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Chapter 1 La forma canonica di Jordan Abbiamo visto che un endomorfismo f : V V si dice diagonalizzabile se esiste una base B di V i cui vettori v 1 ,v 2 ,...,v n sono autovettori di f , ovvero f (v 1 )= λ 1 v 1 ,f (v 2 )= λ 2 v 2 ,...,f (v n )= λ n v n . Come sappiamo, l’attributo ”diagonalizzabile” dato in questo caso ` e dovuto alla forma che assume la matrice associata a f rispetto a B: infatti, essendo per definizione le colonne di tale matrice date dalle n-uple delle coordinate dei vettori f (v 1 )= λ 1 v 1 ,f (v 2 )= λ 2 v 2 ,...,f (v n )= λ n v n , tale matrice ha la forma λ 1 0 ... 0 0 λ 2 ... 0 . . . 0 0 ... λ n . Ora, sappiamo anche che non sempre ` e pos- sibile formare una base composta di autovettori: pu` o infatti capitare che l’autospazio relativo a un autovalore non fornisca abbastanza autovettori indipendenti (cio` e tanti quanti la sua molteplicit` a algebrica) e allora sar` a impossibile mettere insieme abbastanza autovettori da formare una base di tutto lo spazio V . Ebbene, vedremo in questo capitolo che anche in casi come questo ` e pos- sibile comunque trovare una base che sia “quasi” formata da autovettori e la matrice di f associata alla quale sia “quasi” una matrice diagonale: pi` u precisamente, mostreremo come anche nei casi in cui non esiste una base di V composta da autovettori si possa comunque trovare una base composta da catene di autovettori generalizzati. Dato un autovalore λ di f , una catena di autovettori generalizzati relativa a λ ` e per definizione una sequenza finita v 1 ,v 2 ,v 3 ,... di vettori tale che f (v 1 )= λv 1 f (v 2 )= λv 2 + v 1 1

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Chapter 1

La forma canonica di Jordan

Abbiamo visto che un endomorfismo f : V → V si dice diagonalizzabile seesiste una base B di V i cui vettori v1, v2, . . . , vn sono autovettori di f , ovverof(v1) = λ1v1, f(v2) = λ2v2, . . . , f(vn) = λnvn.

Come sappiamo, l’attributo ”diagonalizzabile” dato in questo caso e dovutoalla forma che assume la matrice associata a f rispetto a B: infatti, essendoper definizione le colonne di tale matrice date dalle n-uple delle coordinatedei vettori f(v1) = λ1v1, f(v2) = λ2v2, . . . , f(vn) = λnvn, tale matrice ha

la forma

λ1 0 . . . 00 λ2 . . . 0

...0 0 . . . λn

. Ora, sappiamo anche che non sempre e pos-

sibile formare una base composta di autovettori: puo infatti capitare chel’autospazio relativo a un autovalore non fornisca abbastanza autovettoriindipendenti (cioe tanti quanti la sua molteplicita algebrica) e allora saraimpossibile mettere insieme abbastanza autovettori da formare una base ditutto lo spazio V .

Ebbene, vedremo in questo capitolo che anche in casi come questo e pos-sibile comunque trovare una base che sia “quasi” formata da autovettori ela matrice di f associata alla quale sia “quasi” una matrice diagonale: piuprecisamente, mostreremo come anche nei casi in cui non esiste una base diV composta da autovettori si possa comunque trovare una base composta dacatene di autovettori generalizzati.

Dato un autovalore λ di f , una catena di autovettori generalizzati relativaa λ e per definizione una sequenza finita v1, v2, v3, . . . di vettori tale che

f(v1) = λv1

f(v2) = λv2 + v1

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f(v3) = λv3 + v2

...

In altre parole, il primo vettore v1 della catena e un “vero” autovettorerelativo a λ; il secondo vettore v2 della catena non e invece un autovettoreperche f(v2) non e uguale a λv2 ma a λv2+v1, ovvero λv2 sommato al vettoreche lo precede nella catena, e cosı via lo stesso per tutti gli altri.

