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Collana Scilla 48

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Collana Scilla

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... il senso è cogliere

staccare, strappare.

Si dice di fiori e di frutti,

di api che succhiano il polline.

Di chi si gode la vita

ma anche ne è consumato.

Trascrivete, in margine, le voci:

carpo carpsi carptum carpere.

Paolo Ruffilli

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Prima Edizione

Samuele Editore, luglio 2009Edizione riveduta e aggiornata

Samuele Editore, novembre 2015via Montelieto 50 33092 Fanna (PN)

tel. 0427777734 fax. email: [email protected]

www.samueleeditore.it

ISBN 978-88-96526-66-8

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Dario De Nardin

MINatoRI

edizione riveduta e aggiornata

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INtRoDuzIoNE alla PRIMa EDIzIoNE – 2009

Una poesia credibile

di Gian Mario Villalta

Cosa chiedere, oggi, alla poesia? Non certo, ancora,negazione. Sappiamo abbastanza bene, forse troppobene, quello che non siamo e che non vogliamo, ocrediamo di saperlo, che è lo stesso, dato che sul credere

sta tutta la questione. la questione sta (si sposta, è vero,ma poi ritorna sempre di nuovo) proprio su questopunto di debolezza estrema e di forza inconsapevole, suqualcosa in cui poter credere, nella vita, nelle cose, nei pensieriche ci fanno agire. la poesia potrebbe parlarci di questo.Dovrebbe farlo. Prima di tutto, però, prima di parlarci di qualcosa in cuicredere, la poesia deve fare lo sforzo, oggi, di esserecredibile. troppo narcisismo, troppo compiacimento,troppa fretta. ovunque c’è un dilagare di investimentitossici nella letteratura, che determina una grave crisi delcredito, ma è soprattutto la poesia a toccare i minimistorici. Non dico che la poesia abbia da fare discorsi speciali,estranei al mondo in cui si vive, alla lingua dellatelevisione e del lavoro. anzi, è la sua pretesa diversità,

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quando si ritiene garantita dal nome di poesia, dai suoiabusatissimi usi, dai suoi secolari atteggiamenti diventatioramai ridicoli, che la rende scarsamente credibile.Perché la diversità vera, quella che le è propria, fa sì chediventino poesia proprio quelle stesse parole della vita,della televisone e del lavoro. Ma questa “indicibile”diversità, che fa delle parole comuni poesia, va guadagnata,riconosciuta dento di sé e nutrita.Questi versi di Dario De Nardin sono poesia perchéoffrono questa credibilità. a questa poesia che apparesospesa tra la vecchia cadenza di una cantilena e lostrozzarsi della voce in gola, si sente di poter dare credito.l’esperienza, il vissuto, non sono mai subordinati aun’idea preordinata di forma e di lingua poetica.Diventano poesia, invece, queste parole, attraversandoun’esperienza che dà valore alla materia dura della vita –e vorrebbero riscattarla. un paesaggio vissuto, questo diDe Nardin, nella luce di un’innocenza non meritata, maattesa, purché avvenga con la levità della grazia, aspiegare perché tanta bellezza, tanta varietà della natura edel mondo, chiedano all’uomo una fatica che non siferma al quotidiano patimento, ma si fa distruzione. a volte l’approssimata regolarità del verso, quandosuggerisce e tradisce un ritmo pari prevedibile (e cheaccenna al cantabile), ha l’effetto di intridere lapesantezza delle parole, e quasi stride dentro la durezzadei temi. Ma è anche un segno di accettazione. un sì

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all’esperienza del vivere capace di stupirsi della durezzadel mondo come della sua (a questo punto ancora piùstupefacente) bellezza. E poi c’è tutta una precisione ditermini tecnici che diventano parole di poesia. C’èun’attenzione al fondo orografico del paesaggio che lorende più vivo e vero della sua superficie oramaitotalmente estetizzata.Questa poesia di Dario De Nardin può chiedere credito,e quindi è già vicina a parlarci di qualcosa in cui credere,di cui ci dà cenni, suggerimenti, indicazioni. una diqueste indicazioni ci invita a fare attenzione alla roccia, alsuo peso reale e metafisico, a come la roccia si frantuma– non solo alle cime maestose dei monti.

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INtRoDuzIoNE alla SECoNDa EDIzIoNE – 2015

Libri e ritorni

di alessandro Canzian

Ci sono dei libri, nella vita di un Editore, che segnanoprofondamente non solo la direzione letteraria chel’Editore decide di intraprendere ma anche il suo stessomodo di concepire la letteratura. Minatori di Dario DeNardin, prima pubblicazione della Collana Scilla dellaSamuele Editore, ha rappresentato a pieno titolo questachiave di volta che a tutt’oggi considero fondamentale percomprendere le scelte editoriali fatte in nove anni diattività. Dalla pubblicazione di uno dei massimi poetiomoerotici italiani (arnold de Vos) al pluripremiatoesordiente siciliano (Erminio alberti) al percorsointerculturale diventato un’importante riflessionesull’autotraduzione (Sandro Pecchiari) ai poeti stranierieccellenti quali il più importante autore vietnamitavivente (Nguyen Chi trung) e una poetessa nicaraguensecandidata al Nobel (Claribel alegría). Dario De Nardinha segnato indelebilmente, nel 2009, questa storia divolumi pubblicati dando delle coordinate che oggi, nel2015, appaiono ancora prioritarie. un’attenzione allalingua, come giustamente diceva il primo prefatore

