contro gli standard

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30 5|2012 POLITICHE Gli studi sul tema della qualità in particolare (certificazione, stan- dard…) sono addirittura sovrab- bondanti: mi basta citare, uno per tutti, la proposta dal sito “Qualità e Benessere” 1 . In generale, sul- la riforma dell’assistenza ormai indispensabile, propongo il qua- dro di riferimento assai comple- to pubblicato nella ricerca “Dise- gniamo il Welfare di domani” IRS 2011 2 e nel paper del Forum del Terzo Settore “Il Welfare di doma- ni?” 3 . Queste indicazioni biblio- grafiche recenti (se ne potrebbe- ro citare numerose altre) sono il riferimento teorico in cui si inseri- scono le riflessioni di questo arti- colo, accanto alla mia esperienza con gli anziani non autosufficien- ti (N.A.). Le considerazioni pro- poste hanno l’obiettivo di ricer- care la qualità necessaria secon- do un approccio del tutto opera- tivo. Necessaria è più che suffi- ciente, per cui la risposta non sta nello scegliere a quale qualità ri- nunciare, ma nel ricercare una qualità diversa. QUALITà E RISORSE DECRESCENTI L’osservazione fondamentale at- tiene ai percorsi di miglioramen- to della qualità nelle strutture resi- denziali per anziani N.A. e nella as- sistenza domiciliare che sono stati impostati almeno nelle regioni del Centro-Nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana) prima della grande crisi del 2008, ma poi attuati in un periodo di progressiva diminuzione di risorse, senza ave- re il coraggio di cambiare i presup- posti dei sistemi di accreditamen- to, chiave di volta di tali migliora- menti. Con una evidente distanza tra obiettivi ambiziosi e attuazio- ne effettiva, che produce insod- disfazione in tutti i protagonisti e contraddizioni operative. Dunque in nome della qualità, nelle nuove condizioni di ristrettezza economi- ca, occorre ripensare la normativa, renderla più semplice e praticabile e soprattutto riempire di un conte- nuto etico le responsabilità di at- tuazione e controllo. Gli esempi a cui ispirarsi non mancano e io vor- rei qui richiamare il caso della Fe- derazione Diocesana Servizi agli Anziani (FEDISA) a Reggio Emi- lia che organizza 19 case residen- za per anziani (ex Residenze Sa- nitarie Assistenziali e Case protet- te), disponendo di circa 700 posti complessivi e realizzando un fat- turato 2011 di € 15 milioni. Si trat- ta di dati aggregati a fini statisti- ci, perché nella realtà ogni strut- tura agisce autonomamente, pur nell’ambito di linee guida condi- vise. I posti letto accreditati so- no pochi (meno del 10%), utilizza- ti dal Pubblico in funzione di sup- plenza a situazioni evidentemente carenti e ciò determina una gestio- ne realizzata in base alle norme in- dispensabili, accettate e condivi- se, dell’Autorizzazione al Funzio- namento. Il primo risultato di que- sta libertà di azione consiste nel costo giornaliero di assistenza di € 70/80, contro il dato regionale sta- bilito nella normativa dell’accredi- tamento pari a circa € 90. Ciò non si traduce in una evidente minore CONTRO GLI STANDARD DI QUALITà Dino Terenziani * In condizioni di ristrettezza economica, occorre ripensare alla normativa, riorganizzare i servizi e ritrovare una responsabilità etica nell’attuazione e nel controllo *] Consultente membro della Commissione regionale cooperazione sociale dell’Emilia-Romagna.

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Page 1: Contro gli standard

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Gli studi sul tema della qualità in particolare (certificazione, stan-dard…) sono addirittura sovrab-bondanti: mi basta citare, uno per tutti, la proposta dal sito “Qualità e Benessere”1. In generale, sul-la riforma dell’assistenza ormai indispensabile, propongo il qua-dro di riferimento assai comple-to pubblicato nella ricerca “Dise-gniamo il Welfare di domani” IRS 20112 e nel paper del Forum del terzo Settore “Il Welfare di doma-ni?”3. Queste indicazioni biblio-grafiche recenti (se ne potrebbe-ro citare numerose altre) sono il riferimento teorico in cui si inseri-scono le riflessioni di questo arti-colo, accanto alla mia esperienza con gli anziani non autosufficien-ti (N.A.). Le considerazioni pro-poste hanno l’obiettivo di ricer-care la qualità necessaria secon-do un approccio del tutto opera-tivo. Necessaria è più che suffi-ciente, per cui la risposta non sta nello scegliere a quale qualità ri-nunciare, ma nel ricercare una qualità diversa.

