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Corso per curatori fallimentari da tenersi presso la sede dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona Incontro del 6.3.2014 Sul tema: “Adempimenti dichiarativi, obblighi del curatore e aspetti critici nel rapporto con gli organi tributari: accertamenti e contenzioso. ” Intervento del dott. Stefano Tonelato Membro della Commissione dell’ordine dei Dottori Commercialisti e Revisori Legali relativa allo studio ed all’approfondimento delle procedure concorsuali. Argomento assegnato: “fisco e fallimento”

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Corso per curatori fallimentari da tenersi presso la sede dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e

degli Esperti Contabili di Verona

Incontro del 6.3.2014

Sul tema:

“Adempimenti dichiarativi, obblighi del curatore

e aspetti critici nel rapporto con gli organi tributari: accertamenti e contenzioso. ”

Intervento del dott. Stefano Tonelato Membro della Commissione dell’ordine dei Dottori Commercialisti e Revisori Legali

relativa allo studio ed all’approfondimento delle procedure concorsuali.

Argomento assegnato:

“fisco e fallimento”

 

 

Giovedì, 6 marzo 2014

“fisco e fallimento”

Intervento del dott. Stefano Tonelato

Membro della Commissione dell’ordine dei Dottori Commercialisti e Revisori Legali relativa allo studio ed all’approfondimento delle procedure concorsuali.

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Sommario   1 Alcuni casi concreti da segnalare ................................................................................................................................ 4

1.1 I caso: Avvisi di accertamento notificati personalmente ad un curatore da parte dall’Agenzia delle Entrate. ........................................................................................................................................................... 4

1.2 II caso: decreto penale di condanna emesso dalla Procura della Repubblica a carico di un commissario liquidatore di una liquidazione coatta. ......................................................................................... 5

1.3 III caso: avviso di accertamento notificato ad altro collega in qualità di curatore fallimentare. ................ 5 1.4 IV caso: avviso di imputazione di reato per dichiarazione infedele e per l’utilizzo di false fatture

in mancanza di accertamento fiscale. .................................................................................................................. 6

2 Problematiche fiscali da analizzare. ............................................................................................................................ 8 2.1 Il problema della contabilità inattendibile o della possibile falsa fatturazione inserita dalla

società fallita e gli effetti delle segnalazioni svolte dal curatore. ..................................................................... 8 2.2 Funzioni e poteri del curatore o del commissario liquidatore e relativo ruolo nell’ambito di una

procedura concorsuale. ....................................................................................................................................... 10 2.2.1 Funzioni e poteri del curatore fallimentare ........................................................................................ 10 2.2.2 La non inquadrabilità del curatore tra i soggetti attivi del reato fiscale di stampo

dichiarativo e sull’assenza dell’elemento soggettivo del dolo. ......................................................... 12 2.2.2.1 La mancata indicazione del curatore nell’art. 1, lett. c) del D.Lgs. 74/2000 ........................ 12 2.2.2.2 Il reato previsto dall’art. 2 D.Lgs. 74/2000 punisce solo l’evasione propria. ...................... 13 2.2.2.3 Il principio di colpevolezza .......................................................................................................... 13

2.3 I termini di decadenza e prescrizione degli accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate ................ 15 2.3.1 I riferimenti normativi e la giurisprudenza ......................................................................................... 15 2.3.2 Conclusioni in merito ai termini di decadenza ................................................................................... 19

3 Le insidie che si possono celare nella predisposizione delle dichiarazioni fiscali a carico del curatore ....... 21 3.1 Le norme esistenti che impongono degli oneri ai curatori fallimentari poste a confronto ..................... 21 3.2 In merito alla dichiarazione dei redditi ............................................................................................................ 23

3.2.1 I riferimenti normativi in materia di Imposte sui Redditi: ............................................................... 23 3.2.2 Gli aspetti operativi e le insidie che si nascondono nella redazione della dichiarazione

dei redditi. ................................................................................................................................................ 24 3.2.3 Il comportamento suggerito alla luce dei problemi evidenziati e dei pericoli evidenziati. .......... 27 3.2.4 La dichiarazione dei redditi relativi al fallimento di una società di persone o di una ditta

individuale. .............................................................................................................................................. 30 3.2.5 La dichiarazione dei redditi nel periodo di esercizio provvisorio. .................................................. 31 3.2.6 La tassabilità dell’eventuale residuo attivo .......................................................................................... 32

3.2.6.1 I riferimenti normativi e la prassi ................................................................................................ 32 3.2.6.2 Conclusioni ..................................................................................................................................... 35

3.3 La dichiarazione IVA .......................................................................................................................................... 38 3.3.1 I riferimenti normativi in materia di IVA: .......................................................................................... 38 3.3.2 Gli aspetti operativi e le insidie nascoste negli adempimenti richiesti al curatore in

materia di IVA. ....................................................................................................................................... 38 3.3.3 Il comportamento suggerito alla luce dei problemi e dei pericoli evidenziati ............................... 39 3.3.4 Efficacia della dichiarazione IVA del periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento. .......... 42 3.3.5 3.3.3.5 Rimborsi e fermo amministrativo ........................................................................................... 42 3.3.6 Cessione del credito .............................................................................................................................. 43

3.4 La dichiarazione del sostituto di imposta e le relative certificazioni ........................................................... 43 3.4.1 I riferimenti normativi relativi agli adempimenti del sostituto di imposta .................................... 43 3.4.2 Il problema della dichiarazione relativa ai periodi antecedenti la procedura ................................ 46 3.4.3 Le certificazioni dei compensi pagati e degli stipendi corrisposti nel periodo antecedente

la procedura. ............................................................................................................................................ 47

4 Altri casi particolari di aspetti fiscali nella normativa fallimentare. .................................................................... 48 4.1 Il problema della compensazione ..................................................................................................................... 48 4.2 La necessità di provvedere all’interruzione della prescrizione per i crediti fiscali ..................................... 52

Giovedì, 6 marzo 2014

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4.3 La nota di variazione IVA a seguito della cessione del credito .................................................................... 52 4.4 Gli adempimenti fiscali nell’ambito dei sequestro di beni ............................................................................ 54

4.4.1 Apertura del codice fiscale del sequestro ............................................................................................ 54 4.4.2 Riferimenti normativi e prassi .............................................................................................................. 54 4.4.3 Il comportamento suggerito ................................................................................................................. 57

5 Gli aspetti fiscali nel concordato fallimentare ....................................................................................................... 59 5.1 La questione dell’imposta di registro nelle diverse tipologie di concordato fallimentare ........................ 59

5.1.1 Le tipologie di concordato .................................................................................................................... 60 5.1.2 Il regime fiscale del trasferimento dei beni all'assuntore. ................................................................. 61

5.2 Non è previsto il ricorso alla transazione fiscale ............................................................................................ 61 5.3 Gli adempimenti fiscali del curatore fallimentare .......................................................................................... 61

5.3.1 Premessa .................................................................................................................................................. 61 5.3.2 Le dichiarazioni fiscali ........................................................................................................................... 63 5.3.3 Adempimenti impositivi rapportati ai modelli di concordato percorribili ....................................... 65 5.3.4 Adempimenti IVA .................................................................................................................................. 66

5.4 Ulteriore problematica afferente l'IVA: le note di variazione ex art. 26, co. 2, D.P.R. n. 633/1972, conseguenti al parziale pagamento delle fatture emesse dal fornitore di beni e servizi. ................................................................................................................................................................... 68

5.5 Mod. 770 relativo alle ritenute effettuate dalla procedura e dal concordato .............................................. 69 5.6 Adempimenti relativi ai trasferimenti immobiliari ......................................................................................... 70 5.7 L’I.C.I e l’I.M.U. .................................................................................................................................................. 70

6 Le novità fiscali in tema di intassabilità delle sopravvenienze attive e di deducibilità delle perdite su crediti ........................................................................................................................................................................... 71 6.1 Scopo della modifica normativa ........................................................................................................................ 71

Lo scopo dell’inserimento della normativa in esame è rivolto a: .............................................................................. 71 6.2 Modifiche fiscali introdotte dalla conversione in legge del D.L. 83/2012 ................................................. 71

6.2.1 Le sopravvenienze attive da riduzione di debiti di impresa ............................................................. 72 6.2.1.1 Debitori esclusi dall’art. 84 del TUIR ......................................................................................... 74 6.2.1.2 Profili critici e dubbi interpretativi: ............................................................................................. 75

6.2.2 Le perdite su crediti ................................................................................................................................ 80 6.2.2.1 Il momento della deduzione ........................................................................................................ 81 6.2.2.2 Elementi certi e precisi ................................................................................................................. 81 6.2.2.3 Novità del D.L.n.83/2012 ........................................................................................................... 84 6.2.2.4 Altre presunzioni in ordine al mancato realizzo dei crediti: ................................................... 85 6.2.2.5 Perdite su crediti concorsuali dopo il D.L.n.83/2012 ............................................................. 87 6.2.2.6 Perdite su crediti esteri ................................................................................................................. 88 6.2.2.7 Periodo di deducibilità delle perdite concorsuali ...................................................................... 89 6.2.2.8 Fallimento ....................................................................................................................................... 90 6.2.2.9 Accordo di ristrutturazione dei debiti ........................................................................................ 91

6.3 In merito all’IVA sulle note di variazione IVA .............................................................................................. 93 6.4 IRAP: art. 5. D. Lgs. 446/1997 ......................................................................................................................... 93

7 Conclusioni. ................................................................................................................................................................ 94

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1 Alcuni casi concreti da segnalare Per meglio comprendere quello che di seguito si andrà a spiegare, si è voluto iniziare

il presente lavoro da alcuni episodi realmente accaduti a dimostrazione di quali e quanti possano essere le insidie ed i pericoli che sottostanno alla predisposizione delle dichiarazioni fiscali anche in ambito fallimentare.

Provvedo di seguito ad esporre alcuni casi accaduti.

1.1 I caso: Avvisi di accertamento notificati personalmente ad un curatore da

parte dall’Agenzia delle Entrate. In questo primo caso l’agenzia delle Entrate aveva richiesto al curatore di una

procedura fallimentare, nominato nell’agosto del 2006, la documentazione contabile della ditta fallita per l’anno di imposta 2005. Il curatore aveva dato corso alla richiesta dell’Ufficio consegnando allo stesso tutta la documentazione contabile ricevuta dal fallito.

A seguito di ciò, la stessa Agenzia ha notificato n. 3 avvisi di accertamento relativi al medesimo anno di imposta 2005 (e quindi antecedenti il fallimento) personalmente presso la residenza anagrafica del curatore (e non presso lo studio) indicando in tutti gli avvisi emessi la seguente precisazione: “l’autore delle violazioni è individuato, fino a prova contraria, nel Sig. …nome curatore … quale curatore fallimentare.

Tali accertamenti traevano origine dal fatto che l’Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggior valore in relazione alle vendite immobiliari dichiarate ed avvenute nell’anno antecedente il fallimento (anno 2005).

Stante il diniego da parte del predetto Ufficio di correggere quanto sopra notificato, il Giudice Delegato aveva autorizzato il predetto curatore ad impugnare i predetti avvisi di accertamento avanti la competente Commissione Tributaria Provinciale.

Il motivo di tale rigidità dell’Agenzia delle Entrate risiedeva nel fatto che il curatore aveva presentato per l’anno 2005:

- la dichiarazione IVA relativa all’anno solare antecedente il fallimento, come previso dall’art. 8 DPR 322/98;

- la dichiarazione dei redditi in bianco per l’anno solare antecedente il fallimento, benché non avesse alcun obbligo in tal senso.

La Commissione Tributaria ha riconosciuto l’estraneità del curatore riguardo ai fatti a lui imputati per i periodi di imposta antecedenti il fallimento compensando le spese di giudizio e comportando così un inutile costo che è inevitabilmente andato a gravare sull’attivo fallimentare.

Oltre a ciò va precisato che, in considerazione degli importi accertati, il citato Ufficio ha segnalato alla competente Procura della Repubblica le ipotesi di reato (scaturenti dai predetti accertamenti) ponendole ancora una volta a carico del curatore, in quanto risultava avere sottoscritto le dichiarazioni di tali anni.

In questo caso, la Procura non ha iscritto alcun reato a carico del curatore.

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Ben altro esito ha avuto una situazione analoga che ha visto coinvolto un altro collega che di seguito si espone.

1.2 II caso: decreto penale di condanna emesso dalla Procura della Repubblica a

carico di un commissario liquidatore di una liquidazione coatta. Il collega è stato nominato nel 2008 curatore di un fallimento ed ha regolarmente

ottemperato all’obbligo dichiarativo di cui all’art. 8, comma 4, del D.P.R. 322/98, evidenziando nella dichiarazione IVA relativa al periodo antecedente la procedura (anno 2008) il debito d’imposta scaturente dalla contabilità superiore ad euro 50.000,00 e ciò per consentire alla Amministrazione finanziaria di provvedere al deposito della insinuazione del relativo credito al passivo della procedura.

In considerazione dell’importo sopra indicato, l’Agenzia delle Entrate, senza nulla chiedere al predetto curatore, ha segnalato il reato di omesso versamento a carico del predetto professionista in considerazione del fatto che, avendo lo stesso sottoscritto la relativa dichiarazione, lo ha ritenuto responsabile in quanto “rappresentante legale”.

L’esito di quanto sopra è stato ben più grave del precedente caso esposto in quanto, il predetto curatore ha ricevuto la notifica di un “decreto penale di condanna”.

Inutile è stato il tardivo “ravvedimento” dell’Ufficio che ha comunicato, con lettera raccomandata alla competente Procura l’errore commesso a carico del predetto professionista qualificato impropriamente come legale rappresentante.

La conseguenza, dell’intervenuta condanna, ha comportato per il predetto professionista, la necessità di nominare un proprio difensore legale (a proprie spese) dovendosi istruire un vero e proprio (ed inutile) procedimento che lo ha poi completamente scagionato dal reato addebitato.

1.3 III caso: avviso di accertamento notificato ad altro collega in qualità di

curatore fallimentare. Altro collega è stato nominato curatore fallimentare nel 2010. L’Agenzia delle Entrate, ha notificato nel novembre 2011 personalmente al predetto

professionista un atto di contestazione per presentazione della dichiarazione annuale per l’anno d’imposta 2009 in data 26/07/2011, e pertanto, oltre il termine di legge e quindi da considerare omessa.

L’atto conteneva l’evidente errore di considerare la dichiarazione presentata dal curatore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 183, c. 1, TUIR, già sopra richiamato, per il periodo precedente il fallimento (1/1/2010 – 10/11/2010), quale fosse relativa all’anno di imposta 2009 (dichiarazione omessa dall’amministratore unico nel periodo antecedente la procedura).

Ciò che si vuole segnalare, nell’ambito dell’oggetto della presente esposizione, è che il predetto atto di contestazione aveva quale unico destinatario il predetto professionista, sia in qualità di curatore fallimentare che di legale rappresentante della società fallita, nessuna menzione quindi dell’amministratore pro-tempore.

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In questo caso, alla giusta protesta del collega, l’Agenzia delle entrate provvedeva ad emettere annullamento totale dell’atto, in esercizio del potere di autotutela. Evidentemente ha avuto più fortuna.

1.4 IV caso: avviso di imputazione di reato per dichiarazione infedele e per

l’utilizzo di false fatture in mancanza di accertamento fiscale.

Anche questo caso viene qui riportato per la sua particolarità. E’ accaduto che, un sindaco di una società sottoposta a procedura concorsuale (che

aveva a sua volta subito l’azione di responsabilità ed aveva subito un processo penale), aveva denunciato il curatore per il presunto reato di avere indebitamente utilizzato in detrazione l’IVA risultante da alcune fatture sulle quali lo stesso curatore aveva effettuato delle segnalazioni nella propria relazione ex art. 33 LF dimessa nel processo relativo alla azione di responsabilità.

In realtà, va precisato che il curatore non aveva accertato alcuna falsità su tali fatture sulle quali, peraltro, non vi è stato alcun accertamento fiscale, ma aveva solo segnalato alcune anomalie riscontrate evidenziando al contempo, alle competenti autorità, la necessità di svolgere ulteriori e più approfonditi accertamenti sui quali lo stesso curatore non aveva alcun potere. In particolare, sulla base degli accertamenti svolti, aveva evidenziato nella propria relazione dimessa ai sensi dell’art. 33 LF, l’anomalia di tali fatture segnalando la necessità di ulteriori accertamenti e verifiche da parte degli organi competenti dotati dei poteri adeguati. A fronte di tali segnalazioni, dagli organi competenti non è stata svolta alcuna ulteriore verifica ed approfondimento, ne’ è stato eseguito, entro i termini di decadenza, alcun accertamento fiscale.

Ciò nonostante, nel corso delle indagini delegate alla Polizia Tributaria per i procedimento penale radicato nei confronti del curatore, la stessa ha concluso per la sussistenza del reato ipotizzato in capo allo stesso per avere utilizzato tali fatture, senza però indicare quale sarebbe stata la condotta che il professionista avrebbe dovuto tenere in relazione a fatture solo ipoteticamente false (posto non è mai intervenuto un accertamento od una formale contestazione in ordine alla loro fittizietà).

E’ pacifico il fatto che il Curatore sia tenuto alla presentazione della dichiarazione Iva per l’anno solare precedente alla sua nomina nonché per l’anno nel quale si è aperta la procedura di fallimento.

L’art. 8 co. 4 del DPR 322/1998 precisa infatti che “In caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, la dichiarazione relativa all’imposta dovuta per l’anno so lare precedente , sempreché i relativi termini di presentazione non siano ancora scaduti, è presentata dai curatori o dai commissari liquidatori con le modalità e i termini ordinari di cui al comma 1 ovvero entro quattro mesi dalla nomina se quest’ultimo termine scade successivamente al termine ordinario. Con le medesime modalità e nei termini ordinari, i curatori o i commissari liquidatori presentano la dichiarazione per le operazioni registrate nell’anno so lare in cui è di chiarato i l fa l l imento ovvero la l iquidazione coatta amministrat iva ”.

In sintesi, in mancanza di qualsiasi accertamento fiscale, a parere della Guardia di Finanzia delegata a tale indagine, il curatore avrebbe dovuto astenersi dall’indicare in dichiarazione le fatture sospette ed avrebbe dovuto operare una rettifica contabile al fine di “ripulire” la contabilità aziendale rinunciando quindi al relativo credito.

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Il predetto procedimento è stato ovviamente archiviato perché il fatto, in ogni caso, non costituisce reato per difetto di dolo specifico.

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2 Problematiche fiscali da analizzare. Si è voluto, con quanto sopra, citare solo alcuni esempi per portare a conoscenza del comportamento anomalo talvolta tenuto dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della sua attività di controllo svolta nei confronti di ditte / società sottoposte a procedure concorsuali. Lo scopo è invece quello di segnalare la confusione che talvolta si genera nella corretta individuazione del soggetto attivo del reato fiscale di stampo dichiarativo in presenza di adempimento fiscale posto a carico dell’organo giudiziario nominato dal Tribunale per la procedura concorsuale, il quale, va ricordato, è un Pubblico Ufficiale. (1) Tale confusione si sta, purtroppo, verificando anche avuto riguardo ad annualità di imposta antecedenti l’apertura della procedura per le quali l’adempimento è stato eseguito dal legale rappresentante pro-tempore ovvero dal curatore in situazioni, talvolta segnalate nella relazione ex art. 33 LF, di inattendibilità o totale assenza di elementi contabili che comportano la presentazione di dichiarazioni prive di elementi imponibili. Di conseguenza, alla luce dell’esperienza maturata, è opportuno precisare che la maggior parte dei problemi che possono essere addebitati al curatore scaturiscono dagli adempimenti che è tenuto a compiere per i periodo di imposta antecedenti alla procedura. Si vedrà in seguito che vi sono degli specifici obblighi fiscali a carico del curatore per i periodi di imposta antecedenti il fallimento. Di seguito verranno quindi esaminate le problematiche più significative che si pongono nell’ambito di tali adempimenti.

2.1 Il problema della contabilità inattendibile o della possibile falsa fatturazione

inserita dalla società fallita e gli effetti delle segnalazioni svolte dal curatore.

Dal punto di vista pratico, spesso accade che l’Agenzia delle Entrate si limiti a

considerare gli elementi forniti dal curatore nelle relazioni dimesse come elementi di prova dell’eventuale irregolarità fiscale e/o reato. Non sempre vengono svolte delle indagini approfondite, su quanto segnalato dal curatore al fine di accertare l’effettiva sussistenza di tali irregolarità.

Invero, le Relazioni predisposte dai curatori non possono certo contenere, ad esempio, alcuna “ammissione di falsità” delle fatture sulle quali vi può essere solo un sospetto o una evidenza.

Il curatore si può solo limitare ad evidenziare, nei modi e nelle sedi competenti, la natura sospetta di alcune operazioni riscontrate nella contabilità della società fallita evidenziando le proprie riserve in relazione ad operazioni che presentano caratteri atipici e certamente “anomali”.

Non va però dimenticato che il curatore ben difficilmente può avere certezza dell’effettiva falsità o meno delle fatture “sospette”, e non è nei suoi poteri, ne’ è suo compito

(1) Art. 30 L.F.: Qualità di pubblico ufficiale

I. Il curatore, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale.

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accertare tale falsità. La cosa che può fare è quella di depositare, nelle proprie relazioni ex art. 33 LF, un apposito capitolo dedicato agli aspetti fiscali ed alle anomalie da segnalare al riguardo che, di fatto, saranno da considerare come vero e proprio esposto ex art. 331 del c.p.p. in quanto segnalate da pubblico ufficiale.

Sono davvero rari i casi in cui il curatore può affermare con assoluta certezza che si è in presenza di operazioni false. La cosa che può e che deve fare, pertanto, è quella di segnalare determinate operazioni anomale in maniera precisa e circostanziata.

Invero, una situazione “sospetta” non nasconde necessariamente un problema di falsa fatturazione. Può infatti accadere che il curatore segnali, in relazione alle posizioni di taluni fornitori, alcune incongruenze e/o anomalie concernenti, ad esempio: - le modalità di pagamento, - la carente documentazione contrattuale sottostante alle forniture ricevute dalla

società fallita, - la mancanza dei documenti di trasporto, - la incongruenza tra la documentazione contabile reperita e quella contabilizzata dai

fornitori, - etc….

Da tali anomalie, il curatore talvolta trae indizi per considerare come non avvenute

le forniture documentate da alcune fatture, altre volte può rilevare che si sia probabilmente verificata una distrazione delle merci consegnate, ovvero, ancora, può segnalare l’opportunità di approfondimenti e ulteriori accertamenti in ordine alle operazioni effettivamente avvenute tra le parti.

Di fatto, quindi, la relazione ex art. 33 LF non può che avere una mera matrice segnaletica, rivolta agli organi in grado di effettuare le ulteriori opportune verifiche, e ben difficilmente può essere, proprio per gli scarsi poteri di indagine concessi al curatore, una relazione assertiva, contenente giudizi, men che meno di carattere definitivo, con riferimento alla sicura “falsità” di alcune fatture o la effettiva illegittimità di alcune operazioni svolte.

E’ sufficiente un esempio chiarificatore: supponiamo che il curatore recuperi nella contabilità della società fallita una fattura relativa ad una determinata fornitura di merce, che risulterebbe già consegnata, la quale però non viene rinvenuta in magazzino né risultano movimentazioni idonee a giustificare il mancato reperimento dei beni. E’ sufficiente tale “anomalia” per affermare che la fattura è certamente falsa e l’operazione sottostante inesistente, dal punto di vista oggettivo o soggettivo??

La risposta non può che essere negativa posto che è possibile che la merce contemplata nelle fatture contestate sia stata effettivamente consegnata alla società fallita dai fornitori e che, successivamente, su ordine di uno degli amministratori o anche solo di qualche dipendente infedele, sia stata indebitamente sottratta per andare a rifornire altre società “compiacenti” e ciò senza alcun corrispettivo contabilizzato o con corrispettivo del tutto inadeguato.

E’ quindi evidente che le fatture contestate non possono essere considerate false a priori, in quanto non è affatto inverosimile ritenere che le cessioni contemplate nella documentazione fiscale siano state reali ed effettive e che alle stesse sia conseguita una illecita attività distrattiva.

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Ad esempio, il fatto che vi siano degli aspetti da segnalare nei documenti fiscali (possibile distrazione della merce effettivamente consegnata, piuttosto che documenti emessi in mancanza di documentazione contrattuale adeguata o conforme), di per sé non determina affatto la falsità di detti documenti. Tuttalpiù può delineare una violazione degli accordi contrattuali tra le parti, di cui i responsabili amministrativi potrebbero non essersi accorti, oppure potrebbe anche indicare una modifica consensuale degli accordi precedenti. In ogni caso, non è certo sufficiente rilevare che un determinato corrispettivo non sia stato contrattualizzato con il fornitore, per concludere nel senso della “falsità” del documento recante quel corrispettivo.

Detto questo, e come si dirà meglio tra poco, non è certo compito del curatore verificare e accertare le responsabilità fiscali degli amministratori o di alcuni dipendenti in ordine a quelle operazioni anomale che lui stesso evidenzia nelle proprie relazioni. Un compito – quest’ultimo - che spetta alle autorità competenti e tra queste indubbiamente quella fiscale, titolare esclusiva della potestà di accertamento delle imposte dovute sulla base di una corretta applicazione delle norme tributarie.

Purtroppo talvolta accade che i competenti organi diano per scontata la solo presupposta falsità delle fatture segnalate, quando invece detta falsità è tutta da verificare e da accertare. Appare poi paradossale che talvolta siano imputate al Curatore le conseguenze della (asserita) falsità di documenti che egli stesso abbia prontamente segnalato alle autorità competenti.

All’esito della relazione redatta dal curatore ex art. 33 LF, le eventuali segnalazioni rese possono dunque definire solo una “presunta falsità” o una “sospetta falsità”, considerato che la falsità delle fatture deve essere formalmente contestata dall’organo titolare del potere di accertamento.

In tali Relazioni, devono ovviamente essere illustrati dettagliatamente i “sospetti” maturati in relazione ad alcune operazioni evidentemente anomale, corredando le proprie dichiarazioni da adeguata documentazione.

2.2 Funzioni e poteri del curatore o del commissario liquidatore e relativo ruolo

nell’ambito di una procedura concorsuale.

2.2.1 Funzioni e poteri del curatore fallimentare

Non bisogna qui dimenticare il ruolo fondamentale del curatore che assume, che deve, di fatto contemperare due diversi interessi:

Si tratta di due interessi teoricamente confliggenti e pertanto, l’equilibrio che deve tenere tra essi è molto delicato.

Non vi è dubbio, infatti, che il curatore debba tutelare il ceto creditorio della società ammessa alla procedura. Di conseguenza, oltre agli adempimenti fiscali richiesti dalle norme sopra riportate, il Curatore, ha comunque l’onere / dovere di realizzare gli assets

Interessi erariali Interessi dei creditori

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della procedura e, tra questi, anche i crediti fiscali riscontrabili nella contabilità ove rinvenuta.

Per tali motivi, se riscontra in contabilità delle fatture e dei costi per forniture sospette, non pare possa permettersi di stralciarle sulla base delle semplici anomalie rilevate e dei relativi sospetti circa possibili insussistenze parziali o totali delle operazioni documentate, “rinunciando” così alle posizioni fiscali “a credito” insite nei documenti di acquisto. Così facendo si potrebbe esporre a delle contestazioni uguali e contrarie, stavolta non per aver ipoteticamente danneggiato gli interessi erariali, bensì quelli degli altri creditori, i quali potrebbero imputargli di aver agito con leggerezza, dando per scontati accadimenti (quali la falsità totale o parziale delle operazioni documentate) che la sua stessa relazione indicava come bisognevoli di approfondimenti e ulteriori riscontri. Al riguardo, occorre però considerare che lo stesso curatore non gode dei poteri ispettivi e di indagine di cui è titolare la Pubblica Amministrazione e non può pertanto, ad esempio, effettuare accessi e ispezioni documentali presso la sede dei fornitori, onde esaminare la corrispondenza ed i documenti contabili delle società fornitrici al fine di verificare la veridicità dei dati contenuti nella contabilità delle società fallite. Il Curatore è però pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (2) e come tale risponde per fatti compiuti dallo stesso per effetto della nomina conferita dal Tribunale. Circa la nozione di Pubblico Ufficiale non si può che richiamare la definizione data dall’art. 357 C.P. sotto riportata. “Art. 357 c.p.: Nozione del pubblico ufficiale. Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.”

Considerata la qualifica di pubblico ufficiale del curatore, attribuitagli direttamente

dall’art. 30 L.F., le relazioni in esame valgono senza alcun dubbio come denunce di reato ai sensi dell’art. 331 c.p.c.. (3)

Proprio in considerazione del ruolo rivestito dal curatore, a tutela dei creditori, è quindi difficile provare che lo stesso possa davvero avere avuto intenzione di avvantaggiarsi (personalmente) di fatture false registrate dall’organo amministrativo.

Quello che invece il Curatore può fare, ad esempio, è di richiedere alle controparti contrattuali della società fallita chiarimenti in merito alle anomalie riscontrate e si può

(2) Art.30 L.F.. Qualità di pubblico ufficiale.

Il curatore, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale. (3) Art. 331 Cpp - Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio. 1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

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attivare con i dipendenti della società per raccogliere le loro testimonianze in relazione ai fatti di causa.

Una volta descritto nella propria relazione gli accertamenti svolti e la documentazione e le testimonianze acquisite, anche in merito a possibili anomalie fiscali, ha fatto tutto quanto in suo potere per documentare la fondatezza o meno dei suoi sospetti.

In conclusione, in considerazione del fatto che i problemi più significativi che possono ricadere sul curatore derivano dagli eventuali accertamenti e segnalazioni che la Pubblica Amministrazione deve svolgere e che, di conseguenza, gli accertamenti più significativi si riferiscono alle operazioni poste in essere dalla società fallita nei periodi antecedenti il fallimento, si può quindi comprendere che assume importanza significativa il legame che il curatore riesce a generare tra:

ß e à

Questo legame consente al curatore di sostenere, la propria imparzialità rispetto

agli adempimenti svolti ed alle possibili insidie negli stessi contenute. Si deve infatti considerare che, come si è visto dai fatti realmente accaduti, gli

accertamenti vengono generalmente imputati, almeno in prima battuta e fino a prova contraria, al soggetto che sottoscrive la dichiarazione.

2.2.2 La non inquadrabilità del curatore tra i soggetti attivi del reato fiscale di stampo

dichiarativo e sull’assenza dell’elemento soggettivo del dolo. Secondo autorevole dottrina il Curatore non è imputabile per il reato di

dichiarazione fraudolenta in quanto lo stesso non può essere ricompreso tra i soggetti attivi del reato (4).