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eccellente della Collana (Gian Mario Villalta, primo diuna serie che ha visto coinvolti tra gli altri GiorgioBàrberi Squarotti, Paolo Ruffilli, Maria GraziaCalandrone, Davide Rondoni, Manlio Sgalambro,Maurizio Cucchi, Elio Pecora, Maria luisa Spaziani,Emilio Isgrò, Mary Barbara tolusso, lello Voce, RobertoVecchioni) tesa a un dare credito alla poesia. un costruirepiuttosto che un togliere partendo da una vita vissuta nelsenso di dato imprescindibile. In quest’opera infatti,ripresentata in versione riveduta e aggiornata, ci sonotesti risalenti a quarant’anni fa in un percorso biograficodell’autore che lo ha visto approdare agli studi piùdisparati (uno fra tutti la beat generation studiata a fondoper poi ritrovarsi a non riconoscersi in essa).Inevitabilmente questo atteggiamento verso la parola dicequalcosa della parola quindi scritta. una parola scelta,studiata intensamente a livello letterario quanto sul fronte

della vita. Perchè senza un’esperienza importante allespalle (e qui parliamo di quarant’anni) non c’è poesia.Come non c’è poesia senza confronto, senza dialogo. Néc’è poesia possibile senza quell’attenzione innamorata

verso il singolo termine che si traduce non in un abusare

della parola, ma in un’osarla. In questo, e senza timore divenir confutato, posso dire di considerare (nella mia vestedi Editore) Dario De Nardin uno dei grandi poeti localie non solo. E lo ripropongo per dare un segnale fortenon solo a quel gruppo di poeti che hanno pubblicato

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con la Samuele Editore e a quel gruppo di lettori che ciseguono e che dopo sei anni possono trovare di difficilereperibilità questo volume, ma anche al mondo editorialeitaliano perchè l’editoria di poesia non venga inglobatanelle dinamiche di un consumismo che pretende di produrre

sempre e ossessivamente qualcosa di nuovo. la poesia,quando vera, ha un connotato fondamentale: non hatempo. Così certi libri di poesia che valgono sempre lapena d’essere letti e riletti.

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MINatoRI

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VajoNt

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Sulla DIGa

Sulla diga sbrecciatatubinnocenti e tavolerisonavano ai passigagliardi dei ragazziche sulla passerellacamminavano all’orad’attraversar la golaper risalire in costal’altra sponda, desertae scoticata dall’onda.

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laGo SENz’aCQua

lago senz’acquabuio senza nottemusica senza suono

lago senz’acquanotte senz’albaspecchio senza riflesso

lago senz’acquasabbia nella boccaputrefatto il sangueche rigonfia il cuoredopo che l’affralito battitosi spense.

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SCENDEVa Il VENto

Scendeva il ventogiù dalla montagnaper sentieri ghiacciatiinciampando e ruzzolando.

Scendeva per i vicoli desertifra muri scalcinatisenza urlané inutili lamenti.

Scendeva il vento e i tetti scoperchiatiridevano impazziti.

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IMPRoVVISa PRoCElla

Increspavano l’ondei venti d’improvvisa procellaquando dal passo Sant’osvaldoper forre discendendodecisi a ripercorrere le golescontravano ciclopiche barriererigurgitanti l’aria turbinanteche sopra il lago andava ripiombandosenza speranza.

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RaBBIa

un dio incazzatosi riversa su noicon goccioloni di rabbiache non so se siano sputilanciati con disprezzoo lacrime di doloreper i nostri peccatio solo e semplicementedegl’innumerevoli suoi cani celestilunghe pisciatecontro il vagante cippo della terra.

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SoFFERENza (1966)

Quella strana signora!...terribile espressioneche vorrei capire...I suoi capelli bianchiflettono scompigliatieppure non è vecchiaha cinquant’anni, forse.

Quei suoi capelli bianchi e scompigliatiquegli occhi spalancatiluccicanti e dimessiteneri e spaventatie le rughe sui lati della boccaquel che ancora rimane di lontani sorrisior che piegate restan le sue labbracome da vento ignoto incise.

Quella strana signoradeve avere soffertopene che solo il volto suosa recitare ancora,forse per quella figlia sua deformeo per l’altro suo figlio, amico mio,artista quasi pazzo.

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Con gli occhi da sonnambulala bocca ripiegatamuove appena le labbraalle risate allegre nostree del figlio,risate coraggiosedella figlia inferma.

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RItoRNaRE a PINEDa

Mattinesettembrinerugiadosemolli.Processionarieformavano zucchero filatofra le rame dei pini.

Dai pianori dove giace il villaggiopiccoli calanchi sulle coste alteacque meteoriche portavanonel lago impicciolitodall’immane rovina.

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Deserto fu il villaggioda quando l’altra rivafu percossa dall’onda.

Eppure nella casasull’estrema raduraqualcosa si moveva.C’era luce di serae fumo del caminosoffuso ristagnavatingendo l’aria chetad’un colore azzurrino.

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terra inselvatichita dissodarono ancoradietro casa, in attesadi un’altra primavera.

Si vedeva la sposacamminare d’intornoper faccende e con cennorispondere al salutosilenziosa.

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altre donne lasciaronobaracche in Valcellinae vollero tornareper riaprire le case.

Solo durante il giornodapprima si fermaronopoiché la notte ancoraincuteva paura.

ora non più. Fu duralontano dal villaggio.Ritrovato il coraggiooggi voglion restare.

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Mite autunno godevasie ad occidente il solenon pareva aver vogliadi lasciare la valle.

Noi pure s’indugiavanei pressi e dalla sogliaqualcuno con caloreci esortava a ristare.

