Safe HouseHelen O’Leary

Roma, Sala 117 aprile – 17 maggio 2019

Sala 1 - Centro Internazionale d’Arte ContemporaneaPiazza di Porta San Giovanni, 10 - 00185Tel/Fax 06 7008691 salauno@salauno.com / www.salauno.comEdizioni Sala 1 n.140

FondatoreTito Amodei

PresidenteOttaviano D’Egidio

DirettriceMary Angela Schroth

Coordinatrice progettoSara Esposito

CollaboratoriLaura Ortega, Virginia Pantalone, Beatrice Zanatta

AllestimentoFalegnameria Fratelli Bistoni

Progetto graficoDanila Domizi

Photo creditsSze Tsung Nicolás Leong Eva O’ LearyGiorgio Benni courtesy of the AARStefano Fontebasso De Martino

Si ringrazianoJoannie Bottko, conservatrice e AAR Fellow 2018-2019; Francesco China e Antonella Giammusso, Studio3 Restauro Opere d’Arte, Roma

Il progetto è stato reso possibile grazie al Fellows’ Project Fund dell’American Academy in Rome.

Courtesy of the American Academy in Rome, Patricia Sweetow Gallery San Francisco, Lesley Heller Gallery New York.

Con il sostegno del Fellows’ Project Fund dell’American Academy in Rome:

Con il patrocinio di:

6

7

Safe House Sala 1 si interessa particolarmente ad artisti che creano opere specificamente per questo spazio, una chiesa abbandonata degli anni Venti riconvertita a galleria espositiva. Ciò vuol dire che l’artista ha piena libertà di creare opere o inserire progetti nelle stanze, dando così vita a progetti unici nel loro genere che entrano in contatto con i contesti spesso religiosi della Storia, come è il caso di Helen O’Leary.Nella sua prima mostra personale italiana, l’artista irlandese Helen O’Leary, Fellow in Visual Arts dell’American Academy in Rome per l’anno accademico 2018-19, con Safe House presenterà la sua opera ispirata a uno dei luoghi storicamente più evocativi di Roma, il Sancta Sanctorum, l’antica cappella privata dei papi ubicata nel complesso della Scala Santa, dove si trova anche la galleria Sala 1.Il Sancta Sanctorum è la cappella papale privata, originariamente parte dell’antico patriarchìo del Laterano, la residenza pontificia ufficiale dalla prima metà del IV

secolo al trasferimento della sede papale ad Avignone (1309-1377).Originariamente dedicata a San Lorenzo, nel IX secolo la cappella venne rinominata Sancta Sanctorum (“Le cose sante tra le sante” o “Il Santo dei Santi”), nome che indica la presenza di numerose e venerabili reliquie dei santi, custodite in un cassa (Arca) di legno di cipresso commissionato da papa Leone III (795-816). Era protetto da un’inferriata chiusa in bronzo di epoca medievale e chiuso sotto l’altare centrale.L’Arca non venne più aperta dal 1521; Padre Hartmann Grisar poté vederne il contenuto nel 1905, rivelandone un tesoro inestimabile di reliquiari d’oro, argento, avorio e legno pregiato: scrigni, croci, cibori, tessuti, ricami, pergamene, miniature e smalti.I reliquiari, così come i tessuti, vennero trasferiti nel Museo Sacro della Biblioteca Vaticana nel 1906 e, in seguito, ai Musei Vaticani, secondo il Rescriptum di papa Giovanni Paolo II (1 agosto 1999).

A fronte: Casa nativa di Helen O’Leary in Irlanda foto dell’archivio dell’artista

8

Il progetto di Helen offre una lettura degli oggetti trovati nell’Arca, che ha implicato ricerche nella collezione dei Musei Vaticani e colloqui con storici e religiosi che hanno dato un importante contributo alla sua opera, che si riflette in questo contesto. Le sue opere sono state allestite specificatamente nella galleria Sala 1, collocata direttamente dietro il Sancta Sanctorum, dando così una nuova lettura a una realtà secolare di arte, patrimonio culturale e fede. Helen si considera una pittrice di storia, intendendo non solo la sua propria storia ma anche quelle storie che si ripetono continuamente. Essere a Roma è stato determinante per lei, un banchetto in termini di sostanza, elementi visivi, spiritualità, materiali e storia. È cresciuta in una fattoria in Irlanda negli anni Sessanta. A quel tempo, il paese era isolato dal mondo moderno a causa della povertà e del tradizionalismo. La morte prematura del padre lascia il resto della famiglia,

composta di giovani donne, vulnerabile alla rapace depravazione patriarcale di un paesetto. La storia dei suoi primi anni infesta la sua pratica artistica – rappresenta la base del linguaggio femminista e decostruttivo che usa nelle sue opere.La galleria Sala 1 vorrebbe esprimere un sentito ringraziamento ai Padri Passionisti, custodi del Santuario della Scala Santa, e all’American Academy in Rome per il loro sostegno.