E ciò per diverse ragioni:

2.2.2 .1 La mancata ind i caz ione de l cura tor e ne l l ’a r t . 1 , l e t t . c ) de l D.Lgs . 74/2000 In primo luogo, l’art. 1 lett. c) del D. Lgs. 74/2000, nell’indicare in via tassativa (5) i

soggetti che con la propria condotta possono incorrere nelle fattispecie sanzionate, non

(4) V. NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, Milano, 2000, pag. 43;. A

MANGIONE, La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture, in Diritto penale tributario, a cura di E. Musco, Milano, 2002, pag. 24; P. RUSSO, I soggetti attivi nei delitti dichiarativi tributari, Il fisco n. 32/2003, pag. 5072; F. BRIGHENTI, I nuovi reati tributari, Bollettino Tributario 7/2000, pag. 486; M. SOLINAS, Il problema della rilevanza penale della qualificazione giuridica delle operazioni economiche oggetto della fatturazione nella nuova disciplina del delitto di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D. Lgs. 74/2000, Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze n. 2/2010.

(5) F. BRIGHENTI, cit., “… il raggio di azione penale si estende, oltre ai casi di coincidenza tra contribuente e soggetto attivo del reato, anche a chi opera nella

veste di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche (cioè i soggetti cui vanno riferiti sia la dichiarazione presentata che il fine di evasione). Per converso, la norma – proprio per il carattere tassativo dell’elenco – esclude dal novero dei soggetti attivi dei reati tributari coloro che non

Gli adempimenti fiscali svolti le relazioni ex art. 33 depositate

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menziona affatto il Curatore bensì si limita a richiamare le figure dell’“amministratore , l iquidatore , rappresentante di soc i e tà , ent i o persone f i s i che”. Tale omissione non può ritenersi una “mera dimenticanza” ma va al contrario interpretata come un chiaro segnale della volontà del Legislatore di far rispondere dei reati tributari esclusivamente i soggetti passivi dell’obbligazione tributaria ed i loro rappresentanti.

Per dottrina e giurisprudenza unanime (ex multis, di recente, Cass. Civ., Sez. I, n. 3274 del 10.02.2011) gli organi concorsuali non sono sostituti o rappresentanti del soggetto insolvente bensì assumono la qualifica di terzi rappresentanti della massa dei creditori. Di conseguenza, ben può essere esclusa a priori la responsabilità del Curatore in relazione al reato in esame, posto che tale organo non è ricompreso tra quelli indicati all’art. 1 lett. c) D. Lgs. 74/2000.

2.2.2 .2 I l r ea to prev i s to da l l ’ar t . 2 D.Lgs . 74/2000 punis c e so lo l ’ evas ione propr ia .

In secondo luogo, la configurabilità del reato in esame nei confronti del Curatore

andrebbe esclusa anche in ragione del fatto che l’attuale formulazione dell’art. 2 D. Lgs. 74/2000, a differenza del precedente dettato dell’art. 4 della L. 516/1982, non contempla più, tra gli scopi dell’agente, l’agevolazione dell’evasione altrui, punendo esclusivamente l’evasione propria (6). Posto che, come appena chiarito, il debito tributario della società amministrata non è affatto debito “proprio” del curatore (che è organo concorsuale, a tutti gli effetti ben distinto dalla società gestita), non sembra azzardato affermare che la condotta di quest’ultimo non rientra nel campo di applicazione della norma.

2.2.2 .3 I l pr inc ip io d i co lpevo l ezza Infine, a prescindere dalle considerazioni sopra svolte, non va certo dimenticato il

principio di colpevolezza - sancito dall’art. 27 della Costituzione (7) nonché dall’art. 40 co. 1 c.p., il quale prevede che: “Nessuno può essere punito per un fat to preveduto dal la l egge come reato , se l ' evento dannoso o per i co loso , da cui dipende l ' es i s t enza de l reato , non è conseguenza de l la sua azione od omiss ione . Non impedire un evento , che s i ha l 'obbl igo g iur idico di impedire , equivale a cagionarlo .”

Da tale principio ne discende che nessuno può essere punito per una azione o omissione prevista dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà e, di

vi sono enumerati: ad es., il curatore del fallimento (che non è né un rappresentante né un sostituto dell’imprenditore fallito), il curatore dell’eredità giacente, il commissario liquidatore, pur essendo tenuti ad obblighi dichiarativi, non rientrano nell’area di incriminabilità penaltributaria”.

(6) In particolare, G. L. SOANA, I reati tributari, Giuffré, 2009, pag. 119 “Il dolo specifico, come risulta dal dato letterale della norma, deve, oltre, essere

diretto a realizzare unicamente un’evasione propria, mentre non acquisisce rilevanza l’evasione altrui”. (7) Art. 27 della Costituzione Italiana

La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

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conseguenza, il riconoscimento del reato richiede necessariamente che alla condotta dell’agente si accompagni un determinato elemento soggettivo psicologico.

Come ha rilevato la dottrina più attenta, qualora si tratti di accertare eventuali responsabilità degli organi concorsuali la valutazione in merito alla sussistenza dell’elemento soggettivo deve essere ancor più rigorosa, posto che tali soggetti, esercitanti una pubblica funzione, risponderanno dei reati previsti dal D. Lgs. 74/2000 “solo in presenza di determinati requisiti che colorano indubbiamente la (…) condotta di illiceità e che non lasciano dubbio alcuno sulla (…) intenzione criminosa” (8).

La dottrina è unanime nel ritenere che il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 D. Lgs. 74/2000 presupponga la sussistenza di un dolo specifico in capo all’agente, soprannominato “dolo spec i f i co di evasione” (9): il soggetto che ha effettuato la dichiarazione deve aver agito con l’obiettivo specifico di evadere le imposte o conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un credito inesistente.

Sul punto va quindi precisato che devono sussistere elementi “oltre ogni ragionevole dubbio” per affermare che il Curatore ha avuto “coscienza e volontà del fatto tipico”, rappresentato dall’“indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi, corroborati da documentazione fiscale falsa”. Tali elementi non possono derivare dalle semplici segnalazioni compiute dallo stesso curatore nella relazione ex art. 33 LF, ma possono eventualmente derivare dalla consapevolezza del curatore (prima della trasmissione della dichiarazione) dell’avvenuto accertamento della falsità contestata da parte dell’Amministrazione finanziaria, rimanendo altrimenti tale fattispecie meramente ipotetica e non accertata.

Non pare quindi che possa essere utilizzata la segnalazione del curatore per provare la consapevolezza dello stesso circa la presunta falsità dei documenti utilizzati nelle dichiarazioni ed il conseguente addebito in termini di dolo specifico.

Non si comprende come, il fatto di aver evidenziato agli Organi competenti le anomalie rilevate, possa rappresentare la prova della volontà specifica del Curatore di evadere determinate imposte.

Per affermare la sussistenza del dolo specifico in capo ad un soggetto terzo quale è il Curatore è necessario dimostrare in modo inequivocabile, e cioè con l’indicazione di elementi certi ed inconfutabili, che il suddetto professionista ha agito con piena consapevolezza della falsità dei documenti reperiti ed allo scopo preciso di evadere le imposte per un interesse proprio personale.

Il secondo comma dell’art. 2 del D. Lgs. 74/2000 stabilisce che “Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”. (8) C. SANTORIELLO, La responsabilità penale tributaria del curatore fallimentare, Il Fisco, 39/2001, pag. 12839, richiamato anche da P. RUSSO, Il

fisco n. 32/2003. (9) In tal senso, oltre alla relazione ministeriale al D. Lgs. 74/2000, si veda in particolare: E. MUSCO, Diritto penale tributario, Giuffré, 2000,

pag. 50; G.L. SOANA, I reati tributari, Giuffré, 2009, pag. 118; R. LUPI, Interrogativi sul dolo specifico come limite alla rilevanza penale di questioni di diritto – La consapevolezza dell’evasione come requisito per il dolo specifico, in Fiscalità d’impresa e reati tributari, Il Sole 24 ore, 2000, pag. 58. Si è invece espresso per la sufficienza del dolo generico: I. CARACCIOLI, Elemento soggettivo e obbligo di denuncia - La consapevolezza dell’evasione come elemento costitutivo del reato, in Fiscalità d’impresa e reati tributari, a cura di R. LUPI, Il Sole 24 ore, 2000, pag. 74. In giurisprudenza per la configurabilità del dolo specifico si veda Cass. Sez. Unite, n. 27 del 25.10.2000 (richiamata di recente da Cass. Pen., Sez. II, 8.05.2009 n. 34546), la quale ha precisato che “Quanto alla struttura e agli elementi costitutivi della nuova ipotesi criminosa di "dichiarazione fraudolenta", l'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (…) Il delitto, di tipo commissivo e di mera condotta, seppure teleologicamente diretta al risultato dell'evasione d'imposta come precisato nella definizione del dolo specifico di evasione sub art. 1 lett. d), ha natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale (…)”. Nello stesso senso: Trib. Lamezia Terme, 20.07.2009; Trib. Torino, 17.05.2007; Trib. Perugia, 22.12.2006 n. 11301; Uff. Indagini Preliminari di Milano, 8.06.2000.

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Ebbene, il Curatore con le proprie segnalazioni dimostra di voler prendere le distanze dalle registrazioni contabili (compiute da altri prima di lui e non nell’ambito del suo incarico) anomale, effettuate dall’organo amministrativo della Società, che richiedono poi maggiori indagini da parte delle Autorità competenti.

2.3 I termini di decadenza e prescrizione degli accertamenti da parte dell’Agenzia

delle Entrate

2.3.1 I riferimenti normativi e la giurisprudenza

Articolo 43 del D.P.R. 600/1973- Termine per l'accertamento. (Imposte dirette) (N.D.R.: Per gli effetti delle disposizioni del presente articolo v. l'art.37, comma 26, D.L. 4 luglio 2006 n.223. L'articolo 10 della legge 27

dicembre 2002 n.289, così come modificato dall'art. 5-bis del D.L. 24 dicembre 2002, n.282, ha prorogato di due anni - per i contribuenti

che non si avvalgono delle disposizioni dettate dagli artt.7, 8 e 9 della stessa legge n.289/2002 - tutti i termini previsti dal presente

articolo).

In vigore dal 4 luglio 2006 1. Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno

successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. 2. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle

disposizioni del Titolo I, l'avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

3. In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal de c r e to l e g i s la t ivo 10 marzo 2000, n . 74, i t e rmin i d i cu i a i commi pre c edent i sono raddoppia t i r e la t ivamente a l per iodo d i impos ta in cu i è s ta ta commessa la v io laz ione .

4. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell'avviso devono essere specificatamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio delle imposte.

Articolo 57 del DPR 633/72 Termine per gli accertamenti. (IVA) (N.D.R.: Per gli effetti delle disposizioni del presente articolo v. l'art.37, comma 26, D.L. 4 luglio 2006 n.223. L'art. 10 L. 27 dicembre

2002 n. 289 ha prorogato di un anno - per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni dettate dagli artt. 7, 8 e 9 della stessa L.

n. 289 del 2002 - tutti i termini previsti dal presente articolo.)

In vigore dal 4 luglio 2006 1. Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell'art. 54 e nel secondo comma dell'art.

55 devono essere not i f i cat i , a pena di decadenza, entro i l 31 dicembre de l quarto anno success ivo a quel lo in cui è s tata presentata la dichiarazione . Nel caso di richiesta di rimborso dell'eccedenza d'imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale, se tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell'ufficio e la data della loro consegna intercorre un periodo superiore a quindici giorni, il termine di decadenza, relativo agli anni in cui si è formata l'eccedenza detraibile chiesta a rimborso, è differito di un periodo di tempo pari a quello

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compreso tra il sedicesimo giorno e la data di consegna. 2. In caso di omessa presentazione de l la dichiarazione l'avviso di accertamento dell'imposta a

norma del primo comma dell'art. 55 può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

3. In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura

penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i t ermini di cui ai commi precedent i sono raddoppiat i re lat ivamente al per iodo di imposta in cui è s tata commessa la v io lazione.

4. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti le rettifiche e gli accertamenti possono

essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell'avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto.

Art. 331 Cpp Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio. 1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero. Articolo 20 – Decreto legislativo del 10 marzo 2000 n. 74 Rapporti tra procedimento penale e processo tributario. CD: Principio del doppio binario 1. Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione. Articolo 22 D.P.R. 600/1973 Tenuta e conservazione delle scritture contabili. In vigore dal 25 ottobre 2001 - con effetto dal 1 gennaio 1982 Modificato da: Legge del 18/10/2001 n. 383 Articolo 8 1. Fermo restando quanto stabilito dal cod i c e c i v i l e per il libro giornale e per il libro degli inventari e dalle leggi speciali per i libri e registri da esse prescritti, le scritture contabili di cui ai precedenti articoli, ad eccezione delle scritture ausiliarie di cui alla lettera c) e alla lettera d) del primo comma dell'articolo 14, devono essere tenute a norma dell'articolo 2219 del codice stesso e numerate progressivamente in ogni pagina, in esenzione dall'imposta di bollo. Le registrazioni nelle scritture cronologiche e nelle scritture ausiliarie di magazzino devono essere eseguite non oltre sessanta giorni. 2. Le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del cod i c e c i v i l e o di leggi

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speciali devono e s s e r e conserva te f ino a quando non s iano de f in i t i g l i a c c e r tament i r e la t iv i a l co rr i spondente per iodo d i impos ta , anche o l t r e i l t e rmine s tab i l i to da l l 'ar t . 2220 de l cod i c e c i v i l e o da altre leggi tributarie, salvo il disposto dall'art. 2457 del detto codice. Gli eventuali supporti meccanografici, elettronici e similari devono essere conservati fino a quando i dati contabili in essi contenuti non siano stati stampati sui libri e registri previsti dalle vigenti disposizioni di legge. L’autorità adita in sede contenziosa può limitare l'obbligo di conservazione alle scritture rilevanti per la risoluzione della controversia in corso. 3. Fino allo stesso termine di cui al precedente comma devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse. 4. Con decreti del Ministro per le finanze potranno essere determinate modalità semplificative per la tenuta del registro dei beni ammortizzabili e del registro riepilogativo di magazzino, in considerazione delle caratteristiche dei vari settori di attività.

Sentenza del 05/03/2007 n. 4998 - Corte di Cassazione Massima: La rettifica della dichiarazione IVA va effettuata entro il termine massimo del quarto anno successivo a quello di presentazione anche se l’attività di accertamento abbia posteriormente portato alla luce elementi che ne dimostrino l’infedeltà. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria. Si riportano alcuni passaggi importanti di questa sentenza: “ … Invero - nel disporre che "gli avvisi di rettifica devono essere notificati a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione..." - l'ar t . 57 d .p . r . 633/1972 pone la dichiarazione del contribuente (nella specie incontrovertitamente risalente al 1986) quale inequivoco referente temporale a quo della decadenza imposta al potere di rettifica dell'Ufficio. In sintonia con la precipua finalità dell'istituto della decadenza - che è quella di rispondere all'esigenza di porre scadenze perentorie per l'esercizio dei poteri dell'Ufficio allo scopo di assicurare certezza al rapporto e di tutelare il contribuente con la predeterminazione del tempo massimo del suo assoggettamento allo stesso (v. Cass. 1196/00) - la disposizione riferisce, alla dichiarazione, il dies a quo del termine di decadenza del potere di rettifica anche con specifico riguardo ad ipotesi in cui l’infedeltà della dichiarazione emerga, non direttamente dal Contenuto della dichiarazione medesima, ma da elementi estranei ad essa e successivamente conosciuti; con ciò confermando, in aderenza al carattere oggettivo dell'istituto, l'irrilevanza, ai fini della decorrenza della decadenza, del momento in cui l'Ufficio venga a conoscenza di elementi rivelatori dell'infedeltà della dichiarazione. Non essendosi attenuta ai rilevati criteri, senza individuare una diversa fonte normativa di riferimento e in difetto della benché minima giustificazione logico-giuridica a supporto della conclusione assunta, la sentenza impugnata è incorsa nella denunziata violazione di diritto e, in accoglimento del primo motivo di ricorso, va, pertanto, cassata. …” Sentenza del 20/07/2011 n. 247 - Corte Costituzionale Massima: E’ inammissibile, in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 97 cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del terzo comma dell’art. 57 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633, e del comma 26 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006, nella parte in cui il giudice a quo sostiene che viene violato lo statuto del contribuente che esclude proroghe per accertamenti di imposta - poiché le disposizioni della legge n. 212/00 non hanno rango costituzionale e non fondano un parametro per un giudizio di legittimità. E’ infondata, in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del terzo comma dell’art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 e del comma 26 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006, nella parte in cui il giudice a quo sostiene che viene violato lo statuto del contribuente che esclude proroghe per accertamenti di imposta - poiché viene perseguito l’obiettivo di attribuire agli uffici tributari maggior tempo per accertare

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l’effettiva capacita contributiva del soggetto passivo d’imposta giustificato da violazioni gravi e di più difficile controllo. Si riportano alcuni passaggi importanti di questa sentenza:

“… Per completezza, va infine rilevato che, in forza della specialità del censurato t e rzo comma de l l ’ar t . 57 de l D.P.R. n . 633 de l 1972, non r i en trano ne l computo de i t e rmin i da raddoppiare i pro lungament i d i que l l i prev i s t i da a l t r e d i spos iz ion i d i l e gg e . Induce a tale conclusione la lettera del citato t e rzo comma de l l ’ar t . 57 de l D.P.R. n . 633 de l 1972, che prevede il raddoppio dei soli «termini di cui ai commi precedenti» dello stesso articolo; e cioè dei termini che scadono il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e stata presentata la dichiarazione (primo comma), nonché dei termini che scadono il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (secondo comma). Non rientrano, pertanto, nel computo dei termini da raddoppiare ai sensi delle disposizioni denunciate ne la proroga biennale di cui all’ar t . 10 de l la l e gg e n . 289 de l 2002, ne il diverso raddoppio dei termini dei medesimi primi due commi dell’ar t . 57 d .P .R. n . 633 de l 1972 previsto, nell’ambito degli interventi antievasione e antielusione internazionale e nazionale, dal comma 2-b is de l l ’ar t . 12 de l de c r e to - l e gg e 1° lug l io 2009, n . 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla l e gg e 3 agos to 2009, n . 102, comma inserito dall’ar t . 1 , comma 3, de l de c r e to - l e gg e 30 d i c embre 2009, n . 194, convertito, con modificazioni, dalla l e gg e 26 f ebbra io 2010, n . 25. Quanto all’asserita arbitrarietà, infatti, il raddoppio non consegue da una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli uffici tributari, ma opera so l tanto ne l caso in cu i s iano ob i e t t i vamente r i s contrab i l i , da par t e d i un pubbl i co u f f i c ia l e , g l i e l ement i r i ch i e s t i da l l ’ar t . 331 cod . pro c . pen . per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale. Per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, tale obbligo sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita (ex plurimis, sentenze della Cassazione penale n. 27508 del 2009; n. 26081 e n. 15400 del 2008; n. 1244 del 1985; n. 6876 del 1980; n. 14195 del 1978). Va, inoltre, sottolineato al riguardo che il pubblico ufficiale - allorché abbia acquisito la notitia criminis nell’esercizio od a causa delle sue funzioni - non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia. Quanto all’asserita incontrollabilità dell’apprezzamento degli uffici tributari circa la sussistenza del reato, va obiettato che - contrariamente a quanto affermato dal rimettente - il sistema processuale tributario consente, invece, il controllo giudiziario della legittimità di tale apprezzamento. I l g iud i c e t r ibutar io , in fa t t i , dovrà contro l lar e , s e r i ch i e s to con i mot iv i d i impugnazione , la suss i s t enza de i pre suppost i de l l ’ obb l i go d i denunc ia , compiendo a l r i guardo una va lu tazione ora per a l lo ra (cosiddetta prognosi postuma) c i r ca la lo ro r i co rr enza ed ac c e r tando , qu ind i , s e l ’amminis t raz ione f inanziar ia abbia ag i to con imparz ia l i tà od abbia , inve c e , fa t to un uso pre t e s tuoso e s t rumenta l e de l l e d i spos iz ion i denunc ia t e a l f ine d i f ru i r e ing ius t i f i ca tamente d i un p iù ampio t e rmine d i a c c e r tamento . E opportuno precisare che: a) in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare detti presupposti e’ a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal censurato t e rzo comma de l l ’ar t . 57 de l d .P .R. n . 633 de l 1972; b) il correlativo tema di prova - e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – e’ circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato; c) gli eventuali limiti probatori propri del processo tributario hanno, pertanto, una ridotta incidenza nella specie e, comunque, non costituiscono oggetto delle sollevate questioni. …”

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2.3.2 Conclusioni in merito ai termini di decadenza

Di conseguenza, alla luce delle norme sopra riportate e, soprattutto, della sentenza sopra richiamata della Corte Costituzionale del 2011 i termini di decadenza possono essere schematicamente così riassunti: a) Termini ordinari sia per l’IVA che per le imposte dirette: a.1) caso di dichiarazione presentata: entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in

cui è stata presentata la dichiarazione. a.2) caso di dichiarazione omessa o nulla: o di presentazione di dichiarazione nulla ai

sensi delle disposizioni del Titolo I, l'avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

b) Termini raddoppiati sia per l’IVA che per le imposte dirette: Entrambi i termini sub a.1) ed a.2) sono raddoppiati “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i t ermini di cui ai commi precedent i sono raddoppiat i re lat ivamente al per iodo di imposta in cui è s tata commessa la v io lazione . Si deve trattare comunque di una denuncia relativa a fatti ed argomenti fondati e non può essere quindi sufficiente una denuncia pretestuosa a prorogare i termini dell’accertamento. Si tratta, dunque, in quest’ultimo caso di un’eccezione (quella della possibile tardività) che può essere fatta valere giudizialmente e che dovrà essere poi verificata dal giudice competente. Come infatti asserito dalla Corte Costituzionale “I l g iudice tr ibutario , in fat t i , dovrà contro l lare , se r i chies to con i mot iv i di impugnazione, la suss is tenza dei presuppost i de l l ’obbl igo di denuncia, compiendo al r iguardo una valutazione ora per al lora (cosiddetta prognosi postuma) c ir ca la loro r i correnza ed accer tando, quindi , se l ’amministrazione f inanziaria abbia agi to con imparzial i tà od abbia, invece , fat to un uso pretes tuoso e s trumentale de l l e dispos izioni denunciate al f ine di f ruire ingiust i f i catamente di un più ampio termine di accer tamento .”

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Occorre infine tenere presente che vi è differenza tra le denunce ex art. 331 fatte dalla

pubblica amministrazione e le denunce fatte dal curatore perché:

Questo aspetto è importante per gli elementi che il giudice tributario avrà a disposizione

per valutare l’eventuale duplicazione dei termini di decadenza che sono quindi

necessariamente diversi tra le due diverse tipologie di denunce !!

Le relazioni ex art. 33 LF

Hanno solo un valore segnaletico su fatti e circostanze sulle quali occorre poi svolgere delle indagini

Le denuncie ex ert. 331 cp fatte dalla Pubblica amminisrazione hanno

invece un valore accertativo e dovrebbero essere fatte alla conclusione delle indagini svolte

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3 Le insidie che si possono celare nella predisposizione delle dichiarazioni fiscali a carico del curatore

3.1 Le norme esistenti che impongono degli oneri ai curatori fallimentari poste a

confronto Di seguito sono riportate le norme esistenti che impongono degli oneri a carico del curatore fallimentare:

Le#norme#rela*ve#agli#adempimen*#fiscali#del#fallimento#poste#a#confronto#

15#

Imposte(dire,e#T.U.I.R.#

Modalità(di(determiazione(del(

reddito(dei(diversi(periodi(

fallimentari##

IVA#D.P.R.(633/72#

Obblighi(relaFvi(all’IVA##

Ritenute(di(acconto#D.P.R.(600/73#

Obblighi(del(sosFtuto(di(

imposta##

L’art.183(del(T.U.I.R.#:##1)(periodo(compreso(tra(

l'inizio(dell'esercizio(e(la(

dichiarazione(di(fallimento(

o(il((provvedimento(che(

ordina(la(liquidazione#

L’art.74(bis(co.1(del(DPR(

633/1972#prevede:##entro(4(mesi(dalla(nomina#Per#le#operazioni#registrate#nel#periodo#anteriore#alla#dichiarazione#di#fallimento###a) obblighi(di(fa,urazione(e(di(registrazione,##

b) Obbligo#di#presentazione(di(apposita(dichiarazione.#

comma(I(dell’ArFcolo(23(

del(D.P.R.(600/73(#

il#curatore#fallimentare,#il#commissario#liquidatore!nonché#il#condominio#che#corrispondono#somme#e#valori#di#cui#all'ar*colo#48#dello#stesso#testo#unico,#devono(operare(all'a,o(del(

pagamento(una(ritenuta(a(

Ftolo(di(acconto(

dell'imposta(sul(reddito(

delle(persone(fisiche(dovuta(

dai(percipienF,#con#obbligo#di#rivalsa#

E  bilancio(reda,o(dal(curatore#

E  Il#patrimonio#neGo#è(considerato(nullo(se(l'ammontare(delle(passività(

è(pari(o(superiore(a(quello(delle(

aUvità#

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Le#norme#rela*ve#agli#adempimen*#fiscali#del#fallimento#poste#a#confronto#

16#

Imposte(dire,e#T.U.I.R.#

Modalità(di(determiazione(del(reddito(dei(diversi(periodi(

fallimentari##

IVA#D.P.R.(633/72#

Obblighi(relaFvi(all’IVA##

Ritenute(di(acconto#D.P.R.(600/73#

Obblighi(del(sosFtuto(di(imposta##

L’art.183(del(T.U.I.R.#:## L’art.74(bis(co.1(del(DPR(633/1972#prevede:##

Il(comma(I(dell’ArFcolo(23(del(D.P.R.(600/73(#

Non(vi(sono(altre(norme#Non(vi(sono(altre(norme#2)  Periodo#rela*vo#

all’esercizio(provvisorio.((“anche(se(vi(è(stato(esercizio(provvisorio”)(

3)  periodo#compreso#tra#l'inizio(e(la(chiusura(del(procedimento(concorsuale(

>  differenza(tra(il((residuo(aSvo(e(il(patrimonio(ne,o(dell'impresa(o(della(società(all'inizio(del(procedimento,(determinato(in(base(ai(valori(fiscalmente(riconosciuF##

il#patrimonio#ne?o#dell'impresa#o#della#società#all'inizio#del#procedimento#concorsuale#è#determinato#mediante#il(confronto(secondo(i(valori(riconosciuF(ai(fini(delle(imposte(sui(reddiF,(tra(le(aSvità(e(le(passività(risultanF(dal(bilancio(di(cui(al(comma(1#reda?o#e#allegato#alla#dichiarazione#iniziale#del#curatore##

Le#norme#rela*ve#ai#termini#per#la#presentazione#delle#dichiarazioni#

17#

Imposte(dire,e#Modalità(di(presentazione(

delle(dichiarazioni#

IVA#Modalità(di(presentazione(

delle(dichiarazioni##

Ritenute(di(acconto#Modalità(di(

presentazione(delle(dichiarazioni##

Art.(5(DPR(322/1988(–(comma(4###

L’art.(8(co.(4(del(DPR(322/1998#prevede:## Non(vi(sono(altre(norme(

per(il(curatore#l’obbligo(di(presentazione(delle(dichiarazioni,#anche(se(si(tra,a(di(imprese(individuali##

8  entro#l'ul*mo#giorno#del#nono(mese#successivo#a#quello#della#nomina(del(curatore(e(del(commissario(liquidatore##

8  entro#l'ul*mo#giorno#del#nono(mese#successivo#a#quello#della#chiusura(del(fallimento(e(della(liquidazione##

Obblighi#con#le#modalità#e#termini(ordinari#a#carico#dei#curatori#o#commissari#liquidatori##

1) la#dichiarazione#per#l’anno(solare(precedente,(8  con(le(modalità(e#i(termini(

ordinari#di#cui#al#comma#1#(8  entro(qua,ro(mesi(dalla(nomina(

se#quest’ul*mo#termine#scade#successivamente#al#termine#ordinario##

#2) la#dichiarazione#per#l’anno(solare(in(cui(è(dichiarato(il(fallimento(#

8  Con#le#medesime#modalità#e#nei#termini(ordinari(

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In sintesi, le norme sopra riportate, possono essere così schematizzate per imposta.

Le#norme#rela*ve#ai#termini#per#la#presentazione#delle#dichiarazioni#

18#

Anno$solare$antecedente$il$fallimento#

Periodo$compreso$tra$l’inizio$dell’esercizio$ed$il$

fallimento#

Periodo$unico$del$fallimento#

entro#l'ul*mo#giorno#del#nono$mese#successivo#a#quello#della#chiusura$del$fallimento$e$della$liquidazione##

la#dichiarazione#per#l’anno$solare$in$cui$è$dichiarato$il$fallimento$#;  Con#le#medesime#modalità#e#nei#

termini$ordinari$ Non#vi#sono#altre#indicazioni#per#cui#termini$ordinari$

la#dichiarazione#per#l’anno$solare$precedente,$

;  con$le$modalità$e#i$termini$ordinari#di#cui#al#comma#1#$

;  entro$qua9ro$mesi$dalla$nomina$se#quest’ul*mo#termine#scade#successivamente#al#termine#ordinario##

Imposte$#

$II.DD.$

$IVA$

$

Ritenute$di$acconto$

entro#l'ul*mo#giorno#del#nono$mese#successivo#a#quello#della#nomina$del$curatore$e$del$commissario$liquidatore##

Non$vi$e’$alcun$adempimento$al$riguardo$

Non#vi#sono#indicazioni#specifiche$

Non#vi#sono#indicazioni#specifiche$

Non#vi#sono#indicazioni#specifiche$

entro$4$mesi$dalla$nomina##a)#obblighi$di$fa9urazione$e$di$registrazione,##b)#Obbligo#di#presentazione$di$apposita$dichiarazione.#

Art.$183,$c.I$TUIR$–$Bilancio$predisposto$dal$curatore$

Art.$183$c.$II$TUIR$–$differenza$tra$Residuo$aMvo$e$part.$Ne9o$iniziale$

3.2 In merito alla dichiarazione dei redditi

3.2.1 I riferimenti normativi in materia di Imposte sui Redditi: - L’art.183 del T.U.I.R. recita:

1. Nei casi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la dichiarazione di fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione è determinato in base al bilancio redatto dal curatore o dal commissario liquidatore. Per l e imprese ind iv idua l i e per l e so c i e tà in nome co l l e t t i vo e in ac comandi ta s empl i c e i l d e t to r edd i to concorr e a fo rmare i l r edd i to comples s ivo de l l ' imprendi tor e , de i fami l iar i par t e c ipant i a l l ' impresa o de i so c i r e la t ivo a l per iodo d i impos ta in cor so a l la data de l la d i ch iarazione d i fa l l imento o de l provved imento che ord ina la l iqu idazione . 2. Il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti. Il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento concorsuale è determinato mediante il confronto secondo i valori riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi, tra le attività e le passività risultanti dal bilancio di cui al comma 1, redatto e allegato alla dichiarazione iniziale del curatore o dal commissario

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liquidatore. Il patrimonio netto è considerato nullo se l'ammontare delle passività è pari o superiore a quello delle attività. 3. Per le imprese individuali e per le società in nome collettivo e in accomandita semplice la differenza di cui al comma 2 è diminuita dei corrispettivi delle cessioni di beni personali dell'imprenditore o dei soci compresi nel fallimento o nella liquidazione ed è aumentata dei debiti personali dell'imprenditore o dei soci pagati dal curatore o dal commissario liquidatore. Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche il reddito che ne risulta, al netto dell'imposta locale sui redditi, è imputato all'imprenditore, ai familiari partecipanti all'impresa o ai soci nel periodo di imposta in cui si è chiuso il procedimento; se questo si chiude in perdita si applicano le disposizioni dell'articolo 8. Per i redditi relativi ai beni e diritti non compresi nel fallimento o nella liquidazione a norma dell'ar t i co lo 46 de l r eg io de c r e to 16 marzo 1942, n . 267, restano fermi, in ciascun periodo di imposta, gli obblighi tributari dell'imprenditore o dei soci. 4. L'imposta locale sui redditi afferente il reddito di impresa relativo al periodo di durata del procedimento è commisurata alla differenza di cui ai commi 2 e 3 ed è prelevata sulla stessa. Per i redditi di ciascuno degli immobili di cui all'articolo 90, comma 1, e di quelli personali dell'imprenditore o dei soci compresi nel fallimento o nella liquidazione l'imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento ed è prelevata, nel complessivo ammontare, sul prezzo ricavato dalla vendita. - Art. 89 L.F. - Elenchi dei creditori e dei titolari di diritti reali mobiliari e bilancio

I. Il curatore, in base alle scritture contabili del fallito e alle altre notizie che può raccogliere, deve compilare l ’ e l en co de i c r ed i tor i , con l’indicazione dei rispettivi crediti e diritti di prelazione, nonché l’elenco di tutti coloro che vantano diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, su cose in possesso o nella disponibilità del fallito, con l’indicazione dei titoli relativi. Gli elenchi sono depositati in cancelleria.