Gli uomini all’apertoversavano un bicchiereraccontando avventuree donne che venivanoper servire caffèentravan con passionenel nostro conversare.Ma quando ricordavanola notte di terroresul parlare serenos’addensavano nubidi rabbia e di dolore.

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Sulla FRaNa

Ripercorrevo in crestal’ammasso della franafra i suoi alberi stortipiegati verso il monte,quanto del bosco resta.Poi sostavo sull’orlodella piccola conca deserta tra quel subisso* e il montedove sul fondo stagna solo acqua piovana.lo sguardo sconsolatosul fondale volgevo:là io dovevo scendere,là a rilevar misurecon strumenti ormai vaniché ora di catastroficonulla poteva ancora accadere.Era irritante ma dovevo andaree intanto meditavo col magone.

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MEDItazIoNE Col MaGoNE

Finito che sarà questo lavoronon cercherò d’andarepresso un altro cantiere,ma scriverò soltanto poesiedisegnerò figure per scoprire letteratura ed arte,per capire......Capire? Finirò sul lastrico.Darò via l’automobilevecchia, di quarta manosgangheratada poco tempo comperatae altre cose mie di nessun valore.Solo la lettera 32 dell’olivettiporterò sempre con meanche quando avrò debitiche mai potrò pagare.la morosa riporterò a sua madrementre la mia di certo soffriràsapendomi un pezzente,ma non mi dirà nientee con i miei fratellivivrà fino a cent’anni.tutto questo vorrei... e invece niente.

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la CoNDaNNa DI aDaMo

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GlI aRtEFICI DEI MoNtI

Dalle vallette in quotafra i profili e l’azzurrosalivano addensativapori e fumi bianchi.

operosi e mai stanchigli artefici dei montiforgiando nuove formeintonavano canticanticchiati in falsettoche nessuno sentivae ammiccando furtivisi parlavano in rimain una strana linguache nessuno capiva.

Ragazzi, a fondovalle,l’intenso fumigarescrutavano turbatidecisi a risalire per giornate, rampandosu scoscesi versanti,onde poter guardareoltre i noti orizzontie scoprire qual fosseil segreto dell’arte.

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Ma le arcane officinenon avevan mai sitosu occultati pianorinelle valli vicine,ché le nuvole, densed’albicanti colori,risalivano semprecome allucinazionidal di là di montagnepiù elevate e lontane.

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a PIEDI

a piedi per valichie su cime ventoseper vedere al di làvalli e borghi mai visti.

a piedi risalirefra le nuvole basse a giugnoevitando serpenti insonnolitinel freddo del Framont.

a piedi per i pascolicon mandrie risonanticon echi e con richiami:cappellacci di feltrodi mandriani in Pelsa.

E gli occhi poi sognavanoguardando verso l’altonel seguirepazzi arrampicatorisollevarsi nel vuotocome leggere divinitàsul monte olimpo.

a piedi, discese per ghiaioniper macchie d’intricati mughisostando nelle malghe, tiepido il latte nel riverbero

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del fuoco sul caminodove il fumo soffusofa brillare gli occhi.E poi giù per i boschi...... Polvere bianca dalle nostre scarpesul nero dell’asfaltoa fondo valle.

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uN SoGNo

Davanti alla muraglia di pietra*,alle grandi pareti levigate,davanti alle superbe torrinel passato violateda rampanti gatti leggendari,rimango a contemplare verso l’altoalla ricerca d’un mio sogno anticod’una mia notte-sogno luminosache mi portava quidove improvviso Ignazio comparivae delle vie m’indicava lassùtracciati fluorescentiche parevano corde luminoseannodate nei punti di bivaccocome se fuochi accesistessero sulle cenge ad aspettare.

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la CoNDaNNa DI aDaMo

Insieme al grande Ignazioho arrampicato anch’ioma non su nude rocce,ben su ponteggi e casseriarmature in caverna controllandoe volumi di getto in calcestruzzo,quando a Basso Fadaltoinesorabilmentela condanna di adamoc’irrorava la fronte.

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NEI SuoI aRGINI Il FIuME

Nei suoi argini il fiumeplacido è diventato,aggredito sui fianchila sua forza ha cedutocontro quei getti armati(gabbioni e calcestruzzo)(pannelli-diga e barredi ferro nervato da ventotto)Su scalette di legno, carpentierilasciarono sudore.Come castrato, il fiumetristemente diverrà canale.

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NuVolE

Forse la stessa nuvolache dai miei monti muove lentamentein un cumulo informebordato di luce nascente,forse la si potrà vedere questa sera,a forma di gattino o di conigliocolorata dal rosso del tramonto,dalla pianura, su verso il Cansiglio.

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MINatoRI

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CaNSIGlIo

un grande mare verdeplasmato da distese di faggetida distese di pascoli e d’abeticon poche e nude isole emergentiche spazzano nevi nelle nubidurante i nostri inverni.

un grande mare verdeche racchiude impronte di corallialghe pietrificatepurissime risorse* accumulate

e gasteropodi e lamellibranchiinerti testimoniantichissimi e bianchiper sempre rinserratinel seno delle masse millenariesospinte verso il cieloda tremenda energiadi continenti andati alla deriva.

un grande mare verdeche in ere trapassatefu mite paradiso tropicalecon azzurre lagune

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e sfumate marine a settentrionesilenziose scoglieree bianche sabbiebagnate dalle lievi risacched’acque temperate,dove forse le anime leggeredei nostri avoli non natitrascorrevano ignarela loro beata inesistenza.

