corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti

15
Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti : procedimentalizzazione tra business judgement rule e nuova diligenza. Il Decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003 ha riorganizzato l'intera normativa societaria, sviluppando tutta una serie di nuovi quesiti e nuove definizioni su cui dottrina e giurisprudenza stanno ancora cercando di fornire idonei chiarimenti e determinarne le corrette interpretazioni. Materia della presente trattazione è l'art. 2403 c.c. “Doveri del collegio sindacale”, il quale è stato oggetto di interessanti rettifiche 1 atte a ridurre l'ambito di controllo diretto del collegio sindacale 2 in ambito amministrativo-contabile, ma mirate invece a sviluppare il controllo sul principio di corretta amministrazione, e sul principio, a questo strettamente correlato, di adeguatezza degli assetti. La rivoluzione risiede tanto nella nuova disciplina dell'ambito di vigilanza del collegio sindacale 3 , quanto nell'aumento indiretto dell'elenco degli obblighi degli amministratori 4 . È proprio quest'ultimo aspetto a contenere il maggiore grado di innovazione sulla base delle ripercussioni che ha comportato, ed ancora oggi comporta, nell'azione gestoria degli amministratori. È opportuno evidenziare che nello svolgere l'azione di rettifica il legislatore ha scelto di utilizzare una tecnica legislativa basata su un richiamo generico agli obblighi; da tale decisione scaturisce l'assenza di una chiave di lettura attraverso la quale poter adottare i principi in oggetto senza correre il rischio di discostarsi, eccessivamente, dal significato originale che il legislatore avrebbe scelto di attribuire. È palese che la generalità della norma fa sì che questa sia priva di limitazioni a priori, potendo così essere adeguata a diverse fattispecie, tuttavia, il fatto che non si sia trovata agevolmente una chiave di lettura risolutiva sul principio di corretta amministrazione, comporta la presenza di una lacuna interpretativa dall'arduo completamento 5 . 1 L'art. 2403 c.c. prima della riforma così recitava : “Il collegio sindacale deve controllare l'amministrazione della società, vigilare sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, e l'osservanza delle norme stabilite dall'articolo 2426 per la valutazione del patrimonio sociale. Il collegio sindacale deve altresì accertare almeno ogni trimestre la consistenza di cassa e l'esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale o ricevuti dalla società in pegno, cauzione o custodia. Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Degli accertamenti eseguiti deve farsi constare nel libro indicato nel numero 5 dell'articolo 2421.”. 2 Per un approfondimento sulla disciplina del controllo nelle società per azioni del collegio sindacale si consiglia: A. Toffoletto, “Amministrazione e Controlli” in Aa. Vv. Diritto delle società (Manuale breve), IV e., Milano 2008; 3 Il rispetto della clausola ben oltre il mero dovere di controllo di legalità formale a cui era indirizzato prima della riforma Alpa G., Mariconda V., 2009, Codice Civile Commentato,libro V, Milano, II ed., Ipsoa, 2009, p. 1613. 4 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 19 “La stessa autorevole dottrina, che aveva profuso i maggiori sforzi nel tentativo di classificare gli obblighi degli amministratori, era stata costretta a riconoscere che la rassegna delle specifiche incombenze era “necessariamente disorganica e incompleta” e segue a p. 20 “Veniva suggerita, allora, dalla dottrina una distinzione tra obblighi specifici, ovvero imposti dalla legge o dall'atto costitutivo, e generici, ricomprendendo tra questi ultimi quelli di amministrare con diligenza e senza conflitto di interessi.”, “la recente riforma non sembra aver inciso sulla classificazione indicata.”. 5 De Nicola A., Il diritto dei controlli societari , I ed., Milano, Gruppo24ore, 2010, pp. 4 e ss. Un esempio di interpretazione è quello proposto dalla giurisprudenza, questa “adotta il concetto di “legalità sostanziale” volendo

Upload: roberta

Post on 06-Aug-2015

280 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

Elaborato, argomento controlli societari.L'elaborato si riferisce nello specifico all'art. 2403 del Codice Civile

TRANSCRIPT

Page 1: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti :

procedimentalizzazione tra business judgement rule e nuova diligenza.

Il Decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003 ha riorganizzato l'intera normativa societaria,

sviluppando tutta una serie di nuovi quesiti e nuove definizioni su cui dottrina e giurisprudenza

stanno ancora cercando di fornire idonei chiarimenti e determinarne le corrette interpretazioni.

Materia della presente trattazione è l'art. 2403 c.c. “Doveri del collegio sindacale”, il quale è stato

oggetto di interessanti rettifiche1 atte a ridurre l'ambito di controllo diretto del collegio sindacale2 in

ambito amministrativo-contabile, ma mirate invece a sviluppare il controllo sul principio di

corretta amministrazione, e sul principio, a questo strettamente correlato, di adeguatezza degli

assetti.

La rivoluzione risiede tanto nella nuova disciplina dell'ambito di vigilanza del collegio sindacale3,

quanto nell'aumento indiretto dell'elenco degli obblighi degli amministratori4. È proprio

quest'ultimo aspetto a contenere il maggiore grado di innovazione sulla base delle ripercussioni che

ha comportato, ed ancora oggi comporta, nell'azione gestoria degli amministratori. È opportuno

evidenziare che nello svolgere l'azione di rettifica il legislatore ha scelto di utilizzare una tecnica

legislativa basata su un richiamo generico agli obblighi; da tale decisione scaturisce l'assenza di una

chiave di lettura attraverso la quale poter adottare i principi in oggetto senza correre il rischio di

discostarsi, eccessivamente, dal significato originale che il legislatore avrebbe scelto di attribuire. È

palese che la generalità della norma fa sì che questa sia priva di limitazioni a priori, potendo così

essere adeguata a diverse fattispecie, tuttavia, il fatto che non si sia trovata agevolmente una chiave

di lettura risolutiva sul principio di corretta amministrazione, comporta la presenza di una lacuna

interpretativa dall'arduo completamento5.

1 L'art. 2403 c.c. prima della riforma così recitava : “Il collegio sindacale deve controllare l'amministrazione della società, vigilare sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, e l'osservanza delle norme stabilite dall'articolo 2426 per la valutazione del patrimonio sociale. Il collegio sindacale deve altresì accertare almeno ogni trimestre la consistenza di cassa e l'esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale o ricevuti dalla società in pegno, cauzione o custodia. Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Degli accertamenti eseguiti deve farsi constare nel libro indicato nel numero 5 dell'articolo 2421.”.

