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CAPITOLO PRIMO ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Origine della previdenza sociale. – 3. La previdenza so- ciale nel periodo precorporativo e corporativo. – 4. L’idea della sicurezza sociale a partire dal secondo dopoguerra. – 5. L’evoluzione della previdenza sociale nelle disposizioni della Costituzione. – 6. L’evoluzione della previdenza sociale nella legislazione ordinaria. – 7. L’apporto della giurisprudenza costituzionale. – 8. Il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni. – 9. Il Servizio sanitario na- zionale. – 10. Sicurezza sociale e funzioni sociali dello Stato. – 11. Sicurezza, pre- videnza e assistenza sociale. – 12. Il Sistema integrato di interventi e servizi socia- li. – 13. Assicurazioni sociali e assicurazioni private. – 14. Le esigenze di raziona- lizzazione del sistema della previdenza sociale. – 15. La razionalizzazione del si- stema pensionistico. – 16. L’influenza delle fonti sovranazionali sull’evoluzione del sistema. 1. Premessa. È noto come la tutela previdenziale, ispirata, com’è, ai princìpi della Costituzione repubblicana, rappresenti, oramai, un elemento costitutivo del nostro ordinamento sociale. Tuttavia, deve essere avvertito, fin dall’inizio, come la materia della pre- videnza sociale e le stesse fonti che la regolano si caratterizzino per una es- senziale ambiguità che, a volte, ha conseguenze pratiche notevoli nonché riflessi sulla configurazione teorica del nostro sistema previdenziale. Le ragioni di quella ambiguità derivano da ciò che gli obiettivi rea- lizzati dalla tutela previdenziale non sono mai costanti, ma sono stati, e continuano ad essere, a volte, ricondotti alla realizzazione di interessi pubblici generali e, a volte, a solidarietà particolari, se non, addirittura, posti, a ben vedere, a carico degli stessi soggetti protetti. A ciò si ag- giunga che tutte le forme di tutela, nelle quali si articola il nostro siste- ma previdenziale, sono state istituite subito prima e durante l’ordi- namento corporativo e che, al momento della loro istituzione, e per ef- fetto delle concezioni che caratterizzavano quell’ordinamento, tali for- me costituivano espressione di una solidarietà limitata ai datori di lavo- ro e ai lavoratori (cfr. n. 3). Ambiguità della materia previdenziale

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CAPITOLO PRIMO

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Origine della previdenza sociale. – 3. La previdenza so-ciale nel periodo precorporativo e corporativo. – 4. L’idea della sicurezza sociale a partire dal secondo dopoguerra. – 5. L’evoluzione della previdenza sociale nelle disposizioni della Costituzione. – 6. L’evoluzione della previdenza sociale nella legislazione ordinaria. – 7. L’apporto della giurisprudenza costituzionale. – 8. Il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni. – 9. Il Servizio sanitario na-zionale. – 10. Sicurezza sociale e funzioni sociali dello Stato. – 11. Sicurezza, pre-videnza e assistenza sociale. – 12. Il Sistema integrato di interventi e servizi socia-li. – 13. Assicurazioni sociali e assicurazioni private. – 14. Le esigenze di raziona-lizzazione del sistema della previdenza sociale. – 15. La razionalizzazione del si-stema pensionistico. – 16. L’influenza delle fonti sovranazionali sull’evoluzione del sistema.

1. Premessa.

È noto come la tutela previdenziale, ispirata, com’è, ai princìpi della Costituzione repubblicana, rappresenti, oramai, un elemento costitutivo del nostro ordinamento sociale.

Tuttavia, deve essere avvertito, fin dall’inizio, come la materia della pre-videnza sociale e le stesse fonti che la regolano si caratterizzino per una es-senziale ambiguità che, a volte, ha conseguenze pratiche notevoli nonché riflessi sulla configurazione teorica del nostro sistema previdenziale.