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CaRRI DI MINERalE

Fra le mura cadentiportano ancora anellile greppie dei cavallie i segni sul selciatopaiono conservaresonorità di ferridel quieto scalpitareche gli stanchi ronzinifacevan risonarein antiche seratedopo aver trainatocarri di minerale*

dalla Pedemontanafino ai vecchi molinilungo il fiume.

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NECRoPolI

Fra i denti delle bennecomparvero le tracce d’inumatiadorni di monili elementariche i ragazzi del professor Rosadavennero poi con cura a discoprire.Ed un pugnale corto,che il cancro del ferro aveva erosolasciandolo corrottopiù che le ossa intorno,fu rinvenuto in posizione ambiguarinfuso fra le costole sinistre,come se quell’antico mortofosse morto ammazzato.

Fra i minatori alloraprese forma fantasticala storia di quell’uomoche percorrendo a serala via pedemontanafra castello e castello*

morte bruta incontròper mano di brigantio di sicari in agguato,il corpo in occulta sepolturaabbandonato.

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GERaRChIa

Minava il minatoreroccia indocileche il ruspista ruspavarippava, smarinava.

Spalava il palistae caricava i carri.

autocarri correvanorisollevando nubisulle strade sterrate.

Vegliava il sorvegliantee il direttore dei lavoridirettive impartivapur non avendo vogliadi mettersi sul soglioe l’indice protervotendere, con cipiglio.

Però il General Managerdi potestà ammantatodi maneggiare immaginazelanti dirigentie si sente attorniatoda crocchi di schiavetti

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tutti comprati a ratesu piazza di paeseper poche lire in piùd’un milioncino al mese.

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aIutooo!

Qualcuno mi aiuti ad assopirela grande nostalgia di un po’ di paceche si dilata dentro e nella gola preme.Sopire le pressanti immagini,remote affioranti felicità perdute,esplosioni colorate nella mentedi tarpati entusiasmi trapassati,le non dimenticate fantasie rimosseche vaga sofferenza espandonodal sito stesso della rimozione.

Qualcuno mi aiuti a scenderedal convoglio lanciato in pazza corsache non ha stazioni mai, non hae che mi porta via – dove, non so –nel vortice intricato di questioniin mezzo a tanta brava gente oscuragente che non ha scrupolo di nienteche vorrebbe tirarmi per la giaccaper avere da mequalcosa che non hoo che non voglio dare...

Qualcuno mi aiuti a ritornare

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sui miei passi definitivamentee a rinnegare annidi vacillanti castelli edificatisu precarie fondamenta di niente.

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QuEl FIoRE GIallo

Cos’è questo silenzioalle sette e cinquanta del mattinoquando il sole già vivoriflette come su nevee abbaglianei bianchi piazzali?

Cos’è quest’aria tersapolveri decantate e ossigenoappena riprodotto su in forestaqui trasportatoda brezze del Cansiglio?

E che intenzioni haquel fiore gialloche inosservato osò sbucaree crescerealla faccia di noi tuttisolonell’arida pietraia?

Dai dai, ragazzi, sumettiamo in moto!I cavalli-vapore abbeverate,

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recateli alla frontee date di speroniper farli sfracellare!

E il fiore gialloche c’irride fra i sassinon s’illudadi restarsene bello costìfino a stasera.

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DoNNE aSSataNatE

lamentano esplosionimicrosismivibrazionirombare di motoripolveroni

mura crepatetetti conquassati

uova criccatevino andato a male

vitellini abortitida vacche frastornateche han incubi diurnie non danno più latte!

le donne assatanatescendono sulla stradae minacciosamentevanno gridando contro.

Vogliono voglionodi un passo non arretranonon si fanno incantare

e il nostro argomentarea nulla servecontro il disagio

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contro il detrimentoreclamati da ognunacon tanto accanimento.

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PICColE FRoNtI

Sopra piccole frontie brevi cigli, un tempoeran belli i pianori,terrazzi digradantirivolti alla campagnacon gelsi allineatisostegno di filarie siepi brade a latofruscianti di ramarri.

Belli i declivi dolcidove talpe nascostemisteriose colleghec’insegnavano l’arted’escavare, erompendoterra grassa dei pratiin piccole discarichetutte d’intorno sparse.

Erano belle ancorale intricate forre,vallecole ombreggiatedove la farnia e il carpinoslanciavano le cime

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in cerca dell’azzurro,di rusco ornati i piedie i tronchi di tamaro.

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SEQuENzE DIStRuttE

Celenterati, echinoderminecrocarcini, madrepore, rudistecolonie di corallitramutati in calcite cristallina

e gasteropodi e lamellibranchiinerti testimoniantichissimi e bianchiora e per sempre liberatidal seno delle masse millenarie

per sempre liberati e frantumatida abnormi creature cigolanti chealitando ruggente ossido di carboniocon indefesso zelo frammischiarono,ogni sequenza antica distruggendo.

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aSSoRDatE SIlENzIo

Nell’ora in cui si lascia andare il soledi là d’un orizzonte coloratosolo, salgo sul ciglio più elevato e rimango seduto ad ascoltarel’assordante silenzio che rimanedegli spenti motoridelle volate* esplosedei massi senza il loro rotolare.I minatori se ne sono andati,chi in un campo, la vigna a solforare,chi sulla piazza viva del paesea sorseggiare l’ultimo bicchiere chi altro ancoradi tornare in famiglia non vedeva l’ora.

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SERE D’EStatE

Qualche volta d’estate, verso sera,s’adunavan gli amici delle cavesul versante alla casera di Bepiper accendere un fuocoe mettere qualcosa sulle bracia frigolare adagio, senza fretta.Intanto si brindava con buon vinosorseggiandolo pianonel profumo di grasso e rosmarino.

