cicli economici e globalizzazione
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Cicli economici e globalizzazione
Amedeo Lepore - Università di Bari Dipartimento di Studi Europei,
Giuspubblicistici e Storico-economici
Concetto di Globalizzazione
Neologismo di origine anglossassone con il quale si definisce un insieme di fenomeni di elevata intensità e rapidità su scala mondiale, in campo economico, sociale, culturale, e ideologico tendenti a:
Superare le barriere materiali e immateriali alla circolazione di persone, cose, informazioni, conoscenze e idee. Uniformare le condizioni economiche, gli stili di vita e una visione del mondo universalmente condivisa.
La fine della storia ü …Francis Fukuyama, nel suo libro La fine
della storia e l’ultimo uomo, difende la tesi che la storia è inevitabilmente destinata a finire, non nel senso che terminano gli eventi, ma nel senso che, oltre questo modello, non si andrà, e il modello è esattamente quello della liberaldemocrazia, che si è affermato grazie al progresso scientifico occidentale e al desiderio tipicamente umano di gareggiare gli uni con gli altri per essere riconosciuti.
ü Per Fukuyama la globalizzazione viene ad essere l’esito unico e migliore della storia stessa. Ma è veramente così?
George Soros – Finanziere internazionale
Il sistema capitalistico globale ha creato un terreno di gioco molto irregolare.
Il divario tra ricchi e poveri è sempre maggiore. Dobbiamo trovare una soluzione diversa perché un
sistema che non offre speranza e opportunità ai perdenti è passibile di distruzione da parte dei disperati.
Modello di globalizzazione
Paese B Es. Guatemala
Risorse Naturali
Paese A Es. United States
Mercato, Capitale, Tecnologia
Paese C Es. Vietnam
Lavoro a buon mercato
GLOBALIZZAZIONE
Più
Sviluppo
Meno Sviluppo
Es. Nike, Wal-Mart, Toyota
La parola “globalizzazione” - (1) Il termine globalizzazione è comparso per la prima volta nel Webster’s New International Dictionary nel 1961. La sua origine viene fatta risalire ad un articolo dell’ Economist dell’aprile 1959 sui contingentamenti delle importazioni nel settore automobilistico (Globalized quota). Il termine è divenuto di uso comune nei paesi di lingua anglosassone negli anni sessanta del secolo scorso. Ancora nel 1989 l’Oxford English Dictionary la definiva come «la possibilità attraverso la quale gli eventi possono essere vissuti simultaneamente da ciascuno», citando espressamente l’immagine del «villaggio globale» coniata negli anni sessanta del Novecento dal sociologo dei mass-media Marshall McLuhan. Secondo tale etimologia, l’idea della globalità nasce insieme agli sviluppi dei moderni mezzi di comunicazione di massa: con il lancio del satellite Telstar nel 1962 la tecnologia televisiva acquisisce la facoltà di collegare l’intero pianeta. Il limite fisico della distanza viene superato dalla mondovisione (che tecnicamente si realizza in modo completo nel 1967), capace di stringere in unità di tempo e di spazio tutti gli abitanti del pianeta, ripristinando la possibilità di quei contatti visivi «faccia a faccia», che il passaggio dalla comunità premoderna alla società moderna, anonima e spersonalizzante, aveva cancellato.
La parola “globalizzazione” - (2) In questa sua prima formulazione il concetto di globale appartiene interamente alla sfera delle scienze sociali, che si occupa dei media ed appare, a propria volta, come il riflesso della crescente centralità assunta da questa branca di realtà e di pensiero. Sempre ai primi anni sessanta, infatti, risale il neologismo di «società dell’informazione», attraverso il quale si sintetizza il processo che tra il 1940 e il 1960 vede gli addetti a questo settore negli Stati Uniti registrare il maggior incremento di tutta la propria storia precedente e successiva fino a coprire una salda maggioranza relativa (oltre il 40%) della forza lavoro totale. Emergono così due aspetti per molti versi centrali e ricorrenti nelle problematiche connesse alla globalizzazione: il ruolo-guida esercitato dagli Stati Uniti nel processo di modernizzazione, che dal centro si allarga ad una periferia in espansione anche oltre i tradizionali confini del mondo occidentale e, insieme, la dinamica di accentuata terziarizzazione (di cui, il mondo delle comunicazioni rappresenta solo una faccia), che interessa le società «post-industriali» e «post-fordiste» più sviluppate.
La parola “globalizzazione” - (3)
A un’estensione di questo approccio culturale alla globalizzazione si deve peraltro uno dei primi studi centrati sullo sviluppo organico di tale categoria: Globalization. Social Theory and Global Culture del sociologo statunitense Roland Robertson (1992). «La globalizzazione come concetto - sostiene Robertson - si riferisce sia alla compressione del mondo che all’intensificata coscienza dell’unitarietà del mondo».
La parola “globalizzazione” - (4) Tale definizione, centrata sulla dimensione spaziale e sulla sua percezione, è esemplificativa di tutta quella letteratura associata alla «morte della distanza» (Cairncross,1997), alla «one-worldness» (Greider, 1997), all’”intensificarsi delle relazioni sociali che uniscono nel mondo luoghi distanti tra loro, in modo tale che ciò che accade a livello locale sia influenzato da ciò che accade a migliaia di chilometri di distanza” (Giddens, 2000). Ciò che tale definizione enfatizza è come ora il mondo sia più piccolo e come ciò che prima era lontano ora lo sia meno. Sebbene possa riferirsi ai piani più diversi delle relazioni sociali, da quelli politici e militari (Keohane e Nye, 2000) a quelli culturali, è sul piano strettamente economico che questa definizione trova la sua essenza. La globalizzazione è fondamentalmente un fenomeno economico: è la tendenza dell’economia ad assumere una dimensione mondiale, anche se poi il fenomeno economico della crescente integrazione dei mercati dei beni, dei servizi e dei fattori produttivi può dar luogo a implicazioni politiche, culturali e ambientali.
La parola “globalizzazione” - (5)
Analizzata da questo punto di vista, la globalizzazione diventa un fenomeno di lungo periodo, addirittura retrodatabile all’epoca delle scoperte geografiche nel «lungo XVI secolo» e quindi al momento storico in cui la civiltà occidentale, attraverso le «vele e i cannoni» di cui ha parlato Carlo M. Cipolla, conquista un punto di vista globale e assume la guida esclusiva di un processo non reciproco di conoscenza e conquista delle civiltà “altre”. Come ha notato Malcom Waters nel 1995, si tratta di un fenomeno almeno contemporaneo alla modernizzazione del mondo, con alcuni aspetti di esso avviatisi fin dal Cinquecento.
La parola “globalizzazione” - (6)
Specchio esemplare e contraltare negativo di tale peculiarità occidentale può essere considerata la fugace parabola della marineria cinese, protagonista nella prima metà del XV secolo - in netto anticipo su Cristoforo Colombo - di diverse spedizioni nell’Oceano Indiano fino a raggiungere le coste dell’Africa. Manifestazione di una potenza manifatturiera senza rivali, con flotte che contavano circa 300 navi (alcune delle quali a nove alberi e lunghe più di cento metri), le spedizioni cinesi erano tuttavia prive di finalità commerciali e, a differenza di quelle occidentali successive, non riuscirono ad innescare cicli economici virtuosi. Per di più, il potere dei mandarini le vide con crescente diffidenza e arrivò a punirle con la pena di morte agli inizi del secolo successivo, vanificando definitivamente quel “vantaggio competitivo” allora acquisito dalla civiltà cinese.
La parola “globalizzazione” - (7) Si tratta certamente di un dettaglio minore, che si inserisce in un quadro ben più ampio (la Riforma, il Rinascimento, la cacciata degli arabi dal suolo europeo…) e che, tuttavia, ci ricorda come nelle svolte epocali pesino anche il coraggio e la paura, le vittorie e le sconfitte degli uomini. Resta comunque il fatto - è Amartya Sen a ricordarlo (Globalizzazione e libertà, 2002) - che «nella parte finale del millennio appena trascorso il flusso è stata in larga misura dall’Occidente verso l’Oriente, ma al suo inizio (attorno all’anno Mille) l’Europa stava assimilando la scienza e la tecnologia cinesi e la matematica indiana e araba». D’altra parte, nell’analisi di Robertson, la specifica vocazione globalizzante del vecchio continente è destinata a contagiare prima il nord America e poi altre zone del resto del mondo. Soprattutto dopo il 1870, l’evoluzione coloniale, economica e finanziaria del mondo include un numero sempre maggiore di paesi all’interno di una «società internazionale» contrassegnata dalla modernità: una sorta di Gesellschaft internazionale che sussume e riposiziona le Gemeinschaft locali, le loro economie e le loro culture.
La parola “globalizzazione” - (8)
Globalizzazione come occidentalizzazione, dunque. Ma sono interessanti i diversi punti di intersezione tra questo tipo di approccio e la ricerca storiografica. In primo luogo, l’interazione tra capitalismo e cultura nel lungo e lunghissimo periodo, vista come chiave esplicativa dei differenziali di crescita economica a livello mondiale. Il «miracolo europeo» - per usare il titolo di una delle opere più rappresentative di questo filone di studi storici (E. L. Jones, Il miracolo europeo, 1981) - si spiega così con diversità culturali e antropologiche, relative al ruolo di stimolo e apertura esercitato dalle religioni, allo sviluppo di una forma mentale individualistica, a un rapporto uomo-ambiente contraddistinto da minori necessità di disciplina e coordinamento collettivo di grandi opere per lo sfruttamento della terra e la regimentazione delle acque (fondamento storico, al contrario, di grandi imperi introversi e autoreferenziali come quello cinese).
La parola “globalizzazione” - (9)
Si tratta tuttavia di una visione non priva di rischi. Un grande storico dell’economia come David Landes (La ricchezza e la povertà delle nazioni, 1998) ad esempio, ne offre una versione radicale e polemica contro ogni interpretazione dello sviluppo mondiale in termini di «scambio ineguale» e di dominio imperialistico o neoloniale: il sottosviluppo diventa il frutto di incapacità più o meno connaturate, dovute al clima o all’ambiente, insopprimibili e immodificabili. Il rischio grave - che sorprende in un autore così attento alle capacità trasformatrici dell’imprenditoria umana - è quindi quello di una sorta di determinismo culturale, pronto a cristallizzare e giustificare le gerarchie del mondo, riconducendole a differenze antropologiche immobili nel tempo.
La parola “globalizzazione” - (10) Ma, in secondo luogo, il rapporto tra capitalismo e cultura può essere svolto anche nel breve e medio periodo. Nel corso degli anni novanta del secolo scorso, sono fioriti studi sui diversi capitalismi nazionali e in particolare su quello giapponese, che ne hanno messo in luce i particolari fondamenti extraeconomici (come il forte senso di appartenenza alla comunità nazionale e aziendale) e le ricadute in termini di spinta alla produttività e all’innovazione, di controllo della qualità, di attenzione al cliente-consumatore. Si sono così enfatizzate le differenze strutturali tra uno stock market capitalism anglosassone individualista-liberista e un welfare capitalism europeo e giapponese più attento ai valori della coesione e della solidarietà sociale. La globalizzazione - è il senso di queste analisi - sembra moltiplicare, anziché uniformare, i modelli di Occidente. Le vie allo sviluppo sono plurali e molteplici, frutto di differenze culturali che, invece di rappresentare ostacoli fissi e insormontabili, entrano in dialettica con le dinamiche della modernità e con gli esempi forniti dagli altri popoli. Inventate dai giapponesi, «qualità totale» e «produzione snella» sono diventate nel corso degli anni ottanta parole d’ordine del lavoro industriale a tutte le latitudini.
La parola “globalizzazione” - (11) Vi è infine un terzo terreno d’intreccio, che tende invece a lasciare sullo sfondo i fattori culturali: quello legato alla categoria di «economia-mondo» elaborata da Immanuel Wallerstein. La globalizzazione, secondo questo approccio, corrisponde all’espansione del mercato capitalistico e avviene sempre in connessione con l’ascesa economica (e militare) di uno Stato-leader, che costituisce il centro del sistema, subordinando a sé le altre nazioni della periferia e della semiperiferia. Nel modello, anche troppo lineare, proposto da Giovanni Arrighi (Il lungo XX secolo, 1994), l’ultimo mezzo millennio di storia si configura così come la sequenza di cicli secolari, ognuno dei quali contraddistinto dalla presenza di una potenza egemone: Repubbliche marinare, Olanda, Gran Bretagna, Stati Uniti. Ogni ciclo passa per una fase iniziale di accentuata finanziarizzazione dell’economia globale, una fase intermedia di industrializzazione e una fase finale di rinnovata finanziarizzazione. Ogni ciclo si sovrappone all’altro, nel senso che la sua fase iniziale coincide con la fase finale di quello precedente: la progressiva finanziarizzazione del paese-leader precedente porta all’industrializzazione del nuovo paese-leader, segnando la decadenza del primo e l’ascesa del secondo.
La parola “globalizzazione” - (12)
A cavallo tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso, storici come Paul Kennedy (Ascesa e declino delle grandi potenze, 1987) ed economisti come Lester Thurow (Testa a testa, 1992) hanno teorizzato l’incipiente declino dell’impero americano, leggendo in questa chiave sia la finanziarizzazione dell’economia statunitense - a partire dall’espansione del mercato di «eurodollari» e «petrodollari» dei primi anni settanta -, sia il miracolo produttivo e tecnologico giapponese - almeno in parte finanziato da quegli stessi dollari -. Ma è assai improbabile che oggi, di fronte alla crisi prolungata del Giappone e alla “resurrezione” della leadership statunitense, qualcuno di questi studiosi possa aver mantenuto le convinzioni di allora. Attraverso la categoria di «economia-mondo», comunque, entra in ballo un ulteriore piano di ricerca: quello della storia politica e delle relazioni internazionali.
La parola “globalizzazione” - (13)
Nel senso comune diffuso, la parola globalizzazione si trova allora a comprendere (e confondere) altri passaggi storici affatto diversi: la fine della guerra fredda e la paventata reductio ad unum del mondo sotto il dominio dell’unica «iperpotenza» rimasta, insieme alla rivoluzione informatica, destinata ad accrescere verticalmente le possibilità di trasmissione delle informazioni, ma anche ad approfondire l’ineguaglianza - con il cosiddetto digital divide - e a ribadire su altri piani (Internet e la new economy) la supremazia americana. Ma nel corso degli anni novanta, sulla scorta delle teorizzazioni di Bill Gates o Nicholas Negroponte, il computer e la rete telematica vengono indicati come un nuovo possente strumento in grado di cancellare distanze geografiche e sociali, dando anche ai più svantaggiati del pianeta una chiave di accesso paritario al nuovo universo interconnesso della comunicazione.
