carcinoma della tiroide - doctor33 · forme di carcinoma midollare familiare e alle neoplasie...

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649 17 Neoplasie endocrine CARCINOMA DELLA TIROIDE E DELLE PARATIROIDI Laura D. Locati, Roberta Granata, Lisa Licitra CARCINOMA DELLA TIROIDE EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO Il tumore della tiroide è considerato un tumore raro, rap- presentando solo l’1,7% di tutti i nuovi casi di tumore stimati nel mondo nel 2008 (Ferlay et al., 2010). È co- munque il tumore più comune del sistema endocrino, rappresentandone oltre il 95% dei casi (American Cancer Society, 2011). L’incidenza di questo tipo di tumore è au- mentata in tutto il mondo negli ultimi decenni (Liu et al., 2001; Lubina et al., 2006; Akslen et al., 1993; Reynolds et al., 2005; Levi et al., 2002), addirittura raddoppiata dagli anni Settanta a oggi. Nel 2012 in Italia sono stati registrati circa 14.000 nuovi casi di carcinoma tiroideo (Liu et al., 2001), mentre in Europa l’incidenza è stata di 31.000 casi circa. In Italia, nelle donne il carcinoma della tiroide è il secondo tumore più frequente dopo il tumore al seno per età inferiori ai 50 anni, mentre globalmente è al quinto posto (Italian Association of Cancer Registries, 2012). L’incremento dell’incidenza è da attribuire quasi esclusivamente al carcinoma papillare, mentre nessuna variazione significativa è stata osservata nell’incidenza delle forme meno comuni come il carcinoma follicolare, il carcinoma midollare e il carcinoma anaplastico (Davies e Welch, 2006). Non sono state ancora completamente chiarite le cause di questo aumento di incidenza, anche se l’incremento del numero di microcarcinomi (tumori <1 cm) farebbe pensare più a una correlazione con una migliore accuratezza degli strumenti diagnostici piuttosto che a un reale problema biologico (Hughes et al., 2011). Tuttavia, questo non spiegherebbe l’aumento del numero dei tumori di maggiori dimensioni in tutte le categorie di età (Chen et al., 2009) che suggerirebbe, al contrario, il coinvolgimento di molteplici fattori. La mortalità, in contrasto con l’incidenza, è stabile o in diminuzione sia negli Stati Uniti (Davies e Welch, 2006) sia in Europa (La Vecchia et al., 2010). La sopravvivenza a 10 anni va dal 90% per i carcinomi differenziati (Hundahl et al., 1998), al 74% per il carcinoma midollare della tiroi- de, mentre si riduce drammaticamente a meno di 1 anno nel carcinoma anaplastico. Una delle principali cause di sviluppo di carcinoma della tiroide è l’esposizione alle radiazioni ionizzanti. L’esposi- zione può essere: secondaria a ragioni terapeutiche, come succede nel caso di trattamenti radianti effettuati su collo e media- stino per tumori maligni oppure anche per patologia benigna (nel secolo scorso in particolare la radioterapia veniva usata anche per l’iperplasia adenoidea, la tinea capitis ecc.); accidentale, come in occasione del fallout seguito all’in- cidente atomico di Chernobyl nel 1986. Il rischio di sviluppare un tumore è massimo se l’e- sposizione si verifica in età pediatrica, tuttavia anche gli adulti sono a rischio di sviluppare un tumore, ad- dirittura sono stati descritti casi anche 40 anni dopo l’esposizione. La predisposizione genetica è responsabile di circa il 20- 25% dei casi di tumore della tiroide. In particolare, la mutazione germinale dell’oncogene RET è correlata alle forme di carcinoma midollare familiare e alle neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo 2. Meno evidente, invece, è la predisposizione genetica nelle forme di carcinoma differenziato. Il sesso femminile è colpito da questi tumori circa quattro volte di più rispetto agli uomini, facendo ipotizzare una suscettibilità ormonale in tale predisposizione. La dieta povera di iodio e l’obesità (Kitahara et al., 2011) aumentano il rischio di sviluppare un carcinoma tiroi- deo, così come il gozzo e i noduli benigni tiroidei sono associati a un aumento del rischio relativo di 3 e 30 volte rispettivamente. ISTOPATOLOGIA A seconda della cellula di origine i tumori della tiroide si dividono in tumori che derivano dalle cellule follicolari e tumori che derivano dalle cellule parafollicolari o cel- lule C (Fig. 17.1). Embriologicamente hanno un’origine distinta: le cellule follicolari hanno un’origine endoder- mica, mentre le cellule C derivano dalla cresta neurale. I carcinomi derivanti dalle cellule follicolari sono di gran lunga i più comuni e comprendono il carcinoma papillare

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Page 1: CARCINOMA DELLA TIROIDE - Doctor33 · forme di carcinoma midollare familiare e alle neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo 2. Meno evidente, invece, è la predisposizione genetica

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17Neoplasie endocrine

CarCiNoma della tiroide e delle paratiroidi

Laura D. Locati, Roberta Granata, Lisa Licitra

CARCINOMA DELLA TIROIDE EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIOIl tumore della tiroide è considerato un tumore raro, rap-presentando solo l’1,7% di tutti i nuovi casi di tumore stimati nel mondo nel 2008 (Ferlay et al., 2010). È co-munque il tumore più comune del sistema endocrino, rappresentandone oltre il 95% dei casi (American Cancer Society, 2011). L’incidenza di questo tipo di tumore è au-mentata in tutto il mondo negli ultimi decenni (Liu et al., 2001; Lubina et al., 2006; Akslen et al., 1993; Reynolds et al., 2005; Levi et al., 2002), addirittura raddoppiata dagli anni Settanta a oggi. Nel 2012 in Italia sono stati registrati circa 14.000 nuovi casi di carcinoma tiroideo (Liu et al., 2001), mentre in Europa l’incidenza è stata di 31.000 casi circa. In Italia, nelle donne il carcinoma della tiroide è il secondo tumore più frequente dopo il tumore al seno per età inferiori ai 50 anni, mentre globalmente è al quinto posto (Italian Association of Cancer Registries, 2012). L’incremento dell’incidenza è da attribuire quasi esclusivamente al carcinoma papillare, mentre nessuna variazione significativa è stata osservata nell’incidenza delle forme meno comuni come il carcinoma follicolare, il carcinoma midollare e il carcinoma anaplastico (Davies e Welch, 2006). Non sono state ancora completamente chiarite le cause di questo aumento di incidenza, anche se l’incremento del numero di microcarcinomi (tumori <1 cm) farebbe pensare più a una correlazione con una migliore accuratezza degli strumenti diagnostici piuttosto che a un reale problema biologico (Hughes et al., 2011). Tuttavia, questo non spiegherebbe l’aumento del numero dei tumori di maggiori dimensioni in tutte le categorie di età (Chen et al., 2009) che suggerirebbe, al contrario, il coinvolgimento di molteplici fattori.

La mortalità, in contrasto con l’incidenza, è stabile o in diminuzione sia negli Stati Uniti (Davies e Welch, 2006) sia in Europa (La Vecchia et al., 2010). La sopravvivenza a 10 anni va dal 90% per i carcinomi differenziati (Hundahl et al., 1998), al 74% per il carcinoma midollare della tiroi-

de, mentre si riduce drammaticamente a meno di 1 anno nel carcinoma anaplastico.

Una delle principali cause di sviluppo di carcinoma della tiroide è l’esposizione alle radiazioni ionizzanti. L’esposi-zione può essere:

●● secondaria a ragioni terapeutiche, come succede nel caso di trattamenti radianti effettuati su collo e media-stino per tumori maligni oppure anche per patologia benigna (nel secolo scorso in particolare la radioterapia veniva usata anche per l’iperplasia adenoidea, la tinea capitis ecc.);

●● accidentale, come in occasione del fallout seguito all’in-cidente atomico di Chernobyl nel 1986.

Il rischio di sviluppare un tumore è massimo se l’e-sposizione si verifica in età pediatrica, tuttavia anche gli adulti sono a rischio di sviluppare un tumore, ad-dirittura sono stati descritti casi anche 40 anni dopo l’esposizione.

La predisposizione genetica è responsabile di circa il 20-25% dei casi di tumore della tiroide. In particolare, la mutazione germinale dell’oncogene RET è correlata alle forme di carcinoma midollare familiare e alle neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo 2. Meno evidente, invece, è la predisposizione genetica nelle forme di carcinoma differenziato.

Il sesso femminile è colpito da questi tumori circa quattro volte di più rispetto agli uomini, facendo ipotizzare una suscettibilità ormonale in tale predisposizione.

La dieta povera di iodio e l’obesità (Kitahara et al., 2011) aumentano il rischio di sviluppare un carcinoma tiroi-deo, così come il gozzo e i noduli benigni tiroidei sono associati a un aumento del rischio relativo di 3 e 30 volte rispettivamente.

ISTOPATOLOGIAA seconda della cellula di origine i tumori della tiroide si dividono in tumori che derivano dalle cellule follicolari e tumori che derivano dalle cellule parafollicolari o cel-lule C (Fig. 17.1). Embriologicamente hanno un’origine distinta: le cellule follicolari hanno un’origine endoder-mica, mentre le cellule C derivano dalla cresta neurale. I carcinomi derivanti dalle cellule follicolari sono di gran lunga i più comuni e comprendono il carcinoma papillare

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650 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

le caratteristiche nucleari tipiche del carcinoma papillare. Rispetto al carcinoma papillare il coinvolgimento linfo-nodale è meno comune; la via di diffusione preferita è quella ematica tanto che si possono trovare metastasi a distanza (in particolare a livello polmonare e osseo) già alla diagnosi nel 20% dei casi.

L’invasione della capsula (definita come completa pene-trazione in una sede diversa da quella di una precedente biopsia) e l’invasione vascolare sono le caratteristiche mi-croscopiche che distinguono il carcinoma follicolare da un adenoma follicolare. Le cellule del carcinoma follicolare sono comunemente immunoreattive per tireoglobulina, TTF-1 e citocheratine a basso peso molecolare.

Il carcinoma a cellule Hurthle (HCC) o carcinoma oncoci-tico o ossifilo è una variante rara di carcinoma follicolare o, più raramente, di carcinoma papillare.

Il carcinoma follicolare oncocitico si differenzia dalla va-riante classica di carcinoma follicolare per motivi sia bio-logici sia clinici, tanto che alcuni Autori lo considerano come entità patologica distinta. Il carcinoma a cellule di Hurtle è composto dal 75% o più da cellule di Hurthle, tipicamente caratterizzate da un abbondante citoplasma granulare ed eosinofilo derivato dalla presenza di un nu-mero elevato di mitocondri. In contrasto con il comporta-mento tipico del carcinoma follicolare, l’HCC si presenta con coinvolgimento linfonodale cervicale nel 30% dei casi. Il 50% dei pazienti con carcinoma follicolare diffuso muore, mentre i pazienti con carcinoma follicolare con una minima invasività hanno un’aspettativa di sopravvi-venza simile a quella di una popolazione normale di età e sesso comparabile. Le stesse considerazioni valgono per l’HCC, anche se quest’ultimo è generalmente associato a un comportamento biologicamente più aggressivo rispetto al carcinoma follicolare, caratterizzato da una maggiore frequenza di recidiva locoregionale e metastasi a distanza (Locati et al., 2012).

Carcinoma poco differenziatoQuesto tipo di tumore è piuttosto raro, si manifesta più fre-quentemente nelle donne e nei pazienti di età superiore ai 50 anni. Deve essere distinto dal carcinoma anaplastico, può es-sere considerato come la fase terminale del processo di dedif-ferenziazione di un carcinoma follicolare o papillare oppure può svilupparsi de novo (Pilotti et al., 1997). Si presenta come una massa tiroidea unica, spesso a crescita rapida e infiltrante, con o senza coinvolgimento linfonodale laterocervicale e con metastasi a distanza. È comune l’immunoreattività per TTF-1 e tireoglobulina. La media di sopravvivenza a 5 anni è minore del 50% (Sobrinho-Simões et al., 2002).

Carcinoma midollareIl carcinoma midollare è un tumore di tipo neuroendocri-no. Si presenta in forma sporadica nel 75% dei casi, mentre nel 25% è associato a una forma di malattia ereditaria nell’ambito delle sindromi come la MEN2. La mutazione che attiva il gene RET è presente in più del 95% delle for-me familiari di questo tumore e nel 20-50% delle forme sporadiche. Le cellule sono rotondeggianti e poligonali, separate da stroma fibroso. In un esame citologico possono

(circa l’80% dei casi), il carcinoma follicolare (10%), il carcinoma scarsamente differenziato (4-6%), i tumori a cellule di Hurthle (ossifile) (3%) e il carcinoma anaplastico (2-5%). I secondi, originati dalle cellule C, sono noti come carcinomi midollari (5-10%).

I tumori papillari, quelli follicolari e le loro varianti sono comunemente raggruppati sotto il nome di carcinomi differenziati della tiroide.

Secondo l’ultima classificazione WHO (De Lellis et al., 2004) i tumori tiroidei maligni sono ripartiti come ripor-tato nella tabella 17.1. In questo capitolo non verranno discussi gli istotipi più rari, come il carcinoma mucoepi-dermoide e gli altri sottotipi eccezionali.

Carcinomapapillare

Carcinomascarsamentedifferenziato

Carcinomafollicolare

Carcinomamidollare

Cellulefollicolari

Cellule C

Tiroide

Carcinoma anaplastico

RASPAX8/PPARγ

RETRAS

RASBRAF

AKT mutALK mut

PIK3CA mutPIK3CA copy gain

p53

RASBRAF

PIK3CAAKTp53

RET/PTCBRAFRASTRK

FIG. 17.1 principali alterazioni geniche del carcinoma tiroideo.Per gentile concessione di MG Borrello.

Carcinoma papillareIl carcinoma papillare è il tumore epiteliale più frequen-te. Il picco di incidenza negli adulti è tra i 20 e i 50 anni; è anche la forma più comune di tumore maligno in età pediatrica. Può essere limitato a un solo lobo della ti-roide in circa la metà dei pazienti, mentre nel 30% dei casi può coinvolgere entrambi i lobi. Il microcarcinoma è raro in età infantile, ma molto comune nella popola-zione generale tanto che si può trovare in oltre il 30% dei pazienti in occasione di riscontri autoptici. La prin-cipale via di metastatizzazione è quella linfatica, infatti le metastasi linfonodali cervicali sono molto frequenti alla diagnosi.

Il carcinoma papillare “classico” è microscopicamente caratterizzato da un’architettura papillare e da una po-polazione di cellule follicolari con nuclei a “vetro sme-rigliato” e irregolarità dei contorni nucleari, con solchi e pseudoinclusioni nucleari. I corpi psammomatosi, che rappresentano una caratteristica tipica del carcinoma papillare, si trovano in almeno il 50% dei casi: sono pic-cole sfere con calcificazioni concentriche che possono essere presenti nello stroma del tumore, nella punta delle papille o negli spazi linfatici. Il carcinoma papillare è immunoreattivo per le citocheratine, la tireoglobulina e la trascrizione del fattore-1-tiroideo (TTF-1). I carcinomi papillari in genere esprimono TTF-1 e tireoglobulina, questo dato può essere utile per la diagnosi differenziale con gli adenocarcinomi polmonari che esprimono TTF-1, ma non tireoglobulina.

Le varianti istologiche del carcinoma papillare rappresen-tano il 15-20%. Quelle più comuni sono la variante folli-colare, la variante oncocitica, la variante a cellule chiare, la variante diffusa sclerosante, la variante a cellule alte, la variante a cellule colonnari, la variante solida e, infine, la variante cribrosa. In tutte queste varianti istologiche il trattamento è uguale a quello del carcinoma papillare classico; le varianti a cellule alte, a cellule colonnari e la variante solida sono biologicamente più aggressive (il tumore primitivo spesso si presenta con estensione extratiroidea e invasione vascolare) e sono associate a una prognosi peggiore. La prognosi della forma classica, benché eccellente (sopravvivenza a 5 anni del 90% per gli uomini e del 95% per le donne), è comunque influenzata dall’età del paziente, dalle dimensioni del tumore, dall’e-stensione extratiroidea, dalla radicalità dell’intervento chirurgico e dalla presenza di metastasi a distanza. A dif-ferenza di altri tumori solidi, le metastasi a distanza non compromettono la sopravvivenza in tempi brevi, infatti la sopravvivenza può essere molto prolungata con 42% dei pazienti vivi a 10 anni e 29% vivi a 20 anni. Polmone e osso sono le sedi più frequenti di metastasi a distanza (Durante et al., 2006).

Carcinoma follicolarePiù comune nelle donne sopra i 50 anni, è una forma rara in età pediatrica ed è più frequente nelle aree con carenza di iodio. Si presenta più spesso come un nodulo solitario e capsulato che può crescere progressivamente in assenza di sintomi fino a formare una grossa massa. È composto da cellule epiteliali, con differenziazione follicolare senza

• Carcinoma papillare: • Carcinoma follicolare: • Carcinoma scarsamente differenziato: • Carcinoma indifferenziato o anaplastico: • Carcinoma a cellule squamose: • Carcinoma mucoepidermoide: • Carcinoma mucoepidermoide sclerosante

con eosinofilia: • Carcinoma mucinoso: • Carcinoma midollare: • Carcinoma misto midollare e a cellule follicolari: • tumore a cellule fusate con differenziazione tipo

timica: • Carcinoma con differenziazione timica:

8260/3*8330/3

8020/38070/38430/38430/3

8480/38345/38346/38588/3

8589/3

* Codificazione mofologica della International Classification of Disease for Oncology (iCd-0) and the Systematized Nomenclature of Medicine.

TAbELLA 17.1 Classificazione istologica delle neoplasie tiroidee

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 651

le caratteristiche nucleari tipiche del carcinoma papillare. Rispetto al carcinoma papillare il coinvolgimento linfo-nodale è meno comune; la via di diffusione preferita è quella ematica tanto che si possono trovare metastasi a distanza (in particolare a livello polmonare e osseo) già alla diagnosi nel 20% dei casi.

L’invasione della capsula (definita come completa pene-trazione in una sede diversa da quella di una precedente biopsia) e l’invasione vascolare sono le caratteristiche mi-croscopiche che distinguono il carcinoma follicolare da un adenoma follicolare. Le cellule del carcinoma follicolare sono comunemente immunoreattive per tireoglobulina, TTF-1 e citocheratine a basso peso molecolare.

Il carcinoma a cellule Hurthle (HCC) o carcinoma oncoci-tico o ossifilo è una variante rara di carcinoma follicolare o, più raramente, di carcinoma papillare.

Il carcinoma follicolare oncocitico si differenzia dalla va-riante classica di carcinoma follicolare per motivi sia bio-logici sia clinici, tanto che alcuni Autori lo considerano come entità patologica distinta. Il carcinoma a cellule di Hurtle è composto dal 75% o più da cellule di Hurthle, tipicamente caratterizzate da un abbondante citoplasma granulare ed eosinofilo derivato dalla presenza di un nu-mero elevato di mitocondri. In contrasto con il comporta-mento tipico del carcinoma follicolare, l’HCC si presenta con coinvolgimento linfonodale cervicale nel 30% dei casi. Il 50% dei pazienti con carcinoma follicolare diffuso muore, mentre i pazienti con carcinoma follicolare con una minima invasività hanno un’aspettativa di sopravvi-venza simile a quella di una popolazione normale di età e sesso comparabile. Le stesse considerazioni valgono per l’HCC, anche se quest’ultimo è generalmente associato a un comportamento biologicamente più aggressivo rispetto al carcinoma follicolare, caratterizzato da una maggiore frequenza di recidiva locoregionale e metastasi a distanza (Locati et al., 2012).

Carcinoma poco differenziatoQuesto tipo di tumore è piuttosto raro, si manifesta più fre-quentemente nelle donne e nei pazienti di età superiore ai 50 anni. Deve essere distinto dal carcinoma anaplastico, può es-sere considerato come la fase terminale del processo di dedif-ferenziazione di un carcinoma follicolare o papillare oppure può svilupparsi de novo (Pilotti et al., 1997). Si presenta come una massa tiroidea unica, spesso a crescita rapida e infiltrante, con o senza coinvolgimento linfonodale laterocervicale e con metastasi a distanza. È comune l’immunoreattività per TTF-1 e tireoglobulina. La media di sopravvivenza a 5 anni è minore del 50% (Sobrinho-Simões et al., 2002).

Carcinoma midollareIl carcinoma midollare è un tumore di tipo neuroendocri-no. Si presenta in forma sporadica nel 75% dei casi, mentre nel 25% è associato a una forma di malattia ereditaria nell’ambito delle sindromi come la MEN2. La mutazione che attiva il gene RET è presente in più del 95% delle for-me familiari di questo tumore e nel 20-50% delle forme sporadiche. Le cellule sono rotondeggianti e poligonali, separate da stroma fibroso. In un esame citologico possono

essere confuse con le cellule del carcinoma anaplastico. Sono immunoreattive per calcitonina, antigene carcino-embrionale (CEA) e altri marker neuroendocrini come la cromogranina A e la sinaptofisina. Caratteristicamente si trovano depositi di amiloide. In genere, il carcinoma mi-dollare si presenta intorno ai 50 anni, non è capsulato, può essere un nodulo singolo, se sporadico, oppure costituito da noduli multipli, soprattutto nelle forme familiari. In circa il 50% dei casi c’è un coinvolgimento linfonodale cervicale e fino al 15% sono presenti metastasi a distanza. La calcitonina è il marcatore distintivo di questo tumore. Prodotta dalle cellule C, ha un potenziale valore sia dia-gnostico sia prognostico (valori di calcitonina alla diagnosi fra 150 pg/mL e 400 pg/mL sono suggestivi di metastasi a distanza). La sopravvivenza a 5 e 10 anni è rispettivamente 83% e 74%. Solo i pazienti con malattia intramidollare hanno maggiore probabilità di guarigione. La presenza di metastasi a distanza può essere associata a una sopravvi-venza prolungata (50% a 3 anni e 20% a 8 anni) (Gharib et al., 1992). La diffusione di malattia può avvenire per via linfatica ed ematica (polmone e fegato). Le metastasi epatiche possono essere confuse con cisti semplici alla TC e all’ecografia, per cui nei casi dubbi è raccomandabile un studio mirato del fegato con una TC trifasica oppure con una RM del fegato con mdc. Anche la cute e l’osso possono essere interessati da metastasi a distanza. Le localizzazioni ossee sono maggiormente di tipo intramidollare per cui la scintigrafia ossea può sottostimare l’estensione della malattia e in presenza di dubbio clinico potrebbe essere utile effettuare una RM mirata.

Carcinoma anaplasticoIl carcinoma anaplastico è uno dei tumori in assoluto più maligni. Si presenta di solito in età avanzata, solo il 25% dei pazienti ha meno di 60 anni. Può derivare da una forma differenziata o può originarsi de novo. Il carcinoma anaplastico è composto da cellule indifferenziate che mo-strano caratteristiche immunofenotipiche di tipo epiteliale: possono esprimere le citocheratine e TTF-1, mentre la tireo-globulina è in genere assente. Si riconoscono tre principali pattern istologici: a cellule fusate, a cellule giganti pleo-morfiche e a cellule squamose. Rare varianti sono la forma paucicellulata e quella rabdoide. Non c’è correlazione fra prognosi e variante istologica, eccetto che per la forma paucicellulata più frequente nei giovani e caratterizzata da un andamento indolente meno aggressivo (Smallridge et al., 2012). Il carcinoma tiroideo poco differenziato, il carcinoma tiroideo a cellule squamose e altre entità con andamento clinico più favorevole possono entrare in dia-gnosi istologica differenziale con il carcinoma anaplastico. Dal punto di vista clinico si presenta con una grossa massa tiroidea, a crescita rapida e con tendenza a infiltrare i tessu-ti molli e le strutture circostanti. La laringe (15%), il nervo laringeo (30%), l’esofago (30%) e la trachea (50%) sono frequentemente coinvolti (McIver et al., 2001). L’andamen-to di questa malattia può essere così rapido che procedure chirurgiche quali tracheotomia o gastrostomie, eseguite a scopo di supporto, potrebbero risultare inutili. Metastasi a distanza sono presenti in più del 50% dei pazienti alla diagnosi, la sopravvivenza mediana è 5-6 mesi, mentre la sopravvivenza a 1 anno è 20%.

Carcinoma papillareIl carcinoma papillare è il tumore epiteliale più frequen-te. Il picco di incidenza negli adulti è tra i 20 e i 50 anni; è anche la forma più comune di tumore maligno in età pediatrica. Può essere limitato a un solo lobo della ti-roide in circa la metà dei pazienti, mentre nel 30% dei casi può coinvolgere entrambi i lobi. Il microcarcinoma è raro in età infantile, ma molto comune nella popola-zione generale tanto che si può trovare in oltre il 30% dei pazienti in occasione di riscontri autoptici. La prin-cipale via di metastatizzazione è quella linfatica, infatti le metastasi linfonodali cervicali sono molto frequenti alla diagnosi.

Il carcinoma papillare “classico” è microscopicamente caratterizzato da un’architettura papillare e da una po-polazione di cellule follicolari con nuclei a “vetro sme-rigliato” e irregolarità dei contorni nucleari, con solchi e pseudoinclusioni nucleari. I corpi psammomatosi, che rappresentano una caratteristica tipica del carcinoma papillare, si trovano in almeno il 50% dei casi: sono pic-cole sfere con calcificazioni concentriche che possono essere presenti nello stroma del tumore, nella punta delle papille o negli spazi linfatici. Il carcinoma papillare è immunoreattivo per le citocheratine, la tireoglobulina e la trascrizione del fattore-1-tiroideo (TTF-1). I carcinomi papillari in genere esprimono TTF-1 e tireoglobulina, questo dato può essere utile per la diagnosi differenziale con gli adenocarcinomi polmonari che esprimono TTF-1, ma non tireoglobulina.

Le varianti istologiche del carcinoma papillare rappresen-tano il 15-20%. Quelle più comuni sono la variante folli-colare, la variante oncocitica, la variante a cellule chiare, la variante diffusa sclerosante, la variante a cellule alte, la variante a cellule colonnari, la variante solida e, infine, la variante cribrosa. In tutte queste varianti istologiche il trattamento è uguale a quello del carcinoma papillare classico; le varianti a cellule alte, a cellule colonnari e la variante solida sono biologicamente più aggressive (il tumore primitivo spesso si presenta con estensione extratiroidea e invasione vascolare) e sono associate a una prognosi peggiore. La prognosi della forma classica, benché eccellente (sopravvivenza a 5 anni del 90% per gli uomini e del 95% per le donne), è comunque influenzata dall’età del paziente, dalle dimensioni del tumore, dall’e-stensione extratiroidea, dalla radicalità dell’intervento chirurgico e dalla presenza di metastasi a distanza. A dif-ferenza di altri tumori solidi, le metastasi a distanza non compromettono la sopravvivenza in tempi brevi, infatti la sopravvivenza può essere molto prolungata con 42% dei pazienti vivi a 10 anni e 29% vivi a 20 anni. Polmone e osso sono le sedi più frequenti di metastasi a distanza (Durante et al., 2006).

Carcinoma follicolarePiù comune nelle donne sopra i 50 anni, è una forma rara in età pediatrica ed è più frequente nelle aree con carenza di iodio. Si presenta più spesso come un nodulo solitario e capsulato che può crescere progressivamente in assenza di sintomi fino a formare una grossa massa. È composto da cellule epiteliali, con differenziazione follicolare senza

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652 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

è legato all’esperienza dell’operatore, sia l’ecografista sia il citologo. Il primo requisito per una diagnosi citoistologica corretta è l’adeguatezza del preparato. Infatti, un campione inadeguato non può escludere una lesione maligna, anche in caso di citologia negativa (Tab. 17.2).

L’esito dell’esame citoistologico è legato alle decisioni terapeutiche successive (Tab. 17.3) (Sobin et al., 2009). Il Tir 3 comprende un gruppo eterogeneo di lesioni in cui si possono trovare sia noduli benigni (per esempio, nodulo iperplastico, adenoma follicolare) sia noduli maligni come il carcinoma differenziato (papillare o follicolare) oppure la variante follicolare di un carcinoma midollare. Per que-sto motivo una proliferazione follicolare deve essere sem-pre trattata chirurgicamente. L’analisi di alcuni marcatori molecolari nel liquido di lavaggio del FNA (per esempio, BRAF, RET/PCR, RAS, PAX8/PPARg) potrebbe distinguere la proliferazione benigna da quella neoplastica.

Carcinoma a cellule squamoseIl carcinoma a cellule squamose è una variante istologica rarissima che include circa l’1% di tutti i tumori tiroidei, più frequente negli anziani e nel sesso femminile. L’aspetto istologico di questa forma non è dissimile dalle altre for-me di carcinoma squamocellulare che originano in altri distretti. Deve essere distinto in prima istanza dalla forma più frequente di carcinoma squamocellulare della laringe che infiltra la tiroide per estensione diretta o da una loca-lizzazione secondaria di carcinoma squamocellulare. La presenza nell’ambito della tiroide di un carcinoma papil-lare o follicolare ben differenziato accanto a un carcinoma squamocellulare e l’assenza di lesioni primitive in altre organi sono segni suggestivi di una primitività tiroidea. La stadiazione è uguale a quella del carcinoma anaplastico così come il comportamento clinico e la prognosi.

ALTERAZIONI MOLECOLARI Nel 70% dei carcinomi papillari è presente una muta-zione genetica; le più frequenti riscontrate interessano il riarrangiamento dei geni RET, TRK, ALK e le mutazioni puntiformi dei geni BRAF e RAS. La sostituzione di valina a glutammato nella proteina V600E di BRAF (BRAFV600E) è la mutazione più frequentemente riportata (dal 29% al 69% dei casi a seconda delle casistiche) ed è associata con caratteristiche biologiche di maggiore aggressività. Le alte-razioni molecolari più frequenti dei carcinomi follicolari sono mutazioni di RAS e il riarrangiamento PAX8/PPARg.

In relazione all’origine dalle forme differenziate, nei car-cinomi poco differenziati e nei carcinomi anaplastici si possono trovare mutazioni di RAS e BRAF (tipiche delle forme differenziate). La mutazione inattivante di TP53 è un processo invece tardivo della tumorigenesi. Questa mutazione è presente nell’80% dei carcinomi anaplastici e nel 30% dei carcinomi poco differenziati (Sherman et al., 2008). Più frequentemente nei carcinomi anaplastici si trovano anche mutazioni dei geni PIK3CA, PTEN e ALK.

L’oncogene RET è coinvolto nella patogenesi sia del carci-noma papillare sia del carcinoma midollare. In particolare nel 20-30% dei carcinomi papillari è presente il riarran-giamento del gene RET che porta alla formazione di un prodotto di fusione denominato RET/PTC. Il prodotto di questo riarrangiamento è una proteina costitutivamente attivata e dotata di attività tirosinchinasica (TK). Sono state descritte almeno 12 varianti di RET/PTC, le più frequenti sono RET/PTC1 e RET/PTC3. Lo stesso riarrangiamento è stato descritto recentemente nell’1-2% degli adenocarcino-mi polmonari (Fig. 17.2) (Sherman et al., 2008).

Nel carcinoma midollare il meccanismo patogenetico che porta all’attivazione di RET è la mutazione puntiforme (si veda Fig. 17.2) presente in forma germinale nel 95% dei tumori midollari associati alla MEN2 e in forma so-matica nel 30-50% dei carcinomi midollari sporadici. Le mutazioni possono verificarsi in diversi codoni di RET, la mutazione più frequente è la M918T che si verifica nella porzione intracellulare della tasca chinasica ed è associata con una maggiore aggressività della malattia. Nelle forme ereditarie la presenza della mutazione germinale di RET può favorire un intervento preventivo.

Recentemente mutazioni di RAS, in particolare di HRAS e KRAS al codone 61 sono state rilevate nel 68% dei car-cinomi midollari sporadici RET negativi. Solo il 2,5% dei carcinomi midollari RET positivi è anche portatore della mutazione di RAS da cui si deduce che le due alterazioni genetiche sono mutuamente esclusive.

Una caratteristica che accumuna le anomalie genetiche nel carcinoma tiroideo è la loro policlonalità, fattore da non trascurare soprattutto per l’aspetto terapeutico legato ai trattamenti target.

SCREENINGNon vi sono sufficienti dati clinici a supporto di un pro-gramma di screening per i carcinomi della tiroide.

DIAGNOSII noduli tiroidei sono di frequente riscontro nella popo-lazione, in particolare nelle donne. Spesso si trovano acci-dentalmente nel corso di esami ecografici, possono essere singoli o multipli, come accade nel gozzo. La quasi totalità di questi noduli sono benigni e pertanto non richiedono ulteriori accertamenti diagnostici. Solo i noduli >1 cm do-vrebbero essere sottoposti a indagini ulteriori se associati ad alcuni dati anamnestici quali una pregressa radioterapia del capo e del collo o dell’intero corpo per trapianto di midollo osseo, una storia familiare di carcinoma tiroideo o di cancro tiroideo sindromico (per esempio, sindrome di Cowden, poliposi familiare, complesso di Carney, MEN2, sindrome di Werner) in un familiare di primo grado, l’e-sposizione a radiazioni ionizzanti da fallout, oppure una rapida crescita del nodulo con modificazione del tono della voce.

Oltre a una rapida crescita del nodulo, la paralisi delle cor-de vocali, la presenza di adenopatie al collo e l’immobilità del nodulo rispetto ai tessuti circostanti sono segni clinici molto sospetti di malignità. Molto raro è il quadro clinico correlato alla “sindrome da rilascio di catecolamine” che si presenta con diarrea e flushing al viso e al collo in occasione dell’assunzione di cibo e di alcol, esclusivo del carcinoma midollare della tiroide.

In presenza di un nodulo tiroideo sospetto, il dosaggio della tireoglobulina sierica (Tg) non è un esame racco-mandato. Infatti, la Tg è molto sensibile e poco specifica (aumenta in presenza di patologie tiroidee sia benigne sia maligne). Invece, è consigliato il dosaggio della calcito-nina: valori basali superiori a 100 pg/mL sono suggestivi della presenza di un carcinoma midollare.

L’ecografia tiroidea è l’esame più accurato per lo studio della tiroide e dei linfonodi del collo ed è mandatoria in caso di un nodulo palpabile. I noduli ipoecogeni con margini irregolari e ipervascolarizzati all’ecocolordoppler sono da considerarsi sospetti.

L’esame citoistologico ottenuto con agobiopsia (FNAB) in combinazione con l’ecografia ha una sensibilità dia-gnostica superiore al 95%, una specificità del 96% con un’accuratezza del 98%. È una metodica rapida ed accurata ed è la più efficace nella diagnosi di natura di un nodulo tiroideo. Tuttavia, il limite di accuratezza della procedura

FIG. 17.2 oncoproteine RET. MTC: carcinoma midollare; PTC: carci- noma papillare; NSCLC: carcinoma polmonare non a piccole cellule. Per gentile concessione di MG Borrello.

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 653

è legato all’esperienza dell’operatore, sia l’ecografista sia il citologo. Il primo requisito per una diagnosi citoistologica corretta è l’adeguatezza del preparato. Infatti, un campione inadeguato non può escludere una lesione maligna, anche in caso di citologia negativa (Tab. 17.2).

L’esito dell’esame citoistologico è legato alle decisioni terapeutiche successive (Tab. 17.3) (Sobin et al., 2009). Il Tir 3 comprende un gruppo eterogeneo di lesioni in cui si possono trovare sia noduli benigni (per esempio, nodulo iperplastico, adenoma follicolare) sia noduli maligni come il carcinoma differenziato (papillare o follicolare) oppure la variante follicolare di un carcinoma midollare. Per que-sto motivo una proliferazione follicolare deve essere sem-pre trattata chirurgicamente. L’analisi di alcuni marcatori molecolari nel liquido di lavaggio del FNA (per esempio, BRAF, RET/PCR, RAS, PAX8/PPARg) potrebbe distinguere la proliferazione benigna da quella neoplastica.

Recentemente mutazioni di RAS, in particolare di HRAS e KRAS al codone 61 sono state rilevate nel 68% dei car-cinomi midollari sporadici RET negativi. Solo il 2,5% dei carcinomi midollari RET positivi è anche portatore della mutazione di RAS da cui si deduce che le due alterazioni genetiche sono mutuamente esclusive.

Una caratteristica che accumuna le anomalie genetiche nel carcinoma tiroideo è la loro policlonalità, fattore da non trascurare soprattutto per l’aspetto terapeutico legato ai trattamenti target.

SCREENINGNon vi sono sufficienti dati clinici a supporto di un pro-gramma di screening per i carcinomi della tiroide.

DIAGNOSII noduli tiroidei sono di frequente riscontro nella popo-lazione, in particolare nelle donne. Spesso si trovano acci-dentalmente nel corso di esami ecografici, possono essere singoli o multipli, come accade nel gozzo. La quasi totalità di questi noduli sono benigni e pertanto non richiedono ulteriori accertamenti diagnostici. Solo i noduli >1 cm do-vrebbero essere sottoposti a indagini ulteriori se associati ad alcuni dati anamnestici quali una pregressa radioterapia del capo e del collo o dell’intero corpo per trapianto di midollo osseo, una storia familiare di carcinoma tiroideo o di cancro tiroideo sindromico (per esempio, sindrome di Cowden, poliposi familiare, complesso di Carney, MEN2, sindrome di Werner) in un familiare di primo grado, l’e-sposizione a radiazioni ionizzanti da fallout, oppure una rapida crescita del nodulo con modificazione del tono della voce.

Oltre a una rapida crescita del nodulo, la paralisi delle cor-de vocali, la presenza di adenopatie al collo e l’immobilità del nodulo rispetto ai tessuti circostanti sono segni clinici molto sospetti di malignità. Molto raro è il quadro clinico correlato alla “sindrome da rilascio di catecolamine” che si presenta con diarrea e flushing al viso e al collo in occasione dell’assunzione di cibo e di alcol, esclusivo del carcinoma midollare della tiroide.

In presenza di un nodulo tiroideo sospetto, il dosaggio della tireoglobulina sierica (Tg) non è un esame racco-mandato. Infatti, la Tg è molto sensibile e poco specifica (aumenta in presenza di patologie tiroidee sia benigne sia maligne). Invece, è consigliato il dosaggio della calcito-nina: valori basali superiori a 100 pg/mL sono suggestivi della presenza di un carcinoma midollare.

L’ecografia tiroidea è l’esame più accurato per lo studio della tiroide e dei linfonodi del collo ed è mandatoria in caso di un nodulo palpabile. I noduli ipoecogeni con margini irregolari e ipervascolarizzati all’ecocolordoppler sono da considerarsi sospetti.

L’esame citoistologico ottenuto con agobiopsia (FNAB) in combinazione con l’ecografia ha una sensibilità dia-gnostica superiore al 95%, una specificità del 96% con un’accuratezza del 98%. È una metodica rapida ed accurata ed è la più efficace nella diagnosi di natura di un nodulo tiroideo. Tuttavia, il limite di accuratezza della procedura

A) MUTAZIONI PUNTIFORMI IN CELLULE GERMINALI/SOMATICHE

- MTC

B) RIARRANGIAMENTO DEI GENI SOMATICi

- PTC - NSCLC

634 634

918

MEN2A MEN2B

CCDC6 NcoA4 FUSIONE KIF5B CCDC6

RET/PTC1 RET/PTC3 ALTRI RET/PTCs KIF5B-RET CCDC6-RET(RET/PTC1)

FIG. 17.2 oncoproteine RET. MTC: carcinoma midollare; PTC: carci- noma papillare; NSCLC: carcinoma polmonare non a piccole cellule. Per gentile concessione di MG Borrello.

tir 1 Non diagnostico (inadeguato o non interpretabile)

tir 2 Negativo per cellule tumorali maligne (gozzo o tiroidite)

tir 3 proliferazione follicolare

tir 4 Sospetto per malignità

tir 5 maligno

Modificata da: SIAPEC. Classificazione Citologica. Consensus Citologico Gruppo di Lavoro SIAPEC-IAP 2008.

TAbELLA 17.2 Categorie diagnostiche dell’esame citoistologico

La TC e la RM sono esami di II livello che in genere ven-gono richiesti per la programmazione chirurgica nelle lesioni di maggiori dimensioni con impegno mediasti-

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654 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

dioterapia del distretto testa-collo). Per quanto riguarda i linfonodi del collo, è consigliata la dissezione terapeutica del compartimento centrale (livello VI) in caso di malattia clinicamente evidente, oppure profilattica nei pazienti con carcinoma papillare con malattia avanzata (T3-T4) (Cooper et al., 2009). La dissezione degli altri comparti-menti linfonodali è indicata solo in presenza di metastasi clinicamente evidenti.

Dopo 4-6 settimane dall’intervento chirurgico i pazienti devono essere sottoposti all’ablazione dell’eventuale re-siduo di tessuto tiroideo con una dose di iodio 131 (131I) che varia da 30 a 100 mCi e successiva scintigrafia whole body per rilevare eventuali sedi di ipercaptazione. L’abla-zione deve essere fatta in ipotiroidismo che si può ottenere sospendendo la terapia con LT4 oppure con il TSH ricom-binante. Il dosaggio della Tg dovrebbe essere effettuato al-meno una volta all’anno. Valori di Tg rilevabili (in assenza di autoanticorpi) pongono il sospetto di una recidiva di malattia. In questi casi potrebbe essere indicata la sommi-nistrazione di una dose terapeutica di 131I (Pineda et al., 1995). È possibile ripetere la terapia con 131I finché persiste una captazione o fin quando non si raggiungano dosaggi per cui la malattia è considerata radio-iodio-resistente (Russell et al., 2005).

Non devono essere sottoposti a trattamento con 131I pa-zienti con carcinoma papillare unifocale <1 cm oppure multifocale se tutti i noduli sono <1 cm in assenza di fat-tori di rischio maggiori. I pazienti con malattia a rischio intermedio (T1b e stadio II) e alto (stadio III e IV) dovran-no essere trattati con terapia ormonale soppressiva (cioè dovrà mantenere valori di TSH <0,1 µUl/mL) per ridurre la probabilità di recidiva.

