contro i margini: l'amica geniale tra dimensione personale

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Dickinson College Dickinson Scholar Student Honors eses By Year Student Honors eses 5-21-2017 Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale e narrativa era Dal Prà Iversen Dickinson College Follow this and additional works at: hp://scholar.dickinson.edu/student_honors Part of the Italian Literature Commons , and the Women's Studies Commons is Honors esis is brought to you for free and open access by Dickinson Scholar. It has been accepted for inclusion by an authorized administrator. For more information, please contact [email protected]. Recommended Citation Dal Prà Iversen, era, "Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale e narrativa" (2017). Dickinson College Honors eses. Paper 263.

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Page 1: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Dickinson CollegeDickinson Scholar

Student Honors Theses By Year Student Honors Theses

5-21-2017

Contro i margini: L'amica geniale tra dimensionepersonale e narrativaThera Dal Prà IversenDickinson College

Follow this and additional works at: http://scholar.dickinson.edu/student_honors

Part of the Italian Literature Commons, and the Women's Studies Commons

This Honors Thesis is brought to you for free and open access by Dickinson Scholar. It has been accepted for inclusion by an authorized administrator.For more information, please contact [email protected].

Recommended CitationDal Prà Iversen, Thera, "Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale e narrativa" (2017). Dickinson College HonorsTheses. Paper 263.

Page 2: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

DICKINSON COLLEGE Dipartimento di Studi Italiani 

 

 

Contro i margini: L’amica geniale tra dimensione personale e narrativa 

  

 

 

Tesi Finale per il Conseguimento della Laurea con Lode in Studi Italiani 

 

Laureanda Thera Dal Prà Iversen 

 

Relatrice:  Nicoletta Marini-Maio, Ph.D. Associate Professor of Italian and Film Studies 

Correlatore:  Nicola Lucchi, Ph.D. Visiting Assistant Professor of Italian 

Correlatrice:  Ellen Nerenberg, Ph.D. Hollis Professor of Romance Languages and Literatures, Wesleyan University 

 

 

Anno Accademico 2016/2017 

Page 3: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Ringraziamenti  Prima di tutto, mi piacerebbe ringraziare tutto il dipartimento di italiano: siete stati un sostegno indispensabile, un Career Center personale, e, soprattutto, una famiglia estesa. Bosler è stato a volte odiato, a volte amato -- ma a causa di voi sarà sempre casa. Nel dipartimento vorrei in particolare ringraziare il Professor Lanzilotta, che è stato il mio primo professore e advisor. La ringrazio per la sua dedizione all’italiano che mi ha ispirato a fare un major di italiano, e per aver chiesto un giorno tre anni fa se volevo fare parte del Circolo Italiano. Vorrei anche ringraziare il Professor Lucchi, che ha acconsentito a saltare nella tana ferrantiana del bianconiglio, e per la sua guida durante questo processo. Un grazie speciale al Professor Trazzi per avermi sostenuto con le caramelle per un anno; per avermi insegnato l’itaglish; per esser stato un cicerone mantovano; e per consentirmi di essere ancora (e per sempre) una trazziana, anche se soddisfo solo uno dei requisiti. Un grazie a Delphine e Natalie, le mie amiche geniali, che mi hanno sempre sostenuto e ispirato. Senza di voi non avrei mai fatto il trekking a Cinque Terre, ma forse avrei visto l’Altare della Patria a Roma. Ringrazio la Professoressa Ellen Nerenberg che ha gentilmente offerto il suo feedback durante questo processo, e vorrei anche ringraziare Samia Ahmed, Alex Green e Drew Weing, che mi hanno generosamente dato il permesso di usare le loro illustrazioni in questa tesi. Ci sono alcune persone che devo ringraziare, senza cui questa tesi non sarebbe mai esistita. Grazie alla Vice Presidente Joyce Bylander, la Professoressa Sharon O’Brien, e l’ex Presidente Durden: non posso ringraziarvi sufficientemente per avermi trovato e per avermi dato l’opportunità di frequentare Dickinson. Grazie ai miei genitori, alla mia famiglia, ai miei amici, e al mio ragazzo per il vostro sostegno perenne e per aver sopportato i miei silenzi lunghi mentre scrivevo le due tesi. Questa tesi, così radicata nel tema dei rapporti femminili, deve molto a tante donne. Innanzitutto ringrazio la Professoressa stellare Marini-Maio: grazie per condividere l'ossessione per l’espresso; per il suo zelo incessante; per aver trovato un modo per me di tornare in Italia; e per avermi aiutato a trovare la mia voce italiana. Lei è un’ispirazione e non cessa mai di stupirmi con la sua genialità -- grazie mille per tutto. Grazie anche al dipartimento d’inglese, particolarmente la Professoressa Seiler, che ha condiviso la Ferrante fever e che ha sempre creduto in me. Grazie a tutte le donne nella mia famiglia. Esther Popel, Nonna Pat, Nonna Gina, Rosanna e Paola: siete le mie eroine. Infine, grazie a mia madre, a cui dedico questa tesi. Sei la mia mamma geniale, la mia co-viaggiatrice, la mia fonte d’ispirazione. Lenù teme sempre di diventare come sua madre; io temo di non riuscire mai a diventare straordinaria la metà di quanto sei tu.

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Page 4: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Indice dei capitoli 

Introduzione 5

Capitolo 1: Ripercorrere i loro passi: sperimentare la Napoli ferrantiana come donna

Premessa metodologica 11

Il rione Luzzatti 21

San Giovanni a Teduccio 28

Piazza dei Martiri & Via Chiaia 32

Il Vomero & Posillipo 36

Io che mi guardo, io che mi racconto 40

Capitolo 2: L’amica scomparsa: la smarginatura come manifestazione del postfemminismo

Premessa teorica 47

La dualità 55

L’appropriazione 60

La cancellazione 65

Conclusione 70

Bibliografia 72

Indice degli acronimi  

La tetralogia (Tutti e i quattro romanzi)

L’amica geniale

L’amica geniale (Il primo romanzo della tetralogia)

Ag

Storia del nuovo cognome Snc

Storia di chi fugge e di chi resta Sfr

Storia della bambina perduta Sbp

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Solo quando la storia ce la sentiamo addosso in ogni suo momento o angolo…

essa si lascia scrivere bene.

Elena Ferrante, La frantumaglia (225)

Mi sembra che tutto questo non farà più soffrire quando sarà in un libro… Allora non sarà

più niente. Sarà cancellato. Lo scopro con questa storia che ho con te: scrivere è anche

questo, probabilmente, cancellare. Sostituire.

Marguerite Duras, Emily L. (22)

Tradotto da Laura Guarino

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Page 6: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Introduzione 

C’è un nuovo aggettivo e che si sta diffondendo nei circoli letterari, una frase che

sta entrando nelle fila di altri aggettivi come “kafkiano”, “omerico” e “joyciano”. Ma a

differenza di questi aggettivi derivati dai loro autori rispettivi -- Franz Kafka, Omero e

James Joyce -- questo aggettivo nuovo deriva da una scrittrice femminile: “ferrantiana”.

Dopo la pubblicazione della tetralogia L’amica geniale, composta dai romanzi L’amica

geniale (2011), Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e di chi resta

(2013), e Storia della bambina perduta (2014), l’autrice Elena Ferrante e la sua scrittura

sono diventate un nuovo simbolo internazionale della letteratura e cultura italiane. La

tetralogia è un romanzo di formazione che tratta della storia di Elena Greco e Raffaella

Cerullo dalla loro infanzia all’età matura. Questa opera monumentale analizza il rapporto

di simbiosi e opposizione della protagonista Elena, chiamata Lenù, e la sua

co-protagonista Raffaella, chiamata Lina da tutti ad eccezione di Lenù, che la chiama

Lila. L’amica geniale inizia nell’Italia postbellica e copre cinquant'anni di storia italiana,

narrata attraverso l’amicizia di Lenù e Lila. L’arco narrativo include gli amori, i

matrimoni, i figli, i conflitti e il lavoro di Lenù e Lila, sullo sfondo di eventi storici,

problemi socioeconomici e riferimenti culturali complessi, ma l’amicizia di Lenù e Lila

rimane sempre come il fulcro della tetralogia.

Ferrante ha ricevuto lodi sia domestiche sia internazionali per la tetralogia, ma la

sua identità vera, al di là di ipotesi plausibili ma non confermate dalla diretta interessata,

rimane un mistero. “Elena Ferrante” è uno pseudonimo e un’identità costruita che ha

acquisito una dimensione pubblica attraverso interviste protette e un libro autoreferenziale

sul suo processo di scrivere, intitolato La frantumaglia (2003), che è stato ripubblicato nel

2016 in una versione ampliata per includere interviste, lettere e saggi in cui Ferrante

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Page 7: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

risponde alle domande dei suoi lettori. In più, Ferrante riflette sui suoi altri romanzi, la

tetralogia, il suo processo di scrivere e la sua scelta di anonimità. Lasciando da parte le

teorie del complotto e l’ostilità che Ferrante ha ricevuto nei media nazionali e

internazionali, è innegabile che la sua identità costruita ha attratto un grande interesse

pubblico, che ha creato un fenomeno internazionale che i media hanno denominato

“Ferrante Fever” -- un fenomeno che Ferrante e i suoi curatori hanno probabilmente

alimentato con la scelta di ripubblicare La frantumaglia dopo il successo internazionale

dell’Amica geniale.

Dato che l’oggetto di analisi di questa tesi è L’amica geniale, anche questa tesi è

un frutto del “Ferrante Fever”. La tesi si concentra sul paradigma del corpo, nel suo senso

letterale e metaforico: il “corpo” di Napoli in cui le protagoniste vivono e il mio corpo di

donna che interagisce con l’ambiente napoletano (capitolo uno) e i corpi fisici delle

protagoniste (capitolo due). La mia analisi si concentrerà su come questi corpi diversi --

Napoli, io, le protagoniste, spesso in conflitto l’una con l’altra -- si formano, si

deformano, e arrivano perfino a cancellarsi. Tale esplorazione è condotta attraverso una

visione frammentata in prospettive diverse e a volte in conflitto: il femminismo italiano,

particolarmente il pensiero della differenza, il postfemminismo e la semiotica . 1

Ispirandomi al concetto di un “oggetto narrativo non identificato”,

concettualizzato da Wu Ming 1, definisco la mia tesi come un “oggetto d’analisi critica

non identificabile”. Wu Ming 1, un collettivo di scrittori italiani che hanno scelto di

rimanere anonimi, ha proposto che “Fiction e non-fiction, prosa e poesia, diario e

inchiesta, letteratura e scienza, mitologia e pochade. Negli ultimi quindici anni molti

autori italiani hanno scritto libri che non possono essere etichettati o incasellati in alcun

1 Baso la mia analisi semiotica sul libro Semiotica del testo: Metodi, autori, esempi di Maria Pia Pozzato dal 2003.

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modo, perché contengono quasi tutto…Non è soltanto un’ibridazione ‘endo-letteraria’,

entro i generi della letteratura, bensì l’utilizzo di qualunque cosa possa servire allo scopo”

(41). In altre parole, Wu Ming 1 ha proposto che ogni libro del “New Italian Epic” -- la

definizione di un insieme di opere letterarie italiane da autori diversi -- ha dei tratti così

diversi che non si può caratterizzarli basandosi sugli aspetti che hanno in comune, ma

invece che i loro tratti diversi li rendono “oggetti narrativi non identificati”.

Per capire questa tesi è importante capire un concetto fondamentale nell’Amica

geniale, un concetto che rimane anche come il filo rosso di questa tesi: la metafora estesa

della smarginatura. Nella mia analisi prendo in esame la smarginatura facendo riferimento

a immagini e definizioni definite in modi diversi, ma tutte derivanti dalla lettura della

tetralogia e dall’analisi dei suoi luoghi e delle sue personagge : nel primo capitolo mi 2

concentro sulla smarginatura come una “gomma” che cancella o i bordi che dividono

Napoli o i miei margini interni, e nel secondo capitolo analizzo la smarginatura secondo

la definizione di Lila, che chiarirò a fondo nel capitolo, ma in poche parole la

smarginatura è la sua continua sensazione psicologica di minaccia che il mondo e il suo

corpo sono esposti alla possibilità, minacciosa ed improvvisa, di dissolversi fisicamente.

Quando sono partita per Napoli, intendevo scoprire quali emozioni la città mi ha

imposto per capire meglio come lo sviluppo di Lenù e Lila fosse collegato alla loro

relazione con la città. Perciò, non ho adottato una domanda generale che ha unito ogni

capitolo, ma ho inteso che la mia ricerca presentasse una conoscenza supplementare per

analizzare lo sviluppo di Lila e Lenù come personagge. Ma ciò che ho trovato a Napoli è

2 Baso il mio utilizzo di questa parola su come viene utilizzata nell’Invenzione delle personagge (2016), a cura di Roberta Mazzanti, Silvia Neonato e Bia Sarasini, in cui resistono l’idea che le personagge -- a differenza della parola maschile “i personaggi” -- “restano impigliate a subalternità tradizionali” (7). In questa collezione di saggi, le scrittrici investigano le personagge per interpretare e raccontare “l’autonoma esistenza di queste creature inventate nella mente collettiva” (Sarsini 18), e la varietà e diversità delle personagge femminili entro il corpus mondiale -- uno scopo che anch’io faccio mio nell’analisi di Lila e Lenù.

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stata una cosa diversa. Il mio strumento metodologico -- visitare ogni parte di Napoli che

Ferrante ha menzionato nella tetralogia -- è diventato l’ancora per la mia analisi del

primo capitolo. Ho scoperto la tensione tra ciò che ho denominato la mia esperienza di

“smarginatura” e i bordi fisici di Napoli: mentre alcune aree di Napoli rafforzano la 3

sensazione di un’area chiusa e claustrofobica, altre aree mi hanno dato una sensazione di

libertà. In ogni caso, queste sensazioni erano a causa dell’area geografica in cui ero (la

vicinanza al centro storico, la mancanza o l’eccesso delle mura, la vista o mancanza di

vista, la quantità di gente intorno a me, l’aspetto fisico dei palazzi nelle aree), che in turno

mi hanno fatto sentire o che i miei bordi interni sono stati rinforzati o che si sono

smarginati. Da questo punto di vista, il concetto del “bordo” può essere capito in due

modi diversi: innanzitutto come un concetto legato al posto geografico (il confine tra i

quartieri diversi, l’eccesso o la mancanza di mura che rendono o l’area chiusa o aperta),

ma anche come un concetto legato alla mia autocoscienza. Cioè, il mio viaggio a Napoli è

diventato un viaggio autoriflessivo sulla mia identità come donna, in cui ho vari “bordi”

diversi che o mi escludono dalla società italiana o mi includono: il mio aspetto fisico (il

mio colore di pelle, i miei capelli, il mio linguaggio corporeo), la lingua (l’abilità di

parlare italiano, l’accento norvegese), e i miei bordi interni, cioè la mia identità in cui mi

identifico come una donna multiculturale -- un’identità che a volte è stata confermata e a

volte smarginata dall’ambiente napoletano.

Il primo capitolo della tesi si concentra sulla ricerca che ho condotto a Napoli

personalmente. La tensione tra i corpi diversi, cioè i corpi fittizi (delle protagoniste) e il

3 La riflessione del mio percorso a Napoli è diventata un memoriale, dunque una scrittura molto personale. Perciò, la mia esperienza di “smarginatura” è anche stata una sensazione molto personale. Altre persone che visitano Napoli possono forse anche provare una sensazione di “smarginatura”, ma dato che la “smarginatura” è una coscienza soggettiva, il loro concetto di “smarginatura” e la loro impressione che i margini di Napoli si “smarginano” possono essere molto diversi dalla mia percezione di “smarginatura”.