2 Per un approfondimento sulla disciplina del controllo nelle società per azioni del collegio sindacale si consiglia: A. Toffoletto, “Amministrazione e Controlli” in Aa. Vv. Diritto delle società (Manuale breve), IV e., Milano 2008;

3 Il rispetto della clausola ben oltre il mero dovere di controllo di legalità formale a cui era indirizzato prima della riforma Alpa G., Mariconda V., 2009, Codice Civile Commentato,libro V, Milano, II ed., Ipsoa, 2009, p. 1613. 4 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 19 “La stessa autorevole dottrina, che aveva profuso i maggiori sforzi nel tentativo di classificare gli obblighi degli amministratori, era stata costretta a riconoscere che la rassegna delle specifiche incombenze era “necessariamente disorganica e incompleta” e segue a p. 20 “Veniva suggerita, allora, dalla dottrina una distinzione tra obblighi specifici, ovvero imposti dalla legge o dall'atto costitutivo, e generici, ricomprendendo tra questi ultimi quelli di amministrare con diligenza e senza conflitto di interessi.”, “la recente riforma non sembra aver inciso sulla classificazione indicata.”.5 De Nicola A., Il diritto dei controlli societari, I ed., Milano, Gruppo24ore, 2010, pp. 4 e ss. Un esempio di

interpretazione è quello proposto dalla giurisprudenza, questa “adotta il concetto di “legalità sostanziale” volendo

Page 2: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

La novità richiede, come in ogni ambito, un processo di “metabolizzazione”6 da parte sia della

dottrina che della giurisprudenza, finalizzato a giungere ad una interpretazione assoluta e univoca

di quanto la normativa esprime.

La domanda che ci si pone a questo punto è: il concetto di corretta amministrazione e le

conseguenze che apporta all'obbligo di diligenza, sono davvero innovazione? E se lo sono, quanto

durerà il processo di metabolizzazione?

Le questioni nascono proprio dal fatto che, dal 2003 ad oggi, la dottrina non ha espresso un

giudizio univoco a riguardo, scindendosi piuttosto in tre riflessioni distinte.

Una prima parte della dottrina non prende posizione, come se la riforma non avesse apportato

alcun cambiamento. I sostenitori di questa linea di pensiero ritengono che tra il principio di corretta

amministrazione e il dovere di diligenza non vi sia alcuna reale differenza, poiché entrambi

rappresentano il contenuto della prestazione degli amministratori; in definitiva la concretizzazione

di quanto emanato dal legislatore equivarrebbe a quanto già viene praticato in ambito

giurisprudenziale attraverso la diligenza7.

Un secondo indirizzo è costituito da quella parte della dottrina che, dall'analisi della riforma,

ritiene invece che la corretta amministrazione e l'adeguatezza degli asseti non apportino alcuna

modifica significativa perché non sono che un' ipostatizzazione della diligenza professionale

secondo l'art. 2392 c.c., intendendo cioè che tutta questa discussione si fondi sul dare ad una

semplice parola un'importanza pari a quella di un concetto, importanza che ovviamente, secondo

tale convinzione, non le appartiene. Seguendo questa linea di pensiero si indebolisce la scelta del

legislatore, svuotandola di ogni ponderazione, e si continua a sentire l'esigenza di una norma in

grado di riorganizzare il sistema degli obblighi degli amministratori8.

Infine, vi è chi ritiene che la riforma del diritto societario “assegna ai principi di corretta

amministrazione il ruolo di clausola generale “per eccellenza”, alla quale gli amministratori devono

improntare la loro attività”9, risolvendo la questione sull'obbligo di diligenza su cui la dottrina cerca

con ciò intendere che gli amministratori devono prendere decisioni agendo con diligenza professionale, in assenza di conflitti di interesse, adeguatamente informati e a seguito di un articolato e ponderato processo decisionale.”; preferenza alquanto valida ma non risolutiva sul piano dottrinale.

6 Irrera M., Profili di corporate governance delle società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, I ed., Milano, Giuffrè, 2009 p. 7 “L'accennato processo di metabolizzazione sembra riguardare proprio il ruolo centrale che l'obbligo di corretta amministrazione va via via assumendo e il contemporaneo ridimensionamento o, più esattamente, la ricollocazione dell'obbligo di diligenza (…)”.

7 Non prende posizione, unendosi a questo schieramento, anche chi si rende conto che la diligenza riguardi solo il come dell'adempimento.

8 Un esempio delle perplessità appartenenti a questo schieramento è presente in Zanardo A., Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, I ed., Milano, Cedam, 2010, p.151 “Non è chiaro, tuttavia, se con l'espressione “corretta amministrazione” il legislatore abbia inteso riferirsi propriamente alla predetta clausola generale o, invece, a qualcosa di qualitativamente diverso, caratteristico dello specifico contesto in cui ci si muove (ossia modalità di riorganizzazione e svolgimento dell'attività d'impresa)”.

9 Irrera M., 2005, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in Riv. Dir. Soc., 2/2011 , p. 359

Page 3: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

da tempo di trovare adeguata risoluzione10.

Prima di passare all'analisi della corretta amministrazione è necessario precisare che il contenuto

di tale clausola è fondato sulla nozione di correttezza-buona fede11; presente nel nostro ordinamento

ed a cui viene riconosciuto un ruolo fondamentale in campo societario. Tuttavia, non bisogna

intendere che la nozione generica di correttezza e la buona fede siano sinonimi - forse lo possono

essere se si pensa ad una condotta ideale, leale e corretta – ma la prima ha un maggior contenuto

esperienziale rispetto alla seconda, che, invece, mantiene il suo carattere astratto. Alla correttezza12,

fino alla riforma del 2003, non è stata data troppa rilevanza, sia perché utilizzata come rinvio a

modelli di condotta già consolidati dall'esperienza, sia perché il legislatore, come anche si afferma

più avanti, tende ad avere difficoltà a dare spazio ai concetti derivanti dalle scienze economico-

aziendali.

Corretta amministrazione e nuova diligenza. - Il principio di corretta amministrazione13:,

nonostante la mancata esplicazione normativa14, è sempre esistito, in quanto sviluppatosi sia sulla

base della nozione di correttezza-buona fede, sia nel cuore dei principi di razionalità economica

fondati dalla scienza dell'economia aziendale. L'organizzazione d'azienda e la gestione d'impresa

non possono prescindere dalla progettazione costante del vantaggio competitivo. Quest'ultimo è il

motore dell'attività economica, gli amministratori sono obbligati a muoversi verso il suo

raggiungimento poiché il soddisfacimento dei soci ne è diretta conseguenza. Da qui l'esigenza

dell'assemblea dei soci di controllare che la direzione delle scelte gestionali si basi sul rispetto dei

principi aziendalistici.

10 Irrera M., profili di corporate governance delle società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, I ed., Milano, Giuffrè, 2009 p. 11 “La previsione dell'obbligo del rispetto dei principi di corretta amministrazione non sembra rappresentare la trasformazione di un'entità arbitraria in “sostanza”, come – invece – il rimprovero mosso da una parte della dottrina lascia intendere”.

11 Irrera M., cit., p. 12 “la nozione di correttezza-buona fede, negli anni, si è evoluta nella direzione della tipica clausola generale, anzi della “clausola generale per eccellenza”, divenendo particolarmente “utile” in tutte le fattispecie – come quella dei doveri degli amministratori – in cui ad una disciplina rigida degli obblighi di legge si affiancano “direttive” destinate a concretizzarsi attraverso la formazione di regole tecniche che la giurisprudenza è chiamata ad applicare nella situazione concreta; clausola generale, intesa come norma di direttiva che delega “al giudice la formazione della norma (concreta) di decisione vincolandolo ad una direttiva espressa attraverso il riferimento ad uno standard sociale”, quanto mai opportuna con riguardo all'attività di gestione e di amministrazione di una società che è ovviamente caratterizzata da rilevanti aree di discrezionalità”.