Carcinoma midollareLa tiroidectomia totale con dissezione linfonodale centrale del VI livello è la terapia standard. La terapia metabolica con lo 131I non ha alcun valore terapeutico nel carcinoma midollare, così come non deve essere effettuata una terapia ormonale soppressiva; il TSH deve rimanere nei limiti di norma. I valori di calcitonina dovrebbero normalizzarsi entro 2-3 mesi dall’intervento chirurgico. L’assenza di in-cremento dei valori di calcitonina dopo un test di stimolo con il calcio sono a favore di una cura biochimica della malattia, mentre valori elevati di calcitonina nel postope-ratorio sono suggestivi della persistenza di malattia. Valori maggiori di 500 pg/mL dopo la chirurgia sono sospetti per localizzazioni sistemiche, anche occulte all’imaging radio-logico. Il tempo di raddoppiamento di CEA e calcitonina sono correlati all’aggressività della malattia.

MALATTIA METASTATICAIl carcinoma della tiroide metastatico fino a pochi anni fa era una patologia quasi completamente sconosciuta all’oncologo medico, soprattutto per l’assenza di tratta-menti chemioterapici efficaci sia per le forme differenziate iodio-resistenti sia per i carcinomi midollari.

Le alterazioni molecolari che caratterizzano i tumori ti-roidei in combinazione con la presenza sul mercato di farmaci target ha risvegliato l’interesse per queste patologie.

Carcinomi tiroidei follicolari, papillari e midollari

*tX il tumore primitivo non può essere determinato

t0 assenza di tumore primitivo

t1a ≤1 cm intratiroideo

t1b >1 cm e <2 cm intratiroideo

t2 >2 e <4 cm intratiroideo

t3 >4 cm intratiroideo o con minima estensione extratiroidea

t4a estensione extracapsulare con interessamento del tessuto sottocutaneo, laringe, trachea, esofago, nervo laringeo ricorrente

t4b interessamento di fascia prevertebrale, vasi mediastinici, arteria carotide

Carcinomi anaplastici

t4a tumore limitato alla tiroide, resecabile

t4b tumore con estensione extratiroidea, non resecabile

Tutti i tipi

NX linfonodi regionali non possono essere determinati

N0 assenza di lesioni linfonodali

N1a lesioni che interessano Vi livello (pretracheali, paratracheali, prelaringei, linfonodi delfici)

N1b lesioni che interessano linfonodi laterocervicali unilaterali, bilaterali e controlaterali (livelli i-V), retrofaringei o mediastino superiore

* i tumori multifocali sono classificati come (m); per la stadiazione bisogna fare riferimento al nodulo di maggiori dimensioni.

Stadio

Papillare o follicolare (età <45 anni)

i Qualsiasi t qualsiasi N m0

ii Qualsiasi t qualsiasi N m1

Papillare o follicolare (età ≥45 anni)

i t1a, t1b N0 m0

ii t2 N0 m0

iii t3 N0 m0t1, t2, t3 N1a m0

iVa t1, t2, t3 N1b m0t4a N0, N1 m0

iVb t4b qualsiasi N m0

iVc Qualsiasi t qualsiasi N m1

Midollare

i t1a, t1b N0 m0

ii t2, t3 N0 m0

iii t1, t2, t3 N1a m0

iVa t1, t2, t3 N1b m0t4a qualsiasi N m0

iVb t4b qualsiasi N m0

iVc Qualsiasi t qualsiasi N m1

Stadio

Anaplastico

iVa t4a qualsiasi N m0

iVb t4b qualsiasi N m0

iVc Qualsiasi t qualsiasi N m1

TAbELLA 17.3 Classificazione tNm del carcinoma della tiroide

nico, oppure nel dubbio di infiltrazione delle strutture anatomiche vicine; la TC può essere utilizzata anche per la stadiazione a distanza, tuttavia bisogna ricordare che il suo mezzo di contrasto è di tipo iodato e potrebbe interferire con i programmi terapeutici successivi, in particolare per i carcinomi differenziati.

La 18F-FDG-PET non è da utilizzare come esame di scre-ening nei carcinomi differenziati; può essere utile nel fol-low-up nel sospetto di una recidiva o di malattia metasta-tica, in particolare nel caso di una malattia iodio-resistente dove la captazione alla PET è inversamente correlata alla captazione dello iodio.

La 18F-DOPA-PET e la 68 Ga-DOTA-PET sembrerebbero più sensibili rispetto alla 18F-FDG-PET nei casi dubbi di re-cidiva o localizzazioni secondarie da carcinoma midollare.

STADIAZIONEPer i carcinomi differenziati della tiroide sono stati pro-posti numerosi sistemi di stadiazione (per esempio Age, Metastses, Extent, Size (AMES); Metastases, Age, Completeness of resection, Invasion, Size (MACIS); Grade, Age, Metastases,

Extent, Size (GAMES) ecc.). Tra questi il più accurato e il più diffuso è il sistema TNM (Tab. 17.3) (Sobin et al., 2009). Nella versione più recente del 2009, i carcinomi differenziati, i carcinomi midollari e i carcinomi anapla-stici sono stati classificati separatamente. Il carcinoma papillare e il carcinoma follicolare sono trattati insieme; in questi tumori l’età inferiore o uguale a 45 anni era già stata introdotta nelle edizioni passate del TNM come ulteriore fattore prognostico.

I carcinomi anaplastici sono considerati sempre T4 a pre-scindere dalla dimensione della malattia primitiva.

TERAPIACarcinomi differenziatiLa terapia di prima scelta è la chirurgia. In genere, viene effet-tuata la tiroidectomia totale o quasi totale, seguita da terapia ormonale sostitutiva con valori di TSH fra 0,1 e 0,5 µUl/mL (Cooper et al., 2009); la lobectomia può essere fatta solo in casi molto selezionati (nodulo <1 cm, a basso rischio, unifocale, istologia papillare, intratiroideo, senza linfo-nodi cervicali coinvolti e in assenza di una pregressa ra-

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 655

dioterapia del distretto testa-collo). Per quanto riguarda i linfonodi del collo, è consigliata la dissezione terapeutica del compartimento centrale (livello VI) in caso di malattia clinicamente evidente, oppure profilattica nei pazienti con carcinoma papillare con malattia avanzata (T3-T4) (Cooper et al., 2009). La dissezione degli altri comparti-menti linfonodali è indicata solo in presenza di metastasi clinicamente evidenti.

Dopo 4-6 settimane dall’intervento chirurgico i pazienti devono essere sottoposti all’ablazione dell’eventuale re-siduo di tessuto tiroideo con una dose di iodio 131 (131I) che varia da 30 a 100 mCi e successiva scintigrafia whole body per rilevare eventuali sedi di ipercaptazione. L’abla-zione deve essere fatta in ipotiroidismo che si può ottenere sospendendo la terapia con LT4 oppure con il TSH ricom-binante. Il dosaggio della Tg dovrebbe essere effettuato al-meno una volta all’anno. Valori di Tg rilevabili (in assenza di autoanticorpi) pongono il sospetto di una recidiva di malattia. In questi casi potrebbe essere indicata la sommi-nistrazione di una dose terapeutica di 131I (Pineda et al., 1995). È possibile ripetere la terapia con 131I finché persiste una captazione o fin quando non si raggiungano dosaggi per cui la malattia è considerata radio-iodio-resistente (Russell et al., 2005).

Non devono essere sottoposti a trattamento con 131I pa-zienti con carcinoma papillare unifocale <1 cm oppure multifocale se tutti i noduli sono <1 cm in assenza di fat-tori di rischio maggiori. I pazienti con malattia a rischio intermedio (T1b e stadio II) e alto (stadio III e IV) dovran-no essere trattati con terapia ormonale soppressiva (cioè dovrà mantenere valori di TSH <0,1 µUl/mL) per ridurre la probabilità di recidiva.

Carcinoma midollareLa tiroidectomia totale con dissezione linfonodale centrale del VI livello è la terapia standard. La terapia metabolica con lo 131I non ha alcun valore terapeutico nel carcinoma midollare, così come non deve essere effettuata una terapia ormonale soppressiva; il TSH deve rimanere nei limiti di norma. I valori di calcitonina dovrebbero normalizzarsi entro 2-3 mesi dall’intervento chirurgico. L’assenza di in-cremento dei valori di calcitonina dopo un test di stimolo con il calcio sono a favore di una cura biochimica della malattia, mentre valori elevati di calcitonina nel postope-ratorio sono suggestivi della persistenza di malattia. Valori maggiori di 500 pg/mL dopo la chirurgia sono sospetti per localizzazioni sistemiche, anche occulte all’imaging radio-logico. Il tempo di raddoppiamento di CEA e calcitonina sono correlati all’aggressività della malattia.

MALATTIA METASTATICAIl carcinoma della tiroide metastatico fino a pochi anni fa era una patologia quasi completamente sconosciuta all’oncologo medico, soprattutto per l’assenza di tratta-menti chemioterapici efficaci sia per le forme differenziate iodio-resistenti sia per i carcinomi midollari.

Le alterazioni molecolari che caratterizzano i tumori ti-roidei in combinazione con la presenza sul mercato di farmaci target ha risvegliato l’interesse per queste patologie.

Vedremo nei paragrafi successivi quanti farmaci molecolari sono stati studiati negli ultimi anni e quali sono stati i risultati ottenuti.

Tuttavia, ci preme sottolineare come esistano ancora degli aspetti critici da tenere in considerazione nella cura di questi pazienti:

●● non tutti i pazienti con tumore tiroideo metastatico meritano un trattamento oncologico attivo; spesso si tratta di pazienti asintomatici con un decorso indolente di malattia;

●● le decisioni terapeutiche devono essere basate sulla presenza di sintomi e/o sull’esito degli esami strumen-tali, piuttosto che sull’andamento dei marcatori (Tg e calcitonina);

●● le decisioni terapeutiche dovrebbero sempre tener con-to della potenziale prolungata aspettativa di vita: le lesioni ossee in sedi critiche dovrebbero essere valutate in prima istanza dall’ortopedico e stabilizzate, e succes-sivamente irradiate;

●● altre opzioni terapeutiche come la chemioembolizza-zione, la radiofrequenza o la radiochirurgia dovrebbero essere sempre prese in considerazione nel caso di ma-lattie paucisintomatiche e localizzate in un’unica sede anatomica (per esempio, fegato, polmone o cervello);

●● la tipologia di crescita è infiltrativa: in presenza di re-cidive locali o metastasi polmonari è suggerito moni-torizzare le vie respiratorie con tracheobroncoscopia (non è infrequente l’infiltrazione tracheale dalla pars membranacea posteriore) e le vie digestive con gastro-scopia per il rischio di infiltrazione di tali strutture.

Carcinomi differenziati Le metastasi a distanza colpiscono circa il 10% dei pazienti. In presenza di metastasi a distanza la terapia primaria è la radioterapia metabolica con 131I. I fattori prognostici corre-lati alla sopravvivenza in presenza di metastasi a distanza sono: sesso femminile, età <40 anni al momento della diagnosi di metastasi; carcinoma papillare o follicolare ben differenziati; malattia limitata (maggiore probabilità di guarigione in presenza di una scintigrafia whole body po-sitiva con assenza di lesioni macroscopiche alla radiologia tradizionale) e captazione dello 131I (Durante et al., 2006).

La malattia può essere definita radio-iodio-resistente in caso di:

●● assenza di captazione oppure in presenza di captazione eterogenea di 131I;

●● progressione di malattia dopo somministrazione di 131I; ●● persistenza di malattia dopo una dose di 131I maggiore

o uguale a 600 mCi.

È stato dimostrato come una dose di 131I superiore a 600 mCi sia associata a un rischio maggiore di sviluppo di se-condi tumori, in particolare leucemie, fibrosi polmonare, xerostomia, disturbi lacrimali ecc. (Durante et al., 2006). In passato in assenza di valide alternative terapeutiche per le forme iodio-resistenti si poteva assistere a ripetute somministrazioni di 131I con dosi totali cumulative elevate. La sopravvivenza dei pazienti con un carcinoma iodio-resistente è comunque prolungata: 50% a 5 anni e 10% a 10 anni (Durante et al., 2006). Sono stati fatti tentativi

Carcinomi tiroidei follicolari, papillari e midollari

*tX il tumore primitivo non può essere determinato

t0 assenza di tumore primitivo

t1a ≤1 cm intratiroideo

t1b >1 cm e <2 cm intratiroideo

t2 >2 e <4 cm intratiroideo

t3 >4 cm intratiroideo o con minima estensione extratiroidea

t4a estensione extracapsulare con interessamento del tessuto sottocutaneo, laringe, trachea, esofago, nervo laringeo ricorrente

t4b interessamento di fascia prevertebrale, vasi mediastinici, arteria carotide

Carcinomi anaplastici

t4a tumore limitato alla tiroide, resecabile

t4b tumore con estensione extratiroidea, non resecabile

Tutti i tipi

NX linfonodi regionali non possono essere determinati

N0 assenza di lesioni linfonodali

N1a lesioni che interessano Vi livello (pretracheali, paratracheali, prelaringei, linfonodi delfici)

N1b lesioni che interessano linfonodi laterocervicali unilaterali, bilaterali e controlaterali (livelli i-V), retrofaringei o mediastino superiore

* i tumori multifocali sono classificati come (m); per la stadiazione bisogna fare riferimento al nodulo di maggiori dimensioni.

Extent, Size (GAMES) ecc.). Tra questi il più accurato e il più diffuso è il sistema TNM (Tab. 17.3) (Sobin et al., 2009). Nella versione più recente del 2009, i carcinomi differenziati, i carcinomi midollari e i carcinomi anapla-stici sono stati classificati separatamente. Il carcinoma papillare e il carcinoma follicolare sono trattati insieme; in questi tumori l’età inferiore o uguale a 45 anni era già stata introdotta nelle edizioni passate del TNM come ulteriore fattore prognostico.

I carcinomi anaplastici sono considerati sempre T4 a pre-scindere dalla dimensione della malattia primitiva.

TERAPIACarcinomi differenziatiLa terapia di prima scelta è la chirurgia. In genere, viene effet-tuata la tiroidectomia totale o quasi totale, seguita da terapia ormonale sostitutiva con valori di TSH fra 0,1 e 0,5 µUl/mL (Cooper et al., 2009); la lobectomia può essere fatta solo in casi molto selezionati (nodulo <1 cm, a basso rischio, unifocale, istologia papillare, intratiroideo, senza linfo-nodi cervicali coinvolti e in assenza di una pregressa ra-

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656 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

terapeutici anche con agenti redifferenzianti (per esempio, gli inibitori dell’istone deacetilasi come il vorinostat; ro-midepsina; acido valproico; retinoidi; rosiglitazone; litio carbonato) per riacquisire la capacità di captazione dello iodio da parte delle cellule neoplastiche, con risultati nel complesso deludenti.

L’unico trattamento attualmente approvato nelle forme iodio-resistenti è la chemioterapia. Adriamicina da sola o in combinazione con cisplatino è il farmaco più fre-quentemente usato in queste forme, anche se con risultati piuttosto scarsi.

Come detto nella parte introduttiva, negli ultimi anni è stato implementato l’impiego di farmaci a bersaglio mo-lecolare nei carcinomi differenziati iodio-resistenti. La maggior parte di questi farmaci agisce inibendo l’attività TK dei recettori target, impedendo il down signalling a valle del recettore e dunque bloccando l’attività proliferativa, neoan-giogenetica, metastatizzante ecc. delle cellule neoplastiche.

In generale, gli inibitori della tirosinchinasi (TKI) hanno ottenuto un range di risposte obiettive che va dal 14% al 50% a seconda della molecola in uso (Tab. 17.4) (Sherman et al., 2009; Kloos et al., 2009; Leboulleux et al., 2010; Bible et al., 2010; Lucas et al., 2010; Sherman et al., 2011; Lam et al., 2010; Wells et al., 2010a; Wells et al., 2010b; De Souza et al., 2010). Non è chiaro se l’attività terapeutica di questi farmaci, che in genere colpiscono più bersagli molecolari contemporaneamente, sia legata all’inibizione dell’attività TK dei target presenti piuttosto che dell’attività antiangio-genetica dei farmaci stessi. Infatti, i carcinomi della tiroide sono molto vascolarizzati a prescindere dall’istologia, cosa che costituisce un presupposto per l’attività antiangioge-netica di questi farmaci; di contro, nessuno dei recettori studiati fino a oggi si è dimostrato fondamentale per l’at-tività terapeutica dei TKI, anche se sono in corso studi con farmaci selettivi come vemurafenib per BRAFV600E.

Un aspetto critico di questi farmaci è rappresentato dalle frequenti tossicità: gli eventi avversi di grado ≤2 secondo la scala CTC (Common Toxic Criteria) interessano circa il 50% dei pazienti. Le tossicità sono piuttosto simili anche fra composti diversi. Le più frequenti sono l’ipertensio-ne, la sindrome mano-piede, il rash cutaneo, la diarrea, la disfonia, la proteinuria, la disgeusia ecc. Una tossicità peculiare frequentemente riportata è l’ipotiroidismo, per cui sono necessarie periodiche valutazioni del TSH e ag-giustamenti della dose della terapia sostitutiva durante il trattamento con TKI. Considerando che i farmaci sono assunti per bocca e che devono essere assunti tutti i giorni, è intuitivo pensare che anche una tossicità lieve di grado 1 ma protratta nel tempo possa impattare negativamente sulla qualità di vita dei pazienti, condizionando in parte anche la loro compliance all’assunzione della terapia. Inol-tre, l’esposizione prolungata a questi farmaci, che possono essere assunti anche per anni, espone i pazienti a rischi di tossicità inattese e sconosciute.

Un altro aspetto critico dei TKI è la resistenza primaria, presente in più del 50% dei pazienti, e la resistenza secon-daria, che si instaura inesorabilmente dopo periodi più o

meno prolungati di trattamento. I TKI aumentano l’inter-vallo libero da progressione (PFS) ma non hanno ancora dimostrato un analogo beneficio per la sopravvivenza. Attualmente, nessuno di questi farmaci è stato ancora ap-provato in questa forma di tumore. I farmaci più maturi sono sorafenib e lenvatinib; entrambe le molecole sono state esaminate nell’ambito di studi di fase III.

Carcinoma midollareLe combinazioni terapeutiche utilizzate in passato, per esempio con adriamicina, 5-FU, dacarbazina ecc. non hanno ottenuto risposte significative, pertanto anche nel carcinoma midollare sono stati studiati i farmaci target. Vandetanib è stato il primo TKI approvato nel 2011 dalla Food and Drug Administration (FDA) e nel 2012 dalla Eu-ropean Medicines Agency (EMA) nei carcinomi midollari metastatici, aggressivi e sintomatici, localmente avanzati inoperabili. Lo studio randomizzato (studio ZETA), che ha portato alla registrazione, ha confrontato l’attività e l’efficacia di vandetanib alla dose di 300 mg versus placebo, con possibilità di crossover alla progressione. Vandetanib ha prolungato in modo significativo la PFS rispetto al pla-cebo (PFS mediana 30,5 mesi attesa per vandetanib e 19,3 mesi per placebo). In questo studio è stata rilevata anche una correlazione fra target e attività terapeutica del farma-co con un response rate (RR) maggiore in presenza della mutazione somatica di RET M918T (54,5 % vs 30,9%). Gli eventi avversi uguali o maggiori a G3 sono stati riportati nel 55,4% della popolazione. La tossicità più importante di vandetanib è il prolungamento dell’intervallo QTc che è stato riportato nell’8% dei pazienti e che ha indotto FDA a richiedere ulteriori studi per approfondirne la tossicità.

In considerazione dei risultati ottenuti nello studio di fase III (Exam trial) e presentati all’ASCO 2012 (Schoffski et al., 2012), FDA ha rapidamente approvato nel mese di novem-bre dello stesso anno cabozantinib con l’indicazione al trattamento del carcinoma midollare metastatico.

Altri farmaci impiegati nel carcinoma midollare sono ri-portati nella tabella 17.4.

TERAPIA DEL CARCINOMA ANAPLASTICO Una volta effettuata la diagnosi di carcinoma anaplastico bisogna valutare se la malattia è chirurgicamente trattabile, in particolare se l’estensione di malattia è solo locoregiona-le e quali strutture anatomiche sono infiltrate. L’obiettivo della chirurgia è una resezione il più completa possibile (R0-R1), la chirurgia di debulking (R2) non è raccomanda-ta. Prima della programmazione terapeutica è necessario completare la stadiazione a livello sia locoregionale sia a distanza, e in questo caso una TC con mezzo di con-trasto è l’esame più utile, in quanto fornisce indicazioni sia sull’infiltrazione delle strutture a livello cervicale sia sugli altri organi (polmone, fegato, osso ecc.). Circa il 50% di questi tumori all’esordio non è resecabile, il 40% ha un’estensione extratiroidea e solo il 10% è intratiroideo. La tiroidectomia totale, se fattibile, deve essere associata a una resezione selettiva delle altre strutture coinvolte e dei linfonodi, seguita da un successivo trattamento di radioterapia o chemioradioterapia concomitante (si veda paragrafo Radioterapia). Fattori prognostici positivi sono:

Autore Farmaco Fase Target Istologia ORR% Mediana di PFS (mesi)

Mediana di durata di risposta (mesi)

Sherman et al., 2008

motesanib ii VeGFr 1-3pdGFrretKit

ptC 57HCC 17FtC 15altri 4

14 9,2 8

Kloos et al., 2009

Sorafenib iir BraF CraFVeGFr1-3pdGFrbretKitFlt3

Braccio a: chemionaïve ptC (N = 19)Braccio B: pretrattato ptC = 22; altri =15

Braccio a: 15Braccio B: 13 in ptC; 0 negli altri

Braccio a: 16Braccio B:ptC 10altri 4,5

Braccio a: 9Braccio B: 6

leboulleux et al., 2010

Vandetanib vsplacebo

iir VeGFr-2,3reteGFr

dtC 145 8,3vs5,5

11*vs5,8

nr

Bible et al., 2010

pazopanib ii VeGFr1-3pdGFrKit

ptC 15HCC 11FtC 11

49 11,7 nr

lucas, et al., 2010

aZd6244 ii meK1-2 ptC 32 3 13,5 nr

Sherman, et al., 2011

e7080 ii VeGFr1-3FGFr1retKitpdGFrb

dtC 58 50 12,6 nr

Studio in corso Sorafenib iii BraF, CraFVeGFr1-3pdGFrbretKitFlt3

lam et al., 2010 Sorafenib ii BraF, CraFVeGFr1-3pdGFrbretKitFlt3

(mtC)Braccio a FmtC: 5 Braccio B sporadico: 16

6 17,9 nr

Wellset al., 2010a(Zeta trial)

Vandetanib 300 mg vs placebo

iii retVeGFr-2,3eGFr

(mtC)33112% e 5% rispettivamente nel braccio trattamentoe nel placebo sono FmtC

45*vs13

Non registrato*vs19,3

nr

Wellset al., 2010b

Vandetanib 300 mg ii retVeGFr-2,3eGFr

(mtC)30 FmtC

20 27,9 10,2

de Souzaet al., 2010

Sunitinib 50 mg/die per 4 settimane e 2 di stop

ii pdGFrVeGFr1-3KitretFlt3CSF-1r

(mtC)25

35 9

Studio in corso Cabozantinib (Xl184) iii c-metretVeGFr1-2

(mtC)330

dtC: carcinoma tiroideo differenziato; FmtC: carcinoma midollare tiroideo familiare; FtC: carcinoma follicolare tiroideo; HCC: carcinoma a cellule Hurthle; mtC: carcinoma midollare tiroideo; nr: non registrato; orr: overall response rate; pFS: intervallo libero da progressione; ptC: carcinoma papillare tiroideo; tKi: inibitori della tirosinchinasi.

TAbELLA 17.4 principali studi clinici con tKi

Page 9: CARCINOMA DELLA TIROIDE - Doctor33 · forme di carcinoma midollare familiare e alle neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo 2. Meno evidente, invece, è la predisposizione genetica

Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 657

meno prolungati di trattamento. I TKI aumentano l’inter-vallo libero da progressione (PFS) ma non hanno ancora dimostrato un analogo beneficio per la sopravvivenza. Attualmente, nessuno di questi farmaci è stato ancora ap-provato in questa forma di tumore. I farmaci più maturi sono sorafenib e lenvatinib; entrambe le molecole sono state esaminate nell’ambito di studi di fase III.

Carcinoma midollareLe combinazioni terapeutiche utilizzate in passato, per esempio con adriamicina, 5-FU, dacarbazina ecc. non hanno ottenuto risposte significative, pertanto anche nel carcinoma midollare sono stati studiati i farmaci target. Vandetanib è stato il primo TKI approvato nel 2011 dalla Food and Drug Administration (FDA) e nel 2012 dalla Eu-ropean Medicines Agency (EMA) nei carcinomi midollari metastatici, aggressivi e sintomatici, localmente avanzati inoperabili. Lo studio randomizzato (studio ZETA), che ha portato alla registrazione, ha confrontato l’attività e l’efficacia di vandetanib alla dose di 300 mg versus placebo, con possibilità di crossover alla progressione. Vandetanib ha prolungato in modo significativo la PFS rispetto al pla-cebo (PFS mediana 30,5 mesi attesa per vandetanib e 19,3 mesi per placebo). In questo studio è stata rilevata anche una correlazione fra target e attività terapeutica del farma-co con un response rate (RR) maggiore in presenza della mutazione somatica di RET M918T (54,5 % vs 30,9%). Gli eventi avversi uguali o maggiori a G3 sono stati riportati nel 55,4% della popolazione. La tossicità più importante di vandetanib è il prolungamento dell’intervallo QTc che è stato riportato nell’8% dei pazienti e che ha indotto FDA a richiedere ulteriori studi per approfondirne la tossicità.

In considerazione dei risultati ottenuti nello studio di fase III (Exam trial) e presentati all’ASCO 2012 (Schoffski et al., 2012), FDA ha rapidamente approvato nel mese di novem-bre dello stesso anno cabozantinib con l’indicazione al trattamento del carcinoma midollare metastatico.

Altri farmaci impiegati nel carcinoma midollare sono ri-portati nella tabella 17.4.

TERAPIA DEL CARCINOMA ANAPLASTICO Una volta effettuata la diagnosi di carcinoma anaplastico bisogna valutare se la malattia è chirurgicamente trattabile, in particolare se l’estensione di malattia è solo locoregiona-le e quali strutture anatomiche sono infiltrate. L’obiettivo della chirurgia è una resezione il più completa possibile (R0-R1), la chirurgia di debulking (R2) non è raccomanda-ta. Prima della programmazione terapeutica è necessario completare la stadiazione a livello sia locoregionale sia a distanza, e in questo caso una TC con mezzo di con-trasto è l’esame più utile, in quanto fornisce indicazioni sia sull’infiltrazione delle strutture a livello cervicale sia sugli altri organi (polmone, fegato, osso ecc.). Circa il 50% di questi tumori all’esordio non è resecabile, il 40% ha un’estensione extratiroidea e solo il 10% è intratiroideo. La tiroidectomia totale, se fattibile, deve essere associata a una resezione selettiva delle altre strutture coinvolte e dei linfonodi, seguita da un successivo trattamento di radioterapia o chemioradioterapia concomitante (si veda paragrafo Radioterapia). Fattori prognostici positivi sono:

Autore Farmaco Fase Target Istologia ORR% Mediana di PFS (mesi)

Mediana di durata di risposta (mesi)

Sherman et al., 2008

motesanib ii VeGFr 1-3pdGFrretKit

ptC 57HCC 17FtC 15altri 4

14 9,2 8

Kloos et al., 2009

Sorafenib iir BraF CraFVeGFr1-3pdGFrbretKitFlt3

Braccio a: chemionaïve ptC (N = 19)Braccio B: pretrattato ptC = 22; altri =15

Braccio a: 15Braccio B: 13 in ptC; 0 negli altri

Braccio a: 16Braccio B:ptC 10altri 4,5

Braccio a: 9Braccio B: 6

leboulleux et al., 2010

Vandetanib vsplacebo

iir VeGFr-2,3reteGFr

dtC 145 8,3vs5,5

11*vs5,8

nr

Bible et al., 2010

pazopanib ii VeGFr1-3pdGFrKit

ptC 15HCC 11FtC 11

49 11,7 nr

lucas, et al., 2010

aZd6244 ii meK1-2 ptC 32 3 13,5 nr

Sherman, et al., 2011

e7080 ii VeGFr1-3FGFr1retKitpdGFrb

dtC 58 50 12,6 nr

Studio in corso Sorafenib iii BraF, CraFVeGFr1-3pdGFrbretKitFlt3

lam et al., 2010 Sorafenib ii BraF, CraFVeGFr1-3pdGFrbretKitFlt3

(mtC)Braccio a FmtC: 5 Braccio B sporadico: 16

6 17,9 nr

Wellset al., 2010a(Zeta trial)

Vandetanib 300 mg vs placebo

iii retVeGFr-2,3eGFr

(mtC)33112% e 5% rispettivamente nel braccio trattamentoe nel placebo sono FmtC

45*vs13

Non registrato*vs19,3

nr

Wellset al., 2010b

Vandetanib 300 mg ii retVeGFr-2,3eGFr

(mtC)30 FmtC

20 27,9 10,2

de Souzaet al., 2010

Sunitinib 50 mg/die per 4 settimane e 2 di stop

ii pdGFrVeGFr1-3KitretFlt3CSF-1r

(mtC)25

35 9

Studio in corso Cabozantinib (Xl184) iii c-metretVeGFr1-2

(mtC)330

dtC: carcinoma tiroideo differenziato; FmtC: carcinoma midollare tiroideo familiare; FtC: carcinoma follicolare tiroideo; HCC: carcinoma a cellule Hurthle; mtC: carcinoma midollare tiroideo; nr: non registrato; orr: overall response rate; pFS: intervallo libero da progressione; ptC: carcinoma papillare tiroideo; tKi: inibitori della tirosinchinasi.

TAbELLA 17.4 principali studi clinici con tKi

Page 10: CARCINOMA DELLA TIROIDE - Doctor33 · forme di carcinoma midollare familiare e alle neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo 2. Meno evidente, invece, è la predisposizione genetica

658 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

2012), che sembrerebbe riflettere la complessità e difficoltà diagnostica della malattia. La prevalenza è simile nel sesso femminile e maschile, a differenza della netta prevalenza femminile nell’adenoma paratiroideo. Si può presentare a tutte le età, inclusa l’infanzia, con un picco fra i 45 e i 59 anni. Meno dell’1% dei casi di iperparatiroidismo primario è determinato da un carcinoma.

La patogenesi è pressoché sconosciuta. Questa neoplasia può essere sporadica o associata a sindromi genetiche familiari come la hyperparathyroidism-jaw tumor syndrome (HPT-JT). Tale sindrome (autosomica dominante) è ca-ratterizzata da adenoma o carcinoma delle paratiroidi nel 15% dei casi, fibromi ossificanti della mandibola e del mascellare, cisti renali e tumori; altre sindromi ereditarie in cui si può trovare il carcinoma paratiroideo sono la MEN1, la MEN2A (di cui si è già parlato nel capitolo dei carcinomi tiroidei) e l’iperparatiroidismo familiare isolato.

Non sono noti fattori di rischio. Una pregressa radioterapia sul collo e l’iperparatiroidismo secondario sono conside-rati potenziali fattori di rischio. Sono stati descritti anche rarissimi casi di pazienti con pregresso carcinoma tiroideo e adenoma paratiroideo che hanno poi sviluppato un car-cinoma delle paratiroidi; al momento tuttavia la presenza di una lesione benigna della tiroide o delle paratiroidi non costituisce un fattore di rischio.

ISTOPATOLOGIA Il carcinoma delle paratiroidi può svilupparsi ovunque sia presente tessuto paratiroideo. Le paratiroidi sono in genere 4 (due superiori e due inferiori), posizionate dietro alla tiroide. Il mediastino è la sede più frequente di paratiroidi ectopiche.

Macroscopicamente il carcinoma può essere indistinguibile dall’adenoma, anche se l’adesione ai tessuti sottostanti o l’infiltrazione diretta sono segni suggestivi di malignità. Nel 21% dei casi il carcinoma può contenere una com-ponente cistica per cui è necessario fare molta attenzione durante l’exeresi per evitarne la rottura.

Come nei tumori endocrini, anche per il carcinoma pa-ratiroideo è talora difficile distinguere l’adenoma dalla controparte maligna. I carcinomi spesso si presentano con invasione vascolare della capsula tumorale e dei tessuti circostanti, superamento della capsula con estensione ex-tracapsulare e diffusione perineurale. Le bande fibrose che formano l’architettura trabecolare sono comuni ma non patognomoniche di carcinoma. Due terzi dei carcinomi presentano atipie nucleari come l’allargamento del nucleo e la presenza di macronucleoli.

Un Ki67 maggiore del 5% identifica una lesione con un rischio maggiore di malignità e di recidiva.

La ricerca immunoistochimica di PTH può essere utile a scopo diagnostico nel sospetto di un carcinoma non secernente.

SCREENINGNon vi sono dati sufficienti per motivare uno screening.

età <60 anni, tumore di piccole dimensioni e intratiroideo, assenza di metastasi a distanza, resezione completa del tumore primitivo.

Carcinoma anaplastico metastatico Nessun farmaco né chemioterapico né nuovi farmaci han-no dimostrato un vantaggio di sopravvivenza in questi pazienti.

I farmaci chemioterapici più attivi sono i taxani (taxolo e taxotere), adriamicina e i platinanti (cisplatino e carbopla-tino), possono essere usati da soli o in combinazione in relazione al PS del paziente.

Dati preliminari di attività sono stati riportati con alcuni nuovi farmaci. In particolare, la combretastatina (agente antivascolare) è stata studiata nell’ambito di un trial rando-mizzato di fase II/III che ha confrontato la chemioterapia da sola (carboplatino AUC 6 in combinazione con taxolo 200 mg/m2 ogni 21 giorni) in associazione con la combreta-statina 60 mg/m2 settimanale, con una sopravvivenza a 1 an-no del 23% per i pazienti trattati con combretastatina rispetto al 9% dei pazienti che avevano ricevuto solo chemioterapia. Il vantaggio di sopravvivenza si è avuto soprattutto nel gruppo di pazienti con meno di 60 anni e nei tumori di dimensioni >6 cm (Kurzrock et al., 2011). Un analogo composto, la cro-libulina, è in corso di valutazione nell’ambito di uno studio clinico. Altri nuovi farmaci sono riportati nella tabella 17.4.

In questa fase della malattia deve essere sempre valutata e discussa con il paziente la terapia di supporto come scelta alternativa a un trattamento chemioterapico. Particolare attenzione deve essere sempre posta alla pervietà delle vie aeree, soprattutto in caso di malattia locale, vista la rapidità di crescita della malattia.

RADIOTERAPIARadioterapia postoperatoriaNon esistono studi clinici randomizzati ma singole espe-rienze con pochi pazienti. Per la complessità dei volumi da irradiare, la tecnica IMRT è la più frequentemente usata per una migliore distribuzione di dose rispetto alla 3D.

L’impiego della RT postoperatoria nei carcinomi differen-ziati è infrequente; può essere considerata nei pazienti con età >45 anni, con estensione di malattia extratiroidea e residuo micro oppure macroscopico dove la chirurgia o il trattamento con radio-iodio sarebbero inefficaci (per esempio, nelle forme iodio-resistenti). Le dosi possono variare da 66 a 70 Gy sulla malattia residua R2, 60-63 Gy sul volume a rischio di malattia R1 e 50-54 Gy sui volumi a basso rischio (Cooper et al., 2009). In queste forma la RT viene effettuata temporalmente dopo la radioterapia meta-bolica per evitare lo stunning del tessuto tiroideo residuo, cioè riduzione di captazione dello iodio.

Nel carcinoma midollare la RT ha un ruolo ancora incerto; può trovare indicazione in caso di malattia R1, R2, nel caso di localizzazioni linfonodali con diffusione extracapsulare e in presenza di elevati valori di calcitonina nel postopera-torio, anche se la presenza di quest’ultima da sola, in as-senza di evidenza radiologica di malattia, non rappresenta un’indicazione a RT (Cooper et al., 2009).

Nel carcinoma anaplastico la radioterapia postoperatoria con finalità curativa è indicata dopo una chirurgia R0-R1 e, a differenza dei tumori del distretto testa-collo in generale, deve essere avviata al massimo entro 2-3 settimane dalla data della chirurgia. Infatti, la velocità di crescita della malattia è tale che un’attesa più prolungata rischierebbe di compro-mettere l’esito della chirurgia. È importante che le dosi di RT somministrate siano adeguate, in quanto sembrerebbe esserci una correlazione fra dose (>60 Gy) e outcome del paziente.

L’iperfrazionamento sembra essere associato a un migliore controllo locoregionale della malattia. L’impiego della che-mioterapia concomitante (taxolo, cisplatino, adriamicina) alla RT può essere considerato solo in pazienti con ottimo PS, associandosi in alcuni lavori a un migliore controllo locoregionale a spese tuttavia di una maggiore tossicità.

Radioterapia palliativaIn generale, la RT può essere indicata con finalità palliativa in caso di malattia localmente avanzata o non resecabile nei carcinomi sia differenziati sia midollari. Anche nel-le forme anaplastiche può avere un’indicazione a scopo palliativo: con o senza chemioterapia la RT può essere impiegata in quei pazienti con carcinoma anaplastico re-secabile R2 oppure non resecabile, rivalutando comunque l’opzione chirurgica in caso di risposta. Può essere valutata anche in caso di pazienti con PS scaduto e malattia non resecabile, anche se in questi casi non è chiaro il vantaggio sul controllo locale della malattia.

FOLLOW-UPIn generale, il follow-up dei pazienti con carcinoma tiroi-deo viene effettuato dai colleghi della medicina nucleare oppure dagli endocrinologi. Il follow-up deve essere pro-tratto nel tempo in considerazione del potenziale rischio di recidiva anche 10-20 anni dopo dalla diagnosi iniziale.

L’oncologo medico si occupa di tutti i pazienti con malattia metastatica e iodio-resistente.

Nei pazienti asintomatici, la rivalutazione clinica (valuta-zione della funzionalità tiroidea e dosaggio dei marcatori) e strumentale può essere programmata ogni 6 mesi circa. L’ecografia della loggia tiroidea e del collo è il primo esame da richiedere nei pazienti in cui vi sia un sospetto clinico di recidiva. In presenza di un’ecografia negativa, una scintigra-fia whole body negativa e valori dosabili di Tg, dovrebbero essere effettuati esami di II livello (per esempio 18F-FDG-PET, RM oppure TC) nel caso di un carcinoma differenziato.

Lo stesso work-up diagnostico può essere utile in un pa-ziente con carcinoma midollare nel sospetto di recidiva, ricordandosi solo che la 18F-DOPA-PET e la 68 Ga-DOTA-PET sembrerebbero più sensibili a tale proposito rispetto alla 18F-FDG-PET.

CARCINOMA DELLE PARATIROIDIEPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIOIl tumore delle paratiroidi è una neoplasia molto rara e ag-gressiva con un’incidenza che può variare dallo 0,5% al 5% in relazione alla distribuzione geografica (1% in Europa e Stati Uniti e 5% in Giappone e Italia) (Mohebati et al.,

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 659

2012), che sembrerebbe riflettere la complessità e difficoltà diagnostica della malattia. La prevalenza è simile nel sesso femminile e maschile, a differenza della netta prevalenza femminile nell’adenoma paratiroideo. Si può presentare a tutte le età, inclusa l’infanzia, con un picco fra i 45 e i 59 anni. Meno dell’1% dei casi di iperparatiroidismo primario è determinato da un carcinoma.

La patogenesi è pressoché sconosciuta. Questa neoplasia può essere sporadica o associata a sindromi genetiche familiari come la hyperparathyroidism-jaw tumor syndrome (HPT-JT). Tale sindrome (autosomica dominante) è ca-ratterizzata da adenoma o carcinoma delle paratiroidi nel 15% dei casi, fibromi ossificanti della mandibola e del mascellare, cisti renali e tumori; altre sindromi ereditarie in cui si può trovare il carcinoma paratiroideo sono la MEN1, la MEN2A (di cui si è già parlato nel capitolo dei carcinomi tiroidei) e l’iperparatiroidismo familiare isolato.

Non sono noti fattori di rischio. Una pregressa radioterapia sul collo e l’iperparatiroidismo secondario sono conside-rati potenziali fattori di rischio. Sono stati descritti anche rarissimi casi di pazienti con pregresso carcinoma tiroideo e adenoma paratiroideo che hanno poi sviluppato un car-cinoma delle paratiroidi; al momento tuttavia la presenza di una lesione benigna della tiroide o delle paratiroidi non costituisce un fattore di rischio.

ISTOPATOLOGIA Il carcinoma delle paratiroidi può svilupparsi ovunque sia presente tessuto paratiroideo. Le paratiroidi sono in genere 4 (due superiori e due inferiori), posizionate dietro alla tiroide. Il mediastino è la sede più frequente di paratiroidi ectopiche.

Macroscopicamente il carcinoma può essere indistinguibile dall’adenoma, anche se l’adesione ai tessuti sottostanti o l’infiltrazione diretta sono segni suggestivi di malignità. Nel 21% dei casi il carcinoma può contenere una com-ponente cistica per cui è necessario fare molta attenzione durante l’exeresi per evitarne la rottura.

Come nei tumori endocrini, anche per il carcinoma pa-ratiroideo è talora difficile distinguere l’adenoma dalla controparte maligna. I carcinomi spesso si presentano con invasione vascolare della capsula tumorale e dei tessuti circostanti, superamento della capsula con estensione ex-tracapsulare e diffusione perineurale. Le bande fibrose che formano l’architettura trabecolare sono comuni ma non patognomoniche di carcinoma. Due terzi dei carcinomi presentano atipie nucleari come l’allargamento del nucleo e la presenza di macronucleoli.

Un Ki67 maggiore del 5% identifica una lesione con un rischio maggiore di malignità e di recidiva.

La ricerca immunoistochimica di PTH può essere utile a scopo diagnostico nel sospetto di un carcinoma non secernente.

