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#15 COMPARTIR DICEMBRE 2010 C OMPARTIR Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo In questo numero TESTIMONIANZE Esperienza estiva in Bolivia, dai ragazzi del viaggio 2010 DOSSIER Prendersi cura, di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ Il nostro debito con la Terra, di Fabrizio Cotini CULTURA Libro La danzatrice bambina · Film Uomini di Dio VOLONTARIATO Intervista all’associazione Kantutitas, di Elisabetta Cattaneo

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Nel numero 15 di Compartir trovate le riflessioni dei ragazzi che sono andati in Bolivia quest'estate, elaborate sia prima della partenza che ad esperienza conclusa. Noi che le abbiamo raccolte possiamo testimoniare come sia emozionante rivivere il viaggio che molti di noi hanno fatto nelle parole e nei ricordi di qualcun altro. Scoprirete sensazioni molto simili a quelle che avete vissuto, risveglierete ricordi ed emozioni dimenticate. Inoltre potrete leggere un approfondimento di Don Sandro sul tema del "prendersi cura", un articolo sul sovraconsumo nella nostra società e un'intervista ad Anna Cattaneo, socia dell'associazione di volontariato Kantutitas. Buona lettura!

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#15COMPARTIR

DICEMBRE

2010

COMPARTIRNotiziario de l g r uppo “In Bol ivia 2004”

Patronato San Vincenzo

In ques to numeroTESTIMONIANZE Esperienza estiva in Bolivia, dai ragazzi del viaggio 2010

DOSSIER Prendersi cura, di Don Alessandro Sesana

ATTUALITÀ Il nostro debito con la Terra, di Fabrizio Cotini

CULTURA Libro La danzatrice bambina · Film Uomini di Dio

VOLONTARIATO Intervista all’associazione Kantutitas, di Elisabetta Cattaneo

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nche quest’anno riprendiamo il cammino del nostro giornale “Compartir”!E vogliamo ricominciare partendo da una

citazione: “Ora, se dovesse essere confermato lo stanziamento annunciato, toccheremo un minimo storico: rispetto al 2010 il taglio sarà del 45%, ridu-cendo il totale delle risorse a 179 milioni di euro”. Stiamo parlando della nuova legge finanziaria di sta-bilità che taglia in maniera radicale le spese per la cooperazione internazionale. Continua la citazione presa da Sergio Morelli, segre-tario della Focsiv (la federazione delle Ong di matri-ce cristiana): “Considerando gli impegni pregressi e i costi di gestione del ministero degli esteri, significa finanziamenti reali per meno di 100 milioni di euro. Per le spese militari, invece, ci sono tre miliardi di euro l’anno.”E non è finita qui: “La finanziaria taglia drastica-mente i fondi del 5 per mille destinati a finanziare il no-profit. Dopo i tagli ingiustificati che ogni anno i governi hanno attuato alle risorse destinate al servi-zio civile ancora una volta si colpisce la gran risor-sa del volontariato italiano”.

Tempi difficili, ma non per questo meno affascinanti per tutto quello che riguarda il mondo della coopera-zione internazionale e del volontariato!

Il giornalino Compartir vuole allora continuare a far sapere, raccontare, magari anche denunciare e an-nunciare quanto avviene attorno a noi, grazie alla

generosità di persone che quotidianamente continua-no a prendersi cura degli altri, dentro percorsi di condivisione e d’impegno.

Visto che il gruppo che realizza il giornalino nasce all’interno dell’esperienza del Patronato in Bolivia, in particolare alla Ciudad de los niños di Cochabam-ba, è evidente che il punto d’osservazione privilegia-to è proprio la Bolivia, anche se questo non ci impe-disce di gettare lo sguardo su orizzonti più ampi.È una delle tanti voci, magari confuse tra altre, ma credo che questo non sia più il tempo di tacere, ma di parlare. Questo non è più il tempo del solo lavoro silenzioso (anche se importante e fondamentale), ma è anche il tempo del raccontare, del far conoscere, del provare a far emergere quanto di buono ancora esiste nel campo del volontariato nonostante i tagli, il remare contro, la poca volontà di sostenere e di incoraggiare tutti quelli che provano con coraggio a “prendersi cura”-Questo è il tempo di dichiarare che è necessaria una giustizia a favore dei più deboli.

Compartir nella sua semplicità vuole provare ad es-sere uno di questi strumenti che denunciano e an-nunciano. Grazie a tutti quelli che ci aiuteranno, ci sosterranno e ci leggeranno anche quest’anno.

◆ Don Sandro e la redazione

2 Compartir · Dicembre 2010

Prendersi cura, nonostante tutto

A

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Pensieri prima di partire...

Il senso del mio partire per la Bolivia ha un elemento in comune con tutti i viaggi che ho avuto la fortuna di fare: il desiderio di sco-prire attraverso un’esperienza diretta. Il desiderio di scoprire in prima persona le differenze, le somiglianze degli stili di vita di una cultura altra che è solo lontanamente comprensibile se non la vivi direttamente.Il desiderio di essere scoperti e di misurarsi anche attraverso l’altro, attraverso il gruppo con il quale partirò, attraverso le persone che incrocerò…

Daniela~ · ~

E mi manca un pezzo…Un pezzo che ho deciso di cercare, forse di trovare e collocare nella mia umanità un po’ inquieta, sempre curiosa e alla ricerca di profondità e di significatività.

Ho 49 anni, sono mamma di tre figli, ho vis-suti di matrimonio, lutto, amicizia, intercul-tura, perdita, insegnamento nella scuola elementare, gioia, soddisfazioni, famiglia, genitori, amore, malattie inesorabili, acco-glienza, fede, tristezze, incontri che hanno del miracoloso per la loro bellezza e la loro luminosità…In una vita qualunque, una vita di servizio, una vita come quella di tanti altri.Ho trascorsi nel gruppo missionario del pae-se nel quale sono vissuta da ragazza e nel quale sono tornata ad abitare, vivendoci an-che poco.E ho desideri di conoscenza e di integrazio-ne, ho speranze di futuri possibili e pacifici per i miei figli e i figli del mondo.Ma mi manca un pezzo….Mi hanno invitata in Bolivia, e ho avuto pau-ra. Paura dell’incognita, paura della lonta-nanza, paura di ciò che è diverso, paura di affidarmi agli altri in terra straniera, paura della difficoltà, paura di lasciare per un certo tempo i miei figli. E ho dovuto fare i conti con questa emozione, darle un nome, uno spazio, una possibilità di evoluzione e di tra-sformazione. Ho dovuto fare i conti con la mia codardia, con le mie sicurezze che vanno in pezzi, ma che lasciano spazio ad ALTRO… ed ad un OLTRE... a qualcosa che non cono-sco, non controllo ma che mi prende l’anima.E ho capito che mi mancava il pezzo della sperimentazione di ciò che si annuncia, si spiega, si racconta, si rappresenta…senza averlo mai vissuto. L’ESTRANEITÀ, l’essere diversi in una terra diversa, l’essere accolti,

Compartir · Dicembre 2010 3

Testimonianze

Esperienza estiva in BoliviaAnche questa estate, come ormai da tradizione, Don Sandro ha accompagnato un gruppo di giovani che hanno scelto di trascorrere un mese in Bolivia. In questo numero di Compartir trovate le loro riflessioni, elaborate sia prima della partenza che dopo il ritorno in Italia.Noi che le abbiamo raccolte possiamo testimoniare come sia emozionante rivivere il viaggio che molti di noi hanno fatto nelle parole e nei ricordi di qualcun altro. Scoprirete sensazioni molto simili a quelle che avete vissuto, risveglierete ricordi ed emozioni dimenticate.