Quello che faremo ora e, senza dare una dimostrazione rigorosa ma mostrandocome procedere in pratica, come, purche le soluzioni del polinomio caratteris-tico siano tutte nel campo K su cui e definito lo spazio V , e sempre possibiletrovare una base di V formata da catene di autovettori generalizzati. Ad es-empio, se f fosse un endomorfismo su uno spazio V di dimensione 8 e avessedue autovalori λ, µ e ν tale base potrebbe essere data da v1, . . . , v8 tali che

f(v1) = λv1f(v2) = λv2 + v1f(v3) = λv3 + v2f(v4) = λv4

f(v5) = λv5 + v4f(v6) = µv6

f(v7) = µv7 + v6f(v8) = νv8

(1.1)

In tale esempio, i vettori v1, v2, v3 formano una prima catena (relativaall’autovalore λ) di lunghezza 3; con il vettore v4 (che e nuovamente un au-tovettore relativo a λ) riparte una nuova catena sempre relativa all’autovaloreλ, stavolta di lunghezza 2 e formata dai vettori v4 e v5; infine la base si con-clude con una catena di lunghezza 2 relativa all’autovalore µ formata dai duevettori v6, v7 e con l’autovettore v8 relativo all’autovalore ν (il vettore v8 puoquindi essere pensato come una catena di lunghezza 1 composta solo da unvero autovettore).

E immediato vedere che la matrice associata a f rispetto a tale basesarebbe

λ 1 0 0 0 0 0 00 λ 1 0 0 0 0 00 0 λ 0 0 0 0 00 0 0 λ 1 0 0 00 0 0 0 λ 0 0 00 0 0 0 0 µ 1 00 0 0 0 0 0 µ 00 0 0 0 0 0 0 ν

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In tale matrice possiamo mettere in evidenza i seguenti blocchi dispostilungo la diagonale

λ 1 0 0 0 0 0 00 λ 1 0 0 0 0 00 0 λ 0 0 0 0 00 0 0 λ 1 0 0 00 0 0 0 λ 0 0 00 0 0 0 0 µ 1 00 0 0 0 0 0 µ 00 0 0 0 0 0 0 ν

(1.2)

che hanno la caratteristica di essere matrici che hanno l’autovalore sulladiagonale, entrate uguali a 1 sopra la diagonale e zero altrove. Una tale ma-

trice, ovvero del tipo

λ 1 0 . . . 00 λ 1 . . . 0

...0 0 . . . λ 10 0 . . . 0 λ

si dice blocco di Jordan (relativo

all’autovalore λ).La matrice (1.2) e quindi una matrice diagonale a blocchi composta di un

blocco di Jordan di ordine 3 relativo a λ, un altro blocco di Jordan semprerelativo a λ ma di ordine 2, un blocco di Jordan relativo a µ di ordine 2 einfine la singola entrata ν (interpretabile come un blocco di Jordan di ordine1).

Come si vede confrontando la (1.2) con la (1.1), il primo blocco di Jor-

dan

λ 1 00 λ 10 0 λ

corrisponde alla prima catena di autovettori generalizzati

v1, v2, v3, il secondo blocco di Jordan

(λ 10 λ

)alla seconda catena v4, v5, il

terzo blocco di Jordan

(µ 10 µ

)alla terza catena v6, v7 e l’ultima entrata ν

(blocco di Jordan di lunghezza 1) all’ultimo vettore della base, l’autovettorev8.

Come preannunciato, mostreremo ora un metodo pratico per trovare, datoun endormorfismo f : V → V su uno spazio vettoriale V sul campo K le cuisoluzioni del polinomio caratteristico stiano tutte in K, una base B di Vformata da catene di autovettori generalizzati, e tale quindi che la matricedi f rispetto a B sia una matrice diagonale a blocchi formata da blocchi

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di Jordan: una tale base si chiama base di Jordan, e la matrice a blocchicorrispondente matrice di Jordan.

Innanzitutto, possiamo supporre che V = Kn e che f sia l’endomorfismoLA : Kn → Kn determinato da una matrice quadrata A (sappiamo che ogniapplicazione lineare puo essere vista in questo modo traducendo il tutto incoordinate rispetto a una base qualunque): avremo quindi f(v) = Av.

