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CRISI UCRAINA: CRONOLOGIA DEGLI EVENTI ED EFFETTI SULLE RELAZIONI
FRA UNIONE EUROPEA E FEDERAZIONE RUSSA
Roma, 23 Settembre 2014
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Se è vero che la crisi in cui versa oggi l’Ucraina affonda le radici nella situazione geopolitica
venutasi a creare dopo il crollo dell’ex Unione Sovietica, è tuttavia a partire dal novembre
2013 che iniziano a verificarsi una serie di eventi da cui scaturisce il conflitto armato che
insanguina oggi l’est del paese e che hanno portato le relazioni diplomatiche fra l’Occidente
e la Russia al loro punto più basso dalla fine della guerra fredda.
Senza addentrarsi nell’analisi delle posizioni dalle parti, il presente documento riporta in
ordina cronologico una breve sintesi di tali eventi, approfondendo in particolare le misure
restrittive varate rispettivamente da Unione Europea e Russia in risposta all’acuirsi della
situazione sul campo e i relativi effetti sulle relazioni economiche e finanziarie fra le due
parti.
Mancata firma dell’Accordo di Associazione UE-Ucraina e prime manifestazioni di piazza a
Kiev
Il 21 novembre 2013, dopo mesi di discussioni e intense trattative, il governo ucraino
guidato dal Presidente filorusso Viktor Yanukovich decide di sospendere l’iter di
sottoscrizione dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea, i cui negoziati presero il
via già nel 2007 e la cui firma avrebbe dovuto aver luogo in occasione del Vertice dei Capi di
Stato e di Governo del Partenariato orientale previsto a Vilnius una settimana dopo, il 28 e il
29 novembre. L’accordo avrebbe sensibilmente avvicinato da un punto di vista commerciale
Kiev e Bruxelles, allontanando l’Ucraina dall’influenza di Mosca e dalle sue mire di
costituzione di un grande spazio economico euroasiatico.
La mancata firma dell’accordo con l’Europa viene letta da gran parte della popolazione
ucraina (soprattutto nella capitale e nell’ovest del paese) come la scelta di legarsi ancor più a
Mosca, sia economicamente che politicamente; per questo nei giorni seguenti a Kiev
scendono in piazza oltre centomila persone per protestare contro la decisione di
Yanuckovich e chiedere un immediato ripensamento dell’esecutivo. Si tratta della più grande
manifestazione svoltasi in Ucraina dai tempi della rivoluzione arancione del 2004. Nel giro di
pochi giorni le proteste sfociano in violenze, con le immagini dei dimostranti feriti che fanno
il giro del mondo. Il 1° dicembre viene occupata Piazza Maidan, la centralissima piazza
dell’Indipendenza che diverrà ben presto simbolo delle poteste, con i manifestanti che
chiedendo le dimissioni del Ministro dell’Interno ritenuto responsabile di aver dato l’ordine
di attaccare i dimostranti; a breve viene occupato anche il municipio di Kiev e costruita una
lunga serie di barricate per difendere i manifestanti dagli attacchi della polizia.
In un clima di forti tensioni e scontri che vedono da un lato l’opposizione filo-europeista e
dall’altro i sostenitori del governo, il 17 dicembre Ucraina e Russia firmano a Mosca un
nuovo patto di cooperazione economica. L’accordo, siglato dai due presidenti Vladimir Putin
e Viktor Yanukovich, prevede l’erogazione di 15 miliardi di dollari investiti in titoli di Stato di
Kiev e uno sconto di circa un terzo sul prezzo del gas che la Russia vende all’Ucraina tramite
la compagnia statale Gazprom. Obiettivo immediato di tali misure è quello di evitare il
default dell’Ucraina, le cui finanze sono già duramente compromesse: alla fine del 2013 il
paese vanta infatti un debito pubblico di 64 miliardi di dollari e un bilancio fortemente
dipendente da aiuti esterni (stimati in circa 35 miliardi di dollari). In pochi giorni dallo
scoppio delle tensioni, le riserve in valuta straniera dell’Ucraina diminuiscono di 13 miliardi
di euro e i rischi legati all’instabilità portano molti correntisti a ritirare i loro depositi. Anche
gli investimenti privati si riducono al minimo, mentre la borsa subisce perdite continue e
consistenti. Oltre che sul piano finanziario, la dipendenza di Kiev dalla Russia trova ragion
d’essere su quello energetico; è infatti solo grazie ad un prezzo di favore sul gas accordato da
Gazprom nel 2013 (uno sconto di circa il 30%, da 400 a 265 dollari per 1.000 metri cubi) che
l’Ucraina è riuscita a raddoppiare l’importazione di gas, passando dai 20 milioni di metri cubi
del marzo 2013 ai 45 milioni del periodo febbraio-marzo 2014, facendo tuttavia solo in parte
fronte ad un fabbisogno totale di circa 50 miliardi di metri cubi annui.
A Kiev le proteste di piazza intanto proseguono nelle settimane seguenti: l’opposizione
guidata dall’ex campione di boxe e leader del partito di opposizione Vitali Klitschko lancia un
ultimatum al governo con cui si chiedono elezioni anticipate, abrogazione delle leggi anti
protesta e amnistia per i manifestanti arrestati. Nonostante Yanukovich provi a fare qualche
concessione alle opposizioni, promettendo un’amnistia e un rimpasto di governo e offrendo
ruoli di primo piano ai leader delle opposizioni, la situazione in Ucraina si fa sempre più
incandescente, con il numero dei morti negli scontri che continua a salire.
