità di agire in funzione dell'altro.

Vi è la necessità di mostrarsi per poter essere. Il performer non sceneggia la storia di un personaggio, ma è egli stesso storia e personaggio. Si volge così verso la ricerca di un'umanità non schiacciata dal funzionalismo della società, che sfugge al concetto di profitto: «l'importante non è sapere, ma sapere che si sa. È uno stato in cui la cultura non serve più a niente» (Lea Vergine, dall'informale alla body Art).

E continua: «Sbloccate le forze produttive dell'inconscio, si scatenano - in un continuo drammatizzare isterico - conflitti tra desiderio e difesa, tra licenza e divieto, tra contenuto latente e contenuto manifesto, tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, tra voyerismo ed esibizionismo, tra tendenze sadiche e piacere masochistico, tra fantasie distruttive e catartiche».

Nelle azioni della body Art la riproduzione meccanica (video, fotografia, film) assolve ad una duplice funzione: documentativa e di indagine penetrante.

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LE ORIGINE DEL NUDO IN MOVIMENTO

Uno fra i primi a presentare modelli nudi, raffigurati in movimento su teli colorati fu, appunto negli anni Sessanta, l'artista francese Yves Klein mentre Salvador Dalí utilizzava le tracce cromatiche lasciate su grandi teli\tele dai corpi -nudi e colorati- lasciati agire in movimenti stimolati dalla musica.

Da allora la body art ha subito naturali evoluzioni, incluse rappresentazioni a sfondo sadomaso oltre ai riti di autolesionismo eseguiti a fini di un'arte performativa che prende spunto da tradizioni simili -di impronta religiosa- con l'intento di simboleggiare l'annullamento del ruolo dell'autore a favore di un 'fare arte' che lo sublima nell'opera in progress.

Gli inglesi Gilbert & George espongono se stessi, oppure compongono i loro ritratti viventi con riferimenti alla cultura statuaria classica ma con 'invenzioni' che insieme la onorano e la reinventano ogni volta.

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LA BODY ART IN ITALIA

In Italia, autori di body art sono stati, e in parte tuttora sono, artisti come Piero Manzoni, Jannis Kounellis, Gino De Dominicis e Vettor Pisani.

Piero Manzoni propone anche un 'prodotto' escreto dal proprio corpo e confezionato in scatola firmata ("Merda d'artista"), mentre Gina Pane sembra in preda alla sofferenza per le automutilazioni che si produce ad ogni happening d'arte estrema.

Ketty La Rocca negli anni settanta si distingue per l'uso delle mani e di radiografie di crani nei suoi lavori.

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Gina Pane

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LA BODY ART OGGI

In tempi più recenti, il termine body art è stato esteso (secondo alcuni in maniera non del tutto appropriata) alle moderne tecniche di tatuaggio, di scarificazione .

La modificazione corporea consiste in un insieme di pratiche atte ad alterare deliberatamente il corpo umano senza che vi sia alcuna ragione medica. Si tratta di una forma d'arte universale praticata da migliaia di anni per fini sessuali, come rito di passaggio, per ragioni estetiche, per indicare appartenenza, fiducia e lealtà, per motivi religiosi, a scopo di provocazione o per esprimere se stessi.

Alcune forme di modificazione corporea, che nella sua accezione più ampia include anche la chirurgia estetica, sono considerate socialmente accettabili (si pensi a un banale piercing all'orecchio o al rito della circoncisione), mentre altre forme spesso più estreme sono fonte di controversia.

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IL CORPO COME OGGETTO ARTISTICO: LA BODY ART

IL CORPO COME OGGETTO ARTISTICO

La tematica della corporeità, grazie a un inusuale utilizzo del corpo, è strettamente legata agli avvenimenti storici della fine degli anni Sessanta.

È, infatti, all'interno dei processi di cambiamento storico e sociale che gli eventi estetici si collocano come momento di indagine profonda del sé, e nella proliferante ondata di spinte conoscitive la corporeità si afferma come il territorio privilegiato di ricerca identitaria.

Ciò accade esattamente nel momento in cui, socialmente e politicamente, il mettere in discussione il soggetto, attraverso i movimenti liberatori, coincide con l'affermazione di filosofie, di ricerche culturali e psicoanalitiche che vanno a concentrarsi sulla soggettività in costruzione.