Il nostro scopo e trovare catene di autovettori generalizzati (e mettereinsieme i vettori che le formano in modo da ottenere una base di V ). Ora, leuguaglianze

Av1 = λv1Av2 = λv2 + v1Av3 = λv3 + v2

...

(1.3)

che definiscono una catena di autovettori generalizzati possono essereriscritte come

(A− λI)v1 = 0(A− λI)v2 = v1(A− λI)v3 = v2

...

(1.4)

che mostrano come, a parte il primo vettore v1 che e un autovettore relativoa λ, ogni altro vettore della catena e soluzione di un sistema di equazioniche ha come matrice dei coefficienti A − λI e come vettore dei termini notiil vettore che lo precede nella catena. Una catena e quindi ottenibile inteoria in questo modo, ovvero scegliendo per l’autovalore fissato λ una basedi vettori dell’autospazio corrispondente, da ognuno dei quali (scelto comev1) partira una catena ottenuta risolvendo i sistemi di cui sopra: questometodo presenta pero il problema che ogni sistema che risolviamoa ogni passoavra infinite soluzioni, delle quali dobbiamo sceglierne ogni volta una dausare come termine noto nel sistema successivo, ma tali scelte non possonoessere arbitrarie: infatti, una scelta fatta potrebbe essere tale che il sistemasuccessivo non ha soluzione, come mostra l’esempio seguente.

Esempio 1.1. Consideriamo A =

2 4 −80 0 40 −1 4

. Si trova facilmente (ad

esempio sviluppando secondo Laplace rispetto alla prima colonna)

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det

2− λ 4 −80 −λ 40 −1 4− λ

= (2− λ)(λ− 2)2

e quindi l’unico autovalore e λ = 2 (con molteplicita algebrica tre).L’unico autospazio Ker(A−λI) relativo a λ = 2 e dato dalle soluzioni del sis-

tema omogeneo che ha come matrice dei coefficientiA−2I =

0 4 −80 −2 40 −1 2

.

Le righe di tale matrice sono tutte proporzionali tra loro e quindi il sis-tema omogeneo corrispondente si riduce a un’unica equazione, ad esempio−x2 +2x3 = 0 (corrispondente alla terza riga). Le soluzioni di tale equazionesono tutte e sole le terne del tipo (s, 2t, t) al variare di s, t ∈ R. Avendol’autospazio dimensione 2, minore della molteplicita algebrica, sicuramentela matrice non e diagonalizzabile, ovvero non possiamo trovare una basedi R3 formata da autovettori di A. Ora, se prendiamo un vettore da taleautospazio, ad esempio v1 = (1, 0, 0) (ottenuto ponendo s = 1 e t = 0),allora in base alle (1.4) il vettore v2 dovrebbe risultare soluzione del sistema

(A−λI)x = v1, ovvero

4x2 − 8x3 = 1−2x2 + 4x3 = 0−x2 + 2x3 = 0

che e chiaramente incompatibile!

Questo ci dice che la scelta di v1 = (1, 0, 0) come primo vettore della catenanon e corretta (un vettore che funzionerebbe e ad esempio v1 = (−4, 2, 1),ottenuto ponendo s = −4, t = 1)

Descriveremo ora un algoritmo che evita il genere di complicazioni il-lustrate nell’esempio appena visto e ha inoltre l’ulteriore vantaggio di nonrichiedere di risolvere sistemi.

L’algoritmo si basa sull’osservazione che e piu facile determinare unacatena di autovettori generalizzati a partire dal suo ultimo vettore anzichedal primo: infatti, prendiamo ad esempio le uguaglianze (1.4) e supponiamoper semplicita che l’ultimo vettore della catena sia proprio v3. Allora, seconosciamo v3, dalla (A − λI)v3 = v2 vediamo che per ottenere v2 bastamoltiplicare v3 a sinistra per A − λI, e analogamente la (A − λI)v2 = v1 cidice che per ottenere v1 basta moltiplicare v2 a sinistra per A − λI (senzadover risolvere sistemi, come osservato sopra).

Il problema di questo approccio sembra essere che noi non conosciamol’ultimo vettore della catena, ma in realta vedremo ora un metodo che ci dicecome risolvere questo problema. A questo scopo, facciamo alcune osservazionipreliminari che ci permetteranno anche di visualizzare meglio la posizione deivettori della catena all’interno dello spazio V .