In questo contesto per la prima volta vengono ipotizzate sanzioni economiche dell’Unione
Europea contro l’Ucraina, mentre la Russia accusa apertamente Stati Uniti e Ue di sostenere
le frange estremiste che animano le proteste di piazza. Il 21 febbraio il Presidente
Yanukovich annuncia il raggiungimento di un accordo con le opposizioni e i rappresentanti di
Unione Europea e Russia per interrompere le sempre più gravi violenze che si verificano a
Kiev. L’accordo prevede fra l’altro le elezioni anticipate, il ritorno alla Costituzione del 2004
con una riduzione immediata dei poteri del presidente e la formazione di un governo di unità
nazionale entro 10 giorni. Ma appena il giorno seguente il Parlamento approva
l'impeachment per il presidente accusandolo di violazione dei diritti civili e facendolo così
decadere dall’incarico di capo di Stato. Yanukovich abbandona Kiev nella notte, mentre gli
attivisti occupano il palazzo presidenziale e prendono di fatto il controllo della capitale. Il
Parlamento vota la liberazione immediata di Yulia Tymoshenko, ex Primo Ministro agli arresti
dal 2011 con l’accusa di corruzione e fissa le presidenziali anticipate per il 25 maggio. Il 23
febbraio viene nominato Presidente ad interim Oleksandr Turcinov, alleato della
Tymoshenko, il quale annuncia da subito l’intenzione di riprendere il percorso di
integrazione europea. Stati Uniti e Fondo monetario internazionale si dichiarano intanto
pronti ad aiutare le disastrate finanze dell’Ucraina, mentre il Governo di Mosca congela gli
aiuti promessi all’ex presidente Yanukovich.
Intanto a Sebastopoli in Crimea, regione a maggioranza russofona in cui ha sede una base
della marina militare di Mosca, si registrano le prime manifestazioni e i primi scontri tra i
manifestanti filo-russi che affermano di non riconoscere il parlamento e annunciano di voler
organizzare un referendum per staccarsi dall’Ucraina, e i sostenitori della protesta che aveva
animato la piazza a Kiev, contrari ad una possibile svolta autonomista della penisola. A breve
la situazione nell’area si infiamma: la popolazione russofona chiede la convocazione
immediata di un referendum per la secessione della repubblica autonoma e l’annessione alla
Russia. Militari russi entrano in Crimea dove prendono possesso degli aeroporti di Belbek,
vicino a Sebastopoli, e di Sinferopoli, provocando la reazione del neo ministro dell'Interno
ucraino, Arsen Avakov, che accusa apertamente Mosca di "invasione armata". Il 1° marzo il
Parlamento russo autorizza il Presidente Putin all’uso della forza per difendere gli interessi
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nazionali e nel giro di pochi giorni l’intera penisola è in mano alle truppe di Mosca. Il 6 marzo
il Parlamento della Crimea sancisce la volontà della regione di entrare a far parte della
Federazione Russe e indice un Referendum per il successivo 16 marzo. Nel giro di poche
settimane, ciò che sembrava un altro capitolo delle proteste di piazza che in tutto il 2013 si
sono verificate in diversi paesi emergenti si trasforma in una vera e propria crisi
internazionale.
FASE 1 delle Sanzioni Occidentali contro la Russia e Misure UE a favore dell’Ucraina
E’ a questo punto che scattano le prime sanzioni diplomatiche dell’occidente nei confronti
della Russia rientranti nella cosiddetta FASE 1, una strategia i cui pilastri sono principalmente
l’isolamento internazionale e la minaccia di più gravi misure economiche. I membri del G7
annunciano che non avrebbero preso parte alle riunioni preparatorie del G8 di Sochi,
previsto per il successivo mese di giugno, fin quando la Russia non si fosse impegnata a
rivedere il proprio sostegno alle istanze autonomiste della Crimea. L’Unione Europea
sospende inoltre i negoziati bilaterali con la Russia in materia di visti e quelli riguardanti un
possibile accordo sugli investimenti. Il 24 marzo Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia,
Germania, Italia e Giappone confermano ufficialmente la decisione di boicottare il G8 russo e
di tenere in alternativa un G7 a Bruxelles, sancendo di fatto l’esclusione di Mosca dal
consesso dei potenti. Il Cremlino prende atto della decisione senza esibire particolare
dispiacere.
In parallelo, il 5 marzo 2014, la Commissione europea approva un pacchetto di misure per
sostenere economicamente e finanziariamente l’Ucraina, con uno stanziamento complessivo
di 11 miliardi di euro che si aggiungono ai consistenti finanziamenti erogati dal FMI e dalla
Banca Mondiale. L’11 marzo viene inoltre adottata una proposta di Regolamento per la
rimozione temporanea dei dazi doganali sulle esportazioni ucraine verso l'Ue, che sancisce di
fatto l’applicazione anticipata ed unilaterale delle disposizioni previste dal capitolo “trade”
(Deep and Comprehensive Free Trade Area - DCFTA) dell’Accordo di Associazione UE-
Ucraina, la cui mancata firma aveva scatenato le proteste di piazza. Il regime preferenziale
viene concesso a Kiev per un periodo di tempo limitato, fino al 1 novembre 2014, data in cui
si prevede che possa entrare in vigore l’intero Accordo di Associazione. Il valore annuo di
questa misura è stimato dalla Commissione in 500 milioni di euro in riduzioni tariffarie, di cui
quasi 400 milioni riguardanti il settore agricolo. In sintesi i contenuti della proposta
prevedono: una liberalizzazione immediata del 94,7% dei prodotti industriali, mentre il
restante 5,3% (soprattutto prodotti chimici) godrà di tariffe ridotte; preferenze tariffarie
immediate per l’82,2% delle importazioni dall'Ucraina di prodotti agricoli; per gli altri
prodotti (tra cui cereali, carne di maiale, manzo, pollame) sono previsti contingenti tariffari
duty-free; preferenze tariffarie immediate per l’83,4% delle importazioni dall'Ucraina di
prodotti alimentari trasformati, mentre il restante 15,9% sarà parzialmente liberalizzato
attraverso contingenti tariffari. Un Meccanismo di Salvaguardia prevede inoltre che le
preferenze commerciali concesse siano condizionate all’osservanza da parte dell'Ucraina
delle "regole di origine" dei prodotti, nonché alla cooperazione amministrativa del paese con
l’Ue. Dal canto suo l'Ucraina si impegna a non introdurre nuovi dazi o incrementare quelli
esistenti e a non applicare nuove restrizioni quantitative e/o misure di effetto equivalente
nei confronti dell’Ue. E’ da ultimo previsto che le misure preferenziali vengano sospese
qualora si registrino incrementi anomali delle importazioni dall’Ucraina o in caso di illeciti
circa la provenienza effettiva della merce.