Mary Angela Schroth,direttrice Sala 1

9

10

Safe HouseSala 1 is especially interested in artists that execute work specific for the space, which is an abandoned church from the 1920’s and re-converted as an exhibition gallery. This means that the artist has free rein to create works or insert projects inside the rooms, resulting in unique projects that touch the historic and often religious contexts of history, such is the case with Helen O’Leary.At her first Italian personal exhibition, the Irish artist Helen O’Leary, AAR Fellow in Visual Arts 2018-2019, Safe House will present her work inspired by one of the most historically evocative places in Rome: the Sancta Sanctorum, the ancient private chapel of the popes located in the complex of the Scala Santa, where the Sala 1 gallery is also located.Sancta Sanctorum is the private papal chapel originating in the ancient Patriarchium of the Lateran, official residence of the pontiffs from the first half of the 4th century until the transfer of the papacy to Avignon (1309-1377).

Originally dedicated to St. Lawrence, in the 9th century the chapel was renamed the Sancta Sanctorum (“The Holy Things of the Saints or Holy of Holies”), indicating the presence of numerous venerable relics of saints, safeguarded in a container (Ark) of cypress wood commissioned by Leo III (795-816). It was protected by a medieval locked grated bronze structure and enclosed under the central altar.The Ark had not been opened since 1521; Father Hartmann Grisar was able to view its contents in 1905, revealing a priceless treasure of reliquaries of gold, silver, ivory, and precious wood: cases, crosses, ciborium, textiles, embroidery, parchments, miniatures, and enamels.The reliquaries, as well as the textiles, were transferred to the Christian Museum of the Vatican Library in 1906, then to the Vatican Museums in accordance with the Rescriptum of John Paul II (1.08.1999). Helen’s project involves an interpretation of these objects found in the Ark, involving

on-site investigations in the Vatican Museums’ collection as well as interviews with historians and religious that will give important input into her artwork that will reflect this context. Her works will be specifically installed in the Sala 1 gallery, which is located directly behind the Sancta Sanctorum, thus giving a new reading to a centuries-old reality of art, cultural heritage, and faith.Helen considers herself a painter of history, not just her own story but those that continuously repeat themselves. Being in Rome has been instrumental for her, a feast in terms of substance, visuals, spirituality, materials, history. She grew up on a farm in Ireland in the 1960’s. The country at that time was isolated from the modern world by poverty and conservatism. Her father’s early death left the remaining young female family vulnerable to the marauding patriarchal perversions of a small village. Her early history haunts her art practice—it’s the basis of the feminist, deconstructive

11

Safe House Introduction

language that she uses in the work.The Sala 1 would like to express its appreciation to the Padri Passionisti, custodians of the Sanctuary of the Holy Stairs, and to the American Academy in Rome for their support.

Mary Angela Schroth,director Sala 1

12

Per Helen O’Leary‘‘Il fine dell’arte è la pace / potrebbe essere il motto di questo fragile emblema’’, scrive Seamus Heaney in ‘‘The Harvest Bow’’ (‘‘Il fiocco della mietitura’’), ma è un fine che di rado – se mai – si raggiunge facilmente. A metà tra il bisogno individuato e il fine desiderato c’è un processo alquanto turbolento e agitato nel quale si deve tener conto delle esigenze della rottura e della disillusione. La nuova creazione di Helen O’Leary comprende il gioco tra uno schema di risoluzione unificatore e il suo contrario: come l’arte debba essere strappata a fatica dalla difficoltà e dal conflitto ma possa, tuttavia, sempre aderire a una superficie che viene data alla pace così come alla bellezza.L’arte di Helen O’Leary attinge dal suo retaggio irlandese ed esplora con destrezza, rigore e maestria il concetto di origine, di come tutto ciò che diveniamo nel tempo sia strutturato da quelle linee di definizione visive, culturali, morali ed emotive che vengono tracciate intorno

ai nostri mondi formativi nell’infanzia. In queste superfici, scorgo le tracce umbratili di campi arati e tavoli di legno puliti, delle linee rette della conversazione rurale e dei calendari ben organizzati, della continua poesia di stagioni e maree, schema e rituale.La bellezza dell’opera è indiscutibile, ma questi sono dipinti che traggono anche beneficio da un bagaglio intellettuale e una risonanza emotiva notevoli. Oltre all’ovvia consapevolezza della tradizione pittorica, in questi dipinti è nettamente evidente la profondità dell’interesse di Helen per la letteratura e, in particolare, per la poesia; la compostezza di Beckett, il lirismo di Heaney, la luminescenza visionaria di Rimbaud, il modo in cui Cechov organizza la narrazione: tutti contribuiscono all’articolazione potente e tuttavia elegante della sua opera. C’è qui risoluzione, certo, ma essa non è né superficiale né accidentale. Ciò che O’Leary offre all’interno delle sue cornici sono spazi

meditativi che non rinnegano la vita, di una complessità disarmante, ma suggeriscono, invece, dei modi in cui tutto ciò può essere risolto in momenti di intensa emozione e arte intenzionale. Come artigiano e tecnico, c’è qui una vera conquista: il trattamento del colore, della forma e della struttura ci rammenta che O’Leary è una pittrice di abilità profonda e riconosciuta. Ma è anche un’artista sensibile e di ampio respiro. Queste non sono superfici facili da ottenere e nelle loro delicate negoziazioni dichiarano di essere puntellate sulla discordia e la frizione, offrendoci, invece, questa pace compiutissima.