12 In questo contesto si intende la correttezza in termini generali, solo nel seguente paragrafo si parlerà invece della derivazione concreta di questo concetto, la corretta amministrazione.

13 Irrera M., cit.,14 “Corretta amministrazione equivale, in sintesi e in conclusione, come si è osservato, “alla conformità delle scelte di gestione ai criteri di razionalità economica posti dalla scienza dell'economia aziendale” ed alla ragionevolezza; gli amministratori – in altre parole – sono tenuti a compiere scelte razionali e ragionevoli, se non anche ad adottare – come ritiene la dottrina – le soluzioni più efficaci”.

14 Zanardo A., Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, I ed., Milano, Cedam, 2010, p. 151 “Per un più completo inquadramento del tema è bene, anzitutto rammentare che l'espressione “principi di corretta amministrazione” non è nuova del dettato legislativo, essendo già prevista dall'art. 149, comma 1, lett. b), t.u.f., con riferimento ai doveri del collegio sindacale delle società quotate. Al fine di trarre qualche utile indicazione sul suo esatto significato è quindi opportuno analizzare le interpretazioni proposte, in passato, con riguardo a questa disposizione”.

Page 4: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

Tuttavia la concretezza aziendalistica e l'esigenza di controllo dei soci, sfociante nella ricerca di

una modalità agevole ed allo stesso tempo non invadente di controllo sull'operato degli

amministratori, non hanno avuto modo di rispecchiarsi compiutamente all'interno dell'apparato

normativo pre-riforma15. Pertanto nel corso del tempo, allo scopo di colmare lacune e incertezze

interpretative, dottrina e giurisprudenza hanno fatto sì che tali richieste trovassero spazio all'interno

del concetto di diligenza.

La diligenza, espressa all'interno dell'art. 2392 c.c., tende16, dunque, ad avere un orientamento

duble face17 basato su un impropria espansione del principio a contenuto della prestazione generale

dovuta dall'amministratore: “in altri termini l'aver agito con diligenza da parte dell'amministratore

esclude la sussistenza dell'inadempimento e fa venir meno lo stesso presupposto del giudizio di

responsabilità sancito dall'art. 1218 c.c. ossia l'inesattezza della prestazione”18. In pratica la

diligenza è divenuta un obbligo generale, nel rispetto del quale gli amministratori devono svolgere

il loro ruolo e se si dovessero discostare da questo sarebbero oggetto di un'azione di responsabilità.

Il dovere di agire con diligenza, consistente “nell'adozione delle misure ritenute idonee, sulla

scorta di un giudizio di normalità che attinge all'esperienza comune e alle regole sociali,

nell'attuazione della prestazione gestoria in funzione del risultato concretamente perseguito”19, è

passato dal suo contenuto originale di misura della prestazione a contenuto integrale della stessa, la

quale perde il proprio nucleo definito dal dare, fare o non fare qualcosa.

Ciò che sfugge è definire la diligenza20, realmente questo concetto è in grado di precludere ai soci

la possibilità di svolgere un'azione di responsabilità contro gli amministratori poiché annulla la reale

prestazione richiesta dai soci? La diligenza non dovrebbe essere il parametro atto a circoscrivere

l'insindacabilità nel merito delle scelte gestionali, mentre in questa veste appare come un

moltiplicatore di quest'ultima?

15 Zanardo A., Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, I ed., Milano, Cedam, 2010 p. 44 “I problemi, prima della riforma del 2003, derivavano dal fatto che, essendo alcuni doveri degli amministratori specificamente previsti dalla legge o scaturendo gli stessi dallo statuto, mancava invece nel testo normativo l'espressa previsione del dovere primario degli amministratori, consistente nella gestione dell'impresa collettiva, e la sua “concretizzazione” (...)”. 16 Si intende specificare che l'uso dei verbi al tempo presente sulla diligenza viene utilizzato in quanto le innovazioni dell'art 2403 c.c. non sono state definite come definitive e valide,la giurisprudenza ancora si avvale della diligenza sia nel suo ruolo di parametro di valutazione della prestazione, sia in quanto contenuto della prestazione stessa.17 Sull'azione specifica dell'amministratore l'obbligo di agire diligentemente corrisponde alla misura dell'impegno richiesto agli amministratori ed essi saranno esenti da responsabilità solo se l'inadempimento deriverà da impossibilità della prestazione per causa non imputabile; sull'azione generale invece l'agire diligente è compenetrato nel contenuto della prestazione dell'amministratore e perciò l'agire diligente del debitore esclude direttamente l'inadempimento. Si veda a questo proposito : Sentenza 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, 1517.18 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 4919 Zanardo A., Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, I ed., Milano, Cedam, 2010

p.4320 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 53 “La

difficoltà degli interpreti di attribuire – in tema di responsabilità degli amministratori – al criterio della diligenza un significato univoco deriva probabilmente dalla “povertà” del dato normativo del codice civile del 1942, in ordine al contenuto generale dell'obbligo di amministrazione, aldilà dei doveri specifici previsti in varie e numerose norme sia del codice, sia di leggi speciali.”

Page 5: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

Parte della dottrina, appunto, muove una forte critica21 sulla decisione consistente in tale uso

improprio della diligenza proprio perché “in realtà, a dispetto delle espressioni comunemente

utilizzate, la diligenza non costituisce il contenuto dell'obbligazione dell'amministratore, rectius

l'oggetto di uno degli obblighi che gli derivano dal conferimento dell'incarico in seno alla società; è

criterio che indica solo il modello astratto di condotta cui il medesimo è tenuto a uniformarsi

nell'esecuzione della prestazione di gestione dell'impresa in vista del soddisfacimento dell'interesse

sociale, ossia in vista – prevalentemente – della massimizzazione dello shareholder value”22.

Ad avvalorare la tesi secondo cui la scelta giurisprudenziale è alquanto controversa, è il

comportamento stesso del legislatore del 2003: egli non agisce sul concetto di diligenza, sceglie di

non correggere né ampliare le norme a riguardo. Egli sceglie, invece, di esplicitare quei principi di

fondo ancora mai espressi dalla normativa: il principio di corretta amministrazione e il principio di

adeguatezza degli assetti. Da questa scelta deriva che l'agire dell'amministratore, inteso sia nelle

scelte specifiche che nelle scelte generali di gestione, debba rispettare l'obbligo di corretta

amministrazione non della diligenza. La nuova clausola generale costituisce, indubbiamente, un

principio pienamente idoneo a caratterizzare il contenuto di una prestazione, risolvendo la questione

sino a qui descritta, e costituendo quel contenuto generale così tanto cercato. Inoltre il fatto che la

corretta amministrazione abbia le sue radici su regole di carattere tecnico23 e non su elaborazioni

teoriche dottrinali e giurisprudenziali, la rende maggiormente idonea a colmare il vuoto fino ad ora

esistente e mal coperto. La norma ha, quindi, permesso il ridimensionamento della diligenza e il

ritorno al suo alveo naturale, ovvero ad essere un criterio di valutazione e niente più. Essa non ha

più il compito di rappresentare il contenuto di una prestazione e “diversamente dal passato , si

tratterà di valutare con il metro della diligenza il rispetto, ad esempio, anche del dovere di agire

informato oppure quello di riservatezza, obblighi cioè di carattere generico”24.