Qualità e risorse decrescenti

L’osservazione fondamentale at-tiene ai percorsi di miglioramen-to della qualità nelle strutture resi-denziali per anziani N.A. e nella as-sistenza domiciliare che sono stati impostati almeno nelle regioni del Centro-Nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, toscana) prima della grande crisi del 2008, ma poi attuati in un periodo di progressiva diminuzione di risorse, senza ave-re il coraggio di cambiare i presup-posti dei sistemi di accreditamen-to, chiave di volta di tali migliora-menti. Con una evidente distanza tra obiettivi ambiziosi e attuazio-ne effettiva, che produce insod-disfazione in tutti i protagonisti e contraddizioni operative. Dunque in nome della qualità, nelle nuove condizioni di ristrettezza economi-ca, occorre ripensare la normativa, renderla più semplice e praticabile e soprattutto riempire di un conte-nuto etico le responsabilità di at-tuazione e controllo. Gli esempi a

cui ispirarsi non mancano e io vor-rei qui richiamare il caso della Fe-derazione Diocesana Servizi agli Anziani (FEDISA) a Reggio Emi-lia che organizza 19 case residen-za per anziani (ex Residenze Sa-nitarie Assistenziali e Case protet-te), disponendo di circa 700 posti complessivi e realizzando un fat-turato 2011 di € 15 milioni. Si trat-ta di dati aggregati a fini statisti-ci, perché nella realtà ogni strut-tura agisce autonomamente, pur nell’ambito di linee guida condi-vise. I posti letto accreditati so-no pochi (meno del 10%), utilizza-ti dal Pubblico in funzione di sup-plenza a situazioni evidentemente carenti e ciò determina una gestio-ne realizzata in base alle norme in-dispensabili, accettate e condivi-se, dell’Autorizzazione al Funzio-namento. Il primo risultato di que-sta libertà di azione consiste nel costo giornaliero di assistenza di € 70/80, contro il dato regionale sta-bilito nella normativa dell’accredi-tamento pari a circa € 90. Ciò non si traduce in una evidente minore

contro Gli standard di Qualità Dino Terenziani *

In condizioni di ristrettezza economica, occorre ripensare alla normativa, riorganizzare i servizi e ritrovare una responsabilità etica nell’attuazione e nel controllo

*] Consultente membro della Commissione regionale cooperazione sociale dell’Emilia-Romagna.

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qualità, infatti il confronto sui ca-si specifici non rileva una soddi-sfazione degli utenti diversifica-ta in base alla formula gestiona-le. Per l’appunto occorre valutare caso per caso. Se questo è vero, come si giustifica una differenza di costo tanto elevata? Semplifican-do, rilevo:1. l’utilizzo di risorse di volontaria-

to molto gradite;2. l’attività di fundraising praticata

con successo; 3. la flessibilità del personale (in-

quadrato nel CCNL dell’Une-ba o della cooperazione socia-le) motivata dalla disponibilità degli addetti ad autorganizzar-si secondo necessità;

4. i costi ridotti delle strutture fisi-che, normalmente in carico del-le parrocchie proprietarie degli immobili.

tutti questi vantaggi competitivi si basano sulla piccola dimensione delle case residenza, mediamen-te inferiori a 40 posti letto, sul ra-dicamento territoriale forte, sulla partecipazione della comunità di riferimento, sulla eticità dei com-portamenti. Questa esperienza è fra le più virtuose e ciò non signi-fica proporre la superiorità di un modello. Significa che, garanti-ta la qualità sufficiente con l’au-torizzazione al funzionamento, la qualità necessaria non dipen-de dall’eccessiva applicazione di norme e di standard, che posso-no rivelarsi in alcuni casi contro-producenti. Insomma occorre che i decisori politici, nella attuale si-tuazione di difficoltà economica, sappiano raccogliere le esperien-ze utili, rinunciando ad una pre-sunta (sostenuta soprattutto a li-vello sindacale) superiorità della gestione tutta pubblica. Da qui la correttezza e la opportunità della

seguente sollecitazione: “I prossi-mi anni devono essere caratteriz-zati da un forte impegno dell’inco-raggiamento all’etica, del rispetto della dignità della persona, della valorizzazione delle competenze professionali (anziché delle appar-tenenze) del sostegno all’evidenza scientifica, del riconoscimento del significato etico e non meramen-te contabile della lotta agli spre-chi, dell’attenzione alle disegua-glianze, del recupero della capa-cità di indignarsi di fronte al dif-fondersi di comportamenti oppor-tunistici da parte di fornitori, ero-gatori e professionisti”4.

