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3 Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto Conoscere la storia antica attraverso i musei archeologici A cura di Marina Cenzon

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Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto

Conoscere la storia antica attraverso i musei archeologici

A cura di Marina Cenzon

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Copertina di Angela Pierri © 2006 MPI – Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto Direzione Generale Riva de Biasio - S.Croce 1299 - 30135 Venezia Tel 041 2723111 http://www.istruzioneveneto.it [email protected]

Direttore Generale: Carmela Palumbo

Responsabile del progetto: Gianna Miola – Dirigente Ufficio I e coordinatore Ufficio della comunicazione esterna

Editing: Pierantonio Bertoli – Marina Cenzon

Finito di stampare nel mese di … 2006 presso …. Stampato in Italia – Printed in Italy

Il presente volume può essere riprodotto per l’utilizzo da parte delle scuole per le attività di formazione del personale direttivo e docente. Esso non potrà essere riprodotto e utilizzato parzialmente o totalmente per scopi diversi da quello sopraindicato, salvo esplicita autorizzazione dell’USR per il Veneto.

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INDICE PRESENTAZIONE Carmela Palumbo 9

DAL SEGNO AL SENSO: ITINERARI DI FORMAZIONE, ITINERARI DI CONOSCENZA Gianna Miola 11

A TU PER TU CON LA STORIA ANTICA: LE RAGIONI DI UN PROGETTO Pierantonio Bertoli 15

INSEGNARE STORIA AL MUSEO: L'EFFICACIA DIDATTICA DELLE FONTI MUSEALI Marina Cenzon 19

IL MUSEO NATURALISTICO ARCHEOLOGICO DI VICENZALA GROTTA DEL BROION: CACCIATORI PALEOLITICI ED EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO Antonio Dal Lago 25

DALLA ROCCIA ALLA PUNTA DI FRECCIA: PERCORSO NELLA SALA GEOPALEONTOLOGICA E NELLA SEZIONE PREISTORICA DEL MUSEO NATURALISTICO ARCHEOLOGICO DI VICENZA Sandra Pellizzari - Cristina Saccardo 33

MUSEI CIVICI AGLI EREMITANI DI PADOVA COLLEZIONI PREROMANE DEL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI PADOVA Girolamo Zampieri 39

AL MUSEO GLI OGGETTI MI PARLANO DEI VENETI ANTICHI: PERCORSO OPERATIVO PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA ELEMENTARE Mirella Cisotto Nalon 46

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MUSEO DI STORIA NATURALE E ARCHEOLOGIA DI MONTEBELLUNA METODI DI DIDATTICA AL MUSEO DI STORIA NATURALE E ARCHEOLOGIA DI MONTEBELLUNA Angela Trevisin 53

GLI ANTICHI VENETI DI MONTEBELUNA ED IL LORO RUOLO NEI TRAFFICI TRA IL MONDO ALPINO E TRANSALPINO E LA PIANURA Patrizia Manessi 59

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE ATESTINO RITUALI FUNERARI DEI VENETI ANTICHI Angela Ruta Serafini 69

L’ATTIVITA’ DIDATTICA “VIVERE IL MUSEO” Alberta Facchi - Sabina Magro - Cinzia Tagliaferro 75

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ADRIA IL NUOVO ORDINAMENTO DEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ADRIA Simonetta Bonomi 81

IL TERRITORIO COME LUOGO DEI SEGNI STORICI Antonia Scapin 89

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VENEZIA LE COLLEZIONI DEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VENEZIA. ALCUNE PROPOSTE DI PERCORSO Maria Cristina Dossi 93

PERCORSO MUSEALE UN ESEMPIO: DEI ED EROI DEL

MONDO ANTICO

Maria Cristina Vallicelli 100

MUSEO DI SCIENZE ARCHEOLOGICHE E D’ARTE - UNIVERSITÀ DI PADOVA Dipartimento di Scienze dell’Antichità LA CERAMICA GRECA NEL PANORAMA STORICO ANTICO: DALLA GRECIA AL CONTESTO

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MAGNOGRECO E ITALICO Alessandra Menegazzi 109

LA CERAMICA GRECA: NUOVI APPROCCI DI METODO 112Monica Baggio

MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI ODERZO 100 ANNI DI ARCHEOLOGIA AD ODERZO: LE DOMUS ROMANE Elisa Possenti 119

PERCORSO MUSEALE: TECNICHE COSTRUTTIVE E REPERTORI ICONOGRAFICI DEL MOSAICO ROMANO. LE PAVIMENTAZIONI OPITERGINE Marta De Vecchi - Alessandra Iannacci 121

MUSEO NAZIONALE CONCORDIESE UBI NOBIS DIUTIUS HABITANDUM EST: APPUNTI PER UN’ARCHEOLOGIA DELLA MORTE Elena Pettenò 129

LE PROPOSTE DIDATTICHE DI DIMENSIONE CULTURAMariangela Flaborea 141

MUSEO ARCHEOLOGICO DEL TEATRO ROMANO DI VERONA IL COMPLESSO DEL TEATRO ROMANO DI VERONA: UN SITO D’ECCEZIONE PER LA COMPRESENZA DI MONUMENTI DI EPOCHE DIVERSE Margherita Bolla 145

DUE PERCORSI DIDATTICI PRESSOIL MUSEO ARCHEOLOGICO AL TEATRO ROMANO Alessandra Lollis 152

PER UNA DIDATTICA DELLA STORIA ANTICA TRA CULTURA MATERIALE E DIMENSIONE LOCALE Cristina Mengotti 163

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PRESENTAZIONE

La presente pubblicazione nasce dalla volontà dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto di investire nella formazione degli insegnanti, quali promotori di un processo educativo che, lungi dal realizzarsi mediante la sola trasmissione di un sapere definito, deve promuovere una comunità di apprendimento e di ricerca. Con tale orientamento sono stati progettati anche i laboratori sui saperi disciplinari promossi da questo Ufficio Regionale in ogni provincia del Veneto, al fine di sperimentare percorsi metodologico - didattici innovativi basati sulla ricerca azione. L’utilizzo di tali metodologie consente da un lato di stimolare negli studenti la curiosità, elemento essenziale perché un’acquisizione si trasformi in conoscenza, dall’altro di personalizzare i percorsi formativi, per promuovere il successo formativo di tutti gli studenti. Nello specifico, la formazione degli insegnanti con il progetto “Conoscere la storia antica attraverso i musei archeologici” ha avuto come obiettivi la promozione dell’educazione storica, mediante la comprensione dei legami tra storia generale e storia locale, resa possibile con l’accostamento alle testimonianze museali presenti nel nostro territorio, e l’educazione ai beni culturali, elemento imprescindibile dell’educazione alla convivenza civile in un paese che possiede un ricchissimo patrimonio culturale qual è il nostro. I docenti hanno potuto approfondire le proprie conoscenze relativamente alla storia antica del nostro territorio, sperimentando al tempo stesso percorsi particolarmente efficaci sul piano didattico sia per la formazione storica, sia per un primo approccio al metodo della ricerca. Il mio vivo ringraziamento va ai Direttori, ai Conservatori dei musei e agli operatori didattici, che hanno collaborato alla stesura del volume. Confido che esso possa essere un utile strumento di lavoro anche per i docenti che, per problemi logistici, non hanno potuto partecipare al percorso formativo. Rivolgo, infine, un saluto affettuoso a Pierantonio Bertoli, nostro dirigente tecnico ora in quiescenza, che ha profuso il suo impegno professionale con rara sensibilità anche nel campo della didattica museale.

Carmela Palumbo Direttore Generale USR per il Veneto

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DAL SEGNO AL SENSO:ITINERARI DI FORMAZIONE, ITINERARI DI CONOSCENZA

Gianna Miola

“Lo spirito è stimolato più lentamente dall’orecchio che dall’occhio”, afferma nell’Ars poetica Orazio, confrontando l’effetto delle rappresentazioni teatrali con quello dei racconti orali. Ciò a significare il potere che hanno le impressioni visive di suscitare in noi delle emozioni. Fin dall’antichità, si riconosceva, infatti, che esse sono particolarmente atte a fermare l’attenzione, a svolgere una funzione di appello, ad “eccitare”, in una parola a comunicare.Oggi non c’è dubbio circa l’influenza che da sempre gioca il linguaggio non verbale a livello della conoscenza, che anche di emozioni appunto si nutre, se è vero che nasce da quella curiosità che spinge l’uomo a voler capire, impossessarsi “mentalmente” dell’oggetto – segnale, soggetto figurativo, manufatto, etc.. – che gli capita di incontrare. L’occhio, dunque, quale senso privilegiato per un incontro con l’arte – patrimonio in cui si condensa il pensiero dell’umanità nella sua evoluzione – che è documentazione del livello di pensiero e delle conseguenti realizzazioni conseguite dall’uomo attraverso i secoli. Un incontro tanto più immediato ed “emozionante” quanto più si colloca in un preciso contesto, quello ove la produzione artistica, e non solo, ha trovato la propria culla. Questo il senso degli itinerari proposti nella presente pubblicazione. Itinerari formativi per i docenti, interessati ad approfondire lo specifico professionale grazie ad esperienze vissute sul campo atte a tradursi in efficaci metodologie didattiche. Itinerari di conoscenza per quegli studenti che, al seguito dei medesimi insegnanti, potranno fruire di incomparabili occasioni di “toccare” reperti che parlano oggi del passato, vissuto nella realtà locale, quella che è lì, raccontata da un manufatto fittile o da una stele funeraria, piuttosto che da una statuetta votiva accuratamente disposta in una teca museale, ma che permane in un toponimo o che continua in un tracciato viario ora fortemente invaso dal traffico. Tracciati antichi in linea di continuità con il presente, in grado di far percepire la “distanza”, a far cogliere lo spessore del tempo, quel tempo che sui libri di storia trova menzione solo in una cifra e che, di conseguenza, resta spesso suono vacuo. L’insignificanza e il significato messi a confronto attraverso un percorso segnico idoneo a riflettere e a