Un ultimo interrogativo su questa questione riguarda quella parte della dottrina che tende per la

ipostatizzazione, è più auspicabile la continuazione di un sistema basato su elucubrazioni teoriche o

un sistema di questo tipo, discendente dalla prassi quotidiana della gestione d'impresa?

Corretta amministrazione, nuova diligenza e business judgement rule.- Se la corretta

amministrazione sostituisce la diligenza nell'essere contenuto della prestazione, allora la sostituisce

anche nel rapporto con le decisioni gestorie che l'organo amministrativo è chiamato a pronunciare?

21 F. Vassalli, L'art. 2392 novellato e la valutazione della diligenza degli amministratori, in G. Scognamiglio (a cura di), Profili e problemi dell'amministrazione nella riforma delle società, Milano, Giuffrè, 2003, 31 afferma che “ la diligenza non può mai costituire oggetto di un obbligo o peggio il contenuto della prestazione dedotta nell'obbligazione, bensì soltanto il modo di adempiere esattamente all'obbligazione”.

22 Zanardo A., Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, I ed., Milano, Cedam, 2010 p.4223 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 65 “la

correttezza, inoltre, deve essere interpretata come formula di rinvio a modelli di condotta già consolidati dall'esperienza, a standards ricavabili – appunto – dall'esperienza; ciò significa che le regole della correttezza si adattano alle diverse circostanze concrete e sono modificabili nel tempo”.

24 Irrera M., cit., p. 54

Page 6: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

Svolge, quindi, il ruolo di efficace confine dell'insindacabilità delle scelte di merito degli

amministratori? Per tentare di rispondere a questi interrogativi è necessario analizzare gradualmente

tutti i componenti che li costituiscono; partendo dal presupposto che, fino ad oggi, la querelle

principale si è basata sulla ricerca di un equilibrio tra il concetto di diligenza, in quanto criterio di

misurazione della responsabilità degli amministratori, e l'insindacabilità delle scelte di merito.

Il concetto dell'insindacabilità delle scelte di merito è uno dei principi cardine dell'ordinamento,

espresso dall'art. 2380-bis c.c., secondo il quale “la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli

amministratori”25. I soci scelgono di instaurare con gli amministratori un rapporto di tipo fiduciario

lasciando nelle loro mani la completa gestione dell'impresa, nella consapevolezza che questi

agiranno rispettando tutti gli obblighi imposti e nel massimo interesse dell'impresa e dell'organo

assembleare. Il risultato delle decisioni è ovviamente verificabile dai soci solo ex post, ed è alta la

possibilità che si verifichino conseguenze negative per l'impresa, poiché fondate su diverse cause

non sempre facili da definire ed individuare. Una valutazione26 ex ante delle loro azioni, all'interno

di un orizzonte temporale relativamente breve nel quale non tutte le circostanze attese possano

ancora essersi verificate, comporta certamente un vincolo all'operare degli amministratori,

aumentando la possibilità che questi evitino decisioni particolarmente gravose e perdano quella

propensione al rischio tipica e salutare dell'attività imprenditoriale.

A tutela di tale discrezionalità si pone il principio dell'insindacabilità delle scelte di merito,

sviluppatosi prettamente in ambito giurisprudenziale, e secondo il quale non è possibile valutare le

scelte economiche poste in essere dagli amministratori; esso costituisce un limite invalicabile dai

soci e dall'organo di controllo, oltre il quale gli amministratori si sentono liberi di agire senza

pressioni. Inoltre è opportuno precisare che l'ordinamento italiano non è l'unico a riconoscere tale

principio, anzi la definizione fornita dalla legislazione statunitense è certamente più completa e

maggiormente paradigmatica: la cosiddetta business judgement rule27, definita come la “golden rule

of corporate law”28, stabilisce, appunto, l'impossibilità del giudice e dei soci di valutare nel merito le

decisioni degli amministratori.

Tuttavia tale ambito di discrezionalità, per quanto dovuto, deve necessariamente avere dei confini

in modo da permettere ai soggetti interessati di tutelare il proprio patrimonio; ma su quali basi è

possibile misurare se il risultato negativo sia conseguente alla mala gestio degli amministratori,

25 Il corsivo è inserito da chi scrive allo scopo di enfatizzare l'aspetto della citazione su cui si fonda l'intera argomentazione.26 La valutazione intesa in questo caso è una valutazione sul contenuto delle decisioni da parte dell'assemblea dei soci.27 “is an American case law-derived concept in corporations law whereby the “directors of a corporation … are clothed with the presumption, witch the law accords to them, of being motivated in their conduct by a bona fide regard for the interests of the corporation whose affairs the stockholders have committed to their charge”and whereby a cout will refuse to review the actions of a corporation's boad of directors in managing the corporation unless there is some allegation of conduct that the directors violated their duty of care to manage the corporation to the best of their ability. The burden is on the party challenging the decision to establish facts rebutting the presumption (case Gimbel v. Signal Cos. 316 A.2d 599,608 – Del. Ch. 1974). 28 A.R. Palmiter., Corporations, 4° ed., New York, 2003, p. 197

Page 7: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

ovvero sia conseguente ad una analisi dei fattori incompleta o, infine, sia dovuto a cause

completamente estranee all'impresa e imprevedibili?

È proprio nella definizione di tale confine e del metodo di valutazione da applicare, che la

questione perde la linearità fino ad ora mantenuta: perché a fungere da linea di demarcazione

dell'ambito di discrezionalità è proprio la diligenza29. Quest'ultima permette di distinguere tra il

controllo di legittimità e il controllo di merito, poiché l'impossibilità di valutare il contenuto della

scelta è affiancata dalla valutazione su come questa scelta viene presa30: “in altre parole non può

farsi carico agli amministratori degli errori di gestione che possono considerarsi inevitabili nella

conduzione di qualsiasi impresa, a condizione che l'organo amministrativo abbia agito con

diligenza; non è possibile sostituire l'apprezzamento soggettivo ed ex post del magistrato a quello

espresso ex ante degli amministratori”31.

È spontaneo interrogarsi sul come capire se la diligenza posta in essere sia quella adeguata alla

fattispecie di gestione, e se la diligenza sia di per sé sufficiente nel ricoprire il ruolo di linea di

separazione. La definizione della business judgement rule esprime una modalità efficace per

misurare la diligenza richiesta dagli amministratori: “i giudici non potranno ritenere gli

amministratori responsabili dei danni provocati da una loro delibera se questa è assunta in buona

fede, nell'onesto convincimento che fosse nel miglior interesse della società e dopo aver assunto

adeguate informazioni”32. Mentre la norma italiana, secondo la quale “gli amministratori sono

considerati responsabili se hanno compiuto atti di gestione che, usando l'ordinaria diligenza

professionale, non avrebbero dovuto compiere alle condizioni accettate perché era possibile

prevederne la dannosità”33, non fa minimamente accenno alla clausola generale della buona fede e

disciplina solo l'obbligo di diligenza. Nel confronto la norma statunitense appare maggiormente

completa, in quanto rinforza i confini tracciati dalla diligenza con il concetto generale di buona

fede34, e l'affiancamento di un aspetto generale e di un aspetto specifico permette di controllare e

valutare in maniera valida l'operato degli amministratori.