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Moltiplicando a sinistra a entrambi i membri la seconda uguaglianza delle(1.4) per A−λI, otteniamo (A−λI)2v2 = (A−λI)v1 ovvero (tenendo contodella prima uguaglianza)

(A− λI)2v2 = 0 (1.5)

Analogamente, se moltiplichiamo a sinistra a entrambi i membri la terzauguaglianza delle (1.4) per (A− λI)2, otteniamo (A− λI)3v2 = (A− λI)2v2ovvero (tenendo conto della (1.5) appena ottenuta)

(A− λI)3v3 = 0 (1.6)

Andando avanti con lo stesso ragionamento, si vede che gli eventuali vet-tori successivi della catena v4, v5, . . . soddisfano le relazioni (A−λI)4v4 = 0,(A−λI)5v5 = 0, ovvero i vettori della catena di autovettori generalizzati sonomandati nel vettore nullo da potenze crescenti della matrice A− λI.

Ricordando che i vettori che vengono mandati nel vettore nullo da un’applicazionelineare T (ovvero dalla matrice corrispondente a tale applicazione) formanoil suo nucleo Ker(T ), possiamo quindi dire che

v1 ∈ Ker(A− λI)v2 ∈ Ker(A− λI)2

v3 ∈ Ker(A− λI)3

...

(1.7)

Tali nuclei Ker(A−λI)j, con j = 1, 2, 3, . . . si dicono autospazi generalizzatirelativi all’autovalore λ (infatti, per j = 1 il nucleo Ker(A − λI) ci daesattamente il vero autospazio relativo a λ) e hanno la proprieta di essereognuno incluso nel successivo, ovvero vale la catena di inclusioni

Ker(A− λI) ⊆ Ker(A− λI)2 ⊆ Ker(A− λI)3 ⊆ . . . (1.8)

Infatti, se un vettore v appartiene a uno di tali autospazi generalizzatiKer(A − λI)j, allora esso per definizione di nucleo soddisfa l’uguaglianza(A− λI)jv = 0. Moltiplicando entrambi i membri di questa uguaglianza perA− λI, si ottiene (A− λI)j+1v = (A− λI)0 = 0, che mostra che si ha anchev ∈ Ker(A − λI)j+1, ovvero per ogni j vale l’inclusione Ker(A − λI)j ⊆Ker(A− λI)j+1 e quindi che si ha la catena di inclusioni (1.8).

Per comodita, da questo momento denoteremo Ker(A − λI)j semplice-mente come Kj(λ) o, quando l’autovalore λ e fissato e non c’e rischio diconfusione, semplicemente Kj.

Possiamo ad esempio visualizzare la base di Jordan v1, . . . , v8 vista in(1.1) nel disegno seguente

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Come si vede, le due catene v1, v2, v3 e v4, v5 partono dai veri autovettoriv1, v4 (contenuti quindi nel’autospazio Ker(A − λI)) e ciascuna continuanegli autospazi generalizzati Ker(A − λI)2 e Ker(A − λI)3 successivi (laprima arriva fino al terzo autospazio, la seconda si ferma invece al secondo), ivettori v6 e v7 della terza catena sono contenuti negli autospazi Ker(A−µI)e Ker(A − µI)2 (inclusi l’uno nell’altro) e l’ultimo vettore v8 della base econtenuto nell’autospazio Ker(A− νI).

Ora che abbiamo illustrato anche graficamente la posizione delle catenegeneralizzate all’interno dello spazio V , siamo pronti a descrivere l’algoritmoper trovare tali catene e formare una base di Jordan di V .

Come primo passo, si calcolano gli autovalori mediante il polinomio carat-teristico.

Come sappiamo, se per ogni autovalore λ la dimensione dell’autospazioKer(A − λI) (cioe la molteplicita geometrica) coincide con la molteplicitaalgebrica di λ, mettiamo insieme le basi degli autospazi e avremo ottenutouna base diagonalizzante.