Intanto il 16 marzo si tiene in Crimea il referendum con cui si chiede agli abitanti della
regione autonoma se intendono ripristinare l’assetto istituzionale in vigore dopo il crollo
dell’Unione Sovietica (godendo così di un maggiore livello di autonomia da Kiev rispetto alla
legislazione vigente) o se procedere sulla strada dell’indipendenza e dell’annessione alla
Federazione Russa: oltre il 96% dei votanti si dichiara a favore dell’annessione, provocando
un effetto domino nelle altre regioni filorusse dell’est Ucraina (in particolare Lugansk e
Donetsk). Il 21 marzo Vladimr Putin dichiara con legge costituzionale la Crimea parte della
Federazione Russa; il giorno seguente la Duma ratifica il provvedimento.
FASE 2 delle Sanzioni Occidentali contro la Russia
Tutte le principali cancellerie occidentali e la stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite
dichiarano illegale il referendum, dando così avvio alla FASE 2 delle sanzioni, quella avente
ad oggetto persone fisiche russe ed ucraine considerate coinvolte nell’intervento armato in
Crimea e ritenute responsabili di azioni che tendono a minare l'integrità territoriale e la
sovranità dell'Ucraina.
Il 17 marzo, i Ministri degli Esteri dell’UE riuniti a Bruxelles decidono di infliggere a 21
personalità di nazionalità russa e ucraina il divieto di concessione visto di ingresso
nell’Unione per un periodo di sei mesi e il congelamento dei loro assets detenuti all’estero.
Fra essi non figurano membri del governo, giornalisti o rappresentanti di società e aziende.
Decisione analoga è adottata dagli Stati Uniti contro 11 funzionari russi e ucraini. Tra i
destinatari delle misure USA figurano anche il Vice Primo Ministro russo Dmitry
Rogozin, l’ex Presidente ucraino Viktor Yanukovic e l’attuale Premier della Crimea Serghey
Aksyonov. Appena qualche giorno dopo, il 20 marzo, i leader europei nel ribadire la propria
condanna per l’annessione della Crimea e di Sebastopoli alla Federazione Russa, approvano
un ulteriore inasprimento dell’impianto sanzionatorio estendendo ad altre 12 personalità
russe e ucraine del divieto di rilascio del visto e il congelamento dei beni. Fra i destinatari di
queste nuove misure spicca il Vice Primo Ministro della Federazione, Dmitry Rogozin, già
sottoposto a misura analoga da parte degli USA. Viene, inoltre, disposto l’annullamento del
prossimo vertice Ue-Russia e la sospensione di tutti i vertici bilaterali con gli Stati membri
nonché dei negoziati relativi all’adesione della Russia all’Ocse. E’ infine in questa occasione
che il Consiglio da per la prima volta mandato alla Commissione di studiare eventuali
sanzioni di natura economica e commerciale da varare nel caso in cui la Russia mettesse in
atto ulteriori azioni finalizzate a destabilizzare ulteriormente la situazione in Ucraina.
Di fronte all’inefficacia dell’intervento diplomatico, le istituzioni comunitarie dispongono un
ulteriore ampliamento dell’elenco di personalità russe e ucraine sottoposte a misure
restrittive il 16 e il 29 aprile, e successivamente il 13 maggio e l’11 luglio, portando nel
complesso a 72 le personalità colpite da sanzioni UE.
Parallelamente - l’11 luglio 2014 - il Consiglio Europeo dispone il divieto di importare
nell'Unione merci originarie dalla Crimea o da Sebastopoli nonché fornire, direttamente o
indirettamente, finanziamenti o assistenza finanziaria, assicurazioni e riassicurazioni
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connesse all’importazione delle stesse merci. Il regolamento applicativo della misura
specifica che per “merci originarie della Crimea o da Sebastopoli” si intendono le merci
interamente ottenute in Crimea e a Sebastopoli o che vi abbiano subito la loro ultima
trasformazione sostanziale a norma, mutatis mutandis, degli articoli 23 e 24 codice doganale
comunitario. Il divieto di import non si applica fino al 26 settembre 2014, per contratti
commerciali conclusi prima del 25 giugno o di contratti accessori necessari per l'esecuzione
di tali contratti, purché la persona fisica o giuridica, le entità o gli organismi che intendono
eseguire il contratto abbiano notificato, con almeno dieci giorni lavorativi di anticipo,
l'attività o la transazione all'autorità competente dello Stato membro; vengono altresì
escluse dall’embargo le merci originarie della Crimea o Sebastopoli che sono state
presentate all'esame delle autorità ucraine, per le quali sono state verificate le condizioni
per il riconoscimento dell'origine preferenziale a norma del regolamento (UE) n. 978/2012 e
del regolamento (UE) n. 374/2014 e per le quali è stato emesso un certificato d'origine
dall'autorità competente dell'Ucraina o a norma dell'accordo di associazione UE-Ucraina.
Intanto nei primi giorni di aprile scoppiano proteste in tutto l’est dell’Ucraina dove, sull’onda
dell’indipendenza della Crimea, separatisti filo-russi chiedono la secessione da Kiev e
l’annessione alla Federazione Russa. Gli edifici governativi vengono occupati da manifestanti
armati a Lugansk, Sloviansk, Donetsk, città nelle quali ha sede la parte più consistente del
sistema industriale ucraino; nel 2011 queste tre regioni insieme a Odessa producevano
infatti da sole il 37% della produzione manifatturiera nazionale.
Intanto a Ginevra prendono il via negoziati internazionali a cui partecipano Usa, Ue, Ucraina
e Mosca; il 17 aprile il Segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergej
Lavrov annunciano il raggiungimento di un accordo per la de-escalation della tensione in Est
Ucraina, che si dimostra tuttavia non reggere alla prova dei fatti. Il 10 maggio nelle città
occupate della regione di Donetsk e di Luhansk si tiene il referendum per la secessione
dall’Ucraina e per la creazione di uno stato semi-indipendente. L’89% degli aventi diritto ha
votato a favore dell’indipendenza dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk. Nella
regione di Luhansk, invece, il 96% degli elettori «ha votato a favore della federalizzazione
della regione”. Il referendum è immediatamente dichiarato illegale da Kiev e dalle potenze
occidentali.
Il 25 maggio si tengono invece in Ucraina le elezioni Presidenziali, nonostante la presenza di
edifici ancora occupati nell’Est del paese. Petro Poroshenko, l’oligarca noto come «il re del
cioccolato» vince al primo turno con oltre il 55% dei voti. Il 27 giugno lo stesso Poroshenko
firma a Bruxelles con il presidente della Commissione europea Barroso e quello del Consiglio
europeo Van Rompuy l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e Bruxelles.