I bambini della Ciudad in festa

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l’affidarsi, il provare sulla propria pelle lo sguardo in qualità di “diversa”. Il vedere le cose da un altro punto di vista e in altri pan-ni, attraverso altri occhi…Allora, il viaggio in Bolivia è diventato un’opportunità per cre-scere, come donna, come madre, come inse-gnante, come compagna e amica di chi è di-verso qui, nella mia terra, nella mia storia, nella mia cultura, nella mia classe, nel mio mondo. Nella mia casa.Un’opportunità per respirare e vivere la TRANSCULTURALITÀ che sento mi appar-tiene e che mi rende assolutamente simile agli esseri umani di qualunque Paese.Poi, gli incontri che spiegano un disegno più grande, hanno fatto la loro parte nella prepa-razione del viaggio.Un amico che mi dice: “Sai, a Cochabamba c’è il mio amico Don Matteo, alla Ciudad de los niños.” Una mamma che mi ricorda che ogni anno parte un gruppo di giovani per un’esperienza di volontariato e il contatto con il Patronato. E il pezzo mancante si defi-nisce con più chiarezza e la voglia di

conoscere ciò che si era interrotto 30 anni prima e qualche vita fa, torna a farsi sentire. Riacquista vigore, freschezza, entusiasmo, consapevolezza, maturità e diventa un’occa-sione di gioia profonda. Da vivere!Il mio viaggio si intreccia con la Ciudad, con i sogni un po’ utopistici del mio essere ragaz-za impegnata nel sociale e diventa possibile riscoprire il pezzo mancante del mio essere umana.Cos’è dunque il mio andare in Bolivia? La ri-cerca di risposte, la ricerca di ideali e realtà che ora sono pronta ad accogliere e lasciare entrare perché si fondano nel mio spirito e mi aiutino ad essere una persona migliore e sempre più consapevole. Desidero guardare con occhi bambini una realtà adulta. Sono pronta ad affrontarlo perché desidero impa-rare prima di poter insegnare…Perché credo molto nella vita come dono e come qualcosa da condividere…E forse, il pezzo che manca ha un suo profondo motivo di essere, nella mia vita…

Elena

4 Compartir · Dicembre 2010

Sabino, un paziente ma soprattutto un amico del dottor Pietro Gamba.

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~ · ~La mia esperienza in Bolivia è iniziata tre anni fa grazie a don Matteo Cortinovis, che conosco da tanti anni. É il sacerdote che ha deciso di lasciare il suo paese e di prendersi cura dei bimbi più bisognosi: lì c'è tanto bi-sogno e io in quel posto ho lasciato il cuore. Quando don Matteo mi disse che partiva per la Bolivia io ci sono rimasta male, ma poi mi sono detta, questa è l'occasione giusta per andarlo a trovare oltre oceano. E così è stato. Questa per me è la terza volta che vado in Boliva ma sono sicura che non sarà l'ultima. La testa e il cuore sono rimasti giù per sem-pre, quel posto è davvero un paradiso. Per me è stata un'esperienza davvero unica, è stato un incontro davvero speciale. Lì ho ca-pito tante cose e ho conosciuto anche un dot-tore davvero speciale che si chiama dottor Pietro Gamba. Quei bimbi ti rubano il cuore ed hanno tanto bisogno di affetto, ti cercano e vogliono solo giocare e stare con te. Non immagino di trascorrere le mie vacanze in nessun altro posto, ed è per questo che ci ri-torno sempre.

Gloria Pressiani~ · ~

Partire, prendere il volo per un luogo che an-cora non conosco ma che mi sembra già “fa-miglia”. Partire senza sapere bene cosa ve-drò, chi incontrerò, cosa mangerò, quali pro-fumi assaggerò. Partire per città solo sentite nominare, magari scorte appena appena in fotografia, senza voler troppo approfondire lo sguardo per non perdere tutta la sorpresa che si aprirà come un pacco di Natale ai no-stri occhi subito scendendo dall’aereo.Partire per un luogo lontano, oltre-oceano, con tradizioni, usi e costumi molto diversi dai nostri. Loro cantano, ballano, fanno fe-sta, fanno sciopero e si ferma la città, cam-minano una notte intera per la Vergine di Urkupina. Noi lavoriamo, ci vergogniamo, non crediamo agli scioperi e andiamo in un centro commerciale per non sentire il caldo dell’estate.Avere l’occasione di assaporare un altro an-golo di mondo è sempre un motivo giusto per partire. Avere l’occasione di andare in Bolivia con un gruppo di amici per ritrovare

un amico è un altro motivo in più. Andare in Bolivia perché qualcuno ci aspetta per gioca-re, ridere, pregare e condividere un tratto di strada insieme è il motivo più importante.

Laura~ · ~

Partirò da casa il 9 luglio, per tornare il 13 agosto. Poco per sentirsi in un’altra casa, ab-bastanza per fare un’esperienza. Di cosa? Sinceramente non lo so…Ho trent’anni, ho lavorato in diversi ambiti e fatto qualche viaggio…ho conosciuto moltissime persone… tutte queste cose mi hanno fatto capire che farsi delle aspettative è inutile: ti seghi le gambe, perché la realtà supera sempre l’im-maginazione.Diversamente, posso pensare cosa mi porto dietro: la voglia, forse persino il bisogno, di incontri nuovi, di ascoltare esperienze di vi-ta, aspirazioni e desideri; il desiderio, e la paura, di condividere del tempo con persone diverse, che parlano un’altra lingua e che non mi conoscono; la curiosità che mi spin-gerà ad osservare e fare domande; la speran-za di portare qualcosa che possa essere colto perché immediato o anche prezioso.Che cosa farò? Anche questo non lo so con precisione. Ci sarà, immagino, da partecipa-re ai diversi lavori delle comunità… ho visto poco fa un astuccio cucito a mano dai ragazzi di Tarija…bellissimo! So che fanno anche il pane; ci sarà da giocare con i bambini; ci sa-rà da cucinare e lavare… va bene: basta che non mi chiedano di cantare al karaoke, quel-lo proprio non lo sopporto! Piuttosto la chi-tarra.

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Panni stesi di primo mattino, approfittando dei raggi del sole sulla fredda altura della Ciudad

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Spero di avere un po’ di tempo per leggere un paio di libri sulla loro storia e il loro pre-sente…da quanto ne so i boliviani parlano spesso di politica, sarebbe un peccato farsi trovare impreparati…e già che ci sono sele-zionerò con cura quello da dire del nostro paese: non mi piace essere commiserato (chi ha orecchie per intendere…).Vi sarà una realtà anche religiosa da vivere e da scoprire: le messe quotidiane, le parole “fede” e “comunità” messe nel linguaggio di ogni giorno; anche questo sarà diverso e for-se anche significativo.Poi si torna a casa: con la voglia di tornare, oppure no (di lavorare per una multinazio-nale?), di cucire astucci, oppure no (di fare shopping all’Oriocenter?), di portare que-st’esperienza qui, oppure no (prossimo anno villaggio vacanze?). Insomma si vedrà.

Marce"o Caprioli~ · ~

È sempre stato un "sogno" fin da quando ero piccolo poter aiutare i più sfortunati. Voglio vedere il mondo dall'altro lato con i suoi paesaggi, le tradizioni e vedere le persone che si accontentano ancora della semplicità. Adoro stare con i ragazzi, spero che quello che ho imparato qui possa tornarmi utile, voglio affrontare con loro i problemi che ogni giorno incontrano in una realtà dove può essere difficile crescere. Sono sicuro che sarà una bellissima esperienza, non vedo l'ora di partire!!!