SCREENINGNon vi sono dati sufficienti per motivare uno screening.

DIAGNOSILa diagnosi è piuttosto difficile perché molte caratteristiche cliniche, di laboratorio e radiologiche sono simili nell’a-denoma e nel carcinoma paratiroideo. Frequentemente la diagnosi di carcinoma è postoperatoria.

Il 90% dei carcinomi delle paratiroidi è iperfunzionante con ipersecrezione di paratormone (PTH) per cui sono presenti segni e sintomi dell’ipercalcemia; solo il 10% dei carcinomi sono non funzionanti e difficilmente dia-gnosticabili, se non in fase molto avanzata (Weber et al., 2000). La presenza di valori di calcio ≥14 mg/dL, di una massa al collo (può trovarsi fino nel 75% dei casi) e dei sintomi di iperparatiroidismo (come astenia, calo pon-derale, nausea, anoressia, vomito, poliuria, polidipsia, stitichezza, letargia, osteoporosi, fratture ossee spontanee ecc.) devono indurre il sospetto clinico di un carcinoma delle paratiroidi. La presenza di linfonodi patologici al collo (15-30% dei casi), la paralisi del nervo ricorrente e la presenza di metastasi a distanza sono segni clinici molto suggestivi di malignità.

Da un punto di vista laboratoristico oltre all’ipercalcemia, nei carcinomi secernenti troviamo valori di PTH significa-tivamente aumentati (da 3 a 10 volte).

L’ago aspirato (FNA) della lesione è una procedura non raccomandata in fase diagnostica in quanto difficilmente dirime la natura benigna o maligna della lesione stessa, oltre a essere associata a un rischio di insemenzamento dei tessuti e rottura del tumore. Il FNA può essere invece utilizzato a scopo diagnostico in caso di sospetta recidiva. Il dosaggio del PTH dal liquido di lavaggio del FNA può essere utile per confermare l’origine paratiroidea di una lesione, soprattutto se in sede ectopica.

Gli esami radiologici sono utili a localizzare la malattia primitiva, ma non aiutano nella diagnosi di natura della lesione.

L’ecografia del collo è l’esame di I livello nel work-up dia-gnostico. Può identificare la sede della lesione e poten-zialmente caratterizzarne la natura: i carcinomi appaiono più eterogenei, lobulati e di dimensioni maggiori rispetto agli adenomi.

La scintigrafia con 99mTc-SestaMIBI ha una sensibilità dia-gnostica del 90% circa, ma una bassa specificità. È in grado di identificare il tessuto paratiroideo anche in sede ectopi-ca, per esempio a livello del mediastino e in sede cervicale profonda. La scintigrafia può essere utile:

●● nel localizzare una lesione precedentemente non visua-lizzata dall’ecografia, soprattutto se in sede ectopica;

●● nel confermare la presenza di una lesione già indivi-duata dall’ecografia;

●● per escludere un quadro di iperplasia paratiroidea mul-tighiandolare.

La combinazione con la SPECT aumenta l’accuratezza spaziale della scintigrafia.

La TC del collo cmc ad alta risoluzione così come la RM del collo cmc vengono utilizzate nel dubbio di infiltrazio-ne dei tessuti circostanti, possono essere utili nell’iden-

Nel carcinoma anaplastico la radioterapia postoperatoria con finalità curativa è indicata dopo una chirurgia R0-R1 e, a differenza dei tumori del distretto testa-collo in generale, deve essere avviata al massimo entro 2-3 settimane dalla data della chirurgia. Infatti, la velocità di crescita della malattia è tale che un’attesa più prolungata rischierebbe di compro-mettere l’esito della chirurgia. È importante che le dosi di RT somministrate siano adeguate, in quanto sembrerebbe esserci una correlazione fra dose (>60 Gy) e outcome del paziente.

L’iperfrazionamento sembra essere associato a un migliore controllo locoregionale della malattia. L’impiego della che-mioterapia concomitante (taxolo, cisplatino, adriamicina) alla RT può essere considerato solo in pazienti con ottimo PS, associandosi in alcuni lavori a un migliore controllo locoregionale a spese tuttavia di una maggiore tossicità.

Radioterapia palliativaIn generale, la RT può essere indicata con finalità palliativa in caso di malattia localmente avanzata o non resecabile nei carcinomi sia differenziati sia midollari. Anche nel-le forme anaplastiche può avere un’indicazione a scopo palliativo: con o senza chemioterapia la RT può essere impiegata in quei pazienti con carcinoma anaplastico re-secabile R2 oppure non resecabile, rivalutando comunque l’opzione chirurgica in caso di risposta. Può essere valutata anche in caso di pazienti con PS scaduto e malattia non resecabile, anche se in questi casi non è chiaro il vantaggio sul controllo locale della malattia.

FOLLOW-UPIn generale, il follow-up dei pazienti con carcinoma tiroi-deo viene effettuato dai colleghi della medicina nucleare oppure dagli endocrinologi. Il follow-up deve essere pro-tratto nel tempo in considerazione del potenziale rischio di recidiva anche 10-20 anni dopo dalla diagnosi iniziale.

L’oncologo medico si occupa di tutti i pazienti con malattia metastatica e iodio-resistente.

Nei pazienti asintomatici, la rivalutazione clinica (valuta-zione della funzionalità tiroidea e dosaggio dei marcatori) e strumentale può essere programmata ogni 6 mesi circa. L’ecografia della loggia tiroidea e del collo è il primo esame da richiedere nei pazienti in cui vi sia un sospetto clinico di recidiva. In presenza di un’ecografia negativa, una scintigra-fia whole body negativa e valori dosabili di Tg, dovrebbero essere effettuati esami di II livello (per esempio 18F-FDG-PET, RM oppure TC) nel caso di un carcinoma differenziato.

Lo stesso work-up diagnostico può essere utile in un pa-ziente con carcinoma midollare nel sospetto di recidiva, ricordandosi solo che la 18F-DOPA-PET e la 68 Ga-DOTA-PET sembrerebbero più sensibili a tale proposito rispetto alla 18F-FDG-PET.

CARCINOMA DELLE PARATIROIDIEPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIOIl tumore delle paratiroidi è una neoplasia molto rara e ag-gressiva con un’incidenza che può variare dallo 0,5% al 5% in relazione alla distribuzione geografica (1% in Europa e Stati Uniti e 5% in Giappone e Italia) (Mohebati et al.,

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660 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

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tificare una lesione in caso di scintigrafia con SestaMIBI negativa, oppure possono confermare la presenza di una lesione ectopica identificata alla scintigrafia. La RM cmc è considerata superiore alla TC nella diagnosi di recidiva per minori artefatti in presenza di clips metalliche (Weber et al., 2002). La TC inoltre può essere impiegata nella sta-diazione a distanza.

I dati in relazione al ruolo della 18F-FDG-PET/TC sono molto pochi, tuttavia potrebbe avere un ruolo comple-mentare nella stadiazione della malattia, nell’identificare la malattia residua dopo chirurgia e nel sospetto di recidiva di malattia (Evangelista et al., 2011).

STADIAZIONE Il carcinoma delle paratiroidi non è stato considerato per la classificazione TNM dall’AJCC.

ALTERAZIONI MOLECOLARIHPRT2 (parafibromina) è un gene oncosoppressore, la cui inattivazione germinale causa la sindrome HPT-JT. Muta-zioni somatiche inattivanti di HPRT2 sono state descritte nel 67% dei casi di carcinomi paratiroidei sporadici, men-tre tali alterazioni sono invece riportate molto raramente negli adenomi (Carpten et al., 2002; Howell et al., 2003), suggerendo un ruolo patogenetico di HPRT2 nelle forme sporadiche di carcinoma. Altre alterazioni genetiche co-nosciute consistono in anomale espressioni dei geni che regolano il ciclo cellulare, come la ciclina D (può essere overespressa nei carcinomi), Rb, BRCA e p53 (Weber et al., 2000). Purtroppo, a oggi nessun marcatore molecolare è risultato specifico per il carcinoma e quindi nessuno di questi può essere utilizzato a scopo diagnostico.

TERAPIAIl trattamento di prima scelta è la chirurgia; in particolare la chirurgia dovrebbe avere margini di resezione liberi in quanto la chirurgia radicale è l’unico fattore progno-stico associato a una migliore sopravvivenza, mentre le dimensioni del tumore sembrerebbero non influire sulla prognosi. La chirurgia dovrebbe prevedere la resezione della lesione paratiroidea e del lobo tiroideo omolaterale in blocco con tutte le altre strutture anatomiche qualora fossero coinvolte (esofago, trachea, linfonodi del collo ecc.). Purtroppo, è riportato che circa il 40% degli interven-ti non sono radicali per la mancata diagnosi di carcinoma in fase sia preoperatoria sia intraoperatoria. In presenza di un’ipercalcemia sintomatica, la chirurgia dovrebbe essere differita fino al ripristino di una condizione metabolica adeguata. Agenti calcio-mimetici, come il cinacalcet, e agenti bloccanti il riassorbimento del calcio (per esempio, calcitonina e bifosfonati) possono essere impiegati in caso di iperparatiroidismo sintomatico; l’obiettivo è ridurre i valori di calcio di 1,5-4 mg/dL in 24-48 ore. In assenza di metastasi a distanza, la calcemia dovrebbe ridursi nel giro di 24 ore dall’intervento, a volte potrebbero essere necessari anche 2-3 giorni.

Purtroppo, il carcinoma delle paratiroidi ha un’alta per-centuale di recidiva locoregionale (circa 49-60%) e anche in questi casi la chirurgia, se fattibile, rimane la terapia di scelta.

La radioterapia postoperatoria sembrerebbe essere associa-ta a un miglior controllo locoregionale nei pazienti ad alto rischio di recidiva (per esempio, in caso di una chirurgia non radicale); la dose suggerita sarebbe di 40-50 Gy, an-che se sono stati riportati dosaggi superiori (fino a 70 Gy) (Mohebati et al., 2012).

Terapia della malattia metastaticaUn quarto dei pazienti può sviluppare metastasi a distan-za, in particolare a livello di polmone, osso e fegato. Le metastasi ossee devono essere distinte dai brown tumors benigni secondari all’iperparatiroidismo, così come i fibro-mi ossificanti tipici della sindrome HPT-JT devono essere distinti dalle metastasi. L’obiettivo primario in questa fase della malattia è il controllo dell’ipercalcemia secondaria a iperproduzione di PTH, che rappresenta la causa principale di morbilità e di mortalità. In tale ambito ha un ruolo l’impiego di cinacalcet che agisce riducendo direttamente la sintesi di PTH, modulando l’espressione dei recettori del calcio e riducendo i livelli di calcio, oltre alla terapia di supporto medico che viene messa in atto nei casi di iper-calcemia (abbondante idratazione, uso di steroidi, diuretici ecc.). Anche l’octreotide e il gallio nitrato possono essere impiegati nell’ipercalcemia da carcinoma paratiroideo.

I dati sulla chemioterapia si limitano a qualche case report; al momento non è disponibile nessun farmaco efficace (Mohebati et al., 2012).

Se fattibile, la chirurgia rimane comunque un’opzione terapeutica da considerare anche per le metastasi a distan-za; può esserci infatti un beneficio sintomatico, anche se transitorio, legato alla rimozione della malattia. La che-mioembolizzazione o la radiofrequenza sono opzioni da valutare in caso di malattia non resecabile.

FOLLOW-UPLa sopravvivenza varia dall’85% a 5 anni al 49-77% a 10 anni. La ripresa di malattia può presentarsi mediamente fra i 2 e i 3 anni dalla chirurgia, anche se sono stati riportati casi di recidiva a distanza dopo 23 anni dall’intervento. La probabilità di avere una recidiva locoregionale aumenta in presenza di linfonodi laterocervicali patologici e metastasi a distanza.

Il follow-up di questi pazienti richiede controlli prolungati nel tempo. I pazienti vengono monitorizzati periodica-mente con prelievo venoso per PTH, calcemia ed ecografia del collo.

La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma paratiroideo non secernente non è invece nota, in considerazione della rarità di questa entità e dell’assenza di dati. Tuttavia, si ritiene che la prognosi di questi pazienti sia peggiore in quanto, frequentemente, si presentano alla diagnosi con una malattia più avanzata.

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 661

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Purtroppo, il carcinoma delle paratiroidi ha un’alta per-centuale di recidiva locoregionale (circa 49-60%) e anche in questi casi la chirurgia, se fattibile, rimane la terapia di scelta.

La radioterapia postoperatoria sembrerebbe essere associa-ta a un miglior controllo locoregionale nei pazienti ad alto rischio di recidiva (per esempio, in caso di una chirurgia non radicale); la dose suggerita sarebbe di 40-50 Gy, an-che se sono stati riportati dosaggi superiori (fino a 70 Gy) (Mohebati et al., 2012).

Terapia della malattia metastaticaUn quarto dei pazienti può sviluppare metastasi a distan-za, in particolare a livello di polmone, osso e fegato. Le metastasi ossee devono essere distinte dai brown tumors benigni secondari all’iperparatiroidismo, così come i fibro-mi ossificanti tipici della sindrome HPT-JT devono essere distinti dalle metastasi. L’obiettivo primario in questa fase della malattia è il controllo dell’ipercalcemia secondaria a iperproduzione di PTH, che rappresenta la causa principale di morbilità e di mortalità. In tale ambito ha un ruolo l’impiego di cinacalcet che agisce riducendo direttamente la sintesi di PTH, modulando l’espressione dei recettori del calcio e riducendo i livelli di calcio, oltre alla terapia di supporto medico che viene messa in atto nei casi di iper-calcemia (abbondante idratazione, uso di steroidi, diuretici ecc.). Anche l’octreotide e il gallio nitrato possono essere impiegati nell’ipercalcemia da carcinoma paratiroideo.

I dati sulla chemioterapia si limitano a qualche case report; al momento non è disponibile nessun farmaco efficace (Mohebati et al., 2012).

Se fattibile, la chirurgia rimane comunque un’opzione terapeutica da considerare anche per le metastasi a distan-za; può esserci infatti un beneficio sintomatico, anche se transitorio, legato alla rimozione della malattia. La che-mioembolizzazione o la radiofrequenza sono opzioni da valutare in caso di malattia non resecabile.

FOLLOW-UPLa sopravvivenza varia dall’85% a 5 anni al 49-77% a 10 anni. La ripresa di malattia può presentarsi mediamente fra i 2 e i 3 anni dalla chirurgia, anche se sono stati riportati casi di recidiva a distanza dopo 23 anni dall’intervento. La probabilità di avere una recidiva locoregionale aumenta in presenza di linfonodi laterocervicali patologici e metastasi a distanza.

Il follow-up di questi pazienti richiede controlli prolungati nel tempo. I pazienti vengono monitorizzati periodica-mente con prelievo venoso per PTH, calcemia ed ecografia del collo.

La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma paratiroideo non secernente non è invece nota, in considerazione della rarità di questa entità e dell’assenza di dati. Tuttavia, si ritiene che la prognosi di questi pazienti sia peggiore in quanto, frequentemente, si presentano alla diagnosi con una malattia più avanzata.

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662 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

neuroendocrini, si riscontrano tumori maligni di differenti istotipi sincroni o metacroni. La maggior frequenza di dop-pia neoplasia è stata osservata soprattutto in associazione con i NEN dell’intestino tenue (29%).

La prevalenza di questi tumori nella popolazione generale è estremamente significativa: 35 casi/100.000 soggetti, per neoplasie considerate rare. Tasso molto alto, che colloca i NEN al secondo posto per prevalenza tra tutti i tumori del distretto gastroenterico. Se da un punto di vista sta-tistico, l’incidenza rappresenta il numero di nuovi casi diagnosticati l’anno e la prevalenza analizza il numero di pazienti viventi al momento della rilevazione statistica, è ben comprensibile come quest’ultima sia direttamente pro-porzionale sia al tasso di incidenza, sia alla sopravvivenza dei malati. Nel caso specifico, alti tassi di prevalenza nei NEN sarebbero giustificati da un progressivo incremento di incidenza della patologia e sopravvivenza dei pazienti, portatori nella maggior parte dei casi di una malattia ad andamento indolente, che determinerebbe un vero e pro-prio fenomeno di “accumulo” di pazienti nella popolazio-ne generale. Complessivamente il tasso di sopravvivenza globale a 5 anni per tutti i NEN (indipendentemente dal sito anatomico di origine oppure dallo stadio) varia dal 70% all’80%. Lo stadio di malattia è il fattore prognostico fondamentale; si registra infatti il miglior tasso di soprav-vivenza a 5 anni nella malattia localizzata (93%), rispetto al 20-30% riportato nella malattia avanzata (Fig. 17.4).

CLASSIFICAZIONE ANATOMOPATOLOGICAIl sistema di classificazione e nomenclatura delle neoplasie neuroendocrine è alquanto complesso e articolato. Negli ultimi decenni, differenti proposte di sistemi classificativi sito-specifici hanno contribuito all’identificazione di NEN morfologicamente simili ma spesso classificati in modo diverso a seconda del sito di origine. A oggi, non esiste un univoco sistema di nomenclatura e stadiazione per i NEN di tutti i siti anatomici, sebbene caratteristiche istopatolo-

NeoplaSie NeUroeNdoCriNeFilippo De Braud, Sara Pusceddu, Roberto Buzzoni

EPIDEMIOLOGIA Le neoplasie neuroendocrine (neuroendocrine neoplasms, NENs, nella dizione inglese, secondo la classificazione WHO 2010 che definì complessivamente queste neoplasie per la prima volta con il termine di neoplasie neuroendo-crine (NEN), abbandonando l’acronimo NET) sono un eterogeneo gruppo di tumori rari. Questi originano da cellule di derivazione neuroectodermica che possono pre-sentarsi a livello di tutti i distretti corporei, caratterizzate da un comportamento biologico variabile. Essi costituiscono poco più dell’1% di tutte le neoplasie maligne. L’incidenza clinica è stimata intorno a 5,53/100.000 individui/anno per il sesso maschile e 4,76 per quello femminile. I NEN polmonari e ileali sono più frequenti nella razza bianca (30% e 17%), mentre i NEN rettali nella popolazione asia-tica (41%), p <0,001. Per tutte le sedi, nel corso degli ultimi trent’anni, si è assistito a un progressivo incremento del numero di nuovi casi e questo dato non è da imputarsi solo al miglioramento delle tecniche diagnostiche e al diffon-dersi delle nozioni riguardo questa classe di neoplasie, ma anche a un reale incremento dell’incidenza di questa pato-logia (Fig. 17.3). Tuttavia, i casi diagnosticati sottostimano notevolmente la loro reale incidenza. È documentato che l’incidenza autoptica per i NEN intestinali è 8,4/100.000/anno e circa 1.500/100.000/anno per le neoplasie del pan-creas endocrino. Le ragioni di questa discrepanza sono da attribuirsi, in parte, alla difficoltà di effettuare una diagnosi differenziale fra NEN e affezioni di altra natura e, in parte, all’indolenza di alcune di queste forme che, talvolta, ven-gono diagnosticate solo in corso di accertamenti effettuati per altre cause. Inoltre, nella maggior parte dei casi i NEN sono neoplasie asintomatiche e solo nel 10-20% dei casi

producono e riversano nel torrente circolatorio una serie di sostanze ormonali capaci di evocare segni e sintomi tipici della sindrome da carcinoide. Anche nei casi sindromici, l’eterogeneità e l’aspecificità dei disturbi, che possono va-riare dalla malattia peptica recidivante alle manifestazioni cutanee, dai disordini del metabolismo glucidico, alla diarrea cronica e al flushing, non sempre aiutano il clinico a porre precocemente diagnosi di neuroendocrinopatia.

Poiché i NEN insorgono dal compartimento delle cellule neuroendocrine, la sede più frequentemente interessata (58%) è il tratto gastro-entero-pancreatico (GEP), seguita dal sistema broncopolmonare per l’alta densità delle cel-lule di Kulschitzky (27% polmone, 0,2% timo) in oltre il 25% dei casi. A livello di altri distretti corporei, quali cute, tiroide, midollare del surrene e timo, origina il rimanente 15%. Nell’ambito del distretto entero-pancreatico, i carci-noidi dell’intestino tenue e del retto sono i più frequenti (17% e 13,5% rispettivamente), seguiti dai NEN di pan-creas, stomaco e appendice. I carcinoidi di stomaco, colon e retto rappresentano circa l’1-2% di tutte le neoplasie gastrointestinali; i carcinoidi bronchiali il 2-3% di tutti i tumori polmonari, i carcinomi midollari della tiroide meno del 10% di tutte le neoplasie tiroidee. I tumori insu-lari del pancreas hanno incidenze diagnostiche minime. I feocromocitomi sono estremamente rari (0,8 casi/100.000/anno) e spesso vengono diagnosticati casualmente nel corso di indagini mirate per verificare la presenza di pato-logie non neoplastiche. Negli ultimi anni, si è assistito a un cambiamento dell’incidenza di varie forme endocrine. Il tasso di incidenza, aggiustato per età, dei carcinoidi ap-pendicolari è diminuito in tutti i sottogruppi della popo-lazione, mentre una tendenza inversa è stata osservata per le forme polmonari, dato che potrebbe essere correlato al diffondersi dell’utilizzo della broncoscopia a fibre ottiche. Allo stesso modo, negli ultimi trent’anni si è assistito a un incremento del tasso di incidenza dei carcinoidi gastrici, colici e rettali. In circa il 20% dei pazienti affetti da tumori

SEER9 SEER17

Incidenza di tutte le neoplasie maligneIncidenza dei tumori neuroendocrini

6,00

5,00

4,00

3,00

2,00

1,00

0

600

500

400

300

200

100

0

19731974197519761977197819791980198119821983198419851986198719881989199019911992199319941995199619971998199920002001200220032004

1,09 (0,92-1,28)1,40 (1,22-1,61)1,58 (1,39-1,78)1,37 (1,20-1,56)1,61 (1,42-1,81)1,43 (1,27-1,62)1,66 (1,48-1,86)1,44 (1,28-1,63)1,30 (1,14-1,48)1,57 (1,40-1,76)1,63 (1,46-1,83)1,71 (1,53-1,91)1,70 (1,53-1,90)2,65 (2,42-2,88)2,76 (2,53-3,00)2,82 (2,59-3,06)3,00 (2,76-3,24)2,91 (2,68-3,15)3,17 (2,94-3,41)3,21 (3,01-3,41)3,31 (3,11-3,51)3,41 (3,21-3,62)3,95 (3,74-4,17)4,11 (3,89-4,33)4,27 (4,05-4,49)4,71 (4,49-4,95)4,73 (4,50-4,96)4,84 (4,68-5,01)4,63 (4,47-4,79)5,06 (4,90-5,23)5,21 (5,04-5,38)5,25 (5,09-5,42)

Anni Incidenza (IC 95%)

Inci

denz

a su

100

.000

Inci

denz

a di

tum

ori n

euro

endo

crin

i su

100.

000

Anno

SEER13

20042003200220012000199919981997199619951994199319921991199019891988198719861985198419831982198119801979197819771976197519741973

FIG. 17.3 incidenza dei NeN e della altre neoplasie. Modificata da: Yao JC, Hassan M, Phan A et al. One hundred years after “carcinoid”: epidemiology and prognostic factors for neuroendocrine tumors in 35,825 cases in the United States. J Clin Oncol 2008;26(18):3063-3072.

FIG. 17.4 Sopravvivenza dei pazienti NeN in base allo staging (A) o al grading (b) del tumore. Modificata da: Pape UF, Berndt U, Müller-Nordhorn J et al. Prognostic factors of long-term outcome in gastroenteropancreatic neuroendocrine tumours. Endocr Relat Cancer 2008a;15:1083.

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 663

neuroendocrini, si riscontrano tumori maligni di differenti istotipi sincroni o metacroni. La maggior frequenza di dop-pia neoplasia è stata osservata soprattutto in associazione con i NEN dell’intestino tenue (29%).

La prevalenza di questi tumori nella popolazione generale è estremamente significativa: 35 casi/100.000 soggetti, per neoplasie considerate rare. Tasso molto alto, che colloca i NEN al secondo posto per prevalenza tra tutti i tumori del distretto gastroenterico. Se da un punto di vista sta-tistico, l’incidenza rappresenta il numero di nuovi casi diagnosticati l’anno e la prevalenza analizza il numero di pazienti viventi al momento della rilevazione statistica, è ben comprensibile come quest’ultima sia direttamente pro-porzionale sia al tasso di incidenza, sia alla sopravvivenza dei malati. Nel caso specifico, alti tassi di prevalenza nei NEN sarebbero giustificati da un progressivo incremento di incidenza della patologia e sopravvivenza dei pazienti, portatori nella maggior parte dei casi di una malattia ad andamento indolente, che determinerebbe un vero e pro-prio fenomeno di “accumulo” di pazienti nella popolazio-ne generale. Complessivamente il tasso di sopravvivenza globale a 5 anni per tutti i NEN (indipendentemente dal sito anatomico di origine oppure dallo stadio) varia dal 70% all’80%. Lo stadio di malattia è il fattore prognostico fondamentale; si registra infatti il miglior tasso di soprav-vivenza a 5 anni nella malattia localizzata (93%), rispetto al 20-30% riportato nella malattia avanzata (Fig. 17.4).

CLASSIFICAZIONE ANATOMOPATOLOGICAIl sistema di classificazione e nomenclatura delle neoplasie neuroendocrine è alquanto complesso e articolato. Negli ultimi decenni, differenti proposte di sistemi classificativi sito-specifici hanno contribuito all’identificazione di NEN morfologicamente simili ma spesso classificati in modo diverso a seconda del sito di origine. A oggi, non esiste un univoco sistema di nomenclatura e stadiazione per i NEN di tutti i siti anatomici, sebbene caratteristiche istopatolo-

giche, quali indice di proliferazione e grado di malignità (grading), siano condivise da tutti i sistemi classificativi. In questo capitolo ci focalizzeremo sulla definizione isto-patologica e gli aspetti clinico-terapeutici dei NEN GEP. Queste sono neoplasie rare costituite da cellule con diffe-renziazione endocrina, che esprimono i marcatori presenti nei vari tipi di cellule del sistema endocrino diffuso del tratto gastro-entero-pancreatico (Tab. 17.5). La descrizione delle neoplasie endocrine polmonari verrà affrontata nel capitolo dedicato alle neoplasie del distretto toracico.

Morfologia e immunoistochimica Nonostante la nomenclatura dei NEN GEP abbia subito una continua evoluzione nel corso degli ultimi due de-cenni, si è sempre mantenuta nel tempo la suddivisione morfologica di queste neoplasie in due grandi categorie prognostiche: i tumori neuroendocrini ben differenziati e quelli scarsamente differenziati. Morfologicamente, l’ac-certamento di una differenziazione endocrina si ottiene applicando tecniche istochimiche per i granuli secretori e la microscopia elettronica. I metodi impiegati di rou-tine sono l’impregnazione argentica di Grimelius, l’im-munoistochimica per antigeni citosolici (come l’enolasi neurone-specifica, NSE), per antigeni contenuti in granuli secretori (come le cromogranine), o in piccole vescicole simil-sinaptiche (come la sinaptofisina) o per glicopro-teine di membrana (come la molecola di adesione delle cellule neuronali: NCAM-CD56). L’identificazione di un tipo cellulare specifico si basa sulla dimostrazione della presenza dell’ormone/i prodotto/i o sulle caratteristiche ultrastrutturali dei granuli secretori. Recentemente, una serie di studi ha prospettato l’utilizzo di nuovi marcatori endocrini generali. Tra questi, nelle cellule endocrine GEP sono state identificate due isoforme del trasportatore vesci-colare di monoamine ATP-dipendente (VMAT1 e VMAT2), che hanno una specifica distribuzione: VMAT1 è presente solo nelle cellule EC producenti serotonina, mentre VMAT2

producono e riversano nel torrente circolatorio una serie di sostanze ormonali capaci di evocare segni e sintomi tipici della sindrome da carcinoide. Anche nei casi sindromici, l’eterogeneità e l’aspecificità dei disturbi, che possono va-riare dalla malattia peptica recidivante alle manifestazioni cutanee, dai disordini del metabolismo glucidico, alla diarrea cronica e al flushing, non sempre aiutano il clinico a porre precocemente diagnosi di neuroendocrinopatia.

Poiché i NEN insorgono dal compartimento delle cellule neuroendocrine, la sede più frequentemente interessata (58%) è il tratto gastro-entero-pancreatico (GEP), seguita dal sistema broncopolmonare per l’alta densità delle cel-lule di Kulschitzky (27% polmone, 0,2% timo) in oltre il 25% dei casi. A livello di altri distretti corporei, quali cute, tiroide, midollare del surrene e timo, origina il rimanente 15%. Nell’ambito del distretto entero-pancreatico, i carci-noidi dell’intestino tenue e del retto sono i più frequenti (17% e 13,5% rispettivamente), seguiti dai NEN di pan-creas, stomaco e appendice. I carcinoidi di stomaco, colon e retto rappresentano circa l’1-2% di tutte le neoplasie gastrointestinali; i carcinoidi bronchiali il 2-3% di tutti i tumori polmonari, i carcinomi midollari della tiroide meno del 10% di tutte le neoplasie tiroidee. I tumori insu-lari del pancreas hanno incidenze diagnostiche minime. I feocromocitomi sono estremamente rari (0,8 casi/100.000/anno) e spesso vengono diagnosticati casualmente nel corso di indagini mirate per verificare la presenza di pato-logie non neoplastiche. Negli ultimi anni, si è assistito a un cambiamento dell’incidenza di varie forme endocrine. Il tasso di incidenza, aggiustato per età, dei carcinoidi ap-pendicolari è diminuito in tutti i sottogruppi della popo-lazione, mentre una tendenza inversa è stata osservata per le forme polmonari, dato che potrebbe essere correlato al diffondersi dell’utilizzo della broncoscopia a fibre ottiche. Allo stesso modo, negli ultimi trent’anni si è assistito a un incremento del tasso di incidenza dei carcinoidi gastrici, colici e rettali. In circa il 20% dei pazienti affetti da tumori

FIG. 17.4 Sopravvivenza dei pazienti NeN in base allo staging (A) o al grading (b) del tumore. Modificata da: Pape UF, Berndt U, Müller-Nordhorn J et al. Prognostic factors of long-term outcome in gastroenteropancreatic neuroendocrine tumours. Endocr Relat Cancer 2008a;15:1083.

Sopr

avvi

venz

a cu

mul

ativ

a

Tempo di sopravvivenza (mesi)

Stadio IV

Stadio III

Stadio II

Stadio I

I vs III vs IIII vs IVII vs IIIII vs VIIII vs IV

p = 0.227p = 0.048p = 0.001p = 0.171p <0.001p = 0.004

A

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0,0

0 50 100 150 200 250

Sopr

avvi

venz

a cu

mul

ativ

a

Tempo di sopravvivenza (mesi)

G3

G2

G1

B

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0,0

0 50 100 150 200 250

G1 vs G2 p = 0,040G1 vs G3 p <0,001G2 vs G3 p <0,001

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664 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

identificare il citotipo funzionale tumorale prevalente (si veda Tab. 17.5). Macroscopicamente, i NEN intesti-nali si presentano come lesioni ovalari, ben delimitate, sottomucose o estese alla tonaca muscolare a differenza dei NEN pancreatici che possono presentarsi in forma sia nodulare sia infiltrante. Spesso al taglio, i NEN ben diffe-renziati appaiono di colorito rosso-bruno, tale da riflettere il microcircolo vascolare abbondante, o talvolta di colorito giallastro a causa di un alto contenuto lipidico.

Tumori neuroendocrini scarsamente differenziatiSono neoplasie epiteliali caratterizzate da un aspetto mor-fologico prevalentemente solido, spesso con ampie zone di necrosi. La diagnosi istopatologica si basa sul riscontro di elementi cellulari ad alto grado di atipia citologica con nuclei irregolari, e indici mitotico e proliferativo elevati, associati in genere a una limitata espressione immunoi-stochimica dei marcatori neuroendocrini. Poiché queste caratteristiche morfologiche si riscontrano anche in car-cinomi esocrini GEP ad alto grado di malignità, diventa indispensabile, per l’identificazione delle forme endocrine, la dimostrazione immunoistochimica di una differen-ziazione endocrina. Solitamente, i marcatori citosolici, come NSE, quelli microvescicolari, come sinaptofisina, o di membrana, come NCAM-CD56, sono ben espressi anche nelle forme scarsamente differenziate. Al contrario, i marcatori granulari generici, come cromogranine e ormoni specifici delle cellule del sistema endocrino diffuso, sono assenti o solo focalmente espressi. Le forme scarsamente differenziate sono associate a un decorso clinico rapida-mente progressivo, mentre quelle ben differenziate hanno una prognosi migliore, con un tasso di sopravvivenza me-diana a 5 anni del 67%. Tuttavia, sebbene nella maggior parte dei casi presentino un decorso clinico indolente, costituiscono un gruppo di neoplasie eterogenee per sede e caratteristiche prognostiche, nell’ambito del quale è chia-ramente riconoscibile un differente spettro di aggressività. Alla diagnosi, il 40% delle neoplasie ben differenziate si presenta in stadio avanzato, più comunemente con se-condarismi epatici, mantenendo comunque una lunga aspettativa di sopravvivenza.

Classificazione La nomenclatura e il sistema classificativo dei NEN GEP ha subito una notevole evoluzione negli ultimi decenni. L’esclusiva caratterizzazione morfologica è un elemento indispensabile, ma non può essere considerato l’unico criterio di valutazione ai fini di un adeguato inquadra-mento prognostico. L’uso comune della terminologia “carcinoide” tradizionalmente associata ai NEN GEP ben differenziati, viene mantenuta dall’attuale classificazione WHO 2010 solo limitatamente ai NEN ben differenziati del polmone e del distretto gastrointestinale. L’uso del termine “carcinoide” è stato più volte criticato per la sua valenza nel “sottostimare” il potenziale di malignità che accompagna queste neoplasie, in passato ritenute mali-gne solo quando vi era evidenza di metastasi a distanza o invasione vascolare.

è espresso nelle cellule ECL gastriche, producenti istamina e in quelle delle isole pancreatiche. Molti NEN GEP espri-mono i recettori della somatostatina (SSTR). Sono stati identificati 5 diversi tipi di SSTR. L’espressione immunoi-stochimica di SSTR2, caratterizzata da una positività netta di membrana, si correla strettamente con le immagini scintigrafiche (Octreoscan®).

Nuovi marcatori immunoistochimici, con una buona ac-curatezza diagnostica nei NEN pancreatici, sono in fase di validazione come il PDX1, Islet-1, PAX8, il cui ruolo sembra essere particolarmente indicato nella diagnostica differenzia-le delle lesioni secondarie da NEN a sede primitiva ignota.

Tumori neuroendocrini ben differenziatiSono neoplasie epiteliali costituite da cellule con scarse ati-pie citologiche e con abbondanti granuli secretori, disposte in trabecole, lobuli o aggregati solidi non ben definiti. La diagnosi istopatologica di NEN ben differenziati GEP

si basa sull’identificazione di ben definite caratteristiche morfologiche e sulla positività delle cellule tumorali ai marcatori endocrini granulari. In generale, sono indicativi di un NEN ben differenziato l’aspetto architetturale orga-noide (insulare o trabecolare), il monomorfismo cellulare, con nuclei ovalari, cromatina grossolanamente punteggiata e citoplasma finemente granulare, l’assenza di rilevanti atipie citologiche e un basso indice mitotico. Solitamente, nei NEN ben differenziati, i marcatori citosolici, granulari e microvescicolari sono tutti intensamente e diffusamente espressi tali da riflettere una forte e diffusa espressione immunoistochimica di marcatori neuroendocrini quali sinaptofisina e cromogranina. Alcuni tumori possono secernere ormoni peptidici specifici o bioammine come in-sulina, glucagone, somatostatina, VIP (peptide intestinale vasoattivo), serotonina, gastrina ecc., che possono produrre sindromi ormonali clinicamente evidenti. Per una diagnosi più dettagliata, è necessario ricorrere all’uso di anticorpi specifici diretti contro i vari ormoni gastrointestinali per

FIG. 17.5 tC addome. A. multiple lesioni focali epatiche di significato r ipet it ivo. b. i percaptazione patologica all’octreoscan. Per gentile concessione dell’Unità di radiologia e medicina Nucleare della Fondazione IRCCS Istituto Tumori Milano.

Tipo di tumore Tipo cellulare prevalente

Pa Stomaco Intestino Sindrome clinica

CF An Tenue Ap Crasso

D Dg I C R

Ben differenziato B x ipoglicemia

a x Glucagonoma

pp x

d x x x x x Somatostatinoma

eC x x x x x x x x x “Carcinoide”

eCl* x “Carcinoide atipico”

G x x x x x Zollinger-ellison

l x x x x x x

Scarsamente differenziato

p/i/g x x x x x x x x

an: antro; ap: appendice cecale; C: colon; CF: corpo e fondo; d: duodeno; dg: digiuno; eC: cellule enterocromaffini; eCl: enterocromaffino-simile; Gep: gastro-entero-pancreatico; i: ileo; pa: pancreas; p/i/g: cellule piccole/intermedie/grandi; r: retto; x: tumori presenti.* le cellule p/d1 producenti grelina sono state riscontrate nel 75% dei tumori.

TAbELLA 17.5 Cellule del sistema endocrino diffuso del tratto Gep umano: tipi, produzione ormonale e distribuzione

A B

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 665

identificare il citotipo funzionale tumorale prevalente (si veda Tab. 17.5). Macroscopicamente, i NEN intesti-nali si presentano come lesioni ovalari, ben delimitate, sottomucose o estese alla tonaca muscolare a differenza dei NEN pancreatici che possono presentarsi in forma sia nodulare sia infiltrante. Spesso al taglio, i NEN ben diffe-renziati appaiono di colorito rosso-bruno, tale da riflettere il microcircolo vascolare abbondante, o talvolta di colorito giallastro a causa di un alto contenuto lipidico.

Tumori neuroendocrini scarsamente differenziatiSono neoplasie epiteliali caratterizzate da un aspetto mor-fologico prevalentemente solido, spesso con ampie zone di necrosi. La diagnosi istopatologica si basa sul riscontro di elementi cellulari ad alto grado di atipia citologica con nuclei irregolari, e indici mitotico e proliferativo elevati, associati in genere a una limitata espressione immunoi-stochimica dei marcatori neuroendocrini. Poiché queste caratteristiche morfologiche si riscontrano anche in car-cinomi esocrini GEP ad alto grado di malignità, diventa indispensabile, per l’identificazione delle forme endocrine, la dimostrazione immunoistochimica di una differen-ziazione endocrina. Solitamente, i marcatori citosolici, come NSE, quelli microvescicolari, come sinaptofisina, o di membrana, come NCAM-CD56, sono ben espressi anche nelle forme scarsamente differenziate. Al contrario, i marcatori granulari generici, come cromogranine e ormoni specifici delle cellule del sistema endocrino diffuso, sono assenti o solo focalmente espressi. Le forme scarsamente differenziate sono associate a un decorso clinico rapida-mente progressivo, mentre quelle ben differenziate hanno una prognosi migliore, con un tasso di sopravvivenza me-diana a 5 anni del 67%. Tuttavia, sebbene nella maggior parte dei casi presentino un decorso clinico indolente, costituiscono un gruppo di neoplasie eterogenee per sede e caratteristiche prognostiche, nell’ambito del quale è chia-ramente riconoscibile un differente spettro di aggressività. Alla diagnosi, il 40% delle neoplasie ben differenziate si presenta in stadio avanzato, più comunemente con se-condarismi epatici, mantenendo comunque una lunga aspettativa di sopravvivenza.

Classificazione La nomenclatura e il sistema classificativo dei NEN GEP ha subito una notevole evoluzione negli ultimi decenni. L’esclusiva caratterizzazione morfologica è un elemento indispensabile, ma non può essere considerato l’unico criterio di valutazione ai fini di un adeguato inquadra-mento prognostico. L’uso comune della terminologia “carcinoide” tradizionalmente associata ai NEN GEP ben differenziati, viene mantenuta dall’attuale classificazione WHO 2010 solo limitatamente ai NEN ben differenziati del polmone e del distretto gastrointestinale. L’uso del termine “carcinoide” è stato più volte criticato per la sua valenza nel “sottostimare” il potenziale di malignità che accompagna queste neoplasie, in passato ritenute mali-gne solo quando vi era evidenza di metastasi a distanza o invasione vascolare.

Evoluzione storica Le tappe principali che hanno portato al sistema di classi-ficazione moderno utilizzato per la stadiazione dei NEN GEP sono le seguenti.

●● Nel 1907, Orberndorfer introdusse il termine “carcinoi-de” (carcinoma-like) per descrivere un tipo di tumore intestinale morfologicamente caratterizzato da nidi uniformi di piccole cellule.

●● Nel 1963, Williams e Sandler proposero di classificare i carcinoidi in “foregut” (tiroide, timo, esofago, polmone, stomaco, digiuno, colecisti, fegato, pancreas, duodeno prossimale), “midgut” (duodeno distale, ileo, cieco, colon ascendente, primi due terzi del colon trasverso) e “hindgut” (ultimo terzo del colon trasverso, colon discendente, sigma, retto, canale anale, apparato uro-genitale) in base all’origine embriologica intestinale delle cellule trasformate. Il limite di tale classificazione, attualmente ancora in uso, è l’eterogeneità delle forme istologiche raccolte in ogni categoria.

●● Nel 1971, Soga e Tazawa classificarono i NEN in base all’architettura morfologica in quattro sottotipi istolo-gici chiamati: A, B, C, D e misti. Tuttavia, tale stadiazio-ne non risultò né correlabile alla sede della neoplasia primitiva, né essere un valido modello prognostico.

●● Nel 1980, la WHO, sulla scorta della disponibilità di spe-cifiche colorazioni come l’impregnazione argentica di Grimelius e l’immunoistochimica per antigeni citosolici, suddivise i NEN in relazione all’espressione di alcuni mar-catori citotipo-specifici. L’assenza di correlazione con il grading della neoplasia non consentì a tale classificazione di essere un valido modello di predittività prognostica.