Le ragioni di quella ambiguità derivano da ciò che gli obiettivi rea-lizzati dalla tutela previdenziale non sono mai costanti, ma sono stati, e continuano ad essere, a volte, ricondotti alla realizzazione di interessi pubblici generali e, a volte, a solidarietà particolari, se non, addirittura, posti, a ben vedere, a carico degli stessi soggetti protetti. A ciò si ag-giunga che tutte le forme di tutela, nelle quali si articola il nostro siste-ma previdenziale, sono state istituite subito prima e durante l’ordi-namento corporativo e che, al momento della loro istituzione, e per ef-fetto delle concezioni che caratterizzavano quell’ordinamento, tali for-me costituivano espressione di una solidarietà limitata ai datori di lavo-ro e ai lavoratori (cfr. n. 3).

Ambiguità della materia previdenziale

2 CAPITOLO PRIMO

Ciò non solo imponeva che la tutela previdenziale fosse, in sostanza, limitata ai lavoratori subordinati, ma consentiva anche che tale tutela fos-se realizzata attraverso un complesso di rapporti formalmente e sostan-zialmente analoghi, come modello, a quelli propri delle assicurazioni pri-vate. Si riteneva, infatti, che tra contributi e prestazioni previdenziali in-tercorresse una relazione di corrispettività (cfr. n. 18) e ciò perché l’am-montare delle prestazioni era, anche se non sempre direttamente, rigoro-samente proporzionato ai contributi versati, mentre il mancato versamen-to di questi ultimi escludeva, quasi sempre, il diritto alle prestazioni (cfr. n. 20).

Nell’ottica di una solidarietà limitata a datori e prestatori di lavoro non era, però, avvertita l’esigenza di garantire l’effettività della tutela previdenziale, prescindendo dal gettito contributivo.

Per contro, la Costituzione repubblicana, profondamente innovando rispetto alle concezioni che erano state accolte durante l’ordinamento cor-porativo, considera la tutela previdenziale come espressione di una soli-darietà estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla sod-disfazione di un interesse di tutta la collettività (cfr. n. 4 e n. 5).

Secondo i princìpi costituzionali, il titolo per avere diritto alle presta-zioni previdenziali risiede soltanto nell’essere cittadini e i livelli di quelle prestazioni, in quanto destinate ad assicurare ai cittadini che siano, o sia-no stati, anche lavoratori, «mezzi adeguati alle esigenze di vita», debbono essere determinati soltanto in funzione delle scelte politiche che ispirano il legislatore nella valutazione e nella individuazione delle esigenze di li-berazione dal bisogno alle quali occorre dare soddisfazione.

L’ambiguità di cui è stato detto all’inizio deriva, dunque, anche dal contrasto tra le concezioni che, durante l’ordinamento corporativo, pre-siedettero all’istituzione del nostro sistema previdenziale e quelle che, per essere state accolte nella Costituzione, si deve ritenere attualmente lo ispirino.

Quell’ambiguità, però, deriva anche da ciò che, dopo l’entrata in vigo-re della Costituzione, è mancato un disegno per una riforma organica, sia pure da attuare gradualmente, mentre la più recente legislazione risulta sempre più intensamente ispirata ai princìpi costituzionali, ma soltanto per alcuni aspetti, ancorché significativi.

L’ambiguità, appena riferita, ha finito soprattutto per determinare, specialmente nelle gestioni previdenziali che si caratterizzano per l’ero-gazione di trattamenti pensionistici e per il Servizio sanitario nazionale, un’alterazione del rapporto tra gettito contributivo e onere della presta-zione, alterazione dalla quale è derivata la grave crisi finanziaria che, da tempo, affligge il sistema (cfr. n. 6 e n. 14) alla quale, di recente, è stato posto rimedio con una, oramai inevitabile, riduzione dei livelli di tutela (cfr. n. 14, n. 15, n. 89, n. 94, n. 95, n. 96, n. 99).

L’ambiguità ora rilevata, pur incidendo sulla comprensione dell’attuale sistema previdenziale, non è di per sé, ed almeno per certi aspetti, insupe-

Assicurazioni private

Princìpi costituzionali

Mancanza di una riforma

organica

Crisi finanziaria

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rabile. Da un lato, le leggi più recenti, ispirate, nonostante le incertezze de-nunciate, ai princìpi costituzionali, una volta inserite nell’ordinamento giu-ridico preesistente, ne impongono la riconsiderazione in una prospettiva diversa da quella originaria. Dall’altro, tutte le volte che si verifichi un’al-ternativa di soluzioni, sia per la ricostruzione teorica del sistema previden-ziale, sia per il superamento dei nodi interpretativi posti da singole disposi-zioni, la prevalenza spetta, senza alcun dubbio, alla soluzione conforme ai princìpi costituzionali, posto che questi forniscono anche criteri vincolanti per l’interpretazione della legislazione vigente.