Marco

Riflessioni di ritorno dal viaggio

Non è passato poi così tanto tempo dal no-stro rientro in Italia ma per quanto mi ri-guarda la routine caotica mi ha travolta sin da subito tanto che l’esperienza boliviana mi sembra un ricordo lontano se pur ben im-presso nella mia mente…Le cose che mi auguravo di vivere prima del-la partenza erano poche in confronto a tutto quello che poi ho vissuto in Bolivia, a chi mi chiede com’è andata rispondo che è stata un’esperienza magica e le persone mi guar-dano accennando un sorriso che però lascia

trapassare anche un interrogativo sul loro volto…Come poter racchiudere tutto quello che ho vissuto con delle parole? Tutto quello che raccontavo mi sembrava riduttivo.Come poter raccontare i sorrisi di tutte le persone e dei bambini che ho incontrato, i racconti di coloro che da anni spendono le loro giornate nei villaggi più remoti, i colori delle montagne, del cielo, i riflessi che il sole donava all’acqua del meraviglioso Lago Titi-caca, il senso di un gruppo con il quale mi sono trovata a mio agio sin dai primi giorni, la condivisone dei nostri pensieri ai fine giornata non sempre facili da rielaborare, il “compartir”...La Bolivia mi ha dato molto e in molte forme diverse, così diverse che a volte fatico a met-terle insieme. Ho visto molte contraddizioni non sempre facili da comprendere ma ciò che ricorderò

6 Compartir · Dicembre 2010

Un campesino cammina per le strade sterrate nella valle del Rio Caine

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con piacere è la meravigliosa voglia di sorri-dere!

Daniela~ · ~

“Viandante, è camminando che si apre il cammino.”

Il nostro cammino è iniziato quando davanti ai nostri occhi si è aperto il cielo azzurro del-la terra di Bolivia nella città di Cochabamba. Da lì partiva tutto il nostro viaggio, cammi-nando, correndo, salendo sui “trufi” o nel cassone di una 4x4, stando in piedi nel retro di un camion o seduti per 9 ore su un bus di-retto a La Paz. Insomma, una grande avven-tura ci stava aspettando!Il mio viaggio in terra di Bolivia mi ha dato la possibilità di prendermi del tempo. Tempo per osservare con attenzione i luoghi visitati; tempo per ascoltare le voci di tutte le perso-ne incontrate; tempo per fermarmi a riflette-re rispetto a ciò che stavo vivendo; tempo per criticare anche gli argomenti incontrati; tempo per annusare e toccare la vera terra boliviana. Il risultato di queste pause di pensiero è l’avere ancora nella mente ogni attimo vissu-to insieme ai miei compagni di viaggio e a tutte le persone speciali incontrate lungo il nostro cammino. Non dimenticare tutto ciò che ho vissuto e saperlo raccontare con luci-dità a tutti gli amici che non hanno mai visto la Bolivia, credo sia uno dei risultati più im-portanti.

Da questo viaggio così denso di emozioni e sensazioni mi porto a casa esempi di legalità e futuro positivo come Padre Sperandio, Giampaolo e Gigi; un esempio di sacrificio e dedizione come Fulvio; un esempio di amore materno come Teresa; un esempio di umiltà e fede come il Dottor Pietro Gamba e la sua magnifica famiglia allargata; alcuni esempi di impegno totale per la Pastorale come Pa-dre Massimo, Don Sergio, Don Andrea e Don Matteo.Nel nostro viaggio abbiamo incontrato anche laici di grande cuore che spendono la loro vita a sostegno di alcuni progetti in terra di Bolivia, come Massimo, Danilo insieme a Paolo e Francesco, Maria e Riccardo Giava-rini.Rimarranno per sempre nel mio cuore tutti i volti incontrati, i paesaggi visti dall’alto dei 5000m, le terre e le acque toccate, il tramon-to visto dal Lago Titicaca, le storie ascoltate e le tradizioni assaporate in questo viaggio. Non dimenticherò mai tutti i bimbi della Ciudad e quelli incontrati nei nostri tanti spostamenti e tutti coloro che con tanta premura e attenzione hanno voluto incon-trarci, ospitarci e raccontarci la vera storia di Bolivia.Un grazie speciale va a Don Sandro che per l’ennesima volta ha organizzato un viaggio in Bolivia e ci ha accompagnato con tanta pa-zienza e passione nella nostra scoperta e ai miei compagni che hanno reso questa espe-rienza unica e indimenticabile.

Laura~ · ~

Il mio nome è Eduardo, sono nato in Bolivia a Cochabamba quartiere Cala Cala vicino alla Chiesa di Santa Monica. Mi piacciono la chi-cha e il chicharròn.Alla Ciudad de los niños sono stato per la prima volta questa estate, ma di essere accol-to come se fosse stato da sempre, non me lo aspettavo. Dopo siamo andati una domenica con miei genitori ad ascoltare la Messa e an-che lì ci hanno fatto sentire in famiglia. “PA-PI”, Padre Berta l’ho visto una volta, da gio-vane, quando facevano una colletta allo sta-dio per la Ciudad e davvero ti dava una pace solo a sentirlo. Essere a Munaypata, tornare a Copacabana, tornare a vedere la Vergine

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Carne essiccata all’aria aperta per la conservazione, secondo il metodo campesino

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nella Chiesa, percorrere il Calvario sul lago Titicaca, sono cose per le quali non si trova-no parole. Sentire i profumi, la musica, i sa-pori della mia terra hanno mosso in me grandi emozioni. Fare la Caminata in Cocha-bamba verso Quillacollo, vedere da vicino la Mamita Urkupiña mi ha riempito il cuore di tante cose.Con il gruppo del Patronato sono andato a vedere quali opere Padre Berta ha fatto in tutta la sua magnificenza, e tutto per dare un’opportunità alle persone che passano per la Ciudad de los niños e anche per noi, che andiamo a vedere questi posti meravigliosi pensati per un futuro di bene per la mia gen-te.Ad Anzaldo ho sperimentato il dono di uno straniero che fa tanto per tanta gente che non è riconosciuta. È il dono di un adeguato servizio di salute, di un ospedale per gente di cui nessuno sa, nessuno chiede se non il fa-miliare che è vicino. Pietro Gamba riceve tutti coloro che hanno bisogno, insieme alla sua famiglia e a coloro che lavorano con lui.Sono tornato in Italia carico per continuare a sperare in un futuro migliore, e desidero tornare nella mia terra a dare una mano ai progetti nei quali molti hanno speso la pro-pria vita.