Se sino ad allora il fronte dei paesi UE favorevoli ad un inasprimento delle sanzioni contro la
Russia si era dimostrato minoritario, lo scenario diplomatico muta radicalmente il 17 luglio,
quando il volo Malaysia Airlines in servizio da Amsterdam a Kuala Lumpur precipita,
presumibilmente dopo essere stato colpito da un missile terra-aria, nei pressi della località
ucraina di Hrabove, una zona sede di forti tensioni militari fra le truppe regolari di Kiev e
quelle dei separatisti russi. Tutti i 298 passeggeri dell’aereo (di cui 193 olandesi) perdono la
vista nel disastro, che determina una decisa escalation nelle sanzioni varate da UE e Stati
Uniti verso la Russia, sancendo il passaggio alla cosiddetta FASE 3.
FASE 3 delle Sanzioni Europee contro la Russia
Il Consiglio Europeo del 25 luglio decide innanzitutto di estendere le misure restrittive già
emesse nei mesi precedenti (congelamento dei beni e divieto di concessione dei visti) a
ulteriori 15 personalità russe e ucraine e - per la prima volta - a 18 istituzioni e società la cui
proprietà è stata trasferita in violazione del diritto ucraino. Viene altresì dato mandato al
COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti dell’UE) di avviare un’analisi su future
sanzioni mirate contro la Federazione Russa.
Tali sanzioni vengono approvate il 29 luglio e giustificate dal Presidente del Consiglio
Europeo Van Rompuy e da quello della Commissione Europea Barroso come risposta alla
mancanza di segnali della fine del sostegno russo alle forze separatiste che operano
nell’Ucraina orientale e al permanere di una situazione di grave instabilità nell’area. Le
misure colpiscono direttamente quattro macrosettori: mercato dei capitali, prodotti militari,
beni dual use e tecnologie sensibili, prevedendo nello specifico:
Accesso al mercato dei capitali: divieto per le principali banche statali russe
(SBERBANK, VTB BANK, GAZPROMBANK, VNESHECONOMBANK e ROSSELKHOZBANK)
e loro sussidiarie di vendere sul mercato europeo titoli obbligazionari (bond), azioni
(equity) o altri strumenti finanziari con una scadenza superiore ai 90 giorni; è altresì
proibita la vendita di servizi ad essi collegati.
Embargo sui prodotti militari: Divieto di import/export da e per la Russia di armi e
beni destinati all’industria militare.
Beni dual use: divieto di vendere, fornire, trasferire o esportare, direttamente o
indirettamente, i beni e le tecnologie a duplice uso, anche non originari dell'Unione, a
qualsiasi persona fisica o giuridica, entità od organismo in Russia, o per un uso in
Russia, se i prodotti in questione sono o possono essere destinati, in tutto o in parte,
a un uso militare ovvero a un utilizzatore finale militare. Le autorità competenti di
ciascuno Stato membro possono tuttavia concedere un'autorizzazione qualora
l'esportazione riguardi l'esecuzione di un obbligo derivante da un contratto o da un
accordo concluso prima del 1° agosto 2014.
Restrizioni all’export di apparecchiature collegate al settore energetico:
l’esportazione in Russia di beni e tecnologie da impiegare nel settore petrolifero
dovrà essere sottoposta a preventiva autorizzazione da parte delle competenti
autorità degli Stati membri. Licenze all’export saranno vietate per prodotti destinati
all’esplorazione e produzione petrolifera in acque profonde, esplorazione petrolifera
nelle regioni dell’artico o progetti collegati allo shale gas. Le autorità competenti
possono tuttavia concedere un'autorizzazione qualora l'esportazione riguardi
l'esecuzione di un obbligo derivante da un contratto o da un accordo concluso prima
del 1 agosto 2014.
Per quanto riguarda le procedure autorizzative, una successiva circolare del Ministero dello
Sviluppo Economico precisa che gli esportatori dovranno attenersi alle norme già in vigore
per l’export di prodotti e tecnologie a duplice uso (Cfr. Decreto legislativo 96/2003 e
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Regolamento (CE) 428/2009), utilizzando tutti i modelli editabili previsti per le autorizzazioni
specifiche individuali, ed allegando la relativa documentazione.
L’entrata in vigore di tali misure viene fissata a partire dal giorno successivo alla loro
pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’UE, avvenuta il 31 luglio. In aggiunta il Coreper
decide di vietare nuovi investimenti in Crimea e nell’area di Sebastopoli nei settori
infrastrutture, trasporti, telecomunicazioni ed energia. Apparecchiature e macchinari
destinati a questi settori non potranno altresì essere esportati. E’ infine ampliato l’elenco di
personalità sottoposte a congelamento dei beni e divieto di concessione dei visti ad ulteriori
8 persone fisiche e 3 enti e società.
Una prima previsione sugli effetti di tali sanzioni sull’export dell’Italia verso la Russia viene
realizzata da Sace e contenuta nel bollettino Focus On pubblicato il 6 agosto. Gli scenari alla
base delle previsioni sono due: il primo prevede una stabilizzazione della crisi ucraina che
potrebbe portare ad un progressivo allentamento del quadro sanzionatorio; il secondo
ipotizza, invece, un’escalation delle violenze con conseguente ulteriore inasprimento delle
misure restrittive e dei relativi effetti sia sull’economia russa che sulle aziende italiane
esportatrici. Nella prima ipotesi, la Russia registrerebbe una performance economica debole
(con una crescita negativa stimata a -0,5% nel 2014 e una leggera ripresa a 0,8% nel 2015)
principalmente a causa della riduzione degli investimenti. In questo scenario l’export italiano
subirebbe una contrazione di circa il 9% nel 2014 e un recupero dello 0,5% nel 2015 per una
perdita totale di esportazioni pari a 938 milioni di euro nel biennio. La riduzione sarebbe più
marcata nel settore della meccanica strumentale, particolarmente colpita dal blocco delle
esportazioni, con una potenziale perdita di export di quasi 500 milioni di € nel biennio 2014-
2015. Il secondo scenario prevede invece un’escalation delle violenze con l’intervento
militare russo in territorio ucraino a supporto dei separatisti per un periodo limitato (3 mesi),
la chiusura delle pipeline russe che attraversano l’Ucraina, la fuga dei capitali dalla Russia e
l’aumento dei tassi di interesse. Questa situazione comporterebbe l’inasprimento del quadro
sanzionatorio da parte degli USA, pur senza contemplare in questo scenario la misura
estrema di esclusione del sistema bancario del paese dal circuito del dollaro, e UE contro la
Russia. L’attività economica russa registrerebbe una brusca frenata (-2,2% nel 2014 e -4,5%
nel 2015) a causa del drastico calo degli investimenti e dei consumi e una trasmissione
dell’instabilità alla valuta locale con un forte deprezzamento del rublo. In questo scenario il
rallentamento dell’export italiano sarebbe pari al 12% nel 2014 e all’11% nel 2015, esteso a
più settori anche alla luce del probabile inasprimento del quadro sanzionatorio. L’Italia in
questo caso registrerebbe una perdita netta di esportazioni pari a 2,4 miliardi di euro nel
biennio 2014-2015, di cui 1 mld nel settore della meccanica.