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far riflettere, a “fermare” lo sguardo troppo abituato oggi ad immagini che scorrono veloci e si sovrappongono le une alle altre confondendosi in un indeterminato e confuso flusso visivo. Capacità di selezionare, distinguere, analizzare, scomporre e ricomporre, all’interno di un contesto più ampio: la storia locale e quella nazionale e sopranazionale o generale, che dir si voglia, secondo intrecci e differenze, relazioni e rimandi, rivolgimenti e permanenze che segnano in modo ciclico il cammino dell’uomo. Importanti funzioni cognitive – è su queste che la nuova pedagogia ci suggerisce di insistere – vengono così stimolate, e proprio grazie a contenuti “significativi”, perché suggeriti da esperienze, proposti attraverso emozioni che sono anzitutto emozioni dell’intelligenza che si interroga (il “perché?” tanto spesso imbarazzante dei bambini di fronte ad adulti che hanno perso la capacità di “meravigliarsi” rispetto alle cose). Ma le immagini vanno lette, cioè decifrate e correttamente interpretate; al di là della prima impressione che suscitano, devono, cioè, essere correlate alle altre conoscenze che possiamo avere circa il periodo o l’oggetto di cui si parla. E a guidare verso i possibili significati, alle attribuzioni di senso di un reperto, a far sì che esso oggi ci parli, sono appunto i docenti la cui missione insostituibile è quella di mediatori. Tanto più capaci quanto più pazientemente sapranno condurre i giovani allievi a scoprire da sé, collegando fra loro nozioni ed esperienze compiute, superando le prime, istintive reazioni e, talora, i pregiudizi. La finalità? Sconfiggere la passività e la ripetizione, fattori che spesso si accompagnano a quella che viene definita, in tono spregiativo, la conoscenza “scolastica”. Leggere la realtà passata e presente cogliendone i nessi, le evoluzioni e le inevitabili differenze, misurando la distanza, apprezzando anche quella che viene considerata ancora da molti libri di storia in uso nelle scuole, cultura “primitiva” o dei “primitivi”. Pregiudizio per eccellenza che stenta a morire, nonostante che fin dai primi decenni del Novecento importanti artisti, come Pablo Picasso, abbiano abbandonato la raffinatezza delle proprie opere per intagliare figure grezze sul modello degli idoli primitivi, intraprendendo viaggi lungo i “lontani lidi di arte tribale”1. Sconfitta dei pregiudizi, quindi, che portano a far credere in una superiorità di alcune culture sulle altre; ma anche capacità via via più fine nel cogliere elementi religiosi, economici, sociali che permangono attraverso i secoli come tratti distintivi dell’uomo e che 1 Cfr. E. GOMBRICH, Il primitivismo e il suo valore nell’arte, in Sentieri verso l’arte. I testi chiave di Ernst H. Gombrich, 2003.

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conducono, di conseguenza, a capire il presente, ad acquisirne, come si dice, una qualche consapevolezza critica. E’ possibile? I nostri docenti credono di sì, vedendo in quest’ultimo obiettivo l’aspetto specifico che connota la loro professione. Per queste motivazioni l’Ufficio ha accolto con entusiasmo la proposta del Dirigente tecnico Pierantonio Bertoli e del team di progetto che con lui ha lavorato nell’ideare e realizzare l’itinerario formativo qui rappresentato, itinerario reale, visto che si è trattato di “girare” sul territorio veneto alla scoperta di modalità innovative per l’insegnamento della storia. Non solo: non va sottaciuto, infatti, un altro obiettivo, di non minore rilievo, quello di sensibilizzare alla conoscenza, al rispetto e alla valorizzazione dei beni culturali che contraddistinguono la nostra regione, promuovendo nei più giovani un senso di appartenenza alla cultura del territorio e alla sua comunità sul quale si radica quell’educazione alla cittadinanza attiva cui guardano i nuovi programmi. Punto di forza del progetto: il coinvolgimento dei Direttori e Conservatori dei Musei archeologici veneti che hanno aderito, offrendo l’alta competenza che li contraddistingue, sia nell’accompagnare la formazione dei docenti, sia nella composizione delle schede qui presentate. La sinergia è evidente dalle tante firme qui apposte da parte delle persone che hanno collaborato alla stesura di linee didattiche orientative, utili a che ciascun insegnante con il suo gruppo classe, secondo personali intendimenti e percorsi, possa ritagliare un proprio originale tracciato formativo. Le alleanze interistituzionali costituiscono, infatti, un aspetto fondamentale della “politica scolastica” perseguita dalla Direzione Generale, nella ferma convinzione che nessuna agenzia educativa, nemmeno la scuola che gioca sicuramente un grande ruolo, possa fare da sola, essendo l’educazione un compito che compete a tutta la società adulta, senza distinzione, e in primis a chi assolve la missione della conservazione e della trasmissione del patrimonio culturale che ci appartiene. La partecipazione che ha visto nascere questa esperienza e che l’ha così autorevolmente accompagnata, fa bene sperare per la sua prosecuzione nell’ambito del progetto di quest’anno. Non è difficile, infatti, compiere una bella esperienza; il difficile è darvi continuità, quella continuità che, sottraendola all’episodicità, la dota di senso e ne avvalora i risultati, consentendone il miglioramento. Perché qualcun altro possa intraprendere il cammino.

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A TU PER TU CON LA STORIA ANTICA:LE RAGIONI DI UN PROGETTO

Pierantonio Bertoli

Potremmo chiederci quale sia oggi l’atteggiamento dei giovani nei confronti della storia, soprattutto della storia antica, quella da noi apparentemente più lontana. Se consideriamo l’esperienza che si vive in molte scuole, la risposta più immediata potrebbe essere quella del disinteresse o addirittura del rifiuto, i più benevoli potrebbero parlare di semplice indifferenza. Si tratta veramente di indifferenza, disinteresse o addirittura di rifiuto nei confronti della storia o piuttosto nei confronti di come la storia viene affrontata, presentata e proposta? La scelta di una “storia” come semplice cronologia di eventi, come successione di fatti, spesso neppure tra loro logicamente collegati in un percorso significativo, rende la disciplina come qualche cosa di ostico, di lontano, avulso dalla nostra realtà e dai nostri interessi, tutto ciò determina logicamente, nei giovani, un atteggiamento di rifiuto, quasi di ostilità. Come docenti ed educatori è da chiedersi: è possibile educare i giovani all’autonomia, alla capacità di scelta responsabile, ad essere protagonisti e artefici del proprio destino senza dar loro la consapevolezza del passato, del percorso che, attraverso il tempo, l’uomo e le civiltà hanno compiuto? Attraverso la storia si offre anzitutto uno strumento di comprensione della realtà ambientale, ci si fa interpreti del paesaggio naturale ed umano, ci si fa consapevoli del momento, che stiamo vivendo e delle sue prospettive di evoluzione. Si apprende così ad interpretare e a dare un significato ai segni e alle testimonianze di quanto è stato, si acquisisce la capacità di capire l’oggi e noi stessi, ci si fa, in qualche modo capaci di preparare il futuro. Vale la pena di interrogarsi su quale possa essere il percorso di conoscenza storica da far compiere oggi ai giovani, percorso che sia caratterizzato da concretezza e che risulti, ad un tempo, stimolante, avvincente, capace anche di coinvolgere attraverso la riproposta di esperienze significative. Si è pensato che la storia può essere conosciuta non solo dalla considerazione delle fonti letterarie, anzi che la maggior parte della

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storia delle civiltà non ci è giunta da fonti letterarie, ma attraverso manufatti, che l’uomo ha realizzato nel tempo: da quelli destinati a rispondere alle più banali esigenze del vivere quotidiano a quelli che si elevano alla dimensione dell’arte o della sacralità. L’uomo, dalla sua comparsa nel mondo, ha lasciato un’infinità di testimonianze relative al suo modo di vivere, ai suoi rapporti con gli altri sia nella ristretta cerchia famigliare che nel più vasto ambito della tribù, del villaggio, della città. Prima ancora di conoscere la scrittura egli ha scritto la sua storia con quanto ha saputo realizzare: si tratta di una storia tangibile fatta di utensili, di strumenti per la caccia o per il lavoro, purtroppo anche di armi per la guerra, ma anche di monili, di arredi per i vivi e di arredi sepolcrali, destinati a chi più non vive, ma deve comunque restare vivo nella memoria, negli affetti, nella speranza di un ritorno, nella certezza che il dono della vita è troppo prezioso, troppo importante per essere sconfitto definitivamente dalla morte e annullato nell’oblio. Si è pensato quindi di mettere un po’ da parte il testo di storia, il manuale, che spesso ci si presenta più come una cronologia che come autentica storia e di ipotizzare un percorso di conoscenza della storia antica attraverso i musei archeologici della nostra regione, nella convinzione che questo dovrebbe coinvolgere e stimolare, in maniera diversa, i giovani, anche perché quella che così si propone non è la storia degli altri, ma la nostra. Si tratta di una storia lontana nel tempo, ma vicina nei luoghi, di una storia che è stata scritta nei territori della regione in cui viviamo, dove si sono succeduti, alternati od incontrati, popoli diversi, con le loro usanze, le loro tradizioni, la loro tecnica, arte, religione, stile di vita. Il Veneto è stato, infatti, più che terra di scontro, punto di incontro per le diverse civiltà; è stato luogo di scambio e di confronto, dove sono state scritte, non una, ma tante storie, che assieme rappresentano le nostre radici più profonde. Verso queste i giovani devono rivolgersi, non solo con attenzione ed interesse, ma con l’affetto, che si nutre per qualche cosa, che ci appartiene ed è addirittura parte di noi. Il percorso è stato proposto prima ad un gruppo di insegnanti, come momento di formazione in servizio, certi che nessuna innovazione “passa” nella scuola se non viene preceduta o accompagnata dalla formazione-aggiornamento dei docenti. La scelta è caduta su una decina di musei storico-archeologici del Veneto, costretti a fare, comunque, una selezione fra la ricca offerta di centri museali, per non dover prolungare il corso di formazione oltre il