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corpo socio-geografico (il mondo in cui le protagoniste vivono), trovano il loro nucleo nel

rione che ho vissuto in gennaio 2017. La ricerca è stata un’opportunità per capire come

Lenù e Lila sono formate -- e deformate -- dal loro ambiente. Ho perlustrato il rione e altri

quartieri napoletani importanti per i romanzi, e ho notato le mie reazioni emotive e

sensoriali come donna nell’ambiente napoletano. Questa metodologia mi ha aiutato a

capire come il mio corpo di donna interagisce con l’ambiente napoletano, che mi porta a

riflettere meglio su come il rione forma Lila e Lenù, come le nostre esperienze a Napoli

erano simili o diverse, e ha dato più significato a come loro come donne e “personagge”

vivono in questo luogo unico. Infine, questa metodologia euristica attraverso il mio corpo

mi ha dato la possibilità di assumere un ruolo critico forte e personale. La smarginatura

forma e deforma l’identità di Lila e Lenù, e in questo capitolo concludo con una

riflessione -- quasi un memoriale -- di come anch’io ho subito un processo di

smarginatura durante il mio soggiorno a Napoli. Analizzo i concetti di bordi, margini,

claustrofobia e libertà, e come le varie aree di Napoli mi hanno fatto sentire queste

emozioni o come i miei margini si sono smarginati, che a turno mi hanno fatto riflettere

sulla mia identità multiculturale e il mio corpo di donna.

Il secondo capitolo si concentra sui corpi di Lenù e Lila, dalla loro infanzia all’età

matura. I loro corpi si sviluppano in modi diversi a causa della fame, del benessere

economico acquisito o meno, dell’età e durante le relazioni amorose. Analizzo prima la

dualità delle amiche: i corpi delle due protagoniste diventano centrali nella narrazione

specialmente durante l’adolescenza, i rapporti sessuali e la gravidanza, che sono due

esperienze in cui le differenze tra Lila e Lenù sono particolarmente evidenti. Poi analizzo

l’appropriazione di Lenù della sua amica: all'inizio della tetralogia, le due amiche

vengono rappresentate come opposti, ma pian piano Lenù comincia ad inglobare tutto ciò

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che la sua amica desidera o ottiene: l’educazione, la narrazione, il lavoro come scrittrice,

e il ruolo come madre. Infine, analizzo come questa appropriazione è un processo di

smarginatura di Lila dalla parte di Lenù. Da una parte, l’amicizia di Lenù e Lila richiama

tante delle caratteristiche dell’ideale femminista della sorellanza, dato che il fulcro della

tetralogia è la loro amicizia dentro sessant’anni di storia italiana. Dall’altra parte, la

narrazione di Lenù fa subire a Lila un processo di smarginatura: Lenù cambia, filtra e

censura le parole di Lila tramite la sua scrittura in un tentativo di stabilire un’identità non

dipendente dalla sua amica, e questo tentativo segue più l’individualismo del

postfemminismo che la sorellanza della seconda ondata femminista. Questo rende Lila

non una persona in se stessa, ma piuttosto una personaggia costruita da Lenù nella sua

scrittura. Lenù rimane come un conglomerato della sua voce narrante e la voce di Lila di

cui si è appropriata, mentre Lila -- mai capace di intervenire nella scrittura di Lenù --

viene smarginata fino a sparire fisicamente, e rimane solo come una memoria di una

persona che Lenù ha creato per riaffermare la propria indipendenza dalla sua amica.

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Capitolo uno 

Ripercorrere i loro passi: sperimentare la Napoli ferrantiana come donna 

Illustrazione di Alex Green. 

PREMESSA METODOLOGICA

Nel gennaio 2017, durante la pausa invernale, sono andata a Napoli per fare

ricerca e seguire le tracce di Lenù e Lila dove hanno vissuto e dove la storia si è svolta.

La ricerca è stata pertanto un approccio euristico all’interpretazione della tetralogia e in

questo senso, “il paradigma del corpo” diventa un approccio metodologico. In sostanza, è

stata mia intenzione investigare il valore testuale di questo mondo socio-geografico e

viaggiare a Napoli per rintracciare fisicamente le tracce topografiche che Ferrante ha

lasciato nei suoi libri. Ho inteso capire come Ferrante concepisce la città come materia

testuale, e in che modo potrebbe essere percepita come tale dai suoi lettori.

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Prima di gennaio non ero mai stata nella città di Napoli, ma la sua reputazione la

ha preceduta. Anche prima di leggere la tetralogia, la mia impressione di Napoli era

quella di una città piena di criminalità legata alla mafia, che esisteva una povertà

persistente, che era un posto dove né gli italiani né i turisti rimangono per tanto tempo, e

soprattutto che era una città pericolosa, specialmente per le donne. Queste impressioni

sono state culminate da pettegolezzi fuggevoli che ho origliato e che sono rimasti con me

quando ho visitato l’Italia (ad eccezione della Sicilia sono stata solo nel nord d’Italia

prima della ricerca a Napoli), dall’immagine violenta di Napoli che Roberto Saviano ha

raffigurato nel suo libro Gomorra (2006), e anche dai miei professori italiani, che hanno

avuto quasi tutti un’espressione preoccupata quando ho spiegato la mia intenzione di

viaggiare a Napoli e perlustrare la città da sola. Ho persino ricevuto un consiglio di

andare sempre in giro con la mia borsa nascosta sotto il cappotto. Dove stavo andando?

Dopo aver letto la tetralogia, la mia impressione della città è stata che era una città

di contrasti. La povertà, la criminalità, la violenza -- specialmente il pericolo delle

molestie sessuali contro le donne -- sono stati confermati dalle parole di Ferrante. Ma

c’era anche un’altra città che ha brillato dentro le pagine, una città con il mare immenso,

dove c’erano delle aree più ricche e verdi con una vista splendida. In altre parole, c’era

una parte della città che era in contrasto con la povertà del rione, un contrasto che Lenù

conferma e su cui riflette. Insomma, quando sono stata sulla soglia dell’aereo che mi ha

portato a Napoli non ero sicura di che cosa mi aspettasse.

Vorrei riflettere per un attimo su come mi ero immaginata la ricerca a Napoli

sarebbe andata. Nell’Amica geniale Lila e Lenù esemplificano il pensiero femminista

della differenza, il quale vede le donne non semplicemente come “altre” e tutto ciò che il

corpo maschile non è, ma invece come corpi indipendenti in rapporto con il mondo

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esterno -- e per Lila e Lenù, il “corpo” del rione è fondamentale per il loro sviluppo come

donne, dato che vivono lì per la maggior parte delle loro vite. Sono arrivata a Napoli con

l’intenzione di perlustrare la città usando il mio corpo come strumento di ricerca per

capire come io avrei reagito all’ambiente del rione e confrontare la mia esperienza con

quella di Lenù e Lila. Volevo esprimere non solo i miei sentimenti in relazione agli spazi

e alle persone che avrei incontrato, ma anche le mie reazioni sensoriali verso gli odori, i

suoni e altre percezioni fisiologiche.

Questo metodo di impiegare il mio corpo come strumento di ricerca segue le idee

del movimento femminista italiano, come le teorie di Adriana Cavarero, Luisa Muraro e

Carla Lonzi. Si tratta di critiche femministe fondamentali della teoria della differenza

dalla seconda ondata femminista, che ha spinto per analizzare la società italiana

patriarcale; sono state sostenitrici dell’agire libero delle donne e hanno scritto

dell’emancipazione femminile in modi diversi. Lonzi si è concentrata su come strutture di

potere economiche e politiche sono discriminatorie contro le donne e come l’assenza

delle donne dalla storia può essere un’opportunità per creare un’identità femminile

separata dall’influenza degli uomini. Lonzi rifiuta il paradigma razionale illuminista, che

possiede “requisiti di oggettività, universalità e necessità pari alle ‘leggi’ o massime del

diritto naturale discusse dai giureconsulti e teorici della politica del XVII secolo”

(“Illuminismo”). Lonzi, che segue la seconda ondata femminista, rifiuta questa oggettività

assoluta, e mette invece enfasi su soggettivismo, pluralità e fluidità. Questa fluidità

appartiene particolarmente al corpo femminile, che non è subalterna al corpo maschile,

ma invece diversa. Questo soggettivismo e fluidità del corpo femminile è fondamentale in

questo capitolo, che sarà evidente nella mia analisi seguente. Muraro ha analizzato come

la differenza sessuale determina come le donne e gli uomini si comportano in modi

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diversi, stabilendo così che l’identità femminile non è determinata dalla sua differenza

dell’identità maschile, ma che è un’identità separata e determinata dalla biologia. Questo

pensiero non lascia uno spazio ampio per gli studi di genere -- in cui il genere non è

determinato dal sesso biologico -- ma il mio progetto prende un punto di partenza

primariamente dalla teoria di Cavarero. Nel suo libro Tu che mi guardi, tu che mi racconti

(1997), Cavarero sostiene che l’identità femminile è narrabile, cioè il processo di

sviluppare un’identità dipende da un altro che ci racconta -- ma sottolinea l’importanza di

reciprocità in questo rapporto con un altro -- o altra -- che ci racconta, così stabilendo un

rapporto di uguaglianza. A Napoli non ho avuto un’altra persona con me che mi potesse

aiutare a raccontare come ho percepito la città -- ma la teoria di Cavarero è fondamentale

per questo capitolo perché rifletto sul processo di come costruire un’identità -- e perché

anch’io narro la mia esplorazione a Napoli, e rifletto su come mi identifico come una

donna multiculturale e come i quartieri di Napoli mi hanno aiutato a stabilire questa

identificazione attraverso un processo di riflessione sui miei bordi interni ed esterni. La

narrazione del mio percorso a Napoli richiede una metodologia “soggettiva”, dato che

rifletto sulla mia identità e le somiglianze e differenze tra me stessa, Lila e Lenù. Questa

soggettività sparisce nel secondo capitolo, nel quale ritornerò al “close reading” per

analizzare l’amicizia di Lenù e Lila nell’Amica geniale. In altre parole, il secondo

capitolo di questa tesi ha una metodologia “oggettiva”, in cui io non sono una figura

chiave per avere un’analisi approfondita della tetralogia, mentre ho una presa di posizione

molto più personale nel primo capitolo.

Ecco: torniamo alla mia esperienza a Napoli. Alcune volte sono costretta a

interrompere il mio memoriale con schegge di teoria per illustrare come sono arrivata alle

mie conclusioni. Ho svolto un’esplorazione di Napoli, specificamente il rione, San

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Giovanni a Teduccio, il centro storico e l’area del Vomero e Posillipo in cui ho

investigato la questione del bordo. Si può capire il bordo, anche chiamato margine in

questa tesi, in due modi: da una parte, il bordo è la separazione visuale tra quartieri o tra

le aree a Napoli. Questi bordi sono evidenti o su mappe della città, come la divisione tra i

quartieri diversi, o visibili nella città stessa, come un muro intorno al rione, l’entrata al

quartiere di San Giovanni a Teduccio dalla stazione, la storicità evidente nell’architettura

nel centro storico, o l’altitudine e separazione del Vomero e Posillipo dal resto della città.

D’altra parte, il bordo può anche essere capito come un concetto metafisico. La

smarginatura viene spiegata da Lila, attraverso la narrazione di Lenù: “Diceva che in

quelle occasioni si dissolvevano all’improvviso i margini delle persone o delle cose…lei

aveva avuto l’impressione che qualcosa di assolutamente materiale, presente intorno a lei

e intorno a tutto da sempre, ma senza che si riuscisse a percepirlo, stesse spezzando i

contorni di persone e cose rivelandosi” (Ferrante Ag 85-6). La definizione di

“smarginatura” che Lenù ci offre può essere analizzata in molteplici metodi -- alcuni di

questi metodi saranno infatti utilizzati nel secondo capitolo di questa tesi -- ma in questo

primo capitolo, il concetto della smarginatura verrà applicato per capire come io

percepisco le varie aree di Napoli di avere o dei margini chiari e rigidi o che subiscono un

processo di smarginatura, in cui i loro contorni si “dissolvono” o “spezzano”, per usare

termini ferrantiani.

L’amica geniale non mi ha imposto un senso di dover sperimentare Napoli nella

stessa maniera di Lenù e Lila. Invece, seguendo le tracce che Ferrante ha lasciato nei libri

mi ha invitato a capire come l’analisi letteraria si può estendere fuori dal corpus dei libri.

Per spiegare questo concetto, l’analisi di Cristina Moretti, dal suo libro Milanese

Encounters (2015), di come una donna può muoversi in una città, lo spiega bene: “The

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very activity of seeing and walking through the city becomes a practice of engagement

with urban locales and a way of negotiating one’s identity…Her daily promenading,

seeing and recognizing certain landscapes confirms Francesca as a legitimate

viewer/speaker” (Moretti 193). Usando il mio corpo di donna, come ha fatto la guida di

Moretti, Francesca, la mia esplorazione di Napoli mi ha “[confirmed]…as a legitimate

viewer/speaker”. Facendo questo, la mia coscienza femminista si è estesa, visto che

l’esperienza di usare il mio corpo come uno strumento di ricerca mi ha costretto a capire

come l’ambiente napoletano mi impone emozioni di libertà, claustrofobia e paura. Il mio

tentativo di usare il mio corpo di donna è stato un tentativo di “separatezza” per realizzare

“autoriconoscimento” dentro un metodo di analisi che per tanto tempo è stato dominato

dagli uomini.

La mia analisi in questo capitolo sarà dunque una ribellione contro l’analisi critica

che mi viene imposta (e che viene imposta su Lenù e Lila), in quanto l’analisi critica

tradizionale -- per esempio il close reading -- chiede al lettore di concentrarsi soltanto

sulle pagine scritte. Ispirandomi dal rifiuto del paradigma illuminista patriarcale da parte

di Lonzi -- che rifiuta l’oggettività come la metodologia migliore per capire un soggetto,

un testo o perfino il mondo (“Femminismo”) -- anch’io rifiuto l’oggettività nella mia

analisi di Napoli, Lenù, Lila e me stessa in questo capitolo. Adriana Cavarero sostiene

che “pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo significa pensarla come

già pensata, ossia pensarla attraverso le categorie di un pensiero che si regge sul non

pensamento della differenza stessa. Come un “di più” la donna è già, a partire dal piano

logico, un “di meno”’ (Le filosofie femministe 48). Seguendo la teoria della differenza, io

reclamo letteralmente uno spazio femminile in cui posso fare ricerca con il mio corpo di

donna. Con una coscienza femminista sono entrata a Napoli con il mio corpo di donna e

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“soggetto smarginato” con l’intenzione di approfondire la mia conoscenza dei libri e di

come Napoli ha l’abilità di formare le donne che vivono lì.

In questo capitolo della mia analisi dell’Amica geniale, mi concentrerò sul rione,

su San Giovanni a Teduccio (dove Lila si è trasferita con Enzo), su via Chiaia (dove i

ragazzi del rione vanno per vedere il centro storico di Napoli) e sull’area del Vomero e

Posillipo (dove vive la Professoressa Galiani e dove Lenù vive con le sue figlie quando

comincia la sua relazione con Nino). Anche se altre parti di Napoli vengono menzionate,

come via Mezzocannone (dove Lenù lavora in una libreria) e il liceo classico Garibaldi

(che Lenù frequenta), non ci sono delle descrizioni elaborate di queste parti di Napoli.

Invece, le aree che dominano la narrazione -- e anche la mia esperienza di Napoli, come

risulterà evidente dalla mia ricerca sul campo -- sono il rione, San Giovanni a Teduccio,

via Chiaia, e l’area del Vomero e Posillipo. Queste aree sono posti dove l’impressione di

Napoli di Lenù e Lila si cambia, dove hanno l’impressione che i margini fisici della città

si sciolgano o che i margini dei loro corpi svaniscano, come descritto dalla sensazione che

Lila descrive come “smarginatura”. Dopo aver visitato i luoghi di Napoli menzionati nei

libri -- una volta con una guida e una volta da sola -- e dopo aver riletto le parti dei libri 4

dove Ferrante descrive Napoli, ho capito che per Lenù e Lila era proprio il loro essere

donne in queste aree e la loro esplorazione fuori e dentro i confini del rione che è

essenziale per capire come la città di Napoli diventa una personaggia per se stessa nei

libri. Infatti, ho sperimentato una sensazione simile quando io ho visitato la città: ho avuto

due esperienze diverse quando la ho perlustrata da sola da quando la ho perlustrata con la

guida.

4 La Professoressa Marini-Maio ha scoperto che l’agenzia “Vesuvius Vs Pompeii” offre dei tour di Napoli per mostrare ai turisti (e in questo caso una studentessa) tanti luoghi di Napoli che Ferrante menziona nell’Amica geniale.