●● Nel 1995, Capella introdusse per primo la terminologia di tumore neuroendocrino (NET) al posto di “carcinoi-de” o “tumore delle cellule insulari”, suddividendo i NEN in quattro gruppi prognostici sulla scorta delle dimensioni della neoplasia primitiva e della presenza di angioinvasione. La successiva dimostrazione di fattori prognostici sfavorevoli come: invasione perineurale e capsulare, elevato indice mitotico e necrosi tumorale, portarono nel 1997 a un’ulteriore modifica della sud-detta classificazione in funzione dell’attività mitotica.

●● Nel 2000 la WHO propose un nuovo sistema di sta-diazione (ulteriore estensione della classificazione di Capella) per i NEN intestinali e, nel 2004, per i NEN pancreatici. La valutazione delle più importanti carat-teristiche prognostiche della neoplasia, come le dimen-sioni del tumore, l’invasione vascolare e perineurale, l’attività proliferativa, l’invasione linfonodale e a distan-za, identificarono quattro categorie prognostiche così denominate: tumore neuroendocrino ben differenziato a comportamento benigno, tumore neuroendocrino ben differenziato a comportamento incerto, carcinoma neuroendocrino ben differenziato e carcinoma neuro-endocrino scarsamente differenziato. Nonostante la validazione ottenuta negli anni successivi, la comples-sità di tale sistema di stadiazione rese difficoltosa la sua applicabilità nella pratica clinica. Inoltre, il follow-up clinico-strumentale dei pazienti evidenziava come più della metà dei NEN classificati a “comportamento incerto” andasse incontro a recidiva, suggerendo la malignità di queste forme già all’esordio.

B

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666 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

nenti ormoni ectopici quali gastrina, VIP, GHRH, ACTH e calcitonina.

I pNEN ben differenziati sono neoplasie epiteliali costituite da cellule con scarse atipie citologiche e con abbondanti granuli secretori, disposte in trabecole, lobuli o aggrega-ti solidi non ben definiti. I microadenomi clinicamente silenti (di dimensioni comprese tra 0,005 e 0,5 cm) rap-presentano perlopiù un reperto incidentale all’autopsia. In generale, i tumori confinati al pancreas, di diametro <2 cm, senza segni di angioinvasione, con numero di mitosi ≤2 per 10 HPF o 2 mm2 e indice proliferativo Ki67 ≤2% hanno un comportamento benigno (macroadenomi), mentre invece i tumori che dimostrano angioinvasione o numero di mitosi >2 o indice proliferativo Ki67 >2% sono a comportamento biologico incerto (aumentato rischio di comportamento maligno).

In genere, la maggior parte degli insulinomi sono benigni, mentre gli altri tipi di tumori funzionanti rientrano nella categoria dei tumori maligni o di quelli a prognosi incerta. Le forme ben e moderatamente differenziate hanno di solito un diametro intorno ai 5-6 cm. Spesso è presente un’atipia citologica moderata con nuclei ipercromatici e nucleoli ben evidenti. Le mitosi sono comprese fino a 20 per 10 HPF, l’indice proliferativo Ki67 non supera il 20% ed è presente angio e/o neuroinvasione.

I NEC del pancreas sono neoplasie epiteliali altamente ag-gressive, che di solito vengono diagnosticate quando sono già presenti metastasi epatiche o extraddominali. Hanno, in prevalenza, una struttura solida associata ad ampie aree di necrosi, sono caratterizzati da cellule marcatamente atipiche di dimensioni da piccole a grandi, e mostrano un indice mitotico >20 per 10 HPF o 2 mm2, indice prolifera-tivo Ki67 >20%, frequente accumulo di p53 nel nucleo e frequente angioinvasione.

Tratto gastrointestinale Pur essendo i citotipi endocrini gastrointestinali assai nu-merosi, i NEN sono quasi sempre costituiti da determinati citotipi sito-specifici. Così, i NEN gastrici sono costituiti principalmente da cellule ECL, quelli duodenali da cellule a gastrina e a somatostatina, i tumori appendicolari, ileali e del colon prossimale (derivati dall’intestino medio) da cellule EC producenti serotonina e quelli del colon di-stale e del retto (derivati dall’intestino distale) da cellule L producenti enteroglucagone e PYY. I tumori costituiti da cellule a CCK, secretina, GIP, motilina e neurotensina rappresentano una rarità e alcuni tipi funzionali non sono stati ancora identificati. Per queste ragioni i NEN gastroin-testinali vengono esaminati in base alla sede di insorgenza.

StomacoIl tumore non funzionante (carcinoide) a cellule ECL del corpo-fondo rappresenta il tipo di NEN gastrico ben diffe-renziato più frequente, mentre le forme funzionanti sono rare e, quando presenti, associate alla sindrome da carci-noide atipica. I NEC sono neoplasie altamente aggressive, che originano in qualsiasi parte dello stomaco.

In generale, il carcinoide gastrico del I tipo è generalmente benigno, multiplo e di piccole dimensioni, a origine pre-

Classificazione WHO 2010Con l’obiettivo di fornire parametri prognostici più accu-rati, nel 2006/2007, la Società Europea dei Tumori neuro-endocrini (ENET) propose un sistema di stadiazione TNM per i NEN GEP, simile a quello utilizzato per molti altri tipi di neoplasie epiteliali. La proposta di classificazione successivamente approvata e ulteriormente modificata nel 2010 dalla WHO e dal American Joint Committee on Cancer (AJCC), e attualmente pubblicata nella settima e ultima edizione del manuale di staging AJCC, si basava sulle caratteristiche del tumore primitivo quali diametro e invasività locale (T), presenza di metastasi linfonoda-li locoregionali (N) e presenza di metastasi a distanza (M) (Tab. 17.6). La combinazione di questi parametri consente di formulare lo stadio della neoplasia. Inoltre, per la prima volta veniva proposto un grading score in funzione dell’indice mitotico e/o Ki67, applicabile a tutti gli stadi di malattia: G1 con numero di mitosi <2 per 2 mm2 (10 HPF a ingrandimento X 400) e/o indice Ki67 ≤2%; G2 con 2-20 mitosi per 2 mm2 e/o indice Ki67 tra 2% e 20%; G3 con 21 o più mitosi per 2 mm2 e indice Ki67 >20%, dimostrando una correlazione diretta tra staging, grading del tumore e sopravvivenza dei pazienti, identificando differenti categorie prognostiche di NEN del tratto gastrointestinale (si veda Fig. 17.4). L’attuale classificazione WHO 2010 definisce complessivamente queste neoplasie per la prima volta con il termine di neoplasie neuroendocrine (NEN), abbandonando l’a-cronimo NET e suddivide questi tumori in NEN G1-G2, comprendenti i tumori neuroendocrini precedentemente classificati come ben e moderatamente differenziati, e in carcinomi neuroendocrini (NEC G3), riferendosi ai tu-mori neuroendocrini precedentemente classificati come scarsamente differenziati. Viene inoltre introdotto, per la prima volta, l’acronimo di MANEC per identificare i carcinomi adenoneuroendocrini misti (Tab. 17.7).

PRINCIPALI CATEGORIE DI GEP (WHO 2010)PancreasI NEN pancreatici (pNEN) sono costituiti principalmente da cellule presenti nelle isole pancreatiche (cellule b, a, d e a PP) oppure, meno frequentemente, da cellule secer-

WHO 2000 WHO 2010

tumori endocrini ben differenziati tumori neuroendocrini G1 (NeN) (carcinoidi)miB 1 o Ki67% ≤2Conta mitotica (10 HpF) <2

Carcinomi endocrini ben differenziati tumori neuroendocrini G2 (NeN) miB 1 o Ki67% 3 ≤20Conta mitotica (10 HpF) 2 ≤20

Carcinomi endocrini scarsamente differenziatiCarcinomi a piccole cellule

Carcinomi neuroendocrini G3 (NeC)miB 1 o Ki67% >20Conta mitotica (10 HpF) >20

Carcinomi endocrino-esocrini misti Carcinomi adenoneuroendocrini misti (maNeC)

lesioni precancerose iperplasia e lesioni precancerose

TAbELLA 17.7 differenza classificazioni WHo 2000 e 2010 dei Net Gep

Tumore primitivo (T)

tx tumore primitivo non identificato

t0 Non evidenza di tumore primitivo

tis Carcinoma in situ

t1 tumore limitato al pancreas con diametro <2 cm

t2 tumore limitato al pancreas con diametro >2 cm

t3 tumore con estensione extrapancreatica ma senza coinvolgimento dell’asse celiaco e/o dell’arteria mesenterica superiore

t4 tumore infiltrante l’asse celiaco e/o l’arteria mesenterica superiore (non resecabile)

Linfonodi locoregionali (N)

NX metastasi ai linfonodi regionali non identificabili

N0 assenza di metastasi ai linfonodi regionali

N1 metastasi ai linfonodi regionali

Metastasi a distanza

m0 assenza di metastasi a distanza

m1 presenza di metastasi a distanza

Stadi/Gruppi prognostici

Stadio 0 tis N0 m0

Stadio ia t1 N0 m0

Stadio iB t2 N0 m0

Stadio iia t3 N0 m0

Stadio iiB t1 N1 m0

t2 N1 m0

t3 N1 m0

Stadio iii t4 qualsiasi N m0

Stadio iV Qualsiasi t qualsiasi N m1

Modificata da: Edge SB, Byrd DR, Compton CC et al. American Joint Committee on Cancer Staging Manual. 7th. Springer, New York, 2010.

TAbELLA 17.6 Classificazione tNm dei tumori endocrini del pancreas

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 667

nenti ormoni ectopici quali gastrina, VIP, GHRH, ACTH e calcitonina.

I pNEN ben differenziati sono neoplasie epiteliali costituite da cellule con scarse atipie citologiche e con abbondanti granuli secretori, disposte in trabecole, lobuli o aggrega-ti solidi non ben definiti. I microadenomi clinicamente silenti (di dimensioni comprese tra 0,005 e 0,5 cm) rap-presentano perlopiù un reperto incidentale all’autopsia. In generale, i tumori confinati al pancreas, di diametro <2 cm, senza segni di angioinvasione, con numero di mitosi ≤2 per 10 HPF o 2 mm2 e indice proliferativo Ki67 ≤2% hanno un comportamento benigno (macroadenomi), mentre invece i tumori che dimostrano angioinvasione o numero di mitosi >2 o indice proliferativo Ki67 >2% sono a comportamento biologico incerto (aumentato rischio di comportamento maligno).

In genere, la maggior parte degli insulinomi sono benigni, mentre gli altri tipi di tumori funzionanti rientrano nella categoria dei tumori maligni o di quelli a prognosi incerta. Le forme ben e moderatamente differenziate hanno di solito un diametro intorno ai 5-6 cm. Spesso è presente un’atipia citologica moderata con nuclei ipercromatici e nucleoli ben evidenti. Le mitosi sono comprese fino a 20 per 10 HPF, l’indice proliferativo Ki67 non supera il 20% ed è presente angio e/o neuroinvasione.

I NEC del pancreas sono neoplasie epiteliali altamente ag-gressive, che di solito vengono diagnosticate quando sono già presenti metastasi epatiche o extraddominali. Hanno, in prevalenza, una struttura solida associata ad ampie aree di necrosi, sono caratterizzati da cellule marcatamente atipiche di dimensioni da piccole a grandi, e mostrano un indice mitotico >20 per 10 HPF o 2 mm2, indice prolifera-tivo Ki67 >20%, frequente accumulo di p53 nel nucleo e frequente angioinvasione.

Tratto gastrointestinale Pur essendo i citotipi endocrini gastrointestinali assai nu-merosi, i NEN sono quasi sempre costituiti da determinati citotipi sito-specifici. Così, i NEN gastrici sono costituiti principalmente da cellule ECL, quelli duodenali da cellule a gastrina e a somatostatina, i tumori appendicolari, ileali e del colon prossimale (derivati dall’intestino medio) da cellule EC producenti serotonina e quelli del colon di-stale e del retto (derivati dall’intestino distale) da cellule L producenti enteroglucagone e PYY. I tumori costituiti da cellule a CCK, secretina, GIP, motilina e neurotensina rappresentano una rarità e alcuni tipi funzionali non sono stati ancora identificati. Per queste ragioni i NEN gastroin-testinali vengono esaminati in base alla sede di insorgenza.

StomacoIl tumore non funzionante (carcinoide) a cellule ECL del corpo-fondo rappresenta il tipo di NEN gastrico ben diffe-renziato più frequente, mentre le forme funzionanti sono rare e, quando presenti, associate alla sindrome da carci-noide atipica. I NEC sono neoplasie altamente aggressive, che originano in qualsiasi parte dello stomaco.

In generale, il carcinoide gastrico del I tipo è generalmente benigno, multiplo e di piccole dimensioni, a origine pre-

valente su una mucosa sede di gastrite cronica atrofica au-toimmune (tipo A) associata ad acloridria, marcata iperga-strinemia, con o senza anemia perniciosa. Il carcinoide ga-strico del II tipo, estremamente raro, origina generalmente nel contesto di una gastropatia ipertrofica-ipersecretoria, con ipergastrinemia, dovuta all’associazione di una sindro-me MEN1 con sindrome di Zollinger-Ellison (MEN1/ZES), da gastrinomi duodenali o pancreatici. Il carcinoide gastri-co del III tipo (sporadico), estremamente raro, si presenta come lesione singola, solitaria, su mucosa gastrica priva di patologie predisponenti ed è caratterizzato generalmente da un’importante aggressività clinico-patologica.

Duodeno e digiuno prossimaleI NEN del duodeno e del digiuno prossimale interessano principalmente la prima e la seconda porzione duodena-le, con sostanziali diversità in relazione ai diversi tipi di tumore. I tumori non funzionanti a cellule G (gastrina) sono benigni e rappresentano spesso dei reperti inciden-tali, sono localizzati in genere nella mucosa-sottomucosa del bulbo duodenale. Al contrario, i tumori a cellule G funzionanti (gastrinomi) possono localizzarsi in tutte le porzioni duodenali e anche nel digiuno prossimale. I gastrinomi (associati alla sindrome di Zollinger-Ellison) possono essere molto piccoli (solo alcuni millimetri) e dare metastasi ai linfonodi regionali; nonostante le loro piccole dimensioni possono essere multipli quando asso-ciati alla sindrome MEN1.

I tumori a cellule D (somatostatina), i paragangliomi gan-gliocitici, i carcinoidi a cellule EC e i carcinomi scarsamente differenziati, si localizzano principalmente nella seconda porzione del duodeno, specialmente nella regione ampol-lare. I tumori a cellule D invadono generalmente la tonaca muscolare e danno spesso metastasi ai linfonodi regionali. Questi tumori, contrariamente a quelli pancreatici, non inducono una sindrome da somatostatinoma, mentre pos-sono comparire in associazione con la neurofibromatosi di tipo I. Le forme scarsamente differenziate sono neoplasie di grandi dimensioni, localizzate nella seconda porzione duodenale, altamente aggressive, spesso con invasione della parete e generalmente metastatiche alla diagnosi.

Digiuno distale, ileo, appendice, colon e rettoI NEN di digiuno, ileo, colon destro e appendice (intestino medio) e del resto del colon e retto (intestino distale) sono morfologicamente simili in tutte le sedi, anche se mostrano una storia naturale che è sede-correlata. La maggior parte dei NEN dell’intestino tenue sono tumori ben differenziati (carcinoidi) costituiti da cellule EC producenti serotonina/sostanza P e una serie di fattori di crescita. I tumori a cel-lule EC del piccolo intestino e del colon destro, in genere, invadono profondamente la parete e causano sintomi locali di tipo ostruttivo. Nel 10-20% dei casi, si associano alla tipica sindrome da carcinoide, che compare general-mente in presenza di metastasi epatiche. I tumori a cellule EC mostrano una caratteristica architettura costituita da nidi solidi che sono ben demarcati, alla periferia, da una palizzata di cellule riccamente granulate e intensamente reattive ai metodi istochimici per la serotonina. I NEN del retto e del sigma sono in prevalenza proliferazioni di piccole dimensioni, non funzionanti, trabecolari, limitate

Tumore primitivo (T)

tx tumore primitivo non identificato

t0 Non evidenza di tumore primitivo

tis Carcinoma in situ

t1 tumore limitato al pancreas con diametro <2 cm

t2 tumore limitato al pancreas con diametro >2 cm

t3 tumore con estensione extrapancreatica ma senza coinvolgimento dell’asse celiaco e/o dell’arteria mesenterica superiore

t4 tumore infiltrante l’asse celiaco e/o l’arteria mesenterica superiore (non resecabile)

Linfonodi locoregionali (N)

NX metastasi ai linfonodi regionali non identificabili

N0 assenza di metastasi ai linfonodi regionali

N1 metastasi ai linfonodi regionali

Metastasi a distanza

m0 assenza di metastasi a distanza

m1 presenza di metastasi a distanza

Stadi/Gruppi prognostici

Stadio 0 tis N0 m0

Stadio ia t1 N0 m0

Stadio iB t2 N0 m0

Stadio iia t3 N0 m0

Stadio iiB t1 N1 m0

t2 N1 m0

t3 N1 m0

Stadio iii t4 qualsiasi N m0

Stadio iV Qualsiasi t qualsiasi N m1

Modificata da: Edge SB, Byrd DR, Compton CC et al. American Joint Committee on Cancer Staging Manual. 7th. Springer, New York, 2010.

TAbELLA 17.6 Classificazione tNm dei tumori endocrini del pancreas

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668 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

che una larga varietà di peptidi co-secreti dal tumore può promuovere la peristalsi e l’attività elettromeccanica inte-stinale. Tra di essi, proprio la serotonina sembra avere un ruolo centrale: infatti, è stato dimostrato che essa regola la peristalsi e la motilità gastrica, nonché la secrezione fluida ed elettrolitica intestinale. Un aspetto piuttosto tipico della sindrome è la cardiomiopatia da carcinoide, presente nel 15-20% dei pazienti. Essa è caratterizzata dal coinvolgimento delle sezioni cardiache destre, con fibrosi dell’endocardio, fissazione e retrazione dei lembi delle valvole polmonare e tricuspide. L’insufficienza tricuspidale è l’alterazione cli-nica di più comune riscontro. Pressoché patognomonico è il riscontro di collagene di nuova deposizione al di sotto dell’endocardio. La fibrosi cardiaca si sviluppa in pazienti con metastasi epatiche, che generalmente presentano anche gli altri sintomi della sindrome da carcinoide. Ciò avviene perché le sostanze che inducono fibrosi vengono drenate nella vena cava inferiore e di qui nelle sezioni cardiache destre e non vengono inattivate durante il passaggio nel circolo polmonare. Queste sostanze comprendono le ta-chichinine, l’IGF-1 e soprattutto la serotonina, che attraver-so una up-regulation del TGF-b stimolano i fibroblasti alla deposizione di collagene. In particolare, è stato studiato il ruolo della serotonina nello sviluppo della malattia cardiaca che modulerebbe la proliferazione delle cellule valvolari subendocardiche attraverso dei recettori specifici (5-HT1B, 1D, 2A e 2B). Anche la cromogranina A potrebbe avere un ruolo nell’evoluzione della cardiomiopatia da carcinoide verso lo scompenso cardiaco, alla luce del riscontro di elevati livelli di cromogranina A in pazienti affetti da insufficienza cardiaca, in maniera direttamente proporzionale alla severità del danno cardiaco.

La sindrome da carcinoide atipica costituisce il 5% dei casi. È associata a NEN che hanno origine nel foregut da cellule ECL. La principale sede di origine dei NEN GEP con sindrome da carcinoide atipica è lo stomaco. La sindrome da carcinoide atipica è associata all’iperproduzione di ista-mina ed è caratterizzata da flushing, scialorrea, broncoco-strizione, lacrimazione e ipotensione. È da sottolineare che il flushing della sindrome atipica ha in genere una durata e un’estensione cutanea maggiore rispetto a quello della sindrome tipica e ha una tonalità purpurea. Nel 10% dei casi, la sindrome da carcinoide atipica insorge in un NEN a carattere ereditario nel contesto di una sindrome MEN1. I tumori dell’hindgut sono invece silenti da un punto di vista clinico, non essendo associati a ipersecrezione di uno specifico marcatore biologico.

Sindrome da ipersecrezione di gastrina: sindrome di Zollinger-Ellison (ZE) La sindrome di ZE è presente nel 18% dei NEN GEP fun-zionanti. Il 90% dei NEN con tale sindrome insorge in una zona addominale circoscritta che può essere delimitata da un triangolo, il cosiddetto “triangolo del gastrinoma”, che comprende la testa del pancreas e la II-III porzione duodenale. Raramente, queste neoplasie originano nello stomaco o nel tenue.

La sindrome clinica descritta per la prima volta da Zollinger ed Ellison nel 1955 è caratterizzata dall’ipersecrezione di gastrina e conseguente ipersecrezione di acido cloridrico

alla mucosa e sottomucosa, costituite principalmente da cellule L producenti enteroglucagone/PYY. Nel retto e nel colon distale sono stati riportati anche rari tumori a cellule EC producenti serotonina.

I NEC G3, spesso costituiti da piccole cellule, sono prin-cipalmente localizzati al grosso intestino. I NEN dell’ap-pendice si localizzano principalmente all’estremità distale del viscere e infiltrano profondamente la parete causando sintomi locali. Nonostante il loro carattere infiltrativo, nella maggior parte dei casi, questi rimangono confinati all’appendice, sono di piccole dimensioni (<2 cm) e dif-ficilmente invadono il mesoappendice o il cieco dando metastasi ai linfonodi regionali e al fegato. Le cellule che costituiscono i NEN appendicolari sono in prevalenza cellule EC, che producono serotonina e sostanza P e che si aggregano a formare nidi solidi. Raramente, i NEN ap-pendicolari sono formati da cellule L producenti entero-glucagone e PYY, disposte a formare strutture trabecolari. Sono raramente funzionanti, e questo si evidenzia quando associati a importante diffusione epatica di malattia.

Carcinomi adenoneuroendocrini mistiLa presenza di cellule neuroendocrine nel contesto di neo- plasie non endocrine è un fenomeno noto da tempo. La terminologia utilizzata, negli anni, per definire queste particolari neoplasie non è stata però uniforme e questo ha creato confusione tra i ricercatori e i clinici. Questo è da attribuirsi al fatto che i tumori misti esocrino-endocrini rappresentano uno spettro di lesioni che a un estremo tro-va le neoplasie endocrine con una componente minoritaria esocrina e dall’altro le neoplasie esocrine con una compo-nente endocrina minoritaria. La classificazione WHO 2010 esclude dalla categoria dei carcinomi adenoneuroendocrini misti (MANEC) le neoplasie esocrine che contengono solo una componente minoritaria (a cellule sparse) di cellule endocrine, includendo in questa particolare categoria le lesioni in cui la componente endocrina rappresenta alme-no il 30% del tumore (Tab. 17.6). Il significato clinico e biologico di tali tumori dipende quindi da diversi fattori, primi fra tutti le caratteristiche della componente esocrina ed endocrina. In generale, la prognosi dipende più frequen-temente dal grado istologico della componente esocrina presente: se questa è rappresentata da un adenocarcinoma G2 la prognosi del paziente è influenzata dal comporta-mento biologico dell’adenocarcinoma. Fanno eccezione i casi in cui la componente endocrina è rappresentata da un carcinoma scarsamente differenziato a piccole cellule o in-termedie. Queste neoplasie sono ad alto grado di malignità e si associano a una prognosi infausta a breve termine, per cui la sopravvivenza è condizionata dall’aggressività biologica di questo istotipo.

DIAGNOSIDiagnosi clinica: sindromi cliniche associate alle neoplasie neuroendocrineI NEN GEP associati a sindrome clinica funzionale so-no caratterizzati da un’abnorme secrezione di una o più molecole biologicamente attive tra cui ormoni, peptidi e amine regolatorie. L’attività secretoria può essere di tipo monomorfo (quando viene prodotto principalmente un

solo tipo di molecola) o polimorfo (quando più molecole vengono immesse in circolo).

Ciò accade sia perché un singolo citotipo può produrre contemporaneamente più ormoni, sia perché ogni tumore può essere costituito da più di uno stipite cellulare. Da un punto di vista clinico, tuttavia, non sempre l’ipersecrezione ormonale da parte del tumore è sinonimo di sindrome en-docrina funzionale clinicamente evidente a causa della bassa concentrazione di ormone secreto o della produzione di pro-ormoni immaturi con scarsa attività biologica o, infine, per l’assenza di recettori ormonali. In molti casi, i NEN GEP funzionanti presentano secrezioni miste. Ciononostante, è possibile riconoscere alcuni quadri clinici peculiari di spe-cifiche ipersecrezioni neuroendocrine.

Sindrome da ipersecrezione di serotonina (sindrome da carcinoide) È la sindrome endocrina funzionale più frequente, rap-presentando il 41% delle forme funzionanti. I tumori re-sponsabili della sindrome derivano dalle cellule EC (ente-rocromaffini) o dalle cellule ECL (enterocromaffini-like) e possono avere origine lungo tutto l’apparato digerente. Complessivamente, solo il 10% circa dei pazienti con que-sti tumori sviluppa una sindrome da carcinoide clinica-mente manifesta.

La sostanza che più spesso è ipersecreta nella sindrome da carcinoide è la serotonina, ma il quadro ormonale alla base della sindrome sembra essere ben più complesso, in quanto anche altre sostanze (bradichinine, tachichinine) sono co-secrete. In ogni caso, l’iperproduzione di serotoni-na determina il quadro della sindrome da carcinoide tipica, caratterizzata da flushing cutaneo, diarrea cronica, bronco-costrizione e scompenso cardiaco destro, che rappresenta il 95% dei casi di sindrome da carcinoide. Tuttavia, solo raramente sono presenti tutte le manifestazioni descritte, potendo talora mancare il flushing cutaneo, la diarrea o entrambi.

Il corredo sintomatologico della sindrome da carcinoide è completato da calo ponderale, iperidrosi e lesioni cutanee pellagra-simili; queste ultime sono dovute alla carenza di triptofano (precursore della niacina), che viene utilizzato per sintetizzare la serotonina. Lo sviluppo della sindrome è funzione della massa tumorale e della sede di origine della neoplasia. In particolare, lo sviluppo di metastasi si associa spesso alla comparsa clinica di una sindrome spesso latente durante le fasi iniziali del tumore. Inoltre, il drenaggio veno-so delle metastasi epatiche, che avviene direttamente nella circolazione sistemica, supera l’inattivazione epatica della serotonina. Anche la localizzazione del tumore primitivo può incidere sullo sviluppo della sindrome, dal momento che i NEN a origine ileale sono più frequentemente associati allo sviluppo della sindrome da carcinoide; viceversa, essa non si verifica quasi mai nelle neoplasie del retto. Il flushing cutaneo può essere spontaneo o indotto da condizioni di stress psicofisico, infezioni, alcol, cibi speziati e farmaci. La diarrea, presente nel 30-80% dei pazienti sindromici, è una diarrea cronica prevalentemente di tipo secretorio, che non si modifica con il digiuno ed è associata ad alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico. La patogenesi è sicuramente multifattoriale e ancora scarsamente conosciuta: è certo

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 669

che una larga varietà di peptidi co-secreti dal tumore può promuovere la peristalsi e l’attività elettromeccanica inte-stinale. Tra di essi, proprio la serotonina sembra avere un ruolo centrale: infatti, è stato dimostrato che essa regola la peristalsi e la motilità gastrica, nonché la secrezione fluida ed elettrolitica intestinale. Un aspetto piuttosto tipico della sindrome è la cardiomiopatia da carcinoide, presente nel 15-20% dei pazienti. Essa è caratterizzata dal coinvolgimento delle sezioni cardiache destre, con fibrosi dell’endocardio, fissazione e retrazione dei lembi delle valvole polmonare e tricuspide. L’insufficienza tricuspidale è l’alterazione cli-nica di più comune riscontro. Pressoché patognomonico è il riscontro di collagene di nuova deposizione al di sotto dell’endocardio. La fibrosi cardiaca si sviluppa in pazienti con metastasi epatiche, che generalmente presentano anche gli altri sintomi della sindrome da carcinoide. Ciò avviene perché le sostanze che inducono fibrosi vengono drenate nella vena cava inferiore e di qui nelle sezioni cardiache destre e non vengono inattivate durante il passaggio nel circolo polmonare. Queste sostanze comprendono le ta-chichinine, l’IGF-1 e soprattutto la serotonina, che attraver-so una up-regulation del TGF-b stimolano i fibroblasti alla deposizione di collagene. In particolare, è stato studiato il ruolo della serotonina nello sviluppo della malattia cardiaca che modulerebbe la proliferazione delle cellule valvolari subendocardiche attraverso dei recettori specifici (5-HT1B, 1D, 2A e 2B). Anche la cromogranina A potrebbe avere un ruolo nell’evoluzione della cardiomiopatia da carcinoide verso lo scompenso cardiaco, alla luce del riscontro di elevati livelli di cromogranina A in pazienti affetti da insufficienza cardiaca, in maniera direttamente proporzionale alla severità del danno cardiaco.

La sindrome da carcinoide atipica costituisce il 5% dei casi. È associata a NEN che hanno origine nel foregut da cellule ECL. La principale sede di origine dei NEN GEP con sindrome da carcinoide atipica è lo stomaco. La sindrome da carcinoide atipica è associata all’iperproduzione di ista-mina ed è caratterizzata da flushing, scialorrea, broncoco-strizione, lacrimazione e ipotensione. È da sottolineare che il flushing della sindrome atipica ha in genere una durata e un’estensione cutanea maggiore rispetto a quello della sindrome tipica e ha una tonalità purpurea. Nel 10% dei casi, la sindrome da carcinoide atipica insorge in un NEN a carattere ereditario nel contesto di una sindrome MEN1. I tumori dell’hindgut sono invece silenti da un punto di vista clinico, non essendo associati a ipersecrezione di uno specifico marcatore biologico.

Sindrome da ipersecrezione di gastrina: sindrome di Zollinger-Ellison (ZE) La sindrome di ZE è presente nel 18% dei NEN GEP fun-zionanti. Il 90% dei NEN con tale sindrome insorge in una zona addominale circoscritta che può essere delimitata da un triangolo, il cosiddetto “triangolo del gastrinoma”, che comprende la testa del pancreas e la II-III porzione duodenale. Raramente, queste neoplasie originano nello stomaco o nel tenue.

La sindrome clinica descritta per la prima volta da Zollinger ed Ellison nel 1955 è caratterizzata dall’ipersecrezione di gastrina e conseguente ipersecrezione di acido cloridrico

da parte delle cellule oxintiche dello stomaco. Clinicamen-te, ciò si traduce nella presenza di ulcere gastroduodenali, dolori addominali e diarrea. La diarrea è cronica, di tipo secretorio e associata a steatorrea, con una frequenza di sca-riche giornaliere che può variare da due a dieci ed è sempre associata a ipergastrinemia e ipersecrezione acida. Negli ul-timi anni, le modalità di presentazione della sindrome di ZE sono cambiate in modo sostanziale; ciò è particolarmente vero per le ulcere peptiche. Infatti, se prima esse risultavano più spesso multiple, sanguinanti e localizzate prevalente-mente nel duodeno, oggi risultano più spesso singole, con scarso sanguinamento e, talvolta, localizzate in sedi atipiche come il digiuno. Questa sostanziale differenza tra passato e presente è dovuta, da un lato, alla maggior attenzione diagnostica che permette di evidenziare i NEN in fase più precoce e, dall’altro, al largo uso degli inibitori di pompa protonica, che attenuano e mascherano la comparsa clinica della sindrome di ZE. Circa il 25% dei casi di NEN associati alla sindrome di ZE rientrano nel contesto di una MEN1 e, in questo caso, quasi sempre si localizzano nel duodeno.

Sindrome ipoglicemica da ipersecrezione di insulinaÈ presente nel 33% dei NEN GEP funzionanti. I tumori responsabili di questa sindrome originano dalle cellule b delle isole pancreatiche e sono tra i più comuni tumori del pancreas e prendono il nome di insulinomi. Si tratta di neoplasie generalmente benigne; le forme maligne co-stituiscono il 10% dei casi. La sindrome ipoglicemica che ne deriva è caratterizzata tipicamente da ipoglicemia a digiuno, indotta da ipersecrezione autonoma di insulina. Il quadro clinico è caratterizzato dalla triade di Whipple: crisi ipoglicemiche a digiuno; glicemia <40 mg/dL durante la crisi; regressione dei sintomi dopo somministrazione di cibo. I sintomi da ipoglicemia possono essere riconduci-bili a due ordini diversi: neuroglicopenici e da attivazione adrenergica. I sintomi neuroglicopenici (irritabilità, agita-zione, confusione) riflettono la presenza di bassi livelli di glucosio a livello cerebrale, mentre i sintomi da attivazione b-adrenergica (ansia, tremore, senso di fame, tachicardia, sudorazione) rappresentano il meccanismo di compenso messo in atto in risposta ai bassi livelli di glicemia. Nel 4-7% dei casi, insorge nel contesto di una MEN1.

Sindrome da ipersecrezione di glucagone (sindrome di becker)I tumori che danno luogo alla sindrome di Becker sono di origine quasi esclusivamente pancreatica e rappresentano non più del 2% dei NEN GEP. Originano dalle cellule a e nel 70% dei casi si tratta di una patologia maligna, con presenza di metastasi già alla diagnosi. Nel 90% dei casi è presente un’affezione dermatologica patognomonica, l’eritema necrolitico migrante, che può precedere anche di alcuni anni gli altri sintomi propri della sindrome. Es-so compare inizialmente a carico della cute della regione periorale e inguinale, per poi diffondersi alla regione peri-neale, glutei e arti. Gli altri sintomi sono da riferire all’iper-glicemia: alterata tolleranza al glucosio o diabete mellito franco, in genere refrattario al trattamento insulinico. La sintomatologia aspecifica include anemia, calo ponderale, diarrea, cheilite angolare, glossite e stomatite. Seppur rari, sono presenti disturbi psichiatrici. Inoltre, in un quarto dei

solo tipo di molecola) o polimorfo (quando più molecole vengono immesse in circolo).

Ciò accade sia perché un singolo citotipo può produrre contemporaneamente più ormoni, sia perché ogni tumore può essere costituito da più di uno stipite cellulare. Da un punto di vista clinico, tuttavia, non sempre l’ipersecrezione ormonale da parte del tumore è sinonimo di sindrome en-docrina funzionale clinicamente evidente a causa della bassa concentrazione di ormone secreto o della produzione di pro-ormoni immaturi con scarsa attività biologica o, infine, per l’assenza di recettori ormonali. In molti casi, i NEN GEP funzionanti presentano secrezioni miste. Ciononostante, è possibile riconoscere alcuni quadri clinici peculiari di spe-cifiche ipersecrezioni neuroendocrine.

Sindrome da ipersecrezione di serotonina (sindrome da carcinoide) È la sindrome endocrina funzionale più frequente, rap-presentando il 41% delle forme funzionanti. I tumori re-sponsabili della sindrome derivano dalle cellule EC (ente-rocromaffini) o dalle cellule ECL (enterocromaffini-like) e possono avere origine lungo tutto l’apparato digerente. Complessivamente, solo il 10% circa dei pazienti con que-sti tumori sviluppa una sindrome da carcinoide clinica-mente manifesta.

La sostanza che più spesso è ipersecreta nella sindrome da carcinoide è la serotonina, ma il quadro ormonale alla base della sindrome sembra essere ben più complesso, in quanto anche altre sostanze (bradichinine, tachichinine) sono co-secrete. In ogni caso, l’iperproduzione di serotoni-na determina il quadro della sindrome da carcinoide tipica, caratterizzata da flushing cutaneo, diarrea cronica, bronco-costrizione e scompenso cardiaco destro, che rappresenta il 95% dei casi di sindrome da carcinoide. Tuttavia, solo raramente sono presenti tutte le manifestazioni descritte, potendo talora mancare il flushing cutaneo, la diarrea o entrambi.

Il corredo sintomatologico della sindrome da carcinoide è completato da calo ponderale, iperidrosi e lesioni cutanee pellagra-simili; queste ultime sono dovute alla carenza di triptofano (precursore della niacina), che viene utilizzato per sintetizzare la serotonina. Lo sviluppo della sindrome è funzione della massa tumorale e della sede di origine della neoplasia. In particolare, lo sviluppo di metastasi si associa spesso alla comparsa clinica di una sindrome spesso latente durante le fasi iniziali del tumore. Inoltre, il drenaggio veno-so delle metastasi epatiche, che avviene direttamente nella circolazione sistemica, supera l’inattivazione epatica della serotonina. Anche la localizzazione del tumore primitivo può incidere sullo sviluppo della sindrome, dal momento che i NEN a origine ileale sono più frequentemente associati allo sviluppo della sindrome da carcinoide; viceversa, essa non si verifica quasi mai nelle neoplasie del retto. Il flushing cutaneo può essere spontaneo o indotto da condizioni di stress psicofisico, infezioni, alcol, cibi speziati e farmaci. La diarrea, presente nel 30-80% dei pazienti sindromici, è una diarrea cronica prevalentemente di tipo secretorio, che non si modifica con il digiuno ed è associata ad alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico. La patogenesi è sicuramente multifattoriale e ancora scarsamente conosciuta: è certo

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dalla fissità delle anse intestinali può essere determinato semplicemente dalla fibrosi piuttosto che dall’infiltrazione neoplastica. Al momento della diagnosi, circa il 60% dei pazienti affetti da carcinoidi del piccolo intestino presenta una malattia metastatica, per diffusione linfonodale o epa-tica. Le metastasi linfonodali presentano frequentemente delle calcificazioni e tendono a confluire in conglomerati adenopatici, con aree di necrosi centrale e un enhancement contrastografico disomogeneo alla TAC o alla RMN. Le me-tastasi epatiche sono prevalentemente ipervascolari e sono meglio apprezzabili dopo somministrazione del mezzo di contrasto; tendono a presentare una necrosi centrale con un cercine periferico iperdenso, caratterizzato da un enhancement contrastografico persistente, con un aspetto a “bersaglio”, comune peraltro a lesioni metastatiche di altri istotipi. Le lesioni epatiche dei tumori neuroendocrini sono caratterizzate, in particolare, da un’elevata vascola-rizzazione arteriosa e, pertanto, lo studio del parenchima epatico deve prevedere più fasi contrastografiche. In parti-colare, per quanto riguarda la TAC ha trovato applicazioni ormai codificate la tecnica cosiddetta “bifasica”, che consi-ste nell’acquisizione di due differenti sequenze contrasto-grafiche: una prima fase prevalentemente arteriosa e una seconda prevalentemente portale.

La RM ha una sensibilità sovrapponibile o tendenzialmen-te inferiore alla TC nella valutazione delle lesioni primitive, mentre è complessivamente superiore per quanto riguarda l’identificazione di lesioni epatiche. L’introduzione clinica dei mezzi di contrasto epatospecifici ha ulteriormente am-plificato le potenzialità diagnostiche della tecnica.

Anche l’ecografia epatica, sebbene rimanga comunque un esame di primo livello, è accurata nella valutazione delle lesioni epatiche, soprattutto se si avvale, come da alcuni anni, di mezzi di contrasto dedicati, in grado di corredare il dato morfologico con informazioni funzionali inerenti le caratteristiche di perfusione dei tumori. L’ecografia tran-saddominale è inoltre la tecnica più diffusa per effettuare biopsie percutanee sia di lesioni primitive sia di metastasi, e per condurre trattamenti interstiziali, quali le termoabla-zioni epatiche. Per la valutazione delle lesioni pancreatiche l’ecografia endoscopica ha conquistato oggi uno spazio diagnostico preminente. Prevede l’impiego di sonde a elevata frequenza (7,5-12 MHz) incorporate all’interno di un endoscopio flessibile, che va posizionato a livello delle porzioni gastriche e duodenali adiacenti al pancreas. I principali vantaggi sono costituiti da un’impareggiabile risoluzione spaziale (connessa all’elevata frequenza impie-gata) e dall’assenza di artefatti da interposizioni di aria o di componenti ossee. Tale metodica è potenzialmente in grado di dimostrare lesioni pancreatiche millimetriche e, inoltre, può identificare con dettaglio carcinoidi localizzati nella parete esofago-gastrica, duodenale e colorettale. Per-mette di effettuare campionamenti bioptici mirati ed è in grado di definire con accuratezza la profondità di invasione parietale e la presenza di metastasi linfonodali. Tuttavia, necessita di una strumentazione specifica e di competenze professionali dedicate, in grado di combinare i vantaggi della tecnica endoscopica con quella ecografica.

casi è peculiare la presenza di trombosi venosa profonda, dovuta alla produzione, da parte del tumore, di una pro-teina simile a un fattore della coagulazione. Nel 5-17% dei casi, tale sindrome insorge nell’ambito di una MEN1.

Sindrome da ipersecrezione di somatostatinaLa sindrome da ipersecrezione di somatostatina è molto ra-ra. L’ipersecrezione di somatostatina inibisce le secrezioni esocrine ed endocrine pancreatiche e agisce sulla motilità del tubo digerente. Pertanto, il quadro clinico risulta carat-terizzato da diabete mellito, diarrea/steatorrea e colelitiasi. Il diabete è legato all’azione inibente della somatostatina sulla secrezione di insulina. Esso è generalmente di lieve entità e facilmente controllabile farmacologicamente. La colelitiasi è anch’essa una diretta conseguenza dell’attività inibente della somatostatina sulla motilità della colecisti. La diarrea e la steatorrea sono causate dall’inibizione della secrezione di enzimi pancreatici e bicarbonato, alterata motilità colecistica e intestinale e minor assorbimento dei lipidi. I tumori responsabili della sindrome possono essere localizzati nel pancreas o nel duodeno. Al momento della diagnosi nella stragrande maggioranza dei pazienti sono presenti metastasi epatiche e linfonodali.

Rara è l’associazione con la sindrome MEN1, mentre questi tumori sono più facilmente associati alla neurofibromatosi di tipo I.