La parola “globalizzazione” - (14) Convergenza e divergenza (o, se si preferisce, globalizzazione e frammentazione) diventano quindi i poli interpretativi di un dibattito che, di volta in volta, sottolinea nelle dinamiche attuali la tendenza a una «cocacolonization» del mondo, sotto le insegne degli stili di vita e di consumo del capitalismo statunitense, se non addirittura la «fine dello Stato-nazione», intaccato nella sua sovranità territoriale (e impositiva) dalla mobilità del capitale finanziario, dalle strategie multinazionali delle grandi compagnie private, dalla costituzione di nuovi organismi soprannazionali come l’Unione Europea o il Fondo monetario internazionale. Eppure dai 40 Stati del 1900 siamo passati ai 180 attuali: la sola Europa da 23 a 50, con 32 mila chilometri di frontiera in più rispetto ai 18 mila di inizio secolo. Il numero di conflitti armati, in calo fino al 1997, tende nuovamente a risalire. Allo stesso tempo, con la fine della guerra fredda, l’idea che la democrazia occidentale rappresenti il meno peggiore dei mondi possibili acquista una forza senza precedenti.
La parola “globalizzazione” - (15)
Nel dibattito delle scienze politiche, la globalizzazione si configura come una tendenza strutturale alla semplificazione delle relazioni internazionali (dal Congresso di Vienna al sistema della guerra fredda), che da sempre, tuttavia, si accompagna a una tendenza opposta indirizzata alla loro frammentazione. La fuoruscita dalla guerra fredda, nella fattispecie, moltiplica le aree integrate commerciali (come Nafta e Mercosur), ma anche le medie potenze regionali (come Irak o Pakistan), interessate a politiche egemoniche ed espans ive. Ident i tà loca l i (quas i sempre fondate sull’individuazione di un “nemico” vicino e minaccioso) si sostituiscono alle identità ideologiche ed universalistiche, proprie della contrapposizione tra democrazia e comunismo.
La parola “globalizzazione” - (16)
È su questi dati di fatto che si appoggia la ben nota tesi di un politologo come Huntington sullo «scontro di civiltà»: con un salto logico, mai ben esplicitato e discusso, un approccio “realista” alla storia delle relazioni internazionali viene trasposto dal sistema degli Stati e dei loro interessi nazionali a quello di indifferenziati blocchi culturali-religiosi, contraddistinti da identità assai più antiche di quelle della guerra fredda e quindi ancora più immobili, monolitiche, non negoziabili. Nazionalismi laici, fondamentalismi religiosi, populismi localistici diventano “beni-rifugio” identitari, il cui bisogno e la cui forza nascono dallo spaesamento di un mondo che non sa più chi lo governi.
La parola “globalizzazione” - (17)
Al tempo stesso la globalizzazione incarna un movimento di coscienza, proiettato nel senso diametralmente opposto. Appena due anni dopo la definizione “mediatica” del 1989, l’Oxford Dictionary of New Words del 1991 considera la parola globalizzazione come essenzialmente mutuata dal «gergo ambientalista» e definibile come «recettività e comprensione nei confronti di culture diverse dalla propria, spesso come parte di un atteggiamento di interesse per i problemi ecologici e socioeconomici mondiali». Al percorso etimologico originario, strettamente connesso alla dimensione comunicativa, si sostituisce un’accezione diversa che riflette l’emergere di una dimensione soggettiva e militante, legata alla portata sovranazionale della questione ecologica. Sulla parola globalizzazione, viene così a riverberarsi una sorta di “onda lunga” del sessantotto e della sua «contestazione globale», intesa e percepita come manifestazione dell’unità di condizione e destino dell’intero genere umano.
La parola “globalizzazione” - (18)
Accade però che, nel lungo riflusso seguito agli anni settanta del Novecento, l’aspetto dell’ingiustizia socioeconomica si perda per strada - almeno nei dizionari oxoniensi - a tutto vantaggio di un’enfasi più trasversale e neutra posta sulla rete mediatica o sull’emergenza ambientale. Già nel 1975, peraltro, il Larousse francese forniva una definizione soggettiva e volontaria della «mondialisation» come «azione di rendere mondiale, espansione intesa al mondo intero», mentre nel Trésor de la langue française edito da Gallimard nel 1985 trovano posto solo il sostantivo «mondialisme» e il verbo «mondialiser», indicati rispettivamente come «attitudine a considerare tutti i popoli come interdipendenti gli uni agli altri o costituenti una sola comunità umana» e come «dare un carattere, una dimensione mondiale a qualcosa». A differenza di quelle inglesi, entrambe le fonti di oltralpe concordano comunque nel considerare soggetti privilegiati di tale attitudine e di tale azione i poteri forti dell’economia, alle prese con un’attività di produzione e commercio rivolta a un pubblico sempre più ampio e internazionale.
La parola “globalizzazione” - (19)
Colpisce, nella mappa di saperi delineata, la marginalità di riferimenti alla sfera più propriamente economica. È invece proprio in quest’ultima accezione che il termine «globalization» compare nel 1992 per la prima volta sullo Human Development Report annuale delle Nazioni Unite, con uno specifico riferimento alla crescita del commercio mondiale tra Asia, Europa e Nord America. Buona parte di questi scambi, sottolinea il Report, avvengono intra-firm, cioè tra casa madre e filiali estere della stessa azienda (rilevazioni più vicine ai giorni nostri li stimano attorno a un terzo del totale mondiale di importazioni ed esportazioni). Già nel 1988, un altro rapporto delle Nazioni Unite definisce come «transnazionali» questo genere di imprese contraddistinte - rispetto alle «multinazionali» della generazione precedente - da un grado assai più elevato di integrazione e di distribuzione orizzontale del potere e delle conoscenze tra le diverse sedi nazionali.
La parola “globalizzazione” - (20)
Si delinea così un nuovo terreno di intreccio tra la parola globalizzazione e altri settori delle scienze sociali: in particolare la storia d’impresa e la geografia economica. Per la verità, fino a tutti gli anni settanta del secolo scorso, il dibattito delle scienze economiche sembra preferire largamente il termine di «internazionalizzazione», con il quale si indica lo svolgimento di attività all’estero, non più soltanto attraverso la tradizionale forma commerciale delle esportazioni, ma anche attraverso la nuova forma produttiva degli investimenti diretti. Si tratta di un mutamento strategico, che ha per protagoniste soprattutto le compagnie multinazionali giapponesi: sia quelle maggiori, che attraverso gli investimenti esteri puntano ad aggirare regimi protezionistici stranieri (e quelli statunitensi, in particolare), sia di quelle minori, che vanno alla ricerca di forza lavoro a basso costo nell’area asiatica orientale e meridionale.
La parola “globalizzazione” - (21) Il costante incremento della massa di denaro impiegata al di fuori dei confini nazionali (dai 37 miliardi di dollari del 1982 ai 1.150 del 2000) mette in moto una serie di processi paralleli che modificano in profondità il sistema economico mondiale. Il mercato finanziario mondiale, che nel 1974 equivaleva a un valore complessivo di 15 miliardi di dollari, sale nel 1983 a 60 miliardi e oggi sfiora i 1.300; la rete delle transazioni effettuate per via telematica (perfezionata a metà degli anni Ottanta) accentua la volatilità di questi capitali; mentre il nuovo mercato dei “derivati” borsistici (opzioni sui cambi e sui tassi di interesse, scommesse sull’andamento di titoli azionari, ecc.) ne indebolisce i legami con l’effettiva produzione di ricchezza. Per di più, queste dinamiche di internazionalizzazione e finanziarizzazione dell’economia mondiale si connettono strettamente a una crescente delocalizzazione dei posti di lavoro industriali dal nord al sud del mondo.
La parola “globalizzazione” - (22)
Tra il 1950 e il 1990, la quota detenuta dai paesi in via di sviluppo sullo stock mondiale di questi posti di lavoro cresce da 1/3 a quasi 2/3. Le 200 maggiori aziende del mondo occupano oggi soltanto lo 0,3% della forza lavoro mondiale, ma producono circa 1/3 delle merci in commercio. A sua volta, la delocalizzazione del comparto industriale si accompagna a un’accentuata terziarizzazione delle economie avanzate: nello stesso quarantennio, la quota di posti di lavoro nel settore dei servizi detenuta dai paesi sviluppati sul totale mondiale passa dal 33% al 58%. Il mondo pare insomma dividersi tra «paesi del braccio», contraddistinti dal basso costo e dalla tenue o nulla protezione sindacale della manodopera e «paesi della mente», che accentrano le funzioni strategiche, finanziarie e di ricerca.
La parola “globalizzazione” - (23)
È indagando su questo complesso di fenomeni che gli economisti accedono all’uso del termine «globalizzazione», inteso in un’accezione precisamente delimitata: l’insieme dei movimenti transfrontalieri di merci, capitali e persone. È una definizione che apre un importante terreno di collaborazione con la ricerca storica: in particolare, attraverso il raffronto comparativo con un’altra fase storica - quella a cavallo tra Otto e Novecento -, durante la quale quegli stessi movimenti transfrontalieri raggiunsero dimensioni di scala senza precedenti e paragonabili alle attuali.
La parola “globalizzazione” - (24)
Sono ormai diversi gli storici che leggono gli ultimi 150 anni come la sequenza “pendolare” di tre fasi diverse. A una prima epoca di globalizzazione, contraddistinta dal colonialismo, dal predominio monetario e finanziario della sterlina inglese, dalla «grande emigrazione», segue una fase di drastica «deglobalizzazione», segnata dalle due guerre mondiali, dalla «grande crisi», dalla contrazione del commercio mondiale. Dopo il 1945, «l’età dell’oro» del capitalismo occidentale - per usare l’immagine coniata da Hobsbawm - inaugura un nuovo periodo di globalizzazione, destinato a durare fino ai giorni nostri, nel corso del quale il commercio mondiale cresce costantemente a un ritmo superiore a quello della produzione.
La parola “globalizzazione” - (25)
Rapportata a questa dimensione storica, la globalizzazione attuale perde molto della propria presunta unicità e novità, ma soprattutto acquisisce uno sfondo comparativo, che consente di apprezzare e misurare meglio le effettive diversità della fase odierna. I migranti di oggi sono di più o di meno rispetto a un secolo fa? Come è cambiata la loro tipologia familiare, sociale, culturale? E come gli atteggiamenti e le legislazioni delle nazioni destinate ad accoglierli? Ciascuna di queste domande mette capo a risposte che comunque usufruiscono di una proficua circolarità delle conoscenze tra documentazione storica di un secolo fa e inchiesta sociologica contemporanea.
La parola “globalizzazione” - (26)
Uno dei possibili terreni di tale scambio reciproco riguarda proprio la storia d’impresa: multinazionali e investimenti esteri affondano, infatti, le proprie radici nella prima globalizzazione di inizio Novecento. È interessante notare come il dibattito degli storici economici su questo tema presenti molti punti di contatto con quello dei politologi, mettendo a confronto le tesi di chi sottolinea il carattere transnazionale degli interessi delle grandi corporation, oggi ormai coinvolte negli equilibri legislativi ed economici di molti paesi e chi, al contrario, sostiene che esse mantengano una salda identità nazionale, centrata sul luogo di residenza della casa-madre rispetto alla localizzazione delle filiali estere.
La parola “globalizzazione” - (27)
La ricerca della business history torna così ad intrecciarsi con quella del rapporto tra capitalismo e culture. Da una parte, infatti, la novità dell’impresa transnazionale globale viene colta nella sua capacità di conseguire vantaggi attraverso l’innovazione tecnologica e la sua universale applicazione in contesti differenti, fino alla realizzazione di prodotti globali per consumatori globali, del tutto indipendenti e indifferenti rispetto alle frontiere degli stati nazionali. Dall’altra, si sottolinea invece il ruolo attivo dei contesti locali e la conseguente necessità, per le imprese multinazionali, di una loro “immersione” nel bagaglio specifico di competenze e relazioni richiesto dalle diverse aree geografiche di penetrazione. La Coca Cola, merce globale per antonomasia, viene reclamizzata in 50 paesi, con 35 spot pubblicitari diversi, modellati secondo culture e gusti di pubblici locali e nazionali anche radicalmente differenti. È proprio in relazione a questa commistione che è invalso nell’uso comune il neologismo di glocal, coniato dallo stesso Robertson.
La parola “globalizzazione” - (28)
Tuttavia, uno dei più appariscenti segnali di cambiamento nel dibattito delle scienze sociali attorno a questi problemi sembra proprio il punto di vista “globale”: cioè, la loro connessione reciproca nel segno dell’interdipendenza e la riconquistata centralità della questione del sottosviluppo. All’inizio del Novecento, Asia, Africa e America Latina erano i destinatari di 2/3 di un movimento internazionale di capitali, che in proporzione non era troppo distante dall’attuale. Secondo stime grossolane nel 1913, il flusso degli investimenti esteri dei paesi maggiori superava il 3% del loro prodotto interno lordo, contro il 2% del 1990 e il 7,6% del 2000. Ma, alla fine del secolo, tale percentuale si è ridotta a 1/3 e la partecipazione al commercio mondiale di Africa e Sud America è oggi in calo vistoso. Viceversa, cresce quella del continente asiatico: non solo del Giappone, ma anche dei paesi di nuova industrializzazione (compresa la Cina, diventata ormai la seconda destinazione, dopo gli Usa, di investimenti esteri).
La parola “globalizzazione” - (29)
La categoria di «Terzo Mondo» - fino all’altro ieri riferimento consolidato del dibattito corrente - si scompone e si modifica sensibilmente. Per effetto delle protezioni statali accordate ai produttori europei e nordamericani e della minore produttività della loro agricoltura (nonostante un costo del lavoro enormemente più basso), i paesi in via di sviluppo diventano importatori netti di materie prime, mentre, quelli che riescono ad entrare nel mercato mondiale dei manufatti, si espongono alle crisi finanziarie determinate dal flusso incontrollato dei capitali mossi da investitori stranieri. Ciò non toglie che i macroindicatori continuino a indicare un costante incremento dell’ineguaglianza su scala mondiale, sia all’interno delle nazioni sia tra di esse: il rapporto tra il reddito annuo del quinto di popolazione terrestre più ricco e il quinto più povero passa da 30 a 1 nel 1960, a 86 a 1 nel 2000; lo stesso rapporto, negli Stati Uniti, passa dal 7,5 a 1 del 1980, all’8,9 a 1 del 2000.
La parola “globalizzazione” - (30)
La globalizzazione, quindi, in parte muta e in parte accentua le dimensioni del problema. Nella severa classificazione proposta dal sociologo tedesco Ulrich Beck (Che cos’è la globalizzazione, 1997) il termine «globalizzazione» indica «il processo in seguito al quale gli stati nazionali e la loro sovranità vengono condiz ionat i e conness i t rasversa lmente da attor i transnazionali», mentre globalità «significa: viviamo da tempo in una società mondiale e questo nel senso che la rappresentazione di spazi chiusi diviene fittizia» e ancora globalismo identifica «il punto di vista secondo cui il mercato mondiale rimuove o sostituisce l’azione politica, vale a dire l’ideologia del dominio del mercato mondiale, l’ideologia del neoliberismo».