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CaRBoNato DI CalCIo

Di tanto in tanto, almeno, io vorreiche dentro il mio cervellolo spazio ora ricolmodi bianchissima polvere impalpabile,ricolmo dei gravosi processiche la pura roccia mutano in denaro,ogni tanto vorrei che si svuotasseper lasciar posto ad altro nella mentee far che la mia corrugata frontedi luce per un po’ s’illuminasse.

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MalEDEtta la FREtta

Maledetta la frettadal perfido potere!Centoquaranta all’oranon si può rallentarem’insegue il tempoc’è gente che mi aspetta.

la protesi a motoreche porto sotto i gluteiha un congegno esigenteche chiede carburanteall’acceleratore,perché non può restareindifferentementein coda alle roulotteche godono le feriee vanno verso il mare.

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a PRoSECCo

Nessuno mi rincorre ora che alleggeritoda pressanti incombenzemi avvio per ritornare.Ed a Barcola allora lascio la via maestraper un’erta stradinaché su, verso Proseccotra le fronde e l’azzurro mi ristora una sosta.a sguardo rilassatorose chiare coloranoteneramente ancoral’autunno dei giardiniabbarbicati in costadove muri di pietrae parapetti rusticiracchiudono alberelliche non hanno più fruttama vivido colorecontro il mare.

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VolaRE

ho attraversato il cielosu dove sempre è azzurroe l’orizzonte curvo, verso oriente ha un bagliore costantee sfumature chiare all’infinito.

Guardando in basso ho vistosopra sconfinate pianure,cumuli bianchi galleggiareaffollati d’angeli sessuatiche neghittosi e ignudigiacevano guardandosi l’un l’altromotteggiando e parlandosicon ovattate angeliche paroleo canticchiando in coro sottovocele canzoni dal popolo imparate,poiché alle loro nuvole salironoper tutto il tempo in cui si consumaronole secolari rustiche faticheche aggregaron mosaici sterminatisull’aspra superficie della steppa.

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la PIazza RoSSa

la Piazza Rossa a Moscalentamente percorsi a seragirando gli occhi intornoin mezzo a gente stranadall’aria indifferenteche parole parlavaincomprensibilmente.Ma la ragazza biondapoco più in là discostaparlava malamente la mia linguaed ai turisti ch’ella accompagnava,spostando con movenza i suoi capelli,mostrò, oltre le mura del Cremlinouna chiara finestra illuminatadove, diceva, nonostante l’orail Presidente lavorava ancora.

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lEBEDINSkIj

ho attraversato il mondosferragliandoper una notte e un giornofra paesaggi agrestispazi immensiimprovvise cittàverdi deserti,per raggiungere il luogodove gente m’attende.

la miniera è una grande vallatanon erosa in milioni di anniper effetto di fiumi e ghiacciai,ma da uomini duri escavata.

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YuDa

Iersera Yudaservendoci la cenapiù volte attraversò la salaportando bottiglie di vodka.

Yuda è bellaYuda è grandeYuda potrebbe anche giocarenel ruolo di attaccante a pallavolo.Yuda potrebbe anche giocare ogni giocoso giocoin ogni circostanzaanche nella sua stanza...Mentre noi non possiamocon lei scambiare un dialogose non di un’unica parola:Yuda.

oggi Yudaa noi non serve piùla potentissima vodka,ché, diligentemente,abbiamo comandatomiserrimi bicchiericolmi d’acqua frizzante.

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BElGoRoD

a Belgorod, sul vialeche va alla Piazza leninquella ragazza dall’aspetto fieroandava per la viasplendidamente e poisentendosi guardatail passo rallentòe incontrando i miei occhivagamente sorrise trasognata.

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lE BaMBINE

lungo vialetti secondaristavano in crocchio le bambinee nessuna portava le braghette,ma vestitino corto con corpettocome le sorelline mie vestivanocon pudicizia quarant’anni addietro.

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ERMINIo

Erminio sì che avevagambe da capriolonel saltare sui massiad innescar patarri*,nel rampar sulle piste più sassosecon incedere inquietocome fosse inseguito.

Erminio era l’occhio di tutti,prevenire il pericolo era per lui mestiere...Ma un giorno volò giù, lo vidi benementre accorrevo ed impotentementeverso l’alto le braccia protendevo.Discendeva nel vuoto volteggiandobalzava e rimbalzavasfiorando le scarpate.

Riverso giaceva sopra i sassi quando lo raccogliemmo, muto.Pensammo fosse morto e invecemosse soltanto gli occhicome un grido d’aiuto.

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SottotERRa

Sottoterra non si va solo da morticon la vaga illusione di tornarealla fine dei tempi ad affollarequesto pianeta coi corpi risorti.C’è chi ha passato parte della vitacome talpa a scavare e cavare sempre più bianco il voltospalle ricurve e mano incallita

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NoN è FINIto Il GIoRNo

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NoN è FINIto Il GIoRNo

Non è finito il giornocon la corsa del sole,ché al di là della terra l’astronon s’è fermato maie ancora va scendendosu altri monti.

Beato te, mio soleche non hai notte maie la tua vita vivitutta intera.

a noisotto un buio soffittomorir così soventequi ci toccaogni sera...

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toRMENto

Si decolora il giorno che finiscein una fine miseracome ogni altra finein una fine lentacome la morte lenta.

Non odo più da quiil canto delle voci umaneche danno la certezza d’esser vivoe non ritrovo nulla di divinonell’ansioso silenzio che rimane.Ché l’occulto misterovagheggiavo un tempoe mi dava confortotormentata illusione.

ora, disincantato,all’umano intellettoaffido la speranzae nulla mi potrà più abbagliare.