Eduardo~ · ~

Cinque settimane in Bolivia, tra Cochabam-ba, La Paz, Santa Cruz. Esperienza di vita, vissuta a contatto con la gente, fra la gente, per la gente di Bolivia. Un’esperienza di amore e consapevolezza, non riesco a scinde-re le due cose, una sussiste in relazione all’al-tra.L’impatto, bellissimo e durissimo, diretto con la diversità. Una diversità che non chie-de di essere necessariamente capita, va sen-tita, va intuita, va letta, va accolta, sempli-cemente va vissuta…Io diversa fra diversi…gli sguardi, le indiffe-renze, le curiosità, le paure, le simpatie, le tolleranze, le intolleranze, la pazienza, l’ospi-talità per una persona venuta da lontano.In Bolivia, come in Italia.Cosa ci rende poi così diversi? Forse solo il non riconoscerci l’uno nell’altro, con gli stes-

si bisogni, con la stessa voglia di vivere o di sopravvivere (in contesti diversi, in funzione di valori o di scale prioritarie differenti).Bolivia, terra ricchissima e derubata, violata, dove tutto assume i toni della relatività. Tut-to è relativo, tutto è contraddittorio, tutto è paradosso, tutto è possibile…Tutto è bellis-simo e difficilissimo nello stesso tempo.È stato un viaggio di ascolto, il mio. Un viag-gio di ricerca.Ho trovato molto più di quanto cercassi, in realtà. Ed è importante, questo. Mi hanno chiesto in molti: ci torneresti? Sì, semplice-mente sì. Un’esperienza di vita, appunto. E di fede, di impegno, di spiritualità, di umani-tà.Il lavoro dei tanti Padri e dei tanti volontari presenti in Bolivia profuma di miracolo in una terra così complessa. È un tessuto co-struito negli anni con fatica immane, con ra-dici nella precarietà umana e nell’amore che

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La grande foresta verde del Chapare

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tutto può di un Dio, a volte difficile da capi-re…La Ciudad, punto di riferimento per molti di coloro che sono partiti, diventa opportunità di riscatto, ancor prima che esperienza di vo-lontariato. È una realtà che fa riflettere e non puoi più far finta che non ci sia. Là, come qua. Ti fa guardare dentro le tue certezze per scoprire, mettere a nudo le tue fragilità di uomo e di donna, di essere umano.Il viaggio, questo viaggio è come un caleido-scopio interiore: riflessi di luce sempre di-versi che fanno interrogare sull’apparire piuttosto che sull’essere, fanno chiedere quanto questa vita che crediamo perfetta co-sì com’è, sia frutto di illusioni piuttosto che di scelte responsabili e profondamente uma-ne e spirituali.Bolivia…o qualunque altra parte del mon-do…quanto può già essere DENTRO di noi?

Elena~ · ~

Difficile poter riassumere in qualche riga questo viaggio!La Bolivia, che cieli, che montagne, che colo-ri. Piccola terra incontaminata, spazi infiniti, distanze irraggiungibili, orizzonti meravi-gliosi. Terra di colori contrastanti e comple-mentari, terra di contrasti…Quanti posti abbiamo visto in questo mese, quante volte ho avuto la sensazione di cam-biare continuamente terra. Diversità infinite racchiuse in un'unica bandiera, quella boli-viana. Ecco che allora il giorno della patria, tutto si riunisce, si mescola, si ricompatta in un forte senso nazionalista.Quante sensazioni ho provato durante que-sto viaggio, quante cose ho visto, sentito, toccato, annusato. Gli odori del cibo in stra-da, l’odore della polvere che si alzava dalle strade non asfaltate, l’odore dell’umidità e della vegetazione nel Chapare, l’odore del fumo delle auto nelle città.Il rumore assordante dei clacson che impa-zienti strimpellano per la strada, il rumore delle voci dei bambini che giocano, il rumore leggero e soave della mattina, i suoni delle trombe e dei tamburi, le voci della gente che per strada sfila rivivendo il Tinku ed i balli popolari in onore della Virgen.

Ho toccato le rocce friabili delle sue monta-gne, la pelle dei bambini screpolata dal fred-do e dall’altitudine, le stoffe colorate dei mercati, i sassi in riva al Titikaca. Poi, anco-ra, il sapore del mate, la carne di lima, la tru-cha ed il surubì, le patate, e tanto altro.Ho visto le rughe delle mani di un uomo che ha fatto del lavoro la sua vita, ho visto la condizione delle donne che cariche di figli si accingono a vendere ai bordi delle strade, ho visto la felicità dei bambini davanti ad una caramella, ho visto la sofferenza di un popo-lo che in un bicchiere di alcool cerca di di-menticare. E dinnanzi a tutto questo è diffi-cile poter fare delle considerazioni.Tante emozioni contrastanti dentro di me, tante cose che non puoi capire e che non vuoi capire. Tante cose che ti entusiasmano, che credi siano splendide. È stato come ve-dere dentro una cinepresa, tanti fotogrammi dinnanzi ai miei occhi.

Compartir · Dicembre 2010 9

Bimba campesina e i suoi giocattoli

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All’inizio del viaggio pensavo che lo scopo di quest’esperienza era quello di guardare e condividere. Con il passare dei giorni, il semplice guardare diveniva sguardo intelli-gente.Non puoi far finta di non vedere le contrad-dizioni di due culture estremamente diverse come quella cristiana e Quecha che si fondo-no e si contraddicono, ma allo stesso tempo non puoi non sorridere davanti al loro saper far festa, non puoi non apprezzare il loro fi-darsi alla Pachamama.E poi i bambini, bambini che hanno bisogno di sentirsi parte di una famiglia, di sentire che attorno a loro hanno qualcuno che li ama, che ha cura di loro, che li guarda, che li fa sentire importanti. Quanti sorrisi, quante carezze mi porto a casa, quanti abbracci mi hanno regalato e che porto dentro!Le stelle del cielo, il sole, i tramonti di una terra che mostra la propria storia, dispiegata tra le strade di montagna e quelle di città, tra le donne e gli uomini, i bambini ed i cani che incontri sul cammino.“Il viaggio arricchisce e impoverisce, fa ma-turare e spoglia. Quando il viaggio avviene, trasforma e rende altri, spingendo e passi sempre altrove e su altre vie. È come se vera destinazione del viaggio non fosse vedere un luogo, ma imparare a vedere tutto altri-menti.”

Ciò che ho imparato da un popolo che vive di giorno in giorno, dove il futuro più lontano che si prefigurano è il giorno dopo, perché non possiedono nulla, in cui non esiste il senso della proprietà privata, a volte nem-meno il senso della persona come essere da rispettare, dove non hai garanzie di soprav-vivere, è che bisogna gioire delle piccole cose di tutti i giorni.Bisogna rallegrarsi del sole che si alza nel cielo, del colibrì che tutte le mattine si posa sullo stesso ramo, del gatto che sempre ti si avvicina e miagola, delle risate degli amici, del cibo di ogni giorno, delle strette di mano, delle stelle che abbiamo visto più lucenti che mai, e che ogni notte vegliano sopra di noi, degli sguardi e dei sorrisi che ci vengono do-nati.Perché non si può sempre trovare un senso logico alle cose, perché solo il lasciarsi tra-volgere, l’innamorarsi delle persone, delle cose, delle sensazioni che incontriamo sul nostro cammino e che vediamo con i nostri occhi possono farci comprendere che non si può mai possedere veramente una una veri-tà, una persona, ma solo supporre, solo con-dividere un cammino per una notte o per una vita, con rispetto e gratitudine!

Elisabetta

10 Compartir · Dicembre 2010

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Mi sono chiesto spesse volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l'al-trettanto necessaria resa davanti al «destino». Don Chisciotte è il simbolo della re-sistenza portata avanti fino al non-senso, anzi alla follia. Sancho Panza è il rap-presentante di quanti si adattano con furbizia a ciò che è dato. Credo che dobbia-mo affrontare decisamente il «destino» - trovo rilevante che questo concetto sia neutro - e sottometterci ad esso al momento opportuno. Possiamo parlare di «gui-da» solo al di là di questo duplice processo; Dio non ci incontra solo nel «tu», ma si «maschera» (vermummt) anche nell'«esso», ed il mio problema è in sostanza come in questo «esso» («destino») possiamo trovare il «tu» o, in altre parole, co-me dal «destino» nasca effettivamente la «guida» (Führung). (RR, p. 289; 21 feb-braio 1944).