La parola “globalizzazione” - (31)
Nella questione dell’ineguaglianza e del sottosviluppo tutti e tre questi piani di coscienza e di azione vengono simultaneamente e pesantemente coinvolti. A metà degli anni novanta del secolo scorso - al culmine di un ciclo cinquantennale, che ha visto gli scambi crescere a un ritmo doppio rispetto alla produzione - si costituisce infatti un nuovo “attore transnazionale”, l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), che ingloba i precedenti cicli di accordi commerciali tra le nazioni, sulla base di una filosofia di intervento molto rigida ed omogenea: una vera e propria ortodossia neoliberista e monetarista (frutto di quel ciclo lungo della cultura occidentale, che si situa alle radici della fortuna della parola «globalizzazione»), fedele alla stabilità dei cambi, alla difesa delle valute nazionali, ai tagli della spesa pubblica, alle privatizzazioni e alla deregulation della vita economica. È questa la ricetta che viene indifferentemente applicata ai paesi in via di sviluppo, sulla scorta dell’esempio positivo fornito dalle «tigri asiatiche» (Corea del sud, Hong Kong, Taiwan e Singapore), che hanno saputo imporsi sulla scena mondiale della produzione industriale.
La parola “globalizzazione” - (32) Anche se si tratta di un esempio assai ristretto: finora è riuscito ad interessare non più del 2% della popolazione mondiale e, peraltro, si è avvalso di un forte sostegno dei rispettivi Stati nazionali (in termini di agevolazioni fiscali, protezioni doganali, limitazioni dei diritti politici e sindacali), che mal si accorda con l’ideologia liberista del «globalismo». Non per caso, si presenta come scomoda e scabrosa - dal punto di vista della tutela dei diritti umani - la problematica inclusione della Cina in questo novero di nazioni in via di grande sviluppo, guidato dalle esportazioni e dagli investimenti stranieri. Sul piano economico, convergenza e divergenza tornano così a presentarsi come termini chiave. Le politiche monetariste di aggiustamento strutturale, proposte dal Fondo monetario ai paesi poveri, sono oggi in discussione per l’esiguità dei risultati raggiunti, a fronte di costi sociali assai elevati. E la storia del pensiero economico ricorda, a questo proposito, che in passato altri approcci keynesiani, più orientati al sostegno dell’occupazione e della domanda, sono stati possibili. In altre parole, che l’esperienza storica dell’Occidente non è mai riducibile a un “pensiero unico”.
La parola “globalizzazione” - (33)
Proprio all’epoca della «prima globalizzazione» risale Folkways (tradotto in italiano nel 1962 con il titolo di Costumi di gruppo), lo studio di un professore di storia di Yale, William Graham Sumner, che nel 1906 formulava per la prima volta il concetto di etnocentrismo: quando «il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa e tutti gli altri sono classificati e valutati in rapporto ad esso». Oggi come ieri, la compressione del mondo può dare adito a paure o tentazioni uniformanti oppure accrescere le opportunità di confronto e commistione, può ridurre oppure aumentare le diversità del pianeta. E anche per gli storici, in fondo, si presentano alternative non troppo dissimili: fare dell’Occidente il punto di vista privilegiato e l’unità di misura della propria ricerca, oppure allargare in senso estensivo il proprio orizzonte, limitandosi alla giustapposizione multiculturalista delle diversità, oppure ancora approfondire in senso intensivo l’analisi delle interazioni e commistioni reciproche tra le economie e le culture dei popoli.
La parola “globalizzazione” - (34)
Chiunque abbia a cuore la comprensione del presente non può più prescindere dalla conoscenza di situazioni particolari e lontane e non può più limitarsi all’osservazione neutra e “tollerante” delle loro storiche differenze. Anche perché quelle differenze sono in larga misura il frutto di incontri e scontri con la civiltà occidentale e la sua espansione. Una storia a dimensione globale, in altre parole, non può non percorrere una strada difficile, ancora tutta da esplorare e oggi forse tracciabile soltanto in negativo, come un doppio rifiuto: il rifiuto dell’etnocentrismo «occidentalista» e del relativismo culturale «terzomondista».
“Global” - (1) L'aggettivo "global" si propaga, inizialmente in francese, tra il 1840 e il 1864. "Le Globe", oltre tutto, è, in Francia, uno dei giornali dei sansimoniani. Grazie al belga Ovide Decroly (1871-1932) si ha poi il metodo globale. E "globalizzazione" diventa così, a partire dal 1956, una parola "tecnica" della psicopedagogia. Vediamo l'unico significato che ci offre nel 1970, ad vocem, Battaglia (Utet): "Processo conoscitivo secondo il quale la psiche infantile percepisce la realtà esterna prima sincretisticamente, e in modo generico e indistinto, e solo in un secondo momento la analizza e la distingue nei singoli elementi particolari che la compongono". Questo significato, oggi, è certamente oscurato. Di prepotenza è apparso il significato che così, dopo aver proposto in prima istanza ancora quello relativo al metodo globale, definisce il Grande dizionario italiano dell'uso (Utet, 2000), diretto da De Mauro: "Tendenza di mercati, imprese e comunità nazionali a operare in una dimensione mondiale, superando i confini dei singoli Stati".
“Global” - (2) È, questo, un significato esploso recentissimamente. Non si trova nelle edizioni più recenti del Dizionario di politica (Tea, 1990), curato da Bobbio, Matteucci e Pasquino, e del Dizionario di sociologia (Tea, 1993), curato da Gallino. Persino in Società internazionale (Jaca Book, 1996), a cura di Armao e Parsi, non c'è una voce specifica, ma solo un rimando nell'indice analitico. È vero, Croce, in Teoria e storia della storiografia (1917), ha definito le poco amate storie universali "storie globali dell'umanità". È vero, intorno al 1968, appare il termine "contestazione globale". Sempre nel 1968, in francese, compare, dentro la vulgata strutturalistica, proprio il termine "globalisation", che significa "considerare un problema nel suo insieme". Ma non sono queste le piste che conducono all'oggi. All'origine c'è piuttosto il global village di Marshall McLuhan (1911-1980), sociologo e tomista.
“Global” - (3) In Gutenberg Galaxy (1962), McLuhan scrive che la "nuova interdipendenza elettronica ricrea il mondo nell'immagine del villaggio globale". Intanto, negli anni sessanta, l'"Economist", lo "Spectator" e il "Sunday Times" utilizzano "globalization" come termine in grado di descrivere i processi economici. Dal 1953 esiste già (in francese, e con significato politico) "mondialisation", presente in italiano dal 1986 e ancora utilizzato. Il suo affine "mondialismo", tuttavia, è diventata una parola di spregio, usata da correnti razziste. Termine onnicomprensivo (ha dell'economico, del culturale, del sociologico), "globalizzazione" si è invece imposto, in seguito alla caduta dei due “blocchi”, come esito della diffusione molecolare del personal computer. Il fatto è che, a partire dal 1914, eventi molto diversi tra loro (guerre, nazionalfascismi, comunismi, Stati sociali) hanno di fatto ostacolato l'incedere della macchina capitalistica, che ora ha ripreso, con l'ausilio delle tecnologie della comunicazione, il suo cammino, appunto, "globalizzante".
Gli elementi principali (l’indice)
• La globalizzazione: definizione e dimensioni. • La globalizzazione: megatrends, grafici e tabelle (come è
cambiata l’economia mondiale dal 1950 ad oggi). • La storia della globalizzazione (le tre ondate dal 1870 a oggi). • Le determinanti della globalizzazione: progresso tecnico
(trasporti e comunicazioni) e Internet. • L’integrazione internazionale e i problemi della
globalizzazione. • I dati di Angus Maddison. • Europa e globalizzazione: le cifre e l’allargamento. • Altri dati e informazioni: le imprese multinazionali e
trasnazionali; i principali indicatori; l’indice di globalizzazione. Riferimento bibliografico al tema introduttivo: L. De Benedictis, R. Helg, Globalizzazione, “Rivista di Politica Economica”, 2002
Che cos’è la Globalizzazione?
Difficoltà di definizione. • Dal punto di vista economico si parla di crescente
integrazione fra sistemi economici, ovvero di assenza di barriere o maggiore facilità negli scambi di merci e servizi, nei movimenti di capitali e di persone.
• Implicazioni: aumento dell’interdipendenza dei mercati nazionali (sia mercati finanziari, che mercati dei beni), un aumento del flusso di lavoratori e delle conoscenze attraverso i confini, un aumento dei flussi di informazione.
• La globalizzazione, come fase dell’integrazione economica internazionale in cui il potere regolatorio dei governi viene meno.
Definizione di globalizzazione Quell’insieme di processi per cui: • Aumentano quanto a numero e si rafforzano quanto a
intensità i contatti, le relazioni, gli scambi e i rapporti di dipendenza e di interdipendenza fra le diverse aree del mondo.
• Si trasforma la rilevanza che le dimensioni “spazio” e “tempo” hanno sul numero, sulla natura e sull’intensità di tali relazioni e rapporti.
• Aumenta e si diffonde tra gli abitanti del pianeta la consapevolezza dell’esistenza di tali legami e rapporti, nonché della rilevanza che essi assumono per la propria esistenza personale.
1500-1840
1850-1930
1950s
1960s
La contrazione del mondo
La contrazione del mondo I
Anno Popolazione (milioni)
Tempo (anni)
1804 1,000 1927 2,000 123 1960 3,000 33 1974 4,000 14 1987 5,000 13 1999 6,000 12
L’orizzonte si riduce
La contrazione del mondo II
7 1991 Internet 13 1983 Tel. cellulare 15 1975 PC 26 1925 Televisione 22 1906 Radio 35 1875 Telefono
46 1873 Elettricità per uso familiare
Anni per penetrare nel 25% del mercato
Anno d’invenzione
La contrazione del mondo III La diffusione delle tecnologie. Numero di anni
(dall’inizio a 50 milioni di utenti)
Un fenomeno multidimensionale
• Dimensione economica.
• Dimensione culturale.
• Dimensione politica.
• Dimensione del rischio.
Dimensione economica • Le Borse mondiali, un mercato sempre aperto. • Commercio internazionale. • Imprese multinazionali e concorrenza globale. • Organizzazioni internazionali:
– WTO (World Trade Organization); – FMI (Fondo Monetario Internazionale); – Banca Mondiale (World Bank).
• Blocchi economici regionali: – UE (Unione Europea); – NAFTA (North America Free Trade Agreement).
• Spostamento delle attività produttive verso le aree più convenienti (manodopera meno costosa).
• Fusione (o acquisizione) tra imprese di paesi diversi.
Dimensione politica • Organizzazioni che tentano il coordinamento
a livello mondiale: – ONU; – G8, G10, G22, G77; – Lega Araba; – Unione Europea, – Organizzazione Unità Africana.
• Organizzazioni che regolano aspetti specifici della società: – Navigazione; – trasporto aereo; – Poste; – W3C (World Wide Web Consortium).
• Organizzazioni militari: – NATO.
Dimensione culturale
• Consumismo diffuso. • Mezzi di comunicazione di massa:
– TV, stampa; – telefonia fissa e mobile; – Internet.
• Credi religiosi, che generano comunanze sovranazionali.
• Mezzi di spostamento, che hanno ridotto le distanze. • Formazione di culture e stili di vita ibridi. • Esistenza di competizioni mondiali e
dell’organizzazione planetaria dello sport. • Premi e riconoscimenti dal valore planetario:
– culturali (Nobel…); – premi musicali e cinematografici (Oscar…); – gare di bellezza; – record sportivi e guinnes dei primati.
Dimensione del rischio
• Intensità: – Guerra nucleare o catastrofi, che possano distruggere la
terra. • Eventi contingenti:
– Cambiamenti del mercato del lavoro, delle congiunture economiche.
• Ambiente: – Rischio di catastrofi naturali e di una natura socializzata.
• Terrorismo.
La globalizzazione: megatrends
• Popolazione mondiale (1820-1998). • PIL mondiale (1820-1998). • Esportazioni mondiali (1870-1998).
Popolazione mondiale 1820
Total 1041 mln Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Popolazione mondiale 1870
Total 1270 mln Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Popolazione mondiale 1913
Total 1791 mln Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Popolazione mondiale 1950
Total 2525 mln Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Popolazione mondiale 1973
Total 3913 mln Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Popolazione mondiale 1998
Total 5907 mln Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
PIL mondiale 1820
Total $ 1101 mld (1990 PPP $) Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
PIL mondiale 1870
Total $ 1101 mld (1990 PPP $) Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
PIL mondiale 1913
Total $2705 mld (1990 PPP $) Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
PIL mondiale 1950
Total $5336 mld (1990 PPP $) Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
PIL mondiale 1973
Total $16059 mld (1990 PPP $) Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
PIL mondiale 1998
Total $32726 mld (1990 PPP $) Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Esportazioni mondiali 1870
Total $50 mld 1990 PPP $ Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Esportazioni mondiali 1913
Total $212 mld 1990 PPP $ Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Esportazioni mondiali 1950
Total $296 mld 1990 PPP $ Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Esportazioni mondiali 1973
Total $1648 mld 1990 PPP $ Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
Esportazioni mondiali 1998
Total $5817 mld 1990 PPP $ Richard T. Griffiths (Leiden University) Constructed from A. Maddison, The World Economy (2001)
La globalizzazione: grafici e tabelle • Produzione e scambi mondiali di merci (1950-2000). • Rapporto tra il volume degli scambi e della produzione
mondiali (1950-2000). • Scambi e investimenti internazionali (1970-2001). • I tassi di crescita annuali delle esportazioni
(1949-2003). • Dinamica: le esportazioni mondiali crescono più
rapidamente del PIL mondiale (1960-2000). • Dinamica: il PIL mondiale cresce più rapidamente
della popolazione mondiale (1960-2000). • Dinamica: il commercio mondiale cresce più
rapidamente della produzione mondiale. • OCSE e PVDS: quote di commercio, popolazione e
PIL.
La globalizzazione: grafici e tabelle • Dazi doganali medi nei paesi industriali. • Dazi doganali medi di importazione dei maggiori
PVS. • Commercio internazionale PVS. • Ratios apertura commercio (XGS/GDP%). • La crescita della produzione manifatturiera nei
paesi di nuova industrializzazione (1963-2002). • Miracoli e disastri della crescita (1960-1990). • La crescita nel mondo (1950-1995). • Caratteristiche socio-economiche dei paesi
maggiormente globalizzati rispetto a quelli meno globalizzati.
