cristina lammirabile in scrittrici mistiche

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  • 8/16/2019 Cristina LAmmirabile in Scrittrici Mistiche

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    CRISTINA L’AMMIRABILE

    1150-1224

    Alla fine del XII secolo nella cittadina di St. Trond, nella valle della Mosa,

    abitavano tre sorelle. Rimaste presto orfane dei genitori, decisero di riorganiz-

    zare la famiglia secondo uno stile di vita religiosa. La prima sorella doveva dedi-

    carsi alla preghiera, la seconda occuparsi delle faccende domestiche, Cristina, la

    più giovane, avrebbe portato le bestie al pascolo. Una piccola azienda a con-

    duzione famigliare, un microcosmo femminile, caratterizzato da una divisione

    equilibrata e razionale dei compiti, in grado di garantire a donne ormai sole i

    mezzi del proprio sostentamento e insieme una sistemazione dignitosa. A quel

    tempo, formazioni spontanee di questo tipo, ancora prima del sorgere dei gran-

    di beghinaggi, costellavano i borghi e i villaggi delle Fiandre. Ma presto sareb-

    be accaduto qualcosa che avrebbe sconvolto l’ordine. Dio infatti scelse Cristi-

    na, la guardiana delle pecore, la più umile e disprezzata. Andava a visitarla spes-

    so, di nascosto, donandole la grazia della dolcezza interiore e rivelandole i

    segreti celesti. Era dimenticata da tutti, sconosciuta, ma il Signore amava lei più

    di ogni altra. Morì poco tempo dopo, consumata dall’esercizio interiore della

    contemplazione, portando con sé il suo segreto. Si celebrarono allora i funera-

    li, in mezzo al compianto delle sorelle e degli amici spirituali. Ma durante il

    rito funebre, al momento dell’offerta, la morta si sollevò all’improvviso dal

    feretro e con un gran balzo raggiunse il soffitto della chiesa. Rimase lassù, in

    alto, per tutto il tempo della messa, appollaiata sulle travi come un uccello spa-

    ventato, e non ci fu verso di farla scendere. Passati i primi momenti di terrore,

    dopo la fuga generale, erano di nuovo tutti lì, avidi di conoscere il suo raccon-

    to. Cristina rivelò che due angeli l’avevano portata in purgatorio e poi all’in-

    ferno. Infine era stata condotta in paradiso, dinanzi al trono della Maestà divi-na. Parlandole dolcemente, Dio l’aveva messa di fronte a una scelta: restare in

    quel luogo con lui oppure ritornare nel corpo e nel mondo, per soffrire ed

    espiare le pene delle anime del purgatorio e convertire con l’esempio della

    propria vita e del proprio dolore i peccatori. Senza esitare, lei gli aveva rispo-

    sto di voler tornare.

    Questo episodio è narrato nel Prologo della Vita di Maria di Oignies. Gia-

    como da Vitry non citava il nome di Cristina, ma dichiarava di averla «vista»,

    di aver conosciuto personalmente la donna tornata dal mondo dei morti per 

    patire il purgatorio in terra. Il dotto agiografo domenicano Tommaso di Can-

    timpré scrisse la Vita di Cristina l’Ammirabile nel 1232, quando lei era morta

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    da otto anni. Novizio del convento di Lovanio, dopo aver lasciato il canonica-

    to, si firmava ormai indignus frater Ordinis Praedicatorum. Era rimasto colpito dalracconto di Giacomo da Vitry, verso cui nutriva un’autentica venerazione, ma

    aveva sentito parlare di lei anche dalla sua maestra spirituale, Lutgarda di Ton-

    gres, che l’aveva conosciuta e frequentata in giovinezza, ai tempi in cui era

    ancora una monaca benedettina del cenobio di S. Caterina di St. Trond. Anzi,

    era stato proprio su consiglio di Cristina che la pia Lutgarda si era in seguito

    trasferita nella comunità cisterciense di Aywières. Sulla scorta delle sue guide

    spirituali, Tommaso decise quindi di andare a fondo della incredibile vicenda e

    affrontò un lungo viaggio per recarsi a St. Trond. La cittadina, non distante da

    Léau, era a metà strada tra Lovanio e Liegi. Interrogò numerosi testimoni ocu-

    lari, e anche Yvette di Léau, una reclusa famosa con cui Cristina aveva condi-viso la cella e per questo conosceva molti suoi segreti. Era tutto vero: quei fat-

    ti erano di pubblico dominio e ben noti a tutti.

    Ma allora, come interpretare questa storia? I precedenti agiografici non

    mancavano. Vi erano molti racconti disseminati nella ormai lunga memoria

    medievale di monaci, eremiti e cavalieri che avevano varcato le soglie della

    morte ed erano tornati indietro raccontando la propria esperienza: Baronto,

    Bonello e Fursy (VII sec.), Guthlac (VIII sec.), Wetti (IX sec.). Nel XII secolo

    si erano fatti anche più numerosi: Alberico, Tnugdal, san Patrizio. Alla base di

    tutti questi racconti visionari vi era il modello del viaggio nell’aldilà come pro-

    va e ordalia, itinerario di penitenza e di espiazione. L’aspetto giuridico era deci-

    samente sottolineato in questi testi, sottoposti all’istanza di un debito da paga-

