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Caso Moro, ex poliziotto all’Ansa: “I Serviziaiutarono le Br in via Fani” L'ispettore Enrico Rossi, ora in pensione, rivela il contenuto di una lettera scritta da uno deidue presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento, il 16marzo 1978: "Dipendevo dal colonnello del Sismi Guglielmi. Dovevamo proteggere iterroristi da disturbi di qualsiasi genere". Nella missiva anche dettagli per risalire all'altroagente alla guida del mezzo, "ma l'indagine fu ostacolata"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 23 marzo 2014 Commenti (1041)

Più informazioni su: Aldo Moro , Brigate Rosse . Share on oknotizieShare on prin tShare on emailMore Sharing Services 523

“Due agenti dei Servizi segreti aiutarono le Brigate Rosse in via Fani durante il rapimento di AldoMoro “. Questo il contenuto di una lettera scritta, presumibilmente, da uno dei due uomini che la mattina

del 16 marzo ‟78 si trovavano sulla moto Honda presente sul luogo dell‟agguato. A rivelare l‟esistenza

della missiva all‟ A n s a è un ex ispettore di polizia che dal 2011 al 2012 ha indagato per identificare

l‟altro uomo alla guida del mezzo, che nel frattempo è morto. Un‟indagine, sostiene il poliziotto inpensione, “ostacolata fin dall‟inizio”. “L‟ennesima occasione persa” per capire chi partecipò – o diede

appoggio logistico ai brigatisti – al rapimento del presidente della Democrazia cristiana e al massacro

della sua scorta.

L‟ex ispettore di polizia Enrico Rossi racconta all‟A n s a : ”Tutto è partito da una lettera anonima scritta

dall‟uomo che era sul sellino posteriore dell‟Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all‟altro,

quello che guidava la moto”. Ma chi inviò quelle righe svelò anche un dettaglio inquietante: gli agenti

presenti sul luogo della strage avevano il compito di “ proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere.

Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo

1978″. Quella lettera nell‟ottobre 2009 arrivò al quotidiano La Stamp a di Torino. Eccola: “Quando riceverete

questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho

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passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi

fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo

ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un

altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro

azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramenteandarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che

voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…”.

L‟anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda : il nome di una donna e di un

negozio a Torino. “Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”. Il quotidiano all‟epoca

passò alla Questura la missiva per i dovuti riscontri. Sul tavolo di Rossi, una vita passata

all‟antiterrorismo, arrivò nel febbraio 2011 in modo casuale. Non era protocollata e non vennero fatti

accertamenti. Ma gli indizi per risalire al presunto guidatore della Honda di via Fani erano precisi.

Quell‟uomo, secondo un testimone ritenuto molto credibile, era a volto scoperto e aveva tratti del viso

che ricordavano Eduardo De Filippo. “Non so bene perché – racconta Rossi – ma questa inchiestatrova subito ostacoli . Chied o di fare riscontri ma non sono accontentato. L‟uomo su cui indago ha,

regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da

specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta”.

“Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla – prosegue l‟ex ispettore – predispongo un controllo

amministrativo nell‟abitazione. L‟uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica

dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice de lla seconda. Allora l‟accertamento

amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola

Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell‟edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del

16 marzo”. Il titolo era: “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”. “Nel frattempo – va avanti il racconto di Rossi – erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da

chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo . Chiedo subito di interrogare

l‟uomo che all‟epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato.

Ho qualche „incomprensione‟ nel mio ufficio. La situazione si „congela‟ e non si fa nessun altro passo,

che io sappia”.

“Capisco che è meglio che me ne vada e nell‟agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. Tempo

dopo, una „voce amica‟ di cui mi fido – dice l‟ex poliziotto – m‟informa che l‟uomo su cui indagavo è

morto dopo l‟estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le per izie balistiche

che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questodecido di raccontare l‟inchiesta „incompiuta‟”.