PRODUZIONE E SCAMBI MONDIALI DI MERCI(1950 = 100)
0
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1000
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19
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20
00
Scambi di merci Produzione di merci
RAPPORTO TRA IL VOLUME DEGLI SCAMBI E DELLA PRODUZIONE MONDIALI(1950 = 100)
50
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350
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64
1966
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68
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1994
19
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1998
20
00
Agricoltura Industria estrattiva Manufatti MerciFonte: OMC
SCAMBI E INVESTIMENTI INTERNAZIONALI(valori in dollari USA - 1970 = 100)
0
2000
4000
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1974
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1976
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1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
Investimenti diretti esteri (afflussi + deflussi) Scambi di beni e servizi (esportazioni + importazioni)Fonte: FMI e UNCTAD
-20%
-10%
0%
10%
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30%
40%
50%
60%
70%
1949
1952
1955
1958
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1964
1967
1970
1973
1976
1979
1982
1985
1988
1991
1994
1997
2000
2003
Growth WorldGrowth PVDGrowth OCDE
Annual Growth rates of Exports
I tassi di crescita annuali delle esportazioni
Dinamica: le esportazioni mondiali crescono più rapidamente del PIL mondiale (1960-2000)
0
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1960 1970 1980 1990 2000
wor
ld e
xpor
ts (%
GD
P)
Dinamica: il PIL mondiale cresce più rapidamente della popolazione mondiale
(1960-2000)
0
100
200
300
400
500
1960 1970 1980 1990 2000
inde
x (1
960
= 10
0)
population
GDP
Dinamica: il commercio mondiale cresce più rapidamente della produzione mondiale
• Produzione mondiale
• 1981-1990: 2.8% • 1992: 1.7% • 1994: 2.9 % • 1996: 3.2% • 1998: 2.5%
• Commercio mondiale
• 1981-1990: 4.5% • 1992: 5.7% • 1994: 10.5% • 1996: 5.5% • 1998: 7 %
Fonte: ONU, 1998
OCSE e PVS: quote di commercio, popolazione e PIL
0
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60
70
80
Trade Population GDP
OECD
LDCs
Fonte: IMF/WEO
Dazi doganali medi nei paesi industriali
40%
15%
4.5%
0
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Dopoguerra anni 60 anni 90
Fonte: WTO
Dazi doganali medi di importazione dei maggiori PVS
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0
5
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15
20
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30
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40
Fonte: WTO
Commercio internazionale - PVS I paesi che si sono aperti al commercio estero sono quelli che hanno avuto le performance migliori
Rapporto apertura/crescita
Ratios di apertura del commercio (XGS/GDP%)
0%
50%
100%
150%
200%
250%
300%
350%
China Hongkong Singapour Taiwan Korea Malaysia Philippines Thailand Indonesia
France= 25% Brazil= 16% India= 14% USA= 9%
La crescita della produzione manifatturiera nei paesi di nuova industrializzazione (1963-2002)
a 1994; b 1995; c 1996; d 1998 Fonte: Dicken (1998, Table 2.3; 2003, Table 3.6); UNIDO, www.unido.org/geostat; World Bank (2004), World Development Indicators 04, The World Bank, Washington, Table 4.1.
La crescita nel mondo (1950-1995)
Annual Average Growth Rate of GDP per Capita Growth Ratio of GDP per
capita at end to beginning
Share of World Population, 1998
More developed 2.7 3.1 20 Less Developed: 2.5 2.9 80 China 3.8 5.0 21 India 2.2 2.5 17 Rest of Asia 3.7 4.6 21 Latin America 1.6 1.9 9 Northern Africa 2.1 2.4 2 Sub-Saharan Africa 0.5 1.2 11 Source: Richard Easterlin, “The Worldwide Standard of Living Since 1800”, Journal of
Economic Perspectives, 2000.
Miracoli e disastri della crescita (1960-1990)
Annual Average Growth Rate of GDP per Worker 1960-1990 Miracles Growth Disasters Growth Korea 6.1 Ghana -0.3 Botswana 5.9 Venezuala -0.5 Hong Kong 5.8 Mozambique -0.7 Taiwan 5.8 Nicaragua -0.7 Singapore 5.4 Mauritania -0.8 Japan 5.2 Zambia -0.8 Malta 4.8 Mali -1.0 Cyprus 4.4 Madagascar -1.3 Seychelles 4.4 Chad -1.7 Lesotho 4.4 Guyana -2.1 Note: Figures for Botswana and Malta based on 1960-1989. Source: Jonathan Temple, “The New Growth Evidence”, Journal of Economic Literature,
1999.
Caratteristiche socio-economiche dei paesi più globalizzati rispetto a quelli meno globalizzati
Il reddito individuale mondiale e l’ineguaglianza nel consumo
La globalizzazione (I) L’apertura dei mercati è stata caratterizzata da una grande crescita
del commercio. Evoluzione del commercio come % del PIL.
010203040506070
19701973197619791982198519881991199419972000
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La globalizzazione (II) L’aumento è generalizzato...
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ge tr
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United States
La globalizzazione (III) …e ha luogo fondamentalmente nelle manifatture.
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AgricultureManufacturing
Relazione tra commercio agricultura e industria.
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2000
Year
Ratio
Brazil
China
Germany
India
Italy
Mexico
Spain
USA
La globalizzazione (IV)
Quando inizia la globalizzazione
• Può essere considerata un processo esistente sin dall’inizio della storia, che ha man mano aumentato i suoi effetti giungendo recentemente ad una improvvisa accelerazione.
• È contemporanea alla modernizzazione e allo sviluppo del
capitalismo e ha visto una recente accelerazione. • È un fenomeno recente associato ad altri processi sociali
chiamati post-industrializzazione, post-modernizzazione o disorganizzazione del capitalismo.
Tre ipotesi:
Punto comune: la situazione attuale come momento di rottura degli equilibri preesistenti.
Le origini e l’evoluzione della globalizzazione
Cinque fasi di sviluppo • Fase germinale
– Dagli inizi del XV secolo alla metà del XVIII. – Affermazione degli stati nazionali; conquista dei territori
extraeuropei. • Fase iniziale
– Dalla metà del XVIII secolo agli anni ’70 dell’800. – Passaggio dallo stato nazionale alle relazioni internazionali.
• Fase del decollo – Dagli anni ’70 dell’800 agli anni ’20 del ‘900. – Società nazionali, individui, società internazionale, idea di umanità.
• Fase della lotta per l’egemonia – Dagli anni ’20 agli anni ’60 del ‘900. – Guerre e dispute per la supremazia. Nascita delle Nazioni Unite.
Circostanze discordanti circa la modernità. Guerra fredda. • Fase dell’incertezza
– Dagli anni ’60 al 2000. – Presa di coscienza della dimensione globale e dei rischi.
Cittadinanza planetaria.
…o quattro fasi di globalizzazione? Prima fase Seconda fase Terza fase Quarta fase
Dal XV al XIX secolo
La conquista delle risorse
Ruolo centrale dell’Europa
Colonizzazione
Dal XIX alla fine del XX secolo
La globalizzazione dei mercati
Ruolo centrale del Nord America
Imprese multinazionali
Dalla fine del XX secolo all’inizio del XXI secolo
L’espansione del capitalismo non-occidentale
Ruolo centrale dell’Oriente
Sviluppo e crescita di nuove economie e mercati globali
L’inizio del XXI secolo
La globalizzazione del talento
Ruolo centrale globale
Nascita dell’imprenditore globale
Il “terzo atto”, ovvero le tre ondate della globalizzazione
• Daniel Cohen, nel suo recentissimo volume Globalization and Its Enemies, sostiene che la globalizzazione attuale sia il terzo atto di una storia, iniziata con i conquistadores spagnoli nel XVI secolo e proseguita con l’impero britannico del commercio libero nel XIX secolo. In quell’epoca, una rivoluzione nei trasporti e nelle comunicazioni non realizzò la diffusione della ricchezza, ma favorì la polarizzazione del mondo. Questo stesso fenomeno, nel XXI secolo, può realizzare una distribuzione della ricchezza migliore di quella seguita all’innovazione del telegrafo? Presumibilmente si, guardando alla Cina; probabilmente no, guardando, al contrario, all’Africa. In ogni caso, i paesi poveri richiedono molti sforzi e ingenti investimenti per diventare global players...
Le ondate di colonizzazione e decolonizzazione dal XV secolo a oggi
Fonte: David P. Henige, Colonial Governors
Il commercio triangolare
La storia della globalizzazione
• La globalizzazione non è un fenomeno nuovo.
• Le fasi della globalizzazione. • Confronto tra l’inizio del XX secolo
(prima ondata) e gli anni dal 1950 ad oggi (seconda e terza ondata), i due periodi di maggiore crescita del reddito nella storia mondiale.
La storia della globalizzazione
• Richard E. Baldwin e Philippe Martin (1999) suggeriscono che nella storia economica mondiale si sono succedute due epoche di globalizzazione: una che va dal 1870 al 1914 e l’altra che va dal 1960 ad oggi (quest’ultima, divisa in due ondate). Somiglianze e differenze caratterizzano i due periodi.
La storia della globalizzazione
Somiglianze: secondo Simon Kuznets (1965), nel 1910 il grado di apertura medio dei paesi industrializzati era il 40%, valore non molto dissimile da quello evidenziato da Baldwin e Martin per gli stessi paesi nel 1995 (50%). Jeffrey G. Williamson (1996) ha segnalato che, anche nella prima ondata di globalizzazione, si sono verificati importanti aggiustamenti strutturali e ripercussioni rilevanti sui prezzi dei fattori. Anche le cause sembrano simili: entrambe le epoche sono seguite ad un processo di riduzione delle barriere agli scambi internazionali.
La storia della globalizzazione
Differenze: • Se il grado di apertura commerciale non è dissimile, la
composizione dei flussi commerciali lo è in modo rilevante: la I epoca era caratterizzata dallo scambio tra manufatti e beni primari, la II dal commercio intra-industriale.
• Nella II epoca, dominano i movimenti di capitale a breve, a differenza della I.
• Nella I epoca, i movimenti di persone erano più consistenti rispetto alla II.
• Nella I epoca, il Nord si industralizza e il Sud si de-industrializza. Nella II epoca avviene il contrario.
La storia della globalizzazione
Differenze: • L’aggiustamento strutturale, nella I epoca, ha prodotto
effetti redistributivi a vantaggio del lavoro e a svantaggio della rendita nel Nord (il contrario nel Sud); mentre, nella II epoca, ha ampliato i differenziali di reddito tra lavoro qualificato e lavoro non qualificato nel Nord.
• Mentre la riduzione delle barriere artificiali ha riguardato entrambe le epoche, la riduzione delle barriere naturali si è manifestata diversamente nelle due epoche: la II è stata contraddistinta, soprattutto, dal calo dei costi di trasmissione delle informazioni.
Il prodotto mondiale (milioni di $ USA 1990 - PPA)
Anno
0!
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1000!
5000!
10000!
15000!
20000!
25000!
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35000!
40000!
1! 400! 600! 800! 1000! 1200! 1300! 1400! 1600! 1700! 1800! 1900! 1920! 1940! 1960! 1980! 2000!
1. Rivoluzione Industriale
2. Vapore/Ferrovie
3. Elettricità-Acciaio
4. Auto e Sintetici Produzione di m
assa
6? Biotech & Nano
5. IT & Com
puters
Coincidenza del take-off con la data di partenza della globalizzazione
La popolazione mondiale diventa «globale»
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
9000
1 1000 1500 1650 1750 1800 1830 1900 1930 1950 1980 2000 2004 2010 2050
170 1000
2000
4400
6440
550
In millions
La crescita della popolazione mondiale
John H. Tanton, "End of the Migration Epoch", The Social Contract, Vol IV, No. 3 e Vol. V, No. 1, 1995
La globalizzazione demografica
La transizione demografica
La marcata accelerazione della produzione: un take-off economico?
Fonte: R. Lucas
Produzione e popolazione mondiale
Emerging!Economies!
21%!
Developed !Economies!
79%!
Emerging !
85%!
Developed !Economies!
15%!
Economies!
Product $30 trillions Population 6.2 mm.
1830
1836
1842
1848
1854
1860
1866
1872
1878
1884
1890
1896
1902
1908
1914
1920
1926
1932
1938
1944
1950
1956
1962
1968
1974
1980
1986
1992
S1
0
0.05
0.1
0.15
0.2
0.25
Trad
e G
loba
lizat
ion
Year
Average Openness Trade Globalization
(5 year moving average)
La globalizzazione del commercio (1830-1992)
Il mondo in movimento I Anni 1-13
00 15001700
1800 1900 1945 1960 1980 1985 1990
1995 1998
2004
Popolaz. mondiale
300 760 1000 1650 2000 3000 4430 5220 5900 6440
∆ % 0,1% 0,1% 1,5% 2% 2,2% 2,2% 1,7% 1,6% 1,3% 1,15%
Durata della vita
24 30 38 42 45 55 60 62 65 66
OECD 55 66 75 77 77
LDCs 26 40 46 65 66
Highest JAPAN
80 81
Lowest MALAWI
43 37
Il mondo in movimento II Anni 1500
1700 1750 1800 1900 1960 1980 1985
1990 1995 1998
2002 2004
Popolaz. mondiale
550 760 1000 1650 3000 4400 5220 5900 6200 6440
∆ % 0,1% 0,4% 1,5% 2% 2,2% 1,7% 1,6% 1,3% 1,2% 1,15%
Output mondiale
$b
$330 $440 $760 $2000 $6500 $11000 $20000 $29000 $32200 $37250
∆ % 0,4% 0,4% 1% 3,5% 2,4% 2,5% 3,3% 2,8% 3% 4,6%
Reddito pro capite
$500 $600 $800 $1000 $2150 $2500 $3800 $4900 $5200 $5780
∆ % 0,1% 0,2% 0,5% 1,3% 3% 1,5% 0,5%
Disug. di reddito
1 1 4 10 25 45 50 60 70 75
Cicli di Innovazione Tecnologica
1870 1950 1980 1990 2020
Electricity Telephone Radio
Chemistry Automobile
Aeronautics Transportation
Computers
Genetics Nanotechnologies
Steam railway
1814 1900
Internet
Popolazione globale e povertà: con < 1$ US/giorno (1820-2004)
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1820 1880 1940 1990 2000 2004
Population
milioni
il 50% della popolazione (2,8 miliardi) con < 2$ USA/giorno
Popolazione globale e povertà - I
Numero di persone (milioni) che vivono con meno di 1 $ al giorno
Popolazione globale e povertà II
Popolazione che vive con meno di 1 $ al giorno nei PVS (1990 e 1998)
Numero di persone con meno di US$1 al giorno (millioni)
Poverty Rate (%)
1990 1998 1990 1998
East Asia 452.4 278.3 27.6 15.3
Excluding China 92.0 65.1 18.5 11.3
South Asia 495.1 522.0 44.0 40.0
Sub-Saharan Africa
242.3 290.9 47.7 46.3
Latin America 73.8 78.2 16.8 15.6
Middle East/N. Africa
5.7 5.5 2.4 1.9
Europe & Cent. Asia
7.1 24.0 1.6 5.1
Totale 1276.4 1198.9 29.0 24.0 Fonte: World Bank. Global Economic Prospects and the Developing Countries 2000. (2000).
Crescita e povertà
Commercio internazionale e povertà
Globalizzazione e disuguaglianza - I
Globalizzazione e disuguaglianza - II
Globalizzazione e disuguaglianza - III
Cina, India, Giappone: quote % del PIL globale
0
5
10
15
20
25
30
35
1820 1870 1913 1950 1973 1998 2001 2004
China
India
Japan
China= 13% Japan= 7% India= 6%
Europa, Giappone, USA: quote di Esportazioni/PIL in %
0
5
10
15
20
25
1870 1890 1913 1929 1938 1950 1972 1992 2002
Europe
Japan
USA
Una rassegna sintetica dei tassi di crescita World US UK Jap
1820-1870
0.6 1.3 1.2 0.1
1870-1913
1.3 1.8 1.0 1.4
1913-1950
0.9 1.6 0.8 0.9
1950-1973
2.9 2.4 2.5 8.0
1973-1992
1.2 1.4 1.4 3.0
Il PIL pro capite in quattro paesi (1820-2000)
Fonte: A. Maddison, Monitoring the World Economy 1820-1992, Paris, Organization for Economic Cooperation and Development, 1995
La crescita media annuale del PIL pro capite mondiale
135
La correzione degli squilibri mondiali in un contesto di crescente integrazione
finanziaria internazionale
SQUILIBRI MONDIALI Le situazioni dei con9 con l’estero di economie di importanza
sistema9ca rifle?ono distorsioni rilevan9 e con9nuano a comportare rischi per l’economia mondiale.