Qualità dell’assistenza e Qualità dei canali di Finanziamento

La più importante fonte di spe-sa nel settore della non autosuf-ficienza (Long term Care L.t.C.) è l’indennità di accompagnamen-to, che da anni (vedi ad es. “La ri-forma dell’assistenza ai non auto-sufficienti” a cura di Cristiano Go-ri5) molti addetti ai lavori valuta-no superata nella attuale confi-gurazione. Per farla breve, i limi-ti evidentissimi di questi trasfe-rimenti in denaro consistono nei criteri di accesso limitati alla so-la valutazione medica, spesso di-somogenea nelle varie regioni ita-liane, nella rinuncia alla rilevazio-ne dell’appropriatezza dell’utiliz-zo, nella mancata graduazione tra utenti con bisogni e redditi tra lo-ro diversi. L’indennità di accom-pagnamento istituita con la leg-ge 1980, per venire incontro alle necessità di chi non è in grado di svolgere una attività lavorativa, è stata estesa nel 1998 anche agli over 65, cambiando la ratio della norma iniziale, che ora per il 75%

copre i costi della disabilità acqui-sita degli anziani. Pur prendendo i numeri con beneficio di inventa-rio, per dare un’idea dell’inciden-za economica del provvedimento, nel 2009 sono stati spesi almeno € 9 miliardi (stimati pari al 50% di tutta la spesa pubblica per L.t.C.) a favore di 1.150.000 anziani N.A. Non si migliora la qualità dell’as-sistenza se questo importante vo-lume di risorse non rientra a pieno titolo nella rete dei servizi ai non autosufficienti in termini di appro-priatezza: spendere molto non vuol dire spendere bene.L’osservazione del 2002 di Antonio Guaita, professore presso la Scuo-la di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Pavia, guida le mie riflessioni sulla burocratizza-zione delle regole e dei control-li, quale uno dei principali ostacoli a tale miglioramento della qualità: “Certamente il modello burocrati-co e autorizzativo su cui sono sta-te costruite le unità valutative rap-presenta bene quel misto di incul-tura e di impotenza che genera un intervento inutile, costoso e auto-ritario… un intervento che non vie-ne richiesto da chi ha bisogno, ma imposto dalla struttura gestiona-le pubblica… Questa impostazio-ne contiene in sé un errore di par-tenza, per cui l’obiettivo principale è stato attribuito più al versante del buon funzionamento della struttu-ra dei servizi che a quello del so-stegno della persona e della fami-glia”6. A me sembra che in 10 anni po-co si sia conquistato per ovvia-re a queste disfunzioni e l’accre-ditamento in Emilia-Romagna è un caso che ha rivelato la preva-lenza della logica burocratica sul-la ricerca della qualità. Per giu-stificare questa critica, evidenzio

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che il lungo percorso di rinnova-mento normativo iniziato con la legge n. 2/2003 e concluso for-malmente nel 2010 con la pub-blicazione del sistema omogeneo delle tariffe da applicare ai servizi accreditati, sta dimostrando, alla prova della concreta applicazio-ne, molte difficoltà e incongruen-ze. Prima fra tutte, l’applicazione formale e tecnicistica della nuova normativa in termini di adegua-mento alle procedure, ai requisi-ti, ai costi, limita un ripensamento condiviso dello status quo nella nuova situazione della domanda offerta dei servizi socio-sanitari. Anche il tentativo posto in esse-re nel 2012 dalla Regione Emilia-Romagna con “Il progetto di af-

fiancamento e accompagnamen-to dei servizi per anziani e disabili verso l’accreditamento definitivo” per cercare di rimediare a que-sta disfunzione per come è strut-turato e applicato pare aggrava-re il problema, anziché risolver-lo7. Il motivo è ancora una volta l’impostazione basata sull’elabo-razione di strumenti tecnici, com-pilativi, ai quali il gestore diligen-te ed attento a scrivere, è quali-tativamente promosso. In secondo luogo è apparso già evidente, che il sistema disincen-tiva la spinta al miglioramento sia dei gestori pubblici che di quelli privati a causa dei prezzi prestabi-liti, degli accessi garantiti dal pub-blico, dei requisiti molto numerosi

(ben 168 per una residenza per an-ziani) e troppo stringenti. Infine occorre sottolineare con preoccupazione “la contraddizio-ne presente, a fronte della doman-da in forte crescita e la scarsità di risorse, tra la parte di anziani as-sistiti con un contributo pubbli-co medio attorno a € 40 e un altro gruppo, di uguale livello di gravi-tà e di reddito, che rimane esclu-so o deve pagare una retta di € 90”8. Insomma si pone un visto-so problema di equità tra utenti non troppo diversi, che si trova-no a sostenere oneri a partire da € 50 per i tutelati, € 70 per il merca-to privato gestito dalle parrocchie, € 90 per l’inserimento in strutture pubbliche a tariffa piena.