II. Il curatore deve inoltre redigere il b i lanc io de l l ’u l t imo e s e r c iz io , se non è stato presentato dal fallito nel termine stabilito, ed apportare le rettifiche necessarie e le eventuali aggiunte ai bilanci e agli elenchi presentati dal fallito a norma dell’art. 14. Art. 5 DPR 322/1988 – comma 4. “… 4. Nei casi di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, le dichiarazioni di cui al comma 1 sono presentate, anche s e s i t ra t ta d i imprese ind iv idua l i , dal curatore o dal commissario liquidatore, in via telematica, avvalendosi del servizio telematico Entratel, direttamente o tramite i soggetti incaricati di cui all'articolo 3, comma 3, entro l'ultimo giorno del nono mese successivo a quello, rispettivamente, della nomina del curatore e del commissario liquidatore, e della chiusura del fallimento e della liquidazione; …. In caso di fallimento o di liquidazione coatta, di impres e ind iv idua l i o di so c i e tà in nome co l l e t t i vo o in ac comandi ta s empl i c e , il curatore o il commissario liquidatore, contemporaneamente alla presentazione delle dichiarazioni iniziale e finale di cui al secondo periodo, deve consegnarne o spedirne copia per raccomandata all'imprenditore e a ciascuno dei familiari partecipanti all'impresa, ovvero a ciascuno dei soci, ai fini dell'inclusione del reddito o della perdita che ne risulta nelle rispettive dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta in cui ha avuto inizio e in quello in cui si è chiuso il procedimento concorsuale.…”

3.2.2 Gli aspetti operativi e le insidie che si nascondono nella redazione della dichiarazione

dei redditi. Di fatto, la predisposizione di una dichiarazione dei redditi presuppone l’elaborazione di un bilancio della società fallita.

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Tale onere deriverebbe anche dalla lettura letterale delle due norme sotto riportate: Art. 183 TUIR: “… Nei casi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la dichiarazione di fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione è de t e rminato in base a l b i lanc io r edat to da l cura tore o da l commissar io l iqu idatore …” Il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e i l pa tr imonio ne t to de l l ' impresa o de l la so c i e tà a l l ' in iz io de l pro c ed imento , de t e rminato in base a i va lor i f i s ca lmente r i conos c iu t i … … Il patr imonio ne t to de l l ' impresa o de l la so c i e tà a l l ' in iz io de l pro c ed imento concorsua le è de t e rminato mediante i l con fronto s e condo i va lor i r i conos c iu t i a i f in i de l l e impos t e su i r edd i t i , t ra l e a t t i v i tà e l e pass iv i tà r i su l tant i da l b i lanc io d i cu i a l comma 1 , r edat to e a l l e ga to a l la d i ch iarazione in iz ia l e de l cura tore o dal commissario liquidatore …

Art. 89 L.F. - Elenchi dei creditori e dei titolari di diritti reali mobiliari e bilancio Comma II. Il curatore deve inoltre redigere il b i lanc io de l l ’u l t imo es e r c iz io , se non è stato presentato dal fallito nel termine stabilito, ed apportare le rettifiche necessarie e le eventuali aggiunte ai bilanci e agli elenchi presentati dal fallito a norma dell’art. 14.

Di conseguenza, è evidente il fatto che il dettato normativo è chiaro nell’indicare l’obbligo di redazione da parte del curatore: - dell’ultimo bilancio (ovvero di quello antecedente l’anno del fallimento) nel caso in

cui non sia stato presentato dal fallito nel termine stabilito (art. 89 LF); - di un bilancio, sempre da parte del curatore, relativo al periodo compreso tra l’inizio

dell’esercizio e la dichiarazione di fallimento (art. 183 TUIR).

Entrambe queste norme non precisano però quale tipologia di bilancio debba essere predisposta dal curatore ne’ quali criteri debbano essere utilizzati per lo stesso.

Di fatto, per quanto si dirà in seguito, tale adempimento risulta essere di non facile

soluzione e comporta i rischi e le insidie che di seguito si andranno a spiegare con la precisazione che il problema si pone, però, soltanto quanto vengono consegnate le scritture contabili della società fallita e quando le stesse risultano quantomeno complete, anche se è ben difficile sapere prima se le stesse risultano anche attendibili e veritiere.

In ogni caso, la predisposizione di un bilancio in tempi molto stretti, come quelli previsti dalle norme fiscali, si pone in contrasto con la necessità di svolgere adeguate ed approfondite verifiche in merito alle poste contabili evidenziate dalla società fallita.

Tali verifiche in genere vengono svolte in un arco temporale più ampio rispetto a termini concessi dalla normativa fiscale e devono avere ad oggetto la verifica dell’effettiva sussistenza/insussistenza di tutte le poste attive / passive indicate nella contabilità ricevuta. Vi sono poi una serie di problematiche che si possono verificare nella redazione di tale bilancio fiscale tra le quali vanno segnalate, quantomeno le seguenti:

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a) incompletezza e conseguente inattendibilità delle scritture contabili dovute non solo

alla trascuratezza nella gestione amministrativa, come talvolta si riscontra, ma anche solo alla: - mancanza nel periodo prefallimentare di personale adeguato che spesso si allontana

dalla società o declina la propria disponibilità all’ausilio dell’imprenditore in crisi in considerazione del mancato pagamento degli stipendi;

- mancanza dei servizi essenziali allo svolgimento di un corretto aggiornamento contabile (mancata assistenza software per il mancato pagamento dei canoni di assistenza, mancanza dei servizi essenziali come energia elettrica, riscaldamento, ecc…);

- mancata assistenza da parte dei consulenti della società. Di conseguenza, per questi soli motivi, quasi sempre accade che, alla data del fallimento, la contabilità risulta incompleta e, di conseguenza, inattendibile.

b) assoluta incertezza in merito alle poste di valutazione soggettiva quali gli ammortamenti, gli accantonamenti, i fondi rischi (per la svalutazione dei crediti, per altre spese presunte, ecc…) e altri fondi per spese future, ecc…;

c) altrettanto difficile, se non impossibile, valutazione delle voci di spesa che possono essere interamente o parzialmente deducibili, da riportare dai passati esercizi a seconda della normativa esistente, nei diversi periodi di imposta cui si riferisce la spesa;

d) difficile valutazione di alcune poste attive soggette ad inventario e relativa perizia, con i

relativi tempi connessi e con criteri di valutazione (fallimentare) del tutto diversi da quelli di funzionamento e dalla conseguente necessità di svolgere il confronto tra la sussistenza fisica dei beni e la contabilizzazione dei beni che non vi sono più;

e) difficile valutazione delle poste passive della procedura i cui termini per la verifica sono

legati allo stato passivo delle insinuazioni tempestive e delle tardive. Spesso accade di verificare che determinate poste passive, per determinate ragioni (come ad es. l’omessa indicazione di passivo bancario o fiscale, ovvero l’omessa contabilizzazione di fatture di acquisto ricevute per merce effettivamente consegnata ma distratta, ecc..) la contabilità non rilevi il passivo effettivo della società.

f) difficile valutazione in merito alla inerenza dei costi ed alla effettiva competenza dei

medesimi; g) necessità da parte del curatore di svolgere quelle verifiche volte all’effettiva sussistenza

o insussistenza delle poste evidenziate all’attivo ed al passivo e oggetto dell’azione di responsabilità, con tempi di accertamento incompatibili con le scadenze degli adempimenti fiscali. Si pensi, ad esempio, alla necessità di disconoscere, nell’azione di responsabilità (da radicare) alcune poste dell’attivo o del passivo ovvero di alcuni costi, ritenuti fittizi o illegittimi, con la conseguente necessità di riporre a credito il relativo costo ritenuto illegittimo.

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Alla luce di questi elementi, dunque, la predisposizione di un bilancio, anche solo

fiscale, espone il curatore al rischio di evidenziare delle poste di sicura incertezza (fondi ammortamento, fondi rischi, fondi spese future, ecc…) ovvero di evidenziare in questo bilancio delle voci che potrebbero essere poi sovvertite e smentite dall’azione di responsabilità che andrà a studiare, ovvero dallo stato passivo, dall’inventario, dal confronto tra i beni contabilizzati e quelli effettivamente esistenti, ecc…

3.2.3 Il comportamento suggerito alla luce dei problemi evidenziati e dei pericoli evidenziati.

Da ciò deriva, nella pressoché totalità dei casi, l’obiettiva impossibilità del curatore di predisporre i bilanci richiesti dalle norme sia ai fini fiscali (art. 183 TUIR), che fallimentari (art. 89 LF).

Si ricorda che non vi è una previsione normativa che prevede a carico del curatore l’onere di predisporre la dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta precedente la procedura concorsuale ancorché i termini non siano scaduti.

Del resto, se il curatore predispone una dichiarazione fiscale per questi due distinti

periodi deve necessariamente predisporre un bilancio (quantomeno fiscale) assumendosi quindi ogni responsabilità per le scelte fatte sia in merito alle poste soggette a valutazione in qualche modo soggettiva sopra indicate, sia per quelle poste che, a seguito dell’analisi più approfondita che andrà poi a svolgere, per lo studio dell’azione di responsabilità e comunque per la relazione ex art. 33 L.F., potrebbero generare ulteriori modifiche contabili rispetto alla contabilità ricevuta (per il disconoscimento di costi non inerenti o inesistenti, per una maggiore svalutazione dell’attivo, per eventuali sopravvenienze passive per debiti non rilevati contabilmente, ecc…) Oltretutto tale bilancio fiscale potrebbe addirittura essere in contrasto con le iniziative giudiziali che il curatore dovrebbe assumere ponendosi in contraddizione con gli elementi di una possibile difesa dall’azione di responsabilità da parte degli amministratori oppure, peggio, costituire elementi da utilizzare da parte degli amministratori della società fallita, ovvero da parte dell’assuntore di un possibile concordato fallimentare, per una possibile azione di responsabilità nei confronti del curatore. Non va al riguardo dimenticato che il fallimento potrebbe chiudersi con un concordato fallimentare sia con assuntore (formula forse più frequente) sia con il ritorno in bonis della società fallita. E’ questo dunque un rischio che, al momento della predisposizione della dichiarazione fiscale, il curatore non può conoscere nella sua completezza e, di conseguenza, pare ragionevole ritenere che, in via prudenziale, il comportamento suggerito, ma senza dubbio consigliato, da tenere sia il seguente:

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1) Dichiarazione relativa all’anno di imposta antecedente alla data del fallimento, nel caso in cui, alla

data del fallimento, non siano scaduti i termini per la predisposizione della dichiarazione dei redditi;

In questo caso, si è visto che il curatore non ha alcun obbligo specifico, di conseguenza può:

a) avvisare gli amministratori della società fallita che il curatore non procederà alla predisposizione della dichiarazione dei redditi relativa alla annualità antecedente all’anno del fallimento, per l’ipotesi in cui alla data del fallimento non siano scaduti i termini per la presentazione della relativa dichiarazione;

b) Solo nel caso in cui in tale periodo di imposta gli amministratori non siano più reperibili e vi siano dei crediti, delle perdite fiscali significative, degli acconti di imposta versati, il curatore potrebbe valutare la possibilità di predisporre e trasmettere una dichiarazione dei redditi in bianco ovvero senza dati, riportando solo: - le perdite fiscalmente riportabili degli anni precedenti; - le imposte versate in acconto, debitamente verificate nel cassetto fiscale; - i crediti di imposta derivanti dagli anni precedenti; In questo caso, dovrà poi trasmettere agli amministratori, sempre che siano reperibili, la copia della dichiarazione trasmessa per consentire a questi ultimi l’eventuale integrazione. Va però precisato che questo comportamento potrebbe tradursi in un rischio vero e proprio per il curatore posto che, dovendo sottoscrivere anche questa dichiarazione, alla quale non è obbligato, potrebbe subire un ingiusto addebito, sia civile che penale da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Di conseguenza, nel caso in cui il curatore decida di assumersi questa responsabilità: - la dichiarazione non risulta omessa; - gli amministratori, se lo ritengono, possono presentare una dichiarazione

integrativa entro i termini di presentazione per la dichiarazione dell’esercizio successivo;

- non vengono persi i crediti di imposta e gli acconti versati, che possono eventualmente essere recuperati in un secondo momento;

- i crediti di imposta e le perdite fiscali risultanti da questa dichiarazione, potranno poi essere ripresi nella successiva dichiarazione dei redditi;

- resta però un rischio elevato a carico del curatore che verrebbe assunto senza però che vi sia un obbligo specifico al riguardo.

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2) Dichiarazione relativa all’anno di imposta che va dal primo gennaio dell’anno relativo alla

dichiarazione di fallimento alla data della pubblicazione della sentenza; Anche in questo caso, il curatore può:

a) avvisare gli amministratori della società fallita che il curatore procederà alla predisposizione della dichiarazione dei redditi relativa alla annualità fallimentare (ovvero per il periodo che va dal gennaio alla data del fallimento) ed alla presentazione della relativa dichiarazione indicando però, in tale dichiarazione, solo i seguenti dati (ovvero di fatto in bianco): - le perdite fiscalmente riportabili degli anni precedenti; - le imposte versate in acconto, debitamente verificate nel cassetto fiscale; - I crediti di imposta derivanti dagli anni precedenti; Anche in questo caso: - la dichiarazione non risulta omessa; - gli amministratori, se lo ritengono, possono presentare una dichiarazione

integrativa entro i termini di presentazione per la dichiarazione dell’esercizio successivo (ovvero quello di fine procedura);

- non vengono persi i crediti di imposta e gli acconti versati, che possono eventualmente essere recuperati in un secondo momento;

- i crediti di imposta e le perdite fiscali risultanti da questa dichiarazione, potranno poi essere ripresi nelle successive dichiarazioni dei redditi;

- nell’ipotesi di successivo concordato fallimentare, la società fallita tornata in bonis o l’eventuale assuntore potranno quindi beneficiare delle perdite fiscalmente riconosciute e deducibili e dei crediti fiscali.

Al riguardo va però posta una raccomandazione importante: in considerazione del fatto che non è possibile sapere se tali crediti fiscali siano o meno definitivi, (e ciò sia perché di fatto, in questo modo, le ultime due dichiarazioni dei redditi vengono predisposte in bianco, sia perché sono ancora aperti i termini per gli eventuali accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate) è opportuno che tali crediti non siano utilizzati dal curatore fallimentare per compensare altre imposte. E’ necessario dunque che tali crediti siano semplicemente riportati dal curatore lasciandoli indicati in dichiarazione, senza però compensarli con le imposte dovute almeno fintanto che non sia decaduto il diritto dell’Ufficio di notifica di eventuali accertamenti. Si richiama al riguardo quanto previsto dall’art. 27 co.18 D.L.185/08 e succ. modifiche che prevede una sanzione sulla compensazione di crediti inesistenti in misura dal 100 al 200% Seguendo tale comportamento si ottiene che: - l’Agenzia delle Entrate, con la presentazione della dichiarazione, ancorché con i dati

sostanzialmente in bianco, può procedere ad eventuali accertamenti fiscali (per la determinazione di un reddito/perdita fiscale) sempre entro i termini di decadenza del diritto all’accertamento;

- il curatore:

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- non si espone al rischio di avere elaborato un bilancio (anche se ai soli fini fiscali) che contiene molte insidie e, al tempo stesso, di risultare indagato per avere predisposto una dichiarazione dei redditi contenente dei dati che potrebbero essere accertati ex post, come falsi o incompleti;

- al tempo stesso, non si espone al rischio di avere utilizzato o compensato un credito che potrebbe essere in seguito dichiarato inesistente.

Una conferma della correttezza di tale comportamento deriverebbe anche dal combinato disposto dei due articoli:

- Il I° comma dell’art. 183 TUIR che prevede: Il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento concorsuale è determinato mediante il con fronto s e condo i va lor i r i conos c iu t i a i f in i de l l e impos t e su i r edd i t i , t ra l e a t t iv i tà e l e pass iv i tà r i su l tant i da l b i lanc io d i cu i a l comma 1, redatto e allegato alla dichiarazione iniziale del curatore o dal commissario liquidatore. Il patrimonio netto è considerato nullo se l'ammontare delle passività è pari o superiore a quello delle attività.”

- L’art. 2, comma 8 bis del DPR 322/1998 che prevede: “Le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante di chiarazione da presentare , secondo le disposizioni di cui all'articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione, non o l tre i l t ermine prescr i t to per la presentazione de l la dichiarazione re lat iva al per iodo d' imposta success ivo .

Da tali norme, deriva infatti che la dichiarazione dei redditi presentata in bianco all’inizio

della procedura può essere integrata entro e “non ol tre i l t ermine prescr i t to per la presentazione de l la dichiarazione re lat iva al per iodo d' imposta success ivo” ovvero entro i termini per la presentazione della dichiarazione di fine procedura. 3.2.4 La dichiarazione dei redditi relativi al fallimento di una società di persone o di una

ditta individuale. Art. 183 TUIR comma 1 1. Nei casi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la dichiarazione di fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione è determinato in base al bilancio redatto dal curatore o dal commissario liquidatore. Per l e imprese ind iv idua l i e per l e so c i e tà in nome co l l e t t i vo e in ac comandi ta s empl i c e i l d e t to r edd i to concorr e a fo rmare i l r edd i to comples s ivo de l l ' imprendi tor e , de i fami l iar i par t e c ipant i a l l ' impresa o de i so c i r e la t ivo a l per iodo d i impos ta in cor so a l la data de l la d i ch iarazione d i fa l l imento o de l provved imento che ord ina la l iqu idazione . Art. 5 DPR 322/1988 – comma 4. “… 4. Nei casi di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, le dichiarazioni di cui al comma 1 sono presentate, anche s e s i t ra t ta d i imprese ind iv idua l i , dal curatore o dal commissario liquidatore, in via telematica, avvalendosi del servizio telematico Entratel, direttamente o tramite i soggetti incaricati di cui all'articolo 3, comma 3, entro l'ultimo giorno del nono mese successivo a quello, rispettivamente, della nomina del curatore e del commissario liquidatore, e della chiusura del fallimento e della liquidazione;

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…. In caso di fallimento o di liquidazione coatta, di impres e ind iv idua l i o di so c i e tà in nome co l l e t t i vo o in ac comandi ta s empl i c e , il curatore o il commissario liquidatore, contemporaneamente alla presentazione delle dichiarazioni iniziale e finale di cui al secondo periodo, deve consegnarne o spedirne copia per raccomandata all'imprenditore e a ciascuno dei familiari partecipanti all'impresa, ovvero a ciascuno dei soci, ai fini dell'inclusione del reddito o della perdita che ne risulta nelle rispettive dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta in cui ha avuto inizio e in quello in cui si è chiuso il procedimento concorsuale. …” Di conseguenza, alla luce di tali norme:

- nel caso di fallimento di una ditta individuale, il curatore deve presentare la

dichiarazione contenente il solo modello relativo all’impresa fallita e deve poi consegnare o spedire al fallito il relativo quadro per la sua dichiarazione personale;

- nel caso di fallimento di una società di persone, il curatore deve presentare la dichiarazione relativa alla società fallita e deve poi consegnare ai soci il quadro contenente la quantificazione del reddito o della perdita della società fallita da utilizzare per la dichiarazione personale dei soci. (“…deve consegnarne o spedirne copia per raccomandata all'imprenditore e a ciascuno dei familiari partecipanti all'impresa, ovvero a ciascuno dei soci, ai fini dell'inclusione del reddito o della perdita che ne risulta nelle rispettive dichiarazioni dei redditi …”).

Sono esclusi gli elementi, attivi o passivi, appartenenti al patrimonio personale dell'imprenditore individuale. Nella maggior parte della procedura questa norma non crea particolari problemi perché il curatore dichiara una perdita o, tuttalpiù, un reddito azzerato. Vi potrebbe però essere il caso in cui il curatore debba dichiarare un utile che andrebbe a sommarsi agli altri redditi/perdite a carco del fallito personalmente. Di fatto, però, le disponibilità finanziarie generate da tali redditi verrebbero attratte dalla procedura con la conseguenza che il fallito, a sua volta, non potrebbe disporre delle disponibilità necessarie a pagare le relative imposte. 3.2.5 La dichiarazione dei redditi nel periodo di esercizio provvisorio.

Art. 183 TUIR comma 2 2. Il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se v i è s tato eserc izio provvisor io , è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti. Art. 5 DPR 322/1998 - Comma 4. “… le dichiarazioni di cui al comma 3 sono presentate, con le medesime modalità, e s c lus ivamente a i f in i de l l ' impos ta r eg iona le su l l e a t t iv i tà produt t iv e e so l tanto s e v i è s ta to e s e r c iz io provv i sor io . Il reddito d'impresa, di cui al comma 1 de l l 'ar t i co lo 183 de l t e s to uni co de l l e impos t e su i r edd i t i e quello di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, risultano dalle dichiarazioni iniziale e finale che devono essere presentate dal curatore o dal commissario liquidatore. Il curatore o il commissario liquidatore, prima di presentare la dichiarazione finale, deve provvedere al versamento, se la società fallita o liquidata vi è soggetta, dell'imposta sul reddito delle società.

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Da quanto sopra riportato, si desume che: a) Imposte sui redditi: Il comma 2, dell’art. 183 TUIR sembrerebbe chiarire che: “Il reddito dell’intero periodo fallimentare, anche se vi è stato esercizio provvisorio, è determinato come “differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti.” Questa precisazione, dunque sembrerebbe escludere che vi possa essere un reddito imponibile fiscale diverso, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o giuridiche. b) IRAP: Stessa cosa non si può dire invece per la dichiarazione relativa all’IRAP maturata nel periodo relativo all’esercizio provvisorio e sino alla data in cui sia formalmente cessato. E ciò si desume da quanto disposto dal comma 4 dell’art. 5 del DPR 322/1998 che precisa: “le dichiarazioni di cui al comma 3 sono presentate, con le medesime modalità, esc lus ivamente ai f ini de l l ' imposta reg ionale sul l e at t iv i tà produtt ive e so l tanto se v i è s tato eserc izio provvisor io .” Di conseguenza, ai soli fini IRAP sembra di poter dire che, per il periodo di esercizio provvisorio restano inalterati gli obblighi fiscali in capo al curatore fallimentare. A partire dalla data di cessazione dell’esercizio provvisorio, continuano a valere le norme sopra viste, per quanto riguarda le imposte sul reddito con un periodo unico che va dall’inizio alla fine del fallimento, mentre decadono i presupposti per l’applicazione dell’IRAP, posto che andrebbe a cessare l’attività di impresa ed avrebbe inizio la successiva fase liquidatoria. A seguito di tale obbligo previsto dal curatore, va da se che lo stesso debba anche prevedere la continuazione delle scritture contabili ordinarie, almeno fino alla fine dell’esercizio provvisorio al fine di rilevare correttamente tale obbligo ai fini IRAP.

3.2.6 La tassabilità dell’eventuale residuo attivo

3.2.6 .1 I r i f e r iment i normat iv i e la prass i

Art. 183 TUIR comma 2. Il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla d i f f e r enza t ra i l r e s iduo a t t ivo e i l pa tr imonio ne t to de l l ' impresa o de l la so c i e tà a l l ' in iz io de l pro c ed imento , de t e rminato in base a i va lor i f i s ca lmente r i conos c iu t i . Il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento concorsuale è determinato mediante il confronto secondo i valori riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi, tra le attività e le passività risultanti dal bilancio di cui al comma 1, redatto e allegato alla dichiarazione iniziale del curatore o dal commissario liquidatore. Il patrimonio netto è considerato nullo se l'ammontare delle passività è pari o superiore a quello delle attività.

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Quanto al residuo attivo si devono qui richiamare i condivisibili concetti espressi nella circolare n. 42 del 04.10.2004, che ha esaminato la questione, definendolo come costituito dal “complesso dei beni oggetto di restituzione” - ad esito della ripartizione finale dell'attivo - al soggetto fallito tornato in bonis. In particolare la circolare chiarisce che: - l'apertura del fallimento non provoca il trasferimento della proprietà dei beni

avocati alla relativa procedura; - il residuo attivo della procedura concorsuale è costituito dalle disponibilità che

residuano in seguito alla soddisfazione di tutti i creditori ammessi al concorso, nonché al pagamento del compenso del curatore e delle spese di procedura. Il valore di tale residuo è, pertanto, pari al valore di quanto restituito al soggetto ex fallito.

- L'articolo 118 della L.F. prevede diversi casi di chiusura del fallimento: 1) chiusura del fallimento per inesistenza del passivo: si verifica nel caso in cui

non siano state proposte in terminis domande di ammissione al passivo o, se presentate, non ne sia stata autorizzata l'insinuazione;

2) chiusura del fallimento per integrale pagamento dei creditori: si verifica nel caso in cui, anche in epoca anteriore alla ripartizione finale dell'attivo, sia intervenuto l'integrale pagamento della totalità dei crediti ammessi al passivo, o questi sono in altro modo estinti, e sono pagati il compenso del curatore e le spese di procedura, cosicché il fallimento non ha più ragion d'essere;

3) chiusura del fallimento per compiuta ripartizione finale dell'attivo: si verifica quando l'intero attivo realizzato dagli organi della procedura sia stato ripartito tra gli aventi diritto, pur se tra questi ultimi alcuni siano ancora, in tutto o in parte, insoddisfatti;

4) chiusura del fallimento per insufficienza dell'attivo: si verifica nel caso in cui manchi un attivo da ripartire tra i creditori ammessi al passivo.

a) Nelle ipotesi sub 3) e 4) il fallimento viene a concludersi in ragione dell'esaurimento del patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori: la chiusura della procedura viene disposta, in altre parole, perché non esistono altri beni utilmente liquidabili per il pagamento dei creditori concorsuali e, di conseguenza, il problema del residuo attivo non si pone;

b) Le ipotesi sub 1) e 2) sono accomunate dal ritorno in bonis dell'ex fallito, cioè dalla circostanza che questi rientra nel possesso di attività costituenti il residuo dell'attività di liquidazione concorsuale.

Per le ipotesi sub b) la circolare precisa che: - all'atto della chiusura del fallimento il fallito ritorna in bonis in qualità di

imprenditore, dovendo, pertanto, riassumere nel proprio patrimonio i beni del residuo attivo al costo fiscalmente rilevante, assoggettandoli al regime proprio dei beni relativi all'impresa. I beni residui, pertanto, non rientrano (neppure ai fini fiscali) nel patrimonio del soggetto ex fallito, per il fatto stesso che non ne sono mai usciti.

- Il curatore dovrà valorizzare i beni compresi nel residuo attivo secondo il valore

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preesistente al fallimento e, quindi, sulla base del costo fiscalmente riconosciuto - Le modalità di valorizzazione dei beni compresi nel residuo attivo saranno,

pertanto, le medesime applicabili nell'ipotesi di ritorno in bonis dell'imprenditore individuale. In occasione della successiva eventuale alienazione dei beni compresi nel residuo attivo troverà applicazione l'ordinario meccanismo di tassazione delle plusvalenze patrimoniali disciplinato dall'articolo 86 del T.U.I.R ovvero dei ricavi. E' in tale circostanza, in definitiva, che si manifesterà il presupposto impositivo e non al momento della restituzione dei beni alla società ex fallita. Rispetto ai beni oggetto di restituzione al fallito, viene così a realizzarsi una continuità tra il valore di carico precedente l'apertura del fallimento e il valore con cui i medesimi vengono fiscalmente ripresi al momento del reingresso nella disponibilità della società tornata in bonis.

In conclusione, determinandosi per effetto della chiusura del fallimento la ripresa dell'operatività del regime fiscale d'impresa, il curatore dovrà - all'atto della valorizzazione del residuo attivo - valutare i cespiti restituiti al soggetto ex fallito secondo l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dei medesimi. Nell’ipotesi di chiusura del fallimento per inesistenza del passivo (di cui all'articolo 118, n. 1), L.F.), caratterizzata dalla mancata insinuazione di creditori allo stato passivo ovvero dalla mancata ammissione di creditori allo stesso, occorre considerare, tuttavia, che nessuna attività liquidatoria viene effettuata dalla curatela nei confronti del patrimonio del soggetto fallito. In siffatta ipotesi, a ben vedere, la restituzione dei beni (inizialmente appresi dalla curatela) al soggetto ex fallito tornato in bonis non configura un residuo attivo contrapponibile - in sede di determinazione del reddito imponibile della procedura - al netto patrimoniale in essere alla data di apertura del fallimento. Di norma, entreranno nel computo del residuo attivo le somme corrispondenti al saldo attivo presente sul libretto di conto corrente intestato alla procedura, nonché gli eventuali canoni riscossi dalla curatela relativamente a beni locati compresi nel patrimonio attratto al fallimento.