Rossi sequestrò una foto e ricorda che quell‟uomo aveva un viso allungato, simile a quello di De

Filippo: “Sì, gli assomigliava”. Fin qui l‟ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento

personale ma solo perché “quella è stata un‟occasione persa. E bisogna parlare per rispetto dei

morti”. Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto – ha accertato l‟ Ansa – nel settembre del

2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che

contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a

Roma dove è tuttora aperta un‟inchiesta della magistratura sul caso Moro.

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Sequestro Moro: «Le Brigate rossecoperte dai servizi segreti italiani»

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73.9% INDIGNATO 23.9% Allibito2.2% Indifferente

Enrico Rossi, il poliziotto al quale fu tolta l’indagine Br -servizi segreti

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marzo 1978 mentre le Brigate Rosse (da sole?) rapivano Aldo Moro emassacravano lasua scorta. Da quella moto partirono colpi di mitraglietta contro un testimone e fuquella moto che bloccò il traffico. La confessione post mortem di qualcuno che sapeva e lerivelazioni di un poliziotto riaprono i dubbi su uno dei passaggi più oscuri dellastoria italiana. E infatti nel racconto di Enrico Rossi , ispettore di pubblica sicurezza inpensione, si parla anche di prove distrutte dopo una breve indagine della magistraturaromana.Rossi ha parlato con Paolo Cucchiarelli, un giornalista dell’agenzia Ansa. «Tutto è partito

- ha spiegato - da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dellaHonda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’ altro, quello che guidava la moto».

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Rossi, che vive a Torino spiega con puntiglio e gentilezza sabauda che, secondo colui cheinviò la lettera anonima - che si qualificava come uno dei due sulla moto - gli agentiavevano il compito di «proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dalcolonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo1978».LA LETTERA ANONIMA Tutta l’inchiesta è nata da una lettera anonima inviata al quotidiano torinese LaStampa nell’ottobr e 2009. Eccola: «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsialmeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nelrimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi,il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. Lamattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello

Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino;il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasigenere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cosema nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontraloultimamente...» .LE INDAGINI L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda : il nome di una

donna e di un negozio di Torino. «Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne dipiù». Il quotidiano all’epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi,che ha sempre lavorato nell’ antiterrorismo , la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011in modo casuale . Non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole pocoa identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimoneritenuto molto credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso chericordavano Eduardo De Filippo . «Non so bene perché ma questa inchiesta trovasubito ostacoli . Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cuiindago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulovcecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad unamitraglietta». «Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un controlloamministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefonoe mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Alloral’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo,trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinariacellofanata de La Repubblica del 16 marzo». Il titolo era: «Aldo Moro rapito dalle BrigateRosse».I DEPISTAGGI «Nel frattempo - continua Rossi - erano arrivati i carabinieri non si sa bene

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chiamati da chi . Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo.Chiedo subito di inter rogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata.Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche `incomprensione´ nel mio ufficio.La situazione si `congela´ e non si fa nessun altro passo, che io sappia». «Capisco che èmeglio ch e me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni . Tempodopo, una `voce amica´ di cui mi fido - dice l’ex poliziotto - m’informa che l’uomo su cuiindagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senzaeffettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sonopiù importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta `incompiuta».Rossi ricorda, sequestrò una foto, che quell’uomo aveva un viso allungato, simile a quellodi De Filippo: «Sì, gli assomigliava». Fin qui l’ex ispettore, che rimarca di parlare senzaalcun risentimento personale ma solo perché «quella è stata un’occasione persa. E

bisogna parlare per rispetto dei morti».I RISCONTRI Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto - ha accertato l’ANSA - nelsettembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamentedistrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri dellaHonda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta dellamagistratura sul caso Moro. Per una volta sono tutti d’accordo: magistrati e Br. LaHonda blu presente in via Fani il 16 marzo del 1978 è un mistero. I capi brigatisti hanno