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In altre parole, in questo capitolo spiegherò come la mia ricerca mi ha aiutato ad

analizzare Napoli come “leggibile” e le differenze tra la Napoli dei libri e la Napoli come

io la ho sentita all’interno di questo quadro teorico femminista, per capire la potenza che

Napoli ha nel formare e smarginare Lenù e Lila. Nella mia analisi, pertanto, è molto

importante il topos del bordo: il bordo che mi definisce, il bordo che si smargina e la mia

sensazione della mancanza di un bordo. In un certo senso, anch’io “sputo su Hegel” , dato 5

che la ricerca a Napoli è culminata in un tipo di analisi che non è canonica, e in questo è

la mia ribellione: io entro nel testo non solo come “viewer/speaker”, come Moretti spiega,

ma anche come soggetto, specificamente un soggetto femminile, e uso il mio corpo di

donna come referente per analizzare la tetralogia. Questo capitolo diventa dunque un

misto di un approccio semi-antropologico, con la mia ricerca sul campo, un close reading

del testo, e un memoriale personale. Questo memoriale, che si trova nell’ultima sezione di

questo primo capitolo, è una riflessione di come io percepisco i miei bordi interni che mi

definiscono, come la mia esperienza si può paragonare alle esperienze di Lenù e Lila, e

come la mia percezione di essere un soggetto femminile può cambiare in relazione al

luogo di Napoli in cui ero. In sostanza, questa ricerca ha mostrato la potenza della

tetralogia: l’opera di Ferrante non è solo un capolavoro moderno, ma un percorso di

esplorazione che mi ha fatto scoprire me stessa.

5 Riferimento a Sputiamo su Hegel (1977) scritto da Carla Lonzi, una delle femministe fondamentali italiane.

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FIGURA 1: IL PERCORSO CON LA GUIDA Figura da Google Maps (“Ferrante’s Naples”), le striature sono le mie.  Il 9 gennaio 2017, il mio primo giorno a Napoli, ho incontrato la mia guida, Fiorella

Squillante, alla riviera di Chiaia (indicata con il numero 1 nella carta). Lei mi ha suggerito

di cominciare con il rione, e poi attraversare Napoli in direzione del Vomero. Il nostro

autista ci ha guidato fino al rione Luzzatti (2), dove Lila e Lenù hanno vissuto per la

maggior parte delle loro vite. In seguito abbiamo guidato fino a Piazza Dante, dalla quale

abbiamo camminato fino a Via Mezzocannone, “The bookshop”, dove Lenù ha lavorato

in una libreria durante le vacanze estive (3). Da Via Mezzocannone abbiamo attraversato

il centro storico di Napoli, i Quartieri Spagnoli, dove abbiamo incontrato di nuovo

l’autista che ci ha portato al quartiere di Vomero, Corso Vittorio Emanuele, dove la casa

della Professoressa di Lenù era, e a Via Torquato Tasso, dove Lenù ha vissuto con le sue

figlie quando ha deciso di tornare a Napoli con Nino, il suo amante (4). Abbiamo finito il

tour con una passeggiata da Piazza dei Martiri, dove era il negozio di scarpe della

famiglia di Lila, a Piazza del Plebiscito nel quartiere di Chiaia, dove le ragazze e i loro

amici si sono divertiti durante le vacanze estive (5).

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FIGURA 2: IL PERCORSO DA SOLA Figura da Google Maps (“Ferrante’s Naples”), le striature sono le mie.  Il 10 gennaio mi sono ambientata a Napoli e ho pianificato il mio percorso con

l’intenzione di rivisitare ogni posto da sola. Quel giorno è per la maggior parte stato

dedicato alla ricerca. Ho perlustrato Chiaia un po’ più e ho rivisitato Via Mezzocannone,

verso cui ho camminato dal mio appartamento a Chiaia. L’ 11 gennaio sono andata a

piedi dal mio appartamento fino a Piazza dei Martiri. Da Piazza dei Martiri ho fatto una

camminata lunga fino a Corso Vittorio Emanuele, e ho passeggiato giù tanto della strada

fino ad arrivare al Vomero e Via Torquato Tasso. Il 12 gennaio ho preso la metropolitana

a San Giovanni a Teduccio, il posto dove Lila ha lavorato in una fabbrica e ha cresciuto

suo figlio come una madre single, ed è anche stato un posto che non avevo visitato con la

guida. Dopo una breve deviazione, a causa della segnaletica sbagliata per gli autobus,

sono tornata al rione. Il 13 gennaio avevo intenzione di andare a Ischia con il traghetto,

ma il brutto tempo ha creato delle onde grandi e i traghetti sono stati cancellati.

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IL RIONE LUZZATTI 

Il rione è l’area più importante da investigare e analizzare per l’intera tetralogia. È

il posto dove Lenù e Lila vivono durante la loro infanzia e adolescenza, il posto da dove

Lenù ha provato a fuggire, il posto dove Lila è rimasta per la maggior parte della sua vita,

e il luogo dove Lenù torna durante la sua “maturità” . Nonostante abbia una presenza così 6

grande nella tetralogia, non è mai menzionato di nome nei libri, a differenza di altre aree

nelle quali si fa menzione anche delle strade in cui camminano. È stato scoperto che il

rione che Ferrante scrive è probabilmente il rione Luzzatti nella periferia di Napoli;

questo è stato scoperto da filologi che, in un progetto simile al mio, hanno seguito le

tracce che Ferrante ha lasciato nei libri e determinato che il rione Luzzatti appare in

sostanziale accordo con le descrizioni del rione trovato nei libri (“What to Do in Elena

Ferrante’s Naples”).

6 Il termine che Lenù usa per descrivere gli anni in cui torna a Napoli.

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Figure 3 e 4: Sono state scattate il 9 gennaio con la guida. Si vedono le case popolari caratteristiche del rione.

Quando sono andata al rione con la guida, durante la mia prima visita, ho visto

un’area che mi ha colpito come povera, simile all’impressione che i libri mi hanno dato. I

palazzi lì sono case popolari, la stessa architettura rettangolare è dappertutto, e il bucato è

appeso dai balconi. La guida mi racconta che un rione non è la stessa cosa di un quartiere,

ma invece una parte di un quartiere, quasi come una comunità di persone in un’area

piccola (Squillante). Il rione contiene allora soltanto alcuni palazzi, i quali sembrano

consunti. Mi danno una sensazione forte di claustrofobia -- non perché le strade siano

strette o perché l’area in se stessa è piccola, ma perché il rione sembra così isolato e

lontano dal resto di Napoli. Il rione mi dà una sensazione forte di confini chiari. Ciò

nonostante, mi sono sentita a mio agio, come evidente nelle mie note:

La gente intorno a me si veste informalmente, non raffinata come nel centro della città. Ma c’è vita anche qui. Le persone -- anche se non sono tante -- sono in gruppi. Sembrano amichevoli, ma mi guardano quando le passo. È ovvio che sono una forestiera, tutti qui si conoscono, simile alla comunità descritta nei libri. Quando compro un dolce napoletano la gente è amichevole, è come essere da qualsiasi parte in Italia. Il rione non mi spaventa, mi sento serena, ma un po’ malinconica. Com’è vivere in un posto così piccolo tutta la vita? Non c’è aria, non c’è una vista del mare, quasi non si vede neanche il centro di Napoli. Solo il Vesuvio è scarsamente visibile dietro la linea ferroviaria, una presenza incombente. (9 gen. 2017)

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Figure 5 e 6: La prima è stata scattata il 12 gennaio e la seconda il 9. Il rione sembra confinato dal resto di Napoli a causa delle mura (fig. 5) intorno il rione, che taglia la vista del mare e rinforza la sensazione che è un’area piccola. C’è anche una grande divisione tra il rione e il resto di Napoli a causa della zona nuova (fig. 6), in cui i palazzi nuovi e grattacieli sono in contrasto con il rione vecchio. A sinistra (fig. 6) si vede la chiesa in cui Lila si è sposata.

Siccome un rione è qualcosa ancora più piccolo di un quartiere, ha senso che ci sia

una comunità centrale che si raccoglie intorno ad esso. Come descritto nelle note, è ovvio

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che sono una straniera, specialmente dato che ho fatto delle foto dell’area e parlo

l’italiano con un accento. Anche Lenù afferma l’importanza della lingua per farsi

riconoscere nel rione: “Appena scendevo dal treno, mi muovevo con cautela nei luoghi

dove ero cresciuta, badando a parlare sempre in dialetto come per segnalare sono dei

vostri, non mi fate male” (Ferrante Sfr 17, enfasi nell’originale). È impossibile per me

prendere parte di questo aspetto linguistico, siccome non parlo il dialetto napoletano, ma

non sento questa minaccia che Lenù descrive. Ripensandoci, forse non ho sentito la stessa

sensazione di minaccia perché non conosco la comunità del rione come lei la ha

conosciuta, e non sono così consapevole della possibilità di pericolo che mi può trovare.

Ma la mia guida mi ha anche fatto sentire tranquilla. Lei mi ha portato in giro nel rione

senza esitazione, e ha anche interrogato uno del posto per sapere se avesse vissuto della

gente qui tanti anni fa che aveva i nomi che si trovano nella tetralogia, come Melina e

Nino Sarratore, oppure Marcello e Michele Solara.

La guida sapeva quali erano i palazzi più vecchi (in cui si suppone che Lenù abbia

vissuto) e i palazzi più nuovi (in cui si pensa che Lila si sia trasferita dopo essersi

sposata). Ci sono differenze grandi tra i due palazzi. Il palazzo di Lila era

presumibilmente moderno negli anni Sessanta, ma adesso è diventato eroso dal passaggio

del tempo, e si è deteriorato più del palazzo dove Lenù avrebbe vissuto, anche se quel

palazzo è più vecchio:

È difficile immaginare come Lenù si è sentita quando ha visto l’appartamento di Lila. Lei ha descritto quasi uno stupore verso tutto ciò che Lila aveva, la bellezza e la pulizia di tutto, ma adesso il palazzo sembra antico, impantanato nel passato. La sensazione di claustrofobia cresce, e c’è abbastanza spazzatura sparpagliata intorno a me che rievoca una sensazione di disgusto e un desiderio di andare via. Mi sento triste. (9 gen. 2017)

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Le impressioni del rione che stavo raccogliendo sono rispecchiate nelle descrizioni di

Lenù. Dall’inizio, nell’Ag, Lenù descrive che lei e Lila avevano sempre paura del buio e

dell'orco, come viene descritta da Lenù, don Achille, e loro non si fidavano della “luce

sulle pietre, sulle palazzine, sulla campagna, sulle persone fuori e dentro le case”

(Ferrante Ag 27). Fisicamente, l’ambiente del rione è anche rispecchiato nella descrizione

nei libri:

Il rione vecchio, a differenza di noi, era rimasto identico. Resistevano le case

basse e grigie, il cortile dei nostri giochi, lo stradone, le bocche scure del tunnel e

la violenza. Invece era cambiato il paesaggio intorno. La distesa verdognola degli

stagni non c’era più, la vecchia fabbrica di conserve si era dissolta. Al loro posto,

c’erano i bagliori dei grattacieli di vetro, segni una volta di un futuro raggiante cui

non aveva creduto mai nessuno. I cambiamenti li avevo registrati tutti, negli anni,

a volte con curiosità, più spesso distrattamente. Da ragazzina mi ero immaginata

che, oltre il rione, Napoli offrisse meraviglie. (Ferrante Sfr 17)

La mia impressione del rione è simile alla descrizione di Lenù. I palazzi cadenti, la

spazzatura sparpagliata sulle strade e il contrasto tra il rione vecchio e la zona nuova con i

grattacieli fa sembrare il rione come impantanato nel passato. L’unica differenza tra la

citazione di Lenù e la mia impressione è che alcune parti di Napoli offrono infatti

meraviglie -- il Vomero e Posillipo, come verrà evidente in questo capitolo, mi hanno

impressionato.

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Figure 7 e 8: Sono state scattate il 9 gennaio. Secondo la mia guida, il primo palazzo è il tipo di palazzo in cui Lenù avrebbe vissuto, e il secondo palazzo è il tipo di palazzo in cui Lila avrebbe vissuto dopo che si è sposata con Stefano (Squillante). Anche se il secondo palazzo sembra più cadente del primo, la mia guida mi ha spiegato che il secondo sarebbe stato il palazzo con gli appartamenti più belli degli anni Sessanta e Settanta (Squillante). Ciò nonostante, è difficile immaginare la bellezza passata oggi. Anche nel palazzo di Lenù che è mantenuto meglio, l’architettura rettangolare è in modo distintivo del dopoguerra e parla di un tempo passato.

Quando sono tornata al rione da sola l’area mi ha dato un’impressione diversa.

Perché, anche se mi sono sentita fisicamente a disagio, non avevo paura dell’area quando

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ero lì con la guida. Quando sono tornata da sola, invece, l’esperienza del rione è stata

diversa:

Durante il giro in auto verso il rione vedo tantissima spazzatura sotto diversi ponti, è ripugnante e triste. Penso alla mafia e la loro reputazione di controllare la spazzatura a Napoli. Quando arrivo al rione il tassista è preoccupato, dice che lui non permetterebbe mai a sua figlia di vent’anni di venire qui, è evidente che non vuole che esco. Divento nervosa, ho un po’ di paura, non so cosa pensare. La guida mi ha detto che l’area non è pericolosa, non ci sarebbe un problema a tornarci. Vado in giro un po’, oggi è grigio e freddo. Mi sento più a disagio, sono curiosa ma anche un po’ nervosa adesso che sono da sola. Mentre piove il rione sembra più triste, silenzioso, ancora più isolato. (12 gen. 2017)

Prima che il tassista mi avertisse di non uscire dal taxi non mi sentivo preoccupata. Le

memorie del tour con la guida sono rimaste con me, ed erano delle memorie buone: la

gente con cui avevo parlato è stata gentile, e l’area non mi sembrava pericolosa. Adesso,

al contrario, i palazzi grigi e le strade vuote mi sembravano sospettose e non volevo

parlare con la gente lì. La mia percezione del rione è quindi un misto di pressione

culturale e psicologica che mi è stata impostata dalla mia guida (che mi ha dato

un’impressione positiva dell’area) e l’avviso del tassista (che mi ha fatto temere l’area).

Figura 9: Ề stata scattata il 12 gennaio. Il rione ha dei palazzi grigi e le strade strette.

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Cristina Moretti offre una spiegazione di come le persone con cui stiamo

influiscono sulla nostra impressione di un posto. Lei spiega come la sua esperienza di

Milano è stata formata non solo dalla città stessa, ma anche dalle persone con cui era

quando visitava la città: “When I was following each of my different guides through

Milan, it mattered less where we were directed than how the social positions, identity, and

life stories of my walking companions interpellated particular aspects of the city and used

them to establish relationships with the people and places around them” (Moretti 183). Le

mie due esperienze diverse del rione sono state influenzate non solo dall’area stessa -- che

fisicamente mi ha dato una sensazione di claustrofobia, di margini fissi che hanno chiuso

il rione dentro se stesso e che lo rendono isolato dal resto di Napoli -- ma anche dalle

persone con cui ho interagito. Mentre la guida -- che era una donna -- mi ha dato un

sostegno inconscio di cui non mi sono resa conto prima di quando non lo ho avuto più, il

tassista, che era un uomo con intenzioni buone e che si è preoccupato per me, mi ha reso

nervosa. Ero più cosciente di me stessa come donna da sola a Napoli dopo che il tassista

mi ha avvertito di non andare in giro al rione. Non dubito che c’è una ragione per cui il

tassista mi ha dato l’avvertimento -- anche Lenù discute in dettaglio come la mafia

controlla il rione, e il rione Luzzatti viene considerato da tanti giornali come un ghetto

pericoloso (Calemme; Macry; Russo) -- ma la differenza tra le mie esperienze nel rione

mi ha fatto realizzare quanto le persone con cui sono stata hanno influito sulla mia

percezione dell’area fisica.

SAN GIOVANNI A TEDUCCIO 

Non ci sono tante descrizioni di San Giovanni a Teduccio nella tetralogia, anche

se una parte importante della vita di Lila si svolge lì. Quando Lila si trasferisce dal rione

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con suo figlio e Enzo in un tentativo di lasciare suo marito e la violenza familiare, lei in

realtà non si è trasferita troppo lontano. A differenza di Lenù, che si è trasferita a Pisa per

gli studi universitari, Lila non sta mai troppo lontana dal suo luogo di nascita.