Così si esprimeva Bonhoeffer in un tempo oscuro della storia quando la seconda guerra mon-diale imperversava in tutta Europa e l’ideologia nazista e fascista provocava milioni di morti. Quelle due parole resistenza o resa diventarono la misura, la riflessione, l'imperativo etico della sua vita. La vicenda umana di quest’uomo richiama a tutti noi quella qualità della vita che è il voler perseverare nel bene anche durante un tempo di crisi e di fatica. La domanda di fondo che molti di noi si pongono proprio in questi giorni è più o meno formulata in questo modo: ma stiamo forse finendo nel caos, nella confusione? Bonhoeffer, con le sue parole sulla qualità del resistere, viene ancora una volta a raccomandarci che il pessimismo non deve in nessun modo prendere il sopravvento in noi, anzi ci ricorda come dobbiamo lasciarci guidare da una visione del mondo carica di speranza.

Vorrei in queste brevi riflessioni porre la domanda circa questo mondo in un altro modo: in questo tempo di crisi, quale è la qualità morale da coltivare perché possiamo costruire un mondo più bello, un futuro più bello?Mi sembra di intravedere che tale qualità morale che ci aiuta a resistere contro ogni forma di resa ad un possibile pessimismo può essere quella del prendersi cura dell'altro, la qualità della compassione. Questa qualità permetterà all'uomo di intraprendere un cammino nuovamente carico di speranza.L'uomo di questo tempo è chiamato a resistere mediante la capacità di costruire una relazione buona con le persone, con il creato, con la madre terra e tale relazione buona nasce e si svi-luppa dentro un percorso che chiamo appunto del prendersi cura, della compassione.Mi sembra che questa parola, questo atteggiamento, è la vera e unica risposta al problema po-sto circa la possibilità di costruire un mondo migliore.

Qui di seguito ed anche nei prossimi numeri del giornalino vogliamo proporre alcune consi-derazioni sul significato del prendersi cura dell'altro, come dimensione essenziale della rela-zione con l'altro.

Un mondo virtuale

Viviamo in un mondo virtuale: tale considerazione è talmente ovvia che rischiamo di perdere il senso sia positivo che negativo di tale esperienza. Proviamo allora a guardare ad alcune con-seguenze di questo mondo virtuale. Sia ben chiara una cosa: non siamo qui per condannare i

Compartir · Dicembre 2010 11

Dossier

Prendersi cura

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nostri giorni o per sognare un mondo irreale, magari guardando con una certa nostalgia il tempo passato, ritenendolo il migliore (una vol-ta sì che andava tutto bene). Vogliamo invece partire dalla realtà che conosciamo, in cui ogni giorno siamo immersi per cercare di dare una spiegazione sapiente a tutto quanto ci circonda. E allora non possiamo fare a meno di dichiara-re che viviamo in un mondo virtuale.Troppe volte la realtà non reale, appunto vir-tuale, prende il sopravvento sulla realtà reale. Come conseguenza rischiamo di stare in una società che, anche se offre un'infinita possibili-tà di relazioni, crea in realtà solitudini immen-se, forme di incomunicabilità tra tutti gli esseri umani che rischiano di essere informati su tut-to, ma di non essere più amici di nessuno. Quando ci va bene siamo buoni vicini di casa, sicuramente il pensiero di costruire relazioni stabili tra persone a volte ci risulta faticoso. Questa realtà virtuale porta con sé delle conse-guenze che vanno ben oltre le cose appena det-te. Facciamo fatica ad assaporare il gusto del bello, il senso di un mondo colorato, la capacità di costruire relazioni. E per finire l'ultima grande conseguenza è la fatica di prendersi cu-ra dell'altro, la premura, la compassione.

I miti, la storia dei popoli, l'esperien-za religiosa, la sapienza umana ci hanno insegnato che l'essenza dell'uomo non si trova tanto nella sua intelligenza o libertà, nella sua creatività, ma si trova soprattutto nella capacità di prendersi cu-ra di questa realtà che è il nostro mondo. (Il mondo in una carezza – D. Bonhoef-fer)

Nel prendersi cura scopriamo e proviamo a vivere il vero principio che sostiene ogni relazio-ne, il principio che rende la vita più bella e che trasforma le relazioni in qualcosa di desidera-bile.Di fatto quando l'uomo riesce a porre come impegno fondamentale della sua vita la capacità di prendersi cura dell'altro e del mondo, la vita stessa assume un tono diverso, le relazioni tra gli uomini acquistano un valore autentico e lo sguardo che sappiamo dare a questa nostra madre terra ha il sapore della sapienza che sa rispettare l'uomo. Quando sappiamo orientare la nostra vita verso la compassione, essa diventa più sana, più bella, più giusta.In queste pagine vorremmo esprimere la profonda convinzione che la cura, per il fatto di esse-re componente necessaria dell'essere umano, non può essere soppressa o messa in un angolo. La mancanza del prendersi cura, che è il paradigma di questa società e che rischia di farla ca-dere nel caos, deve essere vinta dalla scelta della generosità della vita. La capacità di prendersi cura dell'altro deve diventare il nuovo modello che ispirerà una nuova società, un nuovo mo-dello di convivenza tra gli uomini.Attraverso queste semplici righe, vogliamo provare a sognare un mondo futuro dove si possa-no vincere le grandi solitudini umane e le grandi ingiustizie di questa terra. Vorremmo sogna-

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Una fotografia di Dietric Bonhoeffer

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re e realizzare una società aperta a tutti, in una grande casa comune: la madre terra. I valori portanti di questo nuovo modello di società saranno progettati e realizzati in base alla cura nei confronti delle persone, con una particolare attenzione alle culture diverse, a chi più è po-vero, solo, sofferente. Una cura che è rivolta alla terra, grande e generosa nei confronti di tutti gli uomini.Possiamo sognare che questa parola, prendersi cura, venga assunta come compassione fon-damentale nei confronti di tutti gli esseri e di tutto il creato. Ma per fare questo è fondamen-tale, come scrisse Bonhoeffer, resistere nel bene.

Biografia di Bonhoeffer

Dietrich Bonhoeffer nasce nel 1906 a Breslavia. Dal '31 al '33 insegna a Berlino. Nella sua atti-vità mostra una carica innovativa, coinvolgendo gli studenti in iniziative legate non solo al-l'ambito accademico ma anche alla situazione politica esistente. Ha inizio, così, la sua opposi-zione sempre crescente al Nazismo. Alla fine di gennaio del 1933 Hitler va al potere e Bonho-effer lascia quindi Berlino. Tuttavia egli tornerà presto in Germania sollecitato dalla sua co-scienza a non lasciare il suo paese nel baratro in cui era caduto. Prende contatto con i fermen-ti contrari al regime e con la resistenza, finché, nel ‘43 viene arrestato. Viene messo dunque in un carcere dell'esercito e poi internato in un carcere della Gestapo a Berlino. Nel 1945 viene impiccato nel campo di concentramento di Flossebürg.Durante la sua vita, Bonhoeffer ha pubblicato: Sanctorum communio; Atto ed essere. Postu-me apparvero le opere che, secondo l'autore, dovevano costituire il suo contributo maggiore: Etica (1949); Tentazione (1953); Il mondo maggiorenne (1955-66) e la raccolta Resistenza e resa (1951).