La ques9one degli squilibri mondiali si è ripresentata nel decennio in corso
• Aumento dell’en9tà degli squilibri di c/c a livello mondiale
• Concentrazione del deficit in un solo paese, gli Sta9 Uni9, che assorbe circa il 75% del saldo
corrente consolidato delle regioni in avanzo
136
3 ASPETTI ESSENZIALI 1) Tali squilibri possono avere anche una dimensione finanziaria: composizione degli stock di aXvità e passività sull’estero
2) Natura globale del problema
3) Comportano rischi e rifle?ono distorsioni
• Crescente protezionismo • Andamento
sfavorevole del mercato finanziario
• Inadeguata flessibilità dei tassi di cambio
• Liberalizzazione incompleta dei merca9 finanziari
• Eccessiva regolamentazione Influiscono nega9vamente
sull’oscillazione dei fa?ori produXvi a livello mondiale
137
CAUSE
FATTORI STRUTTURALI
Tendenza di lungo periodo e rispecchiano le cara?eris9che di fondo dell’economia mondiale
• globalizzazione finanziaria incompleta • imperfezioni finanziarie
• crescente integrazione commerciale dei paesi emergen9 dell’Asia
• minore variabilità ciclica FATTORI CICLICI
Riguardano il più breve periodo e possono inver9re il proprio effe?o piu?osto
rapidamente • Andamento del risparmio delle famiglie
• Ruolo dei prezzi nelle aXvità finanziarie e delle abitazioni
• Impa?o del differenziale di crescita tra paesi • Effe?o del risparmio pubblico e del petrolio
138
MISURE DEGLI SQUILIBRI MONDIALI
Ø Somma del valore assoluto di tuX i saldi in conto corrente CARATTERISTICA elevato grado di persistenza
Ø Posizione ne?a sull’estero: indicano squilibri mondiali più consisten9 • 9ene conto delle
condizioni iniziali • differenze di rendimento ed effeX di rivalutazione rispe?o ai saldi corren9
cumula9
Ø Livello di riserve ufficiali Misura indire?a: riconducibile a interven9 sul
mercato dei cambi
139
MISURE POLITICHE E POSSIBILI MECCANISMI D’ AGGIUSTAMENTO
• Variazioni dei tassi di cambio per un riequilibrio dei pagamen9 corren9
• Riequilibrio della domanda interna all’area euro e aggiustamento dell’offerta
• Riforme stru?urali dei merca9 del lavoro e dei beni e dei servizi nell’area euro
• Variazione dei prezzi rela9vi delle aXvità ( come i cos9 azionari e i prezzi delle abitazioni)
• Deregolamentazione e liberalizzazione del se?ore finanziario in diverse economie
Le più grandi economie del mondo condividono la responsabilità degli squilibri mondiali
L’a?uazione congiunta di riforme stru?urali in tuX i paesi interessa9, aumenterà in misura considerevole le probabilità di un’efficiente
correzione
140
Crisi finanziarie: numero di casi
Probabilità di crisi finanziaria
Il ciclo economico degli USA (1870-1998)
Le fluttuazioni economiche negli Stati Uniti (1887-1990)
La crescita economica degli Stati Uniti (1890-1995). PIL reale per lavoratore a prezzi del 1995
I tassi di crescita per periodi negli Stati Uniti (1870-2000)
1870-1913 1913-1972 1972-1995 1995-2000
Produzione 4,42% 3,14% 2,75% 4,90%
Output per ora
1.18% 1.86% 1.04% 2.65%
PTF (produttività totale dei fattori)
0,77% 1,60% 0,62% 1,79%
IDE degli USA in percentuale del PIL
(1914-1996)
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
1914 1929 1960 1996
U.S. FDI Abroad
FDI in U.S.
Fonte: Bordo et al., 1999
Flussi di capitale - Gran Bretagna (1860-1877)
0
500
1000
1500
1923 1925 1927 1929 1931 1933
020
4060
80100
1866 1868 1870 1872 1874 1876
Flussi di capitale - Stati Uniti (1923 - 1933)
Defaults in Latin America
German and Austrian stock market crashes
Millions of U.S. dollars
Millions of pounds
U.S. and UK stock
market crashes
-50000
0
50000
100000
1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984
Mexico defaults
(August 1982)
Flussi di capitale - Emisfero occidentale (1970–1985)
Millions of US dollars
-150
-100
-50
0
50
100
150
200
1985 1989 1993 1997 2001
-10
0
10
20
30
40
50
1985 1989 1993 1997 2001
-40
-20
0
20
40
60
80
100
1985 1989 1993 1997 2001
0
50
100
150
200
250
1985 1989 1993 1997 2001
European Union Western Hemisphere
Asia
Asian crisis
Emerging Market Economies Mexico
Asia
Turkey
Argentina
Flussi di capitale privato (1985-2003)
(Billions of U.S. dollars)
ERM (1992-93)
Mexico
Russia Brazil
L’avvicendamento dei leader globali
1500 1600 1750 1820 1900
Northern Italy Belgium
Netherlands
Dutch decline British empire
US leadership
Fonte: A. Maddison
Il declino dell’egemonia degli USA: le quote di PIL mondiale (1820-1998)
Le tre ondate della globalizzazione
I ondata III ondata II ondata Crollo
Stock di capitale estero su Pil dei Pvs
Esportazioni di beni su Pil mondiale
Emigranti verso gli Stati Uniti, milioni (scala destra)
Le ondate della globalizzazione
Le ondate della globalizzazione
Le ondate della globalizzazione
Gli effetti dell’apertura (flussi di beni e di fattori produttivi)
• Esportazioni mondiali in % del PIL mondiale (1870-1998):
• 1870 4.2% • 1890 6% • 1910 8% (I globalizzazione) • 1930 5% • 1950 4.2% • 1970 10% • 1990 16.5% (II globalizzazione).
I movimenti di persone
• Tra il 1870 e il 1925, 100 milioni di persone lasciarono il loro paese (1/10 della popolazione mondiale nel 1870).
• Circa 50 milioni emigrarono dall’Europa verso l’America e l’Australia.
• Il resto emigrò dalla Cina e dall’India verso l’America e altre parti dell’Asia.
• Il paese che ricevette il maggior flusso di migranti furono gli USA (nel 1910, il 14,7% della popolazione americana era nata all’estero; nel 2000, tale percentuale è stata del 10,4%).
Globalizzazione e migrazioni
0 10 20 30 40 50 60
America latina
Oceania
America
settentrionale
Asia
Europa
1,1
19,1
13,0
1,4
7,7
In % della popolazione
Milioni
Migrazioni mondiali
0
50
100
150
200
250
1965 1975 1985 2000 2050
2.3 2.1 2.2 2.9 2.6
In % popolazione mondiale
Milioni
Numero di emigranti residenti, per grandi aree (1990-2000)
Flussi migratori per aree (1995-2000)
I ondata: 1870-1914
• Comincia intorno al 1870 ed è caratterizzata da una forte crescita dei flussi di capitale, da una forte crescita dei flussi migratori e dal raddoppio del commercio internazionale.
• Viene sospinta da politiche di liberalizzazione commerciale e dallo sviluppo della tecnologia che riduce i costi di trasporto.
• I PVS (molti sono colonie) si specializzano nella produzione di commodities primarie, che esportano nei paesi industriali in cambio di manufatti.
Nel 1919, John Maynard Keynes scriveva: «Che straordinaria stagione nel progresso dell’uomo fu quella che terminò bruscamente nell’agosto del 1914! (...) L’abitante di Londra poteva ordinare per telefono, mentre sorseggiava il suo tè del mattino a letto, una quantità di prodotti provenienti dall’intero globo e nello stesso modo poteva investire la sua ricchezza nelle risorse naturali e nelle nuove imprese di ogni angolo del globo (...) poteva inoltre utilizzare mezzi di trasporto rapidi e a buon mercato per recarsi in ogni nazione e clima senza bisogno di passaporto o di altre formalità» (J. M. Keynes, The Economic Consequences of the Peace, Londra, Macmillan, 1919, p. 6, trad. it. Le conseguenze economiche della pace, a cura di V. Tasco, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920; citato in J. Sachs e A. Warner (1995), Economic reform and the process of global integration, in “Brookings Papers on Economic Activity”, I)
La globalizzazione aumenta sempre?
• Crollo della globalizzazione tra le due guerre mondiali.
• Nonostante la crescita del progresso tecnologico e la diminuzione dei costi di trasporto, si verifica un ritorno al nazionalismo e al protezionismo.
• Le tre dimensioni della globalizzazione (commercio, flussi di capitali e migrazioni) ritornano ai livelli del 1870.
• Povertà e disuguaglianza continuano ad aumentare.
La globalizzazione e la convergenza/divergenza durante il periodo 1870-1938
Andamento di 30+ paesi, con dati relatvi al PIL pro capite
0.265
0.27
0.275
0.28
0.285
0.29
0.295
0.3
0.305
0.31
1850 1870 1890 1900 1913 1929 19380.000
0.050
0.100
0.150
0.200
0.250
30 28 39 44 45 45
Common sample
The West
Il prodotto interno lordo pro capite (in dollari Usa 1990)
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
Italia Francia Germania Regno Unito Stati Uniti
1871 1891 1911
La produttività del lavoro (PIL per ora lavorata, in dollari Usa 1990)
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
Italia Francia Germania Regno Unito
1870 1913
Gli investimenti nell’industria del ferro e dell’acciaio (1870-1900)
1870 1900 Occupati <100 >400
Produzione (tonnellate)
<4,000 45,000
Investimenti $150,000 $1 milione
Quote percentuali di produzione dell’industria chimica mondiale nel 1913
0
5
10
15
20
25
30
35
Italia Francia RegnoUnito
Germania Stati Uniti
La produzione italiana di energia elettrica
(milioni di kwh)
0
500
1000
1500
2000
1891 1896 1901 1906 1911
La produzione italiana di ghisa e acciaio (in tonnellate)
0
100.000
200.000
300.000
400.000
500.000
600.000
700.000
800.000
1891 1896 1901 1906 1911
Ghisa Acciaio
0
20000
40000
60000
80000
1800
1820
1840
1860
1880
1900
Fonte: "Components of Population Growth, United States, 1800-1980", http://www.eh.net/ehresources/uspop/uspop.txt
La popolazione totale degli Stati Uniti (1800-1900)
La popolazione dell'Europa e del Mediterraneo
(1848-1930)
278.975
496.7533.8
361.85
0
100
200
300
400
500
600
1848 1871 1910 1930
Fonte: Colin McEvedy, The Penguin Atlas of Recent History, pp. 9, 33, 43, 67
La popolazione di sette paesi europei (1848-1930)
0
50
100
150
200
Pru
ssia
Au
str
ia
Fra
nce
Ru
ssia
UK
Sp
ain
Po
rtu
ga
l
Milio
ni
1848
1871
1910
1930
Fonte: Colin McEvedy, The Penguin Atlas of Recent History, pp. 9, 33, 43, 67
La popolazione urbana (1848-1947)
Fonte: Colin McEvedy, The Penguin Atlas of Recent History, pp. 11, 31, 41, 69
2,7
3,9
7,3
8,3
1,4
6,3
0,75
3,4
0,375
1,8
0,375 0,3750,75
0,3750,75
4
1,8
4,2
1
4
0,75 1,3
1,6
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1848 1871 1910 1937
Milioni
London
Paris
Berlin
Moscow
Cairo
Budapest
La percentuale di popolazione degli USA in città superiori ai 5.000 abitanti
19,7
28,1
39,7
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
1860 1880 1900
Fonte: Puth
L’immigrazione negli USA (1820-1880)
Fonte: W. W. Rostow, The World Economy, pp. 142,143, 150, 151
0
100
200
300
400
500
1820
1850
1880
La distribuzione degli emigranti europei negli USA (1906)
Svezia
2%
Austria
11%
Altri
7% Unghería
13%
Francia
1%
Grecia
2%
Germania
4%
Italia
27%Russia e
Finlandia
23%
Regno Unito
10%
Fonte: National Geographic, maggio 1907, p. 330
Il valore aggiunto al costo dei fattori (prezzi costanti in lire 1938)
69,15 69,29
78,93 8499,36
0
20
40
60
80
100
1891 1896 1901 1906 1911
La formazione del prodotto interno lordo
0%
20%
40%
60%
80%
100%
1891 1896 1901 1906 1911
Agricoltura Industria Servizi Pubblica amministrazione
Il grado di apertura dell’economia italiana (Importazioni+Esportazioni/Pil a prezzi di
mercato)
0
5
10
15
20
25
30
1891 1896 1901 1906 1911
II ondata: 1950-1980
• Ritorno del commercio mondiale ai livelli della I fase: nel 1970 la quota delle esportazioni sul commercio mondiale torna ad eguagliare il picco raggiunto nel 1913.
• Mancato recupero in termini di flussi di capitale e movimenti migratori rispetto alla I fase.
• Diminuzione del costo delle comunicazioni.
Come misurare il fenomeno
Come misurare il fenomeno
III ondata: 1980 - oggi • Il rapporto commercio/PIL aumenta a livelli mai
raggiunti in precedenza. • Il commercio internazionale diventa il motore della
globalizzazione. • Si assiste ad una radicale trasformazione della
struttura del commercio internazionale. • Aumenta l’integrazione dei mercati internazionali
dei capitali. • Nuove forme di internazionalizzazione. • Progresso tecnologico: information techonology e
reti di teleconicazione (perfezionamento nei sistemi di elaborazione delle informazioni).