Controsanzioni Russe ed embargo sui prodotti agroalimentari occidentali
In risposta alle sanzioni varate a fine luglio dall’UE da altri paesi occidentali, il 6 agosto
Governo Russo dispone il divieto di importazione di 51 categorie di prodotti agricoli e
alimentari provenienti da UE, Stati Uniti, Australia, Canada e Norvegia. Fra essi rientrano la
quasi totalità dei prodotti ortofrutticoli, latte e derivati nonché alcune categorie di carni
lavorate. Con Decreto n. 830 del 20 agosto, viene in parte modificato l’elenco dei prodotti
agroalimentari sottoposti al divieto, reintroducendo la possibilità di importare in Russia:
Avannotti di salmone atlantico (Salmo salar) e di trota (Salmo trutta), Latte senza lattosio e
latticini senza lattosio, Patate da semina, cipolle da semina, mais ibrido da semina, piselli da
semina, Additivi biologicamente attivi; complessi di vitamine e minerali; concentrati di
proteine (di origine animale e vegetale) e loro miscele; fibre alimentari; additivi alimentari
(anche complessi). Il provvedimento entra in vigore ufficialmente il 7 agosto per un periodo
di un anno, anche se le autorità russe si riservano il diritto di modificarlo prima della
scadenza fissata.
Secondo una prima valutazione, il valore dell’export dell’Italia verso la Russia per le categorie
di prodotti sottoposti a sanzioni è stato nel 2013 pari a 163 milioni di euro, una cifra che
rappresenta il 23% del nostro export alimentare verso la Russia e l’1% di quello verso i paesi
extra UE. Le categorie merceologiche più importanti per il nostro export fra quelle
sottoposte ad embargo sono: formaggi e latticini, uve, mele e fragole, seguite da ortaggi,
carni congelate e salami. Le quote di mercato del nostro paese sulle singole voci doganali
soggette a sanzioni spaziano dal 17% (per le carni e frattaglie salate, secche e affumicate)
allo 0,1% (per oltre la metà dei codici embargati). Ben più colpiti dal provvedimento
appaiono invece i paesi del nord Europa: in particolare Lituania, Polonia e Germania il cui
export di prodotti embargati nel 2013 è stato rispettivamente pari a 922, 840 e 594 milioni di
euro. Anche considerando l’incidenza dei prodotti sottoposti a sanzioni sul totale dell’export
alimentare verso la Russia, tutti i nostri principali competitor UE risultano più penalizzati:
Germania 36%, Francia 31%, Spagna 57%, Belgio 50%. Il provvedimento è stato applicato da
subito in maniera immediata e rigorosa dalle dogane russe, che hanno bloccato i carichi di
merce provenienti dall'UE, inclusi quelli che avevano già completato le procedure di
sdoganamento e si apprestavano ad entrare nel territorio della Federazione. Dai primi
riscontri emergerebbe inoltre come la strozzatura dal lato dell'offerta determinata dalle
sanzioni stia già provocando un rapido incremento dei prezzi dei prodotti alimentari, sia al
consumo che intermedi. In particolare la domanda da parte dal settore della ristorazione
risulterebbe alle prime stime più che raddoppiata a causa del tentativo degli esercizi di
accaparrarsi le scorte di prodotti europei, mentre si registrerebbero comportamenti collusivi
dei produttori russi (particolarmente nel settore della carne), volti a limitare l'offerta
stoccando le merci prima della loro immissione sul mercato, al fine di ottenere un ulteriore
aumento dei prezzi. Per i prossimi mesi gli operatori si attendono una vera e propria
fiammata inflazionistica nel settore alimentare (oltre al diffondersi di pratiche corruttive),
che solo parzialmente potrà essere compensata dalle misure di monitoraggio e intervento
che le Autorità russe hanno annunciato di voler adottare per raffreddare i prezzi al consumo.
A seguito dell'entrata in vigore dell’embargo, il 18 agosto la Commissione Europea decide di
attuare le prima misure d'emergenza della politica agricola comune per ridurre l'offerta
globale di una serie di prodotti ortofrutticoli deperibili sul mercato europeo (ritiri dal
mercato, indennizzo per la mancata raccolta e raccolta prima della maturazione). Tali misure
dovrebbero applicarsi fino alla fine di novembre con un bilancio previsto di 125 milioni di
euro; i prodotti interessati sono pomodori, carote, cavolo bianco, peperoni, cavolfiori,
cetrioli e cetriolini, funghi, mele, pere, frutti rossi, uva da tavola e kiwi; tale provvedimento è
stato tuttavia sospeso il 10 settembre in attesa di verificare il contenuto delle richieste
presentate da alcuni Stati membri. Misure di sostegno per le pesche e le pesche noce erano
già state annunciate l'11 agosto (29,7 milioni di euro per i ritiri e 3 milioni di euro per la
promozione). Vengono altresì decise misure di sostegno per taluni prodotti lattiero-caseari; il
28 agosto la Commissione aveva infatti annunciato l'intenzione di aprire un aiuto
all'ammasso privato per burro, latte scremato in polvere e taluni formaggi. Da ultimo, il 3
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settembre, la Commissione conferma l'intenzione di fornire ulteriori 30 milioni di euro di
finanziamenti dell'UE per i programmi di promozione della PAC a partire dal 2015, da
aggiungere ai 60 milioni previsti annualmente nel bilancio della PAC.