Deducibilità di passività non insinuate o successivamente rinunciate In merito a questo aspetto, la circolare chiarisce che all'atto del ritorno in bonis, il soggetto ex fallito - nel riprendere l'attività imprenditoriale precedentemente esercitata - prenderà nuovamente in carico le proprie passività residue, comprese quelle (seppur non insinuate) computate in diminuzione del residuo attivo. Tali ultime passività, pertanto, saranno prese in considerazione - in base alle ordinarie regole di determinazione del reddito d'impresa - al fine della determinazione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi alla chiusura del fallimento. Le stesse, pertanto, nell'ipotesi di definitiva rinuncia alla pretesa da parte del creditore (così come nell'eventualità di una loro estinzione secondo modalità diverse dal pagamento), daranno luogo a sopravvenienze attive imponibili ai fini IRES. Precisazioni in merito a talune posizioni fiscali "sospese" alla data di apertura del fallimento La circolare chiarisce che “Nel corso del periodo di durata della procedura fallimentare si determina una sospensione dell'operatività delle ordinarie regole in materia di

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determinazione del reddito d'impresa, per cui alle predette vicende non risultano applicabili, nel corso del maxi-periodo fallimentare, le consuete disposizioni del T.U.I.R..”. In particolare:

- le riserve e i fondi in sospensione d'imposta risultanti dal bilancio redatto dal

curatore, secondo quanto disposto dal primo comma dell'articolo 183 del TUIR, devono essere ricostituiti nel primo bilancio successivo alla chiusura della procedura concorsuale, al netto dell'importo eventualmente utilizzato nel corso di quest'ultima.

- le quote di plusvalenze rateizzate che sarebbero state ordinariamente assoggettate ad imposizione nei periodi d'imposta compresi nel maxi-periodo andranno, recuperate a tassazione nel primo periodo d'imposta successivo alla chiusura del fallimento,

*** ***** ***

3.2.6 .2 Conc lus ion i In sintesi quindi il residuo attivo della procedura è dato dai seguenti valori:

Patrimonio netto all’inizio del maxi periodo fallimentare

Attività - il costo fiscalmente riconosciuto degli elementi patrimoniali attivi e passivi e non il loro

valore di stima; - le attività aziendali contabilizzate dalla società. (Non sembrerebbe appropriato riconoscere,

un valore contabile fiscalmente riconosciuto sui beni accertati dal curatore, e non registrati nelle scritture contabili);

- sono esclusi gli elementi, attivi o passivi, appartenenti al patrimonio personale dell'imprenditore individuale.

Passività - le passività ammesse o non ammesse al passivo della procedura. - le passività accertate dal curatore, anche se non registrate nelle scritture contabili;

Nella quasi totalità dei casi, posto che questo patrimonio netto risulta negativo, dovrebbe essere considerato pari a Zero.

In merito a tali valorizzazioni la circolare n. 26 del 22.3.2002 fornisce alcuni chiarimenti ed esprime dei concetti, in parte ripresi dalla successiva circolare del 2004, già richiamata, che si riportano.

“Rilevano innanzitutto le risultanze delle scritture contabili del soggetto fallito, in base alle quali il

curatore può determinare il valore del patrimonio netto dell'impresa fallita valutando gli elementi

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patrimoniali attivi e passivi al loro costo fiscalmente riconosciuto. Spesso nelle procedure concorsuali si può verificare che non sono disponibili le scritture contabili del

fallito, perché smarrite, distrutte o occultate. In tal caso, i l curatore deve r i costruire i l patr imonio net to de l l ' impresa al l ' inizio

de l la procedura sul la base de i dat i disponibi l i e di quel l i emers i ne l corso de l la procedura, in sede di redazione de l l ' inventario de i beni acquis i t i a l l 'at t ivo fa l l imentare e di predispos izione de l lo s tato pass ivo. Dovrà usare, a tal fine, tutta la diligenza necessaria per ricostruire il patrimonio aziendale sulla base degli elementi disponibili, r i chiedendo la co l laborazione de l fa l l i to ed anche deg l i u f f i c i de l l 'Agenzia de l l e Entrate che potranno fornire dat i e not izie desumibi l i dal l e di chiarazioni de i reddi t i , ut i l i a i f in i de l la determinazione de l valore f i s ca le deg l i e l ement i patr imonial i .

Nel fallimento, infatti, assumono r i l i evo l e at t iv i tà o l e pass iv i tà comunque accer tate dal curatore , anche se non reg is trate dal fa l l i to ne l l e s cr i t ture contabi l i . In proposito, nella relazione governativa al TUIR, con riferimento alla disciplina dell'art. 125, si legge che "in sede di predisposizione dell'attivo e del passivo ... è possibile ... l'emersione di elementi patrimoniali precedentemente non contabilizzati".

In relazione ai beni che avrà inventariato, ad esempio, il curatore deve chiarire se si tratta di beni dell'impresa, ai sensi dell'art. 77 del TUIR, oppure di beni personali dell'imprenditore; questa circostanza, in assenza di dati contabili, potrebbe essere indicata dallo stesso fallito o potrebbe ricavarsi dalle dichiarazioni dei redditi. Il valore fiscalmente riconosciuto dovrà essere ricostruito non sulla base della stima del loro attuale valore, ma del loro costo s tor i co e, per i beni ammortizzabili, in assenza di dati contabili, occorrerà tener conto anche dei presumibili ammortamenti dedotti.

Per individuare il valore fiscale di un credito, invece, occorrerà risalire al relativo valore nominale e verificare, sulla base dei dati disponibili, se lo stesso sia stato oggetto di svalutazioni fiscalmente rilevanti.

Anche per quanto riguarda gli elementi patrimoniali passivi, si dovrà fare riferimento anzitutto ai valori iscritti in contabilità.

Rileveranno, inoltre, anche eventuali altri debiti ammessi allo stato passivo, purché riferibili all'impresa fallita ed anche se non iscritti in contabilità.

Il patrimonio netto dell'impresa all'inizio della procedura sarà, quindi, pari alla differenza tra il valore degli elementi attivi e il valore degli elementi passivi, come sopra individuati, tenendo presente che, ai fini del calcolo della differenza con il residuo attivo, l'art.18, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1988, n. 42, prevede che il patrimonio netto iniziale negativo, per eccedenza delle passività sull’attività, si considera pari a zero.

Il curatore non deve t enere conto , invece , in sede di determinazione de l patr imonio iniziale , deg l i event i success iv i a l l 'apertura de l fa l l imento , come la perdita, la distruzione o la diminuzione di valore di elementi attivi del patrimonio. L'insussistenza di elementi dell'attivo, comunque, concorrerà al reddito della procedura, in quanto il valore di tali elementi non potrà essere ricompreso, come chiarito più avanti, nel residuo attivo della procedura.”

Residuo attivo alla data di chiusura della procedura fallimentare

Attività - saldo di cassa attivo; - crediti fiscali maturati e realizzabili; - valore dei beni che vengono restituiti al fallito (valorizzati al valore del costo

storico);

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Passività - passività che residuano dopo i riparti effettuati, e già considerate in sede di

patrimonio netto iniziale, che resteranno a carico del soggetto fallito che torna in bonis.

Vengono poi riprese e recuperate a tassazione le plusvalenze rateizzate e vengono

ricostituiti i fondi in sospensione di imposta.

Di conseguenza, la logica data dal legislatore e dall’Agenzia delle Entrate con la citata circolare non è quella di assoggettare a tassazione il valore del residuo attivo esistente alla fine della procedura (posto che generalmente il patrimonio iniziale è pari a zero) ma l’eventuale incremento patrimoniale di cui, il fallito tornato in bonis, potrebbe beneficiare per l’effetto del fallimento.

Di fatto, se i beni restano in capo alla società fallita, non vi è alcun trasferimento degli stessi da tassare. La tassazione ordinaria scatterà eventualmente solo a seguito del ritorno in bonis della ditta fallita ed andrà a tassare gli assets facenti parte del residuo attivo con i criteri normali.

In pratica il presupposto impositivo si manifesterà in occasione della successiva eventuale alienazione dei beni compresi nel residuo attivo e non al momento della restituzione dei beni alla società ex fallita. La slide successiva riassume quanto sin qui precisato in maniera schematica.

46#

Art.%183%TUIR%-%comma#2#

A.vità%)  il# costo# fiscalmente# riconosciuto# degli#

elemen5# patrimoniali# a7vi# e# non# il# loro#valore#di#s5ma;#

)  le# a7vità# aziendali# contabilizzate# dalla#società.# (Non# sembrerebbe# appropriato#riconoscere,# dal# punto# di# vista# fiscale,# una#detrazione# di# imposta# sui# beni# accerta5# dal#curatore,#e#non#registra5#nelle#scriAure#contabili);#

Patrimonio%ne8o%all’inizio%del%maxi%periodo%fallimentare#

Passività%)  le# passività# ammesse# o# non# ammesse# al# passivo#

della#procedura.#)  le# passività# accertate# dal# curatore,# anche# se# non#

registrate#nelle#scriAure#contabili;#

Sono#esclusi#gli#elemen5,#a7vi#o#passivi,#appartenen5#al#patrimonio#personale#dell'imprenditore#individuale.#

Il#reddito#dell’intero#periodo#fallimentare#

Nella# quasi# totalità# dei# casi# posto# che# questo#patrimonio# neAo# risulta# nega5vo,# dovrebbe#essere#considerato#pari%a%0.#

Residuo% a.vo% alla% data% di% chiusura% della% procedura%fallimentare#

A.vità%)  saldo#di#cassa#a7vo;#)  credi5#fiscali#matura5#e#realizzabili;#)  costo%storico%dei#beni#che#vengono#res5tui5#al#

fallito;#

Passività%)  Passività#che# residuano#dopo# i# ripar5#effeAua5#

(ammesse#o#non#ammesse,#a#seconda#che#siano#state# considerate# o# meno# nella# situazione#iniziale)# al# passivo# della# procedura# che#resteranno# a# carico# del# soggeAo# fallito# che#torna#in#bonis.#

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3.3 La dichiarazione IVA

3.3.1 I riferimenti normativi in materia di IVA: - L’art.74 bis co.1 del DPR 633/1972 recita: “Per le operazioni effettuate anteriormente

alla dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, gli obblighi di fatturazione e di registrazione, sempreché i relativi termini non siano ancora scaduti, devono essere adempiuti dal curatore o dal commissario liquidatore entro quattro mesi dalla nomina. Entro lo stesso termine deve essere presentata apposita dichiarazione con le indicazioni e gli allegati di cui agli artt. 28 e 29, relativamente alle operazioni registrate nella parte dell’anno solare anteriore alla dichiarazione di fallimento, o di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi del presente comma.

- L’art. 8 co. 4 del DPR 322/1998 recita: “In caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, la dichiarazione relativa all’imposta dovuta per l’anno so lare precedente , sempreché i relativi termini di presentazione non siano ancora scaduti, è presentata dai curatori o dai commissari liquidatori con le modalità e i termini ordinari di cui al comma 1 ovvero entro quattro mesi dalla nomina se quest’ultimo termine scade successivamente al termine ordinario. Con le medesime modalità e nei termini ordinari, i curatori o i commissari liquidatori presentano la dichiarazione per le operazioni registrate nell’anno so lare in cui è di chiarato i l fa l l imento ovvero la l iquidazione coatta amministrat iva ”

3.3.2 Gli aspetti operativi e le insidie nascoste negli adempimenti richiesti al curatore in

materia di IVA.

Gli adempimenti dichiarativi in materia di IVA contengono problemi diversi posto che, di fatto, hanno carattere meramente riepilogativo e dovrebbero limitarsi a riprodurre elementi desumibili dalle liquidazioni periodiche effettuate nel corso del periodo d’imposta dalle quali emerge la misura dell’imposta dovuta al netto dell’imposta detratta (10).

Nell’Iva, la frammentazione mensile o trimestrale degli adempimenti liquidativi dell’imposta comporta per certa dottrina l’individuazione di tante autonome obbligazioni tributarie, ancorché poi queste vengano inglobate nella dichiarazione annuale. L’imposta si applica alle singole operazioni poste in essere dagli operatori economici e viene liquidata per masse con cadenza periodica infrannuale, mentre la dichiarazione annuale Iva accoglie i fatti registrati e liquidati durante l’anno precedente il fallimento dalla società fallita (e non dal curatore), per cui il Curatore, avendo l’onere di presentare una dichiarazione che

(10) FANTOZZI, Il diritto tributario, 2003, Torino, pag. 961. Secondo l’A. la dichiarazione Iva annuale “… ha essenzialmente natura riepilogativa

degli adempimenti, soprattutto sostanziali, posti in essere dal soggetto passivo durante l’anno precedente; sotto questo profilo, dunque, la dichiarazione Iva presenta una struttura più simile a quella della dichiarazione dei sostituti d’imposta che a quella della dichiarazione dei redditi, nella quale il contribuente deve effettuare valutazioni, far valere oneri deducibili, liquidare per la prima volta l’imposta dovuta”. Sul carattere meramente riepilogativo della dichiarazione Iva si veda anche LUPI, Diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2005, pag. 309; LUPI E GIORGI, la voce Iva, in Enc. Giurd. Treccani e STEVANATO, Dichiarazione Iva non sottoscritta tra nullità e sanatoria, in GT 11/1994.

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dunque non può che contenere e riportare fedelmente quanto contabilizzato dalla società fallita, non assume la “paternità” delle operazioni che potrebbero poi risultare asseritamente inesistenti.

Ipotizziamo il caso in cui (ipotesi tutt’altro che rara) il curatore si trovi nella contabilità della società fallita delle fatture, tutte relative al periodo precedente alla procedura, che presentano dei caratteri “anomali”. In merito a tali fatture (talvolta segnalate dai dipendenti) occorre considerare i limitati poteri di indagine attribuiti o attribuibili al curatore.

Ad esempio, le indagini che il curatore può svolgere possono essere rivolte a: a) raccogliere tutta la documentazione inerente (copia preventivi, contratti,

fatture, bolle di consegna, bolle doganali, ecc….) b) ottenere le testimonianze dei dipendenti ed ispettori di zona; c) ottenere riscontro e svolgere quindi i relativi confronti con le risposte

ottenute dai clienti e fornitori in merito agli incassi ed ai pagamenti da questi ricevuti od eseguiti.

Una volta svolti questi approfondimenti possibili, può poi, in un secondo momento, segnalare alla Procura le anomalie riscontrate in un’apposita relazione (che di fatto diviene una vera e propria denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.), allegando tutti gli elementi acquisiti, affinché si possa procedere alle indagini e all’individuazione degli autori delle eventuali violazioni.

E’ pacifico il fatto che il curatore sia obbligato per legge, ex art. 8 del D. Lgs. 322/1998, a presentare le dichiarazioni Iva sia per l’anno anteriore all’inizio della procedura concorsuale che per la frazione dell’anno in cui è iniziata la procedura concorsuale, e quindi per fatti di gestione riguardanti operazioni compiute e registrate dall’organo amministrativo cessato.

Nel caso in cui il curatore decida di optare per l’indicazione nella dichiarazione IVA di tutte le fatture contabilizzate dalla società segnalando in relazione eventuali anomalie, non pare sia possibile ipotizzare per questa condotta la sussistenza, né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo, degli estremi per l’applicazione nei confronti dello stesso del reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D. Lgs. 74/2000, ne’ pare sia possibile ipotizzare a carico dello stesso la mancata dichiarazione di fatture non contabilizzate dalla società (e di cui lo stesso non può certo essere a conoscenza).

3.3.3 Il comportamento suggerito alla luce dei problemi e dei pericoli evidenziati Come già anticipato, il curatore non è un mero rappresentante della società

amministrata bensì è un organo concorsuale incaricato di pubbliche funzioni, posto a tutela in primis della possibile continuazione dell’attività imprenditoriale ed in secundis dei creditori societari, tra i quali compare anche il fisco.

La sua condotta deve quindi ispirarsi alla regola base di salvaguardare la prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali, tenendo però ben a mente gli interessi dei creditori alla soddisfazione delle proprie ragioni.

Alla data di presentazione delle dichiarazioni Iva eventuali “sospetti di falsità” del Curatore sono del tutto inidonei e comunque insufficienti a giustificare la mancata

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indicazione in dichiarazione dei componenti attivi e passivi relativi alle fatture segnalate come “anomale”.

E’ però ovvio che, nei casi in cui la falsità di tali fatture emerga ictu oculi e sia obiettivamente provata da circostanze e da fatti concreti, il comportamento che il curatore potrà legittimamente tenere sarà quello di decidere di stralciare tali crediti dalla dichiarazione IVA da presentare evidenziando poi nella propria relazione ex art. 33 LF i motivi di tale stralcio producendo in allegato le prove acquisite. In sintesi, dunque, nello svolgere tale adempimento, il curatore procederà alla predisposizione della dichiarazioni IVA sia relative all’anno antecedente il fallimento (nel caso in cui non sia già stata presentata dalla società) sia quella relativa al periodo di imposta antecedente al fallimento (ovvero per il periodo che va dal primo gennaio alla data del fallimento), potrà seguire le seguenti indicazioni:

a) in linea generale le dichiarazioni IVA devono essere predisposte sulla base del

contenuto dei registri IVA della società fallita, seguendo quindi le relative liquidazioni sugli stessi indicate;

b) dovranno essere ripresi i crediti IVA derivanti dagli anni precedenti;

c) nel caso in cui alcuni pagamenti siano avvenuti mediante compensazioni di somme oggettivamente non esistenti o non compensabili (si pensi all’ipotesi di compensazioni avvenute oltre i limiti delle somme consentite, ovvero avvenute in presenza di cartelle esattoriali e quindi non legittime, ovvero in mancanza di visto di conformità, ecc…) le stesse dovranno essere riviste e rimodulate sulla base delle somme effettivamente ammesse in compensazione, riportando a debito le somme compensate in eccedenza; in questo modo, i crediti compensati in eccesso, potranno essere recuperati a credito per l’esercizio successivo, al fine di non essere persi.

d) dovranno poi essere riprese le somme indicate nei registri IVA ricevuti con le relative liquidazioni trimestrali;

e) nel caso in cui il curatore abbia conoscenza di operazioni anomale per le quali, però, non abbia certezza in merito alle anomalie verificate è opportuno che lo stesso:

> non perda il credito risultante dalle relative fatture anomale e le riporti nelle relative dichiarazioni;

> segnali comunque le anomalie riscontrate nella apposita relazione ex art. 33 L.F. che di fatto diviene una denuncia ai sensi dell’art. 331 cp, lasciando ai competenti organi di giustizia, l’onere di compiere gli eventuali ulteriori accertamenti e di svolgere quindi le opportune attività giudiziali;

> in ogni caso non utilizzi mai in compensazione i crediti che si riportano dai periodi antecedenti il fallimento fintanto che’ non decade il diritto degli Uffici a compiere e notificare i relativi accertamenti fiscali.

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f) nel caso in cui il curatore abbia conoscenza di operazioni anomale per le quali,

però, abbia una ragionevole certezza in merito all’effettiva falsità dei documenti contabilizzati è opportuno che il curatore:

> provveda alla predisposizione delle dichiarazioni IVA depurando le

operazioni contabilizzate dalla società fallita, nel periodo precedente la procedura, dall’effetto di quelle fatture per le quali ha accertato l’effettiva falsità ed abbandoni quindi il relativo credito fiscale;

> provveda a segnalare comunque gli accertamenti compiuti documentandoli nella apposita relazione ex art. 33 L.F. che di fatto quindi diviene una denuncia ai sensi dell’art. 331 cpp;

g) nel caso in cui vi sia un credito che si riporta nei successivi esercizi, e per il

quale non sono obiettivamente emersi fatti che ne abbiano messo in discussione la sua formazione, si potrà utilizzare solo nelle liquidazioni IVA durante la procedura (cosiddetta compensazione verticale).

In questo modo: • il curatore può adempiere con completezza agli obblighi fiscali per quanto

riguarda la dichiarazione IVA rinunciando, nei casi citati, con molta prudenza ai crediti contabilizzati dalla società fallita;

• non vengono persi i crediti di imposta e gli eventuali acconti effettivamente versati;

• i crediti di imposta risultanti da questa dichiarazione, potranno poi essere ripresi nelle successive dichiarazioni;

• nell’ipotesi di successivo concordato fallimentare, la società fallita tornata in bonis o l’eventuale assuntore potranno quindi beneficiare dei crediti IVA.

Anche in questo caso va però posta una raccomandazione importante: in considerazione del fatto che non è possibile sapere se tali crediti fiscali siano o meno definitivi, (e ciò sia perché, di fatto, in questo modo, le ultime due dichiarazioni vengono predisposte con i dati risultanti dalla contabilità della società fallita, sia perché sono ancora aperti i termini per gli eventuali accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate) è opportuno che tali crediti non siano utilizzati in compensazione dal curatore. E’ necessario dunque che tali crediti siano semplicemente riportati a nuovo in dichiarazione, senza però utilizzarli in compensazione con le imposte dovute fintantoché non sono decaduti i termini per la notifica di eventuali accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate. In questo modo, infine: a) l’Agenzia delle Entrate, che riceve questa dichiarazione, con i dati sostanzialmente

contabilizzati dalla società fallita: • nel caso in cui sia evidenziato un debito fiscale, può procedere alla presentazione

della relativa insinuazione al passivo della procedura;

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• a seguito delle segnalazioni ricevute dal curatore nella relazione ex art. 33 L.F., che si configurano come vera e propria denuncia ex art. 331 cpp viene a conoscenza del fatto che ha la possibilità di provocare eventuali accertamenti fiscali (per la determinazione di un corretto debito / credito) almeno sino all’eventuale decadenza del diritto all’accertamento ovvero (ma è una questione che non si vuole approfondire in questa sede) sino alla data del deposito delle insinuazioni tardive;

b) il curatore: • assolve ai propri obblighi fiscali svolgendo, al contempo le opportune

segnalazioni in qualità di Pubblico Ufficiale; • non si espone al rischio di avere abbandonato un credito IVA contabilizzato

dalla società; • non si espone al rischio, ancor più grave, di essere chiamato a rispondere di un

possibile reato per avere predisposto una dichiarazione IVA riportando crediti che potrebbero essere accertati successivamente come falsi, ovvero di avere omesso l’indicazione di ricavi che non risultavano contabilizzati ma che possono scaturire a seguito di un accertamento successivo.

3.3.4 Efficacia della dichiarazione IVA del periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento. Cass. 19169/03: “La dichiarazione del curatore fallimentare per il periodo prefallimentare di cui all’art. 74bis D.P.R. 633/72 è equiparabile alla dichiarazione di cessazione dell’attività e la stessa, pertanto, come rende insinuabile al passivo il debito di imposta da esso emergente, così implica il diritto del curatore al rimborso dei versamenti che risultino effettuati in eccedenza, ai sensi dell’art. 30 stesso decreto. Non è necessario, quindi, che tale credito venga dedotto nella successiva dichiarazione annuale” (così Cass. 4104/02 e 13091/92). Alternativo al comportamento sopra indicato: chiedere il rimborso dei crediti risultanti dalle dichiarazioni ante fallimento. 3.3.5 3.3.3.5 Rimborsi e fermo amministrativo Cass. 29565/11: “In tema di rimborso dell’iva l’Amministrazione non può adottare il provvedimento di fermo amministrativo previsto dall’art. 69 del R.D. 2440/23, nei confronti di soggetti falliti, essendo incompatibile con la previsione dell’art. 51 L.F., in quanto volto a prenotare una frazione di patrimonio del fallito, sottraendola alla massa destinata alla soddisfazione dei creditori concorsuali …” La massima riportata applica rigorosamente la disposizione di cui all’art. 51 L.F. che pone il divieto di azioni esecutive e cautelari del singolo creditore. Sulla adottabilità della misura, invece, Cass. 9853/11. Appare opportuno, quindi, procedere sempre all’impugnazione di provvedimenti cautelari volti a bloccare il rimborso dei crediti. Così appare opportuno procedere con l’impugnazione dei provvedimenti di sospensione del rimborso emessi ex art. 23 D.Lgs. 472/97 per evitare di vedersi bloccato sine die il

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rimborso. Ovvero per contestare il provvedimento di compensazione con debito per sanzioni. 3.3.6 Cessione del credito Art. 5, co. 4ter, D.L. 70/88 (II.DD. art. 3, co. 94 L. 549/95) – art. 43bis D.P.R. 602/73 D.M. 384/97 – art. 78, co. 3, L. 413/91. Necessità dell’atto scritto e della notificazione all’Agenzia ed al Concessionario. In caso di controversia sussiste fattispecie di litisconsorzio necessario tra cedente e cessionario del credito (Cass. 19072/03)

3.4 La dichiarazione del sostituto di imposta e le relative certificazioni

3.4.1 I riferimenti normativi relativi agli adempimenti del sostituto di imposta

Il comma I dell’Articolo 23 del D.P.R. 600/73 recita: Ritenuta sui redditi di lavoro dipendente. 1. Gli enti e le società indicati nell'articolo 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le società e associazioni indicate nell'articolo 5 del predetto testo unico e le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, ai sensi dell'articolo 51 del citato testo unico, o imprese agricole, le persone fisiche che esercitano arti e professioni, i l cura tor e fa l l imentare , i l commissar io l iqu idatore nonché il condominio quale sostituto d'imposta, i quali corrispondono somme e valori di cui all'articolo 48 dello stesso testo unico, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa. Nel caso in cui la ritenuta da operare sui predetti valori non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti in denaro, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente all'ammontare della ritenuta.

L'art. 37 comma 1 del D.L. 4.7.2006 n. 223 convertito nella Legge 4.08.2006 n. 248/2006 con disposizione in vigore dal 4.7.2006 (anche se la legge di conversione è entrata in vigore il 12.08.2006) ha inserito nell'ambito dell'art. 23 del D.P.R. 600/73 le parole: "il curatore fallimentare, il commissario liquidatore" al novero di quelli che erano storicamente i sostituti di imposta. Con la circolare n. 28 del 4 agosto 2006 è stato precisato che "... il curatore fallimentare ed il commissario liquidatore acquistano la qualifica di sostituti d'imposta ... anche in relazione agli obblighi di ritenuta previsti per le altre tipologie di reddito dalle disposizioni che rinviano al medesimo articolo 23, primo comma, per l'individuazione dei sostituti d'imposta".

E’ doveroso aggiungere che l’Amministrazione Finanziaria, da ultimo con Risoluzione n. 18 del 2/2/2006, ritiene sussistere l’obbligo di redigere e trasmettere sia la dichiarazione dei redditi che quella dei sostituti d’imposta relative all’esercizio precedente alla dichiarazione di fallimento nell’ipotesi in cui i termini di presentazione di tali dichiarazioni non siano ancora scaduti alla data di apertura della procedura concorsuale. Di seguito si riportano i passaggi più significativi di questa circolare:

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“… Con riferimento alla questione riguardante la presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta per l'anno precedente alla dichiarazione di fallimento e per l'anno in cui è intervenuta la dichiarazione di fallimento, si fa presente che l'Amministrazione finanziaria, con circolare n. 5 del 7 novembre 1988, ha precisato che "poiché dopo la dichiarazione di fallimento il fallito viene spossessato del proprio patrimonio e privato, quindi, del potere di disposizione e di amministrazione dello stesso", l'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi concernente il periodo d'imposta conclusosi anteriormente alla dichiarazione di fallimento deve far carico al curatore. Il suddetto orientamento, applicabile alla generalità delle dichiarazioni (imposta sui redditi, IRAP, sostituti di imposta ed IVA) trova conferma nelle norme recate dal DPR 22 luglio 1998, n. 322, che fissano in capo al curatore gli obblighi di dichiarazione per periodi antecedenti a quello in cui è dichiarato il fallimento. Con riguardo agli adempimenti cui sono tenuti i curatori fallimentari, inoltre, è opportuno richiamare il paragrafo 4.2 delle Istruzioni per la compilazione del Modello 770/2006 (approvato con Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 17 gennaio 2006), in cui è espressamente specificato che "nell'ipotesi di non prosecuzione dell’attività da parte di altro soggetto (liquidazione, fallimento e liquidazione coatta amministrativa), la dichiarazione deve essere presentata dal liquidatore, curatore fallimentare o commissario liquidatore, in nome e per conto del soggetto estinto relativamente al periodo dell'anno in cui questi ha effettivamente operato. In particolare, nel frontespizio del modello, nel riquadro "dati relativi al sostituto" e nei quadri che compongono la dichiarazione, devono essere indicati i dati del sostituto d'imposta estinto ed il suo codice fiscale; il liquidatore, curatore fallimentare o commissario liquidatore che sottoscrive la dichiarazione, deve invece esporre i propri dati esclusivamente nel riquadro del frontespizio "dati relativi al rappresentante firmatario della dichiarazione". Per quanto sopra esposto, si ritiene che il curatore fallimentare debba presentare, in qualità di "rappresentante firmatario", sia la dichiarazione annuale Mod. 770/2006 per l'anno 2005, con le modalità in precedenza richiamate, sia la dichiarazione annuale Mod. 770/2007 per l'anno 2006 (modello di prossima approvazione da parte del Direttore dell'Agenzia delle entrate), evidenziando distintamente, solo per l'anno 2006, i redditi erogati e le ritenute effettuate a partire dal 4 luglio 2006, in applicazione dell'ar t i co lo 23 de l DPR n . 600 de l 1973, come modificato dal citato de c r e to - l e gg e n . 223 de l 2006 (cfr. circolare del 4 agosto 2006, n. 28/E, par. 45).”

