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INFORMAZIONI DELLA DIFESA 4/2013 4 CRISIS COMMUNICATIONS Dall’emergenza all’opportunità Let’s not pretend that things will change if we keep doing the same things. A crisis can be a real blessing to any person, to any nation. For all crises bring progress.” Albert Einstein di Gianluca Manfredelli UN MOMENTO DI IMPASSE O UN’OCCASIONE DI SVOLTA? La parola “crisi” ha assunto, nell’uso comune, l’accezione negativa di muta- mento, in senso sfavorevole, di uno status. L’etimo del termine (dal greco krinein, ossia separare e, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare) ci suggerisce tuttavia una valenza positiva, individuando nella crisi un mo- mento di riflessione e di discernimento che, se adeguatamente gestito, può assurgere a presupposto per una crescita. Ed è questo il reale significato che si ritiene debba essere considerato parlando di crisi: la possibilità che essa,

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CRISISCOMMUNICATIONS

Dall’emergenza all’opportunità“Let’s not pretend that things will

change if we keep doing the same things.A crisis can be a real blessing to any person, to any nation.

For all crises bring progress.”Albert Einstein

di Gianluca Manfredelli

UN MOMENTO DI IMPASSE O UN’OCCASIONE DI SVOLTA?La parola “crisi” ha assunto, nell’uso comune, l’accezione negativa di muta-mento, in senso sfavorevole, di uno status. L’etimo del termine (dal grecokrinein, ossia separare e, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare) cisuggerisce tuttavia una valenza positiva, individuando nella crisi un mo-mento di riflessione e di discernimento che, se adeguatamente gestito, puòassurgere a presupposto per una crescita. Ed è questo il reale significato chesi ritiene debba essere considerato parlando di crisi: la possibilità che essa,

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da evento negativo, si risolva in un vero e proprio turning point per crescerein esperienza, in capacità e in credibilità1.Questa considerazione vale in particolare quando l’evento “critico” si verificanell’ambito di quella che, oggi come non mai, costituisce una delle leve fon-damentali per il successo – o per il fallimento – di un sistema: la comunicazio-ne2, ossia la funzione volta a promuovere la conoscenza, l’immagine e la cre-dibilità di un organismo presso la collettività e all’interno di ciascun ente.La crucialità dell’aspetto comunicativo emerge infatti in modo particolarenella gestione delle emergenze, quando non addirittura dei conflitti: unesempio al riguardo ci viene dall’Afghanistan, dove è in atto ancheuno scon-tro comunicativo tra Coalizione, il cui master message delinea un Paese irre-versibilmente avviato verso l’autosufficienza grazie al supporto della comu-nità internazionale, ed opponenti, per i quali ISAF è una Forza di occupa-

Influenza dei social media @ scarletdesign.com

1 È noto che, nella lingua cinese, crisi ed opportunità sono rappresentate dal medesimo ideo-gramma.

2 Per chiarezza, il concetto di “comunicazione” dovrà d’ora innanzi intendersi nel senso più latodel termine, ossia nell’accezione anglosassone di Public Affairs, abbracciando quindi sia la co-municazione interna che esterna, media inclusi.

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zione che a termine mandato abbandonerà il Paese al proprio destino.L’esempio ci rende l’idea di come l’efficacia della comunicazione possa in-fluire sulla credibilità di un sistema e di come, conseguentemente, un even-to critico possa moltiplicare i suoi effetti, nel bene e nel male, a seconda dicome esso viene gestito.

CRISI PER LA COMUNICAZIONE E CRISI NELLA COMUNICAZIONEComunicare, crisi durante, è un imperativo categorico, se si considera che:• un’azione comunicativa efficace e tempestiva è determinante per trasfor-mare la crisi da evento negativo in opportunità di crescita (possiamo inquesto caso parlare di crisi per la comunicazione, in quanto nell’eventocritico l’aspetto comunicativo gioca un ruolo chiave per la sopravvivenzao la soccombenza del sistema);

• il silenzio viene spesso percepito quale sintomo di impreparazione o co-me strumento per occultare responsabilità e, conseguentemente, vienecolmato da speculazioni di parte (crisi nella comunicazione, ossia assenzadi attività e conseguente perdita di credibilità).

Per comprendere appieno la crucialità del comunicare nell’emergenza, èfondamentale definire i caratteri dell’evento critico e suggerire un percorsoper trasformare un’impasse in un’opportunità di crescita.