Tali ricerche non sono avulse dalle contestazioni giovanili legate al movimento del '68, anzi, le correnti sperimentali artistiche di questi anni manifestano una nuova sensibilità estetica.

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Confluiscono nella tematica corporea pratiche orientali come il Mudra (che regola i gesti simbolici delle mani) e lo Zen (filosofia che si basa sulla concentrazione e sul controllo corporeo).

Inoltre, su questo percorso influisce soprattutto il fondamento psicoanalitico. La Body art è, dunque, la corrente artistica che, attraverso il suo eccessivo codice visivo, si pone il problema dell'In-der-Welt-sein, ossia dell'essere al mondo e del collocamento dell'individuo all'interno della società.

Grazie a un'estremizzazione linguistica, gli artisti della Body art indagano le contraddizioni dell'essere.

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IL CORPO COME LUOGO DEL SIMBOLICO

Non c'è una data precisa che attesti la nascita della Body art, poiché le manifestazioni legate a questa sensibilità che utilizza e sfrutta tutte le possibilità della corporeità nascono dal superamento di alcuni dati acquisiti dalle avanguardie artistiche. È possibile, semmai, rinvenire in alcuni eventi artistici del passato alcune ascendenze che collimano nella codificazione di quella che sarà la Body art.

Sicuramente importanti per gli artisti della Body art sono le esperienze dadaiste (Duchamp tonsure), totalmente slegate dal concetto di arte tradizionale, così come decisiva appare l'esperienza degli happening della corrente Fluxus, affermatasi nei primi anni Cinquanta come una delle esperienze azzeratrici del linguaggio artistico classico, sia attraverso la vanificazione dell'oggetto artistico sia attraverso lo scompaginamento di quella che era stata, da sempre, l'idea del fare arte all'interno del suo stesso sistema.

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La foto ha un significato all’apparenza più contingente e al contempo più commovente. È stata scattata nel ’19 a Parigi, dopo quattro anni di assenza: sotto, nella grafia di Duchamp, si legge “Tonsure de 1919 – Paris”.L’artista o “anartista”, come preferiva definirsi, vi era giunto da New York dove abitava da alcuni anni, passando da Londra, e vi si sarebbe trattenuto estate e autunno, forse fino a dicembre. Il riferimento al luogo non è casuale, e nemmeno la data. Duchamp aveva deciso di tornare a Parigi dopo la morte, alla fine del ’18, di suo fratello Raymond Duchamp–Villon e di Apollinaire.La morte del poeta aveva suscitato grande dolore nelle cerchie artistiche. Severini ricorda così quel momento: “Tout d’un coup, une sorte de nuage noir et lourd se répandit dans Paris: «Apollinaire se meurt, Apollinaire est mort!»”.Non fu la ferita, ma la ‘spagnola’ a portarsi via il poeta. La ferita l’aveva confinato tra morte e vita per alcuni giorni, e un ascesso gli aveva provocato una paralisi, ma ripresa la salute si fa fotografare in uniforme con la vistosa benda alla testa , e riprende a scrivere. La prima poesia sintetizza in calligramma l’evento:Una stella di sangue m’incorona per sempre[…]Questo quasi mortale foro che si è stellato…(G. Apollinaire, Alcool Calligrammi, Milano 1986, trad. L. Frezza, p. 499)Il titolo? “Tristezza d’una stella”. Un intero ciclo di poesie, scritte sul fronte e raccolte in Calligrammes, reca il titolo “La tête étoilée”: la testa stellata.

Duchamp, come estremo, commovente omaggio all’amico –e al poeta– si fa rasare la nuca in forma di stella

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L'happening è la prima esperienza estetica che tenta di uscire fuori dalla canonizzazione dell'asfittico circuito artistico. Fluxus, infatti, attraverso i suoi happening, unifica per la prima volta, nell'esperienza artistica, specificità come la danza, la musica, il teatro, la poesia e, attraverso eventi come i Festum Fluxorum Fluxus (interminabili maratone multimediali), apre l'arte visiva ad altre contaminazioni estetiche.

Legati all'humus poliedrico di Fluxus sono gli artisti George Maciunas, Dick Higgins, Nam June Paik, George Brecht, Wolf Vostell, Yoko Ono, Terry Riley, Robert Filliou, Daniel Spoerri, John Cage, La Monte Young.