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lecito e l’opportuno, ma nel contempo consapevoli che altre, non meno significative, realtà museali, dovevano, per il momento, essere trascurate, vuoi per la mancanza di tempo, vuoi per la loro ubicazione meno facilmente raggiungibile con mezzi di trasporto pubblico. La formazione dei docenti è avvenuta all’interno di ciascun museo: si è trattato di un corso itinerante, che ha messo i docenti a contatto con la realtà delle cose, a contatto con quegli “atti” dell’uomo, che si sono concretati in materia, senza mai perdere la loro vitalità e la loro capacità di essere testimonianza dell’intelligenza, della capacità, dell’estro, del pensiero dell’uomo, atti umani giunti a noi dopo decine di secoli, ma ancor vivi e palpitanti, quasi pieni di desiderio di esprimersi ancora e di essere capiti. Il percorso ha potuto essere realizzato solo grazie alla disponibilità, direi all’amabilità, dei Direttori e Conservatori dei musei, che si sono dichiarati, con entusiasmo, disponibili a collaborare per un’iniziativa, che non mancherà di portare molti studenti a rinnovare il loro patto con la storia. Si tratterà di una storia conosciuta attraverso l’interpretazione di quei segni e di quelle testimonianze del passato, che i musei conservano e ripropongono, in significativi itinerari didattici e attraverso concrete esperienze laboratoriali. Se è doveroso, da parte mia, che ho proposto e ideato in forma generale il progetto, ringraziare i Direttori ed i Conservatori di tutti i musei veneti, che hanno aderito all’iniziativa, e gli operatori museali, che sempre sono stati presenti ed attivi nel dare concretezza e significato a tale esperienza, appare ancor più doveroso esprimere il mio ringraziamento e quello della Direzione Generale per il Veneto, allo staff di progetto, costituito dalla prof.ssa Marina Cenzon, dalla prof.ssa Cristina Mengotti e dalla dott.ssa Antonia Scapin. E’ solo grazie alla competenza scientifica e al lavoro generosamente compiuto dallo staff di progetto, che ha preso corpo e si è felicemente realizzata questa esperienza di riproposta della storia attraverso i musei, esperienza che non sarà certo l’ultima, in quanto, per il corrente anno, è prevista un’analoga “incursione” nella storia con il progetto “Veneto medioevale: castelli e città murate”. Un ringraziamento sentito anche al Direttore del corso, il dott. Mauro Maria Perrot, per la costante attenzione prestata agli aspetti organizzativi del corso. Gli scritti, che costituiscono la presente raccolta, rappresentano un ulteriore contributo, di riflessione ed approfondimento, come materiale prezioso di documentazione del percorso realizzato, - l’ordine dei materiali è cronologico e segue la successione dei musei

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nel percorso di formazione - ma possono assumere notevole significato per tutti coloro che, pur non avendo effettuata l’esperienza di formazione, sono interessati alla storia antica e al suo insegnamento, avendo acquisito la consapevolezza che non si tratta tanto di dare informazioni ai giovani quanto di indurli ad interrogare le cose, a trarre informazioni direttamente dagli oggetti e dalle testimonianze esaminate: solo dalle fonti è possibile trarre risposte dirette, autentiche, attuali, forse ancora capaci di aprire nuove prospettive per l’esistenza dell’uomo e per il civile confronto tra i popoli.

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INSEGNARE STORIA AL MUSEO:L’EFFICACIA DIDATTICA DELLE FONTI MUSEALI

Marina Cenzon

Studi anche recenti hanno dimostrato l’ignoranza dei nostri studenti per quanto riguarda la storia: nonostante i nostri programmi prevedano un consistente numero di ore rispetto alla media europea, le conoscenze storiche possedute dai giovani, sia al termine della scuola superiore, sia dopo l’università, sono limitate. Le motivazioni che possiamo addurre per spiegare questo fenomeno sono molteplici: - i contenuti storici sono lontani dagli interessi degli studenti, che

spesso, immersi nell’enorme quantità di stimoli e di informazioni fornite dai mass media e da internet, vivono una realtà presentificata, con una scarsa percezione del passato;

- la modalità ancora ampiamente usata da molti docenti per l’insegnamento della storia è quella di tipo trasmissivo, in cui il manuale e la spiegazione diventano gli strumenti più importanti per la successiva rielaborazione dei contenuti da parte degli alunni.

Tuttavia da tempo sono state avviate riflessioni, studi e ricerche per una didattica che, da un lato renda la storia più interessante per gli studenti, e dall’altro permetta loro di acquisire una coscienza storica. L’acquisizione di una dimensione storica passa attraverso la comprensione degli intrecci di temporalità, delle durate, di mutamenti e permanenze, delle categorie fondanti il sapere storico, in primo luogo tempo, spazio, causalità. Insegnare storia non significa trasmettere un sapere sistematicamente concluso, tipico di una conoscenza manualistica di una storia spesso soltanto evenemenziale, ma condurre gli studenti a comprendere il processo di ricostruzione del passato, cioè delle diverse rappresentazioni di aspetti, di eventi, di fenomeni, di processi verificatisi nel passato. La ricostruzione del passato non è infatti univoca ed oggettiva, ma è frutto della ricerca, dell‘interpretazione, della cultura, della personalità, dei valori dello storico che ne è l’autore. Un insegnamento che sia rispettoso del sapere storico non potrà non condurre gli studenti a comprendere la complessità del fatto storico, e la molteplicità delle sue rappresentazioni che gli storici ne hanno dato, le quali sono suscettibili di ulteriori revisioni qualora altri ritrovamenti, o altre fonti, o diverse interpretazioni possano essere messe in campo.

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L’insegnante di storia deve allora avere ben chiaro quali sono gli obiettivi formativi, quali le abilità e le competenze che vuol far conseguire ai suoi studenti; si tratta quindi di costruire un curricolo, che permetta loro di comprendere progressivamente la complessità del fatto storico. Quando parliamo di storia, tuttavia, non possiamo parlare della storia, ma delle storie. Non esiste la storia, ma tante storie, con diverse scale. Parliamo allora di una storia locale, che è la storia del nostro territorio, a noi più vicina; essa tuttavia intreccia legami con una storia nazionale, e questa con la storia europea. Esistono inoltre le storie a scala mondiale, che permettono collegamenti estremamente interessanti, la cui conoscenza consente un decentramento del proprio punto di vista e un’apertura ad altre culture. L’insegnante dovrebbe prevedere all’interno del curricolo di storia percorsi che comprendano le diverse scale, portando gli studenti a cogliere i legami che esse intrecciano, a stabilire collegamenti, ad individuare mutamenti e permanenze all’interno dei diversi fenomeni. Essi vanno studiati sia in una dimensione sincronica, sia diacronica, con un’attenzione quindi sia alla scala spaziale, sia alla scala temporale. Un ruolo essenziale nello studio della storia va assegnato alla storia locale. Essa assume una valenza affettiva importante perché, riguardando un passato vicino agli studenti, produce in loro un maggiore coinvolgimento emotivo e maggiore motivazione. Inoltre essa permette di lavorare su documenti “veri”, testimonianze del passato delle quali lo studente può avere un’esperienza diretta, e che non sono reperibili soltanto al museo, ma sono presenti anche nei ritrovamenti del territorio, negli archivi, nelle biblioteche, nei beni culturali. Questo contatto diretto con il passato riveste in tale contesto un’importante valenza metodologica perché permette di far lavorare gli studenti sulle operazioni cognitive. Lo studio della storia locale tuttavia non deve essere visto in alternativa allo studio della storia generale, ma accanto a questa, per coglierne le relazioni, gli intrecci, le differenze. In tale contesto al museo viene assegnato un nuovo e più significativo ruolo educativo: esso diventa un luogo privilegiato per lo studio della storia. Da luogo di conservazione di ciò che si è ereditato, assume una funzione di educazione al patrimonio storico, che non coinvolge soltanto gli studenti, ma tutti i cittadini: attraverso i suoi reperti, il museo diventa luogo di ricostruzione storica. Ciò vale in modo particolare per lo studio della storia antica, la più lontana

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dall’esperienza degli studenti, che nel museo archeologico viene mostrata ed entra a far parte dell’esperienza di ciascuno. L’oggetto museale diventa perciò un sussidio didattico di primaria importanza perché permette allo studente di apprendere in situazione di realtà, interrogando la fonte, storicizzandola, riflettendo su di essa (luogo e storia del rinvenimento, contesto, datazione, possibili informazioni fornite relativamente all’uso, al periodo storico in cui esso si colloca…), operando confronti e collegamenti: facendo compiere cioè agli studenti tutte quelle operazioni cognitive che sono funzionali alla costruzione del sapere storico. L’insegnante può quindi utilizzare il museo come laboratorio per la ricerca storica. In tal caso egli dovrà tematizzare, cioè definire chiaramente il tema, la rilevanza storiografica che sarà oggetto di problematizzazione, stabilendo l’ambito temporale e la scala spaziale di riferimento. Dovrà aver individuato quali sono le conoscenze, le abilità e le competenze che andranno attivate negli alunni, partendo dai saperi naturali, cioè da tutte quelle conoscenze, strutturate e non, che costituiscono il bagaglio posseduto dagli studenti. Dovrà quindi procedere ad un’attenta selezione delle fonti, utilizzando non soltanto i reperti museali, ma anche visite nel territorio, documenti d’archivio, testi storiografici. Dall’analisi e dal confronto delle fonti, dalle informazioni che esse forniranno, dalle risposte alle domande che saranno state poste nella problematizzazione iniziale, si potrà procedere alla ricostruzione del fatto storico. Tale lavoro di ricerca consentirà allo studente di esperimentare la modalità di costruzione del sapere storico. Non si tratta di far diventare i nostri alunni dei “piccoli storici”. Si tratta di condurli a compiere quelle operazioni cognitive che permetteranno loro di comprendere la modalità di costruzione del sapere storico. E’ chiaro che tale attività di ricerca presuppone da parte dell’insegnante una conoscenza approfondita sia del museo, sia delle sue offerte didattiche per poterlo utilizzare efficacemente nella sua progettazione. Quali i possibili percorsi per utilizzare efficacemente il museo nell’insegnamento della storia? Alcuni di questi vengono proposti all’interno delle offerte didattiche dei diversi musei presenti nel territorio. Vorrei evidenziarne alcuni particolarmente efficaci per la didattica della storia, che prevedono un diverso grado di coinvolgimento degli studenti, la progressiva acquisizione di abilità relative all’educazione storica, la graduazione delle operazioni cognitive da far compiere agli studenti:

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- attività che permettano in situazione ludica un primo approccio al museo e alla sua funzione;

- attività che consentano agli studenti di comprendere in situazione il lavoro dell’archeologo, i metodi di individuazione dei siti e le tecniche dello scavo;

- lettura ed analisi di un insieme di materiali (ad es. il corredo funerario di una tomba, i materiali rinvenuti in un sito, o in edificio): dopo aver comunicato ai ragazzi la storia del rinvenimento, si fanno parlare gli oggetti, individuando tutte le possibili informazioni che essi hanno fornito per la successiva ricostruzione storica;

- percorsi tematici: ad esempio lo studio delle tombe e dei riti funerari, della cultura materiale, o degli utensili, o dei mezzi di trasporto in differenti civiltà;

- percorsi riguardanti un determinato periodo storico o una civiltà: in questo caso il docente selezionerà una determinata serie di reperti, il cui studio verrà poi integrato con visite nel territorio e con altri documenti d’archivio;

- costruzione di un percorso storico - cronologico effettuando visite a diversi musei del territorio. E’ l’insegnante che costruisce i percorsi più adatti agli studenti: egli stesso predisporrà un itinerario mirato, selettivo, in accordo con gli operatori museali, utilizzando, ma non soltanto, i percorsi specifici proposti dal museo.

Infine è necessario sottolineare l’importanza dell’educazione storica e ai beni culturali all’interno di una più ampia formazione alla cittadinanza: esse, contribuendo a creare nello studente consapevolezza delle proprie radici storiche e culturali, partecipano alla costruzione della sua identità, di un senso di appartenenza ad una comunità sociale, che è essenziale per la formazione di futuri cittadini attivi e responsabili.

Bibliografia essenziale

Gian Luigi Bravo, Roberta Cafuri, Comunicare il passato. Appunti di metodo per una didattica museale sulle culture locali, Provincia di Torino, Torino 2004

Emma Nardi (a cura di) Leggere il museo. Proposte didattiche, Seam Roma 2001

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I. Mattozzi – R. Zambanini, Educare con la storia. Percorsi didattici di storia locale e per la scuola elementare, Bergamo 1998 M. Gelfi, "Dalla didattica museale ai programmi educativi per i musei storici", in Museo & Storia, Annuario del Museo storico della città di Bergamo, Anno II, n. 2, Bergamo 2000, pp. 105-117. S. A. Bianchi e C. Crivellari, Nessun tempo è mai passato. La mediazione didattica tra storia esperta e storia insegnata, SIS Veneto, Armando Editore, Roma 2003

Antonio Fossa, Gianpier Nicoletti, Emilia Peatini, Laboratori per fare storia, Canova Treviso 2005

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IL MUSEO NATURAIL MUSEO NATURAIL MUSEO NATURAIL MUSEO NATURALISTICO ARCHEOLOGICO LISTICO ARCHEOLOGICO LISTICO ARCHEOLOGICO LISTICO ARCHEOLOGICO DI VICENZADI VICENZADI VICENZADI VICENZA

LA GROTTA DEL BROION:

CACCIATORI PALEOLITICI ED EVOLUZIONEDELPAESAGGIO

Antonio Dal Lago

PREMESSA - Nel Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza è possibile fare un percorso alla scoperta della presenza dell’uomo nel nostro territorio. Questo affascinante viaggio, dal Paleolitico medio all’età longobarda, è reso possibile attraverso l’osservazione e lo studio delle testimonianze preistoriche rinvenute negli scavi archeologici condotti nel territorio vicentino, ed esposte nelle vetrine. I materiali e i testi che li descrivono aiutano il visitatore a comprendere l’ambiente in cui viveva l’uomo che li ha prodotti, a cosa servivano e come l’uomo si rapportava con il territorio che lo ospitava. Le prime testimonianze della presenza antropica nel territorio vicentino sono offerte dai reperti rinvenuti nelle grotte dei Colli Berici e riferibili al Paleolitico medio e superiore.

IL SITO - Lungo le pareti rocciose che delimitano il margine orientale dei Colli Berici, da Lumignano a Mossano, sono stati scavati alcuni depositi di riempimento di grotte o ripari sottoroccia che hanno portato alla luce testimonianze della presenza antropica in quei siti riferibile al Paleolitico medio e superiore e al Mesolitico. Procedendo lungo la strada statale 247 della Riviera Berica incontriamo Lumignano dove si trovano la Grotta del Broion e la Grottina dei Covoloni del Broion; a Castegnero si trova il Covolo Fortificato di Trene, mentre a Mossano troviamo le Grotte di S. Bernardino e la Grotta di Paina.

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Attualmente sono in fase di scavo e quindi i materiali non sono ancora depositati in Museo, il riparo sottoroccia del Broion, a Lumignano appena sotto la Grotta del Broion. Tutte le cavità sono di origine carsica, dovute quindi a fenomeni di dissoluzione del Carbonato di Calcio ad opera dell’acqua piovana che attraversando le microfessure erode per dissoluzione chimica la roccia madre. La grotta del Broion si apre a circa 150 metri s.l.m. lungo il versante meridionale del Monte Brosimo; è raggiungibile mediante un sentiero che da Lumignano, attraversando la Val Cumana, passa davanti all’accesso della Grotta e scende poi al Riparo Broion e prosegue poi fino alla Contra’ Brojo, per congiungersi poi al punto di partenza. L’accesso, chiuso da un cancello in ferro, è costituito da un grande “Atrio” collegato da un’ampia galleria alla “Sala Grande”. Sulla sinistra si apre un piccolo antro, meglio noto come “Grottina sepolcrale o Grottina delle Marmotte” (fig. 1). Nella parte terminale della cavità furono effettuate alcune campagne di scavo (1951, 1953, 1960-64) che asportarono sedimenti per una profondità di circa 15 metri.

La genesi della cavità, ricostruita sulla base dello studio dei sedimenti e del loro contenuto faunistico, sembra avere conosciuto due fasi successive. Originariamente la Sala Grande era una voragine, priva di aperture verso l’esterno. Tale situazione è documentata dalla presenza, alla base della cavità, di sabbie prive di resti faunistici e di testimonianze antropiche, sigillate da una concrezione stalagmitica. Successivamente vari fenomeni di erosione del versante hanno messo in comunicazione la cavità con l’esterno, permettendone l’utilizzo da parte dell’uomo e l’inizio dell’accumulo di sedimenti dall’esterno e di pietre distaccate dal soffitto per il gelo e il disgelo.

LE RICERCHE - Il primo scavo venne eseguito dal 15 giugno al 7 luglio del 1951 da parte del prof. P. Leonardi e del conte A. da Schio. Vennero eseguite tre trincee; la prima, dall’ingresso si spingeva fino alla Grottina delle Marmotte e poi ad angolo retto entrava nella grottina; la seconda, in prossimità della parete destra della Sala Grande, mentre la terza, sempre nella Sala Grande ma nel lato opposto. Nella Grottina delle Marmotte vennero rinvenuti

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alcuni strumenti microlitici gravettiani, denti di Cervo forati e denti e ossa umane frammentate. Lo scavo, pur documentando per la prima volta la presenza di strumenti gravettiani nell’Italia settentrionale a Nord del Po e aver fornito una grande quantità di ossa di micromammiferi utili per una ricostruzione paleoambientale del sito, lasciò insoddisfatti i ricercatori perché le tre trincee mostravano serie stratigrafiche difficilmente correlabili tra loro. La seconda campagna di ricerca, eseguita nel 1953, comportò uno scavo nella Sala Grande, ma non fu molto fortunata in quanto vennero rinvenuti solo pochi strumenti litici. In compenso, l’abbondanza di resti di micromammiferi permise l’individuazione di una serie stratigrafica con frequenti cambiamenti non solo in senso verticale, ma anche orizzontale, giustificando in tal modo la difficoltà incontrata nel 1951 nel correlare le diverse stratigrafie. Nel 1960 viene avviata una nuova campagna di scavo che durò, con periodi di scavo di circa un mese all’anno, fino al 1964. Le nuove indagini furono condotte da un gruppo di ricercatori con settori di studio specialistici: P. Leonardi, A. Broglio, F. Mancini, G. Ronchetti, A. Pasa, G. Bartolomei, L. Cattani, i quali si occuperanno della stratigrafia dei sedimenti e della loro natura, dei grandi e piccoli mammiferi, dei pollini, delle industrie litiche e della datazione radiometrica di resti vegetali carbonizzati.

LA SEZIONE DI SCAVO - Gli scavi nella Sala Grande hanno messo in luce una serie di depositi per uno spessore totale di 15 metri (fig. sezione stratigrafica). Alla base si trovano sabbie grossolane sterili e materiali concrezionati dello spessore di circa 3 m, chiusi al tetto da una concrezione stalagmitica dello spessore di circa 80 cm. Sopra la concrezione poggia una serie di strati (S - A) per uno spessore complessivo di 9 m che in seguito all’analisi sedimentologica, al contenuto faunistico, pollinico e paletnologico sono stati suddivisi in quattro grosse unità. Queste rappresentano il succedersi di quattro situazioni paleoclimatiche e paleoambientale ben distinte2. I unità S-R

2. La descrizione dei sedimenti e del loro contenuto viene esposta in forma sintetica per facilitare un rapido confronto tra le diverse unità.