I CARATTERI DELL’EVENTO CRITICOL’esperienza ci insegna che ogni accadimento critico può essere ricondottoa determinate tipologie di massima. In particolare:• può essere determinato da un fatto naturale (ad esempio, una calamità)o da un atto umano esterno (un attacco mediatico) o interno (una fugadi notizie) all’entità che ne soffre le conseguenze;

• determina ripercussioni all’interno e all’esterno della struttura (si pensial fallimento di un’azienda, le cui conseguenze si ripercuotono sul perso-nale licenziato, sui familiari e sui creditori);

• pone l’organizzazione di fronte ad un bivio: agire subito per prevenireun’escalation ingovernabile e, come si diceva poc’anzi, crescere in capaci-tà e credibilità facendo tesoro delle lezioni apprese, ovvero restare inerticonfidando in una celere ed indolore implosione dell’evento;

• coinvolge, tra le funzioni dell’organismo che ne è colpito, in primis la co-municazione, in particolar modo nell’attuale contesto informativo, ca-ratterizzato oggi come non mai da immediatezza e globalità (si pensi allaportata dirompente dei new media e dei social media, che oltre ad azzerarela distanza spazio-temporale tra un evento e la relativa notizia, “formano”opinione, creando talvolta dei veri e propri fenomeni aggregativi).

L’analisi, anche sommaria, di queste caratteristiche rende evidente qualisiano i fattori chiave nell’efficace – o quantomeno, meno pregiudizievole –condotta di una crisi comunicativa per l’organizzazione che ne è colpita: laprevenzione e la pianificazione.

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LA GESTIONE DI UNA CRISI INIZIA PRIMA DEL SUO MANIFESTARSI.IL RUOLO DELLA PREVENZIONE: LA CONDIVISIONE DI INFORMAZIONI

“There cannot be a crisis this week. My agenda is full”.Attribuita a Henry Kissinger, ex Segretario di Stato USA.

Una crisi comunicativapuò sempre, o quasi, es-sere prevista, quan to -meno nei suoi elementiessenziali. Lo insegnal’esperienza: moltissimieventi critici nasconodalla sottovalutazionedi rischi e dall’inerzianel prevenirli. Mai, oquasi, da eventi real-mente imprevedibili.Perché la prevenzionedi una crisi comunica-tiva sia efficace, è im-prescindibile una con-dizione: che i comuni-catori sappiano sempreed effettivamente comestanno le cose. Pur-troppo, in una consoli-data, distorta ottica ge-nerale, la figura delcommunicator, a causa della sua istituzionale – e necessaria – contiguità conle fonti aperte, viene percepita come la prima potenziale causa di fughe inavanti.Ne consegue che egli viene – tendenzialmente – coinvolto nella crisisolo in occasione del suo manifestarsi, quando spesso è troppo tardi per agi-re efficacemente.È vero invece che, per un reale successo dell’azione comunicativa, in ogni ti-po di sistema la funzione comunicazione deve essere costantemente inseri-ta nel loop informativo, e deve esserlo in modo tempestivo ed efficace, parte-cipando alla genesi del processo decisionale relativo a qualsiasi azione oprovvedimento che possa avere un’implicazione esterna.Un esempio: se un ente pubblico decide di dotarsi di un assetto particolar-mente dispendioso, con conseguente notevole aggravio per i contribuenti,è imprescindibile tener conto delle possibili pubbliche reazioni, prevenen-dole soprattutto sotto l’aspetto comunicativo, presentando efficacementel’acquisto al fine di farlo “accettare” dal pubblico. Si renderà necessario unpiano di comunicazione che si rivolga ad audiences mirate, che includa

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Public Afffairs

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messaggi ad hoc che dimostrino la necessità dell’acquisizione, ponendo inrisalto il vantaggioso rapporto costi/benefici e richiamando indagini dimercato e studi comparativi a fondamento della remuneratività della scelta.L’assenza di un’adeguata pianificazione comunicativa comporterebbe laperdita dell’iniziativa ed una frenetica rincorsa agli eventi, la necessità dielaborare tattiche contingenti – e non più una strategia ad ampio respiro –ricercando un perenne adeguamento all’evolversi della situazione o, peg-gio, trincerandosi in un atteggiamento di chiusura, di no comment e di silen-zio che esporrebbe ad ogni sorta di speculazioni.Prevenire, al contrario, implica giocare d’anticipo per ridurre i tempi di pia-nificazione che altrimenti sottrarrebbero tempo prezioso alla condotta. Ri-correndo al planning ahead.