Nonostante non possano configurarsi come misure ritorsive nei confronti dei paesi
occidentali, l’11 e il 19 agosto il Governo russo vara due decreti - n. 791 e n. 826 - che
testimoniano ulteriormente la deriva protezionistica intrapresa dalle autorità di Mosca. Nello
specifico con il Decreto n. 791 dell’11 agosto, il Governo russo adotta una nuova normativa
restrittiva in materia di appalti pubblici che, a far data dal 1° settembre, proibisce ai soli enti
pubblici e agli enti soggetti a controllo pubblico di acquistare direttamente prodotti tessili,
abbigliamento, calzature, valigie e pelli che siano stati realizzati al di fuori dell’Unione
Doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan. Con il Decreto n. 826, approvato il 19 agosto,
viene invece introdotto un blocco semestrale (in vigore dal 1° ottobre 2014 al 1° aprile 2015)
all'esportazione verso tutti i paesi stranieri di pelli conciate allo stato umido di bovini ed
equini senza pelliccia semilavorate; nel dettaglio i prodotti oggetto sono quelli rientranti nei
codici doganali SH 4104 11 e 4104 19. Per il primo di essi - 410411 - l'Italia è stata nel 2013 di
gran lunga la principale destinazione dell'export russo con una quota di mercato del 78% e
un valore esportato di quasi 70 milioni di usd (pari a 19 mln di tonnellate), seguono Spagna e
Cina con quote dell'8% e 3%; A livello globale la Russia rappresenta l'8 esportatore di questo
tipo di pelli, con una quota sull'export totale del 2,6% (USA e Brasile coprono da sole il 50%
del mercato). Per l'Italia la Russia è stata nel 2013 il 4 fornitore, coprendo circa il 9% del
nostro fabbisogno. Anche per il secondo - 410419 - continuiamo ad esser il primo
importatore dalla Russia, anche se la nostra quota si riduce al 42% per un valore di 3,6 mln di
usd; seguono Turchia, Spagna e Cina. In questo caso la Russia copre solo lo 0,7% sia
dell'export mondiale che del nostro fabbisogno.
Tentativo di cessate il fuoco e nuovo pacchetto di sanzioni UE
Il 26 agosto il presidente russo Putin incontra l’omologo ucraino Poroshenko in Bielorussia in
un tentativo di riaprire il dialogo per raggiungere un cessate il fuoco nelle regioni orientali
dell’Ucraina. Il 5 settembre, in concomitanza con il vertice Nato e la minaccia di nuove
sanzioni, l’ex presidente ucraino Leonid Kuchma, il rappresentante dei separatisti Alexander
Zakharchenko, l’inviato Osce Heidi Tagliavini, l’ambasciatore russo Mikhail Zurabov e il
leader dei ribelli di Lugansk Igor Plotnitsky giungono ad un accordo che prevede le condizioni
del cessate il fuoco, lo scambio dei prigionieri e le regole per monitorare l’armistizio. Ma
l’accordo sembra reggere solo nei giorni immediatamente successivi; il 13 settembre le forze
armate ucraine accusano infatti i miliziani separatisti di aver violato la tregua assaltando
l'aeroporto di Donetsk.
Lo stesso giorno UE e Ucraina decidono di rinviare al 31 dicembre 2015 l'entrata in vigore
dell'Accordo di Associazione, a seguito di discussioni trilaterali che dovrebbero coinvolgere
anche la Russia. In una sessione tenuta in contemporanea con il Parlamento di Kiev, il
Parlamento UE ha comunque approvato il testo dell’Accordo di Associazione e dell'accordo
di libero scambio UE-Ucraina, invitando gli Stati membri a procedere rapidamente alla
relativa ratifica.
Intanto l’8 settembre il Consiglio Europeo approva un nuovo pacchetto di sanzioni
economico-finanziarie contro la Russia, annunciate con lettera congiunta dei presidenti del
Consiglio Europeo Van Rompuy e della Commissione Barroso e ufficializzate il 12 settembre
con la pubblicazione del Regolamento n. 960. Oggetto delle nuove sanzioni sono i medesimi
settori già colpiti con provvedimento del 31 luglio: mercato dei capitali, beni dual use e
tecnologie per uso petrolifero. In sintesi il regolamento attuativo delle nuove misure
prevede:
Beni Dual USE: Divieto di vendere, fornire o esportare, direttamente o
indirettamente, beni e tecnologie dual use incluse nell’allegato 1 del Regolamento
428/2009 del 5 Maggio 2009, anche se non originarie dei paesi UE, alle seguenti
società russe:
JSC Sirius (optoelettronica per fini civili e militari)
OJSC Stankoinstrument (ingegneria meccanica per fini civili e militari)
OAO JSC Chemcomposite (materiali per fini civili e militari)
JSC Kalashnikov (armi leggere)
JSC Tula Arms Plant (sistemi di armi)
NPK Technologii Maschinostrojenija (munizioni)
OAO Wysokototschnye Kompleksi (sistemi antiaerei e anticarro)
OAO Almaz Antey (impresa di proprietà dello Stato; armi, munizioni,
ricerca)
OAO NPO Bazalt (impresa di proprietà dello Stato, produzione di
macchine per la produzione di armi e munizioni).
Alle medesime società è inoltra vietata la fornitura di servizi di assistenza tecnica,
finanziaria o di assicurazione dei crediti all’export collegati a tecnologie duali. Tali
divieti non dovranno arrecare pregiudizio all’esecuzione di obbligazioni derivanti da
contratti firmati prima del 12 settembre 2014 o alla prestazione di assistenza
necessaria per la manutenzione e la sicurezza delle capacità esistenti all'interno
dell'UE e non si applicheranno ad operazioni collegate all’industria aeronautica civile
e aerospaziale, per scopi non militari e utilizzatori finali non militari, nonché ad
operazioni finalizzate al mantenimento della sicurezza degli impianti nucleari civili
all’interno dell’UE.