Due pensieri di Bonhoeffer

Della stupiditàPer il bene la stupidità è un nemico più pericolo-so della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissolu-zione, perché dietro di sé nell'uomo lascia alme-no un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nul-la, né con proteste, né con la forza; le motivazio-ni non servono a niente. Ai fatti che sono in con-traddizione con i pregiudizi personali semplice-mente non si deve credere - in questi casi lo stu-pido è addirittura scettico - e quando sia impos-sibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malva-gio, si sente completamente soddisfatto di sé: anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all'attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo

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mai più di persuadere con argomentazioni lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa. Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l'es-senza. Una cosa certa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l'in-telletto ma l'umanità di una persona.(...)

Chi sono io?Chi sono io? Spesso mi diconoche esco dalla mia cella disteso, lieto e risoluto come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono che parlo alle guardie con libertà, affabilità e chiarezza come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi diconoche sopporto i giorni del dolore imperturbabile, sorridente e fiero come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?O sono soltanto quale io mi conosco? Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia, bramoso di aria come mi strangolassero alla gola, affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli, assetato di parole buone, di compagnia tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina, agitato per l'attesa di grandi cose, preoccupato e impotente per l’amico infinitamente lontano, stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare, spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io? Oggi sono uno, domani un altro? Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore e davanti a me uno spregevole vigliacco? Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione. Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

(Dietrich Bonhoeffer, da Resistenza e resa - Lettere e scritti dal carcere)

◆ Don Alessandro Sesana

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uest’anno è caduto il 21 agosto il giorno in cui la Terra è entrata in riserva: entro quella data l’umanità ha terminato le risorse naturali rin-

novabili messe a disposizione dal pianeta per l’intero anno.

“Se una persona spendesse il suo intero sti-pendio annuale in 8 mesi avrebbe di che es-sere molto preoccupata. La situazione non è meno allarmante quando tutto ciò accade al nostro credito ecologico: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la man-canza di cibo e di acqua dimostrano che non possiamo continuare a finanziare i nostri consumi indebitandoci”. Questo il commen-to di Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network, l’organizzazione di ricerche ambientali con sede in California che ha lanciato l’allarme e che si occupa di calcolare l’impronta ecologica di ogni paese in funzione dello stile di vita dei sui abitanti.

Come si fa ad andare avanti? Poiché fermarsi non è chiaramente possibile nella restante parte dell’anno stiamo spostando il peso del debito sulle generazioni future, intaccando le riserve naturali della Terra. L’acqua che be-viamo proviene dallo scioglimento dei ghiac-ciai perenni o viene prelevata da depositi fossili che non sono alimentati dall’acqua piovana, mentre la deforestazione nell’ulti-mo decennio è continuata al ritmo di 13 mi-lioni di ettari l’anno1. Per soddisfare la do-manda alimentare sfruttiamo eccessivamen-te i terreni coltivabili e destinati al pascolo provocandone l’impoverimento, e mangiamo pesce tratto dalle riserve ittiche di mari e fiumi, avendo già consumato tutto ciò che il ricambio generazionale può offrire; inoltre, avendo ormai superato la capacità terrestre di assorbimento di anidride carbonica, sia-mo in grado di soddisfare i nostri bisogni so-

lo accumulando i gas a effetto serra nell’at-mosfera.Ovviamente eccedere le capacità rigenerative degli ecosistemi sfruttati dall’uomo influisce anche sullo stato di salute degli ecosistemi stessi: il Living Planet Index, utilizzato dal WWF per misurare le variazioni nella ric-chezza di diversità biologica della Terra, mo-stra che negli ultimi 35 anni la perdita nel capitale di vita selvatica è stata di quasi il 30%.

Dai dati raccolti dal Global Footprint Net-work emerge che se tutta la popolazione mondiale vivesse come fanno attualmente gli americani avremmo bisogno di 5 terre per soddisfare i nostri consumi, mentre ne servi-rebbero “solo” 2,7 se tutti avessero uno stile di vita analogo all’Italia; il dato mondiale medio rivela che il livello di consumi umani di quest’anno sarebbe sostenibile solo aven-do mezza Terra in più a disposizione.

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Attualità

Il nostro debito con la Terra

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Le prospettive futureIl panorama che ci si propone nei prossimi decenni appare quantomeno fosco dal punto di vista ambientale: studi dell’Intergovern-mental Panel on Climate Change prevedono che le emissioni annue di carbonio saranno raddoppiate entro il 2050, pur presuppo-nendo uno spostamento verso un mix bilan-ciato di fonti energetiche; d’altro canto le Nazioni Unite stimano, per lo stesso arco di tempo, un aumento della popolazione mon-diale fino a 9 miliardi di persone, con una conseguente crescita nel consumo di cibo, fibre e prodotti forestali. Questo comporterà che, “se continueremo a reiterare gli attuali comportamenti, entro i primi anni del 2030 avremo bisogno di due Pianeti per soddisfa-re il fabbisogno dell’umanità di beni e servizi.”2

Tuttavia, secondo il “Modello delle soluzioni per il clima” sviluppato dal WWF, ci sono ancora margini per invertire la crescita esponenziale del nostro debito ecologico, evidentemente non sostenibile nel lungo pe-riodo. Occorre in primo luogo concentrarsi sulla produzione di energia ottenuta da combustibili fossili, da sola responsabile di circa il 45% dell’impronta ecologica mondia-le. Questo è realizzabile operando attraverso tre strategie parallele: espansione dell’effi-

cienza energetica nell’industria, nell’edilizia e nei trasporti per stabilizzare la domanda energetica globale entro il 2025; aumento dell’impiego di energie rinnovabili e delle bioenergie; eliminazione delle emissioni che ancora provengono dai combustibili fossili tradizionali tramite l’ampliamento del mec-canismo di cattura e stoccaggio del carbonio. Le altre leve fondamentali previste dal mo-dello sono indirizzate al contenimento della crescita demografica globale, causa primaria dell’aumento di consumi, e alla riduzione dell’impatto ambientale individuale.

Evidentemente le sfide che questo scenario comporta sono molto impegnative, poiché richiedono risposte sinergiche e coerenti a livello mondiale e coinvolgono dinamiche complesse, legate alla crescita economica e demografica dei paesi in via di sviluppo.Tuttavia è inutile illudersi che il modello di consumo attuale sia sostenibile, rimandando il problema ad un futuro in cui i costi e le dif-ficoltà per affrontare la situazione saranno inevitabilmente cresciuti. Sono anzi già visi-bili gli effetti che la scarsità di risorse natu-rali e la competizione per il loro utilizzo hanno su di noi: basti pensare alla timidezza con cui l’Europa ha affrontato le posizioni russe in materia di diritti civili e democrazia interna, diretta conseguenza del “ricatto energetico” di cui siamo vittime per la forni-tura di gas naturale siberiano.

Da questi dati emerge con sempre maggior forza la necessità di una politica illuminata, che sia responsabile nei confronti delle gene-razioni future e si prenda carico di preserva-re la prosperità del pianeta che ci ospita. Purtroppo poco o nulla si muove in questo senso, dimostrando la mancanza di una vi-sione strategica di lungo periodo nelle azioni dei nostri governanti.___________1 Rapporto Fao sulle Risorse Forestali Mondiali, anno 20102 Living Planet Report, anno 2008P e r m a g g i o r i i n f o r m a z i o n i c o n s u l t a t e i l s i t o www.footprintnetwork.org/earthovershootday e il Living Planet Report 2008, realizzato dal WWF.