È proprio allo scopo di colmare questo vuoto italiano, che si inserisce la corretta amministrazione:

29 La cui interpretazione, come già più volte evidenziato, non viene definita dal legislatore, perciò si ha la sensazione di stare utilizzando ancora una volta uno strumento di cui non si conoscono né i limiti né le potenzialità effettive.

30 Cass. 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, p. 1517 “il discrimine va individuato nel fatto che mentre la scelta tra il compiere o meno un atto di gestione, ovvero di compierlo in un certo modo o in determinate circostanze non è suscettibile di essere apprezzata in termini di responsabilità giuridica, al contrario la responsabilità può essere generata dall'eventuale omissione, da parte dell'amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste prima di procedere a quel tipo di scelta; in altre parole il giudizio di diligenza non può investire le scelte di gestione, ma il modo in cui sono compiute”.

31 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 5032 Cass. Civ. Sez. I, 22 aprile 2009, n. 9619, in Rivista di Diritto Societario, 2011,1, p. 10733 Cass. 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, p. 151734 Cass. Civ. Sez. I, 22 aprile 2009, n. 9619, in Rivista di Diritto Societario, 2011,1, p. 107 “Le corti del Delaware

(culla del diritto societario a stelle strisce) presumono sia la buona fede che la sufficiente informazione. Per definire se la decisione sia stata presa con sufficiente informazione, le medesime corti utilizzano lo standard della “ gross negligence” (colpa grave). In alcune decisioni si fa riferimento anche alla “rationally” del processo decisionale e al convincimento che la decisione presa sia nel migliore interesse della società”.

Page 8: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

per creare, all'interno della stessa linea di confine della diligenza, dei punti più resistenti oltre i quali

gli amministratori sono inadempienti e quindi responsabili35. I soci e il giudice sono così in grado di

percepire come la norma sull'insindacabilità sia derogabile se ci si trova davanti a “colpe gravi”,

non solo davanti ad omissioni di verifiche.

Quindi, in risposta al quesito posto in apertura, si afferma che in questo caso non si tratta di una

vera e propria sostituzione della diligenza con la corretta amministrazione, quanto piuttosto di un

completamento della disciplina a tutela dei soci. L'inserimento della clausola generale permette lo

sviluppo di due livelli di controllo, la cui presenza si adatta in modo maggiormente puntuale alla

concretezza della quotidiana gestione d'impresa composta dal rispetto degli obblighi generali ma

anche, e soprattutto, da quei singoli atti emanati secondo le varie cautele richieste.

In definitiva, una volta provata la diligenza nello svolgimento del proprio incarico e la

correttezza-buona fede che ha guidato ciascuna decisione, gli amministratori non hanno di che

preoccuparsi.

Ebbene non si è ancora data risposta su come determinare se realmente essi siano stati diligenti, e

se abbiano agito secondo correttezza e buona fede36.

Difatti, benché il ragionamento fatto fino ad ora appaia coerente e adeguato, la sua solidità si

affievolisce, divenendo fragilità, man mano che ci si allontana dalla teoria e ci si accosta alla

concretizzazione di questi aspetti. Il problema consiste nel fatto che “nel concreto esercizio

dell'impresa, il confine tra errore inevitabile con l'ordinaria diligenza ed errore che la diligenza

avrebbe evitato non è di agevole determinazione”37, così come non lo è valutare se il sentimento che

ha mosso gli amministratori sia la correttezza o il noncuranza. La soluzione proposta dalla prassi è

di trasformare la decisione in un intero processo: la procedimentalizzazione.

Secondo questa congettura è possibile identificare ogni passo compiuto dagli amministratori

semplicemente razionalizzando la decisione; questa è un risultato sintetico e globale proprio perché

contenente tutte le varie scelte che i gestori si sono trovati ad affrontare e per il superamento delle

quali si sono informati, è dunque suddivisibile in parti autonome, ciascuna delle quali deve

rispondere ai principi fino ad ora esposti. Ciascuna scelta, essendo colta nella sua individualità, può

essere analizzata secondo le modalità con cui è stata fatta, ed il contesto che in quel momento ha

influito, insieme ad altri fattori, al suo compimento.

35 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 63 “Il principio in parola rappresenta – come si è detto – uno “strumento per la definizione della reale portata del rapporto obbligatorio, del limite oltrepassato il quale il comportamento dell'obbligato diviene illegittimo”. La correttezza si atteggia a fronte di obblighi integrativi autonomi e non strumentali, rispetto ai quali è ben possibile e pienamente coerente l'esperimento di un'azione di risarcimento dei danni in caso di loro violazione”.

36 Alpa. “Esemplare, a questo riguardo, una pregevole pronuncia della Cassazione, la quale censura il comportamento dei sindaci per essere rimasti inerti di fronte alla stipula di contratti d'appalto non perché rivelatisi in rovinosa perdita, bensì perché di ammontare assurdamente sproporzionato ai mezzi proprio dell'impresa e perché stipulati senza alcuna verifica della economicità dei relativi prezzi. Circostanze, queste ultime, che denotano un agire “negligente” e non soltanto “imperito”: solo sul primo i sondaci appuntino le loro censure; non sul secondo.”.37 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 48

Page 9: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

La stessa giurisprudenza ha accolto questa idea riconoscendo il processo decisionale come un

vero e proprio meccanismo favorevole all'azione di controllo da parte del collegio sindacale, dei

soci, e di giudizio del giudice, oltre che a tutela degli amministratori, che possono così individuare

in maniera puntuale ogni prova atta ad escludere ogni responsabilità o inadempimento38.

Infine la procedimentalizzazione è supportata dallo sviluppo dei due livelli di controllo prima

esposti e, soprattutto, dal principio dell'adeguatezza degli assetti; quest'ultimo dispone la

costituzione di procedure poiché permettono di stabilire ogni ruolo, funzione ed ambito di

competenza ed anche il criterio con cui viene svolta tale funzione39.

Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti. - Il principio dell'adeguatezza degli

assetti è strettamente connesso alla corretta amministrazione40, in quanto consistente nella diretta

concretizzazione di quanto fino a questo momento descritto a riguardo. L'assetto organizzativo

dell'attività d'impresa non può in alcun modo prescindere dal rispetto del principio di corretta

amministrazione, che lo rende legittimamente adeguato e confacente alle esigenze per cui viene

costituito. Sebbene questo legame sia ben saldo41, e riconosciuto erga omnes, il principio di

adeguatezza degli assetti non ha avuto bisogno di alcun processo di metabolizzazione42: il suo

potenziale innovativo è stato subito riconosciuto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, le quali

38 Cass. Civ. Sez. I, 22 aprile 2009, n. 9619, in Rivista di Diritto Societario, 2011,1, p. 107 “La responsabilità è valutata sulla base della correttezza del processo decisionale, non dei risultati ottenuti (App. Milano, 3 marzo 2004). tale valutazione deve essere effettuata tenendo conto delle modalità con le quali sono state fatte scelte gestionali, del contesto e del momento in cui l'amministratore ha agito. Pertanto l'amministratore che abbia seguito un processo decisionale corretto non può essere considerato responsabile di scelte inopportune dal punto di vista economico, poiché tale valutazione attiene alla sfera dell'opportunità e, dunque, della discrezionalità amministrativa (Trib. Milano, 2 maggio 2007; Cass., 28 aprile 1997, 3625)”.