sempre negato che a bordo ci fossero due loro uomini, ma da quella moto si spararono -sicuramente - gli unici colpi verso un `civile´ presente sulla scena del rapimento,l’ingegner Alessandro Marini , uno dei testimoni più citati dalla sentenza del primoprocesso Moro. Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi suquella moto blu di grossa cilindrata: «Non è certamente roba nostrà».L’ingegner Marini si salvò solo perché cadde di lato quando una raffica partita da unpiccolo mitra fu scaricata contro d i lui `ad altezza d’uomo´ proprio da uno dei due che viaggiavano sulla moto. I proiettili frantumarono il parabrezza del suo motorino con ilquale l’ingegnere cercava di `passare´ all’incrocio tra via Fani e via Stresa. Marini fuinterrogato alle 10.15 del 16 marzo. Il conducente della moto - disse - era un giovane di20-22 anni, molto magro, con il viso lungo e le guance scavate, che a Marini ricordò«l’immagine dell’attore Edoardo De Filippo ». Dietro, sulla moto blu, un uomo con ilpassamontagna scuro che esplose colpi di mitra nella direzione dell’ingegnere perdendopoi il caricatore che cadde dal piccolo mitra durante la fuga. La sera a casa Marini arrivòla prima telefonata di minacce: `Devi stare zitto´ . Per giorni le intimidazionicontinuarono. Si rafforzarono quando tornò a testimoniare ad aprile e giugno. Poil’ingegnere capì l’aria, si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò lavoro. Ilcaricatore cadde certamente dalla moto e Marini, dicono le carte, lo fece ritrovare ma

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questo non sembra essere stato messo a raffronto con i tre mitra (ritrovati in covi Br) chespararono in via Fani (ce ne è anche un quarto, mai ritrovato).LE IPOTESI Di certo da quella moto si sparò per uccidere Marini, tanto che i brigatisti sono staticondannati in via definitiv a anche per il tentato omicidio dell’ingegnere. Marini d’altraparte confermò più volte durante i processi il suo racconto e consegnò il parabrezzatrapassato dai proiettili. A terra in via Fani rimasero quindi anche i proiettili sparati dalpiccolo mitra ma le perizie sembrano tacere su questo particolare . Sarebbe questal’ottava arma usata in via Fani: 4 mitra, 2 pistole, oltre alla pistola dell’agente Zizzi, chescortava Moro, e quella in mano all’uomo della Honda: il piccolo mitra. Su chi fossero i due sulla Honda tante ipotesi finora: due autonomi romani in `cerca digloria´ (ma perché allora sparare per uccidere?); due uomini della `ndrangheta (ma non

si è andati oltre l’ipotesi); o, come ha ventilato anche il pm romano AntonioMarini che ha indagato a lungo sulla vicenda, uomini dei servizi segreti o dellamalavita . I Br negano ma, ha detto il magistrato, «una spiegazione deve pur esserci. Io vedo un solo motivo: che si tratti di un argomento inconfessabile ». Uomini dellamalavita o dei servizi? «Allora tutto si spiegherebbe».Certo che quella mattina a pochi passi da via Fani c’era, per sua stessa ammissione,Camillo Guglielmi, indicato alternativamente come addestratore di Gladio o uomo deiservizi segreti, invitato a pranzo alle 9.15 di mattina da un suo collega. E Guglielmi è

proprio l’uomo dei servizi chiamato in causa nella lettera anonima che ha dato il via aTorino agli accertamenti sui due uomini a bordo Honda, poi trasferiti a Roma. AGuglielmi si è addebitata anche la guida di un gruppo clandestino del Sismi incaricato di`gestire´ il rapimento Moro secondo un’inchiesta che è anche nell’archivio dellaCommissione stragi, in Parlamento.

http://www.youtube.com/watch?v=GZ_HvDcrD6Y

Caso Moro, 36 anni dopo l’Honda di viaFani resta ancora un misteroI capi brigatisti hanno sempre negato che a bordo ci fossero due loro uomini, ma da quellamoto si spararono - sicuramente - gli unici colpi verso un 'civile' presente sulla scena delrapimento, l‟ingegner Alessandro Marini, uno dei testimoni più citati dalla sentenza delprimo processo. Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quellamoto blu di grossa cilindrata: "Non è certamente roba nostra"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 23 marzo 2014 Commenti (14)