Si segnala però che, al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria esclude che si possa configurare tale obbligo posto in capo al curatore e ritiene che “Il fallito infatti conserva la capacità e soggettività tributaria” (vv. l’impugnabilità in tema di accertamento - Cass. n. 5671/06, n.9951/03 e prec.). Si riportano di seguito anche i passaggi più significativi delle seguenti sentenze, in merito a tale argomento: Sentenza del 15/03/2006 n. 5671 - Corte di Cassazione Massima: Il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso la propria tutela, anche in materia tributaria, alla luce dell'interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 43 della legge fallimentare e 10 del DLG 31 dicembre 1992, n. 546, in conformità ai principi del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa. Il termine per impugnare l'avviso di accertamento decorre dal momento in cui quest’ultimo sia stato portato a conoscenza del fallito stesso. “ … Infatti la giurisprudenza di questa Corte ha elaborato un tessuto giurisprudenziale riguardante l'impugnazione degli avvisi notificati dall'Amministrazione finanziaria al fallito, ovvero al fallito ed al curatore della procedura ovvero ancora al solo curatore, che si caratterizza per la posizione dei seguenti principi di diritto:

a) l'accertamento tributario (anche in materia di Iva), ove inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo di imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore - in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso

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fallimentare, o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione delle attività e dei beni acquisiti al fallimento - ma anche al contribuente, il quale non è pr iva to , a s egu i to de l la d i ch iarazione d i fa l l imento , de l la sua qual i tà d i sogge t to pass ivo de l rappor to t r ibutar io e r e s ta e spos to a i r i f l e s s i , anche d i cara t t e r e sanzionator io , che conseguono a l la "de f in i t i v i ta '" de l l 'a t to impos i t i vo (Cassazione, sentenze n. 3667 del 1997, n. 14987 del 2000, n. 6937 del 2002); b) nell'inerzia degli organi fallimentari - ravvisabile, ad esempio, nell'omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell'atto impositivo - i l fa l l i to è e c c ez iona lmente ab i l i ta to ad e s e r c i tare eg l i s t e s so ta l e tu t e la a l la lu c e de l l ' in t e rpre taz ione s i s t emat i ca de l combinato d i spos to deg l i ar t . 43 de l la l e gg e fa l l imentare e de l l 'ar t . 16 de l D.P.R. n . 636 de l 1972, conforme ai principi, costituzionalmente garantiti (art. 24, comma primo e secondo, della Costituzione), del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa (Cassazione, sentenze n. 3667 del 1997, n. 14987 del 2000, n. 937 del 2002); c) a l la d i ch iarazione d i fa l l imento consegue , per i l fa l l i t o , una perd i ta de l la capac i tà pro c e s sua le che ha cara t t e r e non asso lu to ma re la t ivo e può e s s e r e e c c ep i ta so lo da l cura tore ne l l ' in t e r e s s e de l la massa de i c r ed i tor i . Ne deriva che, se, nell'inerzia del curatore, agisce in giudizio per la società fallita il suo rappresentante legale, il difetto di capacità processuale non può essere rilevato ne' su eccezione della controparte ne' d'ufficio (sentenze n. 1359 del 1999, n. 1396 del 2003 e n. 3400 del 1997, relativo ad un caso in cui, intervenuto il fallimento di società in accomandita semplice nel corso di un procedimento davanti alla Commissione tributaria di II grado, la società, in persona del socio accomandatario, pure dichiarato fallito, aveva impugnato la decisione di tale Commissione davanti alla Corte di appello, e la Cassazione - in base al riportato principio - ha ritenuto tale impugnazione ritualmente proposta). Sentenza del 05/12/2007 n. 65 - Comm. Trib. Reg. Emilia Romagna - Sezione/Collegio 15 Massima: E' illegittimo l'Avviso di Mora notificato soltanto al Curatore fallimentare e non anche personalmente al fallito presso il suo domicilio. Per costante orientamento giurisprudenziale il contribuente dichiarato fallito conserva la propria capacità processuale in materia tributaria, sulla base del diritto a difendersi dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla definitività dell'atto direttamente nella propria sfera patrimoniale. Non esiste poi alcuna norma che esima l'Amministrazione Finanziaria dal notificare l'atto al fallito, ne' esiste alcun onere del fallito stesso di informarsi presso il Curatore degli atti medesimi.

Sentenza del 2/5/2012 n. 172 – Tribunale di Padova In questa sentenza, relativa ad una opposizione allo stato passivo di una procedura radicata da un ex dipendente della società fallita, che chiedeva l’ammissione del suo credito di lavoro al lordo dei contributi Previdenziali dei quali non era fornita la prova della avvenuto pagamento o ammissione al passivo della procedura, da parte dell’INPS, il Tribunale di Padova precisa che:” Il curatore non è tenuto al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell’istituto rimasto inerte, ne’ è consentito allo stesso trattenere tali somme mediante accantonamenti in prevenzione nemmeno previsti dalla normativa in materia e che, conseguentemente, è dovuta al lavoratore la retribuzione nella misura lorda proprio perché’ i l cura tor e non è fa cu l ta to ad operare de t raz ion i e/o ac cantonament i d i sor ta in quanto , qua le organo de l la pro c edura e è non suc c e s sor e ne ’ so s t i tu to ne c e s sar io de l da tore d i lavoro fa l l i to , non è t enuto ad adempier e obb l i gh i amminis t ra t iv i fa c en t i capo or ig inar iamente a l l ’ imprend i tor e , come que l lo d i operare l e t ra t t enute de i con tr ibut i prev idenzia l i in r e laz ione a rapor t i d i lavoro e saur i t i .”

Giovedì, 6 marzo 2014

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3.4.2 Il problema della dichiarazione relativa ai periodi antecedenti la procedura

Quanto alle dichiarazioni dei sostituti imposta relative ai periodi antecedenti la

procedura occorre qui precisare che, le norme tributarie esistenti stabiliscono solo che “i l curatore fa l l imentare , i l commissario l iquidatore nonché il condominio quale sostituto d'imposta, i quali corrispondono somme e valori di cui all'articolo 48 dello stesso testo unico, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa.” (art. 23 DPR 600/73)

Di conseguenza è assodato il fatto che il curatore, nell’esercizio delle sue funzioni debba operare le ritenute di acconto e che sia poi assoggettato a tutti gli obblighi dichiarativi di tutti i sostituti di imposta, ma ciò a valere solo dalla data della nomina e non per il periodo antecedente.

Ciò e’ confermato dalle seguenti considerazioni:

a) non esiste alcuna norma che preveda espressamente l’obbligo di presentare il mod.

770 per i periodi antecedenti la procedura;

b) il legislatore ha previsto espressamente gli obblighi dichiarativi per le dichiarazioni dei redditi ed IRAP (Art. 183 TUIR ed art. 5 DPR 322/1998);

c) il legislatore ha previsto espressamente gli obblighi dichiarativi per l’IVA (Art. 74 bis DPR 633/1972 ed art. 8 DPR 322/1998);

d) lo stesso modello 770 non prevede (come invece è previsto per le dichiarazioni IVA e per le dichiarazioni dei redditi) la possibilità di dividere il debito per ritenute sorto prima della procedura, da quello sorto dopo la procedura (non vi è infatti la possibilità di indicare a quale periodo di riferisce la dichiarazione ne’ di predisporre una dichiarazione con doppi intercalari, come per la dichiarazione IVA) e, di conseguenza, diviene difficile scorporare il debito sorto prima della procedura (e da insinuare al passivo) da quello sorto dopo la stessa (assistito dalla prededuzione). L’unica possibilità per suddividere il debito in questo modo è quello identificare le ritenute in base alla loro maturazione, ma vi è la quasi matematica certezza che per fare ciò verrebbero indicate (come erroneamente spesso accade) le ritenute sugli stipendi maturati e non su quelli effettivamente pagati, con la conseguenza, che il mod. 770 sarebbe assolutamente errato;

e) vi è ormai un orientamento giurisprudenziale consolidato che conferma che il fallito conserva la capacità e soggettività tributaria.

f) non esiste nemmeno una norma che preveda un allungamento dei termini per l’invio della dichiarazione nel caso in cui il fallimento sia dichiarato in prossimità della scadenza dei termini ordinari (si pensi, ad esempio al termine di 4 mesi indicato per l’IVA).

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g) si pensi che anche per le imposte dirette non vi è alcun obbligo di presentare la dichiarazione relativa all’anno solare antecedente il fallimento con la conseguenza che rimarrebbe quindi obbligato a tale adempimento il soggetto fallito.

3.4.3 Le certificazioni dei compensi pagati e degli stipendi corrisposti nel periodo

antecedente la procedura. Vi è infine il tema della certificazione che talvolta viene richiesta da chi ha operato per la società nei periodi antecedenti la procedura. Il tema delle certificazioni non è di facile soluzione in considerazione della diversa insorgenza dell’obbligazione INPS (per i lavoratori dipendenti) che sorge nel momento dell’elaborazione delle busta paghe e si riferisce alle mensilità lavorate, mentre il debito per le ritenute sorge solo in seguito all’effettivo pagamento delle prestazioni rese. Diviene quindi estremamente difficile, se non impossibile, determinare con precisione il momento esatto nel quale è sorto il debito per le ritenute di acconto e soprattutto l’ammontare dello stesso, posto che, come detto, è legato all’effettivo pagamento degli stipendi. Molto spesso, infatti, accade che l’imprenditore paghi ai dipendenti, soprattutto nel periodo di difficoltà finanziaria solo degli acconti sugli stipendi ovvero paghi delle somme che non sono ricomprese nelle buste paghe e, di conseguenza, diviene impossibile determinare quale sia l’importo ed il tempo di maturazione di tale debito. Quanto alle certificazioni, poi, si precisa che l’obbligo al rilascio riguarda le somme erogate sulle quali sono state operate le ritenute ancorché non versate. (11) Di conseguenza, questo diviene un ulteriore passaggio che, da un lato, va a complicare ancor di più i problemi che il curatore deve affrontare e, dall’altro, va ad aumentare ancor di più il rischio che il curatore possa commettere degli errori nell’indicazione delle somme effettivamente pagate (di cui non ha conoscenza certa) e che vanno a generare l’effettivo debito per ritenute e di cui non ha conoscenza dell’avvenuto pagamento e/o della effettiva imputabilità dei pagamenti eseguiti. Si aggiunga poi che spesso il curatore non è a conoscenza degli stipendi effettivamente pagati che, in certi casi possono anche divergere dalle buste paga elaborate. Di conseguenza, alla luce di quanto sopra, è consigliabile non rilasciare alcuna certificazione per le ritenute effettuate nel periodo antecedente il fallimento. Infine si richiama qui il contenuto dell’art. 10 bis del DPR 74/2000 (12) che prevede “la reclusione da sei mesi a due anni ch iunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta”.

(11) art.4, co.6 ter e quater, DPR 322/98: "certificazione...attestante...l'ammontare delle ritenute operate” (12) Art. 10-bis Omesso versamento di ritenute certificate 1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta.

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In questo modo:

a) da un lato i dipendenti potranno effettuare nella loro dichiarazione dei redditi una

autocertificazione degli stipendi effettivamente incassati;

b) dall’altro gli altri percettori di somme provenienti da parte della società fallita potranno produrre le loro fatture ed il relativo incasso a giustificazione del fatto che non hanno incassato l’importo relativo alla ritenuta di acconto che quindi è stata trattenuta dalla società fallita.

Al riguardo si segnala che l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 68/E del 19 marzo 2009, sembra aver definitivamente chiarito, in favore del sostituito, i dubbi sulla possibilità di scomputare le ritenute sui redditi da lavoro autonomo e d'impresa quando manca la certificazione rilasciata dal sostituto d'imposta. Infatti in tal caso, il contribuente può, per poter scomputare le ritenute, esibire la fattura e la relativa documentazione proveniente da banche o operatori finanziari che attesti l'importo del compenso effettivamente percepito, al netto della ritenuta. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che in caso di controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, a questi documenti andrà aggiunta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, redatta ai sensi del D.P.R. n. 445/2000. Con tale certificato il contribuente dovrà affermare, sotto la propria responsabilità, che la documentazione presentata è relativa esclusivamente a una fattura contabilizzata e che non vi sono altri pagamenti da parte del sostituto d'imposta relativi ad essa. In questo caso, sottolinea la risoluzione, la dichiarazione sostituiva, con la relativa documentazione, assume " un valore probatorio equipollente " alla certificazione proveniente dal sostituto d'imposta, quindi, legittima lo scomputo delle ritenute. Sembra quindi potersi definitivamente dire che i sostituiti d’imposta, coloro cioè che subiscono le ritenute d’acconto, possono scomputare dall'imposta le ritenute subite sui redditi d'impresa e di lavoro autonomo anche in assenza della certificazione rilasciata dal sostituto d'imposta a patto che esibiscano la fattura e la relativa documentazione della banca (o altro intermediario finanziario) comprovante l'importo percepito. In caso di controllo da parte dell'Amministrazione finanziaria, occorre aggiungere anche una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà

c) non espone il curatore al rischio di vedersi indagato per il reato previsto dall’art. 10

bis del DPR 74/2000 (avere certificato ritenute operate e non pagate per importi superiori ad euro 50.000,000)

4 Altri casi particolari di aspetti fiscali nella normativa fallimentare.

4.1 Il problema della compensazione Il divieto di compensazione (previsto dall’art. 31 D.L. 30/07/2010 conv. nella L. 30/07/2010 n. 122) non opera nell’ipotesi di compensazione tra i crediti e debiti erariali formatisi nel corso di procedura concorsuale

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La richiamata norma, dispone che a partire dal 1° gennaio 2011 i debiti erariali iscritti a ruolo per importo superiore ad €. 1.500,00 limitano la possibilità per il contribuente di effettuare la compensazione sul Mod. F24. Attraverso tale norma, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente possa utilizzare crediti erariali, per future compensazioni, in presenza di altri debiti per imposte già iscritte a ruolo, per ammontare superiore ad € 1.500,00, a titolo definitivo. A sostegno del divieto, lo stesso art. 31 prevede la sanzione amministrativa pari al 50% dell'importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali ed accessori, per i quali è scaduto il termine di pagamento. La sanzione non può comunque superare il limite del 50% dell'ammontare indebitamente compensato. La norma introdotta non prevede alcuna espressa deroga per le procedure concorsuali e acriticamente letta, provocherebbe conflittualità logico-sistematica con i principi propri dell'ordinamento concorsuale. L'Amministrazione Finanziaria è intervenuta a chiarimento in occasione dell'emanazione della Circolare n. 13/E dell' 1 marzo 2011 fornendo una corretta interpretazione della norma e precisando che nel caso di procedure concorsuali "la presenza di debiti erariali iscritti a ruolo nei confronti del fallito, scaduti e non pagati, ma maturati in data antecedente all'apertura della procedura concorsuale, non si ritiene sia causa ostativa alla compensazione tra i crediti e i debiti erariali formatisi, invece, nel corso della procedura stessa". L'impedimento della sopra descritta compensazione endoconcorsuale, a causa di debiti tributari sorti prima della dichiarazione di fallimento, iscritti a ruolo e non pagati, come già richiamato risulterebbe contrario ai principi dell'ordinamento concorsuale. L'Agenzia aveva già avuto modo (Risoluzione n. 279/E/2002) di sottolineare il principio dell'invalicabilità del sistema delle norme concorsuali e della salvaguardia degli effetti che le stesse norme perseguono. Al contrario, precisa ora l'Agenzia, come non possa legittimamente operare la "compensazione tra crediti o debiti verso il fallito e, rispettivamente, debiti e crediti verso la massa fallimentare". Farebbe eccezione altresì, sempre secondo l'assunto dell'Agenzia, "l'ipotesi in cui gli importi in questione derivino per effetto del trascinamento nella procedura concorsuale, dall'attività del fallito precedente all'apertura della procedura stessa". Va pertanto ribadito il principio della estraneità tra i due periodi (prefallimentare e endofallimentare) sicché, il periodo d'imposta gestito dal curatore non può essere confuso con quello in cui ha operato il soggetto fallito. E' frequente il caso in cui il curatore si trovi a compensare crediti e debiti tributari sorti dopo la dichiarazione di fallimento, in costanza di procedura. La possibilità di compensare un credito verso l'Erario sorto in corso di procedura (caso tipico, il credito IVA) con un debito parimenti endoconcorsuale (caso ugualmente tipico, le ritenute sui compensi a professionisti), pur in presenza di debiti erariali ante procedura discende chiaramente dall'art. 56 l.fall., ed è confermato dalla Risoluzione 12/8/2002 n. 279. La stessa Agenzia delle Entrate ha infatti confermato l'invalicabilità dello "sbarramento" fra crediti e debiti ante e post fallimento, fissata dal citato art. 56.

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Nel caso in cui, però, il credito IVA non è sorto in corso di procedura, bensì precedentemente, e poi "trascinato" nelle dichiarazioni presentate in corso di procedura, poiché ciò che rileva ai fini dell'art. 56 l.fall. è il momento genetico del credito o debito, e non la sua emersione in contabilità, dichiarazioni, fatture o altri documenti, il credito IVA in questione è comunque credito ante procedura, e, di conseguenza potrà legittimamente essere compensato dall'Agenzia con sui crediti sempre ante procedura, così che nulla possa poi residuare da poter essere compensato nel periodo endoconsorsuale. A partire dall’anno 2010, come noto, per importi superiori ad € 15.000,00 è stata imposta la presentazione preventiva della dichiarazione IVA con apposizione di visto di conformità da soggetto abilitato. Non esiste una norma che escluda le procedure concorsuali da tale fattispecie. L'Agenzia delle Entrate, su specifica richiesta, ha chiarito che la nuova procedura di compensazione si applica anche alle procedure concorsuali in quanto "nessuna norma specifica le esclude". A corollario delle considerazioni esposte è possibile sottolineare che:

a) va tenuta presente la necessità di effettuare il pagamento tramite Entratel, e quindi o direttamente, effettuando i necessari adempimenti (chiavi telematiche, ecc.) in capo alla procedura, ovvero effettuando il pagamento tramite professionisti abilitati; in tale ultimo caso se il Curatore non dispone di tale abilitazione sarà necessario rivolgersi a un collega abilitato, facendosi autorizzare il sostenimento del relativo costo;

b) se la dichiarazione si riferisce ad un periodo endoconcorsuale, il Curatore è tenutario delle scritture contabili e quindi l'apposizione del visto di conformità può avvenire con le modalità "leggere"; se invece la dichiarazione è relativa al periodo ante fallimento, non avendo egli tenuto le scritture contabili dovranno essere effettuate le più complesse attività di controllo previste dalla legge e dalla migliore prassi per tale ipotesi.

c) occorre infine tenere presente che il pagamento tramite Entratel va inevitabilmente ad addebitare i conti vincolati all'ordine del Giudice e quindi soggetti a presentazione del mandato. Tale questione non è purtroppo completamente chiara.

d) La norma di partenza è l'art. 37, comma 49, del D.L. 4/7/2006 n. 223, che com'è ben noto stabilisce che "A partire dal 1 ottobre 2006, i soggetti titolari di partita IVA sono tenuti ad utilizzare, anche tramite intermediari, modalità di pagamento telematiche delle imposte".

e) Poco dopo l'emanazione di tale disposizione la circolare 30/E del 29/9/2006, al

punto 7/d ha disposto quanto segue: a. "Contribuenti impossibilitati a utilizzare conti correnti: i soggetti obbligati al versamento

telematico ai quali fosse inibita, per cause oggettive (es. protestati, curatori fallimentari, ecc.), la possibilità di accedere ad un proprio conto corrente bancario o postale: I. possono utilizzare il modello F24 cartaceo II. possono rivolgersi a un intermediario che aderisce al CBI."

f) Successivamente, l'art. 17 del D.L. 1/7/2009 n. 78 ha introdotto nel citato art.

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37/223, dopo il comma 49, il seguente comma 49-bis: a. "I soggetti di cui al comma 49, che intendono effettuare la compensazione prevista

dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto per importi superiori a 5.000 euro annui, sono tenuti ad utilizzare esclusivamente i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate secondo modalità tecniche definite con provvedimento del direttore della medesima Agenzia delle entrate entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente comma".

g) Il provvedimento in questione è stato emanato in data 21/12/2009, prot.

2009/185430; esso, dopo aver individuato al punto 1 i crediti IVA di importo superiore a 10.000 e 15.000 euro, stabilisce quanto segue: "2.1. I contribuenti che intendono effettuare la compensazione di cui al punto 1 hanno l’obbligo di utilizzare esclusivamente i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate. Le deleghe di versamento possono essere trasmesse:

a) direttamente dai contribuenti mediante i canali Entratel o Fisconline; b) tramite gli intermediari abilitati al servizio Entratel.

..." "2.2. L’utilizzo dei servizi di home banking messi a disposizione dalle banche e da Poste Italiane, ovvero dei servizi di remote banking (CBI) offerti dalle banche, è consentito esclusivamente a coloro che effettuano compensazioni di crediti Iva inferiori a 10.000 euro".

h) Va rilevato che tale limitazione non ha significato meramente formale, ma ha lo scopo di consentire all'Agenzia, prima di acquisire la delega di pagamento, di verificare se il credito effettivamente risulta da una dichiarazione già presentata (se superiore a 10.000 ma non a 15.000 euro), ovvero da una dichiarazione già presentata e portante il visto di conformità. In assenza di tali dichiarazioni il sistema blocca il pagamento (cosa che non sarebbe possibile se il modello F24 fosse presentato tramite i normali canali bancari).

i) Tutto ciò premesso, non si può affermare che l'"esonero" dall'utilizzo dei canali telematici stabilito per i Curatori fallimentari dalla citata Circolare 30/2006 valga anche relativamente all'obbligo di pagamento con utilizzo in compensazione di crediti IVA superiori a 10.000 euro, stabilito con disposizione successiva a essa, e per finalità diverse da quelle che stavano alla base dell'obbligo a cui tale Circolare si riferiva.

j) Nel dubbio, e in attesa di un eventuale chiarimento ufficiale (che potrebbe essere

sollecitato tramite una specifica istanza di interpello), si propongono per prudenza due possibili soluzioni pratiche:

j.1) previa autorizzazione del Giudice Delegato (ovviamente se può convenire su

questa soluzione) e successiva immediata rendicontazione, venga costituito nelle mani del Curatore un fondo per il versamento dell'imposta, ed egli effettui il versamento direttamente, dal proprio conto e non da quello della procedura, tramite Entratel;

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j.2) spezzare il versamento in due importi: - nel primo F24 viene utilizzato per intero il credito, indicando il medesimo

importo come debito (per ritenute o altro da pagare), e viene trasmesso via Entratel (una volta ottenuta l'autorizzazione non è necessario prelevare fondi dal c/c della procedura tramite mandato, perché non c'è alcun importo da pagare)

- nel secondo F24 viene versato il residuo debito, col normale canale bancario (non con Entratel) previa presentazione del relativo mandato.

4.2 La necessità di provvedere all’interruzione della prescrizione per i crediti

fiscali Può accadere a volte di essere nominati curatori o commissari di società che vantano crediti fiscali considerevoli. Normalmente accade che l’Agenzia Entrate, di fatto, sospenda l’erogazione del rimborso in considerazione dell’esistenza di carichi pendenti ovvero provveda alla verifica fiscale. Tale sospensione viene di norma eseguita a tempo indeterminato posto che l’ufficio non chiede poi la compensazione dei crediti fiscali con i carichi fiscali, ma insinua al passivo della procedura i propri crediti. Di conseguenza è necessario che il curatore provveda alla notifica della comunicazione di interruzione della prescrizione per il credito che l’Ufficio generalmente non compensa. Occorrerà, ovviamente che tale credito diventi definitivo per effetto della intervenuta decadenza. Tale credito, se non compensato prima del riparto finale può essere utilizzato seguendo la norma prevista dall’art. 117 L.F che consente l’utilizzo dei crediti fiscali per il riparto finale ai creditori che lo accettano.

Art. 117 L.F – Ripartizione finale III. Il giudice delegato, nel rispetto delle cause di prelazione, può disporre che a s ingol i credi tor i che v i consentono s iano assegnat i , in luogo de l l e somme agl i s t ess i spet tant i , credi t i di imposta de l fa l l i to non ancora r imborsat i .

4.3 La nota di variazione IVA a seguito della cessione del credito Altro tema degno di rilievo e di estrema attualità è proprio quello delle notifiche che si possono ricevere a seguito delle intervenute cessioni dei crediti. Ormai sempre più spesso accade che i creditori ammessi al passivo di una procedura cedano il loro credito alle società che svolgono professionalmente questa attività. In questi ultimi anni, infatti, si sono sviluppate molto queste nuove professioni relative alle società che si occupano di esaminare lo stato dei fallimenti al fine di riuscire, alla fine, ad acquistare i crediti ed incassarne in seguito la relativa plusvalenza, oppure a depositare

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domanda per un concordato fallimentare che consenta a queste ultime di realizzare tutte le attività fallimentari (comprese le azioni legali). Al riguardo va precisato che, ormai è sempre più frequente il caso in cui, a seguito dell’avvenuto svolgimento della data room finalizzata alla ricerca di soggetti interessati al deposito di una domanda di concordato fallimentare, le società che hanno partecipato provvedono all’acquisto di numerosi crediti insinuarsi al passivo della procedura. È quindi una circostanza che capita sempre più spesso quella di vedere i crediti insinuati al passivo della procedura ceduti a terzi. In merito al tema del riconoscimento dei crediti ceduti a favore del cessionario, è intervenuto l’art. 115 L.F. e la sentenza di Cass. Sez. I, Sent. 5.8.2011 n. 17036.

“Art. 115 – Pagamento ai creditori Il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal giudice delegato, purché tali da assicurare la prova del pagamento stesso. Se prima della ripartizione i crediti ammessi sono stati ceduti, il curatore attribuisce le quote di riparto ai cessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con a t to r e cante l e so t to s c r iz ion i auten t i ca t e d i c edente e c e s s ionar io , l'intervenuta cessione. In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo. Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore. (2)” (1) Questo articolo è stato così sostituito dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. (2) Questo periodo è stato aggiunto dal D.Lgs. 12 Settembre 2007, n. 169.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 17036/2011 ha stabilito che nelle ipotesi di “mero mutamento soggettivo nella titolarità di un credito già ammesso al passivo” non è più necessaria l’insinuazione al passivo. In merito alla possibilità di ricevere una nota di variazione IVA nel caso di cessione del credito, va richiamato il contenuto della Risoluzione del 05/05/2009 n. 120 - Agenzia delle Entrate che prevede, in sintesi quanto segue: Nel caso di cessione pro soluto di un credito nei confronti di un'impresa soggetta a procedura concorsuale il cedente:

- conserva il diritto ad emettere la nota di variazione se si è insinuato al passivo del fallimento prima della cessione.

- deve, rimanere parte processuale del fallimento, ossia non deve essere estromesso dal cessionario.

La nota di variazione, infine, può essere emessa per un valore pari alla differenza tra il valore nominale del credito originario e l'ammontare complessivo dei pagamenti parziali (comprensivi sia della quota imponibile che dell'imposta) eseguiti dal fallito, a nulla rilevando il prezzo corrisposto dal cessionario per la cessione pro-soluto del credito.

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4.4 Gli adempimenti fiscali nell’ambito dei sequestro di beni

4.4.1 Apertura del codice fiscale del sequestro A seguito della nomina del curatore quale amministratore / custode dei beni appresi ad un eventuale sequestro, il primo adempimento necessario da compiere e’ l’apertura del codice fiscale del sequestro. Tale adempimento è necessario:

- quando vi sia una liquidità da gestire che debba essere depositata su un rapporto

bancario e che deve quindi avere un proprio autonomo codice fiscale, diverso da quello dell’amministratore o custode giudiziario.

- quando i beni oggetto di sequestro siano produttivi di reddito e, di conseguenza, sia

necessario provvedere ai relativi obblighi dichiarativi con il codice fiscale appositamente generato.

4.4.2 Riferimenti normativi e prassi Risoluzione del 27/03/2007 n. 62 - Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso Sintesi: La risoluzione fornisce precisazioni in ordine agli adempimenti in capo al custode giudiziario di un'azienda. - Il sequestro giudiziario (art. 670 c.p.c.) è finalizzato a garantire la custodia temporanea e la

gestione di beni, aziende e altre universalità di beni nel caso in cui sia controversa la proprietà o il possesso.

- In particolare viene precisato che durante il periodo di custodia la tassazione avviene in via provvisoria analogamente a quanto disposto dall'art. 187 del TUIR per l’eredità giacente.

- Viene inoltre precisato che al custode che subentri ad altro custode non spetta la proroga dei termini prevista dall'art. 5 ter, comma5, del DPR del 22 luglio 1998, n. 322.

- Ai fini IVA, il custode deve proseguire regolarmente l’attività in precedenza svolta dal sequestratario, senza necessità di aprire una nuova partita IVA, comunicando all'Ufficio locale l'avvenuta variazione ai sensi dell'articolo 35 del DPR n. 633 del 1972.

Risoluzione del 29/05/2008 n. 216 - Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso Sintesi: Nel caso in cui alcuni beni compresi nella massa fallimentare di una società siano successivamente sottoposti a sequestro giudiziario e venga nominato quale custode giudiziario il curatore fallimentare, per i redditi prodotti da tali beni non si applicano le norme sulla curatela fallimentare ma quelle sull’eredità giacente dettate dall'art. 187 del TUIR e dall'art. 5-ter del D.P.R. n. 322/1998. Soltanto, infatti, con la conclusione del contenzioso sarà individuato a titolo definitivo e con effetto retroattivo il soggetto titolare dei beni sequestrati e, dunque, il soggetto passivo d'imposta.

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Cass. civ. Sez. V, 11/11/2011, n. 23620 sequestro conservativo In caso di sequestro di immobili (nella specie: giudiziaria) il custode sequestratario deve provvedere, in via esclusiva, a tutti gli adempimenti fiscali relativi ai canoni derivanti dalla loro locazione senza che residuino obblighi, di sorta, a carico dell'intestatario dei cespiti stessi.

Articolo 187 - Eredità giacente. (ex art. 131) 1. Se la giacenza dell’eredità si protrae oltre il periodo di imposta nel corso del quale si è aperta la successione, il reddito dei cespiti ereditari è determinato in via provvisoria secondo le disposizioni del titolo I, sezione I (13), se il chiamato all’eredità è persona fisica, o non è noto, e secondo quelle del titolo II, capo III (14), se il chiamato è un soggetto diverso. Dopo l'accettazione dell’eredità il reddito di tali cespiti concorre a formare il reddito complessivo dell'erede per ciascun periodo di imposta, compreso quello in cui si è aperta la successione, e si procede alla liquidazione definitiva delle relative imposte. I redditi di cui all'articolo 7, comma 3 (15), se il chiamato all’eredità è persona fisica o non è noto, sono in via provvisoria tassati separatamente con l'aliquota stabilita dall'articolo 12 per il primo scaglione di reddito, salvo conguaglio dopo l'accettazione dell’eredità. 2. Le disposizioni del comma 1si applicano anche nei casi di delazione dell’eredità sotto condizione sospensiva o in favore di un nascituro non ancora concepito. 3. (Comma abrogato)

Articolo 5 ter D.P.R. 322 del 22.7.1998 Adempimenti dei curatori e amministratori di eredità. 1. I curatori di eredità giacenti e gli amministratori di eredità devolute sotto condizione sospensiva o in favore di nascituri non ancora concepiti, oltre alle dichiarazioni dei redditi di cui all'articolo 187 del testo unico delle imposte sui redditi, da presentare nei termini ordinari, relative al periodo d'imposta nel quale hanno assunto le rispettive funzioni ai periodi d'imposta successivi fino a quello anteriore al periodo d'imposta nel quale cessa la curatela o l'amministrazione, sono tenuti a presentare, en tro 6 mes i da l la data d i assunzione de l l e funzion i : a) le dichiarazioni dei predetti redditi relative al periodo d'imposta nel quale si è aperta la successione, se anteriore a quello nel quale hanno assunto le funzioni, e agli altri periodi d'imposta già decorsi anteriormente a quest'ultimo; b) la dichiarazione dei redditi posseduti nell'ultimo periodo d'imposta dal contribuente deceduto e, se il relativo termine non era scaduto alla data del decesso, quella dei redditi posseduti nel periodo d'imposta precedente. 2. I curatori e gli amministratori devono inoltre: a) adempiere per i periodi d'imposta indicati nell'alinea del comma 1, se nell'asse ereditario sono comprese aziende commerciali o agricole, gli obblighi contabili e quelli a carico dei sostituti d'imposta stabiliti nel de c r e to de l Pres idente de l la Repubbl i ca 29 se t t embre 1973, n . 600; b) presentare, entro 6 mesi dalla data di assunzione delle funzioni, le dichiarazioni di sostituto d'imposta relative ai pagamenti effettuati nei periodi d'imposta considerati nelle lettere a) e b) del comma 1; c) comunicare mediante raccomandata all'ufficio dell'Agenzia delle entrate, entro 60 giorni, l'assunzione e la cessazione delle funzioni; la comunicazione di cessazione deve contenere l'indicazione dei dati identificativi degli eredi e delle quote ereditarie di ciascuno di essi. 3. L'erede, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale è cessata la curatela o l'amministrazione, deve darne comunicazione e indicare l'ufficio dell'Agenzia delle entrate del domicilio fiscale del contribuente deceduto, i dati identificativi del curatore o dell'amministratore e degli altri eredi e la propria quota di eredità. Nella stessa dichiarazione può essere esercitata, per ciascuno degli anni per i quali i redditi di cui all'articolo 187 del

(13) Il Titolo I, sezione I si riferisce al reddito della persona fisica, nella sua complessità; (14) Il Titolo II, capo III si riferisce ai redditi degli enti non commerciali. (15) Articolo 7 - Periodo d'imposta. In vigore dal 1 gennaio 1988 3. In caso di morte dell'avente diritto i redditi che secondo le disposizioni relative alla categoria di appartenenza sono imputabili al periodo d'imposta in cui sono percepiti, determinati a norma delle disposizioni stesse, sono tassati separatamente a norma degli artt. 19 e 21, salvo il disposto del comma 3 dell'art. 17, anche se non rientrano tra i redditi indicati nello stesso art. 17, nei confronti degli eredi e dei legatari che li hanno percepiti.