Rifuggo il mio tormentoe reclinando il capo

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cantouna canzone sonnolentae m’addormento.

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StEllE

Qualcosa tacciono le stelleche, rosse di pudore,coprono gli occhi con mani di nebbia.Si dicono qualcosa poitirate le tendine in cielotra di loro sommesse.

Dai falsipiani risalgono odori,misti a sussurri s’odono rumoridi foglie secche e pigneche cadono con tonfo lieve.

Pare che l’ansito dei cuorisi adagi silenziososu ogni boccio di fiore racchiuso,come su seno di fanciullaun tiepido sudore.

S’ode un lamento stranoselvatico germogliotra i muschi dell’amore.

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CoRREVaNo RaGazzI

Correvano ragazzi per il pratosu zolle ancora secchee sparso secco sterco delle stalle.Storditi s’appartavanotra frasche di nocciolospoglie ancorama di barbule ornatetremule e impollinate.

E lungo i falsipianile nari dilatate dagli odorisi toccavan le manile bocche si bagnavanolasciandosi adagiare sopraffattid’accelerato battito di cuori.

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SCaCCo Matto

avrei voluto darti scacco mattofarti capitolare sopra i fioriin un prato segreto lungo il fiumee invece me ne stavo affascinatoa manovrare le figure nereverso la schiera tua, ben appostatanel rigettare ogni mio tentativod’entrare nella rocca inespugnata.

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DolCEaMaRo

Sono sceso all’inferno per tee ho subito l’amaro tormentosemza un solo lamento,per poterti rapiree riavere il tuo dolce sorrisonel giacere con mein paradiso.

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uNa VIta NuoVa

Mi son fatto adottareda un paesino sperso ecome se fosse il miodi quando in quandoamo andarlo a trovare,

per le strade vagarenei caffè soffermarmiin mezzo a gentedapprima indifferentee quindi incuriositabisbigliante,

sorridente alla fineper approccio.

E quando bevo insiememi par d’esser rinatoin una vita nuovapriva di passato.

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GRIllI

ho bevuto la grappaper darmi più coraggioe sentirmi feliceed era come se grillisi fossero posati sui miei stami.

Erano grillidal bel canto vivoe non ne ho udito altricosìin nessun prato.

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INCuBo a MotoRE

Questa volta scendevo giù a Fontanadall’erta mulattiera conquassanteproteso a dominareil ricorrente incubo a motoreche a casaccio mi andava trasportandoda quando ormainon rispondeva più alla mia sterzatané s’arrestavaper quanto s’affondasse il piedenel tentar la frenata.

allora il mio grugnire per lo sforzosi tramutava in urlo disperatomentre impotentemente andavoverso l’inesorabile catastrofe finale.

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CaMPo SaN Polo

Il bel sole di marzo e un venticellosi contendono il camposu Campo San Polosenza che l’uno osisull’altro prevalere.allora si sta bene e solososto su una panchina e resto ad ascoltareschiamazzi di bambini,guardofingendo d’ignorare di giovinetti un bacio innamoratoe in questa dolce pacem’addormento beato.

al mio risveglio sentomite profumo di una ragazzettache sedutasi accantoha il capo ripiegato e ancora sta sognando.aspetto il suo risveglio,lo sguardo suo stupitoincontro quando m’alzo

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e al volo le sussurro:dormire insieme a tecom’era bello!

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QualChE SERa VoRREI

Qualche sera vorreipotermi riposare ancorasopra il molle tappeto d’aghi secchiche sul lontano mio Col delle Mazzeera disteso dalle braccia tesedi alti abeti scuri.

Contemplare vorrei da su quel poggiole rade stelle in cielo all’imbruniree luci palpitanti a fondo vallerimanendo in attesa che i mostri rotolantidai grandi occhi di vetros’acquietassero un pocofinalmentee nel mite silenzioanche i sussurrisi potessero udiredelle coppie in amorenei prati galeotti della valle.

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ClICChEtE-CloC

Clic e cloc e clicchete-cloc.Dune erbose assolatesul vasto falsopianonel sogno percorriamo.Nudo è il cavalloche solo la sua pelle indossapelle calda e lucentemorbida ed irroratadi sudore odorante.

Clic e cloc e clicchete-cloc.Col muso altoad annusare il ventose ne va lento all’ambio fra gli alberelli bassi dalle fronde cadenti.

Clic e cloc e clicchete-cloc.Nuvolette che assumonostrane forme ammiccantisembrano dondolarementre oscillanti vannosopra il cavallo nudoi nostri nudi glutei

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le gambe penzolantii cuori palpitanti.

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StRaDa SaSSoSa

è una strada sassosaerta e polverosa,salire in automobileè un’impresa impossibile.Non ce la fa a rampare,qui non ci serve a nientequest’ordigno impotente!

Strada sassosafra le siepi racchiusalungo prati in declivio emontagnola boscosa.

Risaliremo a piedi,sudore nei capelli,terreni abbandonatia niente coltivati,con erba da falciareo da brucareo da bruciare.

Fra radi alberi ombrosinel verde una casettacon palizzate apparee la stalla e il fienile,letamaio brunitoe un balcone fiorito.

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Qui vorremmo sostare!Qui vorremmo restarecome un tempo lontanopovero ma fecondo.E andasse alla maloratutto il resto del mondo.

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Note ai testi

Pag. 29 “subisso”: rovina, sfaceloPag. 37 “muraglia di pietra”: parete nord del monte Civetta.