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II unità strati Q-O III unità strati N-I IV unità strati G-D

I UNITÀ STRATI S-R

Sedimenti. Sabbie prevalentemente quarzose, prive di apporti esterni significativi a testimonianza di una riattivazione dell’attività carsica in conseguenza di abbondanti precipitazioni. Pollini. Prevalenza di pollini di Abete bianco, Abete rosso e Pino silvestre accompagnati da Tiglio, Nocciolo e Betulla; specie arboree ed arbustive tipiche di un’associazione vegetale di bosco montano di clima freddo e umido. Micromammiferi. Nello strato inferiore (S) sono presenti: Ghiro, Criceto, e rari Dolomys, Apodemus e Mycrotus arvalis-agrestis, situazione che testimonia un ambiente arborato moderatamente umido. Nello strato superiore (R) scompare la presenza di specie arboricole come Ghiro e Criceto, mentre aumentano le specie terricole con la presenza abbondante di Mycrotus arvalis-agrestis; variazione faunistica che indica una riduzione della copertura arborea.Macromammiferi. Presenti solo nel livello superiore con resti di Stambecco ai quali si associano Alce e Martora. Industria litica. Nello strato (R) compaiono i primi strumenti litici che testimoniano la frequentazione antropica della grotta durante il Paleolitico medio e precisamente nel Musteriano.

II UNITÀ STRATI Q-O

Sedimenti. Sedimenti eolici sottili Pollini. Pino silvestre, graminacee e Artemisia (composite), situazione tipica di una prateria arborata a clima freddo. Micromammiferi. Predominano le specie terricole come Mycrotus agrestis-incertus accompagnato da pochi Apodemussylvaticus, Arvicola terrestris, Evotomys, su quelle arboricole rappresentate da rari resti di Dyromys e Muscardinus. Macromammiferi. Prevale ancora la presenza dello Stambecco , accompagnato da Camoscio, Cervo, Alce, Bue primigenio, Martora, Donnola, Puzzola, Lupo, Volpe, Lepre e Marmotta. Nella parte più alta della serie, nello strato (O) sono presenti abbondanti resti di Orso delle caverne

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Industria litica. Rari strumenti, riferibili ancora al Musteriano.

III UNITÀ N-I

Sedimenti. Abbondanza di pietrisco, derivato da una intensa attività crioclastica, accompagnato da sabbie grossolane e limo di origine eolica. Pollini. Compaiono le latifoglie: carpini, frassini, noccioli, olmi ad accompagnare il Pino silvestre. Sono stati individuati anche abbondanti pollini di specie di ambiente palustre. Micromammiferi. La specie dominante è l’Apodemus sylvaticus su Arvicola, Evotomys, Dyromys, Muscardinus e Sorex araneus. Macromammiferi. E’ abbondante l’Orso delle caverne, associato all’Orso bruno, Martora, Lupo, Martora, Cervo, Camoscio. Industria litica. Anche le industrie litiche rinvenute in questa unità sono riferibili al Musteriano. Datazione assoluta. Allo strato (I) si riferiscono le due uniche datazioni che collocano i sedimenti e il loro contenuto all’interno di un intervallo cronologico di 46.400 ± 1.500 anni e 40.000 ± 1.270 anni dal presente.

IV unità G-D

Sedimenti. Soprattutto la parte alta di questa unità è dominata dalla presenza di pietrisco di origine crioclastica, con limi nei quali sono presenti minerali di origine esterna a testimoniare un apporto eolico. Pollini. Scompaiono quasi completamente le specie arboree, mentre predominano le specie erbacee di ambiente steppico, indicato dalla presenza di Composite, e Graminacee. Questa fase fredda è interrotta da due brevi oscillazioni climatiche temperato-umide, strati (G e D), documentate da una presenza abbastanza consistente di specie arboree: Pino silvestre e latifoglie. Micromammiferi. C’è una diminuzione delle specie arboricole e di quelle di ambiente arborato di clima temperato a favore di una maggiore abbondanza di specie legate ad un ambiente scarsamente arborato come Mycrotus agresti-arvalis e Pytymis, o decisamente steppico come indica la presenza di Sicista.Industria litica. Rappresentata da poco materiale riferibile al Paleolitico superiore e precisamente all’Aurignaziano nella parte

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superiore dello strato (H) e al Gravettiano quelli provenienti dagli strati (E, D, C).

RICOSTRUZIONE AMBIENTALE - Comparando i dati sopra esposti, ottenuti dallo studio dei sedimenti e dei resti pollinici e faunistici, è stato possibile ricostruire le diverse situazioni climatiche e ambientali che si sono succedute durante la frequentazione della Grotta del Broion da parte dell’uomo. Ad una prima fase climatica freddo-umida, tipica di un ambiente montano con bosco ad aghifoglie (strati S-R) (fig. 2), segue un periodo climatico freddo - arido, che porta alla formazione di un ambiente di prateria arborata (strati Q-O) (fig. 3). A questa segue un alternarsi di fasi climatiche temperato-fredde che portano alla formazione di un bosco di latifoglie, con la presenza di ambienti acquatico-palustri, nella zona di pianura; questi due ambienti indicano una situazione climatica temperato-umida (strati N-I). Segue una fase climatica arido-fredda che porta alla quasi completa scomparsa della vegetazione arborea e alla riduzione delle specie che compongono la vegetazione erbacea, determinando così la formazione di un ambiente steppico periglaciale (strati G-D).

STRUMENTI - Negli strati R-I sono stati rinvenuti strumenti litici riferibili al Musteriano (Paleolitico medio). Dallo studio tipologico e dal confronto tra il numero di strumenti finiti (punte, raschiatoi, denticolati …) e dei resti di scheggiatura e dei nuclei, molto scarsi rispetto al numero degli strumenti, si può supporre che la Grotta sia stata frequentata solo occasionalmente e non come insediamento stabile nel quale veniva lavorata la selce. Dello strati I sono stati datati due campioni: uno di carboni raccolti alla base dello strato (46.400±1500 B.P) I, l’altro ad un campione raccolto nello start I (40.600±1270 B.P.) La differenza tra i due valori non viene ritenuta come reale. L’occupazione della Grotta nel Paleolitico superiore è testimoniata dal rinvenimento di strumenti riferibili all’Aurignaziano e al Gravettiano. Pochi sono gli strumenti aurignaziani: una punta in osso e un bulino. (attribuzione dubbia)

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Pur essendo rappresentata da diverse tipologie di strumenti (bulino, grattatoio, becco, punte a gravettes e alcune lame e schegge) la quantità degli stessi è piuttosto ridotta ed anche in questo caso si può ritenere che la cavità non sia stata abitata stabilmente, ma utilizzata solo occasionalmente.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE - La scarsa presenza di manufatti e di resti scheletrici di animali, all’interno della Grotta del Broion, non sono certo elementi che ci possono aiutare a comprendere il modo di vita e le attività svolte dall’uomo che frequentava questa grotta. Sia nel Paleolitico medio che nel Paleolitico superiore le attività prevalenti erano quelle della caccia e della raccolta di vegetali a scopo alimentare. L’uomo occupava le sue giornate a costruire gli strumenti per la caccia e la trasformazione della preda, e a spostarsi nel territorio alla ricerca di prede e a raccogliere erbe e frutti. Purtroppo l’uso dei vegetali nell’alimentazione non ci è documentata in quanto nello scavo non sono state trovate tracce di resti vegetali, ma la loro assenza più che a un non utilizzo può essere dovuta ad una difficoltà di conservazione dei resti vegetali nei sedimenti, o ad un utilizzo diretto nel luogo di raccolta. Gli animali da cacciare erano spesso preda sia per l’uomo che per i carnivori (Lupo), ad entrambi interessava la cattura di un erbivoro (Cervo, Alce …) e pertanto il tempo impiegato per la caccia e l’energia dissipata devono essere visti anche all’interno di questa competizione territoriale.

Un ringraziamento particolare al Dott. Marco Peresani per gli utili consigli e la rilettura del testo.

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fig. 1 - Pianta e sezione della Grotta del Broion

fig. 2 - Ambiente molto freddo e umido tipico di ambiente montano

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fig. 3 - Ambiente freddo arido corrispondente a quello di una prateria alpina parzialmente arborata

DALLA ROCCIA ALLA PUNTA DI FRECCIA:PERCORSO NELLA SALA GEOPALEONTOLOGICA E

NELLA SEZIONE PREISTORICA DEL MUSEONATURALISTICO ARCHEOLOGICO DI VICENZA

Sandra Pellizzari - Cristina Saccardo

L’Associazione ARDEA è il frutto di una intensa esperienza maturata negli anni nel settore della didattica museale dai quattro gruppi di esperti, docenti con preparazione universitaria e post-universitaria, che operano, ognuno con competenze specifiche, nelle sezioni artistica, naturalistica, archeologica e storica dei Musei Civici cittadini. Si è costituita nel 1998, anche su esplicita richiesta della direzione dei Musei Civici e in convenzione con il Comune di Vicenza, per diffondere la cultura museale a vari livelli e fornire un’adeguata risposta alle esigenze delle scuole presenti nel territorio.