Dinamismo di crescita dei paesi industriali rispetto a quelli in via di sviluppo
0
20
40
60
80
100
120
140
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
World GDP
OCDE
EMCs
EMCs
OCDE
Fonte: IMF
Indice del PIL mondiale e dei volumi delle esportazioni
0
20
40
60
80
100
120
140
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
X
GDP
Fonte: IMF
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
9000
1968
1970
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
Fonte: IMF-WEO
Liberalizzazione del commercio
Esportazioni mondiali (1968-2004) in miliardi di $ USA
Il commercio tra le economie sviluppate e quelle in via di sviluppo (1990-1999)
Quota dei manufatti sulle esportazioni dei PVS
Produzione e commercio mondiale (variazioni percentuali in volume)
-6 -4 -2 0 2 4 6 8
10 12 14
a) scambi di beni e servizi b) prodotto interno lordo c) elasticità apparente = a/b
* Stime e previsioni
Fonte: WTO
Fonte: WTO
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
1800
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
Il valore delle esportazioni di servizi commerciali mondiali
La convergenza dei G-7 (1950-2000)
Convergenza e divergenza. I tassi di crescita del PIL pro capite (1990-2000)
Fonte: World Bank; Dollar e Kraay, 2001
-1%
2%
5%
2%
4%
6%
Less globalized countries Rich countries More globalized
countries
GDP per capita growth rates, 1990s (ppp)
0
L’incremento nel rapporto commercio/PIL (1970-1990)
0%
25%
50%
75%
100%
Non-globalizers Rich countries Globalizers
-18%
71%
104%
1.4%
2.9%
3.5%
5.0%
0%
2%
4%
6%
1960s 1970s 1980s 1990s
I nuovi globalizzatori: crescita del PIL pro capite al procedere dell’integrazione
CinaCorea del SudHong KongIndiaSingaporeTaiwan
La riduzione della povertà è strettamente associata alla crescita
Percent per annum, 1992-98
3.3*
4.4 3.8
6.4
9.9
0
2
4
6
8
10
Bangladesh India Uganda Vietnam China
GDP per capita growth rate
2.1*
5.4** 5.9
7.5
8.4 Poverty reduction
* Bangladesh figures are for 1992-2000 ** India figures are for 1993-99
I tassi globali di povertà in calo dal 1990: ma il progresso non ha una distribuzione uniforme
I tassi di crescita del PIL e del commercio mondiale
-1
1
3
5
7
9
11
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
1995-2003
2004
2005
GDP
Exports
(p) IMF
%
Rapporto tra IDE e PIL (%)
0
0,5
1
1,5
2
70 72 74 76 78 80 82 84 86 88 90 92 94 99
Flussi di IDE mondiali in % degli investimenti fissi
Fonte: UNCTAD
Flussi di IDE mondiali
Area 1980 1985 1990 1995 1999 2000 2001 2002
Mondo 54,957 57,632 208,674 333,812 1,079,083 1,392,957 823,825 651,189
Paesi industrializzati 46,530 42,693 171,076 204,116 824,642 1,120,528 589,379 460,334
Paesi in via di sviluppo 8,392 14,909 36,959 114,885 229,295 246,057 209,431 162,145
Europa centro-orientale 35 30 640 14,811 25,145 26,373 25,015 28,709
Fonte: UNCTAD
0
50
100
150
200
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
0
400
800
1200
1600
PVS MONDO
IDE verso PVS IDE mondiali
IDE ai PVS e IDE mondiali (milioni di dollari USA)
Fonti: World Bank, staff estimates; UNCTAD, World Investment Report, 2001
Controlli sui movimenti di capitale
Fonte: World Bank
Il cambiamento in corso nell’economia
• Espansione anni ‘70 (1976-79)
• Espansione anni ‘80 (1983-90)
• Espansione anni ‘90 (1992-2000)
• 2004
Crescita media annua della produttività del lavoro
Per cento
2,9
2,2
1,9
1,6
2,1
2,6
4,0
8,6
Crescita media annua dell’inflazione
Per cento
“Gli Stati Uniti affrontano oggi un cambiamento paragonabile ad una Nuova Rivoluzione Industriale”
Alan Greenspan, 7/10/98
III fase: 1980 - oggi
Il ruolo dell’Italia nel processo di globalizzazione (1980-2000):
• Dinamica delle esportazioni e delle importazioni
italiane. • Dinamica del saldo della bilancia commerciale italiana. • Tasso di crescita del PIL, delle esportazioni e delle
importazioni. • Il grado di apertura dell’economia italiana.
0
100000
200000
300000
400000
500000
600000
700000
1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
IMP
EXP
La dinamica delle esportazioni e delle importazioni italiane (1980-2000)
-40000
-20000
0
20000
40000
60000
80000
100000
1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
La dinamica del saldo della bilancia commerciale italiana (1980-2000)
-15
-10
-5
0
5
10
15
1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
GRPIL
GRIMP
GREXP
Il tasso di crescita del PIL, delle esportazioni e delle importazioni (1980-2000)
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Il grado di apertura dell’economia italiana
(1980-2000)
Il tasso di crescita del prodotto potenziale in Italia, Unione Europea e Stati Uniti
Fonte: OECD
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
Italia Stati Uniti Unione Europea
Le determinanti della globalizzazione
• Progresso tecnico, che riduce le barriere naturali tra i mercati (costi di trasporto e di comunicazione) e riduce i costi di transazione (cosiddetta “morte della distanza”).
• Progresso sociale, che riduce le barriere culturali (es.: barriere linguistiche e religiose).
• Politiche di integrazione, che riducono (a livello regionale o multilaterale) le barriere politiche: – barriere di confine (dazi e restrizioni quantitative); – barriere interne (es.: regole discriminatorie).
• Politiche della concorrenza, che riducono le barriere all’entrata nei mercati, create dalle pratiche anticoncorrenziali delle imprese.
Le determinanti della globalizzazione
• Con riferimento alle barriere naturali, più che i costi di trasporto, sono diminuiti in misura rilevantissima i costi di trasmissione delle informazioni.
• Con riferimento alle barriere artificiali, a partire dalla fine degli anni ’40, gli accordi multilaterali, sotto l’egida del GATT prima e del WTO dopo - dal 1994 in poi -, hanno portato ad una sostanziale liberalizzazione degli scambi commerciali mondiali in molte categorie di prodotti. Per 150 paesi, la tariffa media sulle importazioni è scesa dal 40% al 6%.
Il progresso tecnico: diffusione della tecnologia e della conoscenza
Table 1-1: Technological Outputs by Region, 1992-1997. Television Sets Mobile Phones Personal Computers Internet Hosts Fax Machines GDP per Capita OECD 522.57 102.21 195.37 138.25 31.43 20113.50 Middle East 254.87 24.58 32.16 5.31 7.06 8941.47 East Asia 164.08 24.36 46.10 6.26 6.34 6270.63 Latin America and Caribbean 242.03 14.43 20.33 5.69 9.05 5635.80 Eastern Europe and Transition Economies 288.47 6.34 28.21 6.99 2.27 4027.36 Sub-Saharan Africa 47.76 1.61 5.05 0.50 1.66 1971.51 South Asia 32.70 0.69 4.72 0.13 1.60 1764.33 Note: Figures are per 10,000 persons. See Data Appendix for Variable Sources and Descriptions. Table 1-2: Technological Inputs by Region, 1992-1997. R&D as percent of GDP Technicians Scientists Telephone Mainlines GDP per capita OECD 1.8 1326.1 2649.1 517.9 20113.5 Middle East 0.4 177.8 521.0 136.5 8941.5 East Asia 0.8 235.8 1026.0 140.3 6270.6 Latin America and the Caribbean 0.5 205.4 656.6 197.4 5635.8 Eastern Europe and Transition Economies 0.9 577.2 1841.3 167.9 4027.4 Sub Saharan Africa 0.2 76.1 324.3 24.3 1971.5 South Asia 0.8 59.5 161.0 14.2 1764.3 Note: Technicians and Scientists are per 1 million persons; telephone mainlines are per 10,000 persons. See Data Appendix for Variable Sources and Descriptions.
Il progresso tecnico: riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione
• Le innovazioni tecnologiche che hanno caratterizzato il periodo più recente (collegate a telecomunicazioni, computer, internet) sono uniche; tuttavia l’inizio del XX secolo è stato caratterizzato da importanti invenzioni (telefono, telegrafo, motore a combustione), che hanno diminuito i costi di trasporto e di comunicazione.
Riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione (1920-1990) - I
a three-minute call between New York and London cost $250 in 1930 -- The Economist
(in 1996 dollars)
Year Sea (a) Air (b) Phone Call (c)
Computers (d)
1920 95 - - - 1930 60 0.68 245 - 1940 63 0.46 189 - 1950 34 0.30 53 - 1960 27 0.24 46 12,500 1970 27 0.16 32 1,947 1980 24 0.10 5 362 1990 29 0.11 3 100
(a) average ocean freight and port charges per ton ($US) (b) average revenue per passenger mile ($US) (c) 3 minutes NY/London ($US) (d) index, 1990=100
Fonte: IMF
Riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione (1920-1990) - II
0
50
100
150
200
250
300
350
1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990
$0.30
Costo di una telefonata di 3 minuti NY- Londra (U.S. $ costanti 1990)
Fonte: L. De Benedictis, R. Helg, 2002
Ricavi medi del trasporto aereo per passeggero per miglio percorso (in dollari USA 1990)
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990
Numero di anni per un accesso di massa (mercato > 50 milioni di persone)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Phone Radio PC TV WEB
Years
Specializzazione della filiera produttiva dei PC
• Produzione di mouse e tastiere
• Produzione di DRAM
• Produzione/ design di semiconduttori
• Integrazione dei sistemi
• Fabbricazione di MPU
• Assemblaggio finale desktop
Lo sviluppo di Internet nel mondo I La crescita del numero di host internet
dal 1981 al 2005, secondo Network Wizards:
• 1981 – 213 • 1982 – 235 • 1983 – 562 • 1984 – 1.204 • 1985 – 1.961 • 1986 – 5.089 • 1987 – 28.174 • 1988 – 80.000 • 1989 – 159.000 • 1990 – 376.000 • 1991 – 727.000 • 1992 – 1.313.000 •
• 1993 – 2.217.000 • 1994 – 5.846.000 • 1995 – 14.352.000 • 1996 – 21.819.000 • 1997 – 29.760.000 • 1998 – 43.230.000 • 1999 – 72.398.000 • 2000 – 109.574.000 • 2001 – 147.345.000 • 2002 – 171.638.000 • 2003 – 233.101.000 • 2004 – 317.646.000 • 2005 – 394.992.000 • 2006 – 488.500.000
Lo sviluppo di Internet nel mondo II
Lo sviluppo di Internet nel mondo III
Lo sviluppo di Internet nel mondo IV
Lo sviluppo di Internet nel mondo V
Lo sviluppo di Internet nel mondo VI
Riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione (segue)
• 70% riduzione dei costi di trasporto fra il 1920 e il 1990.
• 84% riduzione del costo del trasporto aereo fra il 1930 e il 1990.
• $60.42 costo di una telefonata di 3 minuti da NY a Londra nel 1960 e $0.40 costo della stessa nel 1990.
• Diminuzione enorme prezzo dei computer.
• Ma la geografia conta ancora...
La globalizzazione: l’inquinamento luminoso
La globalizzazione: l’inquinamento atmosferico
No Dati Basso Alto
La globalizzazione: l’inquinamento idrico
No dati Basso Alto
Nessuno Basso Alto
La globalizzazione: il degrado delle risorse naturali
Il grado di integrazione internazionale è aumentato?
• Dagli anni ’60 ad oggi, il grado di apertura commerciale, misurato come (import+export) / PIL, è aumentato del 50% per i paesi avanzati. Il grado di apertura dell’Italia (al pari di Germania, Francia e Spagna) è del 45%, un valore rilevante.
• Nello stesso periodo, il grado di apertura finanziaria, misurato
come flusso netto di capitali in rapporto al PIL, è aumentato del 70% per i paesi avanzati. Tale valore, per l’Italia, è pari a 1.6%, un valore non trascurabile, considerando che si tratta di flussi netti.
• IDE e investimenti di portafoglio sono aumentati in modo
impressionante. I primi, soltanto negli anni ottanta, sono aumentati di sette volte (contro il raddoppio degli investimenti domestici). I secondi possono essere approssimati dagli scambi valutari; questi ultimi superano di gran lunga quanto richiesto per finanziare flussi commerciali, IDE e flussi netti di capitale.
Il grado di integrazione internazionale è aumentato?
• I movimenti del fattore lavoro non sono stati rilevanti. Solo gli USA hanno registrato un tasso di immigrazione consistente, dagli anni settanta in poi (4% della popolazione iniziale), ma comunque storicamente basso.
• Gli effetti della maggiore integrazione internazionale sulla struttura produttiva sono stati rilevanti. Nei paesi avanzati, dagli anni ’50 in poi, la quota dei lavoratori dell’industria è scesa dal 40% al 10% (per Italia e Germania, il declino è stato più recente). L’impatto dell’aggiustamento strutturale sulla remunerazione dei fattori dipende dal grado di mobilità degli stessi fattori tra settori e imprese. I lavoratori con basse qualifiche sono i più penalizzati (in termini di salario, in USA e in termini di disoccupazione, in Europa).
• In conclusione, guardando ai flussi di merci e fattori (tranne il lavoro) e ai mutamenti strutturali, l’evidenza empirica segnala un rafforzamento dell’integrazione internazionale.
Le politiche di integrazione: riduzione media dei dazi sui manufatti dal secondo dopoguerra MFN tariff reduction of industrial countries for industrial products, excluding petroleum
Implementation Round Weighted tariff Average period reduction tariff • 1948–63 First five GATT rounds (1947–62) –36 15.4
• 1968–72 Kennedy Round (1964–67) –37 11.3
• 1980–87 Tokyo Round (1973–1979) –33 8.3
• 1995–99 Uruguay Round (1986–94) –38 6.2
NOTE: Tariff reductions for the first five trade rounds refer to US only Fonte: WTO
Globalizzazione e distribuzione del reddito
• La globalizzazione aumenta le disuguaglianze?
• La globalizzazione aumenta il numero dei poveri?
• La distribuzione dei benefici della globalizzazione.
Globalizzazione e distribuzione del reddito
Income per capita, ppp
9,900 to 41,300 (42)4,500 to 9,900 (37)2,100 to 4,500 (37)
400 to 2,100 (44)
Il digital divide
La distribuzione del prodotto mondiale
La dimensione indica la dimensione del PIL
I dati di Angus Maddison • PIL mondiale pro capite. • Crescita del PIL pro capite mondiale (in termini reali)
- XI-XX secolo. • PIL pro capite (dollari 1990 in PPA). • PIL pro capite (1990$s). • Popolazione mondiale. • Produzione e popolazione mondiale. • La varietà delle esperienze di crescita. • Tassi di crescita e investimento. • Crescita del PIL pro capite (in termini reali)
- 1870-2000.