Ciò che è importante sottolineare nell'esperienza di Fluxus è la trasformazione linguistica e la sua incontrollabile messa a punto nel sistema dell'arte fin troppo codificato in una serie di ruoli fin qui mai violati.

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George Maciunas – Solo for Violin – 234 maggio 1964

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George Maciunas - Initiales

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L'affinità sostanziale tra Fluxus e la Body art sta nella volontà comune, benché esplicitata attraverso pratiche diverse, di operare una forte rottura all'interno del sistema.

La Body art, infatti, si segnala tra le esperienze estetiche degli anni Sessanta-Settanta come una sorta di forte trauma espressivo, come il radicale svuotamento dei canonici fondamenti artistici esistenti, raccogliendo, in qualche modo, tutta la fenomenologia di esperienze estreme legate all'idea di corpo come luogo del simbolico:

il corpo viene utilizzato dagli artisti per sondare le esperienze dell'essere umano, per indagare le forze produttive dell'inconscio, per esplorare le pulsioni di vita e di morte e per liberare tutti i flussi del desiderio repressi da una società rinchiusa in tabù atavici.

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Nam Jun Paik - TV - BUDDHA

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Nam Jun Paik

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Nam Juk Paik - 32 Cars for the 20th century

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La Body art è dunque il linguaggio artistico 'esperenziale' che, per la prima volta, scava nei recessi dell'essere umano e li rende manifesti.

All'interno di questa nutritissima corrente si intrecciano discorsi e paradigmi differenti. La Body art, infatti, raccoglie molte esperienze sul corpo che esplodono in Europa e in California, e all'interno della sua poliedrica fenomenologia si può distinguere una linea più fredda e analitica, in cui l'azione sottolinea le funzioni del corpo stesso servendosi di mezzi di riproduzione meccanica come la fotografia, il video e il film.

Le azioni di questi artisti vengono viste attraverso la loro riproduzione, senza quindi una loro diretta fruizione fisica. L'azione, infatti, viene rigorosamente concettualizzata e realizzata attraverso la 'freddezza' del mezzo tecnico: è la sua documentazione a divenire opera.

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A questo versante 'freddo' appartengono le azioni di Bruce Nauman, Klaus Rinke, Ketty La Rocca, Arnulf Rainer, Lucas Samaras, Katharina Sieverding, Luigi Ontani e alcune azioni di Gilbert & George, Michel Journiac e Urs Luthi. Sebbene sia impossibile generalizzare le esperienze, ciò che lega e avvicina queste ricerche è la rappresentazione del corpo che si espleta tramite la sperimentazione del mezzo tecnico. In qualche modo, questi lavori, per radicali e simbolici che siano, rientrano ancora nella produzione di oggetti estetici: fotografie, video e film. È una sorta di primo livello di esperienza corporea che ne annuncia un altro molto più devastante dal punto di vista sia morfologico sia linguistico.

La performance è appunto il momento più estremo in cui si esplicano le esperienze della Body art. Come scrive l'antropologo V. Turner: "La materia base della vita sociale è la performance, la presentazione di sé nella vita quotidiana, il sé è presentato mediante la performance di ruoli, mediante la performance che li infrange, e mediante la dichiarazione a un pubblico della trasformazione di stato salvata o condannata, innalzata o liberata" (Turner 1986).

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La performance è il territorio in cui è possibile autorappresentarsi, scardinando tutte le forze pulsionali dell'io.

Al tempo stesso la performance, in quanto produzione di effimero, tende a vanificare il sistema dell'arte ancorato alla produzione di bene e, in quanto atto estetico, è, in realtà, produzione di sensibilità.

La codificata produzione di oggetto artistico viene ribaltata dalla performance proprio perché ciò che viene evidenziato e messo in discussione è, per la prima volta nella storia dell'arte, il soggetto. Tale rovesciamento riconduce all'acquisizione della centralità del soggetto nei confronti dell'oggetto. L'estremismo del gesto accompagna dunque il versante più radicale della Body art che si autoevidenzia attraverso la performance.