Quando Lenù racconta che cos’è successo a Lila mentre era a Pisa, Lenù descrive

San Giovanni in una maniera negativa: “Disse che aveva trovato lavoro in una fabbrica di

San Giovanni a Teduccio e lì aveva preso una casa, tre stanze, la cucina un po’

buia…Strade dissestate, edifici malconci e palazzoni di costruzione

recente…M’immagino che San Giovanni le sia sembrata una voragine ai bordi del rione.

Pur di mettersi in salvo non aveva badato a dove metteva i piedi, ed era caduta in una

buca profonda” (Ferrante Snc 428-41). A differenza delle asserzioni che Lenù esprime

quando lei descrive le sue emozioni per gli ambienti in cui lei vive, abbiamo come lettori

solo delle ipotesi su come Lila si è veramente sentita, e ci dobbiamo fidare della

narrazione di Lenù. Lenù ci dà un’impressione estremamente negativa dell’area, dato che

lei confronta l’area a una “voragine” e una “buca profonda”, quasi un’immagine dantesca

dell’inferno. Quando sono andata a San Giovanni -- un posto che ho visitato

esclusivamente da sola, non era sul programma della mia guida -- anch’io ho avuto una

prima impressione negativa:

Approccio San Giovanni a Teduccio con un treno, sembra grigio, desolato, industrializzato. Non so che cosa anticiparmi esattamente . Mi ricordo le condizioni in cui Lila lavorava, era orribile. So che non posso andare in quella fabbrica, non so neanche se è ancora lì, ma voglio capire quest’area. Prima mi sento un po’ nervosa, la stazione sembra desolata. Ma poi arrivo alla strada principale, c’è più gente. I palazzi sono cadenti, capisco che anche qui non vive gente ricca, ma forse meglio della gente nel rione. Ma mi sento meglio, non sono nervosa. Ho compassione per la gente che vive qui. Rimango nelle strade ampie, intorno a me ci sono dei palazzi grigi, ma dietro i palazzi ci sono delle fabbriche. Sembra che forse la gente qui lavora ancora nelle fabbriche, come faceva Lila. Quando l’autista del taxi mi trova mi chiede come mai ero in quest’area, è pericolosa. Improvvisamente mi sento un po’ più nervosa. (12 gen. 2017)

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Figure 10 e 11: Sono state scattate il 12 gennaio. I palazzi vecchi di San Giovanni a Teduccio.

Come per Lenù, l’area di San Giovanni non mi è sembrata particolarmente

lussuosa. Come evidente nelle foto, l’intonaco o persino il muro dei palazzi si stavano

sfaldando, non c’erano dei negozi ricchi come a Piazza dei Martiri, e mi ci è voluta un’ora

solo ad arrivarci dal mio appartamento a Chiaia. Simile a come Lenù la descrive, l’area è

veramente su un bordo, ma non solo sul bordo del rione. San Giovanni a Teduccio è sul

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bordo di Napoli, e non è neanche incluso sulla mappa turistica che ho comprato prima del

viaggio. Ciò nonostante, quando ho camminato sulle strade l’area stessa non mi ha fatto

sentire nervosa. Non mi sembrava che fosse un posto pericoloso, ma come ho espresso

nelle mie note, avevo una sensazione di compassione per la gente che viveva qui. Infatti,

questa area mi è sembrata un’area che si potrebbe trovare in qualsiasi città, siccome ogni

città ha almeno un’area più povera delle altre. A differenza di Lenù, non mi è sembrata

una “buca profonda”, anche se non avevo un desiderio di vivere lì a causa della povertà

evidente dai palazzi friabili. Ma forse questo era a causa della mia abilità di entrare

nell’area e poi lasciarla quando volevo andarmene.

Figura 12: Ề stata scattata il 12 gennaio. I palazzi a San Giovanni a Teduccio sono vecchi -- l’area mi è sembrata più vecchia e decadente del rione, ma le strade sono più ampie.

Non era prima di quando il tassista mi ha trovato -- dopo aver preso l’autobus

sbagliato per arrivare al rione -- che mi sono sentita nervosa, siccome lui mi ha avvertito

di non andare in giro in quest’area da sola. Tuttavia, ho capito che questo pericolo

ipotetico che mi ha fatto paura non era a causa dell’area di San Giovanni, era causato

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dall’avvertimento del tassista che si è allarmato alla possibilità che la gente intorno a me

fosse pericolosa. Ripensando a questo momento, l’avvertimento del tassista, anche se è

stato benintenzionato per la mia sicurezza, mi ha ricordato del mio genere di donna. Le

parole del tassista e il suo sguardo preoccupato hanno, per un breve momento di tempo,

rinforzato la nozione che, dato che sono una donna, devo essere in guardia e più attenta a

dove vado. Non è in errore. Da qualche parte nella mia mente ho sempre un avviso

interno di essere attenta al mio ambiente, che è una sensazione che altre donne possono

forse riconoscere. Ma è stato particolarmente il suo avvertimento che lui non avrebbe mai

permesso a sua figlia che ha quasi la mia stessa età di andare da sola al rione e a San

Giovanni a Teduccio che mi ha ricordato di una struttura sociale in cui i padri controllano

ancora la libertà delle donne di muoversi -- anche se ho capito che le sue intenzioni erano

buone. Per un attimo ho lasciato che il suo avvertimento influenzasse la mia percezione

del mio ambiente, ma ciò nonostante ho deciso di perlustrare il mio ambiente da sola,

recuperando il mio agire libero -- anche se ero un po’ nervosa. Riflettendoci, capisco che

non è possibile separare completamente le mie emozioni da come la gente intorno a me

interagisce con l’ambiente napoletano: la mia guida mi ha fatto sentire tranquilla, mentre

il tassista mi ha fatto sentire nervosa.

PIAZZA DEI MARTIRI & VIA CHIAIA 

Piazza dei Martiri è fondamentale per la trama dell’Amica geniale, siccome è lì

che Lila comincia a lavorare per i fratelli Solara e le sue scarpe vengono messe in mostra.

Piazza dei Martiri porta direttamente a via Chiaia, dove Lila, Lenù e gli altri ragazzi del

rione vanno e vedono per la prima volta la differenza di classe tra loro del rione e la gente

che vive a Chiaia. Ciò nonostante, non ci sono tante descrizioni dettagliate della piazza e

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neanche di via Chiaia. Invece, l’importanza di queste aree è per come fanno sentire Lenù

e Lila, specialmente la prima volta che vanno lì. Il padre di Lenù la porta fuori dal rione

per la prima volta un’estate quando lei è ancora una bambina:

I confini del rione sbiadirono nel corso di quell’estate…mi mostrò piazza

Garibaldi…Mi portò…per piazza Dante, per Toledo. Fui sopraffatta dai nomi, dal

rumore del traffico, dalle voci, dai colori, dall’aria di festa che c’era in giro, dallo

sforzo di tenere tutto a mente per poi parlarne con Lila, dall’abilità con cui lui

chiacchierava col pizzaiolo da cui mi aveva comprato una pizza bollente con la

ricotta, col fruttivendolo da cui mi aveva comprato una percoca molto gialla.

Possibile che solo il nostro rione fosse così pieno di tensioni e violenze, mentre il

resto della città era radioso, benevolo? (Ferrante Ag 132-3)

Il rumore, la gente impegnata e i suoni influenzano fortemente Lenù, dato che il centro

storico di Napoli è così diverso dal rione, mostrato dalle descrizioni nella prima sezione

sul rione Luzzatti. Tuttavia, dal paragrafo dell’Ag sopracitato sembra che il padre di Lenù

abbia scelto di non portarla a via Chiaia -- dove Lenù più tardi va nella sua adolescenza

con i suoi amici -- ma invece nel centro storico (piazza Dante, via Toledo). Via Chiaia è

una strada lunga e un po’ stretta, in uno stile neoclassico. I palazzi che la circondano sono

alti e bloccano la luce che illumina la strada. Sono andata a via Chiaia da sola:

Ci sono ancora delle luci di Natale, la strada è abbastanza larga, mi sento libera. Penso ancora a Lila, come ha riso quando ha visto la donna in verde. Non vedo nessuna vestita così, ma capisco. Come prima, la differenza tra il rione e Chiaia è enorme. Questa strada è bella, vivace. Mi sento felice, ancora curiosa. Ci sono tanti negozi diversi, tante possibilità di comprare qualsiasi cosa, almeno se avessi dei soldi. La consapevolezza mi fa sentire un po’ triste -- ma Lenù e Lila erano affascinate dalla strada stessa, non pensavano ai loro limiti economici in questo momento. Anch’io sono affascinata. Così italiana, energetica, ma non stressata, bella. (11 gen. 2017)

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Figure 13, 14 e 15: Sono state scattate il 10 gennaio. Figura 13 mostra Piazza dei Martiri, uno spazio ampio e animato, mentre le figure 14 e 15 sono di Via Chiaia -- una strada più stretta ma animata e lussuosa.

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Le mie note mostrano che ho sentito un’energia simile a quella che Lenù ha

sentito quando è andata in centro con suo padre. Tuttavia, mi sono sbagliata riguardo a un

aspetto importante: Lenù pensava ai suoi limiti economici quando camminava per la

strada:

Imboccammo via Chiaia. Fu come passare un confine. Mi ricordo un fitto

passeggio e una sorta di umiliante diversità…le ragazze, le signore: erano

assolutamente diverse da noi. Sembravano aver respirato un’altra aria, aver

mangiato altri cibi, essersi vestite su qualche altro pianeta, aver imparato a

camminare su fili di vento. Ero a bocca aperta…Non vedevano nessuno di noi

cinque. Eravamo non percepibili. O ininteressanti. E anzi, se a volte lo sguardo

cadeva su di noi, si giravano subito da un’altra parte come infastidite…Ci

sentimmo a disagio e incantate, brutte ma anche spinte a immaginarci come

saremmo diventate se avessimo avuto modo di rieducarci e vestirci e truccarci e

agghindarci come si deve. (Ferrante Ag 188)

Come verrà evidente anche nella descrizione del Vomero, la differenza di classe tra la

gente a Chiaia e i ragazzi dal rione è evidente in questo paragrafo. Anche se anch’io la ho

notato brevemente nelle mie note di campo -- neanche io vengo da un contesto troppo

ricco, non posso andare da Ferragamo in Piazza dei Martiri per comprarmi delle scarpe --

la situazione storica in cui Lenù e Lila vivono, che ha creato queste differenze estreme di

classe, è una situazione che io come straniera e donna dal Ventunesimo secolo non mi

posso immaginare.

Invece, quello che mi è stato rilevante da Chiaia era la sensazione di essere come

in anonimato, e la libertà che questo mi ha permesso. Il concetto che ritorna in quasi ogni

parte che Lenù descrive di Napoli è quello del bordo o la mancanza di un bordo. Lenù

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descrive che “i confini del rione sbiadirono nel corso di quell’estate” (Ferrante Ag 132)

quando suo padre la porta fuori dal rione, e che entrare via Chiaia “fu come passare un

confine” (Ferrante Ag 188). In questo senso, Lenù crea un’impressione di Napoli che la

città è fatta di aree distinte con i loro “confini” immaginari, ma resi evidenti dalla gente

che entra in un’area a cui non appartiene. Queste differenze erano evidenti anche per me

quando ho attraversato i quartieri di Napoli, ma la reazione forte di Lenù mostra come la

sensazione di mancanza di margini o la riaffermazione di confini dipende per lei non solo

dalla sua esperienza di donna a Napoli, ma anche dal suo status socio-economico.

IL VOMERO & POSILLIPO 

Le mie esperienze con le aree del Vomero e Posillipo sono state simili le due volte

che le ho visitate. Quando sono andata con la guida abbiamo preso la macchina su Corso

Vittorio Emanuele, una delle strade più lunghe d’Europa. Tanta parte della trama si

svolge in questa area del Vomero che eventualmente diventa Posillipo: la Professoressa

Galiani vive in Corso Vittorio Emanuele al Vomero, Lenù si trasferisce in via Torquato

Tasso con le sue figlie, una strada ancora al Vomero, e Marcello e Gigliola si

trasferiscono a Posillipo. Quando sono stata lì ero letteralmente elevata poiché il Vomero

è costruito in strati, palazzi sopra altri palazzi, e con ogni strato mi immagino che la vista

diventi ancora più spettacolare. La differenza di classe tra questa area e il rione o San

Giovanni è evidente: mentre i palazzi nel rione e a San Giovanni si stavano sfaldando, i

palazzi qui sono mantenuti bene, il loro stile è neoclassico, i colori degli intonaci sono

forti e vibranti, hanno persino piccoli giardini con alberi di limoni. L’unica differenza tra

il Vomero e Posillipo sembra che i palazzi a Posillipo siano ancora più grandi e la gente lì

più ricca, visto che ci sono così tanti palazzi privati con l’accesso direttamente al mare.

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Page 38: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Figure 16 e 17: Figura 16 è scattata l’11 gennaio e figura 17 è scattata il 9 gennaio. La prima è della vista del Vomero, mentre la seconda è della vista di Posillipo. Il Vomero e Posillipo mi sono sembrati simili -- un’area ricca, i palazzi neoclassici e colorati -- ma Posillipo mi è sembrato più verde, nel senso che ci siano più alberi integrati tra i palazzi.

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Page 39: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Le mie note da quando ho visitato l’area con la guida e da quando la ho visitata da

sola esprimono delle emozioni e impressioni simili:

La guida mi racconta che Posillipo vuol dire “pausa dal dolore”. Sembra molto simbolico quando penso della differenza tra il rione povero e quest’area bella, con una vista meravigliosa di Napoli, il Vesuvio e il mare. Mi sento libera e felice, ma anche un po’ triste quando considero le differenze di Napoli che ho visto. È una città di contrasti. I palazzi intorno a me sono belli, mantenuti bene, le strade sono pulite, la gente si veste diversamente e non sono in gruppo come nel rione. La libertà che questa vista del mare e il Vesuvio mi dà non è comparabile con le case popolari che sono nel rione. (9 gen. 2017) Corso Vittorio Emanuele è lungo, molto lungo, una delle strade più lunghe d'Europa. Cammino sulla strada per quasi un’ora, voglio capire com’era per Lenù camminare, sempre camminare, anche se avevano una macchina per arrivarci. I palazzi qui sono tutti puliti, con colori forti, si capisce che qui c’è gente che ha soldi. E la vista. Posso vedere quasi tutto Napoli, il mare, Vesuvio, Sorrento, Capri. I rumori del centro sono lontani, qui è più silenzioso, ad eccezione delle macchine e le motociclette. Il vento soffia. Mi sento libera, felicissima, emozionata, impressionata. Rimango ferma per tanto tempo solo per guardare Vesuvio, guardare il mare, la vista. Che bellezza, serenità, e al tempo stesso energia, speranza, un po’ di gelosia per la gente che può vivere qui. Corso Vittorio Emanuele diventa Via Tasso in una curva, ma non tutta la strada ha la stessa vista. È ancora più silenziosa, mi sento tranquilla. Mi sento ancora un po’ gelosa, ma anche contenta. Vorrei rimanere qui. (11 gen. 2017)

Figura 18: Ề stata scattata l’11 gennaio. La vista dal Vomero.