◆ Fabrizio Cotini

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L’uso della natura da parte dell’umanitàIl grafico mostra la capacità complessiva del piane-ta Terra di sostenere lo sfruttamento di risorse e l’incremento dei consumi dovuti alle attività uma-ne, passati dal 55% della biocapacità terrestre nel 1961 al 150% previsto per il 2010.

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Questa è una storia piccola, che ha il volto di una bambina. Zubaida vive nel deserto del-l'Afghanistan, in un villaggio che la guerra non ha ancora travolto. Ha nove anni. Non sa niente del mondo oltre il suo villaggio, niente dei cingolati dell'Armata Rossa, della lotta dei mujaheddin, del regime dei talebani che ha proibito anche gli aquiloni, degli eli-cotteri con la bandiera a stelle e strisce. Cammina danzando, al ritmo di una musica che le suona dentro. Ma non dopo quel gior-no. Non da quando un terribile incidente le ha ustionato le mani, il viso, il corpo. Da al-lora, la musica si è spenta. In un paese privo della più elementare assistenza medica, e in cui la vita di una figlia femmina vale ben po-co, non sembra una fortuna che Zubaida sia sopravvissuta. Ma non per suo padre, non per l’ostinazione di un uomo disposto a tutto pur di non arrendersi. Dovesse camminare fino all'inferno per salvare quella bambina ferita, piagata, fasciata in mille bende, che ora urla per affermare la propria esistenza. Fino ai campi militari degli americani, con le loro regole incomprensibili. Fino a oltrepas-sare la linea di demarcazione tra due culture, tra "loro" e "gli altri". Perché Zubaida possa tornare a danzare al ritmo della sua musica.

Uomini di Dio è liberamente ispirato alla tragedia di Tibhirine (1996), in cui sette mo-naci francesi di un monastero algerino furo-no rapiti da esponenti del GIA (Gruppo Islamico Armato) e assassinati. Il film esa-mina gli ultimi mesi vissuti dalla piccola co-munità di monaci cristiani in “terra musul-mana", ed è incentrato più sulla ricerca del significato degli eventi e di ciò che era in gio-

co per la comunità, che sul racconto dei det-tagli di ciò che realmente accadde.

La storia ha inizio diverse settimane prima che i terroristi lanciassero un ultimatum or-dinando a tutti gli stranieri di lasciare il pae-se. Un gruppo armato terrorista arriva perfi-no a fare irruzione nel monastero alla vigilia di Natale. Il dilemma dei monaci, latente fi-no a quel momento, si fa allora esplicito: re-

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Cultura

La danzatrice bambina

Uomini di Dio

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stare o andarsene? La decisione deve essere presa di concerto dal gruppo. Ma per loro la scelta di andare o di rimanere, nonostante le minacce, è carica di conseguenze. Quando rifiutano la protezione militare, il governo chiede loro di tornare in Francia. Ciascun monaco prende la sua decisione ottempe-rando a principi umani, politici e religiosi e sondando le profondità della propria anima e della propria coscienza. Questa tensione drammatica accompagna la vita quotidiana mistica e pratica della comunità: il loro stret-to legame con gli abitanti del villaggio e la carità con la quale cercano di contrastare la violenza che divora il Paese.

Testamento spirituale di Padre Christian De ChergèChristian De Chergé, priore del monastero algerino, è stato l'animatore del cammino spirituale che ha portato la comunità ad ac-cettare lucidamente l'eventualità del marti-rio.

“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe esse-re oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stra-nieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. […] La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe col-pirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. […] So il disprezzo con il quale si è arrivati a cir-condare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile met-tersi a posto la coscienza identificando que-sta via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra co-sa: sono un corpo e un’anima. L’ho procla-mato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo impara-to sulle ginocchia di mia madre, la mia pri-missima chiesa, proprio in Algeria e, già allo-ra, nel rispetto dei credenti musulmani. […]

Di questa vita perduta, totalmente mia, e to-talmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto. In que-sto grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ie-ri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso! E anche te, amico dell’ulti-mo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te.

E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc’Allah.”

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Per riflettere

“L’opzione dei fratelli dell’Atlas non è unica né esclusiva. Tutti noi, in quanto monaci e monache nella tradizione benedettina-cister-cernse, abbiamo fatto un voto di stabilità che ci ha vincolato alla comunità e al luogo in cui questa si trova, fino alla morte. Il criterio uti-lizzato dai monaci è stato quello di rimanere e agire nel loro quotidiano.”

“Non vi è mai uno che decide e gli altri aspet-tano inoperosi: necessario è infatti un per-corso di confronto continuo nella ricerca di un accordo pacificatore. Il discernimento comunitario prevede infatti capacità di at-tendere, di raccontarsi, di lasciare che cia-scuno trovi il suo spazio. Solo quando ci si sente pronti si prende coraggiosamente una decisione.”

“Nel corso del discernimento che li ha con-dotti alla decisione di rimanere all’Atlas, no-nostante lo stato di generale tensione, i fra-telli erano ben consapevoli della possibilità di una morte violenta. In tale importante scelta si devono tenere presenti la fatica, la

sofferenza e il sacrificio che ciò comporta: non può esserci infatti una consolazione di Dio che in qualche modo non scaturisce an-che dalla fatica.”

“Non hanno cessato di invitare i musulmani a vivere il Vangelo, hanno continuato a pro-clamare i loro slogan, i loro simboli e a cele-brare solennemente le loro feste.”

“L’emiro afferma inoltre che «i monaci che vivono in mezzo alla gente possono essere lecitamente uccisi»: questo è il caso dei mo-naci dell’Atlas, i quali «vivono con la gente e la allontanano dal cammino divino, incitan-doli ad abbracciare il Vangelo». E continua dicendo: «È anche lecito applicare (a questi monaci) ciò che si applica ai non credenti quando sono prigionieri di guerra, vale a dire la morte, la schiavitù o lo scambio con dei prigionieri musulmani».”

“La vera azione che dà consolazione e che guida sulla via del servizio nasce, per il cre-dente, dal Vangelo: «ogni volta che avete fat-to qualcosa a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»”.

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uest’anno vogliamo proporvi una serie di interviste ad associazioni che operano nel mondo del volonta-riato. Iniziamo con Anna Cattaneo,

socia dell’Associazione Kantutitas.

• Come nasce questa Associazione e quale è la sua finalità?

L’associazione Kantutitas prende il nome dalla Kantuta, fiore tipico che è tra i simboli nazionali boliviani. Si è costituita nel 2007 e nasce da un’esperienza più che decennale del “Gruppo Kantutitas”. Questo gruppo ha preso avvio agli inizi degli anni ‘90 grazie a padre Antonio Caglioni che è stato missionario in Bolivia nella zona del Canton Araca dal ‘78 al ‘94. (Oggi don Anto-nio, dopo essere stato parroco di Tribulina di Scanzorosciate per 16 anni, è nuovamente in Bolivia ed è ancora parroco di Araca).L’Associazione nasce ereditando questa sto-ria, con lo scopo di continuare il lavoro del gruppo e con l’intento di dare vita a progetti di sviluppo sempre più vicini ai bisogni reali delle famiglie boliviane, creando una rete di solidarietà fra nord e sud del mondo.La proposta principale dell’associazione è l’adozione a distanza di bambini della zona di Araca. Araca si trova nella Cordilliera del-le Tre Croci, tra La Paz e Cochabamba e conta più di 40 vil-laggi di contadini e minatori, siti ad un’altezza compresa tra i 3000 e i 4500 metri.Inizialmente il nu-mero delle famiglie coinvolte era basso: don Antonio chie-deva ai suoi cono-