LA PIANIFICAZIONE“Failing to plan is planning to fail”.

Anonimo planner.

Corollario del concetto che la crisi può e deve esser prevista, è che la piani-ficazione è tutto (o quasi).Un piano di comunicazione adeguato dovrà essere sviluppato secondo alcu-ni imprescindibili steps consolidati dall’esperienza:• individuazione delle audiences di riferimento: esterne all’organismo(opinion leaders, istituzioni, lobbies, enti cooperanti con la struttura, clien-ti, fornitori, stakeholders), interne (personale dipendente, loro familiari),media3, gruppi d’interesse coinvolti dalla crisi;

• identificazione di possibili rischi o vulnerabilità: eventuali responsabilitànell’evento critico, potenziali pregiudizi o ostilità nelle audiences, possi-bili tentativi di strumentalizzazione;

• elaborazione di messaggi efficaci ed attagliabili alle specifiche audiencesselezionate;

• organizzazione di regolari media opportunities in cui poter dare aggiorna-menti sull’evolversi della crisi e sulle contromisure adottate;

• individuazione degli opportuni interfaccia esterni: un leader, un porta-voce, un Subject Matter Expert (SME);

• organizzazione di sessioni di training ad hoc per il personale designato airapporti con il pubblico;

• individuare possibili third party validators, ossia individui che, esterni allastruttura e non avendo interessi ad essa correlati, possano credibilmenteportare un messaggio ad essa favorevole;

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3 Va detto che, per alcuni, i media non sono un’audience propriamente detta, quanto piuttostouno strumento (medium) per raggiungerle.

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• prevedere una permanente analisi dei feedback provenienti dall’esterno(media, opinionisti, stakeholders) per avere contezza del successo o me-no dell’azione comunicativa e per poterla eventualmente correggere incorsa.

Preliminare, anzi, pregiudiziale ad ogni efficace pianificazione, è la desi-gnazione di un team che:• annoveri, tra le proprie professionalità, comunicatori “operativi”, che ga-rantiscano contezza della situazione e tengano i rapporti con le audien-ces; technical writers, per la produzione di messaggi efficaci; anticipators,che prevedano e prevengano possibili aspetti critici valorizzando in anti-cipo ogni possibile segnale di incrinatura e proponendo possibili soluzio-ni; consulenti legali, per gli aspetti giuridio-amministrativi; consulenti“politici” che individuino il corso di azioni maggiormente rispondenteagli obiettivi perseguiti dalla struttura;

• si tenga in costante coordinamento con le strutture chiave dell’ente;• sia tenuto costantemente e senza riserve al corrente della situazione, permantenere l’iniziativa in ogni momento.

Con una pianificazione che contempli gli aspetti sopracitati, è possibile ge-stire una crisi comunicativa in maniera remunerativa, o quantomeno mini-mizzando le perdite.

LA GESTIONE DELLA CRISICon un’adeguata prevenzione ed una pianificazione accurata, l’insorgeredi una crisi comunicativa non dovrebbe creare sorprese. Le azioni da intra-prendere saranno già ben delineate e, in linea di massima, riconducibili alleseguenti misure:• avere – e, pertanto, rendere – l’evento critico chiaro in ogni dettaglio, as-sumendo tutte le informazioni provenienti sia dalla branca operativa siadalla leadership, e ricevendo aggiornamenti in tempo reale. È altresì fon-damentale aver chiare, per quanto la situazione lo consenta, le dinami-che dell’evento critico, individuandone responsabilità, personale dan-neggiato, audiences coinvolte;

• garantire al communication team l’incondizionato e permanente accessoalla leadership, per ricevere informazioni esaurienti ed aggiornate, perconcordare le opportune azioni, per suggerire i messaggi più efficaci;

• disseminare, nel verificarsi dell’evento, uno statement limitato agli ele-menti di cui si ha assoluta certezza (non vi è nulla di male nel non dire ciòche non si conosce, a condizione che si garantisca un regolare ed adegua-to aggiornamento). In sede di primo contatto con il pubblico, un brieferche ha cognizione di ciò che sta accadendo – quantomeno nei suoi ele-menti fondamentali – e che ne dà tempestiva comunicazione all’esterno,viene percepito come un interlocutore credibile;