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Page 40: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Anche se ho notato la bellezza dei palazzi e i giardini al Vomero e Posillipo, è

stata soprattutto la vista che ha avuto un vero impatto su come mi sono sentita. A

differenza della sensazione di claustrofobia che il rione ha rievocato in me, il Vomero ha

rievocato l’opposto: una sensazione di libertà e tranquillità profonda. A differenza dei

margini chiari del rione, al Vomero mi è parso che fossero più o meno spariti, non mi

sentivo costretta a un’area in cui ero così visibile. Al Vomero mi sono sentita una persona

nascosta a causa del panorama enorme che ha preso tutta la mia attenzione, ma questa

mancanza di visibilità era liberante. Lenù esprime delle sensazioni simili quando lei vive

al Vomero:

Intanto cercavo di darmi una disciplina, non mi rassegnavo, provavo a essere

combattiva, certe volte riuscivo a sentirmi persino felice. La casa splendeva di

luce. Dal mio balcone vedevo Napoli distendersi fino ai bordi del riverbero

gialloceleste del mare…Da via Tasso il rione era una pallida petraia molto

distante, solo detriti urbani indistinguibili ai piedi del Vesuvio. Volevo che

restasse così; ero un’altra persona adesso, avrei fatto in modo che non mi

riafferrasse. Ma anche in quel caso tendevo ad attribuirmi un proposito che era

fragile…A via Tasso e per l’Italia mi sentivo una signora con una sua piccola

aura, e giù a Napoli, invece, soprattutto al rione, perdevo finezza, del mio secondo

libro nessuno aveva mai saputo niente, se i soprusi mi facevano infuriare passavo

al dialetto e agli insulti più laidi. (Ferrante Sbp 104-47)

Il concetto dei bordi riappare nella sua descrizione in due modi diversi: Lei descrive i

bordi fisici di Napoli, e come si mescola con il mare, che in essenza cancella qualsiasi

sensazione di confini, simile alla mia esperienza al Vomero. Tuttavia, Lenù descrive

anche una sensazione di come lei perde “finezza” a paragone di come si sente “una

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Page 41: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

signora con una sua piccola aura” (Sbp 147) a via Tasso. In essenza, sembra quasi

l’opposto di come io mi sono sentita: mentre io mi sentivo come la mia “finezza” -- o

almeno la mia consapevolezza di essere -- era accentuata al rione siccome è stato ovvio

che ero una straniera, Lenù si sente più a casa al Vomero. Lei esprime anche una varietà

di emozioni non legate soltanto al posto in cui vive, ma anche a causa della sua vita

personale e la sua relazione con Nino. Le differenze tra le descrizioni di Lenù e le mie mi

fa capire che anche se abbiamo delle esperienze simili o diverse di Napoli, io rimango una

straniera con meno legami al posto fisico, che mi permette la possibilità di reagire

soltanto a causa del mio ambiente fisico, non a causa della mia vita interna.

Figura 19: Ề stata scattata l’11 gennaio. La vista di Napoli da Corso Vittorio Emanuele. A sinistra, nello sfondo, si vede la zona nuova che nasconde il rione Luzzatti.  

IO CHE MI GUARDO, IO CHE MI RACCONTO 

La mia ricerca in Italia è stata un approccio che ha tenuto in mente le teorie

femministe italiane, nel senso che ho utilizzato il mio corpo come referente indipendente

da una struttura patriarcale. Ma è mai possibile essere completamente liberata dalla

struttura patriarcale nella società italiana, o peraltro nel mondo? Ferrante cita

esplicitamente le filosofie femministe in Sfr, quando Lenù comincia a scoprire il

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Page 42: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

movimento femminista che la aiuta a dare un senso al mondo in cui vive: “Sputare su

Hegel. Sputare sulla cultura degli uomini…E su tutte le manifestazioni della cultura

patriarcale. E su tutte le sue forme organizzative. Opporsi alla dispersione delle

intelligenze femminili…Strapparsi dal cervello l’inferiorità. Restituirsi a se

stesse…Muoversi su un altro piano in nome della propria differenza” (254). Lenù si

riferisce esplicitamente a Sputiamo su Hegel (1977) di Carla Lonzi, ed è stato soprattutto

questo paragrafo che ha ispirato la mia ricerca a Napoli. La struttura patriarcale è ancora

visibile nella società odierna e quella napoletana non fa certo eccezione, specialmente in

quanto cultura del Sud. Come mostra anche la tetralogia, la cultura del Sud inquadra la

donna in ruoli stereotipati, come ad esempio la casalinga o la mamma. La mia ricerca ha

adottato un approccio femminista che, nonostante la struttura patriarcale esista ancora

nella società italiana -- in effetti, esiste ancora in tutto il mondo --, esplora uno spazio

femminile autonomo non solo dallo sguardo maschile, ma anche dai metodi di analisi

della cultura patriarcale. Nello stesso modo la tetralogia è un tentativo di mostrare come

due donne in effetti influenzino attivamente e direttamente le loro rispettive vite.

Mentre rileggevo i libri per trovare le descrizioni di Napoli ho notato che le

descrizioni dell’ambiente non dominano la narrazione in tutti i libri. È soprattutto nell’Ag

che il rione diventa un personaggio per se stesso, e anche se tanto della trama negli altri

libri si svolge nel rione -- che a sua volta fissa il rione come una presenza imponente in

tutta la tetralogia -- la narrazione negli ultimi tre libri non dedica tanto spazio a

descrizioni elaborate del rione come nel primo libro. Invece, nuovi luoghi vengono

introdotti con descrizioni dettagliate, nel senso che Lenù descrive come i luoghi sono

fisicamente e il modo in cui i luoghi la fanno sentire. Le narrazioni geografiche della

tetralogia, dunque, introducono l’ambiente napoletano ai lettori in un modo che ogni

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Page 43: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

luogo abbia un suo carattere distinguibile Quando questo carattere viene stabilito per i

lettori, la storia si concentra su come Lenù e Lila interagiscono con questo ambiente e

come vengono formate dall’ambiente, e la differenza tra i posti rivela quanto Napoli è

diversa. Lila e Lenù, come personagge che sono di un rione molto povero -- sia durante

l’Italia postbellica sia oggi -- percepiscono il Vomero e Posillipo quasi come un mondo

diverso di cui non si appartengono, visto che il Vomero e Posillipo sono due aree molto

ricche. A differenza di loro, io non ho la stessa coscienza di classe sociale come Lenù e

Lila. Cioè, ho percepito che il Vomero e Posillipo sono due aree ricche, siccome i palazzi

sono lussuosi e ben mantenuti, ma io non mi sono sentita a disagio nel Vomero e

Posillipo perché sono stata fortunata di non esser mai vissuta in un’area povera. Sono nata

e cresciuta in un quartiere non particolarmente ricco a Oslo, in Norvegia, ma ciò

nonostante la Norvegia è un paese ricco e dunque la ricchezza del Vomero e Posillipo non

ha avuto un impatto forte su di me, a differenza di Lila e Lenù. Al Vomero e Posillipo mi

sono sentita quasi invisibile, come se la mia presenza non fosse stata percepibile dalla

gente intorno a me. La quantità alta di gente mi ha fatto sentire anonima, il che mi ha dato

una sensazione di libertà e felicità, a differenza del rione, in cui mi sono sentita come una

forestiera.

In sostanza, la mia ricerca in Italia è stata un processo simile. Avevo già un’idea

di Napoli prima di arrivare grazie all’Amica geniale -- e alla famosa reputazione di

Napoli -- ma quando ho ripercorso le tracce immaginarie di Lenù e Lila ho scoperto una

città di contrasti: una città con confini interni che hanno creato una sensazione di

claustrofobia, solitudine e visibilità come una donna da sola, e una città con aree vaste e

libere, che d’altra parte dà una sensazione di una mancanza di margini, sebbene in un

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Page 44: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

senso positivo, in quanto mi sono sentita libera dagli sguardi della gente napoletana che

mi hanno confermato come straniera.

Come, dunque, confrontare la mia esperienza di Napoli con quella di Lenù e Lila?

È difficile asserire con certezza come Lila viva la propria esperienza di Napoli siccome

non lo sentiamo mai direttamente da lei, ma lei è raccontata da Lenù. Lenù descrive

spesso una sensazione di libertà, comodità e felicità quando si allontana dal rione, mentre

Lila mostra paura e incertezza quando si allontana troppo dal rione. Ho condiviso tante

emozioni con Lenù riguardando le varie aree -- la sensazione di libertà e gioia che il

Vomero mi ha dato e la sensazione di disagio al rione quando sono tornata da sola, per

esempio -- ma al tempo stesso, Lenù e Lila hanno sperimentato Napoli dalla loro infanzia

negli anni Cinquanta alla loro maturità. È anche difficile affermare se sia possibile fare un

paragone con la mia esperienza di Napoli -- che era solo per una settimana -- e la lunga

vita di Lenù e Lila. Ciò nonostante, Moretti afferma che:

We can think of landscapes as the interweaving of the visible and the

invisible…the details that are present and what is absent…What comes to be on

which side of the divide between visible and invisible, present and absent,

depends in important ways on the position of the person watching, moving, and

being within a landscape…Mohamed suggests that it is by “looking twice” and

adopting different points of view that we can, for a moment, be different subjects

within the landscape. On the other hand, it is by moving through the city and

following its routes that a particular vision becomes possible. (209-10)

Da questo punto di vista, la mia esplorazione di Napoli potrebbe essere pensata come un

“looking twice”, come Mohamed, la guida di Moretti, le ha spiegato. Ho visitato Napoli

seguendo le tracce di Lenù e Lila, ho fatto dei paragoni e ho provato a capire come le aree

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Page 45: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

sono sembrate a loro usando i libri, che sono diventati l’aspetto “invisibile” e “assente”

dalla città, come spiegato da Moretti. Al tempo stesso, la mia presenza e il mio passaggio

attraverso la città mi ha lasciato la possibilità di capire come io sono influenzata come

donna dall’ambiente napoletano. Come Lenù e Lila, anch’io ho sperimentato la

sensazione di margini che o sono diventati più visibili e costrittivi, come nel rione, o si

sono rarefatti in una sensazione di libertà, come la vista dal Vomero.

Io percepisco i miei margini in due modi diversi. Da una parte, come donna io

percepisco che ho dei margini interni determinati da come la società mi guarda. Per

esempio, l’avvertimento del tassista -- anche se avesse avuto un’intenzione buona di

tenermi da pericolo -- mi ha fatto meditare su una domanda: se fossi stata un uomo, mi

avrebbe dato lo stesso avvertimento? Forse mi avrebbe avvertito anche se fossi stata un

uomo, dato che il tassista è sembrato un uomo gentile che semplicemente non voleva che

nessuno girovagasse per il quartiere straniero. Ma, storicamente, la sua asserzione che

non avrebbe mai permesso a sua figlia di andarci mi fa pensare di come la libertà delle

donne di muoversi, in quali posti vivere e quali non vivere, e quali spazi occupare (gli

spazi privati, come le case) e quelli dove non farsi vedere (gli spazi pubblici), è stata

storicamente controllata dagli uomini. In questo senso, un bordo interiore con cui vivo

sempre -- che sento specialmente quando sono in un posto straniero -- è se ho la

possibilità di muovermi in giro da sola come donna, se ci sono dei pericoli che devo

considerare prima di andarci. Questa sensazione di un bordo è diventata forte al rione,

specialmente la seconda volta che ci sono andata. Al Vomero, Posillipo e perfino nel

centro storico, d’altro canto, ho avuto una sensazione diversa. Lì non avevo questa

sensazione di pericolo possibile, e il mio margine si è “smarginato”. Nel centro storico, a

via Chiaia e Piazza Garibaldi, era parzialmente a causa della quantità di gente intorno a

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Page 46: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

me, l’abbondanza di persone mi ha fatto sentire più invisibile, e c’è stata una sicurezza

dentro questa massa di gente; se qualcosa fosse successo, qualcuno l’avrebbe vista. Al

Vomero e Posillipo i bordi si sono smarginati nel senso che l’area è sembrata così vasta a

causa del panorama, è stato difficile vedere dove l’area cominciava e dove finiva, il che

mi ha fatto sentire nascosta dalla vista. In confronto, al rione la mancanza di gente mi ha

dato una sensazione di vulnerabilità e solitudine -- il margine interiore, che mi proibisce

di andare in posti pericolosi, è diventato più forte.

Dall’altra parte, ho anche dei margini fisicamente esteriori. Il mio corpo, con la

pelle bianca e i capelli ricci, diventano in un certo senso un tipo di bordo, ma un bordo

che nasconde un patrimonio familiare. La pelle bianca e i capelli ricci e bruni mi fanno

sembrare stereotipicamente italiana, anche se non ho mai vissuto lì prima del 2016,

quando ho studiato all’università di Bologna per un semestre. Questo bordo esteriore mi

permette di attraversare Napoli senza spiccare fuori dalla massa, almeno in quartieri

popolati densamente. Tuttavia, i miei riccioli non sono dalla mia origine italiana, ma

invece dalla mia origine afroamericana. La mia bisnonna era afroamericana, ma non la ho

mai conosciuta -- ho conosciuto solo sua figlia, mia nonna, e non sapevo neanche che

fosse afroamericana quando ero bambina. Questa eredità afroamericana è diventata mista

con la mia eredità norvegese, quando mia nonna si è sposata con mio nonno, un

norvegese bianco. L’eredità afroamericana si è dunque nascosta a causa dei geni

norvegesi, ma questa eredità mi ha portato a Dickinson, visto che mia bisnonna era la

prima donna afroamericana che si è laureata a Dickinson, e questa eredità mi ha alla fine

permesso di viaggiare in Italia per fare ricerca sulla tetralogia di Ferrante. Il bordo

esterno, segnato dal colore della mia pelle e i miei riccioli, diventa in questo senso una

sensazione interna di differenza, ma differenza in un senso positivo: sono il frutto di

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Page 47: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

un’eredità dove i bordi creati dalla società a causa del razzismo sono stati smarginati:

bianco/nera, afroamericana/norvegese, norvegese/italiana.

Quale esperienza di separatezza e di autoriconoscimento ho infine avuto dalla mia

visita? Mi sono sentita separata dalla comunità del rione e San Giovanni a Teduccio non

mi ha dato un desiderio di rimanerci; il centro storico in via Chiaia e Piazza dei Martiri mi

ha fatto sentire come una parte della città; e il Vomero e Posillipo mi hanno fatto sentire

una sensazione di invisibilità che mi ha dato una sensazione di libertà. La differenza tra le

aree è che mentre le prime due avevano dei margini rigidi, i margini delle altre aree si

sono smarginati. Questa esplorazione dalla mia percezione di margini -- dentro Napoli o

in me stessa, interni ed esterni -- è a causa del progetto femminista a cui L’amica geniale

mi ha spinto, radicato nell’idea di entrare a Napoli come soggetto femminile e l’idea di

Cavarero della narrazione che definisce la nostra propria identità. Tuttavia, non ho fatto

esattamente quello che Cavarero sostiene -- non ho avuto un altro soggetto in carne e ossa

che mi ha potuto definire, e con cui ho potuto avere un rapporto di uguaglianza. Ma ciò

nonostante, Lenù e Lila sono state le mie compagne a cui mi sono riferita e paragonata

per vedere le somiglianze e differenze di come abbiamo percepito la città. Io mi sono

guardata e io mi sono raccontata -- ma mano nella mano con le personagge ferrantiane.

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Page 48: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Capitolo due 

L’amica scomparsa: la smarginatura come manifestazione del postfemminismo

Illustrazione di Drew Weing.

PREMESSA TEORICA 

Questo capitolo tratta dell’amicizia di Lenù e Lila che sviluppano un rapporto

complesso e durevole nel corso della tetralogia. A differenza del primo capitolo, il mio

“io” soggettivo sarà assente. Le scritture femministe di Cavarero e Lonzi -- soprattutto Tu

che mi guardi, tu che mi racconti da Cavarero -- mi hanno spinto a fare una scelta

stilistica molto personale nel capitolo precedente, visto che ho seguito le tracce di Lenù e

Lila che Ferrante ha lasciato nella tetralogia, sia per avere una coscienza approfondita

dell’ambiente napoletano sia per riflettere sulla mia identità e come io interagisco con i

quartieri napoletani. Questo tipo di memoriale richiede un punto di vista molto

soggettivo, ma in questo secondo capitolo -- in cui torno al “close reading” della

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Page 49: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

tetralogia -- passo a un “ruolo di assenza” per raccontare le due donne. In altre parole,

“io” sparisco come soggetto da questa analisi di Lila e Lenù per fare un “close reading

cavariano” in cui svelo le dinamiche complesse del loro rapporto.