Se invece per un certo autovalore λ la dimensione di Ker(A − λI) eminore della molteplicita algebrica (ovvero in tale autospazio non ci sonoabbastanza autovettori indipendenti per contribuire a una base di autovettoridi V ), andiamo a cercare catene di autovettori generalizzati calcolando gliautospazi generalizzati.

Piu precisamente, calcoliamo tali autospazi Ker(A−λI)j, che come sap-piamo al crescere di j formano una successione crescente, fino a che la se-quenza non si stabilizza, ovvero fino a che non vediamo che passando alla

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potenza successiva l’autospazio non cambia: il verificarsi di questo fenomenoe garantito dalla teoria, noi non lo dimostreremo ma lo illustriamo con ilseguente

Esempio 1.2. Sia A =

2 1 −1−1 2 0−1 −1 3

. Si trova facilmente (ad esempio

sviluppando secondo Laplace rispetto alla terza colonna)

det

2− λ 1 −1−1 2− λ 0−1 −1 3− λ

= (3− λ)(λ− 2)2

e quindi gli autovalori sono λ = 3 (con molteplicita algebrica uno) e λ = 2(con molteplicita algebrica due). L’autospazio Ker(A− λI) relativo a λ = 2e dato dalle soluzioni del sistema omogeneo che ha come matrice la matrice

A−2I =

0 1 −1−1 0 0−1 −1 1

−→R1↔R2

−1 0 00 1 −1−1 −1 1

−→R3→R3−R1

−1 0 00 1 −10 −1 1

−→R3→R3+R2

−1 0 00 1 −10 0 0

da cui si vede che l’autospazio Ker(A − 2I) e dato dall’insieme delle

soluzioni del sistema omogeneo ridotto

{−x1 = 0

x2 − x3 = 0le cui soluzioni sono

tutte le terne del tipo (0, t, t) al variare di t ∈ R. Avendo l’autospaziodimensione 1, minore della molteplicita algebrica, sicuramente la matricenon e diagonalizzabile, ovvero non possiamo trovare una base di R3 formatada autovettori di A.

Calcoliamo allora gli autospazi generalizzati relativi a λ = 2: si ha

(A−2I)2 =

0 1 −1−1 0 0−1 −1 1

0 1 −1−1 0 0−1 −1 1

=

0 1 −10 −1 10 −2 2

−→R2→R2+R1R3→R3+2R1

0 1 −10 0 00 0 0

e quindi Ker(A− 2I)2 e l’insieme delle soluzioni del sistema omogeneo datodall’unica equazione x2−x3 = 0, ovvero l’insieme costituito dalle terne (s, t, t)al variare di s, t ∈ R. Si osservi che Ker(A − 2I) ⊆ Ker(A − 2I)2, comeprevisto dalla (1.8).

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Calcoliamo ora il sottospazio generalizzato successivo Ker(A− 2I)3:

(A−2I)3 = (A−2I)(A−2I)2 =

0 1 −1−1 0 0−1 −1 1

0 1 −10 −1 10 −2 2

=

0 1 −10 −1 10 −2 2

Come si vede la matrice non e cambiata, quindi si ha Ker(A − 2I)3 =

Ker(A− 2I)2: la successione di inclusioni si e stabilizzata, come previsto.

Supponiamo allora che la sequenza di autospazi generalizzati, fino allastabilizzazione, sia

K1 ⊂ K2 ⊂ · · · ⊂ Kj = Kj+1 = Kj+2 = · · ·Il passo successivo dell’algoritmo consiste nel prendere in Kj (l’ultimo

autospazio generalizzato della catena di inclusioni) un numero di vettori in-dipendenti pari a dim(Kj) − dim(Kj−1) e non appartenenti a Kj−1. Daciascuno di questi vettori scelti, diciamo v, costruiamo ora la catena

v, (A− λI)v, (A− λI)2v, . . . , (A− λI)j−1v

ottenuta applicando ripetutamente (A− λI).Come abbiamo visto sopra, questa sequenza “scende” lungo la catena degliautospazi generalizzati e termina nell’autospazio relativo a λ, e ci da unacatena di autovettori generalizzati, come possiamo rappresentare nel disegnoseguente, dove a scopo illustrativo supponiamo che Kj = K3 e dim(K3) −dim(K2) = 2