39 Irrera M., 2005, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in Riv. Dir. Soc., 2/2011 , p. 368 “Al crescere dell'impresa corrisponde un parallelo e necessario incremento delle procedure; vi possono (e vi debbono) essere processi che descrivono tutte le fasi e sotto-fasi dell'attività. […]. Se è vero che le procedure, da un lato, possono ingessare l'attività d'impresa; dall'altro rappresentano un'ottima “garanzia” di efficienza e di coerenza con le linee generali descritte […]. In altri termini le procedure consentono di stabilire chi fa chi e che cosa, a partire proprio da ogni singolo processo aziendale. Ovviamente la procedimentalizzazione consente, poi, di effettuare controlli di “allineamento” e di regolarità più efficienti”.

40 Mozzarelli M., 2010, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell'attività imprenditoriale , in Amministrazione e controllo nel diritto delle società : liber amicorum Antonio Piras , Torino, I ed. Giappichelli, 2010 p. 737 “Nell'ottica del legislatore gli assetti interni rappresentano cioè una declinazione del canone generale di corretta amministrazione imposto agli organi di gestione e controllo delle società. Ciò significa de un lato che la corretta amministrazione trova concretizzazione nella predisposizione e nel mantenimento degli assetti interni; dall'altro che questi ultimi dovranno essere valutati alla luce della loro congruenza con il criterio generale della corretta amministrazione”.

41 Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 p. 68 “La corretta amministrazione, come si è già osservato, ha stretti legami con i modelli di condotta sanciti anche e soprattutto da regole tecniche e si collega alla ragionevolezza desumibile dai principi dell'economia aziendale (…). Più nel dettaglio, come la dottrina aziendalistica ha posto in rilievo, i principi di corretta amministrazione si traducono nella necessaria presenza di una serie di strumenti che, peraltro, devono essere posizionati in un contesto più preciso, offerto dallo stesso legislatore: ovvero l'obbligo specifico concernente gli assetti adeguati”.

42 V. Buonocore, “Adeguatezza,precauzione, gestione e responsabilità : chiose sull'art. 2391, commi terzo e quinto, del codice civile”, in Giur. Comm., 2006, I, p.5 e ss e ivi a p.8 : l'autore utilizza il richiamo al processo di metabolizzazione con riguardo alla clausola generale dell'adeguatezza degli assetti organizzativi amministrativi e contabili previsti dagli art. 2381 e 2403 c.c.

Page 10: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

hanno infatti dedicato maggiore attenzione a questo aspetto che a quello della corretta

amministrazione43. Inoltre è opportuno specificare che la procedimentalizzazione dell'attività non è

concetto nuovo per chi gestisce le imprese: gli amministratori hanno, da sempre, sviluppato modelli

organizzativi confacenti le esigenze dell'impresa, riguardanti lo sviluppo del vantaggio competitivo,

la risoluzione di eventuali lacune e finalizzati alla gestione del rischio organizzativo. La struttura

dell'impresa e la necessità che questa possieda determinati requisiti, era già stata notata dal

legislatore ante-riforma che, però, l'ha disciplinata in maniera frammentaria e soltanto attraverso

norme riguardanti specifiche tipologie societarie44.

Quindi la novità non risiede nella evidenziazione di un concetto originale, ovvero di cui prima

della riforma non si teneva conto, tutt'altro: essa risiede nel fatto che, se anteriormente alla riforma

la strutturazione di un assetto adeguato poteva essere opzionale, ora questo è divenuto obbligo

giuridico per tutte le tipologie societarie, quale che sia la loro dimensione45.

Ciò che fa discutere è il fatto che il legislatore abbia preferito disciplinare l'adeguatezza ma non il

contenuto degli assetti, riguardo ai quali “il dato normativo è, invece, totalmente muto”46. Tale

condotta è dovuta alla “rituale ritrosia del legislatore a dare immediatamente spazio – sul piano

giuridico – ad acquisizioni derivanti dalle scienze economico-aziendali”47?

Nel rispondere affermativamente si avvalorerebbe la tesi dottrinale secondo cui il legislatore sia

affetto da strabismo: a conseguenza del quale egli si sia focalizzato sull'adeguatezza,

dimenticandosi di esplicare quale debba essere il contenuto degli assetti, che solo in seguito

verranno valutati come adeguati48. Si riscontra in tale interpretazione una sfiducia verso il progetto

43 Irrera M., profili di corporate governance delle società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, I ed., Milano, Giuffrè, 2009 p. 15 “La centralità che gli assetti organizzativi rivestono nel diritto societario sembra costituire ormai un dato pacifico, tanto da far scrivere – da autorevole dottrina – che la previsione di assetti interni adeguati costituisce “la novità più nuova della recente riforma delle società di capitali , capace (…) di mutare i fondamentali di un tema centrale come quello della responsabilità dell'impresa e per certi versi dei gestori dell'impresa” ”.

44 A tale proposito si pensi all'art 53, comma 1°, t.u.b.; le Istruzioni di vigilanza per le banche , emanate dalla BANCA D'IITALIA con Circolare 21 aprile 1999, n. 229; e all'art. 149, comma 1° del t.u.f., riguardo al quale si rimanda al confronto che Irrera M. in Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano, Giuffrè, 2005 pp. 70 e ss, svolge tra il nuovo art. 2403 c.c. e l'articolo del t.u.f.. L'autore analizza entrambi gli articoli giungendo alla conclusione che “le differenze (…) possono valutarsi quali mere variazioni lessicali che non incidono sulla sostanza della fattispecie”.

45 Mozzarelli M., 2010, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell'attività imprenditoriale , in Amministrazione e controllo nel diritto delle società : liber amicorum Antonio Piras , Torino, I ed. Giappichelli, 2010 Secondo il quale uno degli aspetti innovativi è rappresentato anche dal passaggio da una concezione di assetti interni dipendenti dalla gestione d'impresa, e quindi anche potenzialmente non esistenti, ad assetti indipendenti dalla gestione, che devono essere costituiti pena la censura per gli organi sociali.

46 Irrera M., profili di corporate governance delle società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, I ed., Milano, Giuffrè, 2009 p. 15

47 Irrera M., cit.,9 p. 1548 Irrera M., 2005, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in Riv.

Dir. Soc., 2/2011 , p. 366 “Mi pare – se mi è consentito – si tratti di una forma di strabismo (…). In altri termini ritengo prioritario interrogarsi sul contenuto degli assetti, anche se ciò possa apparire un'invasione di campo (quello dell'economia aziendale) che – se così è – reputo necessaria, in considerazione del rilievo – oggi – giuridico assunto dagli assetti. È ineccepibile che gli assetti debbano essere adeguati, ma mi domando come si possa stabilire se lo siano o no se prima non si possiede un'idonea conoscenza di come essi siano in concreto costituiti”.

Page 11: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

del legislatore, definito come noncurante di una parte, certo non di poco conto, della norma e restio

a fornirne le esplicazioni basilari.