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testo unico delle imposte sui redditi sono stati determinati in via provvisoria, la facoltà prevista nell'articolo 17, comma 3, dello stesso testo unico. 4. Dalla data di presentazione della dichiarazione di cui al comma 3, o, in mancanza, dalla data in cui avrebbe dovuto essere presentata, decorre il termine per la liquidazione definitiva delle imposte a norma dell'articolo 187 del citato testo unico. 5. Nei confronti del curatore o dell'amministratore, salvo quanto disposto nel comma 1, i termini pendenti alla data di apertura della successione e quelli aventi inizio prima della data di assunzione delle funzioni sono sospesi fino a tale data e sono prorogati di 6 mesi.

Decreto l eg i s lat ivo 6 se t t embre 2011, n. 159 Codice de l l e l egg i ant imaf ia e de l l e misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in mater ia di documentazione ant imafia, a norma deg l i art i co l i 1 e 2 de l la l egge 13 agosto 2010, n. 136 Capo IV - Regime fiscale dei beni sequestrati o confiscati Art. 50. Procedure esecutive dei concessionari di riscossione pubblica 1. Le procedure esecutive, gli atti di pignoramento e i provvedimenti cautelari in corso da parte della società Equitalia Spa o di altri concessionari di riscossione pubblica sono sospesi nelle ipotesi di sequestro di aziende o partecipazioni societarie disposto ai sensi del presente decreto. E' conseguentemente sospeso il decorso dei relativi termini di prescrizione. 2. Nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o partecipazioni societarie sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del codice civile. Entro i limiti degli importi dei debiti che si estinguono per confusione, non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 31, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Art. 51. Regime fiscale e degli oneri economici (rubrica così sostituita dall'art. 1, comma 189, lettera d), legge n. 228 del 2012) 1. I redditi derivanti dai beni sequestrati continuano ad essere assoggettati a tassazione con riferimento alle categorie di reddito previste dall'articolo 6 del testo unico delle Imposte sui Redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 con le medesime modalità applicate prima del sequestro. 2. Se il sequestro si protrae oltre il periodo d'imposta in cui ha avuto inizio, il reddito derivante dai beni sequestrati, relativo alla residua frazione di tale periodo e a ciascun successivo periodo intermedio è tassato in via provvisoria dall'amministratore giudiziario, che è tenuto, nei termini ordinari, al versamento delle relative imposte, nonché agli adempimenti dichiarativi e, ove ricorrano, agli obblighi contabili e quelli a carico del sostituto d'imposta di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. 3. In caso di confisca la tassazione operata in via provvisoria si considera definitiva. In caso di revoca del sequestro l'Agenzia delle Entrate effettua la liquidazione definitiva delle imposte sui redditi calcolate in via provvisoria nei confronti del soggetto sottoposto alla misura cautelare. 3-bis. Gli immobili sono esenti da imposte, tasse e tributi durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca e comunque fino alla loro assegnazione o destinazione. Se la confisca è revocata, l’amministratore giudiziario ne dà comunicazione all’Agenzia delle entrate e agli altri enti competenti che provvedono alla liquidazione delle imposte, tasse e tributi, dovuti per il periodo di durata dell’amministrazione giudiziaria, in capo al soggetto cui i beni sono stati restituiti. (comma aggiunto dall'art. 1, comma 189, lettera d), legge n. 228 del 2012) 3-ter. Qualora sussista un interesse di natura generale, l’Agenzia può richiedere, senza oneri, i provvedimenti di sanatoria, consentiti dalle vigenti disposizioni di legge delle opere realizzate sui beni immobili che siano stati oggetto di confisca definitiva. (comma aggiunto dall'art. 1, comma 189, lettera d), legge n. 228 del 2012)

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4.4.3 Il comportamento suggerito

Alla luce delle norme sopra richiamate, è possibile riassumere gli adempimenti che si pongono a carico dell’amministratore dei beni sequestrati: 1) entro 6 mesi dalla data di assunzione delle funzioni:

1.a) le dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta nel quale si è aperto il

sequestro o la confisca, se anteriore a quello nel quale l’amministratore ha assunto le funzioni, e agli altri periodi d'imposta già decorsi anteriormente a quest'ultimo;

1.b) la dichiarazione di sostituto d'imposta relativa ai pagamenti effettuati nei periodi

d'imposta considerati nelle lettere a) e b) del comma 1; 1.c) comunicare mediante raccomandata all'Agenzia delle Entrate, l'assunzione e la

cessazione delle funzioni; la comunicazione di cessazione deve contenere l'indicazione dei dati identificativi del soggetto che ha ottenuto, alla fine del procedimento, la proprietà definitiva dei beni oggetto di sequestro/confisca e delle quote acquisite di ciascun bene;

2) entro i termini ordinari della trasmissione delle dichiarazioni:

2.a) le dichiarazioni dei redditi di cui all'articolo 187 del testo unico delle imposte sui

redditi, da presentare nei termini ordinari;

Se la durata del sequestro si protrae oltre il periodo d’imposta nel corso del quale si è aperto, il reddito dei cespiti è determinato in via provvisoria secondo: - le disposizioni del reddito delle persone fisiche, se il soggetto che ha subito il

sequestro è persona fisica, o non è noto, - le disposizioni del reddito degli enti non commerciali, se il soggetto che ha subito il

sequestro non è persona fisica.

A seguito della definizione del procedimento di sequestro il reddito prodotto dai cespiti sequestrati concorre a formare il reddito complessivo del destinatario finale del procedimento per ciascun periodo di imposta, compreso quello in cui si è aperta la procedura, e si procede alla liquidazione definitiva delle relative imposte.

3) adempimenti contabili, nel caso di sequestro di azienda

3.a) adempiere per i periodi d'imposta indicati nell’intero periodo del sequestro, se nel

patrimonio sequestrato sono comprese aziende commerciali o agricole, gli obblighi

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contabili e quelli a carico dei sostituti d'imposta stabiliti nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;

4) individuazione del reddito da assoggettare a tassazione (art. 187 TUIR)

4.1.) ipotesi di sequestro con durata oltre il periodo di imposta nel corso del quale è iniziato il sequestro à il reddito dei cespiti sequestrati è determinato in via provvisoria: - secondo le disposizioni del titolo I, sezione I (16), se si soggetto che subisce il

sequestro è persona fisica, o non è noto, - secondo quelle del titolo II, capo III (17), se il chiamato è un soggetto diverso.

4.2.) alla conclusione del procedimento e dell’eventuale successiva confisca il reddito di tali cespiti concorre a formare il reddito complessivo del soggetto che beneficerà dei beni sequestrati in via definitiva per ciascun periodo di imposta, compreso quello in cui si è aperto il sequestro, e si procede alla liquidazione definitiva delle relative imposte. I redditi di cui all'articolo 7, comma 3 (18), se il soggetto che subisce il sequestro è persona fisica o non è noto, sono in via provvisoria tassati separatamente con l'aliquota stabilita dall'articolo 12 per il primo scaglione di reddito, salvo conguaglio dopo l'accettazione dell’eredità.

(16) Il Titolo I, sezione I si riferisce al reddito della persona fisica, nella sua complessità; (17) Il Titolo II, capo III si riferisce ai redditi degli enti non commerciali. (18) Articolo 7 - Periodo d'imposta. In vigore dal 1 gennaio 1988 3. In caso di morte dell'avente diritto i redditi che secondo le disposizioni relative alla categoria di appartenenza sono imputabili al periodo d'imposta in cui sono percepiti, determinati a norma delle disposizioni stesse, sono tassati separatamente a norma degli artt. 19 e 21, salvo il disposto del comma 3 dell'art. 17, anche se non rientrano tra i redditi indicati nello stesso art. 17, nei confronti degli eredi e dei legatari che li hanno percepiti.

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5 Gli aspetti fiscali nel concordato fallimentare 5.1 La questione dell’imposta di registro nelle diverse tipologie di concordato

fallimentare Con circolare n. 27/E del 21.6.2012, l’Agenzia delle Entrate ha rivisto la posizione adottata con un precedente documento di prassi (risoluzione n. 28/2008), nel quale si era affermato che il concordato preventivo è una procedura concorsuale dalla natura complessa, al termine della quale viene emanato un decreto di omologa avente effetto costitutivo, non potendo l’omologazione estrinsecarsi in un mero momento di controllo. Il decreto di omologa, precisava la risoluzione n. 28/2008, dà luogo a una nuova situazione oggettiva di natura patrimoniale, che comporta l’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale del 3% (articolo 8 della Tariffa, parte prima, allegata al Tur). Con questa nuova risoluzione il decreto di omologa del concordato preventivo emesso da un Tribunale fallimentare deve essere assoggettato a imposta di registro in misura fissa. La giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr sentenze 10352/2007 e 19141/2010) è pervenuta a differenti conclusioni. In relazione all’ipotesi relativa a una sentenza di omologa del concordato preventivo con garanzia, ha precisato che “… mentre, infatti, l’originaria formulazione della seconda parte della lettera c) che ricomprendeva gli atti “portanti condanna al pagamento di somme, valori ed altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” trova ora il suo omologo nella lettera b) relativa agli atti “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ed altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” è invece scomparsa qualsiasi previsione di carattere residuale (…) rinvenibile nella previsione relativa agli atti “aventi per oggetto beni e diritti diversi da quelli indicati alle lettere a) e b)” in cui (…) la giurisprudenza aveva ricompreso la sentenza di omologa del concordato con garanzia”. Pertanto, “esclusa (…) la possibilità di inquadramento in una delle ipotesi da a) ad f) non resta che rivalutare il criterio nominalistico e quindi ritenere che la sentenza di omologazione del concordato preventivo rientri nella dizione di cui alla l e t t era g) che per l’appunto, comprende genericamente gli at t i “di omologazione”, così come la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto quanto al concordato preventivo con cessione dei beni”. La Corte ha dunque valorizzato un’interpretazione di carattere nominalistico dell’articolo 8 della Tariffa, allegata al Tur, affermando la riconducibilità del decreto di omologa del concordato preventivo con garanzia alla previsione recata dalla lettera g) dell’articolo 8, che dispone l’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 168 euro per gli atti di omologazione. Inoltre, precisa la risoluzione, il decreto di omologa del concordato preventivo con cessione di beni non produce effetti traslativi. Detta circostanza avvalora il riconoscimento della tassazione in misura fissa del decreto di omologa del concordato preventivo con cessione di beni. Difatti, la mancanza dell’effetto traslativo, che sarebbe giustificativo dell’imposizione proporzionale, conduce alla conclusione, coerente con l’orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr Cassazione 2957/1998 e 10352/2007), dell’assoggettamento sia dei decreti di omologazione dei concordati con garanzia, sia di quelli aventi a oggetto i concordati con cessione dei beni, a imposta di registro in misura fissa, posto che gli stessi sono

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annoverabili tra gli atti di cui alla lettera g) dell’articolo 8 della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, relativa agli “att i di omologazione”. L’effetto traslativo non ha luogo in quanto, dopo l’omologazione e durante la fase di liquidazione, fino al momento dell’alienazione (unitaria o frazionata), i beni del debitore concordatario rimangono di sua proprietà, benché assoggettati a un vincolo di destinazione al quale non possono essere sottratti. Da ultimo, la risoluzione, non estende le conclusioni tratte con riferimento al concordato preventivo con cessione di beni e con garanzia, al concordato con cessione di beni al terzo assuntore. In detta ipotesi, infatti, l’atto giudiziario di omologa assume natura traslativa. Si ritiene pertanto che il decreto di omologa di un concordato con cessione di beni all’assuntore, quale atto traslativo della proprietà dei beni, deve essere ricondotto all’ambito applicativo della disposizione recata dall’articolo 8, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, che prevede l’applicazione dell’imposta di registro con le stesse aliquote previste per i corrispondenti atti, per i provvedimenti giudiziari “recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti”. 5.1.1 Le tipologie di concordato Tanto premesso può essere delineato il quadro interpretativo di seguito sintetizzato:

A - Concordato fallimentare con cessione dei beni e con garanzia. ----- > imposta in misura fissa

(D.P.R. 26/4/1986 n. 31 - Tariffa - Parte prima - art. 8 - lett. g): Motivazione: L’effetto traslativo non ha luogo in quanto, l’alienazione dei beni avviene dopo l’omologazione e durante la fase di liquidazione.

B - Concordato fallimentare con intervento di terzo assuntore. ----> imposta proporzionale

(D.P.R. 26/4/1986 n. 131 - Tariffa - Parte prima - art. 8 - lett. a): Motivazione: con tale tipologia di concordato si realizza l’effetto traslativo del patrimonio a favore dell’assuntore. Tale atto sconta l'imposta proporzionale con l'aliquota propria del tipo di effetto prodotto.

D - Crediti chirografari già assoggettati ad IVA imposta in misura fissa

(Circolare n. 35/221085 del 5/07/1991) Vale il principio dell’alternatività tra IVA e Registro.

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5.1.2 Il regime fiscale del trasferimento dei beni all'assuntore. Il trasferimento dei beni al terzo assuntore, se comporta la cessione dell'intero complesso aziendale o di porzione dello stesso (ramo d'azienda) è soggetto all'imposta proporzionale di registro (TU. n. 131/1986). Secondo giurisprudenza consolidata il trasferimento dei beni dopo il passaggio in giudicato del decreto di omologa del concordato, non si inquadra tra le ipotesi di trasferimento coattivo previsto dall'art. 44 del T.U. n. 131/1986 e per le quali la base imponibile è costituita con definitività dal prezzo di aggiudicazione. L'orientamento trova motivazione nella circostanza che agli Organi fallimentari residuano soltanto le funzioni di vigilanza e di controllo e non di diretta gestione delle attività economiche. In tali casi pertanto non sarebbe preclusa all'Agenzia delle Entrate la facoltà di rettificare in aumento il valore del dichiarato. Anche nell’ipotesi di trasferimento di beni in regime d'IVA, il rapporto temporalmente ricadente in fase post-fallimentare, rimane circoscritto al rapporto: ex-fallito/assuntore con la sostanziale estraneità del curatore cui residuano soltanto funzioni di vigilanza del corretto adempimento del concordato.

5.2 Non è previsto il ricorso alla transazione fiscale L’applicabilità della transazione fiscale, disciplinata dall'art. 182 ter della L.F, resta circoscritta all'interno delle procedure concorsuali e subordinata esclusivamente alla presentazione del concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Ne restano esclusi, pur essendo coinvolti in una procedura concorsuale, coloro i quali volessero eventualmente proporre un concordato fallimentare 5.3 Gli adempimenti fiscali del curatore fallimentare 5.3.1 Premessa Concluso l'iter previsto dagli articoli da 125 a 130 L.F. e quando il decreto di omologazione diviene definitivo,

- il curatore rende il conto della gestione e - il Tribunale dichiara chiuso il fallimento.

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La portata dell'art. 130 L.F. (19) consiste nell'affermare che: - la chiusura del fallimento non consegue più per stretto automatismo di legge (Vedi art. 131, ult. comma, L.F. ante riforma) al passaggio in giudicato del provvedimento (sentenza) di omologa, bensì viene dichiarata con decreto del Tribunale quando il decreto di omologazione diventa definitivo e viene definito altresì, ex art. 116 L.F., il rendiconto del curatore. Una volta chiusa la procedura fallimentare, rimane un’ulteriore fase operativa relativa alla completa realizzazione degli impegni assunti con il concordato. Gli organi della procedura fallimentare mutano la loro funzione, restando in carica con il limitato fine di vigilare sull'esatta e puntuale esecuzione del concordato (art. 136 L.F.) da parte del fallito tornato "in bonis" o di terzi soggetti (garante, assuntore, liquidatore).

Il Curatore quindi dopo che la sentenza di omologa è passata in giudicato:

• deposita il rendiconto ai sensi dell’art.116 L.F. • dopo l’approvazione chiede la liquidazione del suo compenso. • chiede al Tribunale la chiusura del fallimento (art. 130 L.F. ultimo comma) • procede alla ripartizione delle somme secondo le modalità stabilite nel decreto di

omologa sotto la sorveglianza del Giudice Delegato, del Curatore e del Comitato Dei Creditori.

ESECUZIONE DEL CONCORDATO

Accertata la completa esecuzione del concordato, il Giudice in calce all’istanza di chiusura, emette decreto di esecutorietà ex art. 136 L.F. dichiarando completamente eseguito il concordato e ordinando lo svincolo delle cauzioni e la cancellazione delle ipoteche iscritte a garanzia.

Emesso il provvedimento, la Cancelleria provvederà alla pubblicazione del decreto ai sensi dell’art. 17 L.F., (pubblicazione anche telematica al Registro delle Imprese).

Fatti i dovuti e necessari richiami ai profili strutturali dell'istituto concordatario, si passa a considerare le particolarità che, sotto il profilo fiscale, comporta il concordato rispetto alla ordinaria procedura liquidatoria che si conclude secondo le fattispecie previste dall'art. 118 L.F.

(19) Art. 130 L.F.

I. La proposta di concordato diventa efficace dal momento in cui scadono i termini per opporsi all’omologazione, o dal momento in cui si esauriscono le impugnazioni previste dall’articolo 129. II. Quando il decreto di omologazione diventa definitivo, il curatore rende conto della gestione ai sensi dell’articolo 116 ed il tribunale dichiara chiuso il fallimento.

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Il curatore dovrà procedere a dichiarare il risultato, ai sensi dell'art. 183 T.U.I.R., per il periodo compreso tra la dichiarazione di fallimento ed il passaggio in giudicato della sentenza di omologa. Il termine di presentazione della dichiarazione è di nove mesi successivi a quello di chiusura del fallimento, ai sensi dell'art. 5 D.P.R. 322/98. E’ opportuno che il curatore si assicuri la provvista per pagamento delle imposte sul residuo attivo posto che l’eventuale pagamento non può avvenire prima del ritorno in bonis del debitore. (ovvero prima di conoscere l’esito della procedura do concordato instaurata) Con la chiusura del fallimento, il debitore deve riprendere la normale gestione contabile, con la redazione del bilancio e delle dichiarazioni fiscali alle normali scadenze. Nel caso in cui il curatore ha tenuto la contabilità nel corso della procedura di fallimento, l'imprenditore proseguirà senza alcuna chiusura e riapertura nelle registrazioni contabili giornaliere. Qualora invece il curatore non ha adempiuto alla tenuta della contabilità, l'imprenditore dovrà ricostruire le movimentazioni avutesi in procedura, avvalendosi del giornale del fallimento e con data contabile corrispondente al passaggio in giudicato della sentenza di omologa e predisporre una situazione contabile di apertura. 5.3.2 Le dichiarazioni fiscali

Nei termini previsti decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza di omologa, il Curatore dovrà presentare la dichiarazione dei redditi per il periodo fallimentare prevista dall’art. 5 comma IV° D.P.R. 322/1998. Il Curatore dovrà altresì presentare la dichiarazione IRAP relativa all’intero periodo fallimentare solamente nell’ipotesi in cui vi sia stato esercizio provvisorio dell’impresa. Art. 5 DPR 322/1998 4. Nei casi di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, le dichiarazioni di cui al comma 1 sono presentate, anche se si tratta di imprese individuali, dal curatore o dal commissario liquidatore, in via telematica, avvalendosi del servizio telematico Entratel, direttamente o tramite i soggetti incaricati di cui all'articolo 3, comma 3, en tro l 'u l t imo g iorno de l nono mese suc c e s s ivo a que l lo , rispettivamente, della nomina del curatore e del commissario liquidatore, e della chiusura del fallimento e de l la l iqu idazione ; le dichiarazioni di cui al comma 3 sono presentate, con le medesime modalità, esclusivamente ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive e soltanto se vi è stato esercizio provvisorio. Il reddito d'impresa, di cui al comma 1 dell'articolo 183 del testo unico delle imposte sui

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redditi e quello di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, risultano dalle dichiarazioni iniziale e finale che devono essere presentate dal curatore o dal commissario liquidatore. I l cura tore o i l commissar io l iqu idatore , pr ima d i pres en tare la d i ch iarazione f ina l e , deve provveder e a l v er samento , s e la so c i e tà fa l l i ta o l iqu idata v i è sogge t ta , de l l ' impos ta su l r edd i to de l l e so c i e tà . In caso di fallimento o di liquidazione coatta, di imprese individuali o di società in nome collettivo o in accomandita semplice, il curatore o il commissario liquidatore, contemporaneamente alla presentazione delle dichiarazioni iniziale e finale di cui al secondo periodo, deve consegnarne o spedirne copia per raccomandata all'imprenditore e a ciascuno dei familiari partecipanti all'impresa, ovvero a ciascuno dei soci, ai fini dell'inclusione del reddito o della perdita che ne risulta nelle rispettive dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta in cui ha avuto inizio e in quello in cui si e' chiuso il procedimento concorsuale. Per ciascuno degli immobili di cui all'articolo 183, comma 4, secondo periodo, del testo unico il curatore o il commissario liquidatore, nel termine di un mese dalla vendita, deve presentare all'Ufficio dell'Agenzia delle entrate apposita dichiarazione ai fini dell'imposta locale sui redditi, previo versamento nei modi ordinari del relativo importo, determinato a norma dell'articolo 25 del testo unico. La disciplina prevista dall'art. 183 del TUIR, pensata per l'ipotesi di liquidazione di tutti i beni, operata dal curatore, e di dissolvimento dell'impresa, non perfettamente si adatta a realtà diverse e multiformi quali possono essere quelle proprie del concordato fallimentare:

• trasferimento dei beni all'assuntore; • trasferimento dei beni ai creditori; • liquidazione a cura del debitore; • ripresa dell'attività economica.

Sull'applicabilità delle norme di cui all'art. 183 del TUIR non possono però sussistere dubbi, se si considera che il concordato interviene a procedura in corso, cioè quando la stessa è già stata assoggettata al particolare regime fiscale previsto dalla norma suddetta. Pur tuttavia la liquidazione dei beni nella fase di esecuzione del concordato è fenomeno temporalmente estraneo al "periodo fallimentare", altrimenti detto maxiperiodo, di cui al comma 2°, dell'art. 183 del TUIR. Appare pertanto fuori dubbio che il dies a quo dal quale decorre il termine per la presentazione/trasmissione della dichiarazione di cui all'art. 5, comma 4° del D.P.R. n. 322/1998 coincide con il passaggio in giudicato dell’omologa. Non rileva ai fini della dichiarazione del curatore ex art. 183 - c. 2° L.F. il risultato della fase di liquidazione dei beni e dei conseguenti adempimenti, che avviene successivamente, in sede di esecuzione del concordato e sino alla chiusura del fallimento. Si ha conoscenza del contrario parere dell'Amministrazione finanziaria espresso in epoche ormai lontane e in base al quale si vorrebbe protrarre l'adempimento fiscale del curatore al momento della compiuta esecuzione del concordato. Probabilmente chi sostiene l’accennata tesi non tiene conto che il curatore è talmente estraneo a suddetto coinvolgimento nella fase post-omologa del

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concordato che ai sensi dell'art. 130 L.F. ha l'obbligo di rendere il conto della propria gestione non appena il decreto di omologazione diventa definitivo. Inoltre, il procrastinamento della durata del periodo d'imposta fallimentare ben oltre la chiusura del fallimento e fino a comprendervi le operazioni della fase esecutiva, presupporrebbe che il curatore, verificandosi l'ipotesi del reddito d'impresa secondo la previsione dell'art. 183, comma 2°, TUIR e della debenza del tributo IRES, disponesse delle somme con le quali effettuare il relativo pagamento. Condizione impossibile in quanto il curatore ha già reso il conto della propria gestione. L'esito della procedura fallimentare tende alla neutralità fiscale, poiché indipendente dai risultati della successiva fase di esecuzione. In linea con l'espresso pensiero autorevole dottrina e giurisprudenza. 5.3.3 Adempimenti impositivi rapportati ai modelli di concordato percorribili A - Intervento dell'assuntore che rileva l'attivo e si impegna al pagamento

dei debiti che risultano dallo stato passivo. L'esito della procedura è sempre fiscalmente neutrale poiché, indipendente dai risultati della successiva fase liquidatoria posta in essere dall'assuntore, venendo cedute al terzo tutte le attività dell'impresa fallita, nessun residuo attivo (art. 183, comma 2° TUIR) potrà mai risultare a favore del fallito e nessun risultato reddituale positivo emergerà per la procedura fallimentare. B - Concordato tramite cessione dei beni ai creditori Le attività fallimentari vengono poste a disposizione dei creditori che provvedono alla liquidazione, tramite un liquidatore. La fattispecie è espressamente prevista nella nuova formulazione dell'art. 124 L.F., al comma 2°, lett. c). Anche in detta ipotesi la procedura, ai fini dell'imposizione diretta è fiscalmente neutrale, poiché non vi si configurano attività fallimentari residue da restituire al fallito. C - Concordato con l'intervento di un terzo garante - (fidejussore) delle obbligazioni del fallito In tale ipotesi le passività vengono sanate direttamente dal debitore. Le attività si restituiscono al debitore in conseguenza del passaggio in giudicato del decreto che omologa il concordato.

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Assieme alle attività, però, vengono "restituite" al fallito anche le passività da assolvere nella percentuale promessa con la liquidazione dei beni e probabilmente con l'impiego di ulteriori mezzi. Il residuo attivo (art. 183, c. 2° TUIR), o passivo, che interesserà la dichiarazione del curatore sarà dato dalla differenza tra:

• attivo a valori fiscalmente riconosciuti; • passivo fallimentare, non decurtato dalla percentuale di bonus da

concordato perché questo, come previsto dall'art. 88, comma 4°, ultima parte TUIR, risulta fiscalmente irrilevante.

A sua volta detto risultato residuale andrà confrontato, ai sensi del comma 2° dell'art. 183 TUIR con il patrimonio netto dell'impresa alla data della dichiarazione di fallimento (art. 183, c. 1° TUIR). Si ritiene che il conseguimento di un avanzo al termine dell'esecuzione del concordato sia evento eccezionale e, sinora, per esperienza, di marginale significato. In ogni caso detto risultato atterrà alla dichiarazione dei redditi dell'ex fallito. Con l'omologa del concordato, il decreto di chiusura e il ritorno in bonis del fallito, si può avere la ripresa dell'esercizio d'impresa. Sotto il profilo dell'imposizione diretta si ritorna al regime ordinario di determinazione del reddito nel quale le attività non liquidate conservano i valori contabili-fiscali. Il concordato nel contempo, ha prodotto la riduzione dei debiti fino alla percentuale promessa e garantita. A noma del comma 4° dell'art. 88 del TUIR, sopra richiamato, la sopravvenienza determinatasi per l'insussistenza delle passività, provocata dal buon esito della proposta concordataria, non ha rilevanza ai fini impositivi. 5.3.4 Adempimenti IVA Anche se la normativa IVA (art. 74-bis D.P.R. 633/72 – art. 8 D.P.R. 322/98) non lo prevede espressamente, nella prassi spetta al curatore presentare: - La denuncia di variazione dati all’IVA entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle operazioni IVA ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza di omologa.

Nella prassi molti curatori presentano denuncia di cessazione di attività all’IVA in quanto il fallito non può (o non ha intenzione di) continuare l’attività dopo la chiusura della procedura fallimentare.

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- La dichiarazione annuale IVA. Occorre ancora premettere che ai sensi del più volte richiamato art. 130, comma 2°, L.E, "quando il decreto di omologazione diventa definitivo, il curatore rende conto della gestione, ai "sensi dell'art. 116 L.F. ed il Tribunale dichiara chiuso il fallimento". Con la chiusura del fallimento non è più ipotizzabile alcuna forma di "ultrattività" degli organi preposti, se non prevista specificamente da una norma di legge (l'esempio è proprio quello del concordato fallimentare, in cui gli Organi della procedura fallimentare restano in carica con funzioni di sorveglianza degli adempimenti secondo le modalità previste nel decreto di omologazione). La chiusura del fallimento non determina, di per sé, la cessazione del soggetto fallito; ne determina, anzi, il ritorno in bonis. Non risulta alcuna norma specifica che imponga al cessato curatore l'obbligo di presentare, a fallimento chiuso, la denuncia di cessazione prescritta dall'art. 35 del D.P.R. n. 633/1972 e neppure una norma che imponga al curatore di presentare la dichiarazione annuale riferita all'anno in cui si è chiuso il fallimento. E' però prassi diffusa, sostenuta da autorevole dottrina, di assolvere gli adempimenti sopra richiamati. La prassi delineata risulta convincente alla luce di una logica di buon senso e opportunità. Non va poi trascurato che il riformato art. 118 L.F. prevede che il curatore provveda, per i casi di cui ai nn. 3) e 4) della medesima norma, dopo la chiusura del fallimento di una società, alla cancellazione dal Registro delle Imprese della società medesima. Soltanto negli eccezionali casi di ripresa dell'attività da parte dell'ex-fallito, la dichiarazione relativa all'anno in cui si chiude il fallimento risulterà riassuntiva di due distinti periodi (fallimentare e post-fallimentare) che vanno a comporre l'anno solare (periodo d'imposta IVA) e sarà predisposta dal contribuente tornato in bonis. La fattispecie descritta va circoscritta all’ipotesi di concordato fallimentare per garanzia e comunque di prosecuzione dell'attività da parte dell'ex-fallito. La fattispecie ha trovato anche soluzione procedimentale da parte dell'Amministrazione finanziaria con Circolare ministeriale n 68/E del 24.03.1999, ove si prevede un'unica dichiarazione composta da un frontespizio e da due moduli per le due distinte frazioni d'anno. Non muta peraltro lo schema temporale per la dichiarazione annuale quale che risulti l'effettivo periodo di attività rilevante ai fini dell'imposizione IVA. A norma dell'art. 8 del DPR 322/1998: "... il contribuente presenta ... tra il primo febbraio e il 30 settembre in via telematica la dichiarazione relativa all'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno solare precedente". Ne discende pertanto che fuori dai casi delineati di prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dell'ex-fallito, il curatore per la presentazione dell'ultima

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dichiarazione IVA di cui ormai per consolidata prassi gli è fatto carico, dovrà attendere almeno il 1° febbraio dell'anno successivo a quello in cui è cessata l'attività per inoltrare la dichiarazione IVA.