In molti modi, l’amicizia di Lila e Lenù segue il pensiero della seconda ondata del

femminismo. Questa ondata del femminismo si è diffusa dagli anni Sessanta agli anni

Ottanta negli Stati Uniti e nell’Europa, nello stesso periodo in cui Lenù e Lila si creano

della vita per se stesse fuori dalle rispettive famiglie. Lenù, che ha il privilegio di aver

frequentato la Normale di Pisa (una delle università più prestigiose in Europa) e la

possibilità di scegliere l’uomo con cui si vuole sposare (Pietro Airota, un uomo da una

famiglia di una classe medio-alta), ha accesso a un ceto sociale che legge e discute le

teorie femministe. Come la famiglia di Lenù, anche la famiglia di Lila è povera -- ma a

differenza di Lenù, la famiglia di Lila non le permette di continuare la sua istruzione dopo

la quinta elementare. La famiglia di Lila rimane povera, e la sua famiglia la incoraggia a

sposare Michele Solara, un camorrista ricco che desidera Lila con un amore non

corrisposto da Lila. Lila è costretta a sposare Stefano Carracci quando ha 16 anni per non

sposare Michele Solara, ma dopo che il matrimonio Stefano si rivela un uomo violento e

Lila lo lascia. Purtroppo, poiché non ha mai avuto la possibilità di continuare la sua

istruzione dopo la quinta elementare, Lila rimane povera per la maggior parte della sua

vita, fino a quando apre autonomamente una ditta di consulenza informatica decenni più

tardi. Ciò nonostante, a differenza di Lenù, Lila continua a vivere dentro o vicino al rione

per quasi tutta la sua vita. Anche se Lila non ha accesso a un ceto sociale istruito come

Lenù, Lila vive tante delle esperienze contro cui le femministe della seconda ondata

hanno combattuto, come lo stupro, le molestie sessuali e la disparità di retribuzione.

Nonostante la sua nuova posizione sociale, anche Lenù vive queste esperienze, e le due

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Page 50: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

amiche si confidano spesso l’una con l’altra per aiuto o sostegno e per combattere la

misoginia.

L’importanza della sorellanza ideologica per realizzare l’uguaglianza tra i sessi, in

termini di economia, sessualità e individualità, è una delle caratteristiche fondamentali

della seconda ondata femminista. Per ottenere questi diritti, le femministe della seconda

ondata hanno discusso con attenzione l’importanza dei diritti riproduttivi, il problema dei

diritti disuguali per le donne (particolarmente riguardo all’autonomia del corpo

nell’istituzione del matrimonio), l’abuso domestico e i diritti del lavoro, tutti temi che

vengono esaminati nella tetralogia attraverso le vite di Lenù e Lila. La mia analisi del loro

rapporto si basa primariamente sulle teorie di Carla Lonzi (Sputiamo su Hegel del 1977) e

Adriana Cavarero (“Per una teoria della differenza sessuale” del 1991), due accademiche

che investigano la differenza sessuale tra gli uomini e le donne. In più, si ribellano contro

la psicoanalisi e la filosofia come previste dagli uomini -- come Sigmund Freud, Georg

W. F. Hegel e Karl Marx -- che hanno postulato le donne come “altre”. In altre parole, lo

scopo della seconda ondata del femminismo era di affermare le donne come non solo

tutto ciò che gli uomini non sono, ma come individui autonomi con il loro agire libero,

che è in parte la base teorica della mia analisi di Lila e Lenù.

“Per una teoria della differenza sessuale” di Adriana Cavarero attira l’attenzione

esplicitamente sul problema di come l’identità femminile sia stata costruita in relazione

all’identità maschile attraverso secoli di scrittura da parte degli uomini: “L’uomo, come

sessuato maschile, porta infatti in sé la finitezza, e tuttavia, con una straordinaria logica,

esso, attraverso una dinamica ascendente, assolutizza tale finitezza facendola assurgere ad

universalità…Alla donna, capita invece di trovarsi solamente come particolare, come

l’altro finito compresso nel neutro-universale uomo” (44). Cavarero sostiene che “l’io”

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Page 51: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

nella lingua si riferisce a un “io” solamente maschile, e che l’identità femminile non è mai

stata investigata. Invece, l’identità femminile rimane senza un quadro teorico, a paragone

con l’identità maschile, e una parte del lavoro femminista deve scoprire questa identità

non investigata. Cavarero sostiene che la lingua moderna sia fondamentalmente un

linguaggio maschile, e per quella ragione lei spinge per la creazione di un linguaggio

femminile -- un linguaggio libero da sessismo e “dall’io” maschile. È solo in questo

nuovo linguaggio che le donne si possono realizzare come individui autonomi, in cui

possono trovare “una bella immagine alla cui fissità ognuna di noi debba perfettamente

coincidere nel suo singolo rispecchiarsi, ma una immagine che alla singola restituisca la

sua essenza rimandandole però la ricchezza della sua individualità. Di modo che ogni

donna nell’immagine, riconoscendosi, si conosca” (Cavarero “Per una teoria” 75).

L’insistenza di Cavarero sul “noi” e l’immagine metaforica in cui ogni donna si conosce

-- al contrario di un’individualità singolare di ogni donna -- enfatizza l’idea della

sorellanza della seconda ondata femminista, in cui le donne trovano la loro identità nella

loro affinità.

Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi discute di un’aspirazione simile. Come

sottintende il titolo, Lonzi spiega come dentro la teoria del riconoscimento di Hegel -- e

altri scrittori maschili che si sono ispirati a Hegel -- la donna è sempre costruita come

“l’altra” per realizzare l’identità maschile:

Subordinarsi all’impostazione classista significa per la donna riconoscere dei

termini mutuati a un tipo di schiavitù diverso da quello suo proprio e che sono la

testimonianza più convincente del suo misconoscimento. La donna è oppressa in

quanto donna, a tutti i livelli sociali: non al livello di classe, ma di

sesso…Affidando il futuro rivoluzionario alla classe operaia il marxismo ha

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Page 52: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

ignorato la donna e come oppressa e come portatrice di futuro; ha espresso una

teoria rivoluzionaria dalla matrice di una cultura patriarcale. (24)

Lonzi sostiene che le rivoluzioni attraverso i secoli non abbiano migliorato la situazione

sociale delle donne, le quali sono rimaste come subalterne agli uomini, e che è infatti

questa subalternità che sostiene una cultura patriarcale, in cui le donne vengono legate

alla casa dove sono costrette a prendersi cura dei lavori domestici e dei loro figli. Lonzi

sostiene che le donne debbano essere liberate da questa struttura patriarcale: “La donna

così com’è è un individuo completo: la trasformazione non deve avvenire su di lei, ma su

come lei si vede dentro l’universo e su come la vedono gli altri” (6). Con il suo manifesto,

Lonzi afferma che le donne devono cogliere l’occasione per realizzare la loro posizione

centrale nella società, e non pensarsi come “le altre” nei margini. In altre parole, le donne

devono capire che la loro assenza dalla storia è a causa della società sessista che le ha

mantenute come subalterne agli uomini e che adesso devono realizzare la loro propria

identità.

La caratterizzazione dell’amicizia di Lenù e Lila segue tante delle idee del

pensiero della differenza. Le due donne rifiutano di essere subalterne agli uomini nella

loro vita, lottano per i diritti di lavoro, desiderano una vita non legata alla casa e ai lavori

domestici, scoprono la loro sessualità femminile e la loro amicizia è il tema centrale della

tetralogia. Da questo punto di vista, si può sostenere che la tetralogia sia un’opera

femminista, dato che l’influenza primaria sulle loro identità è la loro amicizia. Tuttavia,

come suggerisce Stefania Lucamante , la fine della tetralogia mette in dubbio il 7

femminismo dell’Amica geniale: alla fine della Sbp, dopo un lungo percorso di

7 Lucamante analizza il postfemminismo e l’amicizia di Lenù e Lila nel suo saggio “For Sista Only? Smarginare l’eredità delle sorelle Morante e Ramondino, ovvero i limiti e la forza del post-femminismo di Elena Ferrante”.

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Page 53: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

appropriazione e inglobamento dell’altra, Lenù essenzialmente cancella Lila -- il modo in

cui Lenù lo fa verrà spiegato nell’analisi seguente -- infatti Lila sparisce e Lenù rimane da

sola. In sostanza, nonostante nel romanzo i temi della seconda ondata del femminismo

siano dominanti, nella narrazione della storia delle due amiche e nella caratterizzazione

del loro rapporto, Ferrante contraddice il motivo della sorellanza, tanto che il rapporto fra

le due amiche viene invece rappresentato e narrato come un’affermazione individualistica

postfemminista.

Angela McRobbie, nel suo libro The Aftermath of Feminism (2009), descrive

come la terza ondata del femminismo, anche chiamato il postfemminismo -- il periodo in

cui viviamo e in cui Ferrante scrive -- spesso va contro le idee della seconda ondata del

femminismo:

Broadly I envisage [post-feminism] as a process by which feminists gains of the

1970s and 1980s are actively and relentlessly undermined…by means of the

tropes of freedom and choice which are now inextricably connected with the

category of young women, feminism is decisively aged and made seem redundant.

Feminism is cast into the shadows, where at best it can expect to have some

afterlife, where it might be regarded ambivalently by those young women who

must, in more public venues, stake a distance from it, for the sake of social and

sexual recognition. (McRobbie 11)

McRobbie spiega che il postfemminismo eleva gli ideali della libertà e la scelta, ma che

da questo processo escono indebolite le idee di Cavarero, Lonzi e altre teoriche

femministe che hanno richiesto la solidarietà tra le donne per realizzare l’uguaglianza tra i

sessi. In sostanza, McRobbie descrive e critica come il postfemminismo si trasformi in un

progetto indipendente, che in effetti compromette la lotta per l’uguaglianza per le donne.

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Page 54: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

In questo capitolo analizzo questo conflitto attraverso tre tropi, o livelli tematici:

la dualità, l’appropriazione e la cancellazione. Questa analisi sarà condotta seguendo la

linea narrativa cronologica, visto che l’amicizia di Lila e Lenù si sviluppa

cronologicamente -- nonostante vari flashback -- dall’infanzia alla vecchiaia attraverso i

quattro romanzi. La mia analisi si basa primariamente sulla caratterizzazione di Lenù e

Lila attraverso le loro esperienze femminili, come lo sviluppo corporale, lo stupro, il

matrimonio e la maternità. Le due amiche vivono le stesse esperienze, ma le provano in

modi molto diversi, che enfatizzano la dualità della loro amicizia: quando Lenù

sperimenta qualcosa in un modo piacevole, Lila lo sperimenta nel modo opposto, e

viceversa.

Un aspetto fondamentale della dualità della loro amicizia è il topos della

smarginatura. In questo caso, la smarginatura si riferisce alla sensazione di Lila che il

mondo e il suo corpo sono fondamentalmente instabili e che lei e il suo ambiente sono

sempre in pericolo di perdere i loro margini (Ag 85-7). In sostanza, Lenù sottopone Lila a

un processo di smarginatura, togliendo la sua voce e inglobando tutto ciò che ha nella sua

vita: il suo primo amante, Nino (Sfr 352), l’esperienza della maternità, la corporeità, e

soprattutto la narrazione. Lila racconta diverse cose durante la sua vita, o in scrittura --

come un piccolo libro intitolato La fata blu che ispira Lenù a diventare una scrittrice (Ag

222), e tanti diari personali -- o oralmente a Lenù, come quando lei racconta come suo

marito, Stefano Carracci, la ha stuprata (Snc 41). Ma il lettore non legge mai delle

citazioni dalla scrittura di Lila, e i suoi racconti vengono sempre trasmessi attraverso la

scrittura di Lenù, dato che lei è la narratrice della tetralogia. Perciò, Lenù non si appropria

solo delle cose fisiche che Lila ha nella sua vita, ma anche della sua narrazione -- ed è in

questo modo che Lenù toglie la voce alla sua amica, dato che non include mai delle

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Page 55: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

citazioni della scrittura di Lila. In più, quando Lila le racconta degli eventi traumatici

della sua vita, Lenù li racconta usando spesso il discorso indiretto, eliminando

ulteriormente la voce diretta della sua amica. In essenza, la smarginatura non è solo la

sensazione di Lila che il mondo in cui vive è instabile per natura, ma la narrazione di

Lenù diventa un processo di cancellazione della voce della sua amica, rendendo Lila un

frutto della sua narrazione invece di lasciarle uno spazio narrativo non filtrato dalla

narrazione di Lenù.

Verso la fine della tetralogia, Lenù e Lila vivono il terremoto dell’Irpinia del

1980, un evento che per Lila conferma che la sua paura psicologica della smarginatura è

capace di manifestarsi fisicamente nel suo ambiente. Questo evento segna la transizione

da appropriazione a cancellazione: dopo il terremoto, Lila perde sua figlia, Tina, perde il

suo fidanzato, Enzo, perde la sua volontà di lavorare e perde la sua bellezza caratteristica.

Nonostante la promessa di Lenù di non usare mai la vita di Lila come una fonte di

ispirazione per le sue scritture, Lenù scrive un ultimo libro intitolato Un’amicizia. Questo

ultimo gesto di appropriazione conferma il processo di cancellazione: Lila sparisce senza

una traccia e Lenù rimane come l’unica voce narrante dell’Amica geniale.

La mia analisi dell’Amica geniale si basa sulla critica di McRobbie del

postfemminismo. Ferrante introduce Lila e Lenù come due amiche che sono opposte sia

emotivamente sia fisicamente -- Lenù è insicura e fisicamente più formosa mentre Lila è

coraggiosa e fisicamente magra -- ma ciò nonostante le due ragazze sono amiche, e

diventano sempre più amiche in un gesto di solidarietà femminile contro una minaccia

maschile: Lila prende la mano di Lenù quando vanno ad affrontare don Achille, il capo

della Camorra locale del loro rione, il quale loro sospettano abbia preso le loro bambole.

Le due amiche subiscono tante delle minacce contro cui le femministe della seconda

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Page 56: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

ondata hanno combattuto -- lo stupro, l’abuso domestico, i diritti di lavoro per le donne, le

molestie sessuali -- e anche se la loro amicizia è spesso caratterizzata da gelosia e

competizione, rimangono amiche e dipendono l’una dall’altra per aiuto e consultazione.

Al tempo stesso, questa amicizia che segue tante delle idee della seconda ondata

femminista, è continuamente in tensione con la narrazione di Lenù di Lila, in cui Lenù

gradualmente cancella la sua amica. Per esempio, nonostante la promessa di Lenù di non

pubblicare mai un libro in cui lei racconta la storia della loro amicizia, Lenù lo fa, un

gesto che richiama il postfemminismo e il progetto individualistico: Lenù segue il suo

desiderio di ambizione e usa la sua amica per un guadagno personale e commerciale -- e

nel processo perde la sua amica per sempre, dato che Lila decide di non contattare mai

più Lenù direttamente ed elimina ogni traccia fisica della propria esistenza. L’Amica

geniale rimane pertanto un’opera conflittuale che, nonostante il tema centrale

dell'amicizia femminile, mostra come la voce narrante di Lenù segua il progetto

individualistico del postfemminismo, e mini perciò dal di dentro il modello della

sorellanza ideologica della seconda ondata femminista.

 

LA DUALITÀ 

La tetralogia inizia e finisce con l’immagine di due bambole, creando una struttura

narrativa circolare dell’Amica geniale. Le due bambole, Tina e Nu, appartengono a Lenù

e Lila rispettivamente, che i genitori di Lenù e Lila hanno loro regalato. Esse sono le

opposte l’una dall’altra: mentre la bambola di Lenù (Tina) è “bellissima” con un vestitino

blu, la bambola di Lila, Nu, è “brutta e lercia” con un corpo “di pezza gialliccia pieno di

segatura” (Ag 26). Il contrasto tra le due bambole stabilisce un tema fondamentale della

tetralogia, quello della dualità, e le bambole diventano simboli di Lenù e Lila, le quali

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Page 57: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

sono anche opposte sia nel loro aspetto fisico sia nelle loro personalità. Lenù ha i capelli

biondi ed è “bellina” (Ferrante Ag 43) durante la sua infanzia, mentre Lila è descritta

come una figlia “piccola, scura di capelli e di occhi”, con le gambe “magrissime,

scattanti” e sempre “arruffata” e “sporca” (Ferrante Ag 39-44). L’aspetto fisico delle

bambole è rispecchiato nell’aspetto fisico delle protagoniste: mentre Lenù è bella e ben

pettinata, Lila, come Nu, è lercia. In più, le loro personalità sono anche in contrasto l’una

con l’altra. Lenù si rappresenta come una bambina timida che è “felice di esibirmi ma non

sfrontata” (Ferrante Ag 43), ed è intelligente ma fa fatica a memorizzare e imparare tutto

ciò che gli insegnanti le insegnano. Lila, in contrasto, mostra una capacità innata di

imparare qualsiasi materiale facilmente, e ha persino insegnato a se stessa come leggere a

tre anni (Ferrante Ag 39-43). In più, in contrasto con la timidezza e “delicatezza” di Lenù,

Lila viene descritta come “terribile” (Ferrante Ag 43). Lenù infatti enfatizza che tutte le

donne nel rione siano capaci di essere cattive, ma Lila in particolare è “cattiva sempre”

(Ferrante Ag 27).