• selezionare il portavoce più indicato. Non sempre il comunicatore pro-

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fessionista è la scelta migliore: sia perché può venire percepito come un“filtro” tra la leadership e il pubblico, sia perché in un determinato fran-gente è più remunerativo far parlare il tecnico, o l’esperto, o il leader, osemplicemente colui il quale era presente all’evento. Là dove possibile,ingaggiare il third party validatordi cui si è trattato in precedenza. Ad ognibuon fine, quale che sia il briefer, è indispensabile che questi sia opportu-namente preparato in termini di messaggistica, condotta del briefing,postura ed approccio con il pubblico;

• manifestare disponibilità e ricettività, individuando ogni possibile oppor-tunità d’incontro con le audiences: sul luogo dell’evento, o all’internodella struttura, o a domicilio, per illustrare quanto accaduto e i provvedi-menti in corso d’opera.

I “MULINI A VENTO”Fermo restando quanto sinora accennato in tema di prevenzione, pianifica-zione e gestione delle emergenze, è opportuno chiedersi quanto sia possibi-le fare nel caso di crisi indotte da attività denigratorie, spesso a mezzo stam-pa, espressione di posizioni preconcette ovvero di fenomeni di concorrenza.Se, va detto, in linea di principio l’impresa può definirsi donchisciottesca,vanno comunque menzionate alcune misure che, tempestivamente appli-cate, possono dare qualche frutto.In ambito comunicativo, un provvedimento da considerare è la convocazionedei così chiamati gatekeeper meetings: in buona sostanza, incontri tra l’establi-shmentdella struttura e lobbies editoriali, nei quali ci si confronta e si analizza ilproblema ricercandone soluzioni condivise e reciprocamente satisfattorie. Analogamente, programmare visite da parte dei media all’organismo “sotto at-tacco” può aiutare a farne comprendere la politica, gli obiettivi e i principi ispi-ratori, incrementando la reciproca conoscenza ed appianando, sempre che nesussistano le condizioni di buona fede, pregiudizi e dissidi.Un aspetto particolare del tema in questione riguarda l’opportunità di reagi-re ad attacchi a mezzo stampa con comunicati di smentita. Al riguardo, l’espe-rienza suggerisce che, se in alcuni casi una smentita mirata, tempestiva e circo-stanziata può avere qualche effetto concreto con un media sostanzialmentecorretto ed obiettivo (fair, direbbero gli anglosassoni), in assenza anche di so-lo una tra queste circostanze si deve convenire con chi definisce la smentita co-me “una notizia data due volte”: rilanciare un’informazione negativa può rive-larsi un pericoloso “boomerang” sulla struttura che, tra l’altro, si esporrebbeal rischio di vedere il proprio comunicato giustapposto ad una perentoria con-troreplica. È preferibile, nei casi in questione, organizzare delle media opportu-nities con altre testate, per dare il giusto risalto all’evidenza dei fatti.

CASE STUDIESPer meglio comprendere e contestualizzare su un piano concreto quanto èstato sinora esposto, è utile ed opportuno proporre due casi, tratti dall’espe-

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rienza reale, dai quali si evince come la maniera di affrontare e gestire unacrisi sia determinante, nel bene o nel male, per la credibilità della struttura.

DEEPWATER HORIZON: PEGGIORARE LA CATASTROFESi tratta di un caso rimasto tristemente famoso nella storia, purtroppo lun-ga, dei disastri ambientali: il 20 aprile 2010 un’esplosione su una piattafor-ma petrolifera in cui operava la BP – la Deepwater Horizon – scatenò nelGolfo del Messico la peggior fuoriuscita di petrolio della storia americana,causando 11 vittime tra i lavoratori, ingenti danni alla salute pubblica eall’ambiente, nonché gravi conseguenze per l’economia locale.Travolta dall’evento a causa dell’approssimativa gestione della crisi (perstessa ammissione del CEO Tony Hayward) fu la stessa BP, la cui credibilitàrisultò minata, con disastrose conseguenze sul piano finanziario.Tra le cause del fallimento, in primo luogo va posta l’assenza di pianificazio-ne: la BP non era preparata a far fronte alla pressione mediatica e a gestirel’incalzare degli eventi (4,9 milioni di barili di petrolio che si riversarono nel-l’Oceano a ritmo impressionante); non esisteva una pianificazione di crisi,ed i piani di contingenza, inadeguati, venivano elaborati giorno per giorno.Parimenti, tra le ragioni dell’insuccesso va annoverata l’assenza di preparazio-ne: Hayward stesso ammise che la BP non aveva la tecnologia necessaria perfermare la fuoriuscita di petrolio, aggiungendo che “era probabilmente vero