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Marina Abramovich - Imponderabilia

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M. Abramovich – Rythm 0 - 1974 M.Abramovich

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M. Abramovich – Rythm 0 - 1974

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A questa sensibilità pulsionale è ancorato il lavoro di Gina Pane, Vito Acconci, Chris Burden, Marina Abramovic, Rebecca Horn, Coum Transmission, degli slavi Petr Stembera, Jan Mlcoch e Karel Miler e degli esponenti del Wiener Aktionismus della prima generazione, come Hermann Nitsch, Otto Muehl, Gunther Brus, Oswald Wiener, Rudolf Schwarzkogler, e della seconda generazione, come Valie Export, Wolfgang Ernst, Peter Weibel, Dominik Steiger e il regista Ernst Schmitd.

Il lavoro degli artisti viennesi rappresenta, forse, il più perturbante esempio di indagine dell'io attraverso pratiche scioccanti di autodistruzione fisica. Nelle performance del Wiener Aktionismus c'è, infatti, una sorta di scatenamento di pulsioni distruttive che il performer manifesta violentandosi e autotorturandosi.

In realtà la performance diviene il luogo simbolico dove viene catturata la conflittualità sociale e culturale. Attraverso l'espediente rappresentativo e proiettivo, il performer sconfessa l'aggressività esterna scatenandola sul proprio corpo.

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Marina Abramovich

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Marina Abramovich

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Accanto a queste dominanti psicologiche e patologiche altre variazioni tematiche si legano al linguaggio corporeo: è il caso delle politiche di genere che affiancano i temi del femminismo degli anni Settanta, in cui convergono i lavori delle americane Carolee Schneemann, Hannah Wilke e della cubana Ana Mendieta.

Tale ricerca si situa in un territorio di conflittualità legate al ruolo e alla sessualità femminile, nel mettere in crisi un'identità stereotipata. La diaspora identitaria strettamente connessa alla dominazione colonialista è invece il motivo centrale del lavoro sul corpo operato dal brasiliano Helio Oiticica, mentre Lygia Clark, anch'essa brasiliana, affronta il postcolonialismo all'interno delle tematiche della differenza sessuale.

La corporeità diviene dunque una sorta di cartina di tornasole in cui sembra confluire tutto l'insieme dei conflitti, dei piaceri e dei desideri dell'essere contemporaneo.

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YOKO ONO

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L’azione è arte. Il corpo la tela.

Le suggestive actions di Gina Pane sono protagoniste della mostra, curata da Valerio Dehò, alla Osart Gallery di Milano. Dal 30 novembre 2018 al 23 febbraio 2019, l’opera dell’artista viene riproposta attraverso una selezione di momenti che vanno dal 1968 al 1988. Nel ventennio che intercorre, il 1981 segna uno spartiacque nel linguaggio espressivo di Gina Pane che abbandona la Body Art per tornare alla scultura: il momento si traduce in “Constatazioni” e “Partizioni” di cui la retrospettiva si compone.

Le “Constatazioni” sono sequenze fotografiche che documentano alcune tra le Azioni più celebri: seguendo un percorso cronologico, il sipario si apre su Pierres déplacées (Pietre spostate) del 1968 in cui una serie di immagini ripropone la performance realizzata nella Valle dell’Orco, in provincia di Torino, dove l’artista raccoglie pietre di piccola taglia secondo caratteristiche scelte -«esposte a nord, ricoperte di muschio, incastrate dentro una terra umida»- per spostarle in un luogo orientato verso sud.

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L’opera rappresenta il superamento della prima fase delle Structures affirmées (sculture minimaliste) e segna l’esordio della riflessione sul rapporto uomo-natura.

Successivamente, nel 1973, alla Galleria Diagramma di Milano, si tiene Action sentimentale (Azione sentimentale). Il celebre momento è dedicato alle donne e si divide in quattro atti: ad alcune donne viene chiesto di disporsi in cerchi tracciati a terra con il gessetto all’interno dei quali figurava la parola “donna”; l’artista, vestita di bianco e con un bouquet di rose rosse, stacca le spine dal mazzo per poi conficcarsele nelle braccia; il sangue, che inizia a colare, tinge il vestito di rosso e le rose rosse diventano bianche.

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Gina Pane – Azione sentimentale - 1973

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Gina Pane, Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, 30 ottobre 1976. Courtesy Anne Marchand | Max Pescio.