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Più informazioni su: Aldo Moro , Brigate Rosse . Share on oknotizieShare on prin tShare on emailMore Sharing Services 64

Per una volta sono tutti d‟accordo: magistrati e Br. La Honda blu presente in via Fani il 16 marzo del

1978 è un mistero. I capi brigatisti hanno sempre negato che a bordo ci fossero due loro uomini, ma da

quella moto si spararono – sicuramente – gli unici colpi verso un „civile‟ presente sulla scena del

rapimento, l‟ingegner Alessandro Marini , uno dei testimoni più citati dalla sentenza del

primo processo Moro . Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quella moto

blu di grossa cilindrata: “Non è certamente roba nostra”. L‟ingegner Marini si salvò solo perché cadde di lato quando una raffica partita da un piccolo mitra fu

scaricata contro di lui ad altezza d‟uomo propri o da uno dei due che viaggiavano sulla moto. I proiettili

frantumarono il parabrezza del suo motorino con il quale l‟ingegnere cercava di „passare‟ all‟incrocio

tra via Fani e via Stresa. Marini fu interrogato alle 10.15 del 16 marzo. Il conducente della moto – disse

– era un giovane di 20-22 anni, molto magro, con il viso lungo e le guance scavate, che a Marini ricordò

“l‟immagine dell‟attore Eduardo De Filippo “. Dietro, sulla moto blu, un uomo con il

passamontagna scuro che esplose colpi di mitra nella direzione dell‟ingegnere perdendo poi il

caricatore che cadde dal piccolo mitra durante la fuga. La sera a casa Marini arrivò la prima telefonata

di minacce: “Devi stare zitto”. Per giorni le intimidazioni continuarono. Si rafforzarono quando tornò atestimoniare ad aprile e giugno. Poi l‟ingegnere capì l‟aria, si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò

lavoro.

Il caricatore cadde certamente dalla moto e Marini, dicono le carte, lo fece ritrovare ma questo non

sembra essere stato messo a raffronto con i tre mitra ritrovati in covi Br che spararono in via Fani

(ce ne è anche un quarto, mai ritrovato). Di certo da quella moto si sparò per uccidere Marini, tanto che

i brigatisti sono stati condannati in via definitiva anche per il tentato omicidio dell‟ingegnere. Marini

d‟altra parte confermò più volte durante i processi il suo racconto e consegnò il parabrezza trapassato

dai proiettili. A terra in via Fani rimasero quindi anche i proiettili sparati dal piccolo mitra ma le perizie

sembrano tacere su questo particolare. Sarebbe questa l‟ ottava arma usata in via Fani: 4 mitra, 2pistole, oltre alla pistola dell‟agente Zizzi, che scortava Moro, e quella in mano all‟uomo della Honda: il

piccolo mitra.

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Su chi fossero i due sulla Honda tante ipotesi finora: due autonomi romani in „cerca di gloria‟ (ma

perché allora sparare per uccidere?); due uomini della ‘ndrangheta (ma non si è andati oltre l‟ipotesi);

o, come ha ventilato anche il pm romano Antonio Marini che ha indagato a lungo sulla vicenda, uomini

dei servizi segreti o della malavita .

I Br negano ma, ha detto il magistrato, “una spiegazione deve pur esserci. Io vedo un solo motivo: chesi tratti di un argomento inconfessabile”. Uomini della malavita o dei servizi? “Allora tu tto si

spiegherebbe”. Certo che quella mattina a pochi passi da via Fani c‟era, per sua stessa

ammissione, Camillo Guglielmi , indicato alternativamente come addestratore di Gladio o uomo dei

servizi segreti, invitato a pranzo alle 9.15 di mattina da un suo collega. E Guglielmi è proprio l‟uomo dei

servizi chiamato in causa nella lettera anonima che ha dato il via a Torino agli accertamenti sui due

uomini a bordo Honda, poi trasferiti a Roma. A Guglielmi si è addebitata anche la guida di un gruppo

clandestino del Sismi incaricato di „gestire‟ il rapimento Moro secondo un‟inchiesta che è anche

nell‟archivio della Commissione stragi, in Parlamento.