Tecnologie sensibili: Divieto di fornitura, diretta o indiretta, dei servizi di i)
trivellazione, ii) prove pozzi, iii) carotaggio e completamento, iv) fornitura di strutture
galleggianti specializzate collegati all’esplorazione e produzione petrolifera in acque
profonde, esplorazione e produzione petrolifera nella regione artica o a progetti di
sfruttamento dello shale oil in Russia. Tale divieto non dovrà arrecare pregiudizio
all’esecuzione di obbligazioni derivanti da contratti firmati prima del 12 settembre e
dai loro contratti accessori, o ad operazioni necessarie a prevenire o mitigare seri
rischi per la salute umana e ambientale.
Accesso al mercato dei capitali UE: Divieto di acquisto, vendita, prestazione di servizi
d'investimento e assistenza all'emissione, diretti o indiretti, o qualunque altra
negoziazione su valori mobiliari e strumenti del mercato monetario con scadenza
superiore a 90 giorni, emessi successivamente al 1° agosto 2014 fino al 12 settembre
2014, o con scadenza superiore a 30 giorni, emessi successivamente al 12 settembre
2014, da parte dalle banche SBERBANK, VTB BANK, GAZPROMBANK,
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VNESHECONOMBANK e ROSSELKHOZBANK, o da società aventi sede fuori dall’UE e
da loro controllate, direttamente o indirettamente, per oltre il 50%. Sono inoltre
vietati l'acquisto, la vendita, la prestazione di servizi d'investimento e l'assistenza
all'emissione, diretti o indiretti, o qualunque altra negoziazione su valori mobiliari e
strumenti del mercato monetario con scadenza superiore a 30 giorni, emessi
successivamente al 12 settembre 2014 dalle seguenti società attive nella produzione
e vendita di tecnologie militari: OPK OBORONPROM, UNITED AIRCRAFT
CORPORATION, URALVAGONZAVOD e dalle società ROSNEFT, TRANSNEFT, GAZPROM
NEFT (controllate per oltre il 50% dallo stato che detengano asset superiori al 1
trilione di rubli e i cui ricavi derivino per oltre il 50% dalla produzione o trasporto di
petrolio) o da società aventi sede fuori dall’UE e da loro controllate per oltre il 50%.
In aggiunta 24 personalità russe e ucraine sono state incluse nell'elenco delle persone
sottoposte al blocco dei visti ed al congelamento degli asset detenuti all'estero; fra essi,
rappresentanti della leadership di Donbass, del Governo della Crimea nonchè uomini politici
e oligarchi russi. In totale sono oggi 119 le persone e 23 le società ed enti sottoposti a tali
misure.
Nell’annunciare il nuovo pacchetto di sanzioni, il Presidente del Consiglio Ue Van Rompuy ha
affermato che l'Unione Europea è pronta a rivedere tali nuove misure alla luce
dell’evoluzione sul campo del cessate il fuoco e del piano di pace tra Kiev e i ribelli ucraini.
Gli elenchi completi dei prodotti e soggetti interessati dalle restrizioni commerciali sono
dettagliati negli allegati dei Regolamenti Ue reperibili al seguente link del Ministero Affari
Esteri: http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Europea/Misure_Deroghe/Ucraina.htm
Gli effetti della crisi russo-ucraina sull’export italiano1
Tra i diversi fronti di tensione geopolitica che si sono aperti nel Mondo dalla fine del 2013 la
crisi russo-ucraina è quella con le conseguenze economiche più significative per l’Italia. I suoi
effetti pesano direttamente sull’export verso Russia e Ucraina; nel 2013 le vendite verso i
due paesi hanno rappresentato il 3,3% dell’export italiano (2,8% verso la sola Russia),
ammontando in totale a 12,7 miliardi di euro. Il CSC stima per il 2014 una loro riduzione
almeno pari a 1,5 miliardi di euro, lo 0,1% del PIL e presuppone, l’ipotesi di un non ulteriore
aggravamento delle tensioni in atto. Tali effetti sono causati soprattutto dal clima di
incertezza creato dal conflitto, che ha bloccato le decisioni di consumo e investimento di
famiglie e imprese russe e ucraine, di conseguenza, anche l’import dei due paesi; a questo si
aggiungono le sanzioni imposte dalla Russia a partire dallo scorso agosto sull’import
agroalimentare dall’UE. Tutto ciò si inserisce in un contesto di debolezza delle due economie
preesistente rispetto al conflitto.
Alle ricadute dirette sull’export vanno, inoltre, aggiunte le ripercussioni indirette legate alla
maggiore incertezza in Italia e nell’intera Eurozona creata dallo scontro e che influenza le
decisioni di investimento. La rilevanza del canale del commercio estero verso Russia e
Ucraina fa dell’Italia uno dei paesi più esposti al rallentamento delle loro importazioni
1 Estratto da: “Scenari Economici n. 21” Centro Studi Confindustria
causato dallo scontro in atto. Tra i paesi dell’Eurozona, infatti, solo la Germania aveva nel
2013 una quota delle vendite verso i due paesi più elevata di quella italiana, pari al 3,8% (di
cui il 3,3% verso la Russia), mentre per l’Eurozona tale quota era del 3,1% (2,6% verso la
Russia).
L’origine delle prime tensioni alla fine del 2013 è riconducibile alle ripercussioni politiche
interne della mancata approvazione da parte del governo di Kiev, al tempo filorusso, di un
provvedimento per l’avvicinamento commerciale dell’Ucraina all’UE. Una simile decisione
comporterebbe non poche difficoltà alla Russia, perché la priverebbe della tradizionale
influenza su un’area-cuscinetto tra i propri confini e l’UE, una terra chiave per motivi
commerciali, politici oltre che sociali, data la composizione mista delle etnie che popolano il
territorio ucraino. Tuttavia, la Russia si trova già da tempo in una fase di forte rallentamento,
che ha cause strutturali. Secondo un rapporto del Ministero dell’economia russo pubblicato
nell’agosto 2013, esauritosi il rialzo dei prezzi delle commodity energetiche e in mancanza di
riforme strutturali per rilanciare la competitività dell’economia che attivino investimenti
interni e dall’estero, la crescita media annua fino al 2030 è prevista a non più del 2,5%, circa
un terzo di quella sperimentata dal 2000 al 2007 (+7,2%). Lo stesso scontro con l’Ucraina non
è, quindi, indipendente da tale rallentamento, dal quale Mosca ha la necessità di sviare
l’attenzione interna.