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Deepwater Horizon @ AP

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che la BP avrebbe dovuto fare di più per prepararsi ad una tale emergenza4”.Infine, ma non meno importante, la gestione mediatica fu irrimediabil-mente compromessa da ripetute, infelici dichiarazioni di Hayward5 deno-tanti inadeguatezza, mancanza di senso della realtà e scarsa considerazioneverso quanti avevano sofferto le conseguenze dell’esplosione. Ai commentidi Hayward – che nell’aggravarsi della crisi indicò nella BP e in sé stesso leprincipali vittime dell’accaduto6, dimenticandosi delle vittime e dei danniall’ambiente, all’economia e al turismo locale – fece da contorno una con-dotta talvolta inopportuna7 da parte dello stesso CEO. L’effetto mediaticofu, ovviamente, devastante.Uno degli esiti di tutta la storia furono le dimissioni di Hayward. Per il resto,gli investitori persero fiducia nella BP, alla quale furono, di fatto, a lungochiusi i mercati.

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Crisis stage

4 Daniel Gross, “The Bumbler From BP: how CEO Tony Hayward is making the Gulf oil-spill dis-aster even worse”. Slate Magazine, May 17, 2010.

5 “This was not our accident … This was not our drilling rig … This was Transocean’s rig. Their systems.Their people. Their equipment”. “The Gulf of Mexico is a very big ocean. The amount of volume of oil anddispersant we are putting into it is tiny in relation to the total water volume.” “The first thing to say is I’msorry. We’re sorry for the massive disruption it’s caused their lives. There’s no one who wants this over mo-re than I do. I would like my life back.”. Richard Wray, The Guardian, 27 July 2010.

6 “What the hell have we done to deserve this?”Daniel Gross, cit.7 Sebbene la BP si sia rifiutata di confermare la circostanza, la presenza di Hayward fu notata, nel-la fase più acuta della crisi, ad una regata cui partecipava il suo yacht nell’isola di Wight.

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ESSENTIAL HARVEST: CAMBIARE IN CORSA8

Macedonia, settembre 2001: dopo sei mesi trascorsi sull’orlo della guerra ci-vile a seguito della sollevazione dell’UçK9, si era giunti ad un sofferto accor-do – patrocinato dall’Unione Europea – tra i maggior partiti politici mace-doni ed albanesi, che autorizzava lo schieramento di truppe della NATOper raccogliere le armi consegnate dai militanti del movimento. Si trattavadi una missione atipica, più politica che militare, a differenza di quanto av-venuto in precedenza nei Balcani.Gli equilibri erano labili: paradossalmente l’accordo aveva aumentato le di-visioni all’interno del governo macedone, in cui i “falchi” vedevano nel-l’UçK il nemico da neutralizzare, mentre i moderati ritenevano l’accordocome unico mezzo per evitare una recrudescenza del conflitto ed una divi-sione territoriale del Paese. I “falchi” usarono la loro forte influenza sui me-dia nazionali per attaccare in maniera massiccia la NATO – la cui presenzaessi stessi avevano autorizzato – e criticare l’accordo di pace con una campa-gna di disinformazione deleteria per una missione il cui successo era basatosul consenso popolare e sulla cooperazione degli ex combattenti, piuttostoche sulla forza. In quel contesto – una NATO voluta da una classe politica

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8 Il paragrafo è tratto da “Battling the media”, di Mark Laity, relativo all’Operazione Essential Har-vestdi cui lo scrivente, all’epoca addetto stampa nazionale nell’Operazione Joint Guardiannel vi-cino Kosovo, ha seguito in presa diretta gli sviluppi.

9 Ushtria çlirimtare Kombetare, Esercito di Liberazione Nazionale, da non confondere conl’UçK kosovaro (Ushtria çlirimtare Kosoves, Esercito di Liberazione del Kosovo).