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Ognuno dei vettori indipendenti da cui siamo partiti in Kj, quando ap-plichiamo la prima volta (A− λI) scende in Kj−1 e ci da ancora dei vettoriindipendenti: se questo numero e minore di dim(Kj−1)− dim(Kj−2) aggiun-giamo tanti vettori indipendenti ai precedenti fino a raggiungere tale numero,e a ciascuno di tali vettori v riapplichiamo ripetutamente A− λI fino a rag-giungere l’autospazio.

v, (A− λI)v, (A− λI)2v, . . . , (A− λI)j−2v

Di nuovo, rappresentiamo il tutto nel disegno seguente, dove a scopoillustrativo supponiamo che dim(K2)− dim(K1) = 3, e quindi ai due vettoriprecedenti in K2 ci sia da aggiungere un solo vettore.

L’algoritmo continua in questo modo fino a raggiungere l’autospazio K1,dove se necessario aggiungeremo ai vettori ottenuti dalle sequenze precedentitanti vettori quanti sono necessari per raggiungere dim(K1).

Esempio 1.3. Supponiamo ad esempio che rispetto a un dato autovalore λ lasuccessione crescente di autospazi generalizzati si stabilizzi a K3 = Ker(A−λI)3 e che sia dim(K3) = 9, dim(K2) = 7, dim(K1) = 4.

Essendo dim(K3) − dim(K2) = 2, dovremmo innanzitutto scegliere duevettori v3, w3 indipendenti e che stiano in K3 ma non in K2. A partireda questi due vettori otteniamo moltiplicando ripetutamente a sinistra perA− λI le due catene

v3, v′3 = (A− λI)v3 ∈ K2, v

′′3 = (A− λI)2v3 ∈ K1

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w3, w′3 = (A− λI)w3 ∈ K2, w

′′3 = (A− λI)2w3 ∈ K1

Ora, i vettori v′3 e w′3 di queste catene stanno in K2 (e non in K1). Dalmomento che dim(K2) − dim(K1) = 3, dobbiamo scegliere un ulteriore vet-tore, indipendente da v′3 e w′3, e che stia in K2 ma non in K1. Denotato u2un tale vettore, lo usiamo per ottenere la catena

u2, u′2 = (A− λI)u2 ∈ K1

.Gli ultimi vettori delle tre catene finora ottenute, ovvero v′′3 , w

′′3 , u

′2, sono

vettori indipendenti che stanno in K1. Poiche dim(K1) = 4, dobbiamo allorascegliere un ulteriore vettore, diciamo z1, che stia in K1 e che sia indipendentecon v′′3 , w

′′3 , u

′2.

A questo punto per quello che riguarda l’autovalore λ il procedimento econcluso: nel seguente disegno vediamo un’illustrazione delle catene ottenuteall’interno degli autospazi generalizzati.

Nella matrice di Jordan dell’applicazione appariranno quindi due blocchidi Jordan di ordine 3 corrispondenti alle catene v′′3 , v

′3, v3 e w′′3 , w

′3, w3, un

blocco di Jordan di ordine 2 corrispondente alla catena u′2, u2 e una singolaentrata (o blocco di Jordan di ordine 1) corrispondente al vettore z1

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λ 1 0 0 0 0 0 0 00 λ 1 0 0 0 0 0 00 0 λ 0 0 0 0 0 00 0 0 λ 1 0 0 0 00 0 0 0 λ 1 0 0 0 . . .0 0 0 0 0 λ 0 0 00 0 0 0 0 0 λ 1 00 0 0 0 0 0 0 λ 00 0 0 0 0 0 0 0 λ

...

(i puntini indicano il fatto che dobbiamo ancora vedere cosa succede con

altri autovalori eventualmente presenti).

Esempio 1.4. Applichiamo l’algoritmo alla matrice dell’Esempio 1.2.Come abbiamo visto, l’autospazio generalizzato su cui si stabilizza la

sequenza di inclusioni e K2 = Ker(A − 2I)2, dato dalle terne (s, t, t) alvariare di s, t ∈ R.