“Ignazio”: Ignazio Piussi, amico e grande rocciatore.

Pag. 43 “purissime risorse”: giacimento di carbonato di calcio, geologicamente formatosi per sedimentazione marina.

Pag. 45 “carri di minerale”: trainati per la macinazione fino ai molini a palmenti che, nei primi anni del 1900, erano ancora azionati dalle acque della livenza.

Pag. 46 “fra castello e castello”: antica strada pedemontanafra i castelli di Cordignano e di Caneva.

Pag. 58 “volate”: insieme di mine.Pag. 69 “patarri”: piccole mine singole.

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Nota su Dario De Nardin

Dario De Nardin è nato ad agordo nel 1939 e risiede aSacile. ha esercitato la professione di perito minerariosenza, tuttavia, trascurare mai la sua propensione per laletteratura e in particolare per la poesia. Suoi testi hannoottenuto importanti riconoscimenti (segnalazioni epubblicazioni in antologie) a premi letterari tra i quali ilsecondo posto nel 2001 e il primo nel 2003 al PremioNazionale di Poesia “Barba zep” di teglio Veneto.oltre all’uso della lingua italiana scrive nel dialetto ladino-veneto della Conca agordina. Nel contesto di questaattività, oltre a numerose segnalazioni e partecipazioni inantologie, ha ottenuto il terzo posto nel 1998 e il primo nel2002 al Premio Biennale di Poesia in dialetto veneto“Murazzo” di Pellestrina.In ambito locale si occupa di ricerca storica, pubblicando isuoi contributi su periodici sia ad agordo sia a Sacile.Con il patrocinio del Comune di agordo ha pubblicato “lafiera del Bestiam”, raccolta commentata di vecchiefotografie rievocanti la tradizione agricola agordina,accompagnate da liriche di poeti dialettali del luogo.Con la Samuele Editore ha pubblicato la prima versione diMinatori (Samuele Editore 2009, collana Scilla, prefazione diGian Mario Villalta) e il volume di racconti Amori e baldorie

(Samuele Editore 2012).

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INDICE

Introduzione alla prima edizione di Gian Mario Villalta 7Introduzione alla seconda edizione di Alessandro Canzian 10VajoNt

Sulla diga 17lago senz’acqua 18Scendeva il vento 19Improvvisa procella 20Rabbia 21Sofferenza 22Ritornare a PinedaMattine... 24Deserto fu il villaggio... 25terra inselvatichita... 26altre donne... 27Mite autunno... 28Sulla frana 29Meditazione col magone 30la CoNDaNNa DI aDaMo

Gli artefici dei monti 33a piedi 35un sogno 37la condanna di adamo 38Nei suoi argini il fiume 39Nuvole 40MINatoRI

Cansiglio 43Carri di minerale 45

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Necropoli 46Gerarchia 47aiutooo! 49Quel fiore giallo 51Donne assatanate 53Piccole fronti 55Sequenze distrutte 57assordante silenzio 58Sere d’estate 59Carbonato di calcio 60Maledetta la fretta 61a Prosecco 62Volare 63la Piazza Rossa 64lebedinskij 65Yuda 66Belgorod 67le Bambine 68Erminio 69Sottoterra 70NoN è FINIto Il GIoRNo

Non è finito il giorno 73tormento 74Stelle 76Correvano ragazzi 77Scacco matto 78Dolceamaro 79una vita nuova 80Grilli 81

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Incubo a motore 82Campo San Polo 83Qualche sera vorrei 85Clicchete-cloc 86Strada sassosa 88Note ai testi 90Nota su Dario De Nardin 91

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SaMuElE EDItoREnovembre 2015

I SaggI

1. Poetica del plurililinguismo, antonio D’alfonso

CollaNa ScIlla

1. Minatori, Dario De Nardin (prefazione di Gianmario Villalta)2. Canti metropolitani, Rossella luongo (prefazione di Paolo Ruffilli)3. Testamento d’amore, Daniele Chiarello (prefazione dell’Editore)4. Accordi nel silenzio, Wilma Venerus Ninotti (prefazione di Vania Russo)5. Il giardino persiano, arnold de Vos (nota autografa di Manlio Sgalambro)6. La pioggia incisa, Federico Rossignoli (prefazione di Gianni Nuti)

FINalISta al PREMIo CaMaIoRE-PRoPoSta 20107. Canzoniere inutile, alessandro Canzian (prefazione di Elio Pecora)8. La gravità della soglia, Roberto Cescon (prefazione di Maurizio Cucchi)9. Paesaggi di tempo, Maria luigia longo (poesia autografa di umberto

Piersanti e nota dell’Editore)10. Stagliamento, arnold de Vos (saggio introduttivo di luca Baldoni)

FINalISta al PREMIo alFoNSo Gatto 2010, PREMIo IRENE

uGolINI zolI 201011. L’amore del giglio, Natasha Bondarenko, alejandra Craules Bretòn,

Nabil Mada, Patrick Williamson, Domenico Cipriano (prefazione di Maria luisa Spaziani)

12. La voce dei padri, alberto trentin (prefazione di Franca Bacchiega)13. L’ombra turchese, Gabriella Battistin (prefazione dell’Editore)14. Fulmini e cotone, alvaro Vallar (prefazione di Giacomo Vit)15. L’obliquo, arnold de Vos (con un racconto dell’autore)16. Il canto della terra, Maria Grazia Calandrone, Carla De Bellis, Gabriela

Fantato, Sonia Gentili, Maria Inversi, Gabriella Musetti, Rossella Renzi, Isabella Vincentini (prefazione di Willi Pfeistlinger)