Anziani in un piccolo paese dell’Emilia-Romagna

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Qualità e sussidiarietà

Andando ancor più nello specifico, non bisogna sprecare le opportu-nità offerte dalla pratica della sus-sidiarietà realizzata con l’interven-to del privato-sociale, in particola-re delle cooperative sociali. Sem-pre con beneficio di inventario, una ricerca dello SPI CGIL9 presentata nel gennaio 2012 indica i posti let-to in 265.000 in oltre 5.000 struttu-re. È ragionevole stimare che la ri-partizione di tali posti letto sia per il 42% a gestione pubblica e il 58% a gestione privata, con una larga prevalenza del privato-sociale. Dunque, l’apertura a gestioni com-plete da parte di soggetti del priva-to e del privato sociale, è un dato acquisito, pur continuando ad es-sere visto con sospetto. Pur reputando necessaria la fun-zione di programmazione, governo e controllo dei servizi socio-sanita-ri in capo al pubblico, che di fatto ha già accettato il sistema misto, la regolamentazione attuale co-stringe chiunque si avventura nel-la gestione di una struttura, a far-lo in modo omogeneo al pubblico stesso. “Con questa impostazione non si consente l’autonomia orga-nizzativa dei soggetti privati e del privato sociale, che pur nel rispetto obbligatorio delle indicazioni degli Enti titolari del servizio, potrebbero sperimentare, ad esempio, proce-dure di lavoro più produttive, una maggiore attenzione all’utente, una organizzazione più efficiente, con

ciò consentendo non solo il plura-lismo dei soggetti, ma anche del-la produzione dei servizi. Anche il controllo di qualità, indispensabile nella concessione di servizio pub-blico, non migliora oltre un certo li-vello di procedure imposte, che in-vece producono burocrazia per il gestore e complicazioni per il con-trollore”10.

Qualità e domiciliarità

Da ultimo voglio sottolineare che la ricerca di una qualità diversa, necessaria a far fronte all’attuale crisi di risorse, senza troppi dan-ni per gli anziani N.A. passa attra-verso la ristrutturazione profonda dell’assistenza domiciliare, ab-bondante e costosa nella struttu-ra di supporto, poco specializza-ta dal punto di vista professionale, molto autoreferenziale. Non si ca-pisce perché la gestione delle ba-danti, la più grande risorsa orga-nizzativa dell’ultimo decennio in-ventata e gestita dagli utenti, ri-manga esclusa dalla rete dei ser-vizi e quando viene sfiorata dall’in-tervento pubblico, tale intervento normalmente complica le relazioni tra le parti. Per dirla in modo sem-plice, bisognerebbe che il pubbli-co integrasse l’autonoma organiz-zazione delle famiglie: 1. con aiuti economici a ciò depu-

tati, utilizzando in modo più pro-duttivo l’indennità di accompa-gnamento;

2. con sgravi fiscali significativi,

prendendo, ad esempio, le mo-dalità adottate in Francia;

3. con un’azione discreta di super-visione attraverso il supporto a domicilio delle badanti e supe-rando i corsi di formazione tra-dizionali assai poco utili;

4. con la fornitura delle prestazioni specializzate, realizzando final-mente un’efficace integrazione del sociale e del sanitario.

Ciò comporterebbe una migliore qualità della assistenza prestata, quindi un ritardo nell’istituzionaliz-zazione e dunque un miglioramen-to della qualità della vita delle per-sone anziane N.A. Con un notevo-le risparmio di costi.

1] http://www.marchioqeb.it/2] “Prospettive Sociali e Sanitarie”, n. 20-22 di-cembre 2011.3] C. gori (a cura di), dicembre 2011.4] n. DirinDin, Perché e come salvare il welfare, in “Animazione sociale”, n. 260/2012.5] C. gori (a cura di), La riforma dell’assistenza ai non autosufficienti. Ipotesi e proposte, Il Muli-no, Bologna, 2006.6] A. guAitA, Quantità e qualità dei nuovi bisogni della persona anziana, in “Appunti sulle politiche sociali”, n. 2/2002.7] …“in sostanza occorre evitare che questo processo si risolva in una impegnativa produ-zione documentale e cartacea e non sia inve-ce un processo di innovazione e qualificazione interno delle strutture”. Regione Emilia-Roma-gna - Direzione sanità e servizi sociali - Servi-zio governo dell’integrazione socio-sanitaria e delle politiche per la non autosufficienza, no-vembre 2011.8] F. PrAnDi e D. terenziAni, L’accreditamento tra obblighi e opportunità, in “Servizi Sociali oggi”, 2/2011.9] SPI CGIL (a cura di), Le residenze per la terza età scenari e prospettive, gennaio 2012.10] D. terenziAni, L’accreditamento in Emilia-Ro-magna: un percorso di rinnovamento del Welfare, in “Autonomie locali e servizi sociali”, n. 1/2010.