Tale sottospazio ha quindi dimensione 2, mentre l’autospazio generaliz-zato precedente, K1 = Ker(A − 2I), e dato dalle terne del tipo (0, t, t) alvariare di t ∈ R e ha dimensione 1.

Essendo dim(K2)−dim(K1) = 1, dobbiamo prendere inK2 un solo vettorenon appartenente a K1, ad esempio v2 = (1, 0, 0).

Applicando A−2I a tale vettore si ottiene la prima catena di autovettorigeneralizzati seguente

v2 = (1, 0, 0) ∈ K2, v1 = (A− 2I)v2 = (0,−1,−1) ∈ K1

Essendo dim(K1) = 1, e avendo gia ottenuto dalla sequenza precedentev1 ∈ K1, non abbiamo altre catene generalizzate relative all’autovalore 2.

A questo punto per l’autovalore λ = 3 abbiamo

A−3I =

−1 1 −1−1 −1 0−1 −1 0

−→R2→R2−R1R3→R3−R1

−1 1 −10 −2 10 −2 1

−→R3→R3−R2

−1 1 −10 −2 10 0 0

ovvero l’autospazio Ker(A − 3I) e l’insieme delle soluzioni del sistema

omogeneo ridotto

{−x1 + x2 − x3 = 0−2x2 + x3 = 0

che, come e facile vedere, ha come

soluzioni tutte e sole le terne del tipo (−t/2, t/2, t) al variare di t ∈ R.L’autospazio relativo a 3 ha quindi dimensione 1, uguale alla molteplicita

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Page 13: Chapter 1 La forma canonica di Jordan - University of Cagliari · Chapter 1 La forma canonica di Jordan Abbiamo visto che un endomor smo f: V !V si dice diagonalizzabile se esiste

algebrica, e in tal caso non dobbiamo guardare gli autospazi generalizzati.Prendendo allora un vettore da tale autospazio, ad esempio v3 = (−1/2, 1/2, 1),e mettendolo insieme ai due vettori v1 = (1, 0, 0), v2 = (0,−1,−1) ottenutiper l’autovalore precedente, si ottiene una base di Jordan.

Osservazione 1.1. Cosı come se una matrice A e diagonalizzabile mettendoin colonna i vettori che formano una base di autovettori si ottiene una matriceM invertibile tale che M−1AM e diagonale, mettendo in colonna i vettori diuna base formata da catene di autovettori generalizzati si ottiene una matriceM invertibile tale che M−1AM e una matrice a blocchi di Jordan (e in cui iblocchi corrispondono alle catene che formano la base).Come verifica, disponiamo i tre vettori v2 = (0,−1,−1), v1 = (1, 0, 0) ev3 = (−1/2, 1/2, 1) ottenuti nell’esempio precedente in colonna ottenendo la

matrice M =

0 1 −1/2−1 0 1/2−1 0 1

: si vede allora che

M−1AM =

0 −2 11 −1 10 −2 2

2 1 −1−1 2 0−1 −1 3

0 1 −1/2−1 0 1/2−1 0 1

=

2 1 00 2 00 0 3

che come si vede e una matrice diagonale a blocchi composta dal blocco di

Jordan di ordine due

(2 10 2

)(corrispondente alla catena di Jordan v2, v1 che

abbiamo ottenuto lavorando sugli autospazi generalizzati relativi a λ = 2) edall’entrata 3, corrispondente all’autovettore v3 relativo all’autovalore λ = 3.

Osservazione 1.2. Il numero di catene di autovettori generalizzati ottenuterelativamente a un autovalore λ (ovvero, nella matrice, il numero di blocchidi Jordan relativi a λ) coincide, come si vede anche nell’Esempio 1.3, conil numero di vettori che l’algoritmo determina in K1, ovvero nell’autospaziorelativo a λ, ed e quindi uguale alla molteplicita geometrica. Nell’ultimoesempio, tale molteplicita geometrica era 4, mentre quella algebrica, come sievince dal numero di volte che λ compare nella diagonale, e 9. Chiaramente,l’applicazione non era diagonalizzabile, e quello che noi facciamo costruendole catene e semplicemente aggiungere ai 4 autovettori dell’autospazio altri 5autovettori (generalizzati) in modo da arrivare alla molteplicita algebrica.

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