Senonché, un limite esiste comunque e deve essere individuato non tanto e non solo nell’impossibilità di superare l’enunciato legislativo (art. 12, disp. prel., c.c.), ma soprattutto nella stessa diversità di significati e di rilevanza che la giurisprudenza, compresa quella costituzionale, attribui-sce ai princìpi accolti dalla Costituzione dei quali, a volte, non è stata av-vertita a pieno la portata innovativa.

Le considerazioni ora svolte fanno avvertire, nel loro complesso, quanto sia ancora sentita l’esigenza, soddisfatta recentemente soltanto in parte (cfr. n. 14 e n. 15), di una “razionalizzazione” del nostro sistema previ-denziale.

Al tempo stesso, quelle considerazioni rendono edotti di come, qui più che altrove, qualsiasi soluzione adottata in ordine ai problemi posti dalla materia corrisponda, in realtà, ad una scelta politica.

La situazione ora descritta rende altresì avvertiti di come, per la com-prensione e lo studio del sistema della previdenza sociale, sia indispensa-bile almeno un accenno a quella che è stata l’evoluzione storica dei prin-cìpi che lo ispirano.

2. Origine della previdenza sociale.

Le trasformazioni economiche e sociali determinate dalla rivoluzione industriale posero in piena evidenza, tra l’altro, anche il problema di quanti, e sempre più numerosi, si venivano a trovare in condizioni di bi-sogno.

Ciò soprattutto perché le nuove strutture economiche e sociali deter-minate dall’industrializzazione, dal fenomeno dell’inurbamento e dai bassi livelli salariali resero difficile, se non addirittura impossibile, continuare a far ricorso alla tradizionale solidarietà familiare e, al tempo stesso, resero inadeguati gli interventi della beneficenza pubblica e privata. Si aggiunga che l’abolizione delle corporazioni aveva eliminato, anche nei riguardi di chi esercitava i mestieri tradizionali, ogni forma di solidarietà professionale.

In questa situazione, l’esigenza di realizzare una tutela dei lavoratori subordinati che si venivano a trovare in condizione di bisogno per il veri-ficarsi di eventi che ne menomavano la capacità lavorativa, fu ben presto avvertita con intensità maggiore di quella di provvedere a favore di tutti i

Razionalizzazione del sistema previdenziale

Rivoluzione industriale

4 CAPITOLO PRIMO

cittadini, sia per il sorgere e il progressivo svilupparsi di una coscienza di classe, sia per la preoccupazione di diminuire la tensione sociale deter-minata dai nuovi rapporti di produzione.

Il liberalismo ottocentesco, allora dominante, ligio al principio della uguaglianza giuridica formale, tuttavia, considerò, a lungo, con intransi-genza i problemi sociali del lavoro.

Non che questi non fossero avvertiti, ma si riteneva che alla loro solu-zione dovessero provvedere gli stessi lavoratori, mettendosi in grado di far fronte, con il risparmio, ai loro bisogni futuri. Il ricorso alla benefi-cenza pubblica e privata dapprima, e poi all’assistenza pubblica o sociale (cfr. n. 11), veniva considerato una soluzione ultima, in ogni caso even-tuale ed occasionale, e destinata, comunque, più a garantire la conserva-zione dell’ordine pubblico che a realizzare la tutela di chi si trovava in condizioni di bisogno.

È accaduto, così, che la prima manifestazione di quella che poi sarà la previdenza sociale fu determinata dalla spontanea iniziativa dei lavoratori interessati. Le società di mutuo soccorso, associazioni volontarie di lavo-ratori, realizzarono la solidarietà tra gli associati provvedendo, con i loro contributi, ad erogare prestazioni a quanti si fossero trovati in condizioni di bisogno a causa di malattia o, a volte, di infortunio o di invalidità, nonché una pensione agli associati che avessero raggiunto un’età che li rendeva inabili ad un lavoro proficuo o un’erogazione una tantum ai fa-miliari degli associati defunti.