Nonostante le loro differenze, Lila e Lenù sviluppano un’amicizia stretta durante

la loro infanzia che dura per decenni fino alla loro vecchiaia. La loro amicizia comincia

dopo che, in un accesso di gelosia, Lila getta la bambola di Lenù nello scantinato di don

Achille, il capo locale della Camorra (Ferrante Ag 27). Lenù, tentando di impressionarla,

butta via Nu, ma quando le due ragazze vanno per ritrovare le bambole, scoprono che le

bambole sono sparite -- e vanno a casa di don Achille per affrontarlo insieme, che diventa

il gesto con cui la loro amicizia nasce:

Lei riteneva di fare una cosa giusta e necessaria, io mi ero dimenticata ogni buona

ragione e di sicuro ero lì solo perché c’era lei. Salivamo lentamente verso il più

grande dei nostri terrori di allora, andavamo a esporci alla paura e a interrogarla.

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Page 58: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Alla quarta rampa Lila si comportò in modo inatteso. Si fermò ad aspettarmi e

quando la raggiunsi mi diede la mano. Questo gesto cambiò tutto tra noi per

sempre. (Ferrante Ag 25)

Con questa definizione antinomica -- e l’episodio delle bambole, che ne traccia il conflitto

-- comincia l’amicizia di Lenù e Lila, un’amicizia spesso caratterizzata da gelosia e

competizione. L’azione distruttiva di Lila (è stata lei a gettare la bambola per prima) ne

stabilisce la cattiveria come categoria distintiva fin dall’inizio della tetralogia, e a sua

volta definisce Lenù come la parte “buona” del doppio. Questa cattiveria viene in realtà

affermata dalla stessa Lenù nella parte iniziale dell’Ag, poiché lei la descrive come

“cattiva sempre” (Ferrante Ag 27). Nonostante la gelosia e competizione che ricorrono

per tutta la loro amicizia -- Lenù è sempre gelosa dell’intelligenza naturale di Lila

(Ferrante Ag 37; 106; 227) -- il gesto di prendere la mano di Lenù simboleggia come le

amiche devono combattere e difendersi dal pericolo che “l’orco” rappresenta, un gesto

che richiama l’ideale della sorellanza della seconda ondata femminista. Durante la

crescita di Lila e Lenù, il pericolo dell’orco incombe sulle protagoniste, anche se prende

forme molto diverse: si tratta spesso di pericoli che minacciano il loro corpo di donne

(come la violenza familiare e lo stupro) o degli avvenimenti che deformano i loro corpi

(come la gravidanza).

La crescita di Lenù e Lila dal corpo infantile al corpo adolescente porta con sé lo

sviluppo della loro sessualità, e lo sguardo maschile che innesca una relazione anche più

competitiva. Lila sviluppa una figura molto magra che Lenù descrive come “emaciat[a]”

(Ferrante Ag 95), ma nonostante questo il suo corpo è “delicato” con una pelle

“bianchissima, liscia, non una screpolatura” (Ferrante Ag 126), che è in contrasto forte

con lo sviluppo del corpo di Lenù:

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Page 59: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Non ero più contenta di me, tutto mi parve appannato. Mi guardavo allo specchio

e non vedevo quello che mi sarebbe piaciuto vedere. I capelli da biondi erano

diventati castani. Avevo un naso largo, schiacciato. Tutto il mio corpo continuava

a dilatarsi ma senza crescere in altezza. E anche la pelle mi stava guastando: sulla

fronte, sul mento, intorno alle mascelle, si moltiplicavano arcipelaghi di gonfiori

rossastri che poi diventavano violacei, infine mettevano punte giallicce. (Ferrante

Ag 116)

Questa polarizzazione fisica alimenta la gelosia che Lenù sente per la sua amica, poiché

Lila diventa una forza magnetica che attira l’attenzione dei ragazzi (Ferrante Ag 138-9),

mentre Lenù si sente inquieta nel suo corpo. L’adolescenza porta con sé una serie di

eventi corporei radicati nell’esperienza femminile, e queste esperienze aumentano la

competizione tra Lenù e Lila, di chi può sentirle prima: Lenù ha le mestruazioni per prima

e ha un primo fidanzato (Ag 90), mentre Lila viene chiesta in moglie per prima (Ferrante

Ag 180) -- anche se lo rifiuta -- e si sposa prima di tutte le ragazze nel rione.

L’adolescenza, dunque, stabilisce come il loro spirito di competizione venga

ulteriormente peggiorato. Questa competizione non è soltanto a causa dello sviluppo

fisico, ma anche del fatto che Lenù continuerà il proprio percorso educativo dopo la

scuola elementare. Mentre Lila non ottiene il permesso di suo padre di continuare la sua

istruzione dopo la quinta elementare (Ferrante Ag 77) -- nonostante la sua intelligenza

faccia sentire Lenù continuamente nella sua ombra -- Lenù continua gli studi fino alla

Normale di Pisa, la scuola più prestigiosa in Italia per gli studi umanistici. Lila e Lenù

cessano di essere soltanto “la cattiva” e “la buona”, ma diventano anche “la bella” e

“l’educata”, due etichette che sottolineano le loro identità come opposte.

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Page 60: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

Si può rintracciare il tema del doppio all’interno di tutti i romanzi, e l’opposizione

viene resuscitata durante la fase delle loro vite che Lenù etichetta “la maturità” che si

trova in Sfr e Sbp. L’esperienza di essere incinta è molto diversa per Lenù e Lila. A

differenza di quello che ci si aspettava dalle donne durante gli anni Sessanta, Lila non

desidera diventare madre. In più, la sua esperienza della gravidanza non è mai

un’esperienza piacevole. Il corpo di Lila, la quale ha solo 16 anni quando sposa Stefano

che la stupra durante il matrimonio, si trasforma da corpo adolescente a corpo adulto in

una maniera affrettata e dannosa. Dopo aver avuto delle difficoltà a rimanere incinta, Lila

diventa gravida contro la sua volontà, e in seguito perde il bambino (Ferrante Snc 110).

Quando rimane incinta di Gennaro (ancora con Stefano) e poi di Tina (adesso con il suo

amante e amico da tanto tempo, Enzo), lei descrive l’esperienza di essere incinta come se

qualcosa dentro di lei togliesse la sua forza ed energia, come se la gravidanza fosse un

processo di svuotamento (Ferrante Snc 112). La sua resistenza attiva contro la maternità

viene figurativamente rappresentata come un’intenzionalità violenta e omicida, alludendo

implicitamente al mito greco di Medea, la quale uccide i suoi figli per vendicarsi dopo

che suo marito, Giasone, la abbandona. Anche se Lila non uccide deliberatamente

nessuno dei suoi figli come Medea, il suo caratterizzarsi come non-madre con i propri

figli svela la sua inconscia intenzionalità di annullamento: Lila ha un aborto spontaneo

(Snc 128), riconosce di aver fallito nell’educazione di suo figlio Gennaro che diventa un

tossicodipendente e la abbandona alla fine della storia (Ferrante Sbp 285), e, soprattutto,

“perde” letteralmente sua figlia Tina, quando Tina sparisce -- forse rapita -- e non è mai

trovata (Ferrante Sbp 313).

La gravidanza e la maternità sono esperienze molto diverse per Lenù. Lei ha tre

figlie, due con il suo primo marito, Pietro, tutte e due non pianificate, e la terza con Nino,

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Page 61: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

l’amante di Lila durante la loro adolescenza. In lei queste due esperienze si configurano

come opposte a quelle di Lila. La gravidanza per Lenù è primariamente un’esperienza

positiva dal punto di vista psicologico, ma la gravidanza la costringe a riflettere sulle

differenze fisiche tra loro. Mentre Lila rimane più o meno la stessa figura, Lenù ingrassa

e il suo corpo la disgusta, e le sue insicurezze dall’adolescenza riemergono (Ferrante Sbp

169). In più, Lenù cerca di realizzarsi come madre. Mentre Lila si sforza di mostrare

affetto verso Gennaro che è diventato un drogato, lui la rispetta, a differenza delle prime

due figlie di Lenù (Dede ed Elsa), che frequentemente si oppongono a Lenù. Inoltre, la

sua infelicità come casalinga, la sua relazione con Nino e il suo tentativo -- peraltro

riuscito -- di sostenersi economicamente come autrice dopo che lascia Pietro, rendono la

relazione con le sue figlie complessa e difficile, un fatto esemplificato dalla circostanza

che alla fine entrambe le figlie preferiscono vivere con il loro padre.

L’APPROPRIAZIONE

L’opposizione di Lila e Lenù è evidente attraverso tutta la tetralogia, ed è

un’opposizione di cui Lenù si rende conto: “Era come se, per una cattiva magia, la gioia o

il dolore dell’una presupponessero il dolore o la gioia dell’altra” (Ferrante Ag 253). Io

sostengo, d’altro canto, che non è soltanto una “cattiva magia” che continua e modifica

questa opposizione. Lenù infatti prende il comando della dualità tramite la sua narrazione,

facendo subire a Lila un processo di appropriazione e cancellazione. Questo processo di

cancellazione rispecchia il fenomeno di Lila che lei nomina “smarginatura”, che è quando

si dissolvevano all’improvviso i margini delle persone e delle cose…lei aveva

avuto l’impressione che qualcosa di assolutamente materiale, presente intorno a

lei e intorno a tutti e a tutto da sempre, ma senza che si riuscisse a perciperlo,

stesse spezzando i contorni di persone e cose. (Ferrante Ag 85-7).

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Page 62: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

La definizione di Lila è più una condizione psicologica in cui si sente che il mondo e il

suo corpo si stanno “spezzando i contorni”, ma anche la narrazione di Lenù si presta a

questa definizione. Io sostengo che tramite la narrazione di Lenù nell’Amica geniale,

Lenù diventa la “qualcosa di assolutamente materiale” che “spezza i contorni” della sua

amica, togliendo la sua voce diretta dalla narrazione e pian piano la rende una non-Lila.

In altre parole, la smarginatura è il modo in cui Lenù racconta Lila per stabilire una sua

identità non dipendente dalla sua amica d’infanzia.

Un momento in cui è chiaro come Lenù e Lila si rispecchiano -- e si oppongono --

è quando tutte e due vengono stuprate nella loro adolescenza, un atto che le depriva della

loro “agency” femminile e viola il loro corpo. Anche se vivono la stessa esperienza, gli

stupri vengono descritti in modo molto diversi. Durante il viaggio di nozze di Lila e

Stefano, Stefano la violenta:

E quando lei, come sapeva fare da sempre, represse l’orrore e provò a strapparselo

di dosso tirandogli i capelli, annaspando con la bocca per morderlo a sangue, lui si

sottrasse, le afferò le braccia, gliele bloccò sotto le grosse gambe ripiegate, le

disse sprezzante: che fai, statti quieta, sei meno di una fiscella, se ti voglio

rompere ti rompo…Quando, dopo qualche tentativo maldestro, le lacerò la carne

con una brutalità entusiastica, Lila era assente…odiava Stefano Carracci, odiava la

sua forza, ne odiava il peso sopra di lei, ne odiava il nome e il cognome. (Ferrante

Snc 41)

Sia lo stupro che Lila subisce che la sua reazione emotiva e fisica vengono descritti in

grande dettaglio, rendendo la scena violenta molto visiva e dettagliata. Anche se in questo

momento Lila sta raccontando il suo viaggio di nozze a Lenù, Lila non lo racconta in

discorso diretto. Invece, Lenù racconta l’esperienza di Lila, e dato che Lenù è la

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Page 63: Contro i margini: L'amica geniale tra dimensione personale

narratrice della storia, Lila non può modificare come la sua esperienza viene

rappresentata. Anche Lenù viene stuprata da Donato Sarratore, il padre di Nino, quando è

in vacanza a Ischia -- ma Lenù racconta la sua storia molto diversamente quando riflette

sull’evento il giorno dopo: “Nemmeno per un secondo pensai che il sesso con quell’uomo

un po’ gonfio, vanitoso, ciarliero, fosse stato un errore” (Ferrante Snc 293). Il modo in cui

Lenù racconta lo stupro è quasi come se lei avesse dato il suo consenso a Donato, ma il

suo shock in seguito allo stupro (Ferrante Snc 285) insinua che lei soffra di un disturbo

post traumatico da stress. Ma Lenù è la narratrice della tetralogia -- lei ha l’opzione di

celare, manipolare e controllare la verità, una potenza che Lila non ha, dato che lei e la

sua storia vengono raccontate da Lenù.

Durante la tetralogia Lenù è presentata come la madre con la relazione difficile

con le figlie. Lenù non desiderava diventare incinta, ed è infelice nel suo ruolo di

casalinga durante il suo primo matrimonio con Pietro. A causa della sua infelicità, lei non

si occupa proprio delle sue bambine, Dede ed Elsa, le quali cominciano ad odiare la loro

madre. Anche Lila ha una relazione complicata con i suoi figli, peraltro migliore di Lenù.

Quando Rino, il primo figlio di Lila, è nato, Lila sperava che Rino sarebbe diventato un

figlio intelligente e un gran lavoratore da grande. Invece, quando si trasferiscono da San

Giovanni a Teduccio al rione Rino diventa un tossicodipendente e infine scappa a

Bologna con la figlia di Lenù, Elsa. La figlia di Lila invece, Tina, ha sempre tutto ciò che

Lila aveva quando era bambina: l’intelligenza, la bellezza, la socievolezza. Quello che

Lila ha tentato con Rino viene pian piano realizzato: Tina cresce come una bambina

intelligente ed istruita, e diventa il simbolo di un futuro con più felicità per Lila. La terza

bambina di Lenù, Imma, che viene nata a quasi lo stesso tempo di Tina, è l’opposto di

Tina: “Mia figlia, che pure era graziosa, intelligente, accanto a Tina ingrigiva, le sue

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qualità se ne andavano, e lei ne pativa. Assistetti un giorno a una loro divergenza in un

bell’italiano, quello di Tina curatissima nella pronuncia, quella di Imma ancora con

qualche sillaba mancante” (Ferrante Sbp 303). Tina e Imma vivono come estensioni di

Lenù e Lila, poiché Tina, come sua madre Lila, è la bambina bella e intelligente, mentre

Imma è, come sua madre Lenù, timida e gelosa della sua amica che è più intelligente di

lei.

La sparizione di Tina toglie l’ultima cosa che Lila ha tenuto vicino a se stessa e

che la ha legata con il mondo. Questa sparizione è stata simbolicamente anticipata dalle

bambole dall’inizio della storia, quando Lila ha gettato via nella cantina di Don Achille la

bambola di Lenù -- che infatti si chiamava Tina, come la figlia che avrebbe avuto dopo

molti anni. Lenù si rende conto di come le figlie seguano le tracce dell’infanzia di Lila e

Lenù, ma dopo la sparizione di Tina, Lila perde il suo ruolo come madre: “si sentì, credo,

come se un arto, che fino a un minuto prima era una parte del suo corpo, avesse perso

forma e sostanza senza aver subìto traumi” (Ferrante Sbp 322). Tina avrebbe avuto le

possibilità di fare tutto ciò che Lila non ha potuto fare: frequentare l’università, scegliere

il suo futuro marito e creare una vita per se stessa fuori dal rione. Dopo la sparizione di

Tina, Lila perde sia le sue caratteristiche determinanti emotive (il desiderio di creare una

vita migliore per Tina e il suo desiderio di lavorare) sia la sua caratteristica determinante

fisica (la sua bellezza). La sparizione di Tina capovolge improvvisamente questa

caratterizzazione e assegna a Lenù il ruolo della madre responsabile, e Lenù mantiene

anche il lavoro come scrittrice e tutte e le tre figlie.