Dell’anno seguente è, invece, Action mélancolique 2x2x2 (Azione malinconica 2x2x2) in cui -come si evince dal titolo- la malinconia viene esplorata attraverso l’evocazione della relazione di coppia in tutte le combinazioni possibili. L'”io” è rappresentato da Gina Pane mediante un taglio che l’artista italo-francese si procura all’orecchio, chiara allusione al gesto disperato di Van Gogh. Una schiena nuda di ragazza personifica, altresì, il “tu”. Il cuore disegnato inscrive, dunque, la relazione amorosa in uno spazio non più identificato con il genere ma codificato dalla forza del sentimento assoluto, passando da una situazione isolata ad una situazione unificatrice.

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Straziante è la sequenza dedicata ad Action Psyché (Essai) (Azione Psiche, Prova) del 1974-75, in assoluto la performance che condensa e supera a livello filosofico-poetico il linguaggio della Body Art: sul viso di Gina Pane, che ha gli occhi chiusi, colano lacrime di sangue dalle palpebre che ha tagliato in precedenza con una lama di rasoio.

Dall’ombelico, centro del corpo e centro del'”Io”, quattro tagli si diramano nelle quattro direzioni principali, «riportando all’unità i punti estremi in una sintesi di amore».

In Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, Gina Pane utilizza il corpo come strumento naturale della psiche stessa.

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GINA PANE - 1974

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Gina Pane – Action Psychè Essai – 24 gennaio 1974

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Gina Pane, Action Psyché (Essai), 24 gennaio 1974. Courtesy Anne Marchand | Max Pescio

L’azione -30 ottobre 1976- è la prima che viene eseguita in un museo, la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna: due giovani si lanciano una pallina su un tavolo appoggiato al muro, mentre l’artista, servendosi di una scheggia di un vetro andato in frantumi, si incide sull’avambraccio il disegno di alcuni pezzi di un gioco trovati per terra. Il vetro rappresenta un materiale chiave nell’esperienza della performer: in diverse opere, infatti, indica simbolicamente la possibilità si uscire da una cornice che sia sociale, civile o personale «per andare in strada, nel mondo, non a livello dei manichini ma a livello della carne».

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Gina Pane, Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, 30 ottobre 1976. Courtesy Anne Marchand | Max Pescio

Le “Partizioni” sanciscono, nel 1981, l’abbandono dell’uso del corpo come strumento e protagonista dell’arte di Gina Pane. I limiti fisici richiedono, infatti, un cambiamento delle pratiche espressive che si risolve in un ritorno alla scultura: ne L’Homme à la branche verte qui n’avait pas lu les Fleurs du mal – Partition pour une blessure (L’uomo con il ramo verde che non aveva letto i Fiori del Male – Partizione per una ferita), 1982, l’artista torna sull’idea di ferita -simbolo di vita- richiamando i moti poetici dell’Action Sentimentale con una foto che occupa un posto centrale dell’installazione.

L’uomo con il rametto verde che non aveva letto i Fiori del Male rappresenta chi la disprezza e di conseguenza è ritenuto ridicolo: infatti, per l’artista, il sangue è un’offerta d’amore verso il prossimo che libera l’uomo dai propri limiti.

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L’ultima opera presente, che conclude il ventennio in mostra, è Le Son de F. L’homme indien en prière, version 3 (Il suono di F. L’uomo indiano in preghiera, versione 3) del 1986-88.

Questa si compone di più pannelli assemblati in rame e in ferro su cui l’artista interviene come se lavorasse sul proprio corpo, infatti il rame non appena viene utilizzato registra i segni del contatto.

I pannelli ricordano i polittici delle chiese medievali e la loro disposizione a “T” la forma della croce latina. L’opera è una chiara evocazione di San Francesco e della sua fede, centrali in diverse opere di Gina Pane.

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Robert FILLIOU – Ways to use the Emmet William's skull

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Robert FILLIOU – Ways to use the Emmet William's skull

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REBECCA HORN

Einhorn (Unicorno) è una delle più famose opere della Horn (il titolo è anche un gioco di parole sul nome dell'artista). L'opera fu utilizzata per una performance ed indossata, in quest'ultima, da una donna mentre camminava in campagna. La body extension è attaccata al corpo tramite delle cinghie, simili a quelle utilizzate dalla pittrice Frida Kahlo.