Lo schema è, in sostanza, quello dell’assicurazione, anche se nelle mu-tue, com’è noto, v’è l’eliminazione dell’intermediario-assicuratore. Gli associati, in vista del rischio al quale tutti sono esposti, e con lo scopo di eliminare o quanto meno di ridurre determinate situazioni di bisogno, si impegnavano a ripartire tra loro le conseguenze economiche dannose de-rivanti dal verificarsi dell’evento temuto che avrebbe colpito uno di essi, erogando prestazioni finanziate con i contributi versati da ognuno. In tal modo, ciascuno dei soggetti esposti al rischio ne sopportava le conse-guenze, ma limitatamente alla sua quota.

Senonché le mutue di soccorso si rivelarono solo parzialmente idonee a risolvere il problema dell’incerto domani di chi vive del proprio lavoro. Alle mutue si potevano iscrivere soltanto i lavoratori meglio retribuiti, per i quali era possibile sostenere l’onere economico della contribuzione, mentre i difetti insiti nel sistema, gli abusi cui diedero luogo, il fenomeno dell’invecchiamento degli associati e la tendenza dei giovani a costituire nuove mutue, uniti alle difficoltà economiche in cui le mutue si trovarono per il ristretto ambito della mutualità che in esse si realizzava, furono tutti fattori che finirono per determinarne l’inevitabile progressiva decadenza.

L’esperienza mutualistica rappresenta, però, una delle prime manife-stazioni dell’associazionismo operaio: la loro costituzione può essere messa in relazione a quella del sindacato ed anzi, a volte, l’ha preceduta e favorita. È questa anche la ragione per cui il fascismo, sebbene non man-

Liberismo ottocentesco

Società di mutuo

soccorso

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 5

cherà di utilizzare lo schema delle mutue a suoi fini e nella logica del cor-porativismo (cfr. n. 3), ne affrettò la decadenza.

L’atteggiamento dello Stato, che si era limitato a favorire la mutualità volontaria (cfr. l. n. 3818/1886), cominciò a modificarsi solo quando l’at-tenzione dei politici e dell’opinione pubblica fu richiamata dal grave problema degli infortuni sul lavoro, sempre più frequenti con l’inten-sificarsi dell’industrializzazione.

La l. n. 80/1898 rese obbligatoria, per i datori di lavoro, l’assicura-zione contro gli infortuni sul lavoro (cfr. n. 56 e segg.) e si è soliti ritenere che essa segni, così, la nascita della previdenza sociale italiana. In realtà, questa legge si limitò a rendere obbligatoria una assicurazione privata per la responsabilità civile del datore di lavoro che, peraltro, conservava inte-gralmente la sua struttura contrattuale.

Tuttavia, quell’assicurazione assumeva una dimensione sociale per il fatto che la tutela non era, già allora, limitata agli infortuni determinati da colpa del datore di lavoro, ma era estesa anche agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore o, addirittura, da colpa non grave del la-voratore. Pertanto, già per questo, quell’assicurazione si discostava, al-meno in parte, dal tradizionale schema assicurativo della responsabilità per danni.

Siffatta peculiarità venne giustificata con il ricorso al concetto del ri-schio professionale e, cioè, ritenendo che il datore di lavoro, così come si avvantaggia del lavoro altrui, debba anche sostenere i rischi che il lavora-tore incontra nello svolgimento della sua attività (cfr. n. 53).

Comunque, questo fu il primo intervento statale a tutela di chi, viven-do del proprio lavoro, si viene a trovare in condizioni di bisogno.

Nello stesso periodo, con l’istituzione della Cassa nazionale di previ-denza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai (l. n. 350/1898), vennero poste le premesse di una più ampia solidarietà tra i lavoratori, che poi di-verrà anch’essa obbligatoria, sia pure in un primo tempo limitatamente ai lavoratori che percepivano retribuzioni di livello modesto, ed al finan-ziamento della quale presto saranno chiamati a partecipare anche i datori di lavoro (d.lgs. n. 603/1919) (cfr. n. 82).

Per la comprensione dei mutamenti determinati dalla rivoluzione industriale