scenti in Italia di farsi carico di bambini le cui famiglie erano particolarmente in diffi-coltà. Da questo piccolo nucleo nato a Sove-re, paese originario di Don Antonio, è partito il nostro progetto che è ora arrivato a occu-parsi di più di 500 bambini.Ognuno di questi bambini ha una “famiglia padrino” italiana che versando una quota mensile di 13,50 € sostiene tutta la famiglia, di solito molto numerosa. L’aiuto viene man-tenuto fino al compimento del 18° anno del ragazzo e serve per coprire le spese di so-stentamento, quelle scolastiche e sanitarie. Oltre all’adozione, l’associazione negli ultimi anni ha sviluppato e promosso progetti più comunitari come il microcredito, per incen-tivare la capacità produttiva e commerciale delle comunità, in particolare nel settore del-l’agricoltura e dell’allevamento, o la costru-zione di “una casa della comunità” a servizio della gente grazie all’offerta di bagni e docce pubbliche, di sale per incontrarsi e fare festa e di un collegio per ragazze che frequentano la scuola. Il sostegno economico è quindi fi-nalizzato ad un miglioramento personale, sociale e culturale.

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Volontariato

Associazione Kantutitas

Tipico lama boliviano

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• È facile lavorare in equipe?

Non è facile lavorare insieme ma ne vale la pena. Non è facile perché la condivisione chiara, trasparente e continuativa chiede impegno e fiducia. Queste due cose non sono scontate, al contrario maturano, giorno dopo giorno, nel cuore di chi crede profondamente che lavorare insieme sia più virtuoso che la-vorare da soli. Anche quando questo signifi-ca fare un passo indietro rispetto alle proprie idee se queste non trovano corrispondenza negli altri; rinunciare a picchi di orgoglio, presunzione, intelligenza e a volte intuizione per attendere i tempi degli altri…sempre che questi altri si mettano in ascolto…altrimenti non vale…

• Che significato ha per voi il concetto di vo-lontariato?

Mi è difficile rispondere in nome dell’asso-ciazione, posso rispondere a questa doman-da solo se è rivolta a me. Per me il volonta-riato è uno stile di vita, un modo di stare nel-le situazioni, attento ai bisogni di ciascuno e in particolare dei più poveri, degli ultimi. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuita-mente date”: credo che queste parole bibli-che dicano tutto il senso di ciò che siamo chiamati a fare e ad essere…dare con la stes-sa generosità di chi ci ha preceduto.Capite allora che non sto parlando del volon-tariato come un tempo e uno spazio di dedi-zione agli altri ritagliato fra il lavoro e la vita privata ma come qualcosa che riguarda la profondità, la totalità della nostra persona che dialoga con gli eventi della vita.

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Fotografia tratta dal sito dell’associazione Kantutitas, album Torrepampa

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• Quali sono le fatiche di un’associazione di questo tipo?

Credo che la fatica più grande, oltre a quella molto concreta di tenere insieme i vari pezzi amministrativi e burocratici, sia quella di aiutare le nostre famiglie italiane a riflettere attorno al loro stile di vita, alla loro idea di volontariato e solidarietà. Lavorare perché oltre al gesto concreto di versare soldi si rie-sca ad intraprendere un cammino di revisio-ne di vita a partire dalla vita di questi ultimi; perché i volti di questi bimbi aiutati ci pro-vochino e ci facciano interrogare su ciò che è giusto e ingiusto, ciò che è bene e ciò che è male…a partire dalle cose piccole di tutti giorni (ad esempio: che cibi comprare, quan-to spendere per vestirsi, quali regali scegliere per Natale, ecc…)

• Quali sono le soddisfazioni?

Parecchie. Il fatto che sempre più famiglie chiedono di poter adottare un bambino, a mio parere, esprime il desiderio di ciascuno di non tenere tutto per sé e di provare a vive-re la generosità che abita il loro cuore. Inol-tre la continuità e la costanza che le famiglie esprimono ci permette di attivare sostegni seri verso le famiglie adottate. Ancora, se penso a quanti si stanno avvicinando alla realtà associativa chiedendo di diventare so-ci, posso dire che c’è la voglia di investire energie, tempo e idee in un sogno comune: “aiutare gli altri per diventare più Uomini”.

• È difficile tenere i rapporti con un pae-se lontano?

Certo non è facile, ma abbiamo sempre avuto la fortuna di avere una “figura pon-te” fra qui e là. Per primi anni è stato don Antonio, poi don Michele, poi don Euge-nio e oggi nuovamente Don Antonio. Ave-re una persona di fiducia che lavora con le famiglie che aiutiamo ci permette di essere più sereni rispetto al fatto che il nostro aiuto arrivi a destinazione e che sia aderente ai bisogni effettivi che le fa-miglie esprimono. Oltre a questa “presen-za perno”, ogni anno dall’Italia scende un membro dell’associazione per visitare le

comunità, far sentire il nostro affetto e veri-ficare che tutto proceda al meglio.

• Si è ben radicata sul territorio questa as-sociazione?

In realtà a parte i due poli territoriali di So-vere e Tribulina, le famiglie coinvolte pro-vengono da diverse parti della bergamasca. L’associazione con i suoi iscritti è ancora giovane, è abbastanza conosciuta ma neces-sita di irrobustirsi, nel senso di radicarsi sul territorio come un interlocutore significativo con le diverse realtà associative, educative, politiche ed istituzionali.

• Se dovesse definire con tre parole il volon-tariato quali sceglierebbe?

Penso che prenderei a prestito le parole di Sant’Agostino e direi “Ama e fa ciò che vuoi”. Se ami non hai paura di dare, non lo senti come un dovere o come un impegno, ma semplicemente come una necessità vitale.

◆ Elisabetta Cattaneo

_________________________________Associazione Kantutitas Onlus

Via Collina Alta 10, Scanzorosciatewww.kantutitas.org

[email protected]

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Fotografia tratta dal sito dell’associazione Kantutitas, album Whicuraya

Page 23: Compartir 15

· CalendariSono pronti i calendari 2011 della Bolivia, al costo di 5 euro l’uno, che andranno a finanziare la realizzazione della biblioteca della Ciudad de los niños. Li trovate al Patronato S. Vincenzo e per qualsiasi informazione rivol-getevi a: Don Sandro 340.8926053 · [email protected]

· CaracolContinua il progetto Caracol, che si occupa dell’adozione delle casette della Ciudad de los niños da parte di gruppi, famiglie, aziende o singoli. Se sei interessato o per saper-ne di più rivolgiti a: Emiliano 346.3942256 · [email protected]

· CompartirAnche nel 2011 continueremo a lavorare per il giornalino Compartir, se sei interessato a collaborare o semplice-mente vuoi dire la tua, rivolgiti a: Sara 3475175747, [email protected]

E ancora pacchi natalizi, spesa equa, campi di lavoro...sei interessato? contattaci!

· Cena di NataleDomenica 12 dicembre alle ore 20 presso il Patronato ci sarà una cena per ritrovarci tutti in-sieme e scambiarci gli auguri di Natale, portando ognuno qualcosa da mangiare.

· Pietro Gamba in ItaliaIl dottor Pietro Gamba è in Italia fino al 15 Dicembre. Numerosi sono gli incontri in pro-gramma, tra cui la cena del 13 Dicembre alla Locanda del Buon Gustaio a Treviolo, in cui da-vanti a una pizza si ascolteranno le testimonianze di Pietro e ci sarà un’asta fotografica. Per informazioni e prenotazioni rivolgersi a: Paola 3331518991

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