5.4 Ulteriore problematica afferente l'IVA: le note di variazione ex art. 26, co. 2,

D.P.R. n. 633/1972, conseguenti al parziale pagamento delle fatture emesse

dal fornitore di beni e servizi. Nel sistema dell'IVA il soggetto che ha emesso la fattura nei confronti del "cliente" per i beni ceduti o i servizi prestati, si rende debitore verso l'Erario dell'imposta indicata in fattura, indipendentemente dal fatto che il cliente-debitore effettui o meno il pagamento di quanto dovuto, ivi compreso l'importo dell'imposta di cui è stata esercitata la rivalsa in fattura. A mente dell'art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, se un’operazione per la quale è stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, il cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola, ex art. 25 del medesimo D.P.R. 633/172, nel registro degli acquisti. Il cessionario o committente, per contro, deve registrare la variazione conformemente alle fatture di vendita (art. 23 - D.P.R. n. 633/1972). A parere dell'Amministrazione finanziaria (Circ. Ministeriale 17/4/2000 n. 77/E) in ipotesi di concordato fallimentare l'infruttuosità parziale della procedura è verificata al passaggio in giudicato della sentenza (ora decreto) di omologazione del concordato. I creditori possono, a questo punto, esercitare la facoltà di emettere le note di variazione relativamente alla parte del loro credito che, è certo, non sarà soddisfatto nella successiva fase esecutiva. Il fatto comporterebbe, in capo al debitore ormai in bonis, la registrazione delle predette note di variazione ed il conseguente debito d'imposta nei confronti dell'Erario. Secondo dottrina la circostanza può ricondurre il debitore concordatario alla fase critica e comunque stravolgere il delicato equilibrio della esecuzione del concordato. E' da ritenersi appropriato il parere espresso al proposito dall’Agenzia delle Entrate in risposta ad una istanza di interpello nella fattispecie del concordato preventivo, parere estendibile alla fattispecie del concordato fallimentare. L'Agenzia sottolinea che, in seguito all'adempimento del concordato, si ha la riduzione dei crediti, con effetti liberatori per la parte che subisce la falcidia. Nel sistema dell'art. 26, comma 2°, D.P.R. n. 633/1972 il cedente o prestatore del servizio può portare in detrazione l'IVA nella misura esposta nella nota di variazione,

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mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l'imposta all'Erario. Questa è la previsione di carattere generale. Tuttavia la norma in questione deve essere applicata tenendo conto della disciplina e degli effetti tipici del concordato (preventivo o fallimentare). Con gli effetti estintivi del concordato si ha la riduzione del credito di rivalsa IVA. Conseguentemente, dato che la nota di variazione è attinente all'IVA non riscossa dal creditore, per un debito sorto prima dell'avvio della procedura concorsuale, la registrazione della predetta nota non comporta, per il debitore concordatario, l'obbligo di rispondere verso l'Erario di un debito sul quale si sono già prodotti gli effetti estintivi del concordato. Diversamente, assume la Risoluzione, si avrebbe una deroga all'efficacia liberatoria della procedura, da ritenersi ingiustificata in relazione alle norme che dispongono l'estinzione di ogni debito sorto anteriormente al sorgere della procedura medesima. Riassumendo l'Agenzia afferma i seguenti concetti:

1) l'obbligatorietà della registrazione delle note di variazione nei registri IVA da parte del soggetto destinatario delle note di variazione predette (il soggetto sottoposto a concordato);

2) la non obbligatorietà del versamento IVA risultante a debito; 3) l'invalicabilità dei principi delle norme concorsuali e la salvaguardia degli

effetti che le stesse norme perseguono.

5.5 Mod. 770 relativo alle ritenute effettuate dalla procedura e dal concordato Entro i termini ordinari andrà presentato il mod. 770 relativo alle ritenute effettuate. Di fatto, però, può accadere che sia effettuato il riparto ai dipendenti ed ai professionisti della procedura dopo il passaggio in giudicato del decreto di omologa e quindi nella fase di esecuzione del concordato. Di conseguenza, a seguito dei riparti effettuati, con le relative ritenute, puo’ accadere che sia disposta la chiusura della procedura prima della presentazione della relativa dichiarazione fiscale delle ritenute di acconto effettuate. La conseguenza di ciò è che diventa quindi incerto a chi spetti tale adempimento fiscale. Si è già detto che l’attività, e la relativa responsabilità del curatore, si ferma alla data del passaggio in giudicato del decreto di omologa del concordato, ed alla conseguente approvazione del Conto della Gestione. E’ evidente, quindi che lo stesso dovrebbe poter fare, o almeno verificare, la presentazione del mod. 770 relativo alle ritenute effettuate sino a tale data. Resterebbe invece a carico dell’assuntore o del fallito tornato in bonis l’onere di presentare il mod. 770 relativo alle ritenute effettuate dopo il passaggio in giudicato del decreto di omologa ovvero le ritenute relative

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à al compenso del curatore: à al piano di riparto da eseguire.

5.6 Adempimenti relativi ai trasferimenti immobiliari

Occorre fare un distinguo: a) Trasferimento immobiliare avvenuto prima del passaggio in giudicato della sentenza di

omologa: In questo caso il Curatore corrisponde le imposte di Registro/Ipotecarie-Catastali con le usuali modalità. Le somme necessarie sono prelevate da quelle a disposizione per le spese della procedura.

b) Trasferimento immobiliare avvenuto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologa:

Con il passaggio in giudicato della sentenza di omologa, il curatore assolve la funzione di semplice controllo sull’esecuzione del concordato, per cui gli adempimenti a cui è tenuto fanno capo al fallito tornato in bonis cui farà carico il versamento dell’imposta.

5.7 L’I.C.I e l’I.M.U.

L’art. 10 VI° comma D.Lgs. 504/92, sancisce che il versamento dell’ICI maturata nel periodo fallimentare:

- “deve essere effettuato entro il termine di 90 giorni dalla data del decreto di trasferimento;

- entro lo stesso termine deve essere presentata la dichiarazione.” Pertanto per il periodo compreso tra la data di apertura del fallimento e fino al 31.12.2011 dovrà essere versata l’ICI. Per il periodo successivo deve essere invece applicato il D. L.vo 14/3/2011 n. 23, che agli artt. 8 e 9, ha introdotto e disciplinato l'Imposta Municipale Propria (IMU), fissandone l'entrata in vigore al 2014; entrata in vigore che l'art. 13 del D.L. 6/12/2011 n. 201 ha anticipato al 1/1/2012. Mancando un vero e proprio decreto di trasferimento, si potrebbe ritenere che al pagamento dell’imposta ed alla presentazione della dichiarazione siano tenuti rispettivamente l’assuntore ovvero il fallito tornato in bonis entro tre mesi dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di omologa del concordato.

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6 Le novità fiscali in tema di intassabilità delle sopravvenienze attive e di deducibilità delle perdite su crediti

6.1 Scopo della modifica normativa

Lo scopo dell’inserimento della normativa in esame è rivolto a: − migliorare l’accesso e l’utilizzo alle procedure alternative rispetto al fallimento o al

concordato preventivo anche attraverso un sistema fiscale che consenta di distribuire ai creditori somma maggiori;

− in certi casi addirittura semplicemente rendere possibile l’accesso a procedure alternative diversamente non praticabili per l’effetto fiscale;

− di conseguenza, consentire una più ampia redistribuzione di liquidità ai creditori. − dare maggiore certezza alla disciplina della deducibilità delle perdite su crediti; − consentire quindi una più agevole cedibilità dei crediti a terzi anche nell’ambito delle

procedure;

6.2 Modifiche fiscali introdotte dalla conversione in legge del D.L. 83/2012 I commi 5 e 6 del’art. 33 del citato D.L. hanno riscritto gli articoli 88 e 101 del DPR 917/1986 In particolare sono state riesaminate due fattispecie particolari: a) Le sopravvenienze attive da riduzione di debiti di impresa (art. 88 TUIR).

b) Le perdite su crediti (art. 101 TUIR).

Non è stato invece modificato l’art. 86 TUIR relativo alle plusvalenze. Art. 86 TUIR “5. La ce s s ione de i ben i a i c r ed i tor i in s ede d i concordato prevent ivo non cos t i tu i s c e r ea l izzo de l l e p lusva lenze e minusva lenze de i ben i , comprese que l l e r e la t iv e a l l e r imanenze e i l va lore d i avv iamento .”

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6.2.1 Le sopravvenienze attive da riduzione di debiti di impresa

Comma 1: definizione di sopravvenienze attive: “Si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.” Vi sono quindi tre fattispecie particolari di sopravvenienze attive: a) i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di

passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi;

b) i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi;

c) la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

Secondo la nuova formulazione dell’art. 88, c. 4 del TUIR non concorrono alla formazione del reddito, in quanto non considerate sopravvenienze attive:

a) i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale ricevuti

dalle società di capitali, cooperative, di mutua assicurazione e dagli enti commerciali residenti nel territorio dello stato (articolo 73, comma 1, lettere a) e b) (20);

b) la rinuncia dei soci (detentori di strumenti finanziari e azioni) ai crediti vantati nei confronti di una società di cui al punto precedente. Si deve considerare il caso del c.d. incasso giuridico dei crediti vantati dai soci motivi diversi dal finanziamento ovvero per prestazioni soggette al principio di cassa. (21) Al riguardo la C.M. 73/E del 1994

(20) Soggetti indicati dal comma 1 dell’art. 73 come assoggettati all’imposta sul reddito delle società.

a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché' le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;

b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché' i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;

d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. (21) C.M. 27.5.1994, n. 73/E, par. 3.20

3.20. Rinuncia ai crediti da parte dei soci D. L'articolo ...?, comma 1, lettere g) e m), del decreto legge n. 557 del 1993, convertito dalla legge n. 133 del 1994 ha modificato l'articolo 55, comma 4, e l'articolo 61, comma 5, del TUIR, nel senso che ha esteso la disciplina precedentemente prevista per la rinuncia ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti alla rinuncia ai crediti di qualsiasi natura. Tale modifica riguarda anche i crediti che derivano ai soci da prestazioni di servizi, i cui redditi, in ipotesi, sono tassati per cassa? R. Per effetto delle norme indicate nel quesito, la disciplina prevista dall'articolo 61, comma 5, e dall'articolo 55, comma 4, del TUIR, per la rinuncia dei soci ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti e` stata estesa ai crediti di qualsiasi natura, considerato che, come

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precisa che il presupposto per la rinuncia a tale credito è dato dalla presunzione di avvenuto incasso del medesimo che andrebbe dunque assoggettato a tassazione in capo al socio ed a relativa ritenuta di acconto.

NB: La rinuncia ai crediti ed i finanziamenti a fondo perduto o in conto capitale nella sostanza configurano apporti integrativi del patrimonio sociale e, di conseguenza, devono essere portati in aumento del costo della partecipazione. (art. 101, co.7)

c) i versamenti in denaro o in natura effettuati a fondo perduto o in conto capitale alla

società dai soggetti detentori di strumenti finanziari similari alle azioni, ovvero quelli la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici, da parte della società emittente o di altre società appartenenti al gruppo, dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono emessi;

d) la riduzione dei debiti dell’impresa a seguito di concordato preventivo o fallimentare;

e) la riduzione dei debiti dell’impresa per effetto della partecipazione alla perdite da parte dell’associato in partecipazione;

f) La sostanziale novità normativa è, tuttavia, contenuta nella parte conclusiva dell’art. 88, co. 4, del Tuir, in cui è stabilito che in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), o piano attestato di risanamento pubblicato presso il registro delle imprese (art. 67, co. 3, lett. d), L.F.), “la r iduzione de i debi t i de l l ’ impresa non cost i tuisce sopravvenienza at t iva per la parte che ec cede l e perdi te , pregresse e di per iodo di cui a l l ’art i co lo 84” .

NB: Piano attestato ex art. 67: previsione della pubblicazione presso il registro delle imprese. Ciò attribuisce data certa al piano ed alla attestazione del professionista

In altri termini, non è consentito al debitore beneficiare: - sia della non imponibilità integrale di tale componente positivo - che dell’utilizzo delle perdite, pregresse e di periodo, riportabili. Il legislatore ha, pertanto, voluto evitare il conseguimento, da parte del debitore, di una perdita fiscale di periodo per effetto dell’integrale “detassazione” della sopravvenienza attiva derivante dall’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del piano attestato di risanamento pubblicato nel registro delle imprese.

e` stato chiarito nella relazione ministeriale "non si giustifica ... che solo nel caso in cui il credito, al quale il socio rinuncia, derivi da un precedente finanziamento, lo stesso possa essere patrimonializzato".

Pertanto, tutti i crediti ai quali il socio rinuncia vanno portati ad aumento del costo della partecipazione, ai sensi dell'articolo 61, comma 5, del TUIR, i quali, per la società non costituiscono sopravvenienze attive, così come dispone l'articolo 55, comma 4, del TUIR. Naturalmente la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci) presuppone l'avvenuto incasso giuridico del credito e quindi l'obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta di imposta.

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6.2.1 .1 Debi tor i e s c lus i da l l ’ar t . 84 de l TUIR Il piano attestato di risanamento e l’accordo di ristrutturazione dei debiti può essere formulato da imprese (individuali, s.n.c. e s.a.s.) diverse dai contribuenti Ires, le quali – nel caso di realizzo di sopravvenienze attive contabili – applicano l’art. 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986, ma non sono soggette alla disciplina delle eccedenze pregresse riportabili prevista dall’art. 84 del Tuir, salvo il caso di quelle prodotte in un momento in cui il debitore era costituito in forma di società di capitali e si è, poi, trasformato in s.n.c. o s.a.s. (rigo RF55, colonne 1 e 2, del Modello Unico – Società di Persone). In altri termini, la società di persone potrebbe non disporre di perdite di cui all’art. 84 del Tuir, con l’effetto che beneficerebbe dell’integrale esclusione da imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, ed i soci utilizzare le perdite riportabili dalla stessa attribuite loro in base al principio di trasparenza.

Soggetti  esclusi  dall'ambito  di  applicazione  dell'art.  84  -­‐  soggetti  in  contabilità  semplificata  (Persone  fisiche  e  società  di  persone)

compensabilità  con  tutti  i  redditi  del  soggetto

Perdite  fiscali  realizzate

escluso  il  riporto  delle  perdite

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Esempio 1

Esempio(n.(1(Disciplina(ante(D.L.(83/2012(

(Novellato(art.(88(c.(4,(TUIR(

(Concordato(preventivo(

Reddito'd’impresa'(ante'variazione'in'diminuzione'sopravvenienze'attive) 500.000,00'''''''' 500.000,00'''''''' 500.000,00''''''''

Sopravvenienze'attive'da'riduzione'dei'debiti 700.000,00'''''''' 700.000,00'''''''' 700.000,00''''''''

Perdita(“teorica”(di(periodo E((((((((((((((((((( 200.000,00E(((((((( 200.000,00E((((((((

Perdite'pregresse 400.000,00>'''''''' 400.000,00>'''''''' 400.000,00>''''''''

Sopravvenienze(attive(imponibili 700.000,00(((((((( 600.000,00(((((((( E(((((((((((((((((((

Variazione'in'diminuzione' >''''''''''''''''''' 100.000,00>'''''''' 700.000,00>''''''''

Reddito(d’impresa(o(perdita 500.000,00(((((((( 400.000,00(((((((( 200.000,00E((((((((

Scomputo'perdite'80'% 400.000,00'''''''' 320.000,00'''''''' >'''''''''''''''''''

perdite(residue(riportabili E((((((((((((((((((( 80.000,00E(((((((((( 600.000,00E((((((((

6.2.1 .2 Pro f i l i c r i t i c i e dubbi in t e rpre ta t iv i :

a) tecnica utilizzata dal legislatore per qualificare le sopravvenienze attive non eccedenti come i “provent i esent i” di cui al co. 1, terzo periodo, dell’art. 84 del Tuir. In altri termini, le perdite fiscali non sono sostanzialmente utilizzabili sino a concorrenza dell’importo delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti.

b) L’imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, nel limite delle

perdite fiscali utilizzabili, appare, peraltro, incoerente: -­‐ con la disciplina del concordato preventivo -­‐ con la ratio della modifica della disciplina delle perdite (art. 23, co. 9, del D.L. 6

luglio 2011, n. 98), fondata sulla necessità delle imprese di superare la crisi senza decadere dal diritto di utilizzazione delle perdite prodotte (relazione illustrativa al Decreto).

c) Si consideri, inoltre, che il limite delle perdite fiscali contenuto nel novellato art.

88, co. 4, del Tuir non riguarda soltanto le eccedenze pregresse, ma anche quella di periodo, la quale, a propria volta, è influenzata dal trattamento delle

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sopravvenienze attive da riduzione dei debiti. Sul punto, nel silenzio della norma, ed in attesa di chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, una prima possibile soluzione potrebbe essere rappresentata dall’applicazione di un principio analogo a quello adottato dalla stessa Amministrazione Finanziaria, per individuare l’utile d’esercizio nell’ambito del patrimonio netto costituente il limite massimo della variazione in aumento rilevante ai fini Ace (art. 11 del D.M. 14 marzo 2012). Il provvedimento direttoriale 18 maggio 2012, n. 65721 aveva, infatti, stabilito la necessità di determinare il risultato economico d’esercizio “teorico”, senza considerare l’applicazione dell’Ace. Attesa l’analogia del meccanismo introdotto dal legislatore, potrebbe essere invocabile il medesimo principio, considerando – oltre alle eccedenze pregresse – la perdita fiscale di periodo “teorica”, ovvero senza applicare il nuovo regime di non imponibilità delle sopravvenienze attive.

d) Una soluzione alternativa, sostenuta dalla dottrina prevalente, potrebbe, invece,

comportare l’individuazione dell’eventuale esistenza della perdita “teorica” di periodo, considerando anche la variazione in diminuzione “figurativa” ascrivibile all’intero importo della sopravvenienza attiva da riduzione dei debiti dell’impresa.

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Esempio 2 Esempio(n.(2 Ipotesi(1 Ipotesi(2 Ipotesi(3Reddito'd’impresa'(ante'variazione'in'diminuzione'sopravvenienze'attive) 500.000,00'''''''' 100.000,00'''''''' 50.000,009''''''''''

Sopravvenienze'attive'da'riduzione'dei'debiti 350.000,00'''''''' 350.000,00'''''''' 350.000,00''''''''

Perdita(“teorica”(di(periodo 7((((((((((((((((((( 250.000,007(((((((( 400.000,007((((((((

Sopravvenienze'attive'imponibili 9''''''''''''''''''' 250.000,00'''''''' 350.000,00''''''''

Sopravvenienze(“detassate”( 350.000,00(((((((( 100.000,00(((((((( 7(((((((((((((((((((

Variazione'in'diminuzione' 350.000,009'''''''' 100.000,009'''''''' 9'''''''''''''''''''

Reddito(d’impresa(o(perdita 150.000,00(((((((( 7((((((((((((((((((( 50.000,007((((((((((

Si riscontra altresì l’oggettiva criticità del generico richiamo alle perdite disciplinate dall’art. 84 del Tuir, e non alle loro modalità di utilizzo, senza considerare che una parte di tali eccedenze è soggetta al vincolo quantitativo dell’80,00% del reddito imponibile.

Soggetti  inclusi  dall'ambito  di  applicazione  dell'art.  84  -­‐  soggetti  in  contabilità  ordinaria  (IRES  -­‐  IRPEF)

Perdite  fiscali  realizzate  nei  primi  3  anni

No  limite  di  compensabilità  con  il  reddito

No  limite  di  tempo  per  la  riportabilità  agli  esercizi  successivi

Perdite  fiscali  realizzate  dal  4°  anno

Compensabilità  nel  limite  dell'80  %  del  reddito  imponibile

In altri termini, le sopravvenienze attive sono imponibili sulla base dell’importo integrale delle perdite riportabili, sebbene soltanto una parte delle stesse sarà poi scomputabile dal reddito fiscale del periodo d’imposta.

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a) Rimane dunque una persistente preferibilità fiscale del concordato preventivo, al quale è accordata l’integrale esclusione da imposizione diretta delle plusvalenze da cessione dei beni (art. 86, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986) e delle sopravvenienze attive da riduzioni dei debiti, nonché l’utilizzo delle perdite pregresse secondo le regole ordinarie dell’art. 84 del Tuir.

b) Atteso che le imprese giungono alla soluzione della crisi dopo aver accumulato

ingenti perdite fiscali riportabili, il beneficio introdotto dal D.L. n. 83/2012 rischia, infatti, di risultare particolarmente limitato, con palesi ripercussioni anche sulla soddisfazione dei creditori, rispetto all’alternativa ipotesi del concordato preventivo. Al fine di favorire la diffusione almeno dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, sarebbe stato opportuno equipararne la disciplina fiscale a quella del concordato preventivo, attraverso l’integrale esclusione da imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti (e delle plusvalenze da cessione dei beni), oppure introducendo il limite delle perdite anche per gli effetti reddituali dello stralcio delle passività del concordato preventivo.

c) Si consideri, infine, che – in virtù del principio della continuità aziendale, che ha ispirato l’intervento del D.L. n. 83/2012, in materia di crisi d’impresa – non è stata, invece, apportata alcuna modifica all’art. 86, co. 5, del Tuir, che continua a prevedere la totale irrilevanza fiscale delle cessioni di beni eseguite nell’ambito del solo concordato preventivo. Conseguentemente, nel caso di un piano attestato di risanamento o di un accordo di ristrutturazione dei debiti comportante – anche in ipotesi di soluzioni conservative o dilatorie, non necessariamente liquidatorie – l’alienazione di beni d’impresa, l’operazione può dare luogo al realizzo di plusvalenze imponibili (o minusvalenze deducibili) e l’operazione può determinare l’emersione di un rilevante costo fiscale, che sottrae risorse alla soddisfazione dei creditori.

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Esempio  n.  3  Disciplina  ante  D.L.  83/2012  

 Novellato  art.  88  c.  4,  TUIR  

 Concordato  preventivo  

Reddito  ante  sopravvenienze  e  plusvalenze 20.000,00                                 20.000,00                                 20.000,00                                

Plusvalenze  da  cessione  dei  beni 20.000,00                                 20.000,00                                 20.000,00                                

Sopravvenienze  da  riduzione  di  debiti 60.000,00                                 60.000,00                                 60.000,00                                

Reddito  d’impresa 100.000,00                           100.000,00                           100.000,00                          

Rett.  per  plusvalenze  da  cessione  dei  beni 20.000,00-­‐                                

Rett.  Per  sopravvenienze  da  riduzione  di  debiti 25.000,00-­‐                                 60.000,00-­‐                                

Reddito  di  impresa  lordo 100.000,00                           75.000,00                                 20.000,00                                

Perdite  pregresse 35.000,00-­‐                                 35.000,00-­‐                                 35.000,00-­‐                                

Reddito  di  impresa  al  netto  delle  perdite  scomputate 65.000,00                                 40.000,00                                 -­‐                                                                  

Reddito  d’impresa  o  perdita 65.000,00                                 40.000,00                                 -­‐                                                                  

perdite  residue  riportabili -­‐                                                                   -­‐                                                                   15.000,00-­‐                                

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6.2.2 Le perdite su crediti I criteri di deducibilità delle perdite su crediti, da adottare in sede di determinazione del reddito d’impresa, sono individuati dall’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986, recentemente sostituito dall’art. 33, co. 5, del D.L. n. 83/2012. La disposizione stabilisce che tali costi rappresentano un componente negativo di reddito se, alternativamente:

a. risultano da elementi certi e precisi;

b. il debitore è assoggettato ad una procedura concorsuale o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267.

In altri termini, la nuova formulazione dell’art. 101 TUIR detta: - un principio generale; - in un principio speciale. Il principio generale stabilisce che la perdita su crediti è deducibile se si può dimostrare che vi sono elementi incontrovertibili, certi e precisi, che indicano l'intervenuta definitività della perdita del credito, in tutto o in parte. Il principio speciale, d’altro canto, fissa la regola che se un debitore è assoggettato a una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e, dopo il decreto Sviluppo, anche accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell’articolo 182-bis della Legge fallimentare) la sussistenza degli elementi certi e precisi è automatica in presenza di queste procedure che, di per sé, danno certezza alla perdita. Non è la perdita del credito a dover essere certa e precisa, bensì lo devono essere gli elementi, ossia i fatti da cui deriva. Anche in presenza di una procedura concorsuale, una perdita non potrebbe in assoluto definirsi certa poiché nulla esclude un possibile ritorno in bonis del creditore con conseguente realizzo di una sopravvenienza attiva (fattispecie che la stessa Amministrazione Finanziaria considera nella risoluzione 9/656 del 1979).

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Principio(generale

Le(perdite(su(crediti(sono(deducibili(sedefinitive: !derivanti!da!elementi!certi!eprecisi

Principio(speciale

Le(perdite(su(crediti(vantati(neiconfronti(di(soggetti!assoggettati!aprocedure!concorsuali (sonoautomaticamente(deducibili((7(fallimento((7(liquidazione(coatta(amministrativa((7(concordato(preventivo((7(amministrazione(straordinaria(delle(grandi(imprese(in(crisi(((7(accordo(di(ristrutturazione(del(debito(ai(sensi(dell’articolo(1827bis(della(Legge(fallimentare

Ulteriore(principio(speciale

crediti!di!modesto!importo(vantati(nei(confronti(di(soggetti(non(interessati(da(procedure(concorsuualiElementi(di(certezza(se:((7(sono(trascorsi(almeno(6(mesi(dalla(scadenza((7(sono(di(modesta(entità(se:((((((7(<!o!=!a!€.!5.000,00(per(imprese(con(ricavi(superiori(a(150(milioni(di(euro.((((((7(<!o!= (a!€.!2.500,00(per(imprese(con(ricavi(inferiori(a(150(milioni(di(euro.

6.2.2 .1 I l momento de l la deduzione Riguardo al momento della deduzione fiscale della perdita, la giurisprudenza con un indirizzo ormai consolidato, (cfr. recente Cassazione 9218/2011), non permette all'impresa discrezionalità. La perdita potrà essere dedotta esclusivamente nel periodo in cui si manifestano gli elementi certi e precisi.

6.2.2 .2 Element i c e r t i e pre c i s i La perdita su crediti nei confronti di un debitore non assoggettato a procedura concorsuale, né che ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, è deducibile dal reddito d’impresa, come anticipato, soltanto se risulta da elementi certi e precisi, ovvero è

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preventivamente dimostrata la certa e definitiva sussistenza della stessa. == > Requisito della certa esistenza della perdita Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ritiene che la deduzione dal reddito d’impresa deve intendersi ammessa quando la perdita su crediti diviene definitiva, escludendo dunque ogni elemento valutativo e presuntivo (C.M. 10 maggio 2002, n. 39/E, par. 3). Il carattere permanente dell’irrecuperabilità può, tuttavia, essere desunto sulla base di alcune significative circostanze, quali, ad esempio:

a) il protesto dei titoli di credito utilizzati dal debitore quale forma di adempimento (cambiali, assegni bancari, ecc.);

b) l’infruttuoso esito delle azioni esecutive individuali; L’Agenzia delle Entrate ritiene, tuttavia, che una mera situazione di temporanea illiquidità, ancorché seguita da un atto di pignoramento infruttuoso, non sia sufficiente a legittimare la deduzione, anche soltanto parziale, del credito non incassato (R.M. 23 gennaio 2009, n. 16/E). L’Amministrazione Finanziaria propende, infatti, per la necessità di una più complessa ed articolata valutazione della situazione giuridica della specifica partita creditoria e del singolo debitore cui quest’ultima è riferita”. Diversamente, la giurisprudenza della Suprema Corte riconosce, ai fini della deducibilità delle perdite su crediti, la rilevanza – in quanto sintomatiche dell’esistenza di elementi certi e precisi – delle note del legale mediante le quali viene consigliato al cliente di rinunciare al recupero del credito (Cass., Sez. Trib., 16 marzo 2001, n. 3862), e delle procedure esecutive non andate a buon fine (Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2005, n. 16330).

-­‐ l’impossibilità di notificare gli atti giudiziari (decreti ingiuntivi ed atti di

precetto), ovvero di eseguire i pignoramenti;

-­‐ la sopravvenuta irreperibilità del debitore, ovvero la dichiarazione resa dallo stesso in merito alla propria incapacità ad adempiere;

-­‐ l’oggettiva convenienza a rinunciare al credito, avvalorata dall’accertata

insussistenza, in capo al debitore, di beni mobili ed immobili soggetti ad annotazione presso i pubblici registri.

-­‐ La non rintracciabilità del debitore e la cessazione dell’impresa;

-­‐ La sentenza 12431/2012 della Cassazione ha di recente giudicato come fattore certo

e preciso anche la revoca al debitore degli affidamenti e dei finanziamenti da parte delle banche.

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NB: La perdita deducibile deve essere analiticamente comprovata dal contribuente

(art. 2697 c.c.), sulla base di un’effettiva documentazione del mancato realizzo e del carattere definitivo dell’insoddisfazione del credito (R.M. 6 agosto 1975, n. 9/124). La dimostrazione della certezza e precisione della perdita deve essere fornita, con ogni mezzo di prova utilizzabile nel processo tributario (Cass., Sez. Trib., n. 14568/2001), mediante più elementi – non essendone sufficiente uno solo – gravi, precisi e concordanti, coerentemente con i principi generali in materia di presunzioni semplici (art. 2729 c.c.).