Pencil Mask (Maschera di matite) è un'altra body extension, composta da sei cinghie orizzontali e tre verticali. Dove le cinghie si incontrano sono inserite delle matite.

Finger Gloves è il nome sia di una performance, sia della principale body extension contenuta in essa. Si tratta di guanti, ma la forma delle dita si estende grazie ad allungamenti in balsa e tessuto. Un'altra opera simile fu concepita dalla stessa Horn nel 1974 (touching the walls with both hands simultaneously, "toccare le mura con entrambe le mani contemporaneamente"). La lunghezza delle dita in questa performance era concepita in modo che il soggetto, stando al centro della stanza, potesse toccare due muri opposti nello stesso momento.

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Rebecca HORN - Einhorn Rebecca HORN – Pencil Mask

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Rebecca HORN – Finger Gloves

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Anche Feather Fingers (Guanti di piume, 1972) è un'opera incentrata sull'illusione del tatto e sulle mani. Una piuma viene attaccata a ciascun dito con un anello di metallo, per far sì, nelle intenzioni dell'artista, che la mano diventi "simmetrica (e sensibile) come un'ala di uccello". La Horn, toccando un braccio con le piume attaccate alla mano opposta, sperimentò la sensazione di sentir toccare il braccio dalle dita della mano opposta (e di provare la sensazione anche nelle dita), pur essendo, in realtà, le piume a toccare il braccio. Secondo la Horn, in questa opera "è come se una mano, improvvisamente, diventasse disconnessa dall'altra, come se si trattasse di due esseri senza nessun collegamento. Rebecca Horn continuò a utilizzare piume negli anni ottanta e novanta, concentrandosi sulla creazione di occhiali da sole. Molte delle opere piumate avvolgono la figura, come un bozzolo, oppure sono maschere e ventagli ideati per coprire o imprigionare il corpo. Tra queste opere possiamo ricordare Cockfeather (Piume di gallo, 1971), Cockfeather Mask (Maschera di piume di gallo, 1973), Cockatoo Mask (1973), Paradise Widow (Vedova del Paradiso, 1975), e The Feathered Prison Fan (Il ventaglio-prigione di piume, 1977), ideato per il suo film Die Eintänzer. Le opere di Rebecca Horn sono ispirate, a suo dire, dalle opere di Franz Kafka e Jean Genet, e dai film di Luis Buñuel e Pier Paolo Pasolini

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REBECCA HORN

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HERMANN NITSCH

L'arte di Hermann Nitsch è fortemente influenzata dalla sua ammirazione per autori e artisti come de Sade, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud e Antonin Artaud. Nel suo manifesto puntualizza come le sue azioni debbano suscitare nello spettatore disgusto e ribrezzo, per innescare una controreazione di catarsi e purificazione. L'opera di Hermann Nitsch trova la sua massima espressione nel Teatro delle Orge e dei Misteri, opera d'arte totale che si riferisce, come già lo suggerisce il nome, alle orge dionisiache dell'antichità e alla tradizione teatrale medievale del Teatro dei misteri. Infatti, il Teatro delle Orge e Misteri ha una forte valenza rituale e sacra.

Nitsch cerca di insinuarsi nel subconscio del singolo colpendolo con immagini di animali sanguinanti e sacrificati in croce, ebbrezza, nudità e sangue. In questi giochi rituali, che durano diversi giorni, si incitano gruppi di persone a squartare bestie da soma, a tirarne fuori le viscere e a calpestarle, a imbrattare di sangue delle persone crocifisse e a unirsi in un rito collettivo di frenesia, basato su riti liturgici e sacri.

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Hermann NITSCH

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Questi gesti portano il singolo ad entrare in contatto con il proprio essere animale più profondo e istintivo, e quindi a toccare gli ambiti più bui e nascosti del proprio essere, che sono normalmente repressi dalla società umana.

I partecipanti all'opera di Nitsch vengono costretti a vivere con una presa di coscienza questa totale disinibizione degli impulsi animali, e con questo anche la nostra innata potenzialità e tendenza alla violenza e alla distruzione. La decadenza radicale verso la sensualità ha come risultato una reazione catartica e purificatoria, e quindi l'ascesa alla spiritualità.

Hermann Nitsch è stato processato varie volte e condannato a tre pene detentive.

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Hermann NITSCH