Maddison data
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
500 1000 1500
GROWTH EXPLOSION
World GDP Per Capita
La crescita del PIL pro capite mondiale (in termini reali)
-200
0
200
400
600
800
1000
11th 12th 13th 14th 15th 16th 17th 18th 19th 20th
Growth in Per Capita Real GDP
Il PIL pro capite (dollari 1990 in PPA)
Anno 0 1000 1500 1820 1995 Mondo $425 $420 $545 $675 $5,188
- Occidente $439 $406 $624 $1,149 $19,990 Europa 450 400 670 1,269 17,456 US 400 400 400 1,233 22,933 Japan 400 425 525 675 19,720
- Resto del M $423 $424 $532 $594 $2,971 Altri Europa 400 400 597 803 5,147
Latin America 400 415 415 671 5,031 Cina 450 450 600 600 2,653
Altri Asia 425 425 525 560 2,768 Africa 400 400 400 400 1,221
Fonte: A. Maddison, Monitoring the World Economy, 1995
Il PIL pro capite ($ 1990) Maddison data
Area 1 1000 1820 1998 W. Europe $450 $400 $1,230 $17,920 W. Off $400 $400 $1,200 $26,150 Japan $400 $420 $670 $20,410 Lat. Am. $400 $400 $665 $5,800 E. Europe $400 $400 $670 $4,350 Asia (Jap.) $450 $450 $575 $2,940 Africa $420 $420 $420 $1,370
World $444 $436 $667 $5,708
La popolazione mondiale Maddison data
Area 1 1000 1820 1998 W. Europe 25 25 133 388 W. Off 1 2 11 323 Japan 3 8 31 126 Lat. Am. 6 11 21 508 E. Europe 9 14 91 412 Asia (Jap.) 171 175 679 3390 Africa 17 33 74 360
World 232 268 1040 5907
La varietà delle esperienze di crescita
I tassi di crescita e investimento
( a ) G r o w t h R a t e 1 9 6 0 – 1991 ( b ) I n v e s t m e n t 1 9 6 0 – 1991 South Korea
Singapore Japan Israel
Canada Brazil
West Germany Mexico
United Kingdom Nigeria
United States India
Bangladesh Chile
Rwanda
South Korea Singapore
Japan Israel
Canada Brazil
West Germany Mexico
United Kingdom Nigeria
United States India
Bangladesh Chile
Rwanda Investment (percent of GDP) Growth Rate (percent) 0 1 2 3 4 5 6 7 0 10 20 30 40
La crescita del PIL pro capite (in termini reali)
Growth Rate (percent
per year)
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
3.5
4.0
1 8 7 0 – 1890
1 8 9 0 – 1910
1 9 1 0 – 1930
1 9 3 0 – 1950
1 9 5 0 – 1970
1 9 7 0 – 1990
1 9 9 0 – 2000
0
Quali sfide da un’accresciuta globalizzazione?
• Tra paesi: necessità di coordinamento. Quello che succede in un paese influenza più intensamente e più rapidamente anche altri paesi.
• Nei paesi: accelerazione del cambiamento e necessità di gestire i costi di aggiustamento con politiche opportune.
• Il ruolo di istituzioni e regolamentazione.
Europa e globalizzazione
L’Unione Europea
La posizione dell’Unione Europea
• Il principale mercato mondiale. • Traino degli scambi internazionali per
diversi anni. • Scambi regionali o mondiali? • Esempio di integrazione. • Rallentamento dell’integrazione e della
crescita?
Share in world GDP
0
5
10
15
20
25
30
35
Japan US EU China
%
Il peso economico dell’UE
Il peso economico dell’UE: la perdita di terreno rispetto alla crescita degli USA (1961-2005)
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
1961-1990 1991-1995 1996-2000 2001-2005
Re
al G
DP
gro
wth
, %
US EU
I tassi di occupazione nell’UE e negli USA (2003)
La crescita della produttività per occupato nell’UE, negli USA e in Giappone (2000-2004)
Chart - Growth in productivity per person employed, 2000-2004
0.0
1.0
2.0
3.0
4.0
2000 2001 2002 2003 2004
Source: Commission Services
annu
al %
cha
nge
EU25 US JP
Table 1 - International Comparison of Key Indicators (2004)
EU-25 EU-15 USA Japan
Population (millions)
457 383 293 128
GDP (in 1000 million PPS, current prices)
10213 9316 10164 3210
GDP Growth, at constant prices (annual % change)
2.4 2.3 4.4 2.7
Employment Rate (as % of working age population)
63.3 64.7 71.2 68.7
Employment Growth (annual % change)
0.6 0.7 1.1 0.2
Unemployment Rate (as % of civilian labour force)
9.0 8.1 5.5 4.8
Note: Employment rates for the EU and Japan refer to persons aged 15-64; US employment rate refers to persons aged 16 to 64
Source: GDP and employment growth from Commission's Spring 2005 Economic Forecasts and QLFD, Eurostat. GDP in PPS from AMECO database, Commission Services. Employment rate from QLFD, Eurostat and OECD data for US and Japan. Unemployment rate from the harmonised unemployment series, Eurostat. Population from demographic statistics, Eurostat.
Quadro comparativo degli indicatori chiave
l PIL pro capite nell’Unione Europea a parità di potere d’acquisto - secondo le stime FMI per il 2007
L’allargamento ad est dell’UE: esempio “locale” di “globalizzazione”
• 12 nuovi entrati, con livelli di reddito decisamente più bassi dell’Ue a 15 e con caratteristiche diverse.
• Grandi potenzialità, come futuri mercati di sbocco e di produzione.
• Ancora scarso peso economico (il primo gruppo di entrati, solo il 5% del PIL europeo).
• …ma tassi di crescita attesi elevati nel prossimo periodo, sia per il PIL (3,5 %) che per le importazioni di manufatti (8,3%).
L’Unione Europea. I fondamenti del processo di
integrazione e dell’allargamento
Due dimensioni di crescita dell’Unione Europea
• Allargamento: aumento del numero di membri (da 6 paesi fondatori a 25 membri, dal 2007, a 27).
• Approfondimento: estensione delle competenze e delle politiche (da unione doganale a mercato unico a sistema
monetario). • Dimensioni “ortogonali” o riconciliabili?
Due dimensioni di crescita dell’Unione Europea
• Allargamento, come spinta verso una maggiore eterogeneità dei paesi membri: – diversi livelli di reddito; – diverse strutture economiche; – diversità di legislazioni; – diversità di lingue e culture.
Due dimensioni di crescita dell’Unione Europea
• Approfondimento, come spinta verso una maggiore convergenza: – politica commerciale comune (CET); – politica agricola comune; – politica industriale comunitaria; – politiche di coesione; – politica monetaria unica per l’area dell’euro; – patto di stabilità e di crescita.
Integrazione e convergenza: auspicabili e fino a che punto?
• Integrazione e coesione, come obiettivi espliciti già nel Trattato di Roma (e ulteriormente rafforzati in seguito).
• Ma, l’idea di non fare dell’UE un organismo sovranazionale, superiore o sostitutivo degli Stati.
• Principio di sussidiarietà: il principio secondo il quale le decisioni vanno prese ai livelli il più possibile prossimi al cittadino (e non calate dall’alto).
Integrazione e convergenza: auspicabili e fino a che punto?
• Il presupposto necessario per l'intervento della Comunità è enunciato nel secondo comma dell'articolo 5 del trattato CEE: "Nelle materie che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità agisce quando gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario".
• Il protocollo propone tre principi guida, in base ai quali valutare se le condizioni per l'intervento della Comunità ricorrano effettivamente nella realtà: – l'azione presenta aspetti transnazionali, che non possono essere
disciplinati in maniera soddisfacente dagli Stati membri; – l'azione dei soli Stati membri o la mancanza di un'azione
comunitaria contravverrebbe alle prescrizioni del trattato; – l'azione a livello comunitario produrrebbe evidenti vantaggi.
Integrazione e convergenza nella teoria economica
• Effetti dell’integrazione economica, nella teoria tradizionale degli scambi internazionali: – trade creation; – trade diversion; – effetto netto positivo?
• Ulteriori effetti dell’integrazione economica. • Convergenza:
– crescita economica e convergenza; – tipi di convergenza.
Quanta integrazione finora?
• Elevata, se misurata in termini di scambi commerciali, ma ferma da qualche tempo.
• Abbastanza elevata in termini di altri scambi.
Ratio of intra/extra EU trade
150%
155%
160%
165%
170%
175%
180%
1995 1999 2000 2001 2002
Years
intra/extra
Quanta convergenza?
Relative per capita incomes
0
50
100
150
200
250
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Years 1993-2002
AustriaBelgiumDenmarkFinlandFranceGermanyGreeceIrelandItalyLuxembourgNetherlandsPortugalSpainSwedenUKEU-15
Quanta convergenza? Somiglianza nelle strutture di esportazione
di alcuni paesi UE Figure 1
Correlation index
00.20.40.60.81
1.2
19891993199519961997199819992000
Years
FranceGermanyItalyGreecePortugalSpain
L’allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale
• Il maggiore allargamento, in termini di paesi entranti e in termini di ampliamento delle differenze.
• Un test per le politiche e le istituzioni
dell’Unione Europea, come si è visto anche nelle fasi negoziali e negli ultimi sviluppi.
Gli allargamenti dell’Unione Europea
Gli allargamenti dell’Unione Europea
L’Unione Europea a 25
L’Unione Europea a 25
L’Unione Europea a 27
Le ultime fasi del processo di allargamento • Nel marzo 1998: l’inizio dei negoziati con sei paesi
candidati (Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Cipro).
• Nell’ottobre 1999: la Commissione raccommanda l’apertura dei negoziati con Romania, Slovacchia, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Malta.
• Il 9 Ottobre 2002, la Commissione raccommanda la chiusura dei negoziati con Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia. Le negoziazioni sono chiuse nel Dicembre 2002.
• Il trattato di adesione è firmato ad Atene il 16 Aprile 2003 e i nuovi Stati membri aderiscono all’UE il 1° Maggio 2004.
• Nel gennaio 2007: l’ingresso di Bulgaria e Romania.
I criteri di Copenhagen
Per poter aderire all’UE, i paesi aderenti devono rispettare una serie di condizioni, note come “i criteri di Copenhagen”, che richiedono:
• be a stable democracy, respecting human rights, the rule of law, and the protection of minorities;
• have a functioning market economy, as well as the capacity to cope with competitive pressures within the Union;
• adopt the common rules, standards and policies that make up the body of EU law (adoption of the acquis communitaire and administrative capacity to implement it).
The negotiation chapters • 1: Free Movement of Goods • 2: Freedom of Movement for
Persons • 3: Freedom to Provide Services • 4: Free Movement of Capital • 5: Company Law • 6: Competition Policy • 7: Agriculture • 8: Fisheries • 9: Transport Policy • 10: Taxation • 11: Economic and Monetary Union • 12: Statistics • 13: Employment and social policy • 14: Energy • 15: Industrial Policy • 16: Small and Medium-sized
Enterprises
• 17: Science and Research • 18: Education and Training • 19: Telecom and IT • 20: Culture and Audiovisual Policy • 21: Regional policy and co-
ordination of structural instruments • 22: Environment • 23: Consumer protection • 24: Justice and Home Affairs • 25: Customs Union • 26: External Relations • 27: Common Foreign and Security
Policy • 28: Financial Control • 29: Finance and Budgetary
Provisions • 30: Institutions • 31: Other
L’impatto generale dell’allargamento
• Aumento del numero di paesi membri: da 15 a 27. • Aumento della popolazione dell’UE: 20%
(da 378 a circa 490 milioni di cittadini). • Aumento del territorio dell’UE: 23%. • Aumento del PIL dell’UE: 5%.
Confronto dei redditi pro capite
Confronto dei tassi di crescita
Real GDP growth rates
0
1
2
3
4
5
6
1998 1999 2000 2001 2002 2003Q1
Years
% c
han
ge
on
pre
vio
us
year
Accession countriesreal GDP growth ratesEU-15 real GDP growthrates ``
I tassi di crescita del PIL dei nuovi membri dell’UE
L’evoluzione del PIL nell’Europa centro-orientale
-25
-15
-5
5
15
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
EU15CZEESTHUNPOLSVN
-35
-25
-15
-5
5
15
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
EU15BGRLVALTUROMSVK
-35
-25
-15
-5
5
15
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
EU15BLRMDARUSUKR
-10
-5
0
5
10
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997
EU15TUR
‘First wave’ countries ‘Second wave’ countries
Ex-Soviet countries Turkey
I nuovi membri: variabili economiche selezionate (2001)
% agricolture unemployment inflation nominal wages *over GDP rate % !
Bulgaria 13,8 # 19,9 7,4 132Estonia 5,8 12,4 5,6 377Latvia 4,7 13,1 2,5 274Lithuania 7,0 16,5 1,3 302Poland 3,4 18,4 5,3 531Czech Rep. 4,2 8,0 4,5 426Romania 14,6 6,6 34,5 163Slovakia 4,6 19,4 12,3 # 286Slovenia 3,1 5,7 8,6 981Hungary 4,3 # 5,7 9,1 425
Cyprus 3,9 4,0 2,0Malta 2,4 6,5 2,5
EU - 15 2,1 7,4 2,3 1895§ 1999; # 2000Source: Strategy Paper 2002; Regular Reports 2002 European Commission* Source: Deutsche Bank Research** Source: EBRD Transition report 2002
Il costo dell’allargamento
PRESIDENCY CONCLUSIONS
COPENHAGEN EUROPEAN COUNCIL
12 AND 13 DECEMBER 2002
Maximum enlargement-related appropriations for commitments (mio. Euros 1999 prices and approx. % on EU total appropriations for commitments) 2004-2006 (for 10 new Member States) 2004 2005 2006 Heading 1 Agriculture Of which: 1a - Common Agricultural Policy 1b - Rural development
1897
327 (1%) 1570 (34%)
3747
2032 (5%) 1715 (37%)
4147 2322 (6%)
1825 (39%) Heading 2 Structural actions after capping Of which: Structural fund Cohesion Fund
6095 3478 (11%) 2617 (97%)
6940
4788 (16%) 2152 (80%)
8812
5990 (20%) 2822 (100%)
Heading 3 Internal Policies and additional transitional expenditure Of which: Existing policies Transitional Nuclear safety measures Transitional Institution building measures Transitional Schengen measures
1421
882 125 200 286
1376
917 125 120 286
1351
952 125 60
286 Heading 5 Administration 503 558 612 Total Maximum Appropriations for commitments (Heading 1, 2, 3 and 5)
9952 (10%)
12657 (13%)
14958 (15%)
L’integrazione tra la UE e i paesi candidati (2001)
Selected economic indicators for the accession countries (year 2001)Trade balance FDI flows FDI stock ** EU trade balance
(mio !) %GDP (1989-2000) - mio ! export import with: (mio !)Bulgaria -1764 5,1 3051,1 54,8 49,4 188Estonia -1102 9,7 1864,4 69,4 56,5 496Latvia -1688 2,3 2319,4 61,2 52,6 318Lithuania -1977 3,7 2216,3 47,8 44,0 696Poland -15832 3,2 26974,9 69,2 61,4 10750Czech Rep. -3425 8,7 20123,5 68,9 61,8 2604Romania -4688 2,8 # 6250,7 67,8 57,3 1050Slovakia -2383 6,3 3870,9 59,9 49,8 48Slovenia -998 1,9 1402,0 62,2 67,7 1704Hungary -3552 4,7 18314,8 74,3 57,8 1090
Cyprus -3289 1,8 49,0 55,5 1768Malta -857 8,8 41,3 63,6 1358
EU - 15 # 2000Source: Strategy Paper 2002; Regular Reports 2002 European Commission
trade with EU (% on total)
UE-CEEC trade flows (Fonte: Eurostat, Comext database)
0
20000000
40000000
60000000
80000000
100000000
120000000
140000000
160000000
92 93 94 95 96 97 98 9920
0020
0120
02
Anni
Mig
liaia
di e
uro
Importazioni UEEsportazioni UE
La rilevanza dei paesi CEEC nel commercio esterno dell’UE a 15
0
2
4
6
8
10
12
14
16
92 93 94 95 96 97 98 99 2000 2001 2002Anni
%
% PECO su import totali% PECO su export totali
L’integrazione commerciale EU-CEEC
EU-15 and EU-25 intra/extra trade ratio
150%
170%
190%
210%
230%
1995 1999 2000 2001 2002Years
EU-15EU-25
Gli investimenti diretti dell’UE a 15 nei nuovi Stati membri
EU-15 outward FDI stock
020000400006000080000
100000120000140000
NMS CzechRep.