Sindrome da ipersecrezione di VIP (sindrome di Verner-Morrison) È presente in non più dell’1,5% dei NEN GEP. La sindrome clinica che deriva dall’ipersecrezione di VIP è caratterizzata da diarrea acquosa, ipopotassiemia e acidosi metabolica. La diarrea può essere molto grave, potendo raggiungere quantità notevoli (anche 20 L/die). È di tipo secretorio, non si modifica con il digiuno ed è alla base degli squilibri idroelettrolitici tipici della sindrome, con complicanze potenzialmente letali. Talvolta, l’azione glucagono-simile del VIP può condurre ad alterazioni del metabolismo glu-cidico. Le neoplasie responsabili della sindrome sono a sede prevalentemente pancreatica. Circa il 9% dei NEN associati a ipersecrezione di VIP insorgono nell’ambito di una MEN1.

Diagnosi clinica: NEN GEP non associati a sindromi endocrine funzionaliI NEN non sono accompagnati da sindrome endocrina funzionale quando la neoplasia non è secernente o quan-do, come accade nella maggior parte dei casi, secernono prodotti non biologicamente attivi. La mancanza di sinto-mi clinici specifici rende piuttosto difficoltosa la diagno-si precoce di queste neoplasie. Per questi motivi, la loro storia naturale è caratterizzata dalla frequente presenza di metastasi già alla diagnosi e dall’elevata percentuale di riscontro occasionale di queste neoplasie durante indagini strumentali eseguite per altri motivi. Mentre inizialmente la frequenza dei NEN GEP non associati a sindrome clini-ca era considerata piuttosto bassa, circa un terzo dei casi totali, dati più recenti evidenzierebbero come essi rappre-sentino le forme percentualmente più numerose.

I tumori pancreatici non funzionanti raggiungono, per i motivi elencati sopra, dimensioni spesso considerevoli; si localizzano più spesso alla testa rispetto al corpo-coda. La sintomatologia è caratterizzata da dolori addominali, perdita di peso, anoressia e nausea. In una minoranza di casi possono insorgere clinicamente con un’emorragia intraddominale o ittero. L’intestino tenue rappresenta la sede più frequente di NEN non funzionanti. La sintoma-tologia può essere scarsa o assente, finché il tumore non si ingrandisce al punto da occludere il lume intestinale e invaderne completamente la parete causando, in tal caso, una sintomatologia da addome acuto. L’angina addomina-le, inoltre, può essere causata dall’ispessimento della parete dei vasi intestinali e dalla fibrosi mesenterica, processi in gran parte ancora sconosciuti nella loro patogenesi, ma probabilmente sostenuti dalla secrezione di determinate sostanze da parte del tumore, quali serotonina e TGF-a.

Le forme non funzionanti appendicolari sono general-mente clinicamente silenti e il loro riscontro è perlopiù occasionale, così come abitualmente asintomatici sono i NEN colon-rettali, difficilmente associati a ematochezia, calo ponderale o alvo alterno. Dolore o prurito in regione anale possono rappresentare sintomi tardivi. Data la man-canza di sintomi, specialmente all’esordio, la diagnosi è molto spesso fortuita in circa il 50% dei casi.

Diagnosi strumentale: tecniche radiologiche ed endoscopicheAttualmente la diagnostica strumentale fornisce utili in-formazioni relative alla localizzazione, all’estensione e in alcuni casi, alla biologia del NEN. Le procedure più utiliz-zate comprendono la tomografia assiale computerizzata (TAC), la risonanza magnetica nucleare (RMN), l’ecografia, l’ecografia endoscopica, la scintigrafia radiorecettoriale e la tomografia a emissione di positroni (PET) con nuovi traccianti immunologici e recettoriali come il gallio 68.

La TAC convenzionale o spirale ha un’accuratezza superio-re al 50% nel rilevare correttamente le lesioni primitive e può consentire una precisa identificazione dei secondari-smi epatici fino all’80% dei casi. Attualmente, le tecniche radiologiche convenzionali dimostrano di avere un’accu-ratezza diagnostica complessiva del 60%, ma l’ecografia endoscopica, quando eseguita da un radiologo dedicato, ha una capacità di localizzare correttamente i NEN pan-creatici e duodenali pari al 90% dei casi. Come per altre localizzazioni di NEN, la prima manifestazione all’imaging può essere costituita in realtà dal riscontro, anche inci-dentale, di una malattia metastatica per coinvolgimento dei linfonodi mesenterici o presenza di lesioni epatiche. Nelle fasi iniziali, i carcinoidi a partenza dall’intestino ileale si sviluppano nella mucosa e nella sottomucosa, mentre nelle fasi più avanzate, tendono a estendersi alla muscolatura liscia, fino alla sottosierosa, determinando un’infiltrazione mesenteriale. Lesioni polipoidi più estese possono essere talvolta identificate anche alla TAC, ma in genere si apprezzano solo perché producono fenomeni occlusivi o di intussuscezione delle anse ileali. Inoltre, è possibile evidenziare all’esame TAC la reazione fibrotica desmoplastica mesenteriale con l’aspetto a “raggi di sole” tipica di queste forme. Anche il segno radiologico costituito

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dalla fissità delle anse intestinali può essere determinato semplicemente dalla fibrosi piuttosto che dall’infiltrazione neoplastica. Al momento della diagnosi, circa il 60% dei pazienti affetti da carcinoidi del piccolo intestino presenta una malattia metastatica, per diffusione linfonodale o epa-tica. Le metastasi linfonodali presentano frequentemente delle calcificazioni e tendono a confluire in conglomerati adenopatici, con aree di necrosi centrale e un enhancement contrastografico disomogeneo alla TAC o alla RMN. Le me-tastasi epatiche sono prevalentemente ipervascolari e sono meglio apprezzabili dopo somministrazione del mezzo di contrasto; tendono a presentare una necrosi centrale con un cercine periferico iperdenso, caratterizzato da un enhancement contrastografico persistente, con un aspetto a “bersaglio”, comune peraltro a lesioni metastatiche di altri istotipi. Le lesioni epatiche dei tumori neuroendocrini sono caratterizzate, in particolare, da un’elevata vascola-rizzazione arteriosa e, pertanto, lo studio del parenchima epatico deve prevedere più fasi contrastografiche. In parti-colare, per quanto riguarda la TAC ha trovato applicazioni ormai codificate la tecnica cosiddetta “bifasica”, che consi-ste nell’acquisizione di due differenti sequenze contrasto-grafiche: una prima fase prevalentemente arteriosa e una seconda prevalentemente portale.

La RM ha una sensibilità sovrapponibile o tendenzialmen-te inferiore alla TC nella valutazione delle lesioni primitive, mentre è complessivamente superiore per quanto riguarda l’identificazione di lesioni epatiche. L’introduzione clinica dei mezzi di contrasto epatospecifici ha ulteriormente am-plificato le potenzialità diagnostiche della tecnica.

Anche l’ecografia epatica, sebbene rimanga comunque un esame di primo livello, è accurata nella valutazione delle lesioni epatiche, soprattutto se si avvale, come da alcuni anni, di mezzi di contrasto dedicati, in grado di corredare il dato morfologico con informazioni funzionali inerenti le caratteristiche di perfusione dei tumori. L’ecografia tran-saddominale è inoltre la tecnica più diffusa per effettuare biopsie percutanee sia di lesioni primitive sia di metastasi, e per condurre trattamenti interstiziali, quali le termoabla-zioni epatiche. Per la valutazione delle lesioni pancreatiche l’ecografia endoscopica ha conquistato oggi uno spazio diagnostico preminente. Prevede l’impiego di sonde a elevata frequenza (7,5-12 MHz) incorporate all’interno di un endoscopio flessibile, che va posizionato a livello delle porzioni gastriche e duodenali adiacenti al pancreas. I principali vantaggi sono costituiti da un’impareggiabile risoluzione spaziale (connessa all’elevata frequenza impie-gata) e dall’assenza di artefatti da interposizioni di aria o di componenti ossee. Tale metodica è potenzialmente in grado di dimostrare lesioni pancreatiche millimetriche e, inoltre, può identificare con dettaglio carcinoidi localizzati nella parete esofago-gastrica, duodenale e colorettale. Per-mette di effettuare campionamenti bioptici mirati ed è in grado di definire con accuratezza la profondità di invasione parietale e la presenza di metastasi linfonodali. Tuttavia, necessita di una strumentazione specifica e di competenze professionali dedicate, in grado di combinare i vantaggi della tecnica endoscopica con quella ecografica.

Diagnosi strumentale: tecniche di medicina nucleareNegli ultimi anni, la disponibilità di analoghi radiomarcati della somatostatina ha consentito lo sviluppo di approc-ci diagnostici innovativi per lo studio dei NEN GEP. Il presupposto biologico per l’utilizzazione di tali analoghi radiomarcati è l’elevata espressione dei recettori per la so-matostatina. È stata dimostrata l’esistenza di cinque diversi tipi di recettori, chiamati SSR1, SSR2, SSR3, SSR4, SSR5, dei quali i tipi 2 e 5 si sono dimostrati quelli maggior-mente espressi nei GEP ben differenziati. La possibilità di visualizzare gli SSR si è realizzata grazie alla disponibilità di analoghi della somatostatina naturale, primo fra tutti l’octreotide (Fig. 17.5).

Il radionuclide che si è dimostrato inizialmente più adatto per le applicazioni diagnostiche di medicina nucleare è stato l’indio 111 (111In), caratterizzato da un’emivita fisi-ca ottimale per garantire la visualizzazione in vivo degli SSR. Per il legame fra octreotide e radionuclide è neces-sario un chelante, come il DTPA, quindi il radiofarmaco più utilizzato per le applicazioni scintigrafiche è l’111In-DTPA-octreotide riportando una sensibilità elevata, tra 80% e 100%, per la localizzazione di lesioni primitive e secondarie. La sensibilità più elevata è stata riportata per i gastrinomi, i carcinoidi e i tumori a origine pancreatica, mentre valori inferiori, intorno al 70%, sono stati riportati per gli insulinomi. La bassa sensibilità per gli insulinomi è spiegata dalla minore espressione degli SSR in questi tumori osservata in circa il 70% dei casi.

La crescente disponibilità dei tomografi PET/TC e dei mo-duli necessari per la sintesi dei peptidi radiomarcati con emettitori di positroni fanno prevedere che nel prossimo futuro questa tecnica sostituirà l’Octreoscan. Il 68Ga-DO-TA-TOC/-NOC/-TATE si è dimostrato il radiofarmaco di elezione, in termini sia di sensibilità (80%) sia di specifi-cità (90%). Il maggior costo e la minor disponibilità della PET rendono, al momento, questo un esame di seconda scelta rispetto all’Octreoscan. Tuttavia, la confermata su-periorità di questa metodica in termini di accuratezza dia-gnostica (87%) rispetto all’Octreoscan, una volta risolti i limiti di cui sopra, confermerà tale esame come metodica di prima scelta nella diagnostica nucleare dei NEN, per la superiorità sia nell’identificare la sede primitiva della neoplasia sia nella valutazione dell’estensione di malattia a distanza.

Diagnosi biochimica: marcatori/biomarcatoriUna delle caratteristiche di queste neoplasie è l’attitudine a sintetizzare e a rilasciare in circolo un gran numero di molecole solitamente dotate di attività ormonale. Lo svi-luppo delle tecniche di dosaggio immunometrico ha reso possibile la valutazione routinaria della maggior parte di questi prodotti di secrezione. Sotto l’aspetto classificativo, gli indicatori tumorali più attendibili per lo studio delle neoplasie neuroendocrine del distretto GEP possono es-sere suddivisi in marcatori comuni a tutte le neoplasie neuroendocrine, cosiddetti “generici”, quali per esempio l’enolasi neurone-specifica (NSE) o la cromogranina A (CgA), e in marcatori citotipo-specifici dei singoli tumori gastroenterici e pancreatici.

I tumori pancreatici non funzionanti raggiungono, per i motivi elencati sopra, dimensioni spesso considerevoli; si localizzano più spesso alla testa rispetto al corpo-coda. La sintomatologia è caratterizzata da dolori addominali, perdita di peso, anoressia e nausea. In una minoranza di casi possono insorgere clinicamente con un’emorragia intraddominale o ittero. L’intestino tenue rappresenta la sede più frequente di NEN non funzionanti. La sintoma-tologia può essere scarsa o assente, finché il tumore non si ingrandisce al punto da occludere il lume intestinale e invaderne completamente la parete causando, in tal caso, una sintomatologia da addome acuto. L’angina addomina-le, inoltre, può essere causata dall’ispessimento della parete dei vasi intestinali e dalla fibrosi mesenterica, processi in gran parte ancora sconosciuti nella loro patogenesi, ma probabilmente sostenuti dalla secrezione di determinate sostanze da parte del tumore, quali serotonina e TGF-a.

Le forme non funzionanti appendicolari sono general-mente clinicamente silenti e il loro riscontro è perlopiù occasionale, così come abitualmente asintomatici sono i NEN colon-rettali, difficilmente associati a ematochezia, calo ponderale o alvo alterno. Dolore o prurito in regione anale possono rappresentare sintomi tardivi. Data la man-canza di sintomi, specialmente all’esordio, la diagnosi è molto spesso fortuita in circa il 50% dei casi.

Diagnosi strumentale: tecniche radiologiche ed endoscopicheAttualmente la diagnostica strumentale fornisce utili in-formazioni relative alla localizzazione, all’estensione e in alcuni casi, alla biologia del NEN. Le procedure più utiliz-zate comprendono la tomografia assiale computerizzata (TAC), la risonanza magnetica nucleare (RMN), l’ecografia, l’ecografia endoscopica, la scintigrafia radiorecettoriale e la tomografia a emissione di positroni (PET) con nuovi traccianti immunologici e recettoriali come il gallio 68.

La TAC convenzionale o spirale ha un’accuratezza superio-re al 50% nel rilevare correttamente le lesioni primitive e può consentire una precisa identificazione dei secondari-smi epatici fino all’80% dei casi. Attualmente, le tecniche radiologiche convenzionali dimostrano di avere un’accu-ratezza diagnostica complessiva del 60%, ma l’ecografia endoscopica, quando eseguita da un radiologo dedicato, ha una capacità di localizzare correttamente i NEN pan-creatici e duodenali pari al 90% dei casi. Come per altre localizzazioni di NEN, la prima manifestazione all’imaging può essere costituita in realtà dal riscontro, anche inci-dentale, di una malattia metastatica per coinvolgimento dei linfonodi mesenterici o presenza di lesioni epatiche. Nelle fasi iniziali, i carcinoidi a partenza dall’intestino ileale si sviluppano nella mucosa e nella sottomucosa, mentre nelle fasi più avanzate, tendono a estendersi alla muscolatura liscia, fino alla sottosierosa, determinando un’infiltrazione mesenteriale. Lesioni polipoidi più estese possono essere talvolta identificate anche alla TAC, ma in genere si apprezzano solo perché producono fenomeni occlusivi o di intussuscezione delle anse ileali. Inoltre, è possibile evidenziare all’esame TAC la reazione fibrotica desmoplastica mesenteriale con l’aspetto a “raggi di sole” tipica di queste forme. Anche il segno radiologico costituito

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672 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

Somatostatina

La somatostatina circolante è presente in concentrazioni superiori alla norma, tuttavia, il dosaggio di questa molecola risulta di difficile utilizzo nella routine a causa delle diffi-coltà tecniche, soprattutto nelle fasi analitiche. Nei pazienti in cui si osserva solo un aumento marginale della somato-statina circolante può essere di aiuto il ricorrere a prove di stimolo, che possono avvalersi della somministrazione di pentagastrina, di calcio o di secretina. A completamento, è opportuno ricordare che i somatostatinomi duodenali ge-neralmente non determinano manifestazioni sindromiche caratteristiche e, in questi casi, il dosaggio della somatosta-tina sia basale sia dopo stimolo è spesso normale.

TERAPIATrattamento della malattia con estensione locoregionaleLa chirurgia con finalità curativa, quando permette la resezio-ne radicale della neoplasia, è il principale presidio terapeutico nei NEN con estensione locoregionale. La valutazione chi-rurgica, nell’ambito di un contesto clinico multidisciplinare, deve sempre essere un elemento cardine nella pianificazione terapeutica di tutti i pazienti. L’exeresi della neoplasia primiti-va è da raccomandare non soltanto nei casi in cui la malattia è limitata, ma anche in presenza di localizzazioni a distanza se vengono soddisfatte alcune condizioni. In particolare, nelle forme ben differenziate il paziente può beneficiare della ri-mozione del tumore primitivo se è ipotizzabile un successivo trattamento radicale delle metastasi, oppure se la probabilità di avere complicanze severe legate alla permanenza del tumo-re primitivo in sede è elevata.

Nei NEN dell’ileo, le procedure chirurgiche includono l’in-tervento di resezione intestinale o l’emicolectomia destra a seconda della localizzazione della neoplasia primitiva nel piccolo intestino, associata a un’accurata linfoadenectomia locoregionale con dissezione dei linfonodi mesenteriali e retroperitoneali, con una mortalità e morbilità postope-ratoria molto bassa <1% e <10% rispettivamente (II, A). Inoltre, considerata la possibile multicentricità delle lesioni intestinali, è raccomandabile una completa esplorazione di tutto l’intestino tenue, evitando, possibilmente, ampie resezioni, poiché spesso causa di sindrome da intestino corto. Nei NEN dell’ileo, la resezione radicale del primi-tivo, associata alla dissezione linfonodale locoregionale, è accomunata a tassi di sopravvivenza a 5 e 10 anni nel 100% dei casi dei pazienti in stadio I e II, e nel 95% e 80% dei pazienti in stadio III. Anche nello stadio IV con coinvolgimento epatico, la valutazione chirurgica per l’a-sportazione del tumore primitivo intestinale e dei linfo-nodi locoregionali è generalmente sempre raccomandata. Questo sia per la prevenzione del rischio di complicanze locali quali fibrosi mesenterica, occlusione intestinale, perforazione, necrosi, emorragia intestinale massiva se-condaria alla sclerosi dei vasa recta (per la produzione patologica di serotonina da parte del tumore), sia per il verosimile beneficio clinico in termini di sopravvivenza globale. Beneficio clinico, che da molti Autori, in assenza di studi prospettici, viene giustificato dalla selezione dei pazienti con malattia avanzata a buon performance status candidati a chirurgia.

Marcatori comuniCromogranina A

La CgA appartiene, insieme alla cromogranina B (secreto-granina I) e alla cromogranina C (secretogranina II), alla famiglia delle granine, gruppo di proteine acide, che si rin-vengono all’interno dei granuli densi di secrezione delle cellule neuroendocrine. Nonostante sia stata dimostrata la presenza di tutti i tre tipi di granine nel plasma o nelle urine dei pazienti portatori di neoplasie neuroendocrine, nella pratica viene misurata quasi esclusivamente la CgA pla-smatica, in quanto è l’unica dotata di notevole accuratezza diagnostica. La sensibilità diagnostica dell’esame è compresa tra il 70% e il 90%, mentre la specificità tra il 70% e l’80%. L’esame risulta positivo soprattutto nelle forme avanzate, in particolare quando è presente un interessamento del fegato e del polmone. False positività del marcatore sono state descritte in patologie non neoplastiche quali, per esempio, ipertensione essenziale, insufficienza renale, insufficienza epatica, insufficienza cardiaca, malattie neurovegetative (Parkinson) e, soprattutto, alcuni trattamenti farmacologici, quali inibitori della pompa protonica e antipertensivi. Esiste un consenso generale sul fatto che il miglior impiego del dosaggio della CgA sia nel monitoraggio delle terapie anti-neoplastiche e nella sorveglianza dei pazienti in follow-up. Nel primo caso, la valutazione della CgA offre importanti informazioni sia per valutare la radicalità di eventuali trat-tamenti chirurgici sia per verificare l’efficacia delle terapie mediche. Inoltre, è stato dimostrato che elevati valori di CgA alla diagnosi costituiscono un fattore prognostico indipen-dente dagli altri parametri di malattia e sono predittivi di una minore sopravvivenza globale.

Enolasi neurone-specifica

Elevati livelli di NSE sono dimostrabili in pazienti con tumori neuroendocrini quali carcinomi midollari della tiroide, microcitomi, neuroblastomi e i tumori GEP. La sensibilità del dosaggio del NSE nella diagnosi dei tumori neuroendocrini del tratto GEP è variabile nelle diverse ca-sistiche, ma generalmente è compresa tra il 40% e il 70%. La sensibilità di questo marcatore non viene significati-vamente modificata dall’eventuale attività secretoria del tumore (forme sindromiche e non sindromiche). Come per la CgA, la sua misurazione è importante nel follow-up e nella valutazione della risposta alle terapie adottate.

Polipeptide pancreatico (PP)

Viene ipersecreto da circa il 70% dei tumori GEP biologi-camente attivi; tuttavia, elevate concentrazioni si possono riscontrare anche in condizioni non neoplastiche (diabete, insufficienza renale, infiammazioni croniche, alcolismo ed età avanzata).

Acido 5-idrossiindolacetico

L’esame di laboratorio maggiormente diffuso per l’inqua-dramento diagnostico dei carcinoidi gastrointestinali è la determinazione della serotonina (5-idrossitriptamina, 5-HT) plasmatica e del suo metabolita urinario l’acido 5-idrossiindolacetico (5-HIAA). Il dosaggio del 5-HIAA fornisce importanti informazioni non solo per la diagnosi nel paziente portatore di una sintomatologia sospetta per

carcinoide, ma anche nel follow-up clinico strumentale della malattia. In presenza di manifestazioni sindromiche tipiche, l’esame ha un’elevata accuratezza diagnostica con sensibilità del 75% e specificità del 100%. Il presupposto fondamentale per ottenere tali livelli di accuratezza è la corretta esecuzione della raccolta delle urine delle 24 ore. È indispensabile, infatti, che nei giorni precedenti la raccolta delle urine, il paziente si astenga dall’assunzione di cibi ricchi in serotonina quali banane, ananas, kiwi, avocado, pomodori, cioccolato, fragole, prugne, frutta secca. Anche alcuni farmaci, quali quelli a base di salicilati, paracetamo-lo e L-DOPA dovrebbero essere evitati in quanto capaci di indurre alterazioni nei livelli urinari di 5-HIAA.

Marcatori citotipo-specificiGastrina La gastrinemia dei pazienti con gastrinoma può essere sia maggiore sia minore di 1.000 pg/mL. Valori di gastri-nemia a digiuno >1.000 pg/mL, associati a produzione acida basale >15 mEq/ora, sono diagnostici di gastrinoma. Tuttavia, elevati livelli di gastrinemia <1.000 pg/mL sono frequentemente riscontrabili sia in pazienti con gastrino-ma sia in pazienti con altre patologie, quali iperplasia o iperfunzione delle cellule G dell’antro gastrico.

Quindi, livelli di gastrinemia elevati ma <1.000 pg/mL non sono diagnostici di gastrinoma, e in questa situazione è opportuno ricorrere a test dinamici di tipo provocativo. Da un punto di vista operativo, il test provocativo con se-cretina appare quello maggiormente consigliabile in virtù della sua semplicità, riproducibilità, predittività e assenza di effetti collaterali. Il test viene considerato positivo per la presenza di gastrinoma in caso di incrementi della ga-strinemia di almeno 200 pg/mL rispetto ai valori basali.

Insulina La valutazione basale della glicemia e dell’insulinemia è insufficiente per la diagnosi di insulinoma e in queste situazioni si impone l’esecuzione della prova del digiuno. Il test viene considerato positivo per la presenza di un in-sulinoma quando il rapporto tra insulina plasmatica (µU/mL) e glicemia (mg/dL) risulta >0,3.

Polipeptide intestinale vasoattivo (VIP) La diagnosi di VIPoma richiede la dimostrazione di elevate concentrazioni plasmatiche del polipeptide vaso intestina-le. Inoltre, è importante ricordare che aumentati valori di VIP possono osservarsi anche nelle condizioni di insuffi-cienza epatica e renale, nell’infarto miocardico, nell’ische-mia intestinale e nella diarrea da abuso di lassativi o nei pazienti affetti da HIV.

Glucagone In condizioni normali, la glucagononemia non supera i 200 pg/mL, mentre nei pazienti portatori di glucagonoma le concentrazioni dell’ormone sono generalmente >500 pg/mL. Nei rari casi di glucagonoma con concentrazioni ormonali <500 pg/mL, bisogna escludere altre condizioni che possono causare iperglucagononemia quali, per esem-pio, insufficienza renale cronica, insufficienza epatica, pancreatite acuta, acromegalia, ipercorticosurrenalismo.

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 673

Somatostatina

La somatostatina circolante è presente in concentrazioni superiori alla norma, tuttavia, il dosaggio di questa molecola risulta di difficile utilizzo nella routine a causa delle diffi-coltà tecniche, soprattutto nelle fasi analitiche. Nei pazienti in cui si osserva solo un aumento marginale della somato-statina circolante può essere di aiuto il ricorrere a prove di stimolo, che possono avvalersi della somministrazione di pentagastrina, di calcio o di secretina. A completamento, è opportuno ricordare che i somatostatinomi duodenali ge-neralmente non determinano manifestazioni sindromiche caratteristiche e, in questi casi, il dosaggio della somatosta-tina sia basale sia dopo stimolo è spesso normale.

TERAPIATrattamento della malattia con estensione locoregionaleLa chirurgia con finalità curativa, quando permette la resezio-ne radicale della neoplasia, è il principale presidio terapeutico nei NEN con estensione locoregionale. La valutazione chi-rurgica, nell’ambito di un contesto clinico multidisciplinare, deve sempre essere un elemento cardine nella pianificazione terapeutica di tutti i pazienti. L’exeresi della neoplasia primiti-va è da raccomandare non soltanto nei casi in cui la malattia è limitata, ma anche in presenza di localizzazioni a distanza se vengono soddisfatte alcune condizioni. In particolare, nelle forme ben differenziate il paziente può beneficiare della ri-mozione del tumore primitivo se è ipotizzabile un successivo trattamento radicale delle metastasi, oppure se la probabilità di avere complicanze severe legate alla permanenza del tumo-re primitivo in sede è elevata.

Nei NEN dell’ileo, le procedure chirurgiche includono l’in-tervento di resezione intestinale o l’emicolectomia destra a seconda della localizzazione della neoplasia primitiva nel piccolo intestino, associata a un’accurata linfoadenectomia locoregionale con dissezione dei linfonodi mesenteriali e retroperitoneali, con una mortalità e morbilità postope-ratoria molto bassa <1% e <10% rispettivamente (II, A). Inoltre, considerata la possibile multicentricità delle lesioni intestinali, è raccomandabile una completa esplorazione di tutto l’intestino tenue, evitando, possibilmente, ampie resezioni, poiché spesso causa di sindrome da intestino corto. Nei NEN dell’ileo, la resezione radicale del primi-tivo, associata alla dissezione linfonodale locoregionale, è accomunata a tassi di sopravvivenza a 5 e 10 anni nel 100% dei casi dei pazienti in stadio I e II, e nel 95% e 80% dei pazienti in stadio III. Anche nello stadio IV con coinvolgimento epatico, la valutazione chirurgica per l’a-sportazione del tumore primitivo intestinale e dei linfo-nodi locoregionali è generalmente sempre raccomandata. Questo sia per la prevenzione del rischio di complicanze locali quali fibrosi mesenterica, occlusione intestinale, perforazione, necrosi, emorragia intestinale massiva se-condaria alla sclerosi dei vasa recta (per la produzione patologica di serotonina da parte del tumore), sia per il verosimile beneficio clinico in termini di sopravvivenza globale. Beneficio clinico, che da molti Autori, in assenza di studi prospettici, viene giustificato dalla selezione dei pazienti con malattia avanzata a buon performance status candidati a chirurgia.

Nei pazienti con NEN del pancreas, l’indicazione chirur-gica è strettamente correlata a dimensione del tumore, ubicazione, estensione, malignità, diffusione metastatica e controllo dei sintomi clinici, nonostante l’asportazione radicale della massa neoplastica si configuri come curativa solo nel 10% dei casi. Quando la neoplasia è singola e localizzata a carico della testa, il trattamento di elezione è la duodenocefalopancreasectomia (DCP), a eccezione di tumori di piccole dimensioni e con basso indice proli-ferativo che possono essere trattati anche con la sempli-ce enucleazione. Nel caso invece di un tumore unico del corpo o della coda pancreatica, il trattamento chirurgico prevede la pancreasectomia totale e/o distale. Per la fre-quente presenza di localizzazioni linfonodali alla diagnosi, un’adeguata linfoadenectomia è obbligatoria (III, A). Nei NEN con primitività pancreatica resecabile a basso grado di malignità, la chirurgia con intento curativo dovrebbe es-sere considerata anche in presenza di malattia metastatica localizzata al fegato e potenzialmente resecabile. La scelta terapeutica sul fegato sarà determinata dal numero, dalle dimensioni e dalla sede delle lesioni con opzioni diffe-renti, che variano dall’epatectomia alla segmentectomia o alla metastasectomia per le singole lesioni. Le procedure citoriduttive di debulking possono essere vantaggiosamente impiegate nei pazienti con lesioni epatiche multifocali e con malattia funzionante allo scopo di ridurre la sindrome ormonale e per migliorare la qualità di vita del paziente.

Quando invece il tumore primitivo del pancreas non può essere rimosso con radicalità, l’unica opportunità con-sentita è di correggere un alterato transito bilio-digestivo (ittero, occlusione intestinale alta) utilizzando una meto-dica chirurgica (derivazione bilio-digestiva, gastroentero-stomia), endoscopica (protesi biliare) o locale (derivazione biliare esterna). Nei pNEN non funzionanti, diagnosticati generalmente per la presenza di sintomi secondari a una grossa massa pancreatica, come emorragia digestiva da rottura di varici per infiltrazione della vena splenica, ittero ostruttivo, occlusione intestinale e dolore addominale, la resezione chirurgica può richiedere una DCP oppure una pancreasectomia totale con splenectomia. Il trattamento del cosiddetto incidentaloma pancreatico, di solito non funzionante, varia in rapporto alle dimensioni della le-sione. Per dimensioni >2 cm di diametro è consigliata l’asportazione associata alla rimozione di eventuali lesioni metastatiche resecabili, mentre per lesioni di diametro ≤2 cm e con indici prognostici favorevoli, l’asportazione del tumore dovrà essere sostenuta da un reale vantaggio, considerata la sopravvivenza a 15 anni in questi pazienti anche superiore all’80%. I NEN pancreatici MEN1 positivi, per il basso livello di malignità e per l’asintomaticità della malattia, sono usualmente trattati in modo conservativo, mentre i tumori funzionanti costituiscono un’eccezione e richiedono un approccio chirurgico aggressivo anche nella malattia metastatica, necessario per migliorare la prospet-tiva di sopravvivenza del paziente.

Anche il gastrinoma duodenale, sebbene meno aggressivo rispetto al corrispettivo pancreatico, per la frequente inci-denza di metastasi linfonodali deve sempre essere valutato per chirurgia resettiva del primitivo, associata a una me-ticolosa dissezione linfonodale della regione pancreatica, portale, celiaca e retroperitoneale. La sola enucleoresezione

carcinoide, ma anche nel follow-up clinico strumentale della malattia. In presenza di manifestazioni sindromiche tipiche, l’esame ha un’elevata accuratezza diagnostica con sensibilità del 75% e specificità del 100%. Il presupposto fondamentale per ottenere tali livelli di accuratezza è la corretta esecuzione della raccolta delle urine delle 24 ore. È indispensabile, infatti, che nei giorni precedenti la raccolta delle urine, il paziente si astenga dall’assunzione di cibi ricchi in serotonina quali banane, ananas, kiwi, avocado, pomodori, cioccolato, fragole, prugne, frutta secca. Anche alcuni farmaci, quali quelli a base di salicilati, paracetamo-lo e L-DOPA dovrebbero essere evitati in quanto capaci di indurre alterazioni nei livelli urinari di 5-HIAA.

Marcatori citotipo-specificiGastrina La gastrinemia dei pazienti con gastrinoma può essere sia maggiore sia minore di 1.000 pg/mL. Valori di gastri-nemia a digiuno >1.000 pg/mL, associati a produzione acida basale >15 mEq/ora, sono diagnostici di gastrinoma. Tuttavia, elevati livelli di gastrinemia <1.000 pg/mL sono frequentemente riscontrabili sia in pazienti con gastrino-ma sia in pazienti con altre patologie, quali iperplasia o iperfunzione delle cellule G dell’antro gastrico.

Quindi, livelli di gastrinemia elevati ma <1.000 pg/mL non sono diagnostici di gastrinoma, e in questa situazione è opportuno ricorrere a test dinamici di tipo provocativo. Da un punto di vista operativo, il test provocativo con se-cretina appare quello maggiormente consigliabile in virtù della sua semplicità, riproducibilità, predittività e assenza di effetti collaterali. Il test viene considerato positivo per la presenza di gastrinoma in caso di incrementi della ga-strinemia di almeno 200 pg/mL rispetto ai valori basali.

Insulina La valutazione basale della glicemia e dell’insulinemia è insufficiente per la diagnosi di insulinoma e in queste situazioni si impone l’esecuzione della prova del digiuno. Il test viene considerato positivo per la presenza di un in-sulinoma quando il rapporto tra insulina plasmatica (µU/mL) e glicemia (mg/dL) risulta >0,3.

Polipeptide intestinale vasoattivo (VIP) La diagnosi di VIPoma richiede la dimostrazione di elevate concentrazioni plasmatiche del polipeptide vaso intestina-le. Inoltre, è importante ricordare che aumentati valori di VIP possono osservarsi anche nelle condizioni di insuffi-cienza epatica e renale, nell’infarto miocardico, nell’ische-mia intestinale e nella diarrea da abuso di lassativi o nei pazienti affetti da HIV.

Glucagone In condizioni normali, la glucagononemia non supera i 200 pg/mL, mentre nei pazienti portatori di glucagonoma le concentrazioni dell’ormone sono generalmente >500 pg/mL. Nei rari casi di glucagonoma con concentrazioni ormonali <500 pg/mL, bisogna escludere altre condizioni che possono causare iperglucagononemia quali, per esem-pio, insufficienza renale cronica, insufficienza epatica, pancreatite acuta, acromegalia, ipercorticosurrenalismo.

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674 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

è possibile unicamente nei casi di NEN duodenali di pic-cole dimensioni e con basso grado di malignità, richie-dendo una DCP soltanto nel caso di lesioni di particolari dimensioni. Se associati alla MEN1, i NEN duodenali con caratteristiche prognostiche sfavorevoli sono candidati a un approccio chirurgico particolarmente aggressivo per la possibile presenza di metastasi linfonodali locoregionali stimate nel 33% dei casi.

Nei carcinoidi gastrici del I e del II tipo, spesso di pic-cole dimensioni, multifocali e caratterizzati da un com-portamento clinico indolente e scarsamente aggressivo, con potenzialità di metastatizzare in meno del 10% dei casi, l’approccio chirurgico è rappresentato dall’esclusiva resezione endoscopica. In particolare, il trattamento prevede l’asportazione endoscopica del tumore quando il diametro della neoplasia è <2 cm, e solo in presenza di lesioni multicentriche (>5 lesioni) o plurirecidivanti potrebbe essere valutata un’antrectomia profilattica. Per singole lesioni con diametro >1 cm, e quando presente infiltrazione della muscularis mucosae, deve essere con-siderata un’asportazione della lesione con un’escissione chirurgica locale più ampia. Viceversa nei carcinoidi del III tipo, frequentemente diagnosticati come lesioni singole a localizzazione antrale (40%), per l’elevato potenziale di malignità, è indicato un trattamento chi-rurgico radicale che prevede l’intervento di gastrectomia totale più linfoadenectomia locoregionale.

Relativamente ai NEN del grosso intestino, l’emicolec-tomia più linfoadenectomia locoregionale è il tratta-mento chirurgico di elezione. Solo in rari casi di NEN colici ben differenziati, a struttura peduncolata e con diametro <2 cm, è ipotizzabile l’esclusiva asportazione endoscopica seguita da uno stretto follow-up. Anche nel carcinoide rettale, di dimensioni <1 cm, sottomucoso, l’indicazione resettiva è endoscopica. Nel 15% dei casi, tuttavia, questi tumori possono presentarsi in forma polipoide, ulcerata, di grosse dimensioni e spesso as-sociati a infiltrazione della tonaca muscolare. In questi casi, per la frequente tendenza ad avere un andamento clinico rapidamente evolutivo è richiesto un trattamento chirurgico più aggressivo, che può variare da una sem-plice escissione locale a una resezione del retto per via addomino-perineale.

Nei NEN appendicolari, reperto incidentale nello 0,3% di tutte le appendicectomie, la malattia restando confinata, nella quasi totalità dei casi, all’apice come agglomerato cellulare, la semplice appendicectomia è curativa con una prognosi ottimale nella maggior parte dei pazienti. Solo in presenza di fattori di rischio associati, come un diametro della neoplasia variabile da 1 a 2 cm, localizzazione alla base dell’appendice, infiltrazione neoplastica del mesen-teriolo o infiltrazione del colletto, può essere considerata l’emicolectomia destra. Invece, quando la lesione presenta un diametro >2 cm ed è mucosecernente o se si associa-no aspetti istologici tipo goblet cell o adenocarcinoide, è sempre necessario un intervento di emicolectomia destra con linfoadenectomia locoregionale, per la potenziale malignità della neoplasia.

Nei NEC GEP G3, indipendentemente dalla sede della neo- plasia primitiva, a oggi non ci sono sufficienti raccoman-

dazioni per proporre l’indicazione chirurgica di rimozione del tumore primitivo, considerata l’elevata frequenza alla diagnosi di metastasi a distanza (III, B). Così come non esistono raccomandazioni in merito all’indicazione di una terapia adiuvante nei pazienti sottoposti a chirurgia radicale R0/R1.

Trattamento della malattia avanzata con diffusione epaticaLa resezione chirurgica con intento curativo resta il golden standard nel trattamento delle metastasi epatiche, indipen-dentemente dal sito di origine (foregut, midgut, hindgut). Il vantaggio della chirurgia resettiva delle metastasi epatiche nei NEN GEP è stato dimostrato in termini sia di soprav-vivenza sia di qualità di vita. Resezioni complete epatiche R0/R1 sono state associate a una migliore sopravvivenza a lungo termine, raggiungendo tassi di sopravvivenza a 5 anni del 60-80% con bassa mortalità (0-5%) e accettabile morbilità (30%). I requisiti minimi per ipotizzare un in-tervento di resezione epatica con “intento curativo” sono: la presenza di malattia G1-G2, un rischio operatorio con accettabile morbilità e rischio di mortalità <5%, l’assenza di insufficienza cardiaca destra, l’assenza di metastasi lin-fonodali e/o extraddominali o carcinosi peritoneale.

La resezione dei secondarismi epatici nei NEC G3 non è raccomandata, sebbene possa essere considerata limita-tamente a casi selezionati con metastasi epatiche singole, dopo adeguato periodo di osservazione. Procedure di de-bulking includono la resezione delle metastasi epatiche, del tumore primitivo e dei linfonodi, con o senza l’ausilio di ulteriori procedure ablative locoregionali. Il debulking consiste nella rimozione di almeno il 90% della massa neoplastica, sebbene sia ancora dibattuta la definizione di percentuale minima di tumore da sottoporre a resezione per ottenere un efficace controllo sintomatico e un miglio-ramento dell’outcome clinico. In generale, tale indicazione è raccomandata nei NEN funzionanti, per il potenziale beneficio in termini di miglioramento della qualità di vita e del controllo dei sintomi sistemici e locali tumore-correlati spesso refrattari alla terapia medica. Le percentuali di risposta clinica sintomatica, complessivamente, sono dimostrabili dopo chirurgia R2 nel 95% dei casi con una durata mediana tra i 19,3 e 45,5 mesi (III, B). Limitate sono le informazioni derivate da trial clinici randomizzati tra terapie locoregionali e chirurgia resettiva epatica. La scelta di una procedura resettiva o di un trattamento locoregio-nale, come l’ablazione termica mediante radiofrequenza (RFA), la termoterapia laser indotta o l’embolizzazione arteriosa selettiva epatica (TAE), la chemioembolizzazione (TACE), o la radioterapia interna selettiva (SIRT) dipende dall’esperienza del centro, dal numero, dalla dimensio-ne delle lesioni e dalla localizzazione di queste a livello del parenchima epatico. Se è presente malattia bulky, la terapia locoregionale può essere indicata anche nei NEN non funzionanti con l’intento di ottenere un down-staging della malattia. La RFA nei tumori con dimensioni <5 cm di diametro ha determinato tassi di risposte sintomatiche superiori a un anno nel 70-80% dei pazienti sintomatici (III, B). L’embolizzazione o la chemioembolizzazione epatica selettiva (TAE o TACE) possono essere praticate nel trattamento delle metastasi epatiche di tutti i tipi di NEN

FIG. 17.6 algoritmo di trattamento per i NeN metastatici proposto dal l ’eSmo nel 2012: c l in ica l practice guidelines. Modificata da: Öberg K, Knigge U, Kwekkeboom A et al. Neuroendocrine gastro-entero-pancreatic tumors: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, treatment and followup. Ann Oncol 2012;23(suppl 7):vii124-vii130.