Essential Harvest @ NATO

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fortemente divisa, con gli organi d’informazione predominanti schieraticontro la missione e determinati ad alimentare l’odio interetnico10– il fatto-re media e public relations ricopriva un ruolo chiave.La policy nei confronti dei media era stata, sin dall’inizio della missione,passiva, in aderenza ad una politica di generale basso profilo che, di fatto,aveva esposto la NATO ad attacchi e a disinformazione: l’Alleanza era accu-sata di parzialità a favore dell’UçK, di comportamento brutale e di abusodella pubblica buona fede.Gli organi d’informazione interpretarono la passività comunicativa degli Al-leati come un segno di debolezza e di scarsa fiducia nel successo dell’impresa.Parimenti, l’impossibilità da parte dei portavoce militari di commentare temidi natura politica era stata interpretata più come un segno d’impreparazioneche un’espressione del rispetto di un ruolo.La situazione degenerò durante una visita del Segretario Generale che coin-cise con l’esposizione della prima tranchedi armi consegnate dall’UçK in net-to anticipo sui tempi. L’evento, che aveva in sé tutti i presupposti per una sto-ria di successo, si tramutò in un boomerang: tra le armi ritirate, furono messein mostra le più obsolete e peggio funzionanti, tanto da far definire l’interodisplay una messinscena. La conferenza stampa indetta sul posto degenerònel caos, tra la soddisfazione dei media nazionali e la sfiducia di quelli esteri.Si decise allora di mutare policy, attuando sostanziali correttivi i cui beneficinon si fecero attendere. In particolare:• il media team fu riorganizzato e potenziato in numero, capacità ed indivi-dualità;

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10 Fatto confermato anche da un rapporto della Commissione Europea.

Crisis

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• fu scelto un approccio più proattivo, che promuovesse informazione econtrastasse disinformazione ed atteggiamenti preconcetti;

• furono conseguentemente incrementate in maniera significativa le me-dia opportunities;

• non ultimo, fu designato un portavoce civile per la gestione di tutte le doman-de politiche, demandando al portavoce militare gli aspetti tecnico-operativi.

Risultato: le conferenze stampa divennero presto gli eventi principali dellagiornata, cui vennero riservati ampi spazi televisivi. I faziosi media locali enazionali non ebbero, pertanto, altra scelta se non quella di riportare quan-to veniva detto in sede di press briefing. I messaggi della NATO (in primis,quello che la presenza NATO era una richiesta, e quindi una responsabilità,degli stessi esponenti politici che la contestavano) venivano costantementedisseminati e recepiti, contrastando la disinformazione sino a quel momen-to dilagante. Per citare Mark Laity, portavoce della missione, “Quando glioppositori iniziarono ad affermare che la NATO non avrebbe dovuto tene-re conferenze stampa giornaliere, fu chiaro che i nostri sforzi stavano ri-scuotendo successo11”.Come noto, la missione si concluse positivamente dopo meno di un anno, edè ancor oggi indicata come un esempio di diplomazia preventiva. Molto diquesto è dovuto al rapporto con i media e alla capacità di aver saputo cambia-re in corsa, imparando dalla situazione e tesaurizzando le lezioni della crisi.

CONCLUSIONIÈ oramai appurato che l’informazione e la comunicazione rivestono, anche invirtù della portata dirompente e rivoluzionaria dei social media, un ruolo cru-ciale nel formare opinioni, informare il pubblico e promuovere – od affossare– la credibilità di un organismo. Le crisi comunicative fanno – e sempre faran-no – parte del gioco delle relazioni tra lobbies, strutture, audience e media.Esse non vanno, pertanto, né demonizzate, né congelate; al contrario, seopportunamente e tempestivamente gestite, da momento di impasse posso-no trasformarsi in autentica opportunità per rinforzare immagine, profilo,convinzioni e know-howdi ogni realtà, migliorandone le capacità, il bagagliodi esperienza e, non ultimo, la credibilità.Perché ciò possa avvenire, abbiamo visto quanto importante sia il ruolo diun’oculata opera di prevenzione, di una pianificazione efficace e di un’otti-male integrazione – soprattutto in termini di condivisione d’informazioni –tra staff, leadership e comunicatori.Se anche uno solo di questi aspetti viene a mancare, il rischio è quello di per-dere ciò che al contrario si ha il dovere di cogliere: l’opportunità che ognicrisi racchiude.Perché, citando Einstein, all crises bring progress.

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11 M. Laity, cit.