17. Il destino dei mesi, Nicola Riva (prefazione di Davide Rondoni)18. Le felicità, Guido Cupani (prefazione di Giulia Rusconi)19. Verdi anni, Sandro Pecchiari (prefazione di Roberto Benedetti)20. A lonely pop heart, andrea Roselletti (prefazione di Giuseppe Moscati)

PREMIo SIRIo GuERRIERI 2013 - III PREMIo SaN DoMENIChINo 2013

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21. Terra altrui, Natalia Bondarenko (prefazione di katia longinotti)22. Il negozio delle lacrime usate, Sergio Serraiotto (prefazione di Caterina Rea Furlan)23. Istanti, loredana Marano (prefazione dell’Editore)24. Semplice complesso, Rosanna Cracco (prefazione di Claudio Morotti)25. Di tanto in vita, Enza armiento (prefazione di Salvatore Spoto)26. Il libro della memoria e dell’oblio, Marina Giovannelli

(prefazione di antonella Sbuelz) PREMIo IRENE uGolINI zolI 201527. Malascesa, Erminio alberti (prefazione di Maria Grazia Calandrone)

PREMIo CaMaIoRE PRoPoSta 2013, PREMIo GozzaNo GIoVaNI 201428. Tutto il bene che ci resta, aaVV - con sei poesie di Franco Buffoni

(prefazioni di Roberto Vecchioni e Francesco tomada)29. Nel santuario, Patrick Williamson (prefazione di anne talvaz)

FINalISta al PREMIo CaMaIoRE SPECIalE 2013, MENzIoNE SPECIalE

al PREMIo GozzaNo 201430. Il tempo rubato, Maria Milena Priviero (prefazione di angela Felice)31. Teoria del pirata, Riccardo Raimondo (prefazione di Giorgio Bàrberi

Squarotti)32. Disillusioni felici, Sara albarello (prefazione di Giuseppe Vetromile)33. Al ritmo di putipù, Renato Gorgoni (prefazione di Emilio Isgrò)34. Le svelte radici, Sandro Pecchiari (prefazione di Mary Barbara tolusso)35. Primo fiore, luca Francescato (prefazione dell’Editore)36. Riflessi condizionati, Nicola Simoncini (prefazione di Federico Rossignoli)37. Venti, Nguyen Chi trung (prefazione di zingonia zingone,

postfazione di anna lombardo)38. I soli(ti) accordi, Carla Vettorello (prefazione di Maria Milena Priviero)39. Cossa vustu che te diga, Giacomo Sandron (prefazione di Fabio Franzin)

FINalISta al PREMIo FoGazzaRo 2015 40. Gifted/Beneficato, Patrick Williamson (prefazione di Guido Cupani)41. Provvisorie conclusioni, Emilio Di Stefano (prefazione di ludovica Cantarutti)42. Alfabeto dell’invisibile, Chiara De luca (prefazione di Claudio Damiani)43. Voci, Claribel alegría (prefazione di zingonia zingone)44. L’imperfezione del diluvio / An Unrehearsed Flood, Sandro Pecchiari (prefazione

di andrea Sirotti)45. La manutenzione dei sentimenti, Gabriella Musetti (prefazione di Rossella

tempesta)

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46. Le felicità - versione riveduta e aggiornata, Guido Cupani (prefazione di Francesco tomada)

47. Spolia - vol. I, Federico Rossignoli (prefazione di Sandro Pecchiari)48. Minatori - versione riveduta e aggiornata, Dario De Nardin (prefazione alla Prima

Edizione di Gian Mario Villalta, prefazione alla Seconda Edizione di alessandro Canzian)

CollaNa ScIlla I MaeStrI

1. L’azzurro della speranza, Giorgio Bàrberi Squarotti VINCItoRE DEl PREMIo SatuRo D’aRGENto 2012

FuorI collana

1. Rose in versi, Maurizio Cucchi, Vivian lamarque, Paola loreto, Elio Pecora, umberto Piersanti, Silvio Ramat, Paolo Ruffilli, Maria luisa Spaziani(disegno introduttivo di Catalina lungu)

2. Cronaca d’una solitudine/Una sola voglia, alessandro Canzian, Federico Rossignoli, in copertina una sanguigna su carta, 1920-1926, di Carlo Sbisà

3. Premio Nazionale di Poesia Mario Momi 2011, testi finalisti 4. Luceafarul, alessandro Canzian (prefazione di Sonia Gentili)5. Degli amorosi respiri, ludovica Cantarutti6. I territori dell’uomo, Cesco Magnolato, Dino Facchinetti, Sergio De Giusti

Catalogo della Mostra 2-30 marzo 2013, Maniago (Pn) con scritti di ludovica Cantarutti, Marina Giovannelli, alessandro Canzian

7. Equazione d’amore, Rosanna Cracco (prefazione di Giacomo Scotti)FINalISta al PREMIo lEaNDRo PolVERINI 2013

8. Internationa Poetry Paublishing House 2014, aaVV (libriccino di presentazione della casa al New York City Poetry Festival 2014)

9. Nella gioia del corpo abitato, Carla Vettorello, Federico Rossignoli, alejandra Craules Bretòn

10. CartaCarbone Festival, Nicoletta Bidoia, Francesco Crosato, Fabio Franzin, Giovanna Frene, Isabella Panfido, Paolo Ruffilli, Francesco targhetta, lello Voce, Federico Martino, Simone Maria Bonin, Nicolas alejandro Cunial, Elia Russo, Giulia zandonadi (prefazione di lello Voce e alessandro Canzian)

11. Come mio padre, Daniele Chiarello

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