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 675

G1-G2, ottenendo un buon controllo sintomatico con risposta completa o parziale nel 70-100%, risposta biochi-mica nel 50-90% e strumentale nel 30-50% dei pazienti. La durata della risposta sintomatica si colloca in una mediana tra 14 e 20 mesi. In assenza di studi randomizzati, non è ancora chiaro se la TACE sia superiore alla TAE (III, B). Queste procedure sono da evitarsi nei pazienti con com-pleta trombosi della vena porta, insufficienza epatica e anastomosi biliare per incremento del rischio di morbilità. La SIRT è ancora in fase di sperimentazione. Tale procedu-ra, attraverso l’ausilio di microsfere embolizzate in arteria epatica veicolanti particelle radioattive direttamente nelle lesioni epatiche, ha portato a iniziali esperienze di radio-embolizzazione con microsfere caricate con 90Yttrium in 200 casi di NEN, evidenziando tassi di risposta obiettiva del 50-60% nei pazienti con metastasi epatiche (III, B). Alla tradizionale chirurgia resettiva negli ultimi anni si è aggiunta anche la possibilità del trapianto ortotopico di fegato da donatore vivente. Le metastasi da NEN rappre-sentano a tutt’oggi l’unica indicazione oncologica condi-visa al trapianto di fegato per una malattia neoplastica in fase metastatica. Il trapianto rappresenta il trattamento più radicale possibile sul fegato anche se, tuttora, “soffre” dei limiti connessi alla mancanza di fattori prognostici e di criteri di selezione preoperatori validati. I principali studi retrospettivi, compresa l’analisi della casistica tra-piantologica dell’Istituto Tumori di Milano, dimostrano un’aspettativa generale di sopravvivenza e sopravvivenza libera da progressione post-trapianto a 5 anni del 50% e del 24% rispettivamente. I fattori prognostici che incidono favorevolmente sull’outcome clinico post-trapianto sono: un’età inferiore ai 55 anni, la primitività del tumore lo-calizzato nel tratto gastroenterico (drenaggio portale), un buon controllo della sindrome e/o la risposta terapeutica (stabilizzazione di malattia) con l’impiego di trattamenti medici nella fase pretrapianto (chemioterapia e/o analoghi

della somatostatina), il tipo istologico a basso grado di malignità, l’assenza di contemporaneità tra il trapianto e altri interventi complessi eseguiti nello stesso tempo chi-rurgico (in particolare le resezioni del pancreas o le altre demolizioni di organi sovramesocolici eseguiti insieme al trapianto epatico), uno stadio di diffusione metastatica limitato a ≤50% del parenchima epatico, l’asportazione della neoplasia primitiva e del suo drenaggio linfonodale con criteri di radicalità oncologica almeno 6 mesi prima del trapianto (“azzeramento” a priori della malattia tumo-rale extraepatica). Tali criteri, noti anche come “Criteri di Milano” perché identificati dall’analisi della casistica dell’I-stituto Tumori di Milano, permetterebbero di poter pro-porre una procedura complessa, costosa, quale il trapianto di fegato, esclusivamente a quei pazienti selezionati con ragionevole chance di guarigione, evitando la sostituzione del fegato metastatico a solo scopo palliativo. Per ovvie ragioni etiche, mediche e gestionali, una procedura come il trapianto epatico non è proponibile su larga scala per un tumore comunque avanzato senza una precisa selezione dei pazienti. Notoriamente, all’impostazione “curativa” dell’uso del trapianto si contrappone comunque anche l’in-dicazione trapiantologica quale procedura “di salvataggio” per casi molto avanzati, dove l’estensione delle metastasi, l’imponenza dei sintomi, nonostante i trattamenti e la pro-gnosi infausta a breve termine, rappresentano l’indicazione all’intervento di asportazione totale del fegato.

Trattamento della malattia avanzata con diffusione sistemica (Fig. 17.6)Analoghi della somatostatina e interferone-`Gli analoghi della somatostatina sono la terapia standard dei NEN funzionanti di qualsiasi stadio. L’azione biolo-gica delle somatostatine naturali consiste nell’inibizione della secrezione ormonale, nella soppressione del rilascio di fattori di crescita insulino-simili, nella modulazione

dazioni per proporre l’indicazione chirurgica di rimozione del tumore primitivo, considerata l’elevata frequenza alla diagnosi di metastasi a distanza (III, B). Così come non esistono raccomandazioni in merito all’indicazione di una terapia adiuvante nei pazienti sottoposti a chirurgia radicale R0/R1.

Trattamento della malattia avanzata con diffusione epaticaLa resezione chirurgica con intento curativo resta il golden standard nel trattamento delle metastasi epatiche, indipen-dentemente dal sito di origine (foregut, midgut, hindgut). Il vantaggio della chirurgia resettiva delle metastasi epatiche nei NEN GEP è stato dimostrato in termini sia di soprav-vivenza sia di qualità di vita. Resezioni complete epatiche R0/R1 sono state associate a una migliore sopravvivenza a lungo termine, raggiungendo tassi di sopravvivenza a 5 anni del 60-80% con bassa mortalità (0-5%) e accettabile morbilità (30%). I requisiti minimi per ipotizzare un in-tervento di resezione epatica con “intento curativo” sono: la presenza di malattia G1-G2, un rischio operatorio con accettabile morbilità e rischio di mortalità <5%, l’assenza di insufficienza cardiaca destra, l’assenza di metastasi lin-fonodali e/o extraddominali o carcinosi peritoneale.

La resezione dei secondarismi epatici nei NEC G3 non è raccomandata, sebbene possa essere considerata limita-tamente a casi selezionati con metastasi epatiche singole, dopo adeguato periodo di osservazione. Procedure di de-bulking includono la resezione delle metastasi epatiche, del tumore primitivo e dei linfonodi, con o senza l’ausilio di ulteriori procedure ablative locoregionali. Il debulking consiste nella rimozione di almeno il 90% della massa neoplastica, sebbene sia ancora dibattuta la definizione di percentuale minima di tumore da sottoporre a resezione per ottenere un efficace controllo sintomatico e un miglio-ramento dell’outcome clinico. In generale, tale indicazione è raccomandata nei NEN funzionanti, per il potenziale beneficio in termini di miglioramento della qualità di vita e del controllo dei sintomi sistemici e locali tumore-correlati spesso refrattari alla terapia medica. Le percentuali di risposta clinica sintomatica, complessivamente, sono dimostrabili dopo chirurgia R2 nel 95% dei casi con una durata mediana tra i 19,3 e 45,5 mesi (III, B). Limitate sono le informazioni derivate da trial clinici randomizzati tra terapie locoregionali e chirurgia resettiva epatica. La scelta di una procedura resettiva o di un trattamento locoregio-nale, come l’ablazione termica mediante radiofrequenza (RFA), la termoterapia laser indotta o l’embolizzazione arteriosa selettiva epatica (TAE), la chemioembolizzazione (TACE), o la radioterapia interna selettiva (SIRT) dipende dall’esperienza del centro, dal numero, dalla dimensio-ne delle lesioni e dalla localizzazione di queste a livello del parenchima epatico. Se è presente malattia bulky, la terapia locoregionale può essere indicata anche nei NEN non funzionanti con l’intento di ottenere un down-staging della malattia. La RFA nei tumori con dimensioni <5 cm di diametro ha determinato tassi di risposte sintomatiche superiori a un anno nel 70-80% dei pazienti sintomatici (III, B). L’embolizzazione o la chemioembolizzazione epatica selettiva (TAE o TACE) possono essere praticate nel trattamento delle metastasi epatiche di tutti i tipi di NEN

Pancreas Carcinoidipiccolo intestino

Metastasinon resecabili

Resecabile:resezioni R0/R1

Metastasinon resecabili

Funzionanti Non funzionanti Resecabileresezione R0-R1

Recidiva

Funzionanti

Analogosomatostatina(Ki67: <2-10%) G1-G2

IFN-α (Ki67: <10%) G1-G2

Everolimus(Ki67: 10-20%)

Carboplatino + etoposide

(Ki67: >20%)

177Lu-dotate90Y-dotato

(Ki67: <30%)G1-G2

G3Analogo

somatostatinaChirurgia

citoriduttiva

Steptozotocina +5-FU/doxorubicina

(Ki67: 5-20%)G2

EverolimusSunitinib

(Ki67: 2-20%)

Temozolomide(Ki67: >10%)

Carboplatino +etoposide

(Ki67: >20%)

G1-G2

G2-G3

G3

Chirurgiacitoriduttiva

Terapia deisintomi:

Inibitori di pompaprotonica (IPP):

gastrinomiEverolimus(?)

Analogosomatostatina:

tutti GEP

177Lu-Dotatate90Y-Dotatate

(ki-67: <30%)

G1-G2

FIG. 17.6 algoritmo di trattamento per i NeN metastatici proposto dal l ’eSmo nel 2012: c l in ica l practice guidelines. Modificata da: Öberg K, Knigge U, Kwekkeboom A et al. Neuroendocrine gastro-entero-pancreatic tumors: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, treatment and followup. Ann Oncol 2012;23(suppl 7):vii124-vii130.

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676 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

anch’esso indicato nel trattamento dei NEN funzionanti ed è di solito considerato come trattamento di seconda scelta per il suo sfavorevole profilo di tossicità. In casi selezionati, potrebbe avere un valore aggiuntivo come terapia conco-mitante in pazienti con sindromi cliniche non controllate con gli analoghi della somatostatina.

ChemioterapiaLa chemioterapia sistemica è attualmente raccomandata nella pratica clinica, nei pazienti affetti da NEN avanzati, in particolare nei NEN G2 e nei NEC di qualsiasi sede. I risultati con la chemioterapia sistemica nei tumori carci-noidi classici (G1) sono limitati, con tassi di risposta <15% (III, A). I trattamenti citotossici sistemici sono indicati nei pazienti con malattia avanzata o metastasi epatiche non operabili alla progressione nei NEN pancreatici G1-G2 uti-lizzando una combinazione di streptozotocina e 5-fluorou-racile (5-FU)/doxorubicina con tassi di risposta obiettiva nell’ordine del 35-40% (II, B). Alternativamente, stante la difficoltà in Italia a reperire la streptozotocina, possono essere utilizzate combinazioni a tre farmaci come 5-FU-dacarbazina-epirubicina, attive sia nei pazienti pretrattati (18% risposte obiettive) sia nei pazienti naïve (30%).

Dati provenienti da più recenti studi retrospettivi, iden-tificherebbero la temozolomide come l’agente chemio-terapico più promettente nei NEN pancreatici da sola o in combinazione con capecitabina, per l’elevato tasso di remissioni parziali riportate (40-70%) (III, B). Tali dati necessitano tuttavia di ulteriori conferme da studi clinici prospettici randomizzati.

Il trattamento chemioterapico raccomandato di prima linea nei NEC G3 è l’associazione di cisplatino-etoposide, schema di riferimento per le neoplasie polmonari a piccole cellule, che rappresenta la combinazione chemioterapica correlata al più alto tasso di risposte obiettive (60-70%) e talvolta associata anche a lunghe remissioni di malattia, che possono osservarsi oltre i 12 mesi. Attualmente, non disponiamo di un trattamento standard in seconda linea, sebbene recenti studi retrospettivi confermino l’efficacia della temozolomide da sola o in combinazione con cape-citabina ± bevacizumab anche nei pazienti scarsamente dif-ferenziati (III, B). Altri regimi polichemioterapici utilizzati con relativa efficacia nei NEC contengono ciclofosfamide, vincristina e dacarbazina (schema CVD) oppure ciclofosfa-mide, vincristina, adriamicina (schema CAV). Ulteriori op-zioni terapeutiche valide sono rappresentate dall’utilizzo di schemi contenenti 5-FU ev o capecitabina per via orale in combinazione con oxaliplatino o irinotecan.

Terapie a bersaglio molecolareLa recente disponibilità di nuovi farmaci a bersaglio mole-colare ha fornito nuove opportunità di cura estremamente promettenti. Studi clinici dimostrano come anche nei NEN GEP siano espressi differenti target molecolari, includenti fattori di crescita antiangiogenetici e i loro recettori (per esempio, VEGFR, PDGFR), recettori peptidici (per esem-pio, SSTR1-5, EGFR, IGF1R), o molecole intracellulari (mTOR). La pathway intracellulare di mTOR è particolar-mente espressa nei NEN del pancreas (pNEN), le cui mu-tazioni somatiche sono state identificate nel 14% dei casi.

negativa dell’angiogenesi, nella modulazione dell’attività immunologica e ad alte dosi, nell’incremento del processo di apoptosi del tessuto tumorale. Fisiologicamente, la soma-tostatina è un potente inibitore della secrezione di diversi ormoni ipofisari, pancreatici e gastroenterici (GH, insulina, gastrina, colecistochinina e altri) e, inoltre, regola le diverse funzioni cellulari quali la crescita, la motilità gastrointestina-le e la secrezione di liquidi. Tutte queste azioni sono mediate dall’interazione della somatostatina con una famiglia di recettori (SSTR) ad alta affinità, denominati SSTR 1-2-3-4-5 codificati da 5 geni diversi. Tutti i recettori appartengono alla famiglia dei recettori accoppiati alle proteine G, protei-ne transmembrana, che inibiscono il cAMP. In oltre l’80% dei NEN GEP è dominante l’espressione del recettore della somatostatina di tipo 2, sebbene l’espressione del profilo recettoriale nei tessuti anche nella stessa neoplasia possa essere estremamente variabile ed eterogeneo.

La somatostatina “nativa” dotata di scarsa maneggevolez-za e breve emivita (1-2 minuti) è stata sostituita nell’uso routinario dagli analoghi ormonali di sintesi. Tali mole-cole, chiamate analoghi della somatostatina, presentano proprietà farmacologiche congruenti con un vasto impiego nella pratica clinica, perché dotate di una lunga emivita (formulazioni a rilascio prolungato) e stabilità adeguata, tale da permettere una somministrazione non solo per via endovenosa ma anche sottocutanea e intramuscolare. La loro attività terapeutica viene raggiunta tramite l’inte-razione con due dei cinque recettori per la somatostatina, i sottotipi 2 e 5, per i quali hanno un’elevata affinità. Le molecole attualmente registrate per l’uso in oncologia sono l’octreotide e il lanreotide nelle formulazioni a lento rila-scio (SR), a lunga azione (LAR) e a soluzione soprassatura (Autogel). L’octreotide è disponibile in forma parenterale e può essere somministrato per via endovenosa o sottocu-tanea, nei casi in cui occorre controllare la sintomatologia acuta, per via intramuscolare, tramite le forme a rilascio controllato LAR quadrisettimanali, per ottenere un con-trollo cronico. Il lanreotide esiste solo in preparazioni intramuscolari, con possibilità di somministrazione ogni 2, ogni 4 e, grazie alla recente introduzione della forma Autogel, anche ogni 6 settimane. Le formulazioni SR e LAR raggiungono la concentrazione allo steady-state solo dopo 3-4 settimane la prima iniezione del farmaco; pertanto una fase di induzione con l’analogo della somatostatina nella preparazione immediata è fortemente raccomandata per garantire sin da subito una concentrazione del farmaco clinicamente attiva.

Tutti gli analoghi della somatostatina presentano un buon profilo di sicurezza e di tollerabilità, anche quando utilizzati per lunghi periodi di trattamento; gli effetti collaterali, che si manifestano nel 20-50% dei casi, sono di solito lievi-moderati e non richiedono l’interruzione del trattamento. I più frequenti sono lo sviluppo di calcoli della colecisti, dolore nel sito di iniezione, coliche addominali, flatulenza, nausea, astenia, ridotta tolleranza al glucosio. L’octreotide è l’agente più studiato, essendo stato sintetizzato per primo, ma nel complesso l’efficacia dei due analoghi è pressoché sovrapponibile. Essi risultano molto efficaci nella terapia sintomatica dei NET funzionanti, dove si registra un miglio-ramento significativo dei sintomi nel 70% dei pazienti e una risposta biochimica nel 30-50% dei casi, mentre raramente

si osservano risposte obiettive. Apparentemente, octreotide e lanreotide non sembrano essere cross-resistenti; infatti, l’oc-treotide LAR ha una discreta attività (in termini di risposta soggettiva) anche in pazienti precedentemente trattati con il lanreotide e in progressione. L’efficacia antiproliferativa degli analoghi della somatostatina può sembrare limitata se viene considerato il basso impatto in termini di risposta obiettiva sul tumore (5-10%). Tuttavia, le percentuali di stabilizzazione di malattia sono dell’ordine del 50-60% (III, A). La valutazione dell’attività antiproliferativa degli analo-ghi della somatostatina, non solo in termini di controllo della sindrome da carcinoide ma soprattutto nel controllo della crescita tumorale, è stata recentemente chiarita con la pubblicazione dei risultati dello studio PROMID: uno studio prospettico, randomizzato, controllo versus placebo, che ha valutato, nei carcinoidi del midgut non pretrattati, l’impatto del trattamento con octreotide LAR 30 mg ogni 4 settimane, confermandone l’efficacia antiproliferativa. La mediana del tempo alla progressione (TTP) è stata di 14,3 mesi con octreotide LAR versus 6 mesi con placebo. Sulla scorta di tali risultati, l’uso di analoghi della somatostatina, e in particolar modo l’octreotide LAR, è raccomandato per la sua attività antiproliferativa sia nei NEN funzionanti sia nei NEN non funzionanti del piccolo intestino (carcinoidi) ben differenziati (II, A). L’efficacia antiproliferativa del lanreotide nei NEN GEP non funzionanti è attualmente in corso di valutazione (studio CLARINET, controllo versus placebo).

Pertanto, partendo da tali presupposti, il trattamento con analoghi della somatostatina è indicato non solo nei pa-zienti sindromici, ma anche nei NEN non funzionanti Octreoscan positivi e/o con accertata positività immunoi-stochimica per il recettore di tipo II della somatostatina (SST2) nel tessuto neoplastico.

È in fase di sperimentazione clinica un analogo multitarget che copre quattro dei cinque recettori (tutti, tranne SSTR4), denominato SOM 230 (pasireotide). Per queste sue carat-teristiche il SOM 230 è potenzialmente più efficace degli analoghi della somatostatina attualmente in commercio, potendo risultare attivo anche nei tumori Octreoscan ne-gativi (per assenza dei sottotipi 2 e 5), ma non per questo necessariamente privi degli altri sottotipi recettoriali. Nei NEC G3 indipendentemente dal sito di origine il trattamen-to con gli analoghi della somatostatina non è raccomandato (III, B). Così come non è raccomandato il loro utilizzo come trattamento adiuvante nei NEN GEP G1-G2, R0-R1 (III, B).

Interferone-` L’IFN-a è un trattamento efficace nel contrastare i sintomi correlati alla sindrome da carcinoide nei NEN funzionanti a basso grado di malignità in circa il 50% dei casi. Tuttavia, similmente agli analoghi della somatostatina, il tasso di risposte obiettive è deludente (<10% dei casi), mentre sono frequenti le stabilizzazioni di malattia di lunga durata e, in alcuni casi, il trattamento ha migliorato la sopravviven-za. Uno dei fattori che complica notevolmente l’impiego dell’IFN-a nei NEN è costituito dal tipo e dall’intensità de-gli effetti avversi che sono associati alla somministrazione di questa citochina (sindrome simil-influenzale, disturbi a livello del sistema nervoso centrale e periferico, altera-zioni della funzionalità epatica ed ematologica). L’IFN-a è

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anch’esso indicato nel trattamento dei NEN funzionanti ed è di solito considerato come trattamento di seconda scelta per il suo sfavorevole profilo di tossicità. In casi selezionati, potrebbe avere un valore aggiuntivo come terapia conco-mitante in pazienti con sindromi cliniche non controllate con gli analoghi della somatostatina.

ChemioterapiaLa chemioterapia sistemica è attualmente raccomandata nella pratica clinica, nei pazienti affetti da NEN avanzati, in particolare nei NEN G2 e nei NEC di qualsiasi sede. I risultati con la chemioterapia sistemica nei tumori carci-noidi classici (G1) sono limitati, con tassi di risposta <15% (III, A). I trattamenti citotossici sistemici sono indicati nei pazienti con malattia avanzata o metastasi epatiche non operabili alla progressione nei NEN pancreatici G1-G2 uti-lizzando una combinazione di streptozotocina e 5-fluorou-racile (5-FU)/doxorubicina con tassi di risposta obiettiva nell’ordine del 35-40% (II, B). Alternativamente, stante la difficoltà in Italia a reperire la streptozotocina, possono essere utilizzate combinazioni a tre farmaci come 5-FU-dacarbazina-epirubicina, attive sia nei pazienti pretrattati (18% risposte obiettive) sia nei pazienti naïve (30%).

Dati provenienti da più recenti studi retrospettivi, iden-tificherebbero la temozolomide come l’agente chemio-terapico più promettente nei NEN pancreatici da sola o in combinazione con capecitabina, per l’elevato tasso di remissioni parziali riportate (40-70%) (III, B). Tali dati necessitano tuttavia di ulteriori conferme da studi clinici prospettici randomizzati.

Il trattamento chemioterapico raccomandato di prima linea nei NEC G3 è l’associazione di cisplatino-etoposide, schema di riferimento per le neoplasie polmonari a piccole cellule, che rappresenta la combinazione chemioterapica correlata al più alto tasso di risposte obiettive (60-70%) e talvolta associata anche a lunghe remissioni di malattia, che possono osservarsi oltre i 12 mesi. Attualmente, non disponiamo di un trattamento standard in seconda linea, sebbene recenti studi retrospettivi confermino l’efficacia della temozolomide da sola o in combinazione con cape-citabina ± bevacizumab anche nei pazienti scarsamente dif-ferenziati (III, B). Altri regimi polichemioterapici utilizzati con relativa efficacia nei NEC contengono ciclofosfamide, vincristina e dacarbazina (schema CVD) oppure ciclofosfa-mide, vincristina, adriamicina (schema CAV). Ulteriori op-zioni terapeutiche valide sono rappresentate dall’utilizzo di schemi contenenti 5-FU ev o capecitabina per via orale in combinazione con oxaliplatino o irinotecan.

Terapie a bersaglio molecolareLa recente disponibilità di nuovi farmaci a bersaglio mole-colare ha fornito nuove opportunità di cura estremamente promettenti. Studi clinici dimostrano come anche nei NEN GEP siano espressi differenti target molecolari, includenti fattori di crescita antiangiogenetici e i loro recettori (per esempio, VEGFR, PDGFR), recettori peptidici (per esem-pio, SSTR1-5, EGFR, IGF1R), o molecole intracellulari (mTOR). La pathway intracellulare di mTOR è particolar-mente espressa nei NEN del pancreas (pNEN), le cui mu-tazioni somatiche sono state identificate nel 14% dei casi.

Una varietà di agenti target sono stati studiati nei NEN GEP: inibitori dell’angiogenesi (per esempio, PTK787/ZK, bevacizumab, talidomide, endostatina), inibitori ti-rosinchinasici (TKI) (per esempio, imatinib, gefitinib, so-rafenib, sunitinib, pazopanib), inibitori di mTOR (per esempio, temsirolimus ed everolimus), nuovi analoghi della somatostatina (per esempio, pasireotide con affinità multirecettoriale, dopastatina, molecola chimerica target della dopamina), e altri (per esempio, inibitori triptofano idrossilasi (LX1606) per il controllo della sindrome da carcinoide, inibitori dell’istone deacetilasi, anticorpi del recettore IGF-1 per la potenziale attività antiproliferativa). Complessivamente, i tassi di risposte obiettive ottenuti con la target therapy in monoterapia sono <10% e possono raggiungere il 25% quando considerate le combinazioni tra farmaci biologici in studi di fase II, attualmente ancora in corso di valutazione (www.clinicaltrials.gov).

Tre recenti studi randomizzati di fase III, controllo versus placebo, hanno valutato l’efficacia della monoterapia con sunitinib ed everolimus (RADIANT-3) nei pNEN avanzati e l’associazione di everolimus più octreotide LAR nei car-cinoidi funzionanti (RADIANT-2). L’end-point primario in tutti gli studi era la sopravvivenza libera da progressione (PFS), e in tutti i trial venivano confermati limitati tassi di risposte obiettive in accordo ai risultati dei precedenti studi di fase II. Il trattamento con sunitinib (37,5 mg/die continuativamente) è stato studiato su un campione di 171 pazienti affetti da pNEN avanzati, ben differenziati, non resecabili, in progressione a una prima linea di tratta-mento. Alla prima analisi ad interim il braccio di controllo con sunitinib, dimostrava un significativo prolungamento della PFS di 5,9 mesi rispetto al placebo, con un tasso di risposte obiettive <10%, tale per cui, sulla scorta di questi dati, sunitinib è stato approvato (nel 2011) per il trattamen-to dei pNEN dalla FDA degli Stati Uniti e nel 2012 dalle autorità sanitarie Europee (I, A). Alcune criticità furono mosse a tale studio, e in particolare: la bassa percentuale di reclutamento dei pazienti nello studio clinico (50% dei pazienti pre-pianificati), l’elevato tasso di mortalità dei pazienti arruolati per l’inclusione di pazienti con malattia molto avanzata o scarso performance status (PS), la man-canza di un centro revisore radiologico centralizzato. Gli effetti collaterali più frequenti includevano: diarrea (59%), nausea (45%), astenia (34%) e vomito (34%).

Analogamente everolimus (10 mg/die continuativamente) versus placebo è stato valutato in 410 pazienti affetti da pNEN G1-G2 in progressione a una prima linea di trat-tamento, dimostrando un prolungamento significativo della PFS di 6,4 mesi, un tasso di risposta obiettiva nel 5% dei casi e lunghe stabilizzazioni di malattia a 18 mesi nel 35% dei casi (RADIANT-3) (I, A). Sulla scorta dei risultati di questo studio prospettico anche everolimus nel 2011 ha ottenuto la registrazione da parte della FDA degli Stati Uniti e in Europa nel 2012 per il trattamento di pNEN avanzati. Gli eventi avversi più frequenti includevano: sto-matite (64%), rash (49%), diarrea (34%), astenia (31%), infezioni (23%), polmoniti interstiziali (17%).

Everolimus è stato ulteriormente valutato in un secondo studio prospettico di fase III, controllo versus placebo in 429 pazienti affetti da carcinoidi GEP e polmonari fun-

si osservano risposte obiettive. Apparentemente, octreotide e lanreotide non sembrano essere cross-resistenti; infatti, l’oc-treotide LAR ha una discreta attività (in termini di risposta soggettiva) anche in pazienti precedentemente trattati con il lanreotide e in progressione. L’efficacia antiproliferativa degli analoghi della somatostatina può sembrare limitata se viene considerato il basso impatto in termini di risposta obiettiva sul tumore (5-10%). Tuttavia, le percentuali di stabilizzazione di malattia sono dell’ordine del 50-60% (III, A). La valutazione dell’attività antiproliferativa degli analo-ghi della somatostatina, non solo in termini di controllo della sindrome da carcinoide ma soprattutto nel controllo della crescita tumorale, è stata recentemente chiarita con la pubblicazione dei risultati dello studio PROMID: uno studio prospettico, randomizzato, controllo versus placebo, che ha valutato, nei carcinoidi del midgut non pretrattati, l’impatto del trattamento con octreotide LAR 30 mg ogni 4 settimane, confermandone l’efficacia antiproliferativa. La mediana del tempo alla progressione (TTP) è stata di 14,3 mesi con octreotide LAR versus 6 mesi con placebo. Sulla scorta di tali risultati, l’uso di analoghi della somatostatina, e in particolar modo l’octreotide LAR, è raccomandato per la sua attività antiproliferativa sia nei NEN funzionanti sia nei NEN non funzionanti del piccolo intestino (carcinoidi) ben differenziati (II, A). L’efficacia antiproliferativa del lanreotide nei NEN GEP non funzionanti è attualmente in corso di valutazione (studio CLARINET, controllo versus placebo).

Pertanto, partendo da tali presupposti, il trattamento con analoghi della somatostatina è indicato non solo nei pa-zienti sindromici, ma anche nei NEN non funzionanti Octreoscan positivi e/o con accertata positività immunoi-stochimica per il recettore di tipo II della somatostatina (SST2) nel tessuto neoplastico.

È in fase di sperimentazione clinica un analogo multitarget che copre quattro dei cinque recettori (tutti, tranne SSTR4), denominato SOM 230 (pasireotide). Per queste sue carat-teristiche il SOM 230 è potenzialmente più efficace degli analoghi della somatostatina attualmente in commercio, potendo risultare attivo anche nei tumori Octreoscan ne-gativi (per assenza dei sottotipi 2 e 5), ma non per questo necessariamente privi degli altri sottotipi recettoriali. Nei NEC G3 indipendentemente dal sito di origine il trattamen-to con gli analoghi della somatostatina non è raccomandato (III, B). Così come non è raccomandato il loro utilizzo come trattamento adiuvante nei NEN GEP G1-G2, R0-R1 (III, B).

Interferone-` L’IFN-a è un trattamento efficace nel contrastare i sintomi correlati alla sindrome da carcinoide nei NEN funzionanti a basso grado di malignità in circa il 50% dei casi. Tuttavia, similmente agli analoghi della somatostatina, il tasso di risposte obiettive è deludente (<10% dei casi), mentre sono frequenti le stabilizzazioni di malattia di lunga durata e, in alcuni casi, il trattamento ha migliorato la sopravviven-za. Uno dei fattori che complica notevolmente l’impiego dell’IFN-a nei NEN è costituito dal tipo e dall’intensità de-gli effetti avversi che sono associati alla somministrazione di questa citochina (sindrome simil-influenzale, disturbi a livello del sistema nervoso centrale e periferico, altera-zioni della funzionalità epatica ed ematologica). L’IFN-a è

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zionanti (RADIANT-2). Anche se la PFS dell’associazione everolimus più octreotide LAR è risultata superiore di 5,1 mesi rispetto al placebo; lo studio non ha dimostrato un risultato statisticamente significativo dopo la revi-sione centralizzata delle indagini strumentali (I, A). La discrepanza di giudizio sulla progressione neoplastica di malattia dei pazienti tra il centro radiologico revisore e i centri locali, poneva ulteriormente in discussione l’applicabilità dei criteri RECIST come strumento di va-lutazione strumentale della risposta ai farmaci a bersa-glio molecolare. Inoltre, l’analisi per sottogruppi dello studio evidenziava chiaramente uno sbilanciamento dei pazienti con primitività polmonare, scarso PS, pretrattati con chemioterapia a favore del braccio di trattamento con everolimus. Per chiarire il reale impatto sull’outcome clinico dell’everolimus nel trattamento dei carcinoidi avanzati, sarà necessario attendere i risultati dello studio RADIANT-4, fase III (everolimus 10 mg/die versus place-bo) attualmente aperto al reclutamento.

Sebbene molecole target come everolimus e sunitinib abbia-no ampliato la disponibilità di opzioni terapeutiche nei NEN GEP, rimangono ancora irrisolte alcune criticità riguardo il loro impiego nella pratica clinica. In particolare, sono ancora da chiarire, nel caso di TKI multitarget come il sunitinib con attività antiangiogenetica, quali meccanismi di resistenza intervengano in corso di trattamento, la sua potenziale in-compatibilità con un approccio chirurgico sequenziale, il corretto “timing” terapeutico e la migliore “sequenza” nella pianificazione del programma di cura; nonché un’accurata valutazione dei potenziali effetti collaterali a lungo termine correlati a un utilizzo del farmaco prolungato nel tempo, come il rischio di sanguinamento e la tossicità cardiologica. Altrettanti quesiti irrisolti sono la necessità di una maggiore definizione dei meccanismi di resistenza al trattamento con everolimus (come la riattivazione di PI3K e AKT via MAP chinasi), la valutazione del ruolo additivo o sinergico del-la molecola in combinazioni farmacologiche più attive; la più accurata stima del rischio immunosoppressivo farmaco-correlata più frequente nel trattamento a lungo termine per l’aumentata incidenza di infezioni o polmoniti interstiziali.

La maggior parte dei dati disponibili su sunitinib ed evero-limus riguardano il trattamento dei pNEN G1-G2 dopo il fallimento degli analoghi della somatostatina e/o chemio-terapie sistemiche, e a oggi non è ancora definito il corretto “timing” di tali trattamenti, in prima linea oppure alla progressione di malattia. Nello studio RADIANT-3, il 40% dei pazienti era naïve, pertanto i potenziali rischi a lungo termine di questi farmaci dovrebbero essere considerati quando proposti come trattamento di prima linea, salvo particolari circostanze in cui non è proponibile per intolle-ranza o controindicato un trattamento con analoghi della somatostatina e/o chemioterapia. Infine, in assenza di dati di trial clinici randomizzati di superiorità delle combina-zioni terapeutiche rispetto alla monoterapia, l’approccio di trattamento rimane a oggi molto individualizzato. Terapie di combinazione con i farmaci a bersaglio molecolare sono auspicabili in futuro, non solo con l’intento di migliorare i tassi di risposta di malattia ma anche con l’intento di superare i meccanismi di resistenza farmacologica delle singole molecole. Ulteriori trial clinici prospettici saranno necessari per chiarire la precisa strategia terapeutica.

Radioterapia recettorialeNell’ultimo decennio una possibile nuova opzione tera-peutica si è resa disponibile nel trattamento dei NEN G1-G2. Questa è rappresentata dalla terapia radiorecettoriale (PRRT). L’alta specificità di legame e di affinità dei peptidi radiomarcati per i loro recettori permette di erogare una quantità significativa di irradiazione nei tessuti neoplastici che esprimono tali recettori. La dimensione dei radiofarmaci gioca un ruolo importante poiché permette una penetra-zione facilitata della massa tumorale e nello stesso tempo una veloce ed efficiente clearance ematologica. Partendo dall’octreotide, che è l’analogo della somatostatina più noto e studiato, sono stati ricavati altri peptidi. Le differenze nella struttura chimica hanno comportato anche differenze in ter-mini di affinità nei confronti dei 5 sottotipi di recettore della somatostatina (SST1-5). Questi peptidi sono stati marcati con g (111Indio) o b (90Yttrium, 177Lutetium) emittenti, onde disporre di radiofarmaci utilizzabili nella pratica clinica. Interessanti risultati sono stati pubblicati dopo trattamento con PRRT in pazienti affetti da NEN con metastasi epatiche utilizzando 90Yttrium e 177Lutetium DOTATOC o DOTATA-TE. La PRRT può essere considerata un valido trattamento sia nei NEN funzionanti sia nei non funzionanti con scin-tigrafia positiva del recettore della somatostatina indipen-dentemente dalla sede della neoplasia primitiva. Studi di fase II, in Europa, hanno valutato complessivamente oltre 1.000 pazienti, riportando tassi di risposte obiettive varia-bili tra il 20% e il 40% (III, A). I tassi di risposta sono più alti nei pNEN rispetto ai NEN del piccolo intestino (III, A). Il più alto tasso di risposta obiettiva finora ottenuto è stato nei NEN rettali avanzati. Attualmente sono in corso di va-lutazione studi prospettici di fase III.

FOLLOW-UPValutazioni nel follow-up dovrebbero includere tecniche di imaging convenzionale con TC o RM e valutazioni biochimi-che di marcatori generici (CgA, NSE) o citotipo-specifico nei tumori funzionanti. Nei pazienti NEN G1-G2 con neoplasia primitiva resecata radicalmente R0-R1, sono raccomandati controlli clinico-strumentali ogni 3-6 mesi, mentre nei NEC G3, ogni 2-3 mesi. L’utilizzo di tecniche di imaging nuclea-re come l’Octreoscan o la PET/TC con 68Ga-DOTA-TOC/-NOC/-TATE dovrebbero essere inclusi nel follow-up e sono raccomandate dopo 18-24 mesi nei pazienti con accertata espressione scintigrafica o immunoistochimica dei recettori della somatostatina. Nei casi di malattia rapidamente evolu-tiva o in presenza di insufficienti informazioni strumentali che non consentono un adeguato inquadramento clinico, po-trebbe essere un valido ausilio, sia prognostico sia predittivo, proporre al paziente un nuovo accertamento istologico al fine di rivalutare le caratteristiche biologiche, il grading e l’attività proliferativa della neoplasia. Per concludere, in questa pato-logia eterogenea rara, ma non così rara, i miglioramenti dia-gnostici e terapeutici dell’ultima decade sono reali. Ulteriori risultati di studi clinici a breve disponibili saranno in grado di programmare il giusto approccio e “timing” terapeutico.

bIbLIOGRAFIAAhmed A, Turner G, King B et al. Midgut neuroendocrine tumours with liver me-

tastases: results of the UKINETS study. Endocr Relat Cancer 2009;16:885-894.Akerstrom G, Hellman P. Surgery on neuroendocrine tumours. Best Pract Res Clin

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Radioterapia recettorialeNell’ultimo decennio una possibile nuova opzione tera-peutica si è resa disponibile nel trattamento dei NEN G1-G2. Questa è rappresentata dalla terapia radiorecettoriale (PRRT). L’alta specificità di legame e di affinità dei peptidi radiomarcati per i loro recettori permette di erogare una quantità significativa di irradiazione nei tessuti neoplastici che esprimono tali recettori. La dimensione dei radiofarmaci gioca un ruolo importante poiché permette una penetra-zione facilitata della massa tumorale e nello stesso tempo una veloce ed efficiente clearance ematologica. Partendo dall’octreotide, che è l’analogo della somatostatina più noto e studiato, sono stati ricavati altri peptidi. Le differenze nella struttura chimica hanno comportato anche differenze in ter-mini di affinità nei confronti dei 5 sottotipi di recettore della somatostatina (SST1-5). Questi peptidi sono stati marcati con g (111Indio) o b (90Yttrium, 177Lutetium) emittenti, onde disporre di radiofarmaci utilizzabili nella pratica clinica. Interessanti risultati sono stati pubblicati dopo trattamento con PRRT in pazienti affetti da NEN con metastasi epatiche utilizzando 90Yttrium e 177Lutetium DOTATOC o DOTATA-TE. La PRRT può essere considerata un valido trattamento sia nei NEN funzionanti sia nei non funzionanti con scin-tigrafia positiva del recettore della somatostatina indipen-dentemente dalla sede della neoplasia primitiva. Studi di fase II, in Europa, hanno valutato complessivamente oltre 1.000 pazienti, riportando tassi di risposte obiettive varia-bili tra il 20% e il 40% (III, A). I tassi di risposta sono più alti nei pNEN rispetto ai NEN del piccolo intestino (III, A). Il più alto tasso di risposta obiettiva finora ottenuto è stato nei NEN rettali avanzati. Attualmente sono in corso di va-lutazione studi prospettici di fase III.

FOLLOW-UPValutazioni nel follow-up dovrebbero includere tecniche di imaging convenzionale con TC o RM e valutazioni biochimi-che di marcatori generici (CgA, NSE) o citotipo-specifico nei tumori funzionanti. Nei pazienti NEN G1-G2 con neoplasia primitiva resecata radicalmente R0-R1, sono raccomandati controlli clinico-strumentali ogni 3-6 mesi, mentre nei NEC G3, ogni 2-3 mesi. L’utilizzo di tecniche di imaging nuclea-re come l’Octreoscan o la PET/TC con 68Ga-DOTA-TOC/-NOC/-TATE dovrebbero essere inclusi nel follow-up e sono raccomandate dopo 18-24 mesi nei pazienti con accertata espressione scintigrafica o immunoistochimica dei recettori della somatostatina. Nei casi di malattia rapidamente evolu-tiva o in presenza di insufficienti informazioni strumentali che non consentono un adeguato inquadramento clinico, po-trebbe essere un valido ausilio, sia prognostico sia predittivo, proporre al paziente un nuovo accertamento istologico al fine di rivalutare le caratteristiche biologiche, il grading e l’attività proliferativa della neoplasia. Per concludere, in questa pato-logia eterogenea rara, ma non così rara, i miglioramenti dia-gnostici e terapeutici dell’ultima decade sono reali. Ulteriori risultati di studi clinici a breve disponibili saranno in grado di programmare il giusto approccio e “timing” terapeutico.

bIbLIOGRAFIAAhmed A, Turner G, King B et al. Midgut neuroendocrine tumours with liver me-

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680 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

CarCiNoma della CortiCale SUrreNaliCa

Alfredo Berruti, Massimo Terzolo

EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIOIl carcinoma della corticale del surrene è una neoplasia estremamente rara, la sua incidenza nei Paesi occidentali è stimata essere 0,5-2 nuovi casi per milione di soggetti ogni anno. La neoplasia ha due picchi di incidenza: in età pedia-trica e nell’adulto fra i 40 e i 50 anni; il sesso femminile è maggiormente colpito con un tasso di incidenza 1,5 volte superiore rispetto al sesso maschile (Fassnacht et al., 2011). La maggior parte dei tumori della corticale del surrene è sporadica; meno frequentemente questi tumori rientrano in sindromi ereditarie come Li-Fraumeni, Beckwith-Wie-deman, MEN1, iperplasia surrenalica congenita, poliposi familiare del colon e mutazioni di b-catenina (Fassnacht et al., 2011). Mutazioni germinali di p53 in assenza di sindrome di Li-Fraumeni sono frequenti in bambini nel Brasile del Sud. La frequenza di neoplasie sporadiche della corticale è molto più elevata nella popolazione di pazienti affetti da masse surrenali di riscontro occasionale; 2-4% dei cosiddetti incidentalomi surrenalici sono carcinomi.

Nelle casistiche maggiori il carcinoma della corticale del surrene si associa nel 50-75% a iperincrezione ormonale. La maggior parte dei pazienti presenta sintomi legati alla produzione elevata di cortisolo, meno frequentemente androgeni, mentre l’eccesso di estrogeni e di ormoni mi-neralcorticoidi è molto raro. Molto spesso le neoplasie corticosurrenaliche presentano una secrezione mista e l’associazione ipercortisolismo e iperandrogenismo è la più frequente. La secrezione mista in presenza di una massa surrenalica è indice di malignità (Fassnacht et al., 2011).

PATOLOGIAPATOGENESI MOLECOLARELa patogenesi del carcinoma della corticale del surrene è ancora in gran parte sconosciuta. Le conoscenze sinora acquisite sulle alterazioni genetiche identificano modifi-cazioni riguardanti tre pattern molecolari principali: IGF (insulin growth factor)-2, la via metabolica Wnt, b-catenina e p53 (Bertherat e Bertagna, 2009).

Il gene che codifica per l’espressione deIl’IGF-2 è localiz-zato a livello del cromosoma 11p15.

La stragrande maggioranza dei carcinomi della corticale surrenalica è portatrice di una perdita dell’allele materno di tale cromosoma con duplicazione dell’allele paterno (la cosiddetta “isodisomia paterna”). Questa alterazione provoca una iperespressione di IGF-2 che esercita una sti-molazione autocrina e paracrina della crescita neoplastica attraverso il legame con il recettore per l’IGF-1.