Vona Groarke

Nata e cresciuta in Irlanda, ha pubblicato negli Stati Uniti con Wake Forest University Press e in Irlanda con The Gallery Press. Autrice di sei raccolte di poesia, tra queste X (2014) e Juniper Street (2006). È editrice del Poetry Ireland Review e insegna poesia all’Università di Manchester.

15

For Helen O’Leary‘‘The end of art is peace / could be the motto of this frail device’’, writes Seamus Heaney in ‘‘The Harvest Bow’’, but it is an end that is rarely, if ever, easily attained. In between the identified need and the desired end is a process of some turbulence and disorder, wherein the claims of fracture and disappointment must be accounted for. Helen O’Leary’s new work understands the play between a unifying scheme of resolution and its opposite: how art is to be wrestled from difficulty and contest, and may still cohere on a surface that is given to peace as much as to beauty.Helen O’Leary’s art draws on her Irish background, and explores with deftness, rigor and craft, the idea of origin, of how everything we subsequently become has been framed by the visual, cultural, moral and emotional lines of definition that are drawn around our formative childhood worlds. In these surfaces, I see the shadow remnants of ploughed fields and scrubbed wooden tables, of

the straight lines of rural conversation and tidy timetables, of the ongoing poetry of season and tide, pattern and ritual. The beauty of the work is indisputable, but these are paintings which also benefit from considerable intellectual ballast and emotional resonance. As well as their obvious awareness of the painterly tradition, the depth of Helen’s engagement with literature and, in particular, with poetry, is markedly visible in these paintings: Beckett’s restraint, Heaney’s lyricism, Rimbaud’s visionary luminescence, and Chekov’s way of structuring narrative all contribute to the forceful and yet elegant articulation of her work.There is resolution here, certainly, but it is neither glib nor occasional. What O’Leary offers within her frames are meditative spaces that do not renege on the disarmingly messy business of life, but instead suggest ways in which this might be resolved into moments of intense feeling and deliberate art. As a

craftsperson and technician, there is real achievement here: the handling of colour, shape and texture reminds us that O’Leary is a painter of profound and noted skill. But she is also an artist of sensitivity and range. These are not surfaces easily come by and in their delicate negotiations, they declare a stay on discord and friction, offering to us instead this most accomplished peace.

Vona Groarke

Born and raised in Ireland, she publishes in the United States with Wake Forest University Press and in Ireland with The Gallery Press. She is the author of six collections of poetry, including X (2014) and Juniper Street (2006). The current editor of Poetry Ireland Review, she teaches poetry at the University of Manchester.

16

Titolo opera, Helen O’Leary, 2017Tecnica, 80x40 cm

Safe House Opere

17

18

19

20

21

22

23

35

36

37

Helen O’ Leary was born in Wexford, Ireland. She attended NCAD and earned a BFA and MFA at the School of the Art Institute of Chicago, IL. She has been honored with the Rome Prize at the American Academy in Rome, Hennessy Purchase Award, IMMA, Dublin, John Simon Guggenheim Fellowship; two Pollock-Krasner awards; the Joan Mitchell Award for painting and sculpture; Research Awards from Penn State University, and several grants from the Arts Council of Ireland. She is a fellow of many artist residencies: Centre Culturel Irlandais, France; the Sam and Adele Golden Residency, NY; Yaddo, NY; MacDowell Colony, NH; Bogliasco, Italy; Skowhegan School of Painting and Sculpture, ME. Exhibitions include the American Academy of Arts and Letters, NY; The American Academy in Rome, Italy; Sala 1, Rome, Italy; The MAC Belfast, Ireland; National Gallery of Art, Ireland; Maine Museum of Art, Bangor; Patricia Sweetow Gallery, San Francisco; Lesley

Heller Gallery, NY; Zurcher Gallery, NY; Galerie Le Petit Port, Belgium; the Contemporary Arts Centre, Australia; Zolla/Lieberman Gallery, IL; Kerlin Gallery, Ireland; and Fenderesky Gallery, Ireland. She is currently a fellow at the American Academy in Rome, Italy. She lives in Jersey City, NJ, USA and Leitrim, Ireland.

Biography

Si ringrazia la direttrice di Sala 1 Mary Angela Schroth, il Sancta Sanctorum e Sant’Elena per

essere stati fonte d’ispirazione per il mio lavoro.

40