La giurisprudenza di merito ritiene che l’assenza di specifiche indicazioni, sia nella normativa che nelle interpretazioni ministeriali di riferimento, determini la necessità di documentare la certezza e precisione della perdita sulla base di una procedura rigorosa (Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, Sez. XXXIII, 1 ottobre 2007, n. 30). È, pertanto, necessario esperire tutte le azioni di recupero che l’importo del credito e la localizzazione del debitore rendono economicamente convenienti: quanto maggiore risulta l’ammontare della pretesa, tanto più incisivi devono essere i tentativi di esazione (atto di precetto, ingiunzioni di pagamento e pignoramenti, sino al deposito dell’istanza per la dichiarazione di fallimento). La giurisprudenza si è dimostrata elastica nella valutazione delle condizioni di certezza e precisione degli elementi qualificanti la perdita, facendo attenzione: - all'entità del credito, come fattore di giudizio riguardo alle azioni poste in atto dal creditore (Ctp Parma, sentenza 91/01/2010), e per ponderare gli elementi documentali richiesti (Cassazione, sentenze 17220/2006 e 23863/2007); - all'economicità delle scelte transattive del creditore, anche in vista di future relazioni commerciali con il debitore (Ctr Marche, sentenza 113 del 23 giugno 2010). L'Amministrazione Finanziaria ha sempre assunto una posizione diversa: la deduzione della perdita richiede, secondo l’Agenzia delle Entrate, -­‐ il carattere di definitività (Risoluzione 9/656 del 1979) -­‐ poi meglio ricondotto al concetto di “inevitabilità” (Risoluzione 9/517 del 1980), da

comprovare con adeguata documentazione. In riferimento alle evidenze probatorie delle perdite su crediti, la risoluzione 18/E/2009 non ha ritenuto sufficiente l'esito di un pignoramento infruttuoso quale elemento certo e preciso sufficiente per la deduzione della perdita. Una posizione di segno diverso da quella della giurisprudenza (Cassazione 17220/2006), per la quale il pignoramento infruttuoso può essere elemento certo e preciso per la deduzione della perdita

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6.2.2 .3 Novità de l D.L.n .83/2012

E’ stato confermato il principio generale di rilevanza fiscale delle perdite risultanti da “elementi certi e precisi”, stabilendo delle presunzioni assoluti di sussistenza di tale elementi se:

-­‐ il credito sia di modesta entità

-­‐ sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito.

-­‐ La prescrizione del diritto; -­‐ La cancellazione dei crediti in bilancio; -­‐ è stata aperta una procedura concorsuale; -­‐ oppure – ed è questa l’ulteriore novità introdotta dal D.L. n. 83/2012 – costui

ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942.

Nel caso di crediti commerciali di modesto importo, la deduzione della perdita di competenza del periodo d’imposta può, tuttavia, prescindere dalla ricerca di rigorose prove formali: la lieve entità della pretesa può, infatti, indurre l’impresa a non intraprendere azioni di recupero, obiettivamente antieconomiche, che comporterebbero il sostenimento di ulteriori oneri, come storicamente sostenuto dall’Agenzia delle Entrate (R.M. 6 agosto 1976, n. 9/124), e ribadito nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-00570 del 5 novembre 2008. In altri termini, è previsto che, al ricorrere di tale ipotesi, l’esistenza della perdita su crediti è automaticamente dimostrata e, quindi, deducibile dal reddito d’impresa, senza la necessità di fornire ulteriori prove. Al fine di accedere a tale beneficio, è, quindi, necessario che il credito da cui è derivata la perdita soddisfi, congiuntamente, due condizioni:

1) il termine di scadenza del proprio pagamento è decorso da almeno sei mesi. Non essendo stabilite espresse eccezioni, tale beneficio dovrebbe ritenersi

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applicabile anche ai crediti rispetto ai quali il termine di sei mesi dalla scadenza è già decorso alla data di entrata in vigore del novellato art. 101, co. 5, del Tuir;

2) è di modesta entità, ovvero non supera il seguente importo: a) euro 5.000,00 per le imprese di più rilevante dimensione, individuate a

norma dell’art. 27, co. 10, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (ovvero quelle che conseguono un volume d’affari o ricavi non inferiori ad 100 milioni di euro);

b) euro 2.500,00 negli altri casi.

Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 20 dicembre 2010, n. 181850 ha fissato tale soglia – a decorrere dal 1° gennaio 2011 – nel maggior importo di 150 milioni di euro, ma la suddetta norma di riferimento prevede la riduzione, ad opera di un atto dell’Amministrazione Finanziaria, di tale limite a 100 milioni di euro entro il 31 dicembre 2011, così come precisato nel provvedimento direttoriale del 6 aprile 2009, n. 54291.

La mancata emanazione del formale atto di riduzione del limite a 100 milioni di euro non è, tuttavia,

ritenuta idonea ad escludere l’operatività della predetta soglia: in senso conforme, si vedano anche la C.M. 31 maggio 2012, n. 18/E (par. 2.1), e le istruzioni alla compilazione del modello Unico 2012 – Società di Capitali (pagina 13).

Il superamento o meno del predetto limite del volume d’affari o dei ricavi deve essere verificato sulla

base dei criteri definiti dal precedente provvedimento direttoriale n. 54291/2009, in virtù dei quali deve essere assunto, come parametro di riferimento, il valore più elevato tra i seguenti dati indicati nelle dichiarazioni fiscali:

-­‐ i ricavi derivanti dalla cessione di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui

scambio è diretta l’attività d’impresa, oppure dalla vendita di materie prime e sussidiarie, di semilavorati ed altri beni mobili – esclusi quelli strumentali – acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione (art. 85, co. 1, lett. a) e b), del D.P.R. n. 917/1986);

-­‐ il volume d’affari determinato a norma dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972.

Nel caso in cui il periodo d’imposta non coincida con l’anno solare, come parametro di riferimento dei ricavi o del volume d’affari deve essere assunto il valore più elevato tra i dati indicati nel modello Unico ed il volume d’affari dichiarato per l’anno precedente a quello di chiusura dell’esercizio stesso: in relazione ai periodi d’imposta per i quali non sono scaduti i termini di presentazione delle relative dichiarazioni fiscali, e fino al 90° giorno successivo agli stessi, si deve tenere conto dei dati indicati nell’ultima trasmessa.

6.2.2 .4 Altre presunzion i in ord ine a l mancato r ea l izzo de i c r ed i t i :

a) la prescrizione del diritto alla riscossione, attribuendo, quindi, rilevanza alle corrispondenti disposizioni civilistiche, ed in particolare al termine ordinario di dieci anni (art. 2946 c.c.);

b) la cancellazione dei crediti in bilancio, operata in dipendenza di eventi

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estintivi, da parte delle imprese che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al Regolamento (CE) n. 1606/2002. È il caso, ad esempio, delle rettifiche di valore operate in ossequio allo standard Ias 39, per effetto della scadenza dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito.

Al di fuori di tali nuove forme di presunzione, è necessario applicare il principio generale degli “elementi certi e precisi”, salvo che il debitore sia assoggettato ad una procedura concorsuale, oppure abbia concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, come meglio illustrato nel prosieguo.

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6.2.2 .5 Perd i t e su c r ed i t i concorsua l i dopo i l D.L.n .83/2012 L’art. 101, co. 5, del Tuir stabilisce, come anticipato, che – ai fini delle deducibilità della perdita su crediti – non devono essere provati gli elementi di certezza e precisione se, a carico del debitore,

-­‐ è stata aperta una procedura concorsuale,

-­‐ oppure – ed è questa l’ulteriore novità introdotta dal D.L. n. 83/2012 – costui ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942.

Tale disposizione, contenuta nel periodo del co. 5, dell’art.101 del Tuir, distingue, pertanto, gli accordi di ristrutturazione dei debiti dalle procedure concorsuali: in altri termini, la novellata norma conferma l’orientamento ormai consolidato dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui alle perdite su crediti derivanti da un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ai sensi dell’art. 182-bis L.F. non è applicabile, in linea di principio, la previsione di deducibilità immediata contenuta nell’art. 101, co. 5, secondo periodo, del Tuir riservata alle procedure concorsuali (CC.MM. 13 marzo 2009, n. 8/E, par. 4.2. e 3 agosto 2010, n. 42/E, par. 4.1.).

Il principio in parola appare, tuttavia, contraddetto dal successivo secondo periodo della medesima norma, introdotto in sede di conversione del D.L. n. 83/2012, in virtù del quale – ai fini dell’applicazione dell’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986 – il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, e la corrispondente perdita su crediti assume rilevanza fiscale (senza dover applicare il principio generale degli “elementi certi e precisi”), dalla data di uno dei seguenti atti:

-­‐ sentenza dichiarativa di fallimento; -­‐ decreto di ammissione al concordato preventivo; -­‐ decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti; -­‐ provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; -­‐ decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle

grandi imprese in crisi.

Conseguentemente, a differenza di quanto affermato nel primo periodo della medesima disposizione, l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato viene di fatto incluso tra le procedure concorsuali.

Sul punto, si riscontra, tuttavia, un primo dubbio interpretativo rappresentato dal riferimento alla “data del decreto del tribunale di omologazione dell’accordo”, che dovrebbe intendersi quella di emanazione, da parte della competente autorità giudiziaria, del relativo provvedimento. La soluzione adottata dal legislatore diverge, pertanto, con quanto sinora sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria, che ha sempre accordato rilevanza al momento in cui il

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decreto di omologazione non è più impugnabile (C.M. 3 agosto 2010, n. 42/E, par. 4.1.), in modo da poter considerare, inequivocabilmente, la certezza e precisione della perdita di cui al principio generale dell’art. 101, co. 5, del Tuir.

6.2.2 .6 Perd i t e su c r ed i t i e s t e r i Si osserva altresì che l’art. 101, co. 5, del Tuir – nonostante la novellata formulazione – continua ad ignorare la fattispecie della perdita maturata su un credito vantato nei confronti di un debitore residente al di fuori del territorio dello Stato, assoggettato ad una procedura concorsuale estera. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare che il riconoscimento della deducibilità della stessa è subordinato ad una specifica condizione, ovvero il rilascio di una dichiarazione dell’autorità giurisdizionale estera, che dichiari lo stato di insolvenza del debitore (C.M. 10 maggio 2002, n. 39/E), nell’ambito di una procedura concorsuale assimilabile a quelle nazionali indicate nell’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986. Non è, pertanto, deducibile la perdita derivante da un credito vantato nei confronti di un debitore estero, assoggettato ad una procedura concorsuale corrispondente all’abrogata – nell’ordinamento giuridico italiano – amministrazione controllata. È il caso, ad esempio, dell’istituto della ristrutturazione e riorganizzazione societaria denominata “Chapter 11”, prevista dal sistema statunitense, nell’ambito del Federal Bankruptcy Code. Il piano formulato dal debitore americano può, infatti, prevedere l’integrale soddisfazione di tutte le passività, impedendo al creditore italiano di dedurre per intero l’eventuale svalutazione della propria pretesa. L’omologazione giudiziale della suddetta proposta permette, invece, al creditore nazionale di acquisire un primo elemento in merito alla certa esistenza ed alla precisa determinabilità della perdita. L’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria non appare, tuttavia, condiviso dalla Corte di Cassazione, che ritiene, invece, sufficiente la documentazione dei requisiti di certezza e precisione della perdita, senza la necessità che il creditore dimostri di essersi attivato per ottenere tale attestazione (Cass., Sez. Trib., n. 23863/2007). L’accertamento dell’insolvenza del debitore estero non rappresenta, pertanto, un elemento costitutivo del diritto alla deduzione: “ai fini di stabilire la certezza della perdita non può certo pretendersi la declaratoria di insolvenza del debitore dovendosi, piuttosto, avere riguardo all’esistenza di convenzioni internazionali vincolanti anche lo stato del debitore”, idonee a perseguire quest’ultimo nell’adempimento delle proprie obbligazioni. Il regime di deducibilità delineato dall’art. 101, co. 5, primo periodo, del Tuir non opera alcuna distinzione in base alla localizzazione del debitore: ricorrono, pertanto, i criteri di cui sopra, ovvero la circostanza che la perdita sia provata da elementi certi e precisi. A questo proposito, si segnala che – ad avviso dell’Amministrazione Finanziaria, come riportato nella citata C.M. 10 maggio 2002, n. 39/E (par. 3) – deve essere dimostrato il

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carattere definitivo del suddetto componente negativo di reddito, “conformemente agli strumenti giuridici previsti nello Stato del debitore, ove non si possa ricorrere alle dichiarazioni di insolvenza dei debitori stranieri emesse dalla Sace (Istituto per i servizi assicurativi del Commercio Estero)”. Queste ultime attestazioni non vengono, invece, considerate necessarie dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale è sufficiente che le perdite su crediti risultino documentate esclusivamente, come prescritto dal legislatore, da elementi certi e precisi (Cass., Sez. Trib., 19 novembre 2007, n. 23863, e 16 marzo 2001, n. 3862). Non è, in ogni caso, ammessa la deduzione delle perdite su crediti derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti, ovvero localizzate, in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati, individuati dal D.M. 23 gennaio 2002: lo stabilisce la formulazione dell’art. 110, co. 10, del D.P.R. n. 917/1986 precedente alla sostituzione operata dall’art. 1, co. 83, lett. h), della Legge n. 244/2007 la cui entrata in vigore è rinviata al periodo d’imposta successivo all’emanazione del Decreto Ministeriale di cui all’art. 168-bis del Tuir, non ancora intervenuta.

6.2.2 .7 Per iodo d i deduc ib i l i tà de l l e perd i t e concorsua l i L’art. 101, co. 5, secondo periodo, D.P.R. n. 917/1986 riconosce la rilevanza fiscale delle perdite su crediti a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale, senza, tuttavia, considerare i diversi momenti successivi – sino alla chiusura del relativo iter – in cui è possibile individuare, con ragionevole oggettività, la parte di credito effettivamente non più recuperabile. A questo proposito, la Suprema Corte attribuisce assoluta preferenza per il principio generale di cui all’art. 109, co. 1, Tuir, secondo il quale i componenti negativi di reddito di cui – nell’esercizio di competenza – non sia ancora certa l’esistenza, o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono alla formazione dell’imponibile fiscale nel periodo in cui si verificano tali condizioni (Cass. 4 settembre 2002, n. 12831). La giurisprudenza in parola sostiene, pertanto, che non vi sia ragione di escludere aprioristicamente la possibilità che l’apprezzamento delle suddette circostanze consenta di individuare i requisiti di certezza e determinabilità della perdita, con riguardo ad un esercizio diverso da quello nel corso del quale la procedura concorsuale si è aperta: una posizione differente è, invece, assunta dall’Agenzia delle Entrate che, invece, propende per l’esclusiva ed integrale deducibilità nel periodo d’imposta di apertura della procedura concorsuale, precludendo il riconoscimento di qualsiasi diversa valutazione operata dal contribuente. In altri termini, la Corte di Cassazione ritiene – analogamente al prevalente orientamento dottrinale, fondato sull’evoluzione della normativa fiscale, improntata ad una maggiore aderenza ai criteri civilistici – che il contenuto letterale della norma in commento “disponendo la deducibilità dei crediti nell’anno di apertura della procedura concorsuale, non ne impone perciò la deduzione, e non offre una base all’assunto che essa dovrebbe aver luogo indefettibilmente in quell’esercizio”. L’orientamento della Corte di Cassazione risulta, quindi, coerente con l’incerto sviluppo della fase liquidatoria della procedura concorsuale, che condiziona la puntuale recuperabilità del credito, subordinata all’andamento di molteplici variabili. Con l’effetto

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che non appare, pertanto, ragionevole escludere, a priori, la possibilità di accertare, in un periodo d’imposta differente da quello di apertura della procedura concorsuale, i requisiti di certezza e determinabilità della perdita. Fermo restando il divieto di scegliere, arbitrariamente, il periodo d’imposta in cui dedurre tale componente negativo di reddito, prescindendo dall’osservanza dell’inderogabile principio di competenza (Cass. 3 agosto 2005, n. 16330). Ad analoghe conclusioni è, successivamente, giunta anche l’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano, secondo la quale le perdite su crediti concorsuali sono deducibili nell’esercizio in cui si manifestano e sono iscritte in bilancio, in base al prudente apprezzamento degli amministratori, potendo avvenire nel periodo di apertura della procedura oppure, anche parzialmente, in uno successivo (Norma di comportamento 19 novembre 2008, n. 172). La data di avvio dell’iter rappresenta, dunque, esclusivamente il momento di presumibile sussistenza della perdita, la cui determinazione, fiscalmente rilevante, deve essere operata in ossequio ai principi civilistici. Determinazione della perdita concorsuale deducibile L’individuazione del periodo d’imposta, secondo i suddetti criteri, consegue l’effetto di attribuire rilevanza fiscale alle valutazioni civilistiche dell’impresa, fondate sulla stima del valore presumibile di realizzo (Circolare Assonime 23 dicembre 2005, n. 69, pag. 38). La previsione in parola deve, tuttavia, essere periodicamente aggiornata, coerentemente con l’evoluzione della procedura concorsuale alla quale è stato assoggettato il debitore.

6.2.2 .8 Fal l imento In sede di predisposizione del progetto di bilancio, relativo all’anno in cui è dichiarato il fallimento del debitore, il creditore è tenuto ad individuare l’importo ragionevolmente ancora recuperabile, sulla base dei dati della consistenza dell’attivo e dello stato passivo esecutivo della procedura, se già disponibili, nonché delle ulteriori informazioni rese dal curatore, ovvero delle notizie comunque raccolte. Il valore in parola dovrà, poi, essere adeguato nei successivi periodi amministrativi, in base ai risultati della liquidazione fallimentare, e degli eventuali scostamenti rispetto ai presupposti di stima assunti in sede di chiusura del precedente esercizio. A questo proposito, un determinante ausilio può essere fornito dal rapporto riepilogativo semestrale di cui all’art. 33, ultimo co., del R.D. n. 267/1942, che il curatore deve depositare presso il registro delle imprese, unitamente agli estratti conto bancari del periodo ed alle osservazioni del comitato dei creditori. La particolare complessità della procedura ascrivibile ai circoscritti termini dell’omologazione (art. 181 del R.D. n. 267/1942), nonché alle modalità liquidatorie definite dal tribunale, impone un tempestivo monitoraggio dell’evoluzione del concordato preventivo. Una prima valutazione di recuperabilità del credito deve essere operata in sede di ammissione alla procedura, facendo affidamento sulla proposta formulata dal debitore, contenente l’indicazione della percentuale di soddisfazione offerta ai creditori, suddivisi in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici. Ai fini dell’individuazione dell’importo della presumibile perdita, può rivelarsi utile l’analisi della relazione del

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professionista di cui all’art. 161, co. 3, della Legge Fallimentare, designato dal debitore, tenuto ad attestare la veridicità dei dati aziendali e, soprattutto, la fattibilità del piano concordatario, con la precisazione dei relativi profili di criticità. L’importo così determinato deve, poi, essere riscontrato alla luce della relazione del commissario giudiziale (art. 172, co. 1, L.F.), predisposta alcuni mesi dopo l’apertura della procedura, con lo specifico obiettivo di informare i creditori in merito alla concreta realizzabilità della proposta concordataria, nonché alla convenienza rispetto alle altre alternative concretamente praticabili, sovente rappresentate dalla dichiarazione di fallimento. Una terza verifica deve essere effettuata a seguito dell’omologazione del concordato preventivo – salvo che il tribunale disponga la revoca del procedimento e, previo accertamento dello stato di insolvenza, la contestuale emanazione della sentenza dichiarativa di fallimento – determinante l’apertura della liquidazione giudiziale, sulla base della presumibile percentuale di soddisfazione desumibile dal decreto di omologazione del tribunale. L’avvio di tale fase esecutiva comporta, inoltre, la necessità di un sistematico aggiornamento della suddetta stima di recuperabilità del credito, tenuto conto delle risultanze evidenziate nella relazione periodica del liquidatore giudiziale, dei pagamenti parziali ricevuti e delle prospettive di conclusione dell’iter di realizzazione dell’attivo concordatario, funzionale all’esecuzione della ripartizione finale e, quindi, dell’estinzione del credito residuo iscritto in contabilità.

6.2.2 .9 Accordo d i r i s t ru t turazione de i deb i t i Sotto il profilo operativo, si ritiene opportuno stimare l’importo recuperabile dei crediti in funzione dell’evoluzione dell’accordo di ristrutturazione, mediante l’adozione di una metodologia analoga a quella prospettata per il concordato preventivo. In particolare, una prima verifica di realizzabilità residua del credito dovrebbe essere operata – stante la formulazione del novellato art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986 – a seguito dell’emanazione, da parte del tribunale competente, del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Tale nuova previsione normativa dovrebbe, pertanto, superare la prassi dell’Agenzia delle Entrate, che aveva sinora attribuito esclusiva rilevanza fiscale – in mancanza di una specifica disposizione di riferimento – al successivo momento del passaggio in giudicato del predetto provvedimento giudiziale, in quanto maggiormente coerente con la ratio dell’art. 101, co. 5, del Tuir dell’epoca, ovvero la sussistenza degli elementi certi e precisi. L’importo così individuato potrà, poi, formare oggetto di ulteriori rettifiche e, quindi, di perdite su crediti per effetto di eventuali scostamenti emersi in sede di fase esecutiva e dei pagamenti parziali ricevuti, sino alla completa estinzione del residuo valore contabile del credito. Nel caso in cui, a seguito dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione, non si verifichi

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il corretto adempimento dello stesso, e tale circostanza sia accertata in un periodo d’imposta successivo a quello di deduzione della perdita, il creditore è tenuto a rilevare un componente positivo del reddito imponibile. Salvo che, alla chiusura dell’esercizio, sia già intervenuta la dichiarazione di fallimento del debitore, ovvero l’ammissione dello stesso al concordato preventivo, rendendo necessaria l’applicazione dei criteri in precedenza delineati.

NB: a) Il fatto che il beneficio fiscale sia da riconoscere solo all’omologa, ciò significa anche

ottenere indirettamente una attestazione di fatto sui crediti. b) Se l’impresa ha firmato l’accordo che non è ancora omologato alla fine dell’anno,

perché deve mantenere l’imputazione di un credito già rinunciato ?? c) Non è stato esteso il beneficio agli accordi sottoscritti nell’ambito di un piano

attestato ex art. 67 anche se è stata implicitamente riconosciuta, nell’articolo precedente, la possibilità di attuare nell’ambito dello stesso, una riduzione dei debiti.

Questo solo aspetto incentiva l’applicazione di istituti diversi come il 182 bis. Si è quindi creata una asimmetria tra indeducibilità delle perdite e non imponibilità delle sopravveniente attive da riduzione di debiti.

Alla luce della formulazione letterale dell’art. 101, co. 5, primo periodo, del D.P.R. n.

917/1986, la perdita su crediti fiscalmente rilevante deve essere dedotta, in ossequio al principio di competenza, nell’esercizio in cui risultano verificati i corrispondenti elementi di certezza e precisione (Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2005, n. 16330). Qualora la perdita derivi da un’operazione di cessione, il periodo di competenza della corrispondente deduzione deve essere individuato sulla base di un criterio formalistico, attribuendo rilevanza alla stipulazione del contratto di trasferimento della titolarità del diritto di credito (R.M. 16 maggio 2007, n. 100/E). L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate è, pertanto, coerente con il principio di competenza di cui all’art. 109, co. 1, del D.P.R. n. 917/1986, secondo il quale i costi sono riconosciuti nell’esercizio in cui risultano verificate le condizioni di certezza dell’esistenza ed obiettiva determinabilità.

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6.3 In merito all’IVA sulle note di variazione IVA Si consideri, inoltre, che la predetta novità normativa, ancorché espressamente dettata nell’ambito del reddito d’impresa, potrebbe essere destinata ad esplicare i propri effetti anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, e precisamente con riguardo alla disciplina dell’emissione, a cura del creditore, della nota di variazione Iva: l’art. 26, co. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 subordina, infatti, il diritto alla redazione del documento rettificativo – e, quindi, al conseguente esercizio della detrazione del corrispondente tributo – alla “in frut tuosi tà de l la procedura concorsuale”. Tale requisito aveva, infatti, sinora impedito l’applicazione della predetta disposizione proprio a causa della formulazione dell’art. 101, co. 5, del Tuir, che non contemplava, tra le procedure concorsuali, l’accordo di ristrutturazione dei debiti: con l’effetto che il creditore poteva comunque emettere la nota di variazione, ma a norma del successivo co. 3, trattandosi di una sopravvenuta intesa tra le parti, con il rischio, però, di non riuscire a recuperare la relativa Iva, qualora – come spesso accade in presenza di rapporti con un debitore in stato di crisi – il documento non fosse stato emesso entro un anno dell’effettuazione dell’operazione oggetto di rettifica.

6.4 IRAP: art. 5. D. Lgs. 446/1997 Richiamo all’interpello dell’agosto 2012 che precisa che le plusvalenze non sono imponibili se realizzate a seguito della vendita di beni relativi all’impresa. Concorrono invece alla base imponibile la cessione di beni che non costituiscono beni strumentali all’attività di impresa. Di conseguenza, anche se le plusvalenze realizzate dalla vendita dei beni strumentali costituiscono componenti reddituali di natura straordinaria, concorrono alla base imponibile IRAP.

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7 Conclusioni. Ci si augura di avere fornito con il presente lavoro un utile e concreto ausilio ai

curatori in ordine alle complesse problematiche che sono chiamati ad affrontare ed alle numerose insidie nascoste negli adempimenti indicati dalle normative fiscali anche se, talvolta, per quanto detto, risultano di fatto inapplicabili.

In ogni caso ci si augura di avere chiarito il ruolo, le funzioni ed i limitati poteri

attribuiti al curatore fallimentare che, di fatto, andrebbe considerato come ausiliario della giustizia e non, come talvolta accade, controparte fiscale.

Dott. Stefano Tonelato

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Appendice normativa: D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000 Di seguito si riportano alcuni articoli relativi alle norme penali in materia tributaria che possono riflettersi sull’attività svolta dalla curatela. Articolo 1 - Definizioni. 1. Ai fini del presente decreto legislativo: a) per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi; b) per "elementi attivi o passivi" si intendono le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; c) per "dichiarazioni" si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche; d) il "fine di evadere le imposte" e il "fine di consentire a terzi l'evasione" si intendono comprensivi, rispettivamente, anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d'imposta, e del fine di consentirli a terzi; e) riguardo ai fa t t i commess i da ch i ag i s c e in qua l i tà d i amminis t ra tore , l iqu idatore o rappres en tante d i so c i e tà , en t i o per sone f i s i che , il "fine di evadere le imposte" ed il "fine di sottrarsi al pagamento" si intendono riferiti alla società, all'ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce; f) per "imposta evasa" si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; g) le soglie di punibilità riferite all'imposta evasa si intendono estese anche all'ammontare dell'indebito rimborso richiesto o dell'inesistente credito di imposta esposto nella dichiarazione. Articolo 2 - Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. 1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o

sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali

fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. 3. (Comma abrogato)

Articolo 3 - Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. 1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine

di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi

passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro un milione.

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Articolo 4 - Dichiarazione infedele. 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere

le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi

passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni. Articolo 5 - Omessa dichiarazione. 1. E' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore

aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila. 2. Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro

novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto. Articolo 10 bis - Omesso versamento di ritenute certificate. 1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta. Articolo 10 ter - Omesso versamento di IVA. 1. La disposizione di cui all'articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo. Articolo 10 quater - Indebita compensazione. 1. La disposizione di cui all'articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'ar t i co lo 17 de l de c r e to l e g i s la t ivo 9 lug l io 1997, n . 241, crediti non spettanti o inesistenti. Articolo 12 - Pene accessorie. 1. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa: a) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni; d) l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria; e) la pubblicazione della sentenza a norma dell'ar t i co lo 36 de l cod i c e pena le . 2. La condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 importa altresì l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3, e 8, comma 3. 2-bis. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto l'istituto della sospensione condizionale della pena di cui all'ar t i co lo 163 de l cod i c e pena le non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d'affari; b) l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro.

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LEGGE 30 luglio 2010, n. 122: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. (Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010 - Supplemento Ordinario n. 174) – In vigore dal 31 luglio 2010. Art. 31 Preclusione alla autocompensazione in presenza di debito su ruoli definitivi 1. A decorrere dal 1° gennaio 2011, la compensazione dei crediti di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, relativi alle imposte erariali, è vietata fino a concorrenza dell'importo dei debiti, di ammontare superiore a millecinquecento euro, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, e per i quali è scaduto il termine di pagamento. In caso di inosservanza del divieto di cui al periodo precedente si applica la sanzione (( del )) 50 per cento dell'importo (( dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori e per i quali è scaduto il termine di pagamento fino a concorrenza dell'ammontare indebitamente compensato. La sanzione non può essere applicata fino al momento in cui sull'iscrizione a ruolo penda contestazione giudiziale o amministrativa e non può essere comunque superiore al 50 per cento di quanto indebitamente compensato; nelle ipotesi di cui al periodo precedente, i termini di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, decorrono dal giorno successivo alla data della definizione della contestazione. )) E' comunque ammesso il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori mediante la compensazione dei crediti relativi alle stesse imposte, con le modalità stabilite con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro 180 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. Nell'ambito delle attività di controllo dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza è assicurata la vigilanza sull'osservanza del divieto previsto dal presente comma anche mediante specifici piani operativi. A decorrere dal 1° gennaio 2011 le disposizioni di cui all'articolo 28-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, non operano per i ruoli di ammontare non superiore a millecinquecento euro. (( 1-bis. Al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dopo l'articolo 28-ter e' inserito il seguente: «Art. 28-quater. (Compensazioni di crediti con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo). - 1. A partire dal 1° gennaio 2011, i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo. A tal fine il creditore acquisisce la certificazione prevista dall'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e la utilizza per il pagamento, totale o parziale, delle somme dovute a seguito dell'iscrizione a ruolo. L'estinzione del debito a ruolo e' condizionata alla verifica dell'esistenza e validità della certificazione. Qualora la regione, l'ente locale o l'ente del Servizio sanitario nazionale non versi all'agente della riscossione l'importo oggetto della certificazione entro sessanta giorni dal termine nella stessa indicato, l'agente della riscossione procede, sulla base del ruolo emesso a carico del creditore, alla riscossione coattiva nei confronti della regione, dell'ente locale o dell'ente del Servizio sanitario nazionale secondo le disposizioni di cui al titolo II del presente decreto. Le modalita' di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze anche al fine di garantire il rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica». Per i crediti maturati nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale si applica comunque quanto previsto dal comma 1-ter, secondo periodo. 1-ter. All'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, le parole: «Per gli anni 2009 e 2010» sono sostituite con le seguenti: «A partire dall'anno 2009» e le parole: «le regioni e gli enti locali» sono sostituite con le seguenti: «le regioni, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma, nonché, in particolare, le condizioni per assicurare che la complessiva operazione di cui al comma 1-bis e al presente comma riguardante gli enti del Servizio sanitario nazionale sia effettuata nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica; le modalità di certificazione sono stabilite dalle singole regioni d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, con l'osservanza delle condizioni stabilite con il predetto decreto. ))

Giovedì, 6 marzo 2014

“fisco e fallimento”

Intervento del dott. Stefano Tonelato

Membro della Commissione dell’ordine dei Dottori Commercialisti e Revisori Legali relativa allo studio ed all’approfondimento delle procedure concorsuali.

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2. In relazione alle disposizioni di cui al presente articolo, le dotazioni finanziarie del programma di spesa «Regolazioni contabili, restituzioni e rimborsi d'imposte» della missione «Politiche economico finanziarie e di bilancio» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2010, sono ridotte di 700 milioni di euro per l'anno 2011, di 2.100 milioni di euro per l'anno 2012 e di 1.900 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013.