Alterazioni genetiche della via metabolica Wnt b-catenina so-no le più frequenti nei tumori corticali surrenalici, sia benigni sia maligni. Attivazione di Wnt porta a una inattivazione di GSK3b (glycogen synthase kinase 3b) con conseguente stabiliz-

zazione della b-catenina nel citoplasma. La mutazione a cari-co di b-catenina annulla o riduce la fosforilazione di GSK3b favorendo così l’accumulo di b-catenina. La b-catenina dopo traslocazione nel nucleo stimola i geni target mediante inte-razione con TCF/LEF (T cell factor/lymphoid enhancer factor).

Un terzo circa dei carcinomi della corticale del surrene è por-tatore di mutazioni somatiche dell’oncogene soppressore p53. La presenza di questa mutazione si associa a un com-portamento più aggressivo del tumore (Libé et al., 2007).

In aggiunta a queste tre alterazioni molecolari, occorre aggiungere SF1 (steroidogenic factor 1). SF1 ha un ruolo importante nello sviluppo della corticale surrenalica e l’iperespressione di SF1 ha dimostrato essere presente in molti carcinomi della corteccia surrenalica del bambino e dell’adulto. Inoltre, SF1 in vitro si è dimostrato un potente stimolatore della proliferazione di cellule di carcinoma della corticale surrenalica umane ed è in grado di indurre la carcinogenesi nel topo (Fassnacht et al., 2011).

ANATOMIA PATOLOGICALa diagnosi differenziale fra carcinoma e adenoma della corticale surrenalica si fonda sulla valutazione di una serie di parametri microscopici: la conta mitotica, la presenza di mitosi atipiche, necrosi, invasione venosa, invasione sinusale, invasione capsulare, atipia nucleare, architettu-ra diffusa e fenotipo a cellule chiare. Questi parametri presi singolarmente non sono in grado di discriminare una patologia maligna da quella benigna, tuttavia la loro valutazione consente di attribuire il punteggio di Weiss (dal nome del suo ideatore) (Weiss et al., 1989), che se >3 consente di fare diagnosi di malignità. Quantunque i criteri di Weiss siano stati validati in alcune casistiche non è sempre agevole discriminare un carcinoma da un adeno-ma, da cui l’importanza di riferire perlomeno i casi dubbi a un patologo esperto di patologia surrenalica. Inoltre, la determinazione del punteggio di Weiss richiede molto tempo. Recentemente Volante et al. hanno identificato la necrosi, l’indice mitotico e l’invasione venosa come i para-metri più importanti per definire la malignità e predire la prognosi, e hanno proposto un algoritmo diagnostico sem-plificato (Volante et al., 2009). Il patologo esperto è altresì indispensabile nella diagnosi differenziale fra neoplasie primitive e metastatiche; metastasi di carcinoma renale e di melanoma sono fra le cause più frequenti di diagnosi errata di carcinoma surrenalico. Numerosi marcatori sono stati testati per stabilire l’origine cortico-surrenalica di una massa neoplastica surrenalica. L’espressione immunoisto-chimica di SF1 si è dimostrata di particolare utilità sebbene non ancora disponibile nella maggior parte dei centri.

DIAGNOSI SCREENINGIn considerazione della rarità del carcinoma della corticale surrenalica non è ipotizzabile l’istituzione di uno screening nella popolazione. Fa eccezione una regione del Brasile del Sud in cui la popolazione infantile è geneticamente predisposta ad ammalarsi di questo carcinoma. Questa difatti è l’unica eccezione ed è l’unica regione dove è stato predisposto un programma di screening.

PRESENTAZIONE CLINICAI pazienti con carcinoma della corticale surrenalica posso-no presentare alla diagnosi manifestazioni cliniche legate all’iperproduzione ormonale come sindrome di Cushing caratterizzata da obesità tronculare, riduzione del volume e del tono muscolare alle estremità, strie rubre, ipertensio-ne, intolleranza glicidica e talora diabete, ipopotassiemia, dismenorrea nelle donne in età pre-menopausale. L’iperin-crezione di androgeni si associa a virilizzazione nel sesso femminile, con irsutismo, acne, amenorrea. Più raramente l’iperproduzione di estrogeni è causa di ginecomastia e atrofia testicolare nell’uomo, mentre l’eccesso di ormoni mineralcorticoidi si presenta con ipertensione e ipopo-tassiemia. Nei pazienti con neoplasia non secernente, i sintomi all’esordio sono legati all’aumento della massa tumorale che può provocare dolore, tensione addominale, nausea e vomito.

DIAGNOSTICA BIOCHIMICA E STRUMENTALENel 2006 l’ENSAT (European Network for the Study of Adrenal Tumors, www.ensat.org) ha suggerito gli esami biochimici e strumentali che devono essere eseguiti in caso di sospetto carcinoma della corticale del surrene (Tab. 17.11). Innanzi tutto una dettagliata valutazione endocrinologica com-prendente il dosaggio del cortisolo su urine delle 24 ore, cortisolo sierico (o salivare) al mattino e cortisolo salivare notturno, test di soppressione con desametasone, ACTH, valutazione di steroidi androgeni e precursori (testosterone, androstenedione, DHEA-S, 17OH-progesterone). L’even-tuale presenza di iperattività mineralcorticoide può essere

Dosaggi ormonali

eccesso di glucocorticoidi (almeno 3 su 4)

test di soppressione al desametasone (1 mg, 23.00 ore)Cortisolo libero urinario (24 ore urine)Cortisolo basale (siero)aCtH basale (plasma)

Steroidi sessuali e precursori steroidei

dHea-S (siero)17-oH-progesterone (siero)androstenedione (siero)testosterone (siero)17-b-estradiolo (siero, solo per uomini e donne in postmenopausa)dosaggio dei metaboliti urinari steroidei (24 ore)

eccesso di mineralcorticoidi

potassio (siero)rapporto aldosterone/renina (solo per pazienti con ipertensione arteriosa e/o ipokaliemia)

Imaging

tC o rm addominale e tC toraceScintigrafia ossea (in caso di sospetto clinico di metastasi ossee)FdG-pet (opzionale)

aCtH: ormone adrenocorticotropo; dHea-S: deidroepiandrosterone solfato; FdG-pet: tomografia a emissione di positroni con 18-fluoro-deossiglucosio; rm: risonanza magnetica; tC: tomografia computerizzata. Modificata in accordo con le raccomandazioni del ACC working group del European Network for the Study of Adrenal Tumours (www.ensat.org/acc.htm), maggio 2005.

TAbELLA 17.11 Carcinoma surrenalico: diagnosi

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 681

zazione della b-catenina nel citoplasma. La mutazione a cari-co di b-catenina annulla o riduce la fosforilazione di GSK3b favorendo così l’accumulo di b-catenina. La b-catenina dopo traslocazione nel nucleo stimola i geni target mediante inte-razione con TCF/LEF (T cell factor/lymphoid enhancer factor).

Un terzo circa dei carcinomi della corticale del surrene è por-tatore di mutazioni somatiche dell’oncogene soppressore p53. La presenza di questa mutazione si associa a un com-portamento più aggressivo del tumore (Libé et al., 2007).

In aggiunta a queste tre alterazioni molecolari, occorre aggiungere SF1 (steroidogenic factor 1). SF1 ha un ruolo importante nello sviluppo della corticale surrenalica e l’iperespressione di SF1 ha dimostrato essere presente in molti carcinomi della corteccia surrenalica del bambino e dell’adulto. Inoltre, SF1 in vitro si è dimostrato un potente stimolatore della proliferazione di cellule di carcinoma della corticale surrenalica umane ed è in grado di indurre la carcinogenesi nel topo (Fassnacht et al., 2011).

ANATOMIA PATOLOGICALa diagnosi differenziale fra carcinoma e adenoma della corticale surrenalica si fonda sulla valutazione di una serie di parametri microscopici: la conta mitotica, la presenza di mitosi atipiche, necrosi, invasione venosa, invasione sinusale, invasione capsulare, atipia nucleare, architettu-ra diffusa e fenotipo a cellule chiare. Questi parametri presi singolarmente non sono in grado di discriminare una patologia maligna da quella benigna, tuttavia la loro valutazione consente di attribuire il punteggio di Weiss (dal nome del suo ideatore) (Weiss et al., 1989), che se >3 consente di fare diagnosi di malignità. Quantunque i criteri di Weiss siano stati validati in alcune casistiche non è sempre agevole discriminare un carcinoma da un adeno-ma, da cui l’importanza di riferire perlomeno i casi dubbi a un patologo esperto di patologia surrenalica. Inoltre, la determinazione del punteggio di Weiss richiede molto tempo. Recentemente Volante et al. hanno identificato la necrosi, l’indice mitotico e l’invasione venosa come i para-metri più importanti per definire la malignità e predire la prognosi, e hanno proposto un algoritmo diagnostico sem-plificato (Volante et al., 2009). Il patologo esperto è altresì indispensabile nella diagnosi differenziale fra neoplasie primitive e metastatiche; metastasi di carcinoma renale e di melanoma sono fra le cause più frequenti di diagnosi errata di carcinoma surrenalico. Numerosi marcatori sono stati testati per stabilire l’origine cortico-surrenalica di una massa neoplastica surrenalica. L’espressione immunoisto-chimica di SF1 si è dimostrata di particolare utilità sebbene non ancora disponibile nella maggior parte dei centri.

DIAGNOSI SCREENINGIn considerazione della rarità del carcinoma della corticale surrenalica non è ipotizzabile l’istituzione di uno screening nella popolazione. Fa eccezione una regione del Brasile del Sud in cui la popolazione infantile è geneticamente predisposta ad ammalarsi di questo carcinoma. Questa difatti è l’unica eccezione ed è l’unica regione dove è stato predisposto un programma di screening.

PRESENTAZIONE CLINICAI pazienti con carcinoma della corticale surrenalica posso-no presentare alla diagnosi manifestazioni cliniche legate all’iperproduzione ormonale come sindrome di Cushing caratterizzata da obesità tronculare, riduzione del volume e del tono muscolare alle estremità, strie rubre, ipertensio-ne, intolleranza glicidica e talora diabete, ipopotassiemia, dismenorrea nelle donne in età pre-menopausale. L’iperin-crezione di androgeni si associa a virilizzazione nel sesso femminile, con irsutismo, acne, amenorrea. Più raramente l’iperproduzione di estrogeni è causa di ginecomastia e atrofia testicolare nell’uomo, mentre l’eccesso di ormoni mineralcorticoidi si presenta con ipertensione e ipopo-tassiemia. Nei pazienti con neoplasia non secernente, i sintomi all’esordio sono legati all’aumento della massa tumorale che può provocare dolore, tensione addominale, nausea e vomito.

DIAGNOSTICA BIOCHIMICA E STRUMENTALENel 2006 l’ENSAT (European Network for the Study of Adrenal Tumors, www.ensat.org) ha suggerito gli esami biochimici e strumentali che devono essere eseguiti in caso di sospetto carcinoma della corticale del surrene (Tab. 17.11). Innanzi tutto una dettagliata valutazione endocrinologica com-prendente il dosaggio del cortisolo su urine delle 24 ore, cortisolo sierico (o salivare) al mattino e cortisolo salivare notturno, test di soppressione con desametasone, ACTH, valutazione di steroidi androgeni e precursori (testosterone, androstenedione, DHEA-S, 17OH-progesterone). L’even-tuale presenza di iperattività mineralcorticoide può essere

Dosaggi ormonali

eccesso di glucocorticoidi (almeno 3 su 4)

test di soppressione al desametasone (1 mg, 23.00 ore)Cortisolo libero urinario (24 ore urine)Cortisolo basale (siero)aCtH basale (plasma)

Steroidi sessuali e precursori steroidei

dHea-S (siero)17-oH-progesterone (siero)androstenedione (siero)testosterone (siero)17-b-estradiolo (siero, solo per uomini e donne in postmenopausa)dosaggio dei metaboliti urinari steroidei (24 ore)

eccesso di mineralcorticoidi

potassio (siero)rapporto aldosterone/renina (solo per pazienti con ipertensione arteriosa e/o ipokaliemia)

Imaging

tC o rm addominale e tC toraceScintigrafia ossea (in caso di sospetto clinico di metastasi ossee)FdG-pet (opzionale)

aCtH: ormone adrenocorticotropo; dHea-S: deidroepiandrosterone solfato; FdG-pet: tomografia a emissione di positroni con 18-fluoro-deossiglucosio; rm: risonanza magnetica; tC: tomografia computerizzata. Modificata in accordo con le raccomandazioni del ACC working group del European Network for the Study of Adrenal Tumours (www.ensat.org/acc.htm), maggio 2005.

TAbELLA 17.11 Carcinoma surrenalico: diagnosi

segnalata dalla presenza di ipopotassiemia; la valutazione del rapporto delle concentrazioni plasmatiche di renina e aldosterone dovrebbe essere eseguita solo in caso di iperten-sione e/o ipopotassiemia. La presenza di secrezione mista (per esempio, ipercortisolismo associato a iperandrogeni-smo) è indice di malignità (Berruti et al., 2012).

La diagnostica strumentale è cruciale per differenziare lesioni benigne da lesioni maligne, la valutazione della resecabilità della malattia e la presenza di metastasi. Per la differenziazione tra forme maligne e benigne la TC e la RM sono ugualmente efficaci. La maggior parte dei carci-nomi corticali del surrene è una massa disomogenea con margini irregolari e densità tissutale elevata, superiore a quella dell’acqua, dovuta allo scarso contenuto lipidico (Fig. 17.7). La presenza di invasione locale e il coinvol-gimento della vena cava e dei linfonodi, nonché la pre-senza di metastasi viscerali (epatiche e polmonari), sono informazioni importanti per una programmazione chi-rurgica. La tomografia a emissione di positroni (PET) con F-18-fluorodesossiglucosio può fornire utili informazioni per differenziare le neoplasie con aspetto non dirimente alla TC o alla RM è indice di malignità (Berruti et al., 2012).

L’agobiopsia surrenalica non è raccomandata nei pazienti operabili, e potrebbe essere eseguita in caso di malattia metastatica inoperabile valutando rischi/benefici in consi-derazione del rischio di disseminazione lungo il percorso dell’ago.

STADIAZIONE E FATTORI PROGNOSTICIIl carcinoma della corticale surrenalica ha invasività lo-cale e può dare metastasi a livello di linfonodi, fegato, polmoni, meno frequentemente osso, e assai raramen-te encefalo. Queste informazioni sono utili per la pro-grammazione della stadiazione. Lo stadio e la resezione completa (margini liberi) della malattia sono i due più importanti fattori prognostici. Nella valutazione dello stadio la classificazione proposta dall’ENSAT (Tab. 17.12) è quella maggiormente utilizzata (Berruti et al., 2012). Età, conta mitotica e presenza di sindrome di Cushing sono

FIG. 17.7 immagine tC di voluminoso carcinoma surrenalico destro.

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682 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

avanzate (stadio III). La chirurgia laparoscopica è una procedura efficace con risultati paragonabili alla chirur-gia in aperto evidenziati in alcune casistiche (Porpiglia et al., 2010). Tale tecnica deve essere adottata solo in centri con consolidata esperienza di chirurgia laparoscopica nel trattamento di carcinomi di piccole dimensioni (<8 cm). La chirurgia per garantire la massima efficacia deve essere radicale in termini sia macroscopici sia microscopici (R0). Questo potrebbe implicare l’asportazione di organi conti-gui in caso di malattia localmente avanzata, per esempio la resezione parziale del fegato, la nefrectomia nonché l’asportazione di emboli neoplastici (Berruti et al., 2012). Non ci sono dati riguardanti l’impatto prognostico della linfoadenectomia benché la maggior parte degli Autori suggerisca l’asportazione dei linfonodi regionali dell’ilo renale, periaortici e pericavali. Per i tumori surrenalici che non invadono il rene, l’effettuazione di una nefrectomia concomitante all’adrenalectomia sembrerebbe non in-fluenzare la prognosi e può essere evitata anche se sono necessari ulteriori dati. In caso di neoplasia metastatica la chirurgia è parimenti indicata se le lesioni metastatiche sono resecabili con intento radicale. La chirurgia citori-duttiva è generalmente da proscrivere in quanto non ha dimostrato alcun vantaggio prognostico. Può essere presa in considerazione in alcuni casi con malattia secernente per la gestione di una sindrome non altrimenti control-labile con la terapia medica in presenza di una presunta aspettativa di vita >6 mesi. Prima di avviare il paziente con sospetta lesione maligna surrenalica alla chirurgia occorre valutare la presenza di iperproduzione di cortisolo allo scopo di adottare misure per prevenire l’insufficienza cortico-surrenalica postoperatoria. In tutti i pazienti con ipercortisolismo è indispensabile la somministrazione di idrocortisone (100 mg/die) durante l’intervento chirurgico e nel postoperatorio (Berruti et al., 2012).

Terapia adiuvanteLa maggior parte dei pazienti con neoplasia della corticale del surrene ha una malattia resecabile alla diagnosi; pur-troppo la maggioranza dei pazienti radicalmente operati è destinata a recidivare spesso con metastasi. Il compor-tamento aggressivo di questa malattia e l’elevato rischio di recidiva costituiscono il razionale per l’uso di terapie adiuvanti. La radioterapia postchirurgica del letto tumorale è raccomandata ancorché con un basso livello di evidenza in pazienti con resezione incompleta (R1 o Rx). Il mitotane è il farmaco di riferimento per il carcinoma della corticale del surrene da cinquant’anni circa. In uno studio caso-controllo che ha coinvolto 177 pazienti, la prognosi di 47 pazienti seguiti in centri di riferimento italiani per questa patologia che avevano adottato un trattamento adiuvante con mitotane in tutti i casi indipendentemente dallo stadio è stata confrontata con la prognosi di 55 pazienti operati in altri centri riferimento italiani che non avevano adottato alcuna strategia adiuvante. Per rafforzare il confronto è sta-ta aggiunta una terza casistica comparabile di 75 pazienti tedeschi operati radicalmente e non sottoposti a terapia adiuvante (Terzolo et al., 2007).

I risultati di questo studio hanno evidenziato per la prima volta che pazienti trattati con mitotane a scopo adiuvante hanno ottenuto un miglioramento della prognosi sia in ter-

altri potenziali fattori prognostici. L’espressione di Ki67 può essere utilizzata per valutare l’attività proliferativa in alternativa alla conta mitotica. L’espressione elevata di Ki67 è considerata il parametro prognostico più importante nei pazienti con malattia radicalmente operata (R0) (Berruti et al., 2010). Nell’ambito dei parametri biologici l’espressione di Snail, un fattore di trascrizione “zinc-finger”, valutata in 26 tumori della corticale surrenalica ha dimostrato di correlare direttamente con stadio e attività proliferativa e negativamente con la sopravvivenza globale (Waldmann et al., 2008). Uno studio importante ha dimostrato come l’elevata espressione di SF1 correli negativamente con la sopravvivenza, indipendentemente dallo stadio di malat-tia, in una casistica di 167 pazienti tedeschi con carcinoma della corticale surrenalica. Nello stesso studio tale effetto prognostico negativo è stato confermato in una casistica indipendente di 58 pazienti francesi (Sbiera et al., 2010). Sulla base di questa osservazione SF1 si candida per essere un fattore prognostico promettente nella pratica clinica. Alcuni studi hanno altresì dimostrato come alterazioni genetiche specifiche possano avere un ruolo prognostico. Giordano et al. hanno dimostrato come due distinti cluster di geni si associno a fenotipi tumorali di basso e alto grado e identifichino due popolazioni di pazienti a prognosi differente (Giordano et al., 2009). Un’altra cluster analisi ha identificato come la combinazione di espressione di BUB1B, un enzima coinvolto nella proliferazione, e PINK1, una serina/treonina chinasi, sia in grado di discriminare meglio pazienti a buona e a cattiva prognosi rispetto allo stadio (de Reyniès et al., 2009). Queste osservazioni an-corché di grande interesse scientifico non hanno per ora una applicabilità nella routine clinica.

TERAPIATRATTAMENTO DELLA MALATTIA LOCALIZZATAChirurgiaLa chirurgia è il trattamento di riferimento nella gestione del paziente con carcinoma della corticale surrenalica ed è l’unica opzione terapeutica in grado di offrire al paziente la possibilità di guarigione. La chirurgia laparotomica con accesso transperitoneale è il trattamento standard per i pazienti con forme localizzate (stadio I-II) e localmente

mini di prolungamento dell’intervallo libero di malattia sia in termini di sopravvivenza globale (in analisi multivariata). Quantunque questi dati non possano essere considerati conclusivi, essi suggeriscono tuttavia come la terapia adiu-vante con mitotane possa essere efficace. Su queste basi un panel di esperti internazionali ha concordemente stabilito di raccomandare la terapia adiuvante con mitotane in pa-zienti con carcinoma surrenalico ad alto rischio di recidiva definiti come pazienti con residuo microscopico di malat-tia, oppure pazienti R0 ma con elevata attività proliferativa della malattia asportata (Ki67 >10%). Per gli altri pazienti definiti a basso o moderato rischio di recidiva (stadio I o II, chirurgia R0, Ki67 <10%), è raccomandato di entrare a far parte, se possibile, di uno studio multicentrico multina-zionale volto a valutare l’efficacia della terapia adiuvante in questo contesto (www.adiuvo-trial.org) (Berruti et al., 2010). L’aggiustamento posologico del mitotane è guidato dalla motorizzazione dei livelli circolanti, che dovrebbero raggiungere e mantenere nel tempo un intervallo compreso fra 14 e 20 mg/L (si veda paragrafo su malattia avanzata). Non vi sono dati riguardanti la durata ottimale del mitotane somministrato a scopo adiuvante. Poiché la recidiva postchi-rurgica avviene nella maggior parte dei casi entro i primi 2 anni, si raccomanda una durata minima del trattamento di 2 anni, se questo è ben tollerato. La durata del trattamento può essere stabilita su base individuale in caso di scarsa tolleranza, considerando attentamente il rapporto rischio/beneficio. In un recente studio l’elevata espressione di RRM1 (ribonucleotide reductase large subunit 1) valutata in due casi-stiche, italiana e tedesca, ha dimostrato di essere predittiva di efficacia del mitotane somministrato a scopo adiuvante (Volante et al., 2012). Questi dati necessitano di validazione.

TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATA/METASTATICALa prognosi dei pazienti con malattia localmente avanzata e metastatica non eligibili a terapia chirurgica con intento radicale è spesso severa. La sopravvivenza a 5 anni attesa è <15% (Fassnacht et al., 2011; Berruti et al., 2012). Recenti studi hanno evidenziato come pazienti con malattia oligo-metastatica possano avere un decorso relativamente indo-lente con sopravvivenze relativamente lunghe (Fassnacht et al., 2011; Berruti et al., 2012). Il mitotane è il farmaco comunemente utilizzato sebbene la sua efficacia non sia sostenuta da risultati di studi randomizzati. Il mitotane è un farmaco poco maneggevole, si accumula nel tessuto adiposo e ha quindi una lunga emivita (superiore a 30 giorni). In ragione della sua azione adrenolitica il mitotane ha trovato da sempre indicazione nel trattamento delle forme secernenti. Più recentemente è stato evidenziato come il raggiungimento di concentrazioni superiori a 14 mg/dL in pazienti con malattia avanzata sia predittivo di attività, in termini di remissioni obiettive (Haak et al., 1994), e di efficacia, in termini di tempo a progressione (Hermsen et al., 2011). Queste osservazioni indicano indi-rettamente un ruolo antiproliferativo del farmaco. Inoltre, si è dimostrato come concentrazioni superiori a 20 mg/mL siano predittive di tossicità, neurologica in particolare. Questi dati hanno suggerito come la terapia con mitotane debba essere effettuata allo scopo di raggiungere e man-tenere il cosiddetto range terapeutico di concentrazioni

ENSAT TNM Definizione

i t1 N0 m0 tumore ≤5 cm

ii t2 N0 m0 tumore >5 cm

iii t1-t2 N1 m0t3-t4 N0-N1 m0

Coinvolgimento linfonodale e/o infiltrazione tumorale dei tessuti circostanti e/o trombosi della vena cava e/o vena renale

iV t1-t4 N0-N1 m1 metastasi

TAbELLA 17.12 Stadiazione eNSat del carcinoma del cortico-surrene

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avanzate (stadio III). La chirurgia laparoscopica è una procedura efficace con risultati paragonabili alla chirur-gia in aperto evidenziati in alcune casistiche (Porpiglia et al., 2010). Tale tecnica deve essere adottata solo in centri con consolidata esperienza di chirurgia laparoscopica nel trattamento di carcinomi di piccole dimensioni (<8 cm). La chirurgia per garantire la massima efficacia deve essere radicale in termini sia macroscopici sia microscopici (R0). Questo potrebbe implicare l’asportazione di organi conti-gui in caso di malattia localmente avanzata, per esempio la resezione parziale del fegato, la nefrectomia nonché l’asportazione di emboli neoplastici (Berruti et al., 2012). Non ci sono dati riguardanti l’impatto prognostico della linfoadenectomia benché la maggior parte degli Autori suggerisca l’asportazione dei linfonodi regionali dell’ilo renale, periaortici e pericavali. Per i tumori surrenalici che non invadono il rene, l’effettuazione di una nefrectomia concomitante all’adrenalectomia sembrerebbe non in-fluenzare la prognosi e può essere evitata anche se sono necessari ulteriori dati. In caso di neoplasia metastatica la chirurgia è parimenti indicata se le lesioni metastatiche sono resecabili con intento radicale. La chirurgia citori-duttiva è generalmente da proscrivere in quanto non ha dimostrato alcun vantaggio prognostico. Può essere presa in considerazione in alcuni casi con malattia secernente per la gestione di una sindrome non altrimenti control-labile con la terapia medica in presenza di una presunta aspettativa di vita >6 mesi. Prima di avviare il paziente con sospetta lesione maligna surrenalica alla chirurgia occorre valutare la presenza di iperproduzione di cortisolo allo scopo di adottare misure per prevenire l’insufficienza cortico-surrenalica postoperatoria. In tutti i pazienti con ipercortisolismo è indispensabile la somministrazione di idrocortisone (100 mg/die) durante l’intervento chirurgico e nel postoperatorio (Berruti et al., 2012).

Terapia adiuvanteLa maggior parte dei pazienti con neoplasia della corticale del surrene ha una malattia resecabile alla diagnosi; pur-troppo la maggioranza dei pazienti radicalmente operati è destinata a recidivare spesso con metastasi. Il compor-tamento aggressivo di questa malattia e l’elevato rischio di recidiva costituiscono il razionale per l’uso di terapie adiuvanti. La radioterapia postchirurgica del letto tumorale è raccomandata ancorché con un basso livello di evidenza in pazienti con resezione incompleta (R1 o Rx). Il mitotane è il farmaco di riferimento per il carcinoma della corticale del surrene da cinquant’anni circa. In uno studio caso-controllo che ha coinvolto 177 pazienti, la prognosi di 47 pazienti seguiti in centri di riferimento italiani per questa patologia che avevano adottato un trattamento adiuvante con mitotane in tutti i casi indipendentemente dallo stadio è stata confrontata con la prognosi di 55 pazienti operati in altri centri riferimento italiani che non avevano adottato alcuna strategia adiuvante. Per rafforzare il confronto è sta-ta aggiunta una terza casistica comparabile di 75 pazienti tedeschi operati radicalmente e non sottoposti a terapia adiuvante (Terzolo et al., 2007).

I risultati di questo studio hanno evidenziato per la prima volta che pazienti trattati con mitotane a scopo adiuvante hanno ottenuto un miglioramento della prognosi sia in ter-

mini di prolungamento dell’intervallo libero di malattia sia in termini di sopravvivenza globale (in analisi multivariata). Quantunque questi dati non possano essere considerati conclusivi, essi suggeriscono tuttavia come la terapia adiu-vante con mitotane possa essere efficace. Su queste basi un panel di esperti internazionali ha concordemente stabilito di raccomandare la terapia adiuvante con mitotane in pa-zienti con carcinoma surrenalico ad alto rischio di recidiva definiti come pazienti con residuo microscopico di malat-tia, oppure pazienti R0 ma con elevata attività proliferativa della malattia asportata (Ki67 >10%). Per gli altri pazienti definiti a basso o moderato rischio di recidiva (stadio I o II, chirurgia R0, Ki67 <10%), è raccomandato di entrare a far parte, se possibile, di uno studio multicentrico multina-zionale volto a valutare l’efficacia della terapia adiuvante in questo contesto (www.adiuvo-trial.org) (Berruti et al., 2010). L’aggiustamento posologico del mitotane è guidato dalla motorizzazione dei livelli circolanti, che dovrebbero raggiungere e mantenere nel tempo un intervallo compreso fra 14 e 20 mg/L (si veda paragrafo su malattia avanzata). Non vi sono dati riguardanti la durata ottimale del mitotane somministrato a scopo adiuvante. Poiché la recidiva postchi-rurgica avviene nella maggior parte dei casi entro i primi 2 anni, si raccomanda una durata minima del trattamento di 2 anni, se questo è ben tollerato. La durata del trattamento può essere stabilita su base individuale in caso di scarsa tolleranza, considerando attentamente il rapporto rischio/beneficio. In un recente studio l’elevata espressione di RRM1 (ribonucleotide reductase large subunit 1) valutata in due casi-stiche, italiana e tedesca, ha dimostrato di essere predittiva di efficacia del mitotane somministrato a scopo adiuvante (Volante et al., 2012). Questi dati necessitano di validazione.

TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATA/METASTATICALa prognosi dei pazienti con malattia localmente avanzata e metastatica non eligibili a terapia chirurgica con intento radicale è spesso severa. La sopravvivenza a 5 anni attesa è <15% (Fassnacht et al., 2011; Berruti et al., 2012). Recenti studi hanno evidenziato come pazienti con malattia oligo-metastatica possano avere un decorso relativamente indo-lente con sopravvivenze relativamente lunghe (Fassnacht et al., 2011; Berruti et al., 2012). Il mitotane è il farmaco comunemente utilizzato sebbene la sua efficacia non sia sostenuta da risultati di studi randomizzati. Il mitotane è un farmaco poco maneggevole, si accumula nel tessuto adiposo e ha quindi una lunga emivita (superiore a 30 giorni). In ragione della sua azione adrenolitica il mitotane ha trovato da sempre indicazione nel trattamento delle forme secernenti. Più recentemente è stato evidenziato come il raggiungimento di concentrazioni superiori a 14 mg/dL in pazienti con malattia avanzata sia predittivo di attività, in termini di remissioni obiettive (Haak et al., 1994), e di efficacia, in termini di tempo a progressione (Hermsen et al., 2011). Queste osservazioni indicano indi-rettamente un ruolo antiproliferativo del farmaco. Inoltre, si è dimostrato come concentrazioni superiori a 20 mg/mL siano predittive di tossicità, neurologica in particolare. Questi dati hanno suggerito come la terapia con mitotane debba essere effettuata allo scopo di raggiungere e man-tenere il cosiddetto range terapeutico di concentrazioni

comprese fra 14 e 20 mg/dL che consente di ottenere la massima efficacia con una minima tossicità. Uno schema posologico indicativo per la somministrazione di mitotane e relativa modulazione di dose in relazione alla compar-sa di tossicità è descritto nella tabella 17.13. Valutazioni biochimiche e ormonali sono raccomandate in pazienti in trattamento con mitotane. Tale farmaco, infatti, induce una tossicità epatica e modificazioni metaboliche che favo-riscono l’incremento delle concentrazioni di colesterolo e (in minor misura) trigliceridi. Per questa ragione esami di funzionalità epatica e profilo lipidico sono raccomandati durante la terapia con mitotane. L’incremento isolato delle concentrazioni circolanti di g-GT durante la terapia con mitotane è segno di induzione di questo enzima da parte del farmaco e non di tossicità epatica. Il mitotane dà luo-go a modificazioni ormonali (alterazioni della funzione sessuale e tiroidea). L’effetto adrenolitico è terapeutico nei pazienti con iperproduzione ormonale, ma induce ipo-surrenalismo nei pazienti con neoplasia non secernente. In questi casi una terapia sostitutiva con glicocorticoidi (Tab. 17.14) è raccomandata. Poiché il mitotane aumenta la clearance dei glicocorticoidi i pazienti che assumono mitotane necessitano di una dose superiore a quella che viene prescritta nel trattamento del morbo di Addison. Talora si rende necessario l’impiego di ormoni ad attività mineralcorticoide. Il mitotane, inoltre, può dar luogo a ipotiroidismo e ipogonadismo (soprattutto nel sesso ma-schile) che possono richiedere una terapia sostitutiva. In ragione delle alterazioni ormonali e metaboliche indotte dal mitotane, è utile che i pazienti in trattamento con questo farmaco siano seguiti con l’ausilio di un endocrino-logo esperto in patologia surrenalica. Il raggiungimento di concentrazioni terapeutiche in pazienti in trattamento con mitotane spesso richiede parecchie settimane; per questa ragione il farmaco in monoterapia è oggi raccomandato per pazienti con malattia indolente e oligometastatica. Negli altri pazienti, che sono la maggior parte, è raccoman-dabile l’associazione di mitotane alla chemioterapia. Le dimostrazioni di efficacia della chemioterapia in pazienti con carcinoma cortico-surrenalico sono state per lungo tempo limitate. Solo 11 studi prospettici non randomiz-zati sono stati condotti, evidenziando tassi di remissioni obiettive fra il 7% e il 54% (Fassnacht et al., 2011). Gli schemi contenenti cisplatino associati a mitotane hanno ottenuto i risultati migliori. Uno studio multicentrico, multinazionale (FIRM-ACT), ha confrontato l’efficacia di mitotane associato a etoposide, adriamicina e cisplatino (EDP-M) con quella di streptozotocina + mitotane (Sz-M) in 304 pazienti consecutivi. In caso di progressione la som-ministrazione dello schema alternativo era consentita. I risultati di questo trial recentemente pubblicati (Fassnacht et al., 2012) hanno dimostrato come lo schema EDP-M sia superiore a Sz-M in termini di remissioni obiettive. La possibilità di effettuare EDP-M in caso di progressione a Sz-M ha attenuato i risultati dello schema EDP-M sulla sopravvivenza (che non hanno raggiunto la significatività statistica). Sulla base di questi risultati lo schema EDP è il trattamento di prima linea di riferimento in pazienti con carcinoma delle corticale surrenalica avanzato. Poiché la somministrazione di EDP-M è gravata da tossicità rilevante, nei pazienti in cui tale trattamento risulti controindicato per comorbilità o condizioni generali compromesse, la

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684 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

somministrazione del solo platino associata a mitotane potrebbe essere una valida alternativa (Bukowski et al., 1993). La mediana di sopravvivenza dei pazienti sotto-posti a EDP-M nello studio FIRM-ACT è risultata essere di soli 14,8 mesi e questo indica la necessità di nuove

terapie. Uno studio multicentrico, multinazionale è stato disegnato per testare l’efficacia di OSI 906-301, un inibi-tore di IGF-R, in seconda linea in pazienti con carcinoma surrenalico avanzato. Lo studio ha recentemente concluso il reclutamento e i risultati saranno presto disponibili.

Mitotane dosaggio* dose iniziale 1,5 g/die e successivi incrementi ogni 4-6 giorni di dose fino a 6 g/die

dopo 3 settimane adattare il dosaggio in base alla tollerabilità e ai dosaggi sierici (si veda oltre)

dose massima 12 g/die, ma molti pazienti non tollerano dosaggi >8 g/die

i livelli target di mitotane sierico sono di 14-20 mg/l

Usando questo regime il 50% dei pazienti lo raggiunge entro 3 mesi

Supplementazione di glicocorticoidi e mineralcorticoidi

dose totale di 50 mg di idrocortisone (suddiviso 20-20-10 mg) o 75 mg cortisone acetato, possono essere necessari dosaggi superiori. la necessità di glicocorticoidi è monitorata clinicamente

Fludrocortisone può essere aggiunto in base ai valori pressori, al dosaggio sierico di potassio e all’attività reninica plasmatica

Monitoraggio consigliato della mitotanemia durante il trattamento

i dosaggi sierici di mitotane devono essere effettuati ogni 4 settimane nei primi 3 mesi. al raggiungimento del dosaggio plateau l’intervallo può essere allungato (per esempio, ogni 6 settimane)

Got, Gpt, bilirubina, GGt inizialmente devono essere dosati ogni 4 settimane, dopo 6 mesi ogni 8 settimane. GGt può essere elevato senza conseguenze cliniche. in caso di rapido incremento degli altri enzimi epatici (> a 3 volte il valore basale) deve essere sospeso il mitotane per il rischio di scompenso epatico

Gli ormoni tiroidei dovrebbero essere dosati ogni 3-4 mesi. in caso di sintomi clinici di ipotiroidismo è necessaria terapia sostitutiva.

testosterone, testosterone libero e SHBG dovrebbero essere dosati nei pazienti maschi con sintomi di ipogonadismo.

i livelli di renina devono essere monitorati ogni 3 mesi. in caso di incremento in presenza di sintomi di deficienza mineralcorticoide deve essere aggiunto il fludrocortisone

dosaggio di colesterolo (Hdl, ldl), trigliceridi ogni 3-4 mesi. in caso di incremento consistente di colesterolo ldl/Hdl, può essere effettuato un trattamento con statine, prendendo in considerazione il rapporto rischio/beneficio alla luce dell’interferenza che il farmaco può avere con il metabolismo del mitotane

emocromo ogni 3-4 mesi

GGt: gamma-glutamil-transferasi; Got: transaminasi glutammico-ossalacetica; Gpt: transaminasi glutammicopiruvica; Hdl: lipoproteine ad alta densità; ldl: lipoproteine a bassa densità; SHBG: sexual hormone binding globulin.* È possibile ottenere una simile efficacia con un regime a basso dosaggio.

TAbELLA 17.13 Schema posologico del mitotane, supplementazione dei glicocorticoidi e mineralcorticoidi, monitoraggio del dosaggio sierico e modulazione del dosaggio in base ai livelli sierici e alla tossicità

Livelli sierici di mitotane

SNC (grado 2)/GI (grado 3-4) SNC (grado 3-4)

Assente Presente Presente

<14 mg/l incrementare la dose di 1 g/die* ridurre la dose di 1 g/die Stop mitotane#

14-20 mg/l mantenere il dosaggio ridurre la dose di 1,5 g/die Stop mitotane#

>20 mg/l ridurre la dose giornaliera del 50% Stop mitotane# Stop mitotane#

Gi: gastrointestinale; SNC: sistema nervoso centrale.# fino alla risoluzione dei sintomi (grado 0-1).

TAbELLA 17.14 aggiustamenti di dose raccomandati in base ai sintomi neurologici/gastrointestinali e livelli sierici di mitotane

In presenza di neoplasia metastatica a livello osseo, la radioterapia a scopo antalgico e l’impiego di bifosfonati sono raccomandati. La chemioembolizzazione e la radio-frequenza possono essere efficaci in pazienti selezionati (Berruti et al., 2012).

ALGORITMO TERAPEUTICOSulla base di quanto sinora trattato e delle informazioni at-tualmente ottenute, possiamo proporre l’algoritmo terapeuti-co illustrato nella figura 17.8. Ai pazienti con carcinoma della corticale surrenalica radicalmente operati dovrebbe essere offerto un trattamento adiuvante con mitotane in presenza di residuo microscopico (R1) e/o elevata attività proliferativa della malattia (Ki67 >10%). La presenza di residuo R1 sugge-risce altresì un trattamento radioterapico adiuvante, anche se l’evidenza a favore è ridotta. In caso di malattia metastatica non operabile la monoterapia con mitotane o lo schema EDP-M sono applicabili e la scelta si basa sull’estensione e le caratteristiche di aggressività della malattia.

FOLLOW-UP Le recenti linee guida proposte dall’ESMO (European Society of Medical Oncology) raccomandano nei pazienti radical-mente operati un follow-up trimestrale comprendente la valutazione di TC o RM ed esami ormonali (se la malattia presentava caratteristiche secernenti alla diagnosi) per i pri-mi 2 anni. Successivamente gli esami di follow-up possono essere gradualmente dilazionati. Nei pazienti che non sono recidivati il follow-up dovrebbe essere continuato sino a 10 anni (Berruti et al., 2012).

bIbLIOGRAFIABerruti A, Fassnacht M, Baudin E et al. Adjuvant therapy in patients with adre-

nocortical carcinoma: a position of an international panel. J Clin Oncol 2010;28(23):e401-e402.

Berruti A, Baudin E, Gelderblom H et al. Adrenal cancer: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, treatment and follow-up. Ann Oncol 2012;23(suppl 7):vii131-vii138.

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Haak HR, Hermans J, van de Velde CJ et al. Optimal treatment of adrenocortical carcinoma with mitotane: results in a consecutive series of 96 patients. Br J Cancer 1994;69:947-951.

Hermsen IG, Fassnacht M, Terzolo M et al. Plasma concentrations of o,p’DDD, o,p’DDA, and o,p’DDE as predictors of tumor response to mitotane in adreno-cortical carcinoma: results of a retrospective ENS@T multicenter study. J Clin Endocrinol Metab 2011;96:1844-1851.

Libé R et al. Somatic TP53 mutations are relatively rare among adrenocortical cancers with the frequent 17p13 loss of heterozygosity. Clin Cancer Res 2007;13:844-850.

Porpiglia F, Fiori C, Daffara F et al. Retrospective evaluation of the outcome of open versus laparoscopic adrenalectomy for stage I and II adrenocortical cancer. Eur Urol 2010;57:873-878.

Sbiera S, Schmull S, Assie G et al. High diagnostic and prognostic value of ste-roidogenic factor-1 expression in adrenal tumors. J Clin Endocrinol Metab 2010;95:E161-E171.

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Volante M, Bollito E, Sperone P et al. Clinicopathological study of a series of 92 adrenocortical carcinomas: from a proposal of simplified diagnostic algorithm to prognostic stratification. Histopathology 2009;55(5):535-543.

Volante M, Terzolo M, Fassnacht M et al. Ribonucleotide reductase large subunit (RRM1) gene expression may predict efficacy of adjuvant mitotane in adreno-cortical cancer. Clin Cancer Res 2012;18(12):3452-3461.

Waldmann J, Feldmann G, Slater EP et al. Expression of the zinc-finger transcription factor Snail in adrenocortical carcinoma is associated with decreased survival. Br J Cancer 2008;99(11):1900-1907.