    re che generalmente era associato a una colpa. Anche nell’archetipo letterario

    di Baronto, il penitente del monastero di Longoreto nelle Gallie, l’incontro con

    Dio era culminato in un patto che siglava una struttura di scambio. Baronto

    nella sua vita aveva molto peccato, ma si era pentito. Per questo gli veniva data

    ancora una possibilità, permettendogli di r ientrare e di saldare in questo modo

    il proprio debito: la penitenza era il prezzo da pagare per l’ingresso nella patria

    celeste. Rispetto ai racconti visionari antichi, l’esempio duecentesco ci intro-

    duce a un modo diverso di praticare l’assoluto: il contratto con Dio infatti non

    aveva come posta la personale espiazione – Cristina infatti era già salva –, ma

    la redenzione degli uomini. Il ritorno-discesa era dunque un servizio d’amore,

    secondo il modello cristico, che risuona anche nel nome della beata, del sacri-

    ficio e dell’offerta della vittima innocente.

    Ma la piega presa dal racconto autorizza un interrogativo: Cristina era dav-

    vero resuscitata, di nuovo realmente incarnata nello spessore della storia, o era

    stata soltanto un’apparizione, un miraculum? Quale tipo di verità la sua vicenda

    poteva comunicare? Qualche espressione che ricorre nel testo suona ambigua:

    l’agiografo parla di un corpo «sottile», simile quasi a un’«ombra» e ricorre spes-

    so alla metafora della donna-uccello. Quasi negli stessi anni in cui Tommaso

    scriveva la Vita di Cristina l’Ammirabile, un monaco cisterciense della Rena-

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    CRISTINA L’AMMIRABILE

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    nia, Cesario di Heisterbach, raccoglieva un vasto repertorio di exempla antichi

    e contemporanei dedicati alle apparizioni dei morti. Dopo le visioni dell’ol-tretomba, anche le storie degli spettri e dei fantasmi, i revenants, potevano van-

    tare ormai una genealogia illustre. Ma i defunti, come aveva insegnato Agosti-

    no, non avevano più alcun potere sui vivi, se non quello di supplica. Se torna-

    vano, era soltanto per portare loro una richiesta d’aiuto e sollecitarne l’inter-

    cessione. Cristina invece era discesa di nuovo nel mondo con un lavoro da

    compiere, una missione che Dio stesso le aveva affidato, quella di salvare gli

    uomini. La sua immagine di santità doveva dunque incarnare perfettamente la

    figura cristologica della “sostituzione”.

    Nella Vita di Cristina di St. Trond Tommaso non segue un criterio crono-

    logico: i “fatti” hanno un rilievo marginale, così come la preoccupazione dioffrire un ritratto fisico e psicologico della sua eroina. Il testo, forse concepito

    anche ai fini della predicazione, segue un esile sviluppo biografico, ha l’anda-

    mento di una parabola o di un exemplum. La Vita è articolata in tre blocchi nar-

    rativi: dopo il racconto del viaggio di andata e di ritorno dall’aldilà, la prima

    parte tratta della vita nascosta nel deserto, che è anche un tempo di prove e

    persecuzioni. La seconda fase è quella della missione: Cristina r ientra nel mon-

    do per svolgere un ruolo profetico, divenendo una guida spirituale ricercatissi-

    ma anche da uomini di Chiesa e personaggi potenti. Il periodo finale è quel-

    lo della reclusione e della preghiera in preparazione alla morte.

    La narrazione prende l’avvio da un apparente paradosso. La donna tornata

    per la salvezza degli uomini ha orrore di loro: la loro presenza, l’odore stesso la

    ripugnano. Ledendo ogni contratto sociale, essa non riprende il posto che le

    era stato assegnato nell’ordinamento familiare, ma nemmeno ne sceglie uno

    nuovo. Inaugura una serie di erranze, sempre in fuga, nei deserti, in cima agli

    alberi, in luoghi isolati e segreti, comunque al di fuori dell’umano consorzio.

    Cristina cerca la pace, lontana da tutti, desiderosa di restare sola con Dio. L’e-

    remita dei boschi vive la vita degli uccelli, soffre la fame e la penuria, e per nove

    settimane Dio la nutre con il latte che fluisce dai suoi seni verginali: è una

    miroblita. Si preoccupa soltanto di eseguire il compito per il quale è stata invia-

    ta nel mondo: espiare e soffrire. Come nell’antica scena monastica, sfida tutte

    le leggi della natura: si getta nel fuoco, si immerge dentro i fiumi ghiacciati,

    cammina sulle acque. Ai limiti dell’esaltazione salta sulle pale dei mulini a ven-

    to, si impicca sul patibolo in mezzo ai delinquenti. Quando esce di notte i cani

    inferociti la sbranano e nonostante il sangue che esce a fiumi dal suo corpo

    rimane illesa. Ma la selvaggia con il suo comportamento provoca un rapporto

    di forze. Le sorelle e gli amici spirituali, un “altro” che nel racconto rimane

    indifferenziato e anonimo, pensano che sia impazzita, posseduta dai demoni.

    Con il crescere del disagio e della vergogna si moltiplicano le violenze. Tutte

    le azioni descritte nel racconto sono riconducibili a uno sciogliere e a un lega-

    re. La bloccano con catene di ferro, ma lei le spezza, la rinchiudono dentro a

    SCRITTRICI MISTICHE EUROPEE

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