Hungary Poland
Mill
ion
euro 2000
20012002
Le disparità regionali The most and least prosperous countries in the EU (GDP per capita in PPS as % of EU average)
EU-15 (1999) EU-27 (1999) (average GDP per capita = 100) (average GDP per capita = 100)
The six richest 114,1 The six richest 131,5 (12% of popul.) (9% of popul.) The three poorest 78,7 The six poorest 36,6 (16% of popul.) (16% of popul.) Ratio 1,5 Ratio 3,6
Source: our calculation from Eurostat
The most and least prosperous regions in the EU (GDP per capita in PPS as % of EU average) Regions EU-15 (1998) EU-27 (1998) 10% + 160,9 176,9 10% - 61,0 31,1 Ratio 2,6 5,7 25% + 137,1 152,0 25% - 68,3 44,3 Ratio 2,0 3,4
10% + and 25% + indicate the regions with the highest GDP per capita (PPS) accounting for 10% and 25% respectively of total population in the EU 10% - and 25% - indicate th e regions with the lowest GDP per capita (PPS) accounting for 10% and 25% respectively of total population in the EU. Source: European Commission (2001)
In sintesi
• La “tensione” fondamentale che caratterizza l’UE è la ricerca di coesione, nel rispetto della diversità e delle singole identità nazionali e locali.
• L’ultimo allargamento ha messo a dura prova la tenuta dell’UE proprio da questo punto di vista
• Comunque, per ora, non emergono elementi di eccessiva preoccupazione.
• I benefici dell’allargamento supereranno i costi, soprattutto nel medio-lungo periodo, a condizione della tenuta della coesione.
Altri dati e informazioni sulla globalizzazione
• I nuovi attori: reti globali di produzione. Le imprese multinazionali e trasnazionali.
• Fordismo e toyotismo. • Interazioni commerciali nell’economia mondiale. • Grafici sul reddito. • Principali indicatori per la misurazione dei gradi di
sviluppo. • L’indice di globalizzazione.
Reti Globali di Produzione
Imprese Multinazionali • Tecnologia • Management e Know-How • Marchi globali • Distribuzione globale • Scala mondiale
Imprese locali
• Basso costo lavoro
• Conoscenza locale
• Distribuzione
• Proprietà diretta • Joint Venture • Licensing • Franchising • Accordi di fornitura
I nuovi attori: le imprese multinazionali e trasnazionali
Secondo la classificazione di Robinson, 1973: Le «multinazionali» sono imprese la cui proprietà e direzione appartengono a
un solo paese, quello di origine della casa madre, ma che operano in campo internazionale attraverso filiali estere e investimenti esteri.
Le «transnazionali» sono imprese la cui proprietà appartiene a operatori di diverse nazioni, con un centro direzionale unico, ma senza vincoli nazionali, e una strategia sempre più svincolata da legami nazionali.
Struttura organizzativa semplice e complessa
Struttura organizzativa semplice, formata da
una società madre, collegata a più filiali.
Struttura complessa: la società madre istituisce
uno o più quartieri generali, ciascuno dei
quali é responsabile dell'attività di un certo
numero di filiali, oppure di una produzione
(ad esempio di un'automobile le cui parti
vengono fabbricate in più paesi), o di una
funzione (ad esempio di marketing).
Struttura organizzativa complessa
La struttura organizzativa complessa si basa su
un sistema di proprietà a più strati.
Le società madri controllano le filiali del primo
strato (e di conseguenza quelle degli strati
successivi), non necessariamente detenendo
il 100%, e in vari casi neppure la quota
maggioritaria, del loro pacchetto azionario, ma
attraverso il controllo della tecnologia, dei
marchi di fabbrica, del marketing e di altri
servizi.
Settori di attività
Sebbene ciascuna società transnazionale operi prevalentemente in un determinato settore, la loro attività si estende spesso a campi che non hanno diretta relazione con quello principale:
Queste "imprese globali" rappresentano l'ultimo stadio, in ordine di tempo, dell'evoluzione del sistema industriale e si differenziano dall'immagine consueta dell'impresa multinazionale: le attività all'estero si estendono a rete su tutti i continenti, coprendo un ventaglio estremamente ampio di settori produttivi, con un giro d’affari complessivo che può superare il prodotto lordo di intere economie nazionali.
Al primo posto nelle attività estere, non vengono più le società petrolifere, ma quelle che operano nel campo dei computer e dell'elettronica. Si tratta di 17 società (7 delle quali giapponesi), le cui attività estere sono cresciute enormemente.
La dimensione delle transnazionali
Per farsi un'idea delle dimensioni economiche delle maggiori società transnazionali, basti
pensare che molte società possiedeno un fatturato ufficiale annuo maggiore
del prodotto nazionale lordo di un paese di media
grandezza.
Il settore finanziario Fortemente concentrata è anche l'attività delle transnazionali
finanziarie. Ai primi posti tra le 100 più grandi banche del mondo vi sono le banche transnazionali giapponesi, che rappresentano oltre un quarto del totale.
Quattro delle maggiori - Mitsubishi Bank, Sumitomo Bank, Industrial Bank of Japan e Sanwa Bank - figurano tra le prime dieci società del mondo, in base alla capitalizzazione di Borsa.
A far comprendere quali siano le dimensioni economiche delle maggiori banche transnazionali, basta un termine di paragone: ciascuna delle prime cinque banche del mondo svolge un'attività, il cui valore annuo supera quello del prodotto interno lordo dell’intero continente africano (434 miliardi di dollari, 900 milioni di abitanti).
Il numero di transnazionali
Il numero delle società transnazionali su scala mondiale viene valutato in oltre 40.000 e quello delle loro filiali estere in oltre 200.000. Ma si tratta di una stima largamente per difetto, in quanto comprende solo le società che hanno partecipazioni azionarie all'estero, escludendo tutte quelle che hanno altri tipi di rapporti economici, come alleanze strategiche con altre società e contratti per il trasferimento di tecnologie e franchising (contratto attraverso cui un'impresa concede a un'altra, dietro pagamento, i propri prodotti e il diritto di valersi del proprio marchio). Si valuta che le alleanze strategiche (sulle quali non sono disponibili dati precisi) siano dell'ordine delle migliaia e, i contratti e subcontratti, dell'ordine delle centinaia di migliaia.
La distribuzione delle transnazionali
Oltre la metà delle società t r ansnaz iona l i de l l e economie sviluppate di mercato ha come base i cinque più grandi paesi i n d u s t r i a l i z z a t i d e l mondo : S ta t i U n i t i , Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna.
Il 91% delle oltre 37.000 società transnazionali ha come base i paesi industrializzati; l'8%, i paesi in via di sviluppo; l'1%, i paesi sottosviluppati.
La distribuzione delle transnazionali
La distribuzione delle transnazionali
La quota di produzione delle affiliate alle multinazionali sulla produzione mondiale
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
1977 1982 1989 1990 1992
Percentuale
Fonte: UNCTAD
Dal “fordismo” al “toyotismo” • Nelle economie sviluppate di mercato il sistema della catena di
montaggio, tipico del "fordismo", viene sempre più sostituito da sistemi «flessibili» di montaggio modulari a rete, come quelli introdotti dall'industria automobilistica giapponese Toyota (da qui il termine "toyotismo").
• Nelle fabbriche dei paesi in via di sviluppo, inseriti nella produzione
internazionale integrata, il lavoro continua a svolgersi quasi esclusivamente secondo il sistema fordista della rigida sequenzialità delle operazioni.
La Toyota
Il sistema post-fordista è più efficiente
Role of IT within and between firms; logistics revolution
Interazioni commerciali nell’economia mondiale
Exports in direction closed arrow(Exports in direction open arrow)
South Asia
Latin America
Sub-Sahara Africa
Middle East &North Africa
AustralAsia
North America
East Asia& Pacific
WestEurope
East Europe & C. Asia
28
6
1
1
1
4
1 (2) 1 (2)
4 (5)
2 (3)
3 (3) 3 (4)
1 (1)
1
1 (1)
1 (1)
3 (4)
3 (3)
(1)
Intra-regional exports
Relazione tra il reddito e la distanza dall’equatore
(Source: Rodrik) e(
lgdp
85 |
X,di
stan
ce )
+ b*
dist
ance
distance.002533 .709911
-1.35559
2.05646
UGANDA
GABON
KENYAZAIRE
SINGAPOR
ECUADOR
TANZANIA
MALAYSIACONGO
COLOMBIA
IVORY CO
SURINAME
GUYANA
TOGO
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ANGOLA
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GUINEA-B
MALIZAMBIA
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THAILAND
EL SALVA
NIGER
PHILIPPI
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HONDURAS
GUATEMAL
SENEGAL
BOLIVIAYEMEN
MALAWI
MEXICO
MYANMAR
ZIMBABWEJAMAICA
MOZAMBIQ
DOMINICA
HAITI
MADAGASC
BRAZIL
BOTSWANA
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BANGLADE
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PARAGUAYSOUTH AF
CHINA
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PAKISTAN
JORDANISRAEL
AUSTRALI
SYRIA
CHILEMOROCCO
U.S.A.
URUGUAYCYPRUSJAPANMALTA
ARGENTIN
TUNISIA
NEW ZEAL
SPAIN
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GREECE
PORTUGALTURKEY
CANADAYUGOSLAV
ITALY
SWITZERL
HUNGARY
MONGOLIA
AUSTRIA
FRANCE
LUXEMBOUPOLANDBELGIUM
GERMANY,U.K.
NETHERLAIRELANDDENMARK
SWEDENNORWAYFINLAND
ICELAND
Relazione tra il reddito e la qualità delle istituzioni
(Source: Rodrik) e(
lgdp
85 |
X,ic
rge8
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b*ic
rge8
0
institutions2.27083 10
-.815427
2.64108
BOLIVIA
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EGYPTPARAGUAY
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SENEGAL
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MEXICO
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Relazione tra il reddito e il commercio
(Source: Rodrik) e(
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open13.16 318.07
-1.45529
1.81157
MYANMAR
INDIA
ARGENTINU.S.A.
MOZAMBIQ
SIERRA L
BRAZIL
CHINATANZANIA
GHANASUDAN
UGANDA
GUATEMAL
JAPAN
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PORTUGALIVORY CO
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AUSTRIA
ICELANDHUNGARY
MONGOLIA
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ISRAEL
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GAMBIA
PAPUA N.
TAIWAN
GABON
MALAYSIA
TOGO
CYPRUSGUYANA
CONGOJORDAN
NETHERLA
IRELANDBOTSWANA
BAHAMAS
JAMAICABELGIUM
MALTAHONG KON
LUXEMBOU
SINGAPOR
Livelli del prodotto nazionale lordo pro capite
Le 11 più grandi economie del mondo. PIL in miliardi di $, ai tassi di cambio correnti (2003)
1. United States* 10, 882
2. European Union*+ 10,483
3. Japan* 4,326
Germany* 2,401
United Kingdom* 1,795
France* 1,748
Italy* 1,466
4. China 1,410
Spain 836
5. Canada* 834
6. Mexico 626
7. Republic of Korea 605
8. India 599
9. Australia 518
Netherlands 512
10. Brazil 492
11. Russia* 433
* Membri del G-8; + UE-15 (prima dell’allargamento a 25) Fonte: World Bank World Development Indicators
I divari nello sviluppo economico:
popolazione e PNL
I divari nello sviluppo economico: il reddito nazionale lordo (GNI per capita)
I divari nello sviluppo economico: il prodotto nazionale lordo (GNP per capita)
Una concezione di sviluppo più ampia: Amartya Sen (Indice di Sviluppo Umano - HDI)
La diffusione dei sistemi di mercato
La diffusione della democrazia
Countries’ Relative Political Riskiness (Fonte: Griffin and Pustay, International Business, 4th ed., Prentice Hall, 2005)
La malnutrizione, un’altra dimensione della povertà. Percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni, sottopeso
Tassi attesi di crescita della popolazione (1997-2015)
Quando il PIL dei paesi emergenti supererà quello delle economie avanzate (2000-2050)
Fonte: Goldman Sachcs, Dreaming with BRICs: the path to 2050, in “Global economics paper”, n. 99, 2003
L’indice di globalizzazione - A.T. Kearney
L’indice di globalizzazione - “Foreign Policy”
L’indice di globalizzazione
L’indice di globalizzazione 2004: i top 25 • 1. Ireland • 2. Singapore • 3. Switzerland • 4. Netherlands • 5. Finland • 6. Canada • 7. USA • 8. New Zealand • 9. Austria • 10. Denmark • 11. Sweden • 12. UK
• 13. Australia • 14. Czech Rep. • 15. France • 16. Portugal • 17. Norway • 18. Germany • 19. Slovenia • 20. Malaysia • 21. Slovak Rep. • 22. Israel • 23. Croatia • 24. Spain • 25. Italy
Fonte: A.T. Kearney - «Foreign Policy»
L’indice di globalizzazione 2005: i top 25 • 1. Singapore • 2. Ireland • 3. Switzerland • 4. USA • 5. Netherlands • 6. Canada • 7. Denmark • 8. Sweden • 9. Austria • 10. Finland • 11. New Zealand • 12. UK
• 13. Australia • 14. Norway • 15. Czech Republic • 16. Croatia • 17. Israel • 18. France • 19. Malaysia • 20. Slovenia • 21. Germany • 22. Portugal • 23. Hungary • 24. Panama • 25. Slovakia
• L’Italia è al 27° posto, dopo la Spagna e prima del Giappone Fonte: A.T. Kearney - «Foreign Policy»
L’indice di globalizzazione 2006: i top 25 • 1. Singapore • 2. Switzerland • 3. USA • 4. Ireland • 5. Denmark • 6. Canada • 7. Netherlands • 8. Australia • 9. Austria • 10. Sweden • 11. New Zealand • 12. UK
• 13. Finland • 14. Norway • 15. Israel • 16. Czech Rep. • 17. Slovenia • 18. Germany • 19. Malaysia • 20. Hungary • 21. Panama • 22. Croatia • 23. France • 24. Portugal • 25. Spain • L’Italia è al 27° posto, dopo
la Slovacchia e prima del Giappone Fonte: A.T. Kearney - «Foreign Policy»
Friedman’s Ten Flatteners: • Outsourcing • Offshoring • Open- Sourcing • Insourcing • Supply Chaining • In-forming (search engines) • The Internet • Fall of the Berlin Wall • Netscape’s Public Offering • Work Flow Software • The Steroids (Digital, Mobile, Personal and Virtual) Thomas L. Friedman sostiene che questi fattori, insieme, hanno realizzato una sinergia senza pari
Il passaggio da dodici civiltà ad una sola