Gli effetti direttamente misurabili dello scontro russo-ucraino sull’export italiano sono,
comunque, in parte sono attribuibili al citato rallentamento strutturale della Russia, la cui
domanda di esportazioni dall’Italia ha accelerato nel 2013 a +8,2% (dal +7,2% nel 2012),
nonostante una frenata del PIL a +1,3% (dal +3,4% del 2012). Gli effetti sull’export sono
ragionevolmente attribuibili al clima di incertezza che si è determinato in Russia e Ucraina a
causa del conflitto e che lì si riflette in atteggiamenti conservativi dei consumatori, che
frenano gli acquisti di beni finali, e delle imprese, che rinviano l’acquisto di beni intermedi e
d’investimento. Non è escluso, peraltro, che, ancora prima dell’entrata in vigore delle
sanzioni, vi siano stati un irrigidimento dei controlli burocratici alle frontiere e qualche forma
di boicottaggio non ufficiale per i prodotti UE. Tra gennaio e giugno 2014 le esportazioni
italiane in valore verso Russia e Ucraina sono scese dell’11,3% rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente (-8,9% verso la Russia e -25,6% verso l’Ucraina; l’export totale italiano
ha registrato un +1,6%), mentre erano cresciute del 7,8% nell’intero 2013 e del 6,9% nel
2012.
L’export italiano verso i due paesi ha presentato dopo la grande crisi del 2009 una
performance migliore rispetto ai principali concorrenti dell’Eurozona. È stato l’unico a
crescere sia nel 2012 sia nel 2013, e ha addirittura accelerato nel 2013 e mostrandosi più
resistente del rallentamento economico in atto nei due paesi. Inoltre, nei primi sei mesi del
2014 si è contratto, in termini annui, meno che nei principali partner tranne la Spagna. Se la
flessione annua registrata nei primi sei mesi si riproducesse per l’intero 2014, la perdita per
l’export italiano sarebbe di 950 milioni verso la Russia e di 480 milioni verso l’Ucraina, per un
totale di 1,4 miliardi di euro.
In assenza dello scontro, è verosimile che l’export italiano nei due paesi sarebbe cresciuto a
un tasso non lontano da quello del biennio precedente (+7,4%, +7,7% verso la Russia e +5,5%
verso l’Ucraina). Se si considera tale mancata crescita si arriva a un delta negativo totale per
l’export italiano pari a 2,4 miliardi (1,8 miliardi verso la Russia e 580 milioni verso l’Ucraina).
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A questi effetti vanno aggiunti quelli delle restrizioni russe all’import di prodotti europei: in
agosto è stato imposto il divieto, con durata di un anno, di importazione dall’UE, oltre che da
Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia, di un elenco dettagliato di prodotti agroalimentari
individuati attraverso i codici del Sistema armonizzato (HS, Harmonized System) di
classificazione delle merci alle dogane. Le sanzioni colpiscono un settore di punta del made
in Italy, il cui export verso la Russia è stato di 680 milioni nel 2013 (6,3% dell’export italiano
verso il paese) ed è rimasto sostanzialmente invariato nei primi sei mesi del 2014, dopo
essere cresciuto del 13,4% nel 2013. Il valore dell’export italiano agroalimentare in Russia
sottoposto a restrizione era di 161 milioni di euro nel 2013, pari a un quarto delle vendite del
settore in Russia. Tale valore è più basso in Italia che nei principali paesi concorrenti; tra di
essi è più alto è per la Germania (591 milioni di euro), mentre in termini percentuali il paese
che sarà più colpito dalla sanzione è la Spagna (il 58,5% dell’export del settore è sottoposto a
divieto). Partendo dal valore nel 2013 dell’export dei beni sanzionati, ipotizzando il
mantenimento dell’embargo russo sull’agroalimentare almeno fino alla fine dell’anno e
considerando la mancata crescita nel 2014 dell’export agroalimentare italiano verso la
Russia rispetto all’incremento medio annuo nel biennio 2012-2013 (+9,8%), il CSC stima una
perdita per l’Italia da sanzioni per l’export del settore agroalimentare pari a circa 80 milioni
di euro per i cinque mesi da agosto a dicembre 2014.
La somma degli effetti dell’incertezza, precedentemente calcolati, e delle sanzioni fa salire la
perdita nel 2014 per l’export italiano in Russia e Ucraina a 1,5 miliardi, pari allo 0,4%
dell’export totale. La mancata crescita arriva a 2,5 miliardi, cioè poco meno dello 0,2% del
PIL, se si considera anche il mancato incremento dell’export rispetto al ritmo medio di
crescita sperimentato nel biennio precedente al conflitto.
In condizioni normali gli effetti macroeconomici della crisi sull’export italiano sarebbero
considerati la ciliegina su una torta chiamata “difficile uscita dalla recessione”. Lo scontro in
atto, tuttavia, può avere conseguenze che vanno ben al di là di tali effetti e sono amplificate
in Eurolandia dal clima di incertezza, creato dalle notizie provenienti dai territori russo-
ucraini. Le ricadute sulla fiducia riducono la disponibilità delle famiglie e delle imprese a
consumare e investire. Non si possono, inoltre, dimenticare gli altri stretti legami economici,
oltre a quelli dell’export, che intercorrono tra i paesi dell’Eurozona, Italia e Germania in
primis, e i due protagonisti dello scontro. La Russia è divenuta, infatti, nel 2013 il primo
fornitore di gas naturale dell’Italia, con una quota del 49% del volume importato, in grande
parte attraverso l’Ucraina. Inoltre, le imprese italiane investono molto in Russia: la quota di
investimenti diretti all’estero (IDE) nazionali in Russia sul totale degli IDE nel Mondo era nel
2011 pari all’1,5% e inferiore, tra i partner europei, solo a quella della Germania (1,9%). Nel
settore bancario, infine, Unicredit nel 2013 era l’istituto straniero più esposto in Russia, con
18 miliardi di euro di attività. Conta, infine, anche il turismo, che potrebbe risentire di un
inasprimento della restrizione sui visti, finora decisa dall’UE solo per un numero limitato di
politici e uomini d’affari russi. Secondo i dati Banca d’Italia nel 2013 oltre un milione di russi
hanno visitato il Paese sia per motivi di lavoro (218mila) sia per motivi personali (870mila),
spendendo circa 170 euro pro-capite al giorno. Da gennaio a maggio 2014 i visitatori dalla
Russia sono cresciuti del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2013.