Nonostante le valide argomentazioni di tale tesi, si ritiene opportuno dare una risposta negativa

alla questione iniziale per due motivi principali. In primis perché si è consapevoli che l'horror vacui

di cui parte della dottrina soffre in realtà non è motivato: la prassi ha già determinato dei modelli,

dei contenuti validi per gli assetti, indipendentemente da quanto il legislatore avesse disposto prima

della riforma ovvero avesse intenzione di disporre nel 2003. Dunque la pretesa di una esplicitazione

giuridica può essere appropriata, ma da qui a sviluppare un'intera critica la strada è lunga.

Secondariamente si ritiene che imporre, attraverso una disposizione normativa, un modello

organizzativo sia alquanto rischioso se non addirittura inutile: gli amministratori progettano e

sviluppano gli assetti sulla base delle caratteristiche interne dell'impresa e del contesto con il quale

la stessa si trova ad instaurare i rapporti finalizzati al conseguimento della propria attività.

Partendo da tale presupposto ci si convince che disporre tali assetti a priori non possa che andare a

scontrarsi con le concrete esigenze dell'impresa, la quale può non ritrovarsi affatto nelle disposizioni

legislative, ma per il rispetto delle quali possa andare incontro a dei costi che avrebbe altrimenti

evitato. In conclusione il silenzio del legislatore viene interpretato positivamente, finalizzato a

lasciare all'organo amministrativo la dovuta discrezionalità organizzativa.

Si intuisce che il legislatore tenda a tutelare questi ambiti di discrezionalità degli amministratori,

allo scopo di permettere loro di applicare i modelli organizzativi che possono risultare più consoni

al raggiungimento degli obiettivi d'impresa. È su questo che si fonda l'adeguatezza: essa non è altro

che l'obiettivo scelto, verso cui la norma dirige gli amministratori.

Un'organizzazione che rispetta il principio dell'adeguatezza, oltre a rientrare nei parametri di

natura49 e dimensione50 espressi dall'art. 2381 c.c., è caratterizzata da una razionalizzazione dei

processi organizzativo, amministrativo e contabile51, attraverso la quale è possibile individuare quali

possano essere quelle funzioni non adatte al giusto funzionamento dell'attività d'impresa, e quali

siano le decisioni errate e i soggetti direttamente responsabili. Da quanto fino ad ora affermato si

49 Secondo questo parametro il giudizio di adeguatezza degli assetti si basa sulla natura dell'attività d'impresa e sulla conseguente organizzazione che si è scelta in base alle esigenze specifiche riscontrate dall'analisi del core business e dei rapporti con l'esterno.

50 Secondo questo parametro il giudizio di adeguatezza degli assetti si basa sulla grandezza dell'impresa. È chiaro che gli assetti richiesti per una impresa di piccole dimensioni saranno notevolmente semplificati rispetto ad una s.p.a., e sia necessaria una modalità di valutazione appropriata.

51 Irrera M., profili di corporate governance delle società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, I ed., Milano, Giuffrè, 2009 p. 17 “In prima approssimazione si può ritenere che con l'espressione “assetti organizzativi” si intenda, in sintesi, la presenza di un idoneo e dettagliato organigramma della società, con l'indicazione delle funzioni (cd. funzionigramma), dei poteri e delle deleghe di firma: documenti in grado di individuare con chiarezza e precisione le linee di responsabilità; “assetti amministrativi” sono, invece, i processi formalizzati ossia le procedure atte ad assicurare il corretto ed ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle sue singole fasi (…); “ assetti contabili” sono rappresentati in primo luogo da un efficiente sistema di rilevazione contabile, dalla redazione dei budget almeno annuali e di bilanci intermedi, da un controllo periodico di concordanza tra saldi bancari e saldi contabili”.

Page 12: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

evince uno dei caratteri maggiormente interessanti del principio sugli assetti: l'adeguatezza è un

criterio a contenuto aperto. Con tale denominazione si intende che “le regole concernenti gli assetti

sono, infatti, costruite dal legislatore non tanto in relazione al contenuto (prefissato) dell'obbligo

relativo, quanto con riferimento all'obiettivo che la norma impone ossia che gli assetti siano

adeguati. (…) Ciò comporta che le “norme- contenuto” relative agli assetti debbano comunque

essere valutate con riferimento al caso concreto e – in rapporto ad esso – debbono raggiungere la

funzione assegnata, ovvero l'adeguatezza”52. Quest'ultimo aspetto si ritiene sia emblematico per

esplicare come, nell'evoluzione ad obbligo giuridico, l'adeguatezza degli assetti abbia mantenuto

intatto il suo carattere di concretezza; carattere che tutela la discrezionalità degli amministratori.

L'obiettivo prevale sul contenuto della prestazione, poiché quello che conta è esclusivamente il

suo raggiungimento e tutto il resto, se in contrasto, dovrà essere riadattato; il paradigma più efficace

nell'esprimere questo concetto è quello del bilancio di esercizio, la cui redazione, talvolta, per

rispecchiare correttamente la situazione dell'impresa, si discosta dai metodi proposti dal legislatore,

ovviamente sulla base di specifiche e valide motivazioni53.

L'unico punto che fino ad ora appare incompleto riguarda la risposta al seguente quesito: come

poter valutare l'adeguatezza degli assetti, una volta definiti i parametri di giudizio?

Appare evidente che la procedimentalizzazione da sola non può bastare per assicurare il rispetto del

principio di adeguatezza, è necessario affiancarle un sistema di controllo interno. A questo scopo il

legislatore ha ampliato l'elenco dei doveri degli organi societari ed ha appositamente indicato la loro

funzione all'art. 2381 c.c.: “gli organi delegati “curano”, il consiglio di amministrazione “valuta” e

il collegio sindacale “vigila””54. Ma oltre questo55 il legislatore impone che l'organizzazione

aziendale risulti essere “trasparente attraverso un sistema gerarchico di riporti e formalizzata così da

consentirne controlli di regolarità (anche) a priori e di efficienza a posteriori”56. Attraverso

l'attuazione di questo procedimento è possibile, come già più volte esplicato a vantaggio della

procedimentalizzazione, scomporre la decisione finale in tutta una serie di fatti e scelte e indicare

precisamente se si realizza una violazione di legge, perché si è verificata e qual'è il soggetto

52 Irrera M., cit.,9 p. 2053 Irrera M., cit.,9 p. 20 “Le “norme-obiettivo” sono anche quelle riguardanti il bilancio di esercizio: le clausole

generali concernenti la chiarezza, e soprattutto, la rappresentazione veritiera e corretta sono destinate, infatti a prevalere su quelle concernenti il contenuto e la struttura dello stato patrimoniale e del conto economico; qualora, infatti, le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non siano sufficienti a offrire una rappresentazione veritiere e corretta, occorre fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo (art. 2423, 3° comma, c.c.); analogamente se – in casi eccezionali – l'applicazione di una norma è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata (art. 2423, 4° comma, c.c.)”.

54 Irrera M., cit.,9 p. 15 55 Si ritiene necessario, a questo livello, un accostamento al controllo interno di un controllo di trasparenza , poiché si

pensa che tale controllo interno sia inteso nella sua forma più semplice e basilare; si vedrà come, in realtà, l'accuratezza e la forza dei sistemi di internal audit siano in grado di contenere al loro interno tutte le azioni necessarie al controllo dell'assetto.