Weiss LM, Medeiros LJ, Vickery AL Jr. Pathologic features of prognostic significance in adrenocortical carcinoma. Am J Surg Pathol 1989;13:202-206.

FIG. 17.8 algoritmo terapeutico dei pazienti con carcinoma della corticale del surrene. *Basso rischio: Ki67 ≤10%. Alto rischio: Ki67 >10% o presenza di residuo di malattia (R1).

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 685

In presenza di neoplasia metastatica a livello osseo, la radioterapia a scopo antalgico e l’impiego di bifosfonati sono raccomandati. La chemioembolizzazione e la radio-frequenza possono essere efficaci in pazienti selezionati (Berruti et al., 2012).

ALGORITMO TERAPEUTICOSulla base di quanto sinora trattato e delle informazioni at-tualmente ottenute, possiamo proporre l’algoritmo terapeuti-co illustrato nella figura 17.8. Ai pazienti con carcinoma della corticale surrenalica radicalmente operati dovrebbe essere offerto un trattamento adiuvante con mitotane in presenza di residuo microscopico (R1) e/o elevata attività proliferativa della malattia (Ki67 >10%). La presenza di residuo R1 sugge-risce altresì un trattamento radioterapico adiuvante, anche se l’evidenza a favore è ridotta. In caso di malattia metastatica non operabile la monoterapia con mitotane o lo schema EDP-M sono applicabili e la scelta si basa sull’estensione e le caratteristiche di aggressività della malattia.

FOLLOW-UP Le recenti linee guida proposte dall’ESMO (European Society of Medical Oncology) raccomandano nei pazienti radical-mente operati un follow-up trimestrale comprendente la valutazione di TC o RM ed esami ormonali (se la malattia presentava caratteristiche secernenti alla diagnosi) per i pri-mi 2 anni. Successivamente gli esami di follow-up possono essere gradualmente dilazionati. Nei pazienti che non sono recidivati il follow-up dovrebbe essere continuato sino a 10 anni (Berruti et al., 2012).

bIbLIOGRAFIABerruti A, Fassnacht M, Baudin E et al. Adjuvant therapy in patients with adre-

nocortical carcinoma: a position of an international panel. J Clin Oncol 2010;28(23):e401-e402.

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Fassnacht M, Libé R, Kroiss M et al. Adrenocortical carcinoma: a clinician’s update. Nat Rev Endocrinol 2011;7:323-335.

Fassnacht M, Terzolo M, Allolio B et al. Combination chemotherapy in advanced adrenocortical carcinoma. N Engl J Med 2012;366:2189-2197.

Giordano TJ, Kuick R, Else T et al. Molecular classification and prognostica-tion of adrenocortical tumors by transcriptome profiling. Clin Cancer Res 2009;15(2):668-676.

Haak HR, Hermans J, van de Velde CJ et al. Optimal treatment of adrenocortical carcinoma with mitotane: results in a consecutive series of 96 patients. Br J Cancer 1994;69:947-951.

Hermsen IG, Fassnacht M, Terzolo M et al. Plasma concentrations of o,p’DDD, o,p’DDA, and o,p’DDE as predictors of tumor response to mitotane in adreno-cortical carcinoma: results of a retrospective ENS@T multicenter study. J Clin Endocrinol Metab 2011;96:1844-1851.

Libé R et al. Somatic TP53 mutations are relatively rare among adrenocortical cancers with the frequent 17p13 loss of heterozygosity. Clin Cancer Res 2007;13:844-850.

Porpiglia F, Fiori C, Daffara F et al. Retrospective evaluation of the outcome of open versus laparoscopic adrenalectomy for stage I and II adrenocortical cancer. Eur Urol 2010;57:873-878.

Sbiera S, Schmull S, Assie G et al. High diagnostic and prognostic value of ste-roidogenic factor-1 expression in adrenal tumors. J Clin Endocrinol Metab 2010;95:E161-E171.

Terzolo M, Angeli A, Fassnacht M et al. Adjuvant mitotane treatment for adreno-cortical carcinoma. N Engl J Med 2007;356:2372-2380.

Volante M, Bollito E, Sperone P et al. Clinicopathological study of a series of 92 adrenocortical carcinomas: from a proposal of simplified diagnostic algorithm to prognostic stratification. Histopathology 2009;55(5):535-543.

Volante M, Terzolo M, Fassnacht M et al. Ribonucleotide reductase large subunit (RRM1) gene expression may predict efficacy of adjuvant mitotane in adreno-cortical cancer. Clin Cancer Res 2012;18(12):3452-3461.

Waldmann J, Feldmann G, Slater EP et al. Expression of the zinc-finger transcription factor Snail in adrenocortical carcinoma is associated with decreased survival. Br J Cancer 2008;99(11):1900-1907.

Weiss LM, Medeiros LJ, Vickery AL Jr. Pathologic features of prognostic significance in adrenocortical carcinoma. Am J Surg Pathol 1989;13:202-206.

ACC localizzatichirurgia

R1R0

Basso rischio* Radioterapia adiuvante

Follow-up o ADIUVO trial Trattamento adiuvante con mitotane (2 anni)

Alto rischio*

ACC avanzato, non resecabile

Volume tumoraleridotto,

mitotane naïve

Esteso volume tumoraleo precedente trattamento con mitomanee pazienti con buon performance status

Mitotane EDP + mitotane

FIG. 17.8 algoritmo terapeutico dei pazienti con carcinoma della corticale del surrene. *Basso rischio: Ki67 ≤10%. Alto rischio: Ki67 >10% o presenza di residuo di malattia (R1).

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686 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

FeoCromoCitoma e paraGaNGlioma

Alfredo Berruti, Massimo Terzolo

EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIOIl feocromocitoma è un tumore neuroendocrino che origina dalle cellule cromaffini della midollare del surrene oppure dai gangli extrasurrenalici (paravertebrali e para-aortici più frequentemente) del sistema simpatico, in questo caso si preferisce il termine paraganglioma. A differenza dei tu-mori della corticale surrenalica, sia i feocromocitomi sia i paragangliomi sono tutti “virtualmente” secernenti e le manifestazioni cliniche sono spesso secondarie all’eccesso di produzione di catecolamine. L’incidenza di queste neoplasie è circa 2-8/milione di soggetti adulti per anno. Tale inciden-za aumenta fino allo 0,5% in pazienti con ipertensione arte-riosa sintomatica e può essere del 4% nei pazienti affetti da masse surrenaliche di riscontro occasionale (incidentalomi surrenalici). Nel 30% dei casi circa, i feocromocitomi/para-gangliomi si associano a una varietà di sindromi ereditarie come la MEN di tipo 2, la sindrome di Von Hippel-Lindau (VHL), la neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) e la sindro-me dei paragangliomi ereditari. Solo una minima parte (10-17%) dei feocromocitomi diagnosticati è maligna, an-che se la quota di forme maligne varia a seconda della ge-netica e della sede dove è localizzato il tumore. L’incidenza di malignità nelle neoplasie portatrici della mutazione a livello del gene succinato deidrogenasi B (SDHB) e di quelle a localizzazione extrasurrenalica (paragangliomi) è del 30-50% (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012).

PATOLOGIAPATOGENESI MOLECOLAREDieci geni sono stati sino a oggi identificati nella patoge-nesi dei feocromocitomi/paragangliomi. Ai geni noti da tempo come VHL, succinato deidrogenasi A (SDHA), B (SDHB), C (SDHC), D (SDHD), la succinato deidrogenasi AF2 (SDHAF2), NF1 e RET, si sono recentemente aggiunti i geni oncosoppressori MAX (MYC associated factor X), che codifica per il fattore di trascrizione MAX, e TMEM127 che codificherebbe per una proteina di membrana di 238 aminoacidi che partecipa alla trasmissione di segnali tra membrana, Golgi e liposomi (Burnichon et al., 2012; Yao et al., 2010). Le mutazioni a carico di questi geni si asso-ciano all’insorgenza di queste rare neoplasie. Sulla base del meccanismo patogenetico questi geni possono suddivider-si in due cluster: il cluster 1 formato da geni responsabili di uno stato pseudoipossico ottenuto attraverso l’inibizio-ne della degradazione di HIF1 (hypoxia inducible factor 1) come conseguenza della mutazione a carico di VHL, op-pure attraverso una stabilizzazione di HIF1 a seguito della mutazione a carico di SDH; il cluster 2 caratterizzato da geni come RET, NF1, TMEM127, MAX responsabili di al-terazioni di recettori e proteine di trasduzione del segnale tirosinchinasi-dipendenti (Fig. 17.9).

La mutazione a carico del gene che codifica per la subunità B del complesso SDHB è a oggi la più importante alterazio-

Feocromocitoma/Paraganglioma

Cluster 1Geni correlaticon l’ipossia

Cluster 2Geni correlati con recettori e

vie metaboliche tirosinchinasi dipendenti

SDHASDHBSDHCSDHDVHL

RETNF1

TMEM127MAX

FIG. 17.9 Geni coinvolti nella patogenesi del feocromocitoma.

ne genetica che si associa alle caratteristiche di malignità del feocromocitoma/paraganglioma sia sporadico sia ere-ditario. Lo stato pseudo-ipossico indotto dalla mutazione a carico di SDHB, infatti, causa un’aumentata espressione di fattori proangiogenetici e fattori di crescita attraverso la cosiddetta “hypoxia-inducible pathway”. La valutazione delle mutazioni di SDHB è pertanto indicata in tutti feocromo-citomi/paragangliomi per una caratterizzazione di mali-gnità. Se le mutazioni a carico del gene SDHB non sono presenti, è indicata la valutazione di espressione dei geni VHL, succinato deidrogenasi D (SDHD), succinato dei-drogenasi C (SDHC), mentre la valutazione di espressione dell’oncogene RET è indicata quando tutte le precedenti mutazioni fossero negative o in caso di ipersecrezione di calcitonina (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012; Fishbein e Nathanson, 2012).

ANATOMIA PATOLOGICALa distinzione di forme benigne e maligne è spesso difficile basandosi sulla sola istologia. Sebbene alcune caratteri-stiche come l’invasione vascolare, la necrosi tumorale, le dimensioni superiori a 5 cm, siano suggestive di malignità, esse tuttavia non sono sufficientemente predittive. Il PASS (pheochromocytoma adrenal gland scaled score) (Thompon, 2002) è un punteggio proposto per discriminare forme benigne e maligne che si basa su parametri istologici come: invasione locale, tipo di crescita, presenza di necrosi, cellu-larità, morfologia a cellule fusate, pleomorfismo nucleare, ipercromasia, attività mitotica. Questo schema, tuttavia, non riscuote un consenso unanime fra i patologi esperti di queste malattie rare (Pacak et al., 2007). In accordo con i criteri adottati dalla classificazione WHO, la malignità è sicuramente la presenza di metastasi in sedi dove non possa essere presente un tessuto di feocromocitoma o pa-raganglioma come l’osso o il fegato, questo onde evitare di confondere una forma multicentrica da una forma me-tastatica. Come accennato precedentemente, la presenza di mutazione a carico di SDHB e la sede extrasurrenalica sono caratteristiche che predicono un comportamento maligno. Alcune alterazioni molecolari sono state suggerite come predittive di malignità quali l’espressione di Ki67 in più del 6% di cellule e l’espressione della telomerasi, quest’ultima presente nel 67% nei tumori maligni contro il 9,5% dei tumori benigni (Salmenkivi et al., 2004; Elder et al., 2003).

DIAGNOSISCREENINGIn considerazione della rarità di queste patologie, non è previsto uno screening per i feocromocitomi e i para-gangliomi. Un panel di esperti ritiene indicata la ricerca della presenza di feocromocitoma/paraganglioma in caso di segni e sintomi sospetti per la presenza di eccesso di catecolamine supportati dalla presenza di test biochimici fortemente positivi, o in presenza di sindromi ereditarie predisponenti, o nelle masse surrenaliche di scoperta oc-casionale (Pacak et al., 2007).

PRESENTAZIONE CLINICALe manifestazioni cliniche dei feocromocitomi/paragan-gliomi sono legate alla produzione in eccesso di cateco-lamine. Il quadro clinico sintomatologico non differisce nelle forme benigne rispetto a quelle maligne. L’ipertensio-ne, presente nella maggior parte dei pazienti, non è di per sé specifica per la diagnosi. La triade classica di sintomi: tachicardia, sudorazione, cefalea, presente nel 40-80% dei casi, è invece fortemente suggestiva. Altri sintomi associati alla presenza di feocromocitoma sono tremori, palpitazio-ni e stato ansioso (Pacak et al., 2007). Occorre sottolineare come nelle casistiche più recenti sia notevole la quota di feocromocitomi associata a ipertensione di basso grado, stabile, indistinguibile dall’ipertensione essenziale, o ad-dirittura associata a normotensione.

DIAGNOSTICA BIOCHIMICA E STRUMENTALELa quasi totalità dei feocromocitomi e paragangliomi è secernente per cui il primo passo nella diagnostica bio-chimica di queste malattie è la dimostrazione dell’ec-cesso di produzione di catecolamine. Il dosaggio delle catecolamine urinarie è stato il test maggiormente utiliz-zato nel passato. È oggi chiaro che le catecolamine sono metabolizzate dalle cellule cromaffini in metanefrine (metanefrina e normetanefrina) e questo accelerato me-tabolismo intratumorale è indipendente dal rilascio di catecolamine che può avvenire in modo intermittente e in modesta quantità. Per questa ragione alcuni studi hanno evidenziato una maggiore sensibilità e specificità del dosaggio delle metanefrine circolanti o urinarie ri-spetto alle catecolamine. Il dosaggio delle metanefrine rappresenta oggi il test di riferimento per la diagnostica biochimica dei feocromocitomi/paragangliomi, con una sensibilità compresa tra 96% e 100% (Pacak et al., 2007). Un marcatore aspecifico di fenotipo neuroendocrino come la cromogranina A circolante può essere altresì impiegato, anche se non è chiaro il vantaggio che la mi-surazione di questo indicatore possa avere rispetto alla sola valutazione delle metanefrine (Plouin, 2008). In una recente pubblicazione i livelli sierici e urinari di metossi-tiramina hanno dimostrato di ottenere informazioni utili per la discriminazione di forme benigne da forme maligne (Esenhofer et al., 2012). Tale marcatore, tuttavia, non è disponibile se non in pochi centri.

Accanto alle indagini biochimiche, le tecniche di imaging sono indispensabili per localizzare la neoplasia, valutarne l’estensione e i rapporti con le strutture limitrofe, discri-

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 687

FIG. 17.9 Geni coinvolti nella patogenesi del feocromocitoma.

ne genetica che si associa alle caratteristiche di malignità del feocromocitoma/paraganglioma sia sporadico sia ere-ditario. Lo stato pseudo-ipossico indotto dalla mutazione a carico di SDHB, infatti, causa un’aumentata espressione di fattori proangiogenetici e fattori di crescita attraverso la cosiddetta “hypoxia-inducible pathway”. La valutazione delle mutazioni di SDHB è pertanto indicata in tutti feocromo-citomi/paragangliomi per una caratterizzazione di mali-gnità. Se le mutazioni a carico del gene SDHB non sono presenti, è indicata la valutazione di espressione dei geni VHL, succinato deidrogenasi D (SDHD), succinato dei-drogenasi C (SDHC), mentre la valutazione di espressione dell’oncogene RET è indicata quando tutte le precedenti mutazioni fossero negative o in caso di ipersecrezione di calcitonina (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012; Fishbein e Nathanson, 2012).

ANATOMIA PATOLOGICALa distinzione di forme benigne e maligne è spesso difficile basandosi sulla sola istologia. Sebbene alcune caratteri-stiche come l’invasione vascolare, la necrosi tumorale, le dimensioni superiori a 5 cm, siano suggestive di malignità, esse tuttavia non sono sufficientemente predittive. Il PASS (pheochromocytoma adrenal gland scaled score) (Thompon, 2002) è un punteggio proposto per discriminare forme benigne e maligne che si basa su parametri istologici come: invasione locale, tipo di crescita, presenza di necrosi, cellu-larità, morfologia a cellule fusate, pleomorfismo nucleare, ipercromasia, attività mitotica. Questo schema, tuttavia, non riscuote un consenso unanime fra i patologi esperti di queste malattie rare (Pacak et al., 2007). In accordo con i criteri adottati dalla classificazione WHO, la malignità è sicuramente la presenza di metastasi in sedi dove non possa essere presente un tessuto di feocromocitoma o pa-raganglioma come l’osso o il fegato, questo onde evitare di confondere una forma multicentrica da una forma me-tastatica. Come accennato precedentemente, la presenza di mutazione a carico di SDHB e la sede extrasurrenalica sono caratteristiche che predicono un comportamento maligno. Alcune alterazioni molecolari sono state suggerite come predittive di malignità quali l’espressione di Ki67 in più del 6% di cellule e l’espressione della telomerasi, quest’ultima presente nel 67% nei tumori maligni contro il 9,5% dei tumori benigni (Salmenkivi et al., 2004; Elder et al., 2003).

DIAGNOSISCREENINGIn considerazione della rarità di queste patologie, non è previsto uno screening per i feocromocitomi e i para-gangliomi. Un panel di esperti ritiene indicata la ricerca della presenza di feocromocitoma/paraganglioma in caso di segni e sintomi sospetti per la presenza di eccesso di catecolamine supportati dalla presenza di test biochimici fortemente positivi, o in presenza di sindromi ereditarie predisponenti, o nelle masse surrenaliche di scoperta oc-casionale (Pacak et al., 2007).

PRESENTAZIONE CLINICALe manifestazioni cliniche dei feocromocitomi/paragan-gliomi sono legate alla produzione in eccesso di cateco-lamine. Il quadro clinico sintomatologico non differisce nelle forme benigne rispetto a quelle maligne. L’ipertensio-ne, presente nella maggior parte dei pazienti, non è di per sé specifica per la diagnosi. La triade classica di sintomi: tachicardia, sudorazione, cefalea, presente nel 40-80% dei casi, è invece fortemente suggestiva. Altri sintomi associati alla presenza di feocromocitoma sono tremori, palpitazio-ni e stato ansioso (Pacak et al., 2007). Occorre sottolineare come nelle casistiche più recenti sia notevole la quota di feocromocitomi associata a ipertensione di basso grado, stabile, indistinguibile dall’ipertensione essenziale, o ad-dirittura associata a normotensione.

DIAGNOSTICA BIOCHIMICA E STRUMENTALELa quasi totalità dei feocromocitomi e paragangliomi è secernente per cui il primo passo nella diagnostica bio-chimica di queste malattie è la dimostrazione dell’ec-cesso di produzione di catecolamine. Il dosaggio delle catecolamine urinarie è stato il test maggiormente utiliz-zato nel passato. È oggi chiaro che le catecolamine sono metabolizzate dalle cellule cromaffini in metanefrine (metanefrina e normetanefrina) e questo accelerato me-tabolismo intratumorale è indipendente dal rilascio di catecolamine che può avvenire in modo intermittente e in modesta quantità. Per questa ragione alcuni studi hanno evidenziato una maggiore sensibilità e specificità del dosaggio delle metanefrine circolanti o urinarie ri-spetto alle catecolamine. Il dosaggio delle metanefrine rappresenta oggi il test di riferimento per la diagnostica biochimica dei feocromocitomi/paragangliomi, con una sensibilità compresa tra 96% e 100% (Pacak et al., 2007). Un marcatore aspecifico di fenotipo neuroendocrino come la cromogranina A circolante può essere altresì impiegato, anche se non è chiaro il vantaggio che la mi-surazione di questo indicatore possa avere rispetto alla sola valutazione delle metanefrine (Plouin, 2008). In una recente pubblicazione i livelli sierici e urinari di metossi-tiramina hanno dimostrato di ottenere informazioni utili per la discriminazione di forme benigne da forme maligne (Esenhofer et al., 2012). Tale marcatore, tuttavia, non è disponibile se non in pochi centri.

Accanto alle indagini biochimiche, le tecniche di imaging sono indispensabili per localizzare la neoplasia, valutarne l’estensione e i rapporti con le strutture limitrofe, discri-

minare le forme surrenaliche da quelle extrasurrenaliche, valutare l’eventuale presenza di lesioni secondarie e in ul-tima analisi valutare se la malattia è resecabile oppure no.

Per quanto riguarda gli esami strumentali sia la TC (Fig. 17.10) sia la RM forniscono la stessa accuratezza diagnostica in termini di sensibilità e specificità. La RM, tuttavia, è preferibile secondo alcuni Autori in quanto il mezzo di contrasto utilizzato per la TC induce il rilascio di catecolamine; inoltre il feocromocitoma presenta alla riso-nanza con gadolinio una patognomonica iperintesità nelle sequenze T2 pesate (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012).

Le tecniche di medicina nucleare sono altresì importanti nella diagnostica dei feocromocitomi/paragangliomi. Esse si avvalgono della scintigrafia con meta-iodio-benzilguani-dina (MIBG) o con octreotide. Informazioni più accurate della scintigrafia con octreotide sono fornite dalla PET con gallio DOTANOC che quando disponibile va preferita alla scintigrafia (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012). Queste metodiche possono essere utili nella stadiazione della malattia, ma sono particolarmente importanti nella predizione della risposta alla radioterapia metabolica. Ai fini strettamente diagnostici e di valutazione dell’esten-sione di malattia la PET con fluorodesossiglucosio si è dimostrata superiore alle metodiche precedenti in termini di sensibilità ed è quindi la metodica di medicina nucleare di elezione soprattutto per le forme più aggressive come quelle extrasurrenaliche e portatrici di mutazione a carico di SDHB (Timmers et al., 2007).

STADIAZIONE E FATTORI PROGNOSTICINon esiste una suddivisione in stadi con valore progno-stico per i feocromocitomi maligni (Berruti et al., 2012). Queste neoplasie hanno invasività locale e agli organi vicini e tipicamente metastatizzano a livello linfonoda-le, osso, fegato e polmone. La stadiazione deve quindi tenere conto dell’evoluzione naturale di queste malattie. Al contrario delle altre neoplasie neuroendocrine non esistono forme scarsamente differenziate. La prognosi dei

FIG. 17.10 immagine tC di feocromocitoma surrenale sinistro.

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688 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

feocromocitomi/paragangliomi dipende dalle dimensioni del tumore primitivo, la primitività extrasurrenalica, la mutazione di SDHB. La sopravvivenza globale a 5 anni dei pazienti affetti da forme maligne varia dal 34% al 60%. L’evoluzione di queste malattie è estremamente eteroge-nea, alcuni pazienti hanno una prognosi infausta a breve termine, altri presentano un decorso di malattia indolente. Una quota significativa di pazienti muore in conseguenza di complicanze legate all’eccesso ormonale (complicanze cardiovascolari legate all’aumento della pressione arteriosa, stipsi) (Berruti et al., 2012).

TERAPIATRATTAMENTO DELLA MALATTIA LOCALIZZATAChirurgiaLa chirurgia è il trattamento di elezione per feocromo-citomi e paragangliomi. La chirurgia laparoscopica, se fattibile, è il trattamento di scelta nei feocromocitomi, ma va eseguita in centri con elevata esperienza per questo tipo di chirurgia e che effettuino più di 10 adrenalectomie ogni anno (Berruti et al., 2012). Non vi sono dati se la concomitante linfoadenectomia abbia in queste forme un significato prognostico o meno. Alcune casistiche hanno mostrato la fattibilità di una adrenalectomia selettiva della componente midollare con risparmio della corticale (Walz, 2004). Tale intervento appare vantaggioso in pazienti con feocromocitoma benigno familiare che richiede la surre-nectomia bilaterale allo scopo di evitare la supplementa-zione steroidea permanente. Non è però proponibile in pazienti con sospetto feocromocitoma maligno in consi-derazione del rischio di malattia residua.

La chirurgia citoriduttiva (con residuo macroscopico, R2) può migliorare la qualità di vita riducendo il volume tumo-rale e controllando la secrezione ormonale e può avere indi-cazione in casi inoperabili selezionati (Berruti et al., 2012).

I livelli elevati di catecolamine insieme con l’ipertensione arteriosa possono aumentare il rischio di complicanze pe-rioperatorie, la più frequente delle quali è la tachiaritmia (Mannelli, 2006). Nei soggetti esposti per lungo tempo a livelli elevati di catecolamine può coesistere una cardio-miopatia. In soggetti coronaropatici il vasospasmo indotto dai livelli elevati di catecolamine può favorire l’insorgenza di infarto del miocardio. Per queste ragioni pazienti con feocromocitoma/paraganglioma devono essere sottoposti a un’accurata visita cardiologica, indipendentemente dai valori pressori, prima di programmare la chirurgia. Du-rante l’intervento chirurgico possono verificarsi picchi di secrezione di catecolamine a seguito della manipolazione tumorale provocando crisi ipertensive talora severe e arit-mie. Queste complicanze possono essere letali. Per questa ragione si raccomanda a tutti pazienti con feocromocito-ma e paraganglioma secernente una premedicazione con farmaci antipertensivi della durata di almeno 10-14 giorni prima dell’intervento chirurgico (Tab. 17.15). Tale tratta-mento ha lo scopo di mantenere i livelli pressori al di sotto di 130/80 mmHg in clinostatismo preservando comunque una pressione sistolica superiore a 90 mmHg in ortostati-smo (Berruti et al., 2012; Mannelli, 2006). I farmaci anti-

pertensivi di elezione sono gli antagonisti non competitivi dei recettori a-adrenergici, di cui la fenossibenzamina è frequentemente utilizzata. La dose standard somministrata è 10 mg 2 volte/die con aggiustamento posologico ogni 2-4 giorni. Alternativamente può essere impiegata la do-xazosina, un inibitore selettivo e competitivo del recettore a1-adrenergico, che ha minori effetti collaterali. In caso di mancato raggiungimento dei livelli pressori adeguati, calcioantagonisti (come nifedipina a lento rilascio) pos-sono essere associati. L’utilizzo di b-bloccanti è consentito e appare indicato nel trattamento delle tachiaritmie. I b-bloccanti, tuttavia, non devono essere mai iniziati prima degli inibitori a-adrenergici, in quanto possono dare luogo a crisi ipertensive in questi pazienti. Il controllo pressorio ottenuto con i farmaci antipertensivi non si esplica attraver-so una riduzione del rilascio di catecolamine bensì a una vasodilatazione ottenuta attraverso l’inibizione del flusso di calcio intracellulare della muscolatura liscia vascolare indotto dalla noradrenalina. Per tale ragione è raccoman-data la somministrazione di liquidi per os e/o infusione endovenosa di soluzioni saline in fase preoperatoria allo scopo di prevenire le crisi ipotensive nel decorso postope-ratorio (si veda Tab. 17.15). Nel postoperatorio è altresì raccomandabile la valutazione del profilo glicemico in quanto la caduta dei livelli di catecolamine può esporre i pazienti a un rischio di ipoglicemia.

A oggi non vi sono dati di efficacia di un trattamento an-tineoplastico postoperatorio adiuvante in pazienti con feocromocitoma/paraganglioma maligno.

TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATANessun trattamento sistemico è in grado di portare a gua-rigione i pazienti con feocromocitoma/paraganglioma metastatico giudicati inoperabili. La strategia terapeutica mira quindi al controllo della secrezione di catecolamine e i sintomi correlati (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012). Le scelte terapeutiche, quindi, prevedono vari atteggiamen-ti che vanno dalla vigile attesa, a trattamenti locoregionali, a trattamenti chemioterapici sistemici e a terapie radio-recettoriali (Fig. 17.11). L’approccio ottimale deve essere deciso su base individuale da un’equipe multidisciplinare con esperienza nella gestione di questi pazienti. In assenza di una dimostrazione di efficacia dei trattamenti disponi-bili da studi prospettici randomizzati, la qualità di vita dei pazienti deve essere sempre considerata come obiettivo primario. Una quota di pazienti affetti da feocromocito-ma/paraganglioma ha malattia indolente, pertanto una strategia di stretta sorveglianza potrebbe essere proposta a pazienti con malattia asintomatica e volume tumorale limitato. In questi pazienti un trattamento attivo potrebbe essere procrastinato all’insorgenza di sintomi o in caso di progressione rapida di malattia. In assenza di chiari segni di rapida progressione una chirurgia citoriduttiva con asportazione del tumore primitivo e di alcune sedi metastatiche può ridurre la secrezione ormonale, prevenire le complicanze legate alla progressione locale e migliorare l’efficacia di trattamenti successivi. Il trattamento della malattia metastatica può anche prevedere l’impiego di trattamenti locoregionali come la chemioembolizzazione e la radiofrequenza (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012).

Per quanto riguarda i trattamenti sistemici, la terapia ra-diometabolico ha ripetute dimostrazioni di attività e il trattamento con 131I-MIBG, con dosaggio variabile (5,5-38 GBq), è il più frequentemente utilizzato. I pazienti candi-dati a essere sottoposti a trattamento con MIBG vengono selezionati sulla base della captazione alla scintigrafia con MIBG basale, e approssimativamente il 50% dei pazienti è eleggibile. L’attività del trattamento radiometabolico con 131I-MIBG è stata evidenziata in alcuni studi, per la maggior parte retrospettivi e uno prospettico (Gonias et al., 2009). Questi studi hanno riportato un tasso di remissioni obiettive nel 22-47% dei casi, perlopiù in lesioni dei tes-suti molli (Berruti et al., 2012). Alcuni pazienti inseriti in questi studi hanno riportato sopravvivenze molto lunghe

Preparazione preoperatoria (da iniziarsi almeno 10-14 giorni prima dell’intervento)

Quali pazienti Obiettivo Farmaci

tutti i pazienti pressione arteriosa <130/80 mmHg in clinostatismopressione sistolica >90 mmHg in ortostatismo

a-antagonisti : • fenossibenzamina 40-100 mg/die • doxazosina 12-36 mg/die

pazienti con persistente ipertensione nonostante il trattamento con a-antagonisti

pressione arteriosa <130/80 mmHg in clinostatismopressione sistolica >90 mmHg in ortostatismo

• Calcio-antagonisti (per esempio, nifedipina a lento rilascio 30-90 mg/die)

• metirosina 250-1.000 mg/die

tutti i pazienti prevenzione dell’ipotensione ortostatica assunzione libera di liquidi e sale

pazienti con tachiaritmia b-bloccanti*, per esempio: • metoprololo • propanololo

Trattamento medico preoperatorio

Quali pazienti Obiettivo Farmaci

tutti i pazienti prevenzione ipotensione ortostatica libera assunzione di liquidi e sale, infusioni idrosaline endovenose

pazienti con ipertensione pressione sistolica <160 mmHg • mgSo4 • a-antagonisti (per esempio, fentolamina) • Calcio-antagonisti (per esempio, nicardipina) • Nitroprussiato o nitroglicerina ev in casi gravi

tachicardia Frequenza cardiaca <100 bpm • mgSo4 • amiodarone • lidocaina

ipotensione arteriosa pressione arteriosa media >60 mmHg • Fluidi/colloidi • Fenilefrina • Noradrenalina

Trattamento medico postoperatorio

Quali pazienti Obiettivo Farmaci

pazienti con ipotensione arteriosa pressione arteriosa media >60 mmHg • Fluidi/colloidi • Fenilefrina • Noradrenalina

pazienti con ipertensione arteriosa pressione arteriosa sistolica <160 mmHg • a-antagonisti (per esempio, fentolamina) • Calcio-antagonisti (per esempio, nicardipina) • Nitroprussiato o nitroglicerina (nei casi gravi)

ipoglicemia Glicemia >3,5 mmol/l (60 mg/dl) • infusione di glucosio endovena

*l’uso di farmaci b-bloccanti deve sempre essere preceduto da farmaci a-bloccanti.

TAbELLA 17.15 terapia medica del paziente con feocromocitoma in fase preoperatoria, durante l’intervento chirurgico e nel postoperatorio

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Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine 689

pertensivi di elezione sono gli antagonisti non competitivi dei recettori a-adrenergici, di cui la fenossibenzamina è frequentemente utilizzata. La dose standard somministrata è 10 mg 2 volte/die con aggiustamento posologico ogni 2-4 giorni. Alternativamente può essere impiegata la do-xazosina, un inibitore selettivo e competitivo del recettore a1-adrenergico, che ha minori effetti collaterali. In caso di mancato raggiungimento dei livelli pressori adeguati, calcioantagonisti (come nifedipina a lento rilascio) pos-sono essere associati. L’utilizzo di b-bloccanti è consentito e appare indicato nel trattamento delle tachiaritmie. I b-bloccanti, tuttavia, non devono essere mai iniziati prima degli inibitori a-adrenergici, in quanto possono dare luogo a crisi ipertensive in questi pazienti. Il controllo pressorio ottenuto con i farmaci antipertensivi non si esplica attraver-so una riduzione del rilascio di catecolamine bensì a una vasodilatazione ottenuta attraverso l’inibizione del flusso di calcio intracellulare della muscolatura liscia vascolare indotto dalla noradrenalina. Per tale ragione è raccoman-data la somministrazione di liquidi per os e/o infusione endovenosa di soluzioni saline in fase preoperatoria allo scopo di prevenire le crisi ipotensive nel decorso postope-ratorio (si veda Tab. 17.15). Nel postoperatorio è altresì raccomandabile la valutazione del profilo glicemico in quanto la caduta dei livelli di catecolamine può esporre i pazienti a un rischio di ipoglicemia.

A oggi non vi sono dati di efficacia di un trattamento an-tineoplastico postoperatorio adiuvante in pazienti con feocromocitoma/paraganglioma maligno.

TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATANessun trattamento sistemico è in grado di portare a gua-rigione i pazienti con feocromocitoma/paraganglioma metastatico giudicati inoperabili. La strategia terapeutica mira quindi al controllo della secrezione di catecolamine e i sintomi correlati (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012). Le scelte terapeutiche, quindi, prevedono vari atteggiamen-ti che vanno dalla vigile attesa, a trattamenti locoregionali, a trattamenti chemioterapici sistemici e a terapie radio-recettoriali (Fig. 17.11). L’approccio ottimale deve essere deciso su base individuale da un’equipe multidisciplinare con esperienza nella gestione di questi pazienti. In assenza di una dimostrazione di efficacia dei trattamenti disponi-bili da studi prospettici randomizzati, la qualità di vita dei pazienti deve essere sempre considerata come obiettivo primario. Una quota di pazienti affetti da feocromocito-ma/paraganglioma ha malattia indolente, pertanto una strategia di stretta sorveglianza potrebbe essere proposta a pazienti con malattia asintomatica e volume tumorale limitato. In questi pazienti un trattamento attivo potrebbe essere procrastinato all’insorgenza di sintomi o in caso di progressione rapida di malattia. In assenza di chiari segni di rapida progressione una chirurgia citoriduttiva con asportazione del tumore primitivo e di alcune sedi metastatiche può ridurre la secrezione ormonale, prevenire le complicanze legate alla progressione locale e migliorare l’efficacia di trattamenti successivi. Il trattamento della malattia metastatica può anche prevedere l’impiego di trattamenti locoregionali come la chemioembolizzazione e la radiofrequenza (Pacak et al., 2007; Berruti et al., 2012).

Per quanto riguarda i trattamenti sistemici, la terapia ra-diometabolico ha ripetute dimostrazioni di attività e il trattamento con 131I-MIBG, con dosaggio variabile (5,5-38 GBq), è il più frequentemente utilizzato. I pazienti candi-dati a essere sottoposti a trattamento con MIBG vengono selezionati sulla base della captazione alla scintigrafia con MIBG basale, e approssimativamente il 50% dei pazienti è eleggibile. L’attività del trattamento radiometabolico con 131I-MIBG è stata evidenziata in alcuni studi, per la maggior parte retrospettivi e uno prospettico (Gonias et al., 2009). Questi studi hanno riportato un tasso di remissioni obiettive nel 22-47% dei casi, perlopiù in lesioni dei tes-suti molli (Berruti et al., 2012). Alcuni pazienti inseriti in questi studi hanno riportato sopravvivenze molto lunghe

con tale trattamento. Occorre tuttavia sottolineare come la progressione di malattia non rientrava fra i criteri di inclusione e quindi in assenza di randomizzazione questi risultati potrebbero essere imputabili a un decorso indo-lente della malattia piuttosto che al trattamento instaurato. Il trattamento con 131I-MIBG è gravato da tossicità variabili a seconda delle dosi somministrate. Un grado di tossicità 3-4 è riportato nel 16-83% dei pazienti trattati. Il tratta-mento con 131I-MIBG è oggi considerato di prima scelta nei pazienti con feocromocitoma/paraganglioma, tuttavia altri traccianti utilizzanti analoghi marcati della somatostatina come [DOTA-Tyr(3)]-octreotide (DOTATOC) possono essere alternativamente utilizzati. Nei casi in cui la terapia radiorecettoriale non sia indicata sulla base di una scarsa

Preparazione preoperatoria (da iniziarsi almeno 10-14 giorni prima dell’intervento)

Quali pazienti Obiettivo Farmaci

tutti i pazienti pressione arteriosa <130/80 mmHg in clinostatismopressione sistolica >90 mmHg in ortostatismo

a-antagonisti : • fenossibenzamina 40-100 mg/die • doxazosina 12-36 mg/die

pazienti con persistente ipertensione nonostante il trattamento con a-antagonisti

pressione arteriosa <130/80 mmHg in clinostatismopressione sistolica >90 mmHg in ortostatismo

• Calcio-antagonisti (per esempio, nifedipina a lento rilascio 30-90 mg/die)

• metirosina 250-1.000 mg/die

tutti i pazienti prevenzione dell’ipotensione ortostatica assunzione libera di liquidi e sale

pazienti con tachiaritmia b-bloccanti*, per esempio: • metoprololo • propanololo

Trattamento medico preoperatorio

Quali pazienti Obiettivo Farmaci

tutti i pazienti prevenzione ipotensione ortostatica libera assunzione di liquidi e sale, infusioni idrosaline endovenose

pazienti con ipertensione pressione sistolica <160 mmHg • mgSo4 • a-antagonisti (per esempio, fentolamina) • Calcio-antagonisti (per esempio, nicardipina) • Nitroprussiato o nitroglicerina ev in casi gravi

tachicardia Frequenza cardiaca <100 bpm • mgSo4 • amiodarone • lidocaina

ipotensione arteriosa pressione arteriosa media >60 mmHg • Fluidi/colloidi • Fenilefrina • Noradrenalina

Trattamento medico postoperatorio

Quali pazienti Obiettivo Farmaci

pazienti con ipotensione arteriosa pressione arteriosa media >60 mmHg • Fluidi/colloidi • Fenilefrina • Noradrenalina

pazienti con ipertensione arteriosa pressione arteriosa sistolica <160 mmHg • a-antagonisti (per esempio, fentolamina) • Calcio-antagonisti (per esempio, nicardipina) • Nitroprussiato o nitroglicerina (nei casi gravi)

ipoglicemia Glicemia >3,5 mmol/l (60 mg/dl) • infusione di glucosio endovena

*l’uso di farmaci b-bloccanti deve sempre essere preceduto da farmaci a-bloccanti.

TAbELLA 17.15 terapia medica del paziente con feocromocitoma in fase preoperatoria, durante l’intervento chirurgico e nel postoperatorio

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690 Capitolo 17 Neoplas ie endocr ine

captazione basale oppure in presenza di malattia ossea secondaria estesa la chemioterapia rappresenta un’utile opzione. Gli schemi chemioterapici più frequentemente utilizzati in pazienti con feocromocitoma/paraganglio-ma contengono ciclofosfamide, dacarbazina e vincristina (CVD) e/o adriamicina (CVDD o CDD) (Ayala-Ramirez et al., 2012). Nella casistica più numerosa sinora pubblicata (52 pazienti), il 40% dei pazienti trattati con questi sche-mi ha ottenuto un beneficio clinico da tali trattamenti e il 25% una remissione obiettiva. Come per altri tumori neuroendocrini anche per i pazienti affetti da feocromoci-toma/paraganglioma vi è un forte razionale per l’impiego di farmaci antiangiogenetici e alcune prime evidenze di efficacia con sunitinib sono state recentemente pubblicate (Joshua et al., 2009).

FOLLOW-UPI pazienti operati radicalmente per un feocromocitoma/paraganglioma non metastatico sono a rischio di recidiva con caratteristiche di malignità e necessitano pertanto di un follow-up a lungo termine basato su valutazioni clini-che e test biochimici (dosaggio plasmatico o urinario di metanefrine e normetanefrine, dosaggio sierico o plasmati-co di cromogranina A e metossi-tiramina). L’effettuazione di un attento follow-up è particolarmente importante per i pazienti con malattia extrasurrenalica, dimensioni >5 cm e mutazione a livello di SDHB. I test biochimici devono essere eseguiti 14 giorni dopo l’intervento chirurgico allo scopo di testare l’eventuale presenza di malattia residua e successivamente ogni 3-4 mesi per 2-3 anni. In seguito, visita clinica e test biochimici potrebbero essere eseguiti ogni 6 mesi. I pazienti con riscontro di pressione arteriosa elevata, sindromi adrenergiche o dolore e/o test biochimici al di sopra dei range di normalità dovrebbero effettuare esami di imaging (TC e FDG-PET, nella maggior parte dei casi). In caso di pazienti con diagnosi sicura di feocromo-citoma/paraganglioma maligno, presenza di mutazione di SDHB, malattia extrasurrenalica, e nei rari casi di diagnosi di feocromocitoma/paraganglioma in assenza di positività ai test biochimici, le indagini di imaging dovrebbero essere eseguite ogni 6 mesi durante il primo anno e ogni 12 mesi negli anni successivi indipendentemente dalla negatività dei test biochimici. In questi pazienti il follow-up dovrebbe durare tutta la vita.

bIbLIOGRAFIAAyala-Ramirez M, Feng L, Habra MA et al. Clinical benefits of systemic chemothe-

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ChirurgiaControllodella secrezione ormonale

Resecabile Non resecabile/metastatico

Follow-up Ridotto volume tumorale,non in progressione

Esteso volume tumorale,malattia in progressione

Sorveglianza Chirurgia Radiofrequenze,chemioembolizzazione

131MIBGPRRT

Chemioterapia(es., CVD)FIG. 17.11 algoritmo terapeutico

dei pazienti con feocromocitoma maligno.