Queste differenze tra Lenù e Lila mostrano come l’andamento della storia si

configuri nel senso di un processo di progressivo “svuotamento” di Lenù e Lila che

succede in due modi diversi: da una parte, è nella presenza di Lenù che Lila perde le cose

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fisiche che possiede, come i figli, la corporeità, e il lavoro. Il processo di svuotamento

risulta particolarmente evidente nel ritorno di Lenù al sud nella Sbp, quando Lenù

comincia ad inglobare nel corpo tutto ciò che Lila possiede. In un articolo scritto sul rione

da un giornalista, Lenù, che è in una foto con Tina, viene identificata come sua madre

invece di Lila (Sbp 265). Questa identificazione di madre di Lila richiama la bambola che

Lenù aveva da bambina, la quale si chiamava anche Tina. Questo implica che, dopo la

sparizione di Tina, Lila non verrà mai identificata nella storia scritta come la madre di

Tina. Quella consapevolezza esiste solo nella memoria delle persone che conoscevano

Lila e Tina, che sono tutte persone che spariscono alla fine della storia: i fratelli Solara

vengono uccisi, Enzo lascia Lila, i genitori e le altre persone dal rione muoiono. Lenù,

invece, rimane nel giornale come la madre “ufficiale” di Tina, togliendo così il ruolo di

madre da Lila. Lila diventa anche sempre più magra dopo il ritorno di Lila, mostrando

simbolicamente che nella presenza di Lenù, i “contorni” della figura fisica di Lila si

“spezzano”, come lei aveva temuto nella sua descrizione della smarginatura. In più, Lila

aveva creato con Enzo un’azienda di computer, che le permetteva di assistere

economicamente tutte le persone al rione, un fatto per cui lei riceveva lodi da tutti. Ma

dopo la sparizione di Tina, Lila smette di lavorare. Lenù, dall’altra parte, continua a

scrivere, e scrive un articolo sulla corruzione della mafia, ottenendo pertanto la

reputazione di salvatrice del rione.

In altre parole, Lenù impone a Lila un processo di smarginatura nella sua

narrazione. Nella Sfr, Lenù, la narratrice al giorno d’oggi, pausa la sua narrazione per un

attimo e interrompe se stessa: “Forse questa è l’ultima volta che racconto di Lila con

ricchezza di dettagli. In seguito è diventata sempre più sfuggente e il materiale a mia

disposizione si è impoverito…Voglio che lei ci sia, scrivo per questo. Voglio che cancelli,

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che aggiunga, che collabori alla nostra storia rovesciandoci dentro, secondo il suo estro, le

cose che sa, che ha detto o che a pensato” (Ferrante Sfr 91). Lenù riconosce che la sua

narrazione non è affidabile, e desidera che Lila intervenga nella narrazione per

aggiungere la sua voca. Questo, peraltro, non è possibile. Lila è sparita e i lettori non

sentono mai la sua voce diretta, ma ciò nonostante Lenù continua a scrivere. Invece di

rendersi conto della sua memoria inaffidabile, Lenù incolpa Lila sottilmente quando la

descrive come “sempre più sfuggente”. Non è Lila che col tempo diventa sfuggente, ma le

memorie che Lenù ha di Lila diventano sfuggenti. È in questo senso che la narrazione di

Lenù è un processo di smarginatura: Lenù scrive delle memorie sfuggenti di Lila, creando

così una scrittura di Lila che è sfuggente, metaforicamente smarginando e “spezzando i

contorni” di Lila. Tramite la sua narrazione, Lenù diventa un offuscamento di tratti che

aveva all’inizio della tetralogia -- la timidezza, l'insicurezza, la madre cattiva, il corpo

formoso -- e tratti che ha tolto da Lila: il ruolo come madre, il lavoro, e il ruolo di

salvatrice del rione. Lila, invece, diventa un tipo di non-Lila: perde le sue caratteristiche

fondamentali, e diventa invece una memoria sfuggente.

LA CANCELLAZIONE

Il terremoto del 1980 segna il punto di svolta in cui i ruoli amicali stabiliti nella

loro infanzia si scambiano. Durante il terremoto Lila lo percepisce come la

manifestazione fisica del suo sforzo interno che lei definisce come “smarginatura”: Lila

improvvisamente si immobilizza, la sua paura della smarginatura emerge, e rivela a Lenù

il suo sforzo interno e costante teso a prevenire la disastrosa sensazione che il suo corpo si

dissolva:

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Capii che mi ero sbagliata: lei, sempre al governo di tutto, in quel momento non

stava governando niente. Era immobile per l’orrore, temeva che se solo l’avessi

sfiorata si sarebbe rotta…Io sarei rimasta ferma, ero la punta del compasso che è

sempre fissa mentre la mina corre intorno tracciando cerchi. Lila invece…faticava

a sentirsi stabile. Non ci riusciva, non ci credeva…Quando, malgrado la sua

ingegneria preventiva sulle persone e sulle cose, la colata prevaleva, Lila perdeva

Lila, il caos pareva l’unica verità, e lei -- così attiva, così coraggiosa -- si

cancellava atterrita, diventava niente. (Ferrante Sbp 158-65, enfasi nell’originale)

Il terremoto diventa il catalizzatore che afferma che i ruoli amicali stabiliti nella loro

infanzia sono scambiati. Lenù ha un momento di chiarimento, e capisce che mentre lei

accetta e vive in armonia con il caos del mondo (che lei afferma quando considera se

stessa come “la punta del compasso che è sempre fissa” nella citazione precedente), Lila

lotta sempre con la sensazione che i margini del mondo si stiano frantumando. Infatti,

comparandosi alla “punta del compasso”, Lenù insinua che Lila è “la mina [che] corre

intorno”, mai stabilizzandosi nel mondo che Lila percepisce come instabile e che il suo

corpo stesso può rompersi. Lenù è caratterizzata come la parte solida nella relazione

duale: si trasforma nell’una delle due che sostiene l’altra, al contrario di come nella

tetralogia i ruoli amicali sono stati rappresentati fino a quel momento. Il modo in cui

racconta della smarginatura di Lila dà un’impressione che sia Lila a cancellare se stessa.

Quando Lenù afferma che “Lila perdeva Lila…si cancellava atterrita, diventava niente” è

un modo di evitare qualsiasi colpa per la cancellazione della sua amica, e non ammette

che la sua narrazione diventa anche un motore per smarginare la sua amica.

La scrittura viene rappresentata come la potenza che può cancellare Lila. Ma Lila

era anche una scrittrice durante la sua giovinezza, e nella Snc Lila affida a Lenù i suoi

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diari e le fa promettere di non leggerli mai, una promessa che Lenù quasi

immediatamente rompe:

Mi dedicai molto a quelle pagine, per giorni, per settimane. Le studiai, finii per

imparare a memoria i brani che mi piacevano, quelli che mi esaltavano, quelli che

mi ipnotizzavano, quelli che umiliavano…Infine una sera di novembre,

esasperata, uscii portandomi dietro la scatola. Non ce la facevo più sentirmi Lila

addosso e dentro…Mi fermai su ponte Solferino…poggiai la scatola sul parapetto,

la spinsi piano, poco per volta, finché non cadde nel fiume quasi che fosse lei, Lila

in persona, a precipitare, coi suoi pensieri, le parole, la cattiveria con cui restituiva

a chiunque colpo su colpo, il suo modo di appropriarsi di me come faceva con

ogni persona o cosa o evento o sapere che la sfiorasse. (Ferrante Snc 17-18)

Lenù, dopo aver letto il diario, butta rabbiosamente nell’Arno questa estensione di Lila,

questo corpus di testi. La sua sensazione di sentire Lila “addosso e dentro” è la paura di

Lenù di non diventare mai geniale quanto teme che Lila sia, una paura che viene

confermata quando legge la scrittura geniale di Lila. La decisione di Lenù di buttare via i

diari di Lila diventa un atto di resistenza violenta verso l’amica, contro la quale mette in

atto una specie di omicidio simbolico, eliminando simbolicamente la sua vita e l’evidenza

che l’amica geniale della storia forse non è Lenù, come Lila spesso afferma, ma Lila.

Il modo in cui Lenù narra l’ultimo capitolo della tetralogia -- e l’ultimo capitolo

della sua vita fino a oggi, per così dire -- mostra come il processo della cancellazione si

conclude. Dopo che anche Lila sparisce, le bambole tornano a Lenù, arrivando

enigmaticamente in un pacco postale:

Erano quelle che Lila mi aveva spinto ad andare a riprendere fino a casa di don

Achille…ci aveva risarcito con del denaro perché ce ne comprassimo altre. Però

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noi con quei soldi non avevamo comprato bambole -- come avremmo potuto

sostituire Tina e Nu? -- ma Piccole donne, il romanzo che aveva indotto Lila a

scrivere La fata blu e me a diventare ciò che ero oggi, l’autrice di molti libri e

soprattutto di un racconto di notevole successo che si intitolava Un’amicizia”.

(Ferrante Sbp 451)

Lenù identifica le bambole non come simboli di loro stesse, in quanto Tina rappresenta

Lenù e Nu rappresenta Lila, ma piuttosto come simboli del proprio successo. Lila viene

identificata come una persona che la ha aiutata a diventare chi è oggi -- “l’autrice di molti

libri e soprattutto di un racconto di notevole successo” -- che rende Lila come una fonte

d’ispirazione per la sua aspirazione capitalista invece di una persona tridimensionale con i

suoi desideri, aspirazioni e sacrifici. Infatti, Lenù si arrabbia con Lila: “Ecco cosa aveva

fatto: mi aveva ingannata, mi aveva trascinata dove voleva lei, fin dall’inizio della nostra

amicizia. Per tutta la vita aveva raccontato una sua storia di riscatto, usando il mio corpo

vivo e la mia esistenza” (Ferrante Sbp 451). L’accusa che Lenù impone alla sua amica è

infatti quella che Lenù ha lanciato a Lila: non le ha permesso di raccontare la sua storia,

ha buttato via tutto ciò che contiene le sue parole originarie e Lenù ha usato la vita di Lila

come per raccontare la sua storia.

Nonostante Lenù avesse promesso a Lila di non scrivere mai di lei, Lenù lo fa:

“L’avevo sempre sopravvalutata, da lei non sarebbe venuto niente di memorabile, cosa

che mi rasserenava e intanto sinceramente mi dispiaceva. Io amavo Lila. Volevo che lei

durasse. Ma volevo essere io a farla durare. Credevo che fosse il mio compito. Ero

convinta che lei stessa, da ragazzina, me lo avesse assegnato” (Ferrante Sbp 441). È

dall’amore per Lila e il desiderio di Lenù di farla “durare” che Un’amicizia viene scritta.

Il titolo del libro allude al titolo della tetralogia -- L’amica geniale -- creando una rete

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intertestuale tra il libro fittizio (Un’amicizia), il libro che Lenù scrive (L’amica geniale) e

la tetralogia che Ferrante ha pubblicato. Lenù insiste che le sue scritture di Lila erano un

tentativo di “darle una forma che non si smargini, e batterla, e calmarla, e così a mia volta

calmarmi” (Ferrante Sbp 444). Tuttavia, a paragone con quella insistenza, verso la fine

della storia Lenù si rassegna che “Lila non è in queste parole. C’è solo ciò che io sono

stata capace di fissare. A meno che, a forza di immaginarmi cosa avrebbe scritto e come,

io non sia più in grado di distinguere il mio e il suo” (Ferrante Sbp 447). Questa ultima

asserzione che “Lila non è in queste parole” sembra una confessione di Lenù, che non è

riuscita a dare Lila “una forma che non si smargini” tramite la sua scrittura, e Lenù lascia

aperta la possibilità che le parole di Lila si siano mescolate con le sue, creando così

un’impressione che la sua voce narrante “sembra sdoppiarsi” (Lucamante 6, enfasi

nell’originale). Da questo punto di vista, Lenù richiama alla sorellanza della seconda

ondata femminista, poiché pare che due voci femminili si mescolino per creare una storia

di un'amicizia durevole. Tuttavia, Lenù non cita mai direttamente dalla scrittura di Lila --

se lei la avesse citata direttamente, Lenù avrebbe stabilito una relazione di uguaglianza tra

le due voci narranti. Lenù, invece, sacrifica figurativamente la sua amica e si appropria

della scrittura di Lila -- che non permette ai suoi lettori di leggere -- per creare una

propria storia in cui la sua narrazione è la voce dominante, seguendo in quella maniera il

percorso del postfemminismo. Dopo che Lenù scrive Un’amicizia, Lila, non accettando

che Lenù abbia tradito la sua fiducia, rimuove ogni traccia della sua esistenza e sparisce

(Ferrante Ag 18-19), completando così il processo di cancellazione. Le bambole non

significano più “la cattiva” e “la buona”, come all’inizio della tetralogia: il corpo di Lenù

rimane come l’unico significante sia di se stessa che di Lila, e la bambola di Lila rimane

senza un referente, giacché Lila è sparita senza una traccia.

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Conclusione 

Come, dunque, capire questa tensione tra l’ideale della sorellanza e la

cancellazione di Lila dentro L’amica geniale? Da una parte, questo bildungsroman di

un’amicizia femminile segue tante delle ideologie della seconda ondata del femminismo.

Scrivere un romanzo, in cui il fulcro della storia è un’amicizia complicata, profonda e

durevole di due donne, è in sé un atto femminista da parte di Ferrante. La tetralogia è

molto attuale. Al giorno d’oggi, quando il conservatorismo politico che si sta diffondendo

attraverso l’Europa e gli Stati Uniti minaccia tanti dei diritti delle donne -- diritti per cui

le femministe come Adriana Cavarero e Carla Lonzi hanno combattuto -- l’opera di

Ferrante, che mostra giusto il periodo in cui quelle femministe hanno vissuto, illustra che

cos’è a rischio per le donne oggi.

Dall’altra parte, nonostante il femminismo che Ferrante stessa sostiene di seguire

(La frantumaglia 72), Lenù in effetti cancella Lila tramite la sua scrittura. Questa

cancellazione -- o, per usare il termine ferrantiano, la smarginatura -- rema contro

l’ideale della sorellanza, ed invece segue il sentiero individualistico del postfemminismo.

La fine dell’Amica geniale, dunque, rimane in parte controversa. Tramite questa opera

Ferrante ha certamente creato una storia vivida di un’amicizia complessa, ma la fine

segue lo stereotipo che le donne sono, fondamentalmente, incapaci di essere amiche a

causa della competizione e della gelosia femminile.

Questa fine lascia un po’ a desiderare. Alla luce dello smascheramento

dell’identità di Ferrante da parte del giornalista Claudio Gatti, il quale ha anche suggerito

che il marito di Ferrante la abbia aiutata a scrivere i suoi romanzi, sarebbe desiderabile

che la conclusione della tetralogia fosse che Lenù e Lila fossero rimaste i pilastri delle

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loro vite, enfatizzando così la potenza della scrittura femminile per sostenere l’identità

femminile.

Ma forse L’amica geniale di Ferrante non si arrende completamente

all’individualismo del postfemminismo. Infatti, il primo capitolo di questa tesi si è

ispirato proprio alla mappa visuale che Ferrante ha esposto nelle sue descrizioni di

Napoli, come se fosse un invito ai lettori -- e forse, specificamente, le lettrici -- ad andarci

e perlustrare l’ambiente. Questa è, possibilmente, un’interpretazione esagerata dell’Amica

geniale -- ma ciò nonostante, è stata proprio la scrittura dell’autrice nascosta, con i

riferimenti espliciti a Carla Lonzi e la filosofia femminista, che ha spinto la mia ricerca in

Italia. È vero che sono andata a Napoli e ho fatto ricerca lì da sola, che si può sostenere

segua l’individualismo del postfemminismo -- ma questa non è la verità. Le ombre di Lila

e Lenù mi seguivano e non mi sono sentita da sola. Pensavo sempre a quelle personagge,

come loro hanno interagito con il loro ambiente nella letteratura di Ferrante, e le nostre

somiglianze e differenze. Quello che Ferrante ha creato è infatti diventata una rete

intrinseca tra personagge fittizie e una studentessa reale -- me stessa -- che mi ha aiutato a

riflettere sulla mia identità di donna. E se questo non è un atto di sorellanza -- sebbene

non convenzionale -- che cos’è?

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