56 Mozzarelli M., 2010, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell'attività imprenditoriale , in Amministrazione e controllo nel diritto delle società : liber amicorum Antonio Piras , Torino, I ed. Giappichelli, 2010 p. 739.

Page 13: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

direttamente responsabile.

Ma quand'è che, in via generale, gli amministratori possono essere accusati di aver violato i

proprio dovere? La risposta è semplice, quando non adempiono al dovere loro imposto dall'art.

2381 c.c., ovvero essi non si curano degli assetti adeguati e del loro mantenimento. A compiere tale

valutazione è il giudice, il quale ha la possibilità di sindacare immediatamente l'adeguatezza degli

assetti. Nonostante si sia evidenziata l'importanza che gli amministratori agiscano liberamente è

bene precisare che in questo contesto la loro discrezionalità non è in alcun modo tutelabile dalla

business judgement rule, dunque il giudice può sindacare sulle scelte organizzative fatte senza

alcuna limitazione. Infine è bene precisare che, ovviamente, gli amministratori risponderanno solo

per i pregiudizi subiti dalla società per cui vi sia un nesso causale tra la violazione delle regole

concernenti gli assetti e il fatto addebitato loro57.

Un ultimo quesito relativo alla responsabilità degli amministratori è: la presenza di assetti

adeguati può sollevare l'organo amministrativo dalla responsabilità di fronte ad un pregiudizio

subito dalla società durante la gestione operativa? Nonostante gli assetti siano costituiti allo scopo

di evitare perdite è possibile che queste si verifichino anche nella migliore delle organizzazioni

interne. In questo caso, nell'impossibilità di individuare il soggetto responsabile di aver permesso

che si verificasse il pregiudizio, vengono definiti responsabili gli amministratori.

La presenza di un assetto adeguato non può evitare che gli amministratori non siano responsabili,

tuttavia, è chiaro che la loro colpa sarà di certo mitigata dalla valutazione positiva del modello

organizzativo scelto.

Conclusione. - È ormai comprovato che la riforma dell'art. 2403 c.c. abbia portato considerevoli

innovazioni in ambito societario; tuttavia l'aspetto più interessante di tali novità è la forte

interrelazione che il legislatore ha volutamente mantenuto con le scienze aziendali.

La prassi, già presente sia nella corretta amministrazione che nella costituzione di assetti adeguati,

risulta totalmente rispettata dal legislatore che finalmente cede alla necessità di introdurre le scienze

aziendali nel proprio ordinamento riconoscendo loro la dovuta importanza.

Nello svolgere l'analisi dei due principi “per eccellenza” ci si rende conto che il distacco della

disposizione normativa generale e gli aspetti concreti dell'attività di gestione d'impresa non sono

così distanti fra loro. Il dubbio scaturiva dall'idea che, nel trasformare il fatto concreto in

disposizione normativa, il legislatore si allontanasse dalle varie esigenze che l'impresa possiede,

sacrificandole per il rispetto degli obblighi generali; ebbene così non è stato.

Di certo il principio dell'adeguatezza degli assetti è maggiormente emblematico a questo riguardo,

57 Mozzarelli M., 2010, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell'attività imprenditoriale , in Amministrazione e controllo nel diritto delle società : liber amicorum Antonio Piras , Torino, I ed. Giappichelli, 2010 p. 739.

Page 14: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

proprio perché la disciplina aziendalistica è sempre presente nel suo rispetto; la necessità di cucire

addosso all'impresa un modello organizzativo adeguato alle proprie esigenze, è una sostanza che

deve necessariamente poter prevalere sulla forma.

Ne deriva che l'interesse dell'impresa, non solo si aggiunge all'elenco degli interessi da tutelare –

come l'interesse dei soci e dei soggetti terzi – ma si pone al primo posto tra questi, coerentemente

con il fatto che senza impresa non vi sarebbero interessi da tutelare.

Sulla base di quanto fino ad ora affermato ci si augura che le future modifiche in ambito societario

continuino a basarsi sulla concretezza della disciplina aziendale, e che tendano a rispettare

l'obiettivo cardine dell'impresa in ogni sua sfaccettatura.

Bibliografia

1. Alpa G., Mariconda V., 2009, Codice Civile Commentato,libro V, Milano, II ed., Ipsoa,

2009, p. 1612 e ss.

2. Benedetti A., Epifani F., 2011, Responsabilità degli amministratori e criterio generale di

diligenza,in

http://www.diritto24.ilsole24ore.com/sistemaSocieta/societario/approfondimenti/2011/06/res

ponsabilita-degli-amministratori-e-criterio-generale-di-diligenza.full.html .

3. Buonocore V. , “Adeguatezza,precauzione, gestione e responsabilità : chiose sull'art. 2391,

commi terzo e quinto, del codice civile”, in Giur. Comm., 2006, ed. I, 2006

4. Cass. 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, p. 1517

5. Cass. Civ. Sez. I, 22 aprile 2009, n. 9619, in Rivista di Diritto Societario, 2011,1, p. 94 e ss.

6. Corte di Cass. 17 Gennaio 2007, n. 1045, in Rivista di Diritto Societario, 2009, 1, p. 80.

7. De Nicola A., Il diritto dei controlli societari, I ed., Milano, Gruppo24ore, 2010, 4.

8. Irrera M., 2011, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove

clausole generali, in Rivista di Diritto Societario, Torino, Giappichelli , 2, pp. 358-369.

9. M. Irrera, 2009, Profili di corporate governance della società per azioni tra responsabilità,

controlli e bilancio, I ed., Milano, Giuffrè, 2009;

10. Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, I ed., Milano,

Giuffrè, 2005

11. Irrera M. , 2010, L'obbligo di corretta amministrazione e gli assetti adeguati, in Di

Scopaniello L. (a cura di) Corporate Governance Models and Liability of directors and

managers, Milano, I ed. FrancoAngeli, 2010;

12. Katufà I., 2010, Adeguatezza degli assetti e responsabilità gestoria, in Amministrazione e

controllo nel diritto delle società, in Liber amicorum Antonio Piras, Torino, I ed.

Page 15: CORRETTA AMMINISTRAZIONE E ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI

Giappichelli, 2010;

13. Mozzarelli M., 2010, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione

dell'attività imprenditoriale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società : liber

amicorum Antonio Piras, Torino, I ed. Giappichelli, 2010;

14. Olivieri G.,Presti G., Vella F. (a cura di ), Il diritto delle società, II e., Associazione Preite,

Bologna, 2006,

15. Sfameni P., 2007, “Responsabilità da reato e nuovo diritto azionario: appunti in tema di

doveri degli amministratori e organismo di vigilanza”, in Riv. Soc., 2007;

16. Trib. Milano, 5 marzo 2007, in Giur. it., 2007, 12, p. 2778.

17. Toffoletto A. , “Amministrazione e Controlli” in Aa. Vv. Diritto delle società (Manuale

breve), IV e., Milano 2008;

18. Zanardo A., Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, I

ed., Milano, Cedam,2010

09/07/2012

Roberta Mannu

Matricola 30041274