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Ogni gruppo indirizza la propria attività didattica, comune per metodo e obiettivi, ai vari ordini e livelli di scuole, dalle materne alle superiori. Obiettivi sono: a) sviluppare la conoscenza e l’interesse del patrimonio culturale vicentino; b) comprendere il significato e la funzione del museo come luogo di esperienza e comunicazione della cultura, oltre che di conservazione e di ricerca; c) creare un collegamento tra scuola e museo. Tre i tipi di attività proposte: - percorsi attivi all’interno delle sale museali con l’utilizzo di materiali operativi.; - laboratori per realizzare esperienze di osservazione e manipolazione di reperti originali e in copia; - percorsi esterni come esperienza di museo all’aperto. Nell’intento di arricchire la proposta culturale e fornire agli studenti un servizio sempre più qualificato l’Associazione ha elaborato inoltre alcuni Progetti Integrati. Il progetto integrato nasce dall’esigenza di realizzare mediazione fra sapere e trasposizione didattica e manifesta la volontà di conciliare le esigenze caratteristiche del processo conoscitivo dello studente e gli aspetti disciplinari concettuali e metodologici della ricerca preistorica, senza perdere mai di vista l’interdisciplinarità che è esigenza imprescindibile sia per la ricerca storica che nell’elaborazione personale dello studente. La metodologia che caratterizza le nostre attività di didattica museale si fonda sulle seguenti convinzioni:

o E’ fondamentale curare il rapporto con gli insegnanti affinché le attività siano inserite in un percorso educativo che comincia a scuola, si sviluppa e si articola nelle attività museali, e viene infine ripreso e concluso nelle classi. Ne deriva da un lato che le attività museali devono essere inserite nella programmazione didattica, dall’altro che gli operatori didattici non si sostituiscono ma si affiancano agli insegnanti, mediatori privilegiati per la trasmissione dei saperi agli allievi.

o Le attività proposte si configurano come didattica e non divulgazione poiché la nostra attenzione si concentra sul processo di apprendimento e proponiamo obiettivi didattici e obiettivi formativi. A questo proposito è da sottolineare che gli operatori hanno sia conoscenze specifiche (c’è l’archeologo, il naturalista, il paleoantropologo…) sia esperienze didattiche perché quasi tutti provengono dal

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mondo della scuola ed alcuni hanno anche frequentato corsi di specializzazione in Didattica della Storia e in Didattica Museale.

o Tutti i progetti si caratterizzano per una metodologia di lavoro che prevede la partecipazione degli alunni, protagonisti attivi sia nei percorsi all’interno delle sale che nei laboratori attraverso la mediazione culturale che l’operatore effettua nelle sale museali e in laboratorio tra documentazione esposta ed alunni.

o Nel realizzare la trasposizione didattica dal sapere esperto alle competenze cognitive e affettive degli studenti per le diverse classi di età, si è scelto di selezionare solo alcuni oggetti e di “farli parlare” come bene culturale, come elementi aventi valore di civiltà, di testimonianza storica, culturale, sociale, tecnico - scientifica, di costume, valorizzando là dove possibile l’integrazione tra discipline, considerata la caratteristica del museo stesso.

Finalità e obiettivi o la riscoperta delle radici culturali della città, calate nel loro

contesto storico e ambientale, per collegare le esperienze del passato con quelle del presente;

o lo stimolo alla curiosità di apprendere in un ambiente accogliente e ricco di proposte;

o una più stretta connessione tra il mondo della scuola e quello della cultura museale per favorire la maturazione di una coscienza critica e la sensibilità per le problematiche storiche, archeologiche, storico -artistiche e ambientali;

o la valorizzazione del patrimonio dei Musei cittadini.

Il museo

La storia e l’evoluzione del territorio vicentino sono raccontate nelle due sezioni del Museo attraverso reperti naturalistici e archeologici, testimonianza dell’uomo e del suo rapportarsi con l’ambiente. La sezione Naturalistica, organizzata per ambienti, concentra l’attenzione sugli aspetti che riguardano l’evoluzione del territorio e le sue modificazioni dal Cretacico ad oggi.

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La sezione Archeologica ha una impostazione topografica e cronologica, e l’arco cronologico va dal Paleolitico medio al Neolitico, dall’Età del bronzo, del ferro all’Età Romana e longobarda.

Dalla roccia alla punta di freccia

Il percorso didattico presentato “Dalla roccia alla punta di freccia” è proposto con la finalità di integrare contenuti e conoscenze delle due sezioni di questo Museo che si caratterizza per la sua natura di “museo del territorio”. L ’itinerario didattico ha come filo conduttore la ricostruzione del rapporto tra uomo e ambiente nel corso del tempo, e mira, quindi ad evidenziare come sin dalle più antiche fasi della storia umana possa dirsi realizzato quel processo che ha reso la cultura la “nicchia ecologica” peculiare dell’uomo. Esso risulta inoltre integrato sia per l’oggetto dell’indagine sia per i procedimenti e i contributi tecnico-metodologici delle varie discipline.

I partecipanti al corso sono stati suddivisi in due gruppi per rendere maggiormente produttivo il lavoro; in questo modo le relatrici hanno anche potuto dimostrare come il percorso abbia significato sia partendo dallo studio delle caratteristiche dell’ambiente, sia partendo da quello della cultura umana (preistoria).

Sezione naturalistica � Dal plastico: osservazioni sulla morfologia dei Monti Berici:

descrizione dei versanti, attenzione alle caratteristiche evidenti; breve cenno alla formazione (sequenza stratigrafica, faglie, tettonica; scaglia rossa, calcari…). Dalla composizione calcarea all’erosione: cause, effetti, risultati. Osservazione del plastico delle doline, descrizione dei M. Berici come importante area carsica in Italia.

� Le formazioni conseguenti all’erosione carsica costituiscono caratteristiche strutture favorevoli all’insediamento umano: ripari sottoroccia, grotte ( vedi Broion)…

� I fossili come documenti; osservazione dei reperti fossili di resti di animali; lettura delle informazioni sul clima e sugli aspetti del paesaggio da essi ricavabili…;osservazione dei collegamenti fra tipologie animali presenti nel passato e oggi,

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descrizione delle cause di modificazione di clima ed ambiente…L’uomo cacciatore.

Sezione archeologica � Metodi di datazione relativa e assoluta � L'evoluzione umana: l'ambiente e i tempi dell'ominazione;

fattori e modelli evolutivi; l'evoluzione degli Ominidi; dalla locomozione delle antropomorfe al bipedismo umano; uomo, cultura ed ambiente in una prospettiva antropologica

� Evoluzione culturale- dal Paleolitico al Mesolitico: le prime industrie africane e i primi insiemi a bifacciali; i campi base, la spartizione del cibo, la nascita del simbolismo; la diffusione dell'Uomo in Europa e le più antiche industrie litiche: l’uomo di Neanderthal e l’uomo Sapiens; il Mesolitico, ( gli ultimi popoli cacciatori e raccoglitori)

� Inquadramento, tramite collezione di confronto, dell'evoluzione tecnologica e tipologica degli insiemi litici paleo-mesolitici

� Il contributo dell’archeologia sperimentale Ciascun argomento trattato durante il percorso “Dalla roccia alla punta di freccia” può essere scelto e approfondito con differenziazione di livello e di specializzazione a seconda delle classi che partecipano alle attività.

I temi specifici che possono essere approfonditi si riferiscono a:

sezione naturalistica • Ricostruzione dell’origine geologica dei M. Berici • Fossili e fossilizzazione • Vegetazione e fauna di specifici ambienti ( bosco, campagna) • L’acqua come agente di modificazione del paesaggio • Gli ambienti umidi

sezione archeologica • Dai pannelli illustrativi delle sezioni: definizione di Preistoria

e periodizzazione “cronologia generale” del Paleolitico • Gli strumenti e le discipline per la ricostruzione della storia

antica dell'Uomo: lo scavo stratigrafico, le evidenze archeologiche, la tafonomia, l’analisi tracce usura reperti litici, l’archeozoologia, la palinologia… (il plastico della grotta del Broion).

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• Nel territorio vicentino: Homo Neanderthal e i complessi del Paleolitico medio (grotta di San Bernardino e grotta del Broion); il Paleolitico superiore e la diffusione dell'Uomo anatomicamente moderno (grotta del Broion): aspetti culturali, le manifestazioni artistiche e spirituali.

• Dall’analisi e dalla lettura dei reperti maggiormente significativi esposti nelle vetrine del Paleolitico Superiore ( strumenti in selce e in osso, oggetti ornamentali) formulazione di ipotesi ricostruttive sull’uso degli oggetti, sul contesto di vita, sulle forme di sussistenza.

• Le industrie litiche: riconoscimento e interpretazione, provenienza delle materie prime, metodi e tecniche di scheggiatura.

Ogni tema si articola in percorsi attivi nelle sale del museo e attività di laboratorio.

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MUSEIMUSEIMUSEIMUSEI CIVICICIVICICIVICICIVICI AGLIAGLIAGLIAGLI EREMITANIEREMITANIEREMITANIEREMITANI DIDIDIDI PADOVAPADOVAPADOVAPADOVA

COLLEZIONI PREROMANE DEL MUSEO CIVICOARCHEOLOGICO DI PADOVA

Girolamo Zampieri

All’interno della civiltà dei Veneti antichi, Padova è una realtà che si è andata precisando negli ultimi anni soprattutto attraverso studi specialistici e scavi sistematici condotti dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Padova e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. Rispetto a Este e ad altri centri venetici, le fonti latine su Padova sono assai numerose, data l’importanza che questo centro assume in età romana.

Le necropoli (prima sala) A Padova, come a Este, non si riscontrano sovrapposizioni tra l’area degli abitati e quella delle necropoli, che si estendono soprattutto a est degli antichi nuclei abitati lungo le vie Loredan, Belzoni, Ognissanti, Tiepolo e San Massimo. Sono stati individuati almeno quattro nuclei di tombe, il primo dei quali (via Loredan) era collocato in un’area isolata, benché non distante dall’ansa del fiume, mentre gli altri tre nuclei (via San Massimo-Ognissanti, Piovego e via Umberto I) erano siti lungo la riva del fiume stesso. Mancano le tombe relative allo stanziamento più antico; pochi i resti riferibili al III-II sec. a.C. La necropoli rinvenuta nell’area compresa tra via Tiepolo e via San Massimo era stata utilizzata dal IX al IV sec. a.C. Da quest’area vengono le tombe più antiche, rinvenute nel 1967 nel sito dello Studio Teologico Sant’ Antonio, in via San Massimo. Degne di nota le forme ceramiche: è documentata la forma dell’orciolo biconico con decorazione “a cordicella”, e materiale importante proviene dalla tomba “del Re”, databile alla seconda metà dell’VIII sec. a.C., attualmente esposta nel Museo Archeologico di Este, con grandi olle e tazze decorate a borchiette bronzee. Interessante la tomba “dei due vasi biconici”, rinvenuta nel 1967 nell’ex palazzo Contarini, ora collegio Morgagni, in via San Massimo. In questo complesso sono stati sicuramente confusi più corredi funerari. Sono presenti 13 vasi fittili, tra cui sono notevoli i due vasi biconici decorati “a cordicella”, con piede campanato e alta imboccatura svasata.

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La floridezza della vita di Padova alla fine dell’VIII - inizi del VII sec. a.C. è confermata dalla straordinaria tomba “dei vasi borchiati” rinvenuta in via Tiepolo nel 1974, certamente la più ricca e la più interessante finora nota. La tomba, così denominata per l’abbondante decorazione dei vasi fittili, è una delle più importanti dell’area veneta e un punto di riferimento per chiunque si occupi della civiltà dei Veneti antichi. Consta di 88 pezzi di corredo. All’interno della grande situla di bronzo tipo Kurd erano sistemati un’olla ossuario e una ciotola-coperchio, mentre all’interno della stessa olla si trovavano, frammisti a ossa, una tazzina di bronzo e vari oggetti d’ornamento. A questo primo gruppo si accompagnavano altri reperti all’esterno della situla, sul fondo della tomba, in un’area di limitata estensione: due coltelli e un’ascia di bronzo, un anello e un punteruolo, un lebète, una situla e una tazza di bronzo. Il secondo gruppo di oggetti era formato solo da vasi di terracotta, e nella parte centrale del recinto era sistemato il terzo gruppo di reperti, tra cui un “candelabro” a doppia coppa. L’ultimo gruppo, il più consistente, era formato da oggetti fittili di estremo interesse, tra cui due “candelabri” a due bracci, una cista troncoconica su quattro piedi e una grande coppa con elementi di collegamento in canna palustre (fig. 5). Alcune tombe provenienti da via Tiepolo attestano una certa autonomia artigianale e artistica rispetto a Este. Tipicamente patavina è la forma schiacciata di molti vasi, usati in genere come ossuari. Vanno segnalate in particolare le tombe XL e XLVI rinvenute negli scavi del 1910, la seconda delle quali si distingue per la ricchezza del corredo. La cronologia riposa principalmente su alcuni bronzi, tra cui l’elegante fermaglio di cintura a losanga. Degne di attenzione anche la tomba 28, recuperata in via Tiepolo nel 1965, caratterizzata dal grande dolio usato come vaso-tomba, cioè come vaso contenente tutto il corredo funerario, la tomba 5, rinvenuta in via Tiepolo nel 1965, pertinente a una sepoltura femminile di elevate condizioni sociali per i numerosi e notevoli oggetti d’ornamento, tra cui tre collane in ambra, e la tomba “dei cavalli”, rinvenuta in via Tiepolo nel 1963, la cui olla è certamente il vaso più interessante dell’intero complesso funerario. Sulla spalla sono rappresentati cavalieri alternati a stambecchi, forse una scena di caccia, e vi sono sei coppie di fori in cui erano inserite le protomi di animali (fig. 6). Questo tipo di vaso rappresenta uno dei rari esempi di ceramica venetica con decorazione figurata (cfr. anche l’ossuario fittile della tomba XLVI) e trova confronti con prodotti italici, soprattutto con la ceramica di Campovalano (Chieti).

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Tra le tombe più tarde presenti in Museo vanno ricordate quella scoperta nel campo sportivo “W. Petron” contenente, fra l’altro, una bella fibula in argento di tipo La Tène II, e le tombe 20 e 12, la prima con una coppetta derivata o collegata alla forma Lamboglia 28, la seconda con un piccolo guttus in argilla cinerognola e due fibule conarco a molla, dischetto fermapieghe e lunga staffa con terminazione a vaso, tipo presente nella fase Este IIIC ed Este IIID1. Tra i materiali sporadici rinvenuti a Padova o nel territorio padovano vanno segnalati gli spilloni con capocchia a ombrellino tipo Vàdena e lo spillone a tre globetti alternati a costolature tipo Bortoloni, datati all’VIII sec. a.C. Il pezzo più prezioso è senz’altro la fibula d’oro tipo La Tène II, con staffa ripiegata a gomito fusa insieme all’arco decorato da motivi a “S”, unicum nel mondo venetico (fig. 6). Un altro pezzo di particolare importanza è l’anello d’argento con iscrizione venetica “vilkeni”, nome individuale al genitivo quale attestazione di proprietà, datato al VI sec. a.C.

Le stele figurate (prima sala) L’individualità di Padova è confermata dalla presenza delle stele funerarie, unici monumenti di scultura del mondo venetico, esclusivi del territorio occupato dalla città di Padova, in questo assai diversa da Este, che conosce solo i cippi funerari iscritti senza figurazione. Sono lastre rettangolari che sorgevano sulle tombe riservate a personaggi di alto livello sociale. L’excursus cronologico è piuttosto lungo. I monumenti più antichi, come la stele di Camin, richiamano l’arte delle situle. Il soggetto più rappresentato è quello del viaggio all’oltretomba su carro trainato da due cavalli, ma vi è raffigurata anche la quadriga. La più antica stele è quella ritrovata a Camin (Padova), forse del VI sec. a.C.: il contesto della rappresentazione figurata, un uomo, Rakos, con cappello a larga tesa e un bastone nella mano sinistra che riceve da una donna, la sposa, un uccello acquatico, forse simbolo dell’anima, è pienamente venetico. Dal IV sec. a.C. sono evidenti apporti celtici, assorbiti e tradotti in un particolare decorativismo lineare, come osserviamo nella stele di Albignasego. Le stele del III sec. costituiscono una presenza molto importante perché rivelano apporti greci o magnogreci nella nostra città. La stele “Loredan I”, in particolare, con la scena della celtomachia (guerriero a cavallo che combatte un fante nudo), esula per composizione e resa delle figure dal contesto venetico e, se pure creata in loco e d’argomento locale quale probabile riflesso della lotta dei Veneti contro i Galli, si ispira a schemi greci. In numerose stele patavine la caratteristica epigrafica è

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data dalla formula del termine “ekupetaris” più il dativo del nome del defunto. Anche nella stele di Ostiala Gallenia (fig. 8), una patavina andata sposa al romano Gallenio, la formula è la stessa. Questo importante monumento documenta bene la sopravvivenza, in un’epoca così avanzata (fine I sec. a.C.), di antichi motivi cultuali e figurativi, quali il tema del viaggio dei defunti sul carro e l’abbigliamento femminile arricchito dal disco sulla testa di Ostiala, elemento che ricorre in altre stele patavine e che viene generalmente interpretato come simbolo solare.

Le stipi votive (prima sala) Nelle quattro vetrine triangolari sono conservate le preziose testimonianze dei luoghi di culto, situati presso fonti o corsi d’acqua. La più importante e antica stipe è quella di San Pietro Montagnon, attuale Montegrotto Terme, individuata casualmente verso la fine del secolo scorso. Il carattere comunitario e popolare e la vasta estensione di questo centro cultuale è attestato dall’enorme quantità delle offerte rappresentate soprattutto da tazzine fittili miniaturistiche con le quali, è presumibile, i devoti raccoglievano l’acqua salutare per bere e poi gettavano questi piccolissimi contenitori nel laghetto quali offerte simboliche alla divinità: Reitia. La sacralità del complesso di San Pietro Montagnon è testimoniata anche dalle offerte di cavallini, cavalieri, figurine virili e femminili, di gambe e braccia umane: oggetti, quest’ultimi, che, più degli altri, richiamano direttamente il problema salute, malattia, guarigione, preghiera, ringraziamento. Tra i cavallini bronzei emerge, per la resa delle masse plastiche e per l’accurata decorazione incisa, un esemplare databile al VI sec. a.C. Piccoli complessi votivi si sono rinvenuti a Padova. Vanno ricordati quelli di San Daniele, del “Pozzo Dipinto” e di Mortise.

I bronzetti etruschi, italici e venetici (seconda sala) Queste statuette, diverse per stile e luogo di provenienza, costituiscono una fonte assai preziosa cui attingere per la nostra conoscenza dell’arte antica. I bronzetti sono inquadrabili nell’ambito della piccola plastica etrusca e italica, ma soprattutto venetica, e coprono un arco cronologico che da dal VI al II sec. a.C. Si tratta di statuine di bronzo realizzate con il procedimento di fusione a cera persa, che è il sistema più consueto di lavorazione nell’antichità. Una piccola serie di statuette bronzee, korai, kouroi, offerenti e oranti, non rientra nel gruppo che si rifà alla piccola plastica venetica, ma risente piuttosto l’influenza etrusca, non fosse altro per il tipo di

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abbigliamento e acconciatura. Interessante la kore rinvenuta a Gavello (fig. 4), di tipo nordetrusco, che forma con le statuette di Adria e di Parma un piccolo gruppo attribuibile forse a officina adriese. Degne di attenzione sono due figurine di guerriero, una per il modellato del corpo e per il tipo di elmo a calotta con alto lophos, l’altra per il tipo di armatura con corazza, schinieri ed elmo “a cuffia” con bottoncino apicale. Certamente curiosa e importante è la figurina di libante, che, nonostante alcune durezze e disarticolazioni formali, rivela la sua discendenza da schemi classici del V sec. a.C. Ancora più interessanti gli attributi che tiene nelle mani: una patera mesomphalos, nel tipico gesto della libagione, e una brocca a becco appuntito. Un unicum nel mondo venetico rappresenta la figurina di “madre con bambino”, mostruosa nei tratti del volto, ma decisamente interessante per il piccolo che porta in braccio, affettuosamente protetto e in parte coperto da un lembo del mantello.

fig. 4 Bronzetto

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fig. 5 Candelabro

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fig. 6 Fibula d’oro

fig.7 Vaso

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fig. 8 Stele

AL MUSEO GLI OGGETTI MI PARLANO DEIVENETI ANTICHI: PERCORSO OPERATIVO PER

GLI ALUNNI DELLA SCUOLA ELEMENTARE

Mirella Cisotto Nalon

Al Museo gli oggetti mi parlano dei Veneti antichi è stato il lavoro che ha informato tutte le successive proposte del progetto Impara il museo. I principali obiettivi di questo lavoro si rifanno innanzitutto alla volontà di creare un approccio positivo e corretto al museo e ai documenti in esso contenuti, valorizzando ed esplicitando le potenzialità comunicative di ciascun oggetto esposto secondo percorsi

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tematici ben definiti. Con questa e con tutte le altre proposte didattiche si intende proporre il museo quale luogo privilegiato di consultazione e contatto con i documenti in esso conservati, quale sede privilegiata in cui sia possibile vivere il reperto operando attivamente, senza limitarsi a recepire, attraverso la sola mediazione dell’apparato didascalico o dell’insegnante, i dati storici proposti. L’obiettivo principale infatti non è quello di offrire un semplice ausilio didattico all’apprendimento della cultura preromana del territorio padovano, ma quello di attivare, tramite il museo, una ricerca personale della storia passata dell’uomo nell’ambito della propria comunità sociale e delle sue molteplici attività economiche, culturali e religiose: l’acquisizione quindi di un metodo attivo per la fruizione dei beni archeologici e museali grazie alla capacità di leggere il documento come fonte primaria e diretta di informazione.

A questo scopo i materiali sono stati redatti sotto forma di schede quesito in modo da favorire il perseguimento dell’apprendimento per scoperta e di permettere al bambino di agire individualmente in maniera autonoma e attiva. I questionari sono dotati di risposte multiple fra cui bisogna scegliere quelle ritenute esatte. Tale formulazione evita ai ragazzi di dover scrivere molto e permette che le schede vengano compilate agevolmente e in un tempo relativamente breve anche durante la visita al museo, nella fase dell’osservazione, a diretto contatto con gli oggetti.

Utilizzando la molteplicità delle informazioni che una stesso oggetto può trasmettere, sono stati individuati differenti tematismi, quelli che sono parsi più adeguati alla natura delle fonti, all’interesse degli studenti e ai programmi scolastici:

- la vita quotidiana, sociale, economica;

- il culto funerario;

- l’artigianato con particolare riferimento alla ceramica.

Il lavoro viene svolto in tre diversi momenti:

- acquisizione delle preconoscenze necessarie per affrontare autonomamente la visita al museo, da effettuarsi in classe

- osservazione guidata attraverso le schede predisposte, da svolgersi nella sala preromana del museo

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- sviluppo e collegamento delle nozioni acquisite, da completarsi in classe anche mediante l’applicazione del ragionamento inferenziale.

Le fonti scelte si possono distinguere in due gruppi:

- le stele

- le tombe

Ricordiamo che nella sala preromana del museo di Padova non sono esposti, per motivi di spazio, reperti provenienti da abitati e pertanto è necessario trarre le informazioni relative alla vita dal solo materiale funerario o votivo.

Il lavoro è predisposto in modo da articolare le attività nelle seguenti fasi:

- formazione del sapere appropriato;

- produzione di informazioni mediante l’osservazione degli oggetti;

- produzione delle informazioni mediante ragionamento inferenziale;

- organizzazione delle informazioni in un testo;

- presa di coscienza dei procedimenti (Ivo Mattozzi).

L’insegnante, seguendo il percorso tracciato nel cosiddetto “quaderno azzurro”, potrà effettuare con estrema facilità un’operazione didattica di alto livello, che porterà ogni alunno (anche quelli più deboli) a effettuare un’esperienza cognitiva ed emotiva di grande rilevanza: il risultato di questa attività non saranno solo le importanti nozioni che il ragazzino apprenderà sul popolo dei Veneti, ma l’acquisizione di un atteggiamento consapevole e appropriato in relazione ai beni culturali e ai musei che li conservano, la presa di coscienza del procedimento di acquisizione della conoscenza storica e dell’importanza di ogni reperto o bene culturale quale fondamentale documento e fonte di informazione (il saper porre domande e il saper produrre risposte).

La fase di osservazione al museo è preceduta dalla cosiddetta “esperienza tattile”, un momento estremamente coinvolgente ed emozionante, la cui portata educativa va al di là della semplice comprensione della differenza fra un tipo di ceramica ed un altro, o fra

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il materiale ceramico e quello bronzeo: comprensione che si rivela, per altro indispensabile per una obiettiva lettura delle collezioni. L’approccio diretto con un oggetto realizzato in antico, per quanto frammentario e di nessun valore estetico o scientifico, soddisfa l’istintiva esigenza del “toccare”, di fare in questo modo proprio l’oggetto, comprendendone meglio l’importanza in quanto testimonianza diretta della creatività di un artigiano vissuto nel nostro territorio più di duemila anni fa. Tale consapevolezza porta inoltre i ragazzi, ormai consci che anche gli oggetti più umili vanno rispettati e conservati, ad accettare con maggiore serenità i divieti e le barriere espositive che inevitabilmente condizionano la visita al museo.

Anche tutte le altre proposte, pur non essendo sempre supportate da quaderni o schede a riguardo predisposte, seguono questa metodologia: si tratta di vere e proprie lezioni in cui il ragazzo viene coinvolto direttamente dall’operatore, che non ha il compito di spiegare o raccontare, ma di indurre il giovane utente a trarre “da solo” le informazioni dagli oggetti (fonti) insieme analizzati. Si innesca così un metodo attivo che coinvolge tutta la classe e non permette un atteggiamento di ricettività passiva. Oltre a trasmettere dei precisi contenuti l’operatore deve far comprendere che gli oggetti esposti molto spesso ci portano a conoscere solo alcuni aspetti della cultura passata e non tutto quanto ci piacerebbe, mettendo in rilievo come assai spesso la scoperta di un nuovo documento, di un’opera inedita, di uno scavo archeologico possano cambiare, talora radicalmente, le conoscenze fino allora acquisite. Tutto questo aiuta i ragazzi a meglio comprendere qual è il percorso che si deve seguire per arrivare alla scoperta della verità storica, che, solitamente, viene assunta in maniera passiva perché elaborata da altri, e attiva in loro un positivo senso critico.

La lettura di ogni itinerario viene quindi approfondita da momenti di attività pratica (all’interno del percorso o successivamente con gli appositi laboratori) che, per quanto riguarda gli utenti più giovani, è caratterizzata da un aspetto fortemente ludico.

Le altre proposte relative all’archeologia sono le seguenti:

Archeologia (elementari e medie)

Quando tutto cominciò: arte e guerra nella Preistoria (lab)

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Dalla pietra al ferro: armi nell’antichità nelle raccolte del museo archeologico (it)

Il mondo dell’antico Egitto attraverso le collezioni del Museo Archeologico di Padova (it)

Trasferiamoci in Egitto tra papiri e scarabei (lab)

Il mondo etrusco attraverso le collezioni di Cerveteri (it)

I Veneti antichi a Padova (it)

Lavoriamo l’argilla come gli antichi Veneti (lab)

Lavoriamo i metalli come gli antichi Veneti (lab)

Impariamo a intrecciare la trama con l’ordito (lab)

Padova romana: la vita quotidiana (it)

Padova romana: le strade, le case, gli edifici pubblici (it)

Padova romana: leggiamo e scriviamo come gli antichi Romani (it)

Acqua, acquedotti nell’antica Patavium (it)

Una giornata nella Padova romana (lab)

Ricostruiamo Padova romana (lab)

L’abbigliamento nell’antichità (lab)

Compriamo e vendiamo come gli antichi Romani (lab)

Al museo gli oggetti mi parlano… dei Veneti antichi (it-a)

Archeologia (superiori)

Dalla pietra al ferro: armi dell’antichità nelle raccolte del Museo Archeologico (it)

Le collezioni egizie (it)

I Veneti antichi a Padova (it)

Lavoriamo l’argilla come gli antichi Veneti (lab)

Patavium: la vita quotidiana (it)

Patavium: topografia e architettura (it)

Patavium e i mass media delle città romane (it)

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Patavium: l’amministrazione (it)

Acqua e acquedotti nella vita di Patavium (it) 3

Aspetti della ritrattistica romana (it)

Laboratori (elementari e medie)

Dallo scavo alla vetrina espositiva del museo: la storia di un reperto archeologico (lab) 4

Quando tutto cominciò: arte e guerra nella Preistoria (lab)

Trasferiamoci in Egitto tra papiri e scarabei (lab)

Lavoriamo l’argilla come gli antichi Veneti (lab)

Lavoriamo i metalli come gli antichi Veneti (lab)

Impariamo a intrecciare la trama con l’ordito (lab)

Una giornata nella Padova romana (lab)

Ricostruiamo Padova romana (lab)

L’abbigliamento nell’antichità (lab)

Compriamo e vendiamo come gli antichi Romani (lab)

La miniatura: parole dipinte (lab)

La pittura a tempera su tavola (lab)

Costruiamo i colori (lab)

La tecnica dell’affresco (lab)

La vita in musica: strumenti e momenti musicali del Medioevo (lab)

Una giornata nella Padova medievale (lab)

Coniamo una moneta: l’arte misteriosa e preziosa delle zecche

Per prenotare è sufficiente collegarsi al sito www.padovanet.it/propostedidattiche e seguire la guida allegata. In

3 It = itinerario

4 Lab = laboratorio

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caso di difficoltà, contattare i numeri 049/8204553-41 fax. 049/ 8204545

o inviare una e-mail all’indirizzo [email protected].

Dopo alcune fasi di sperimentazione quest’anno sono state presentate delle nuove proposte indirizzate anche alla scuola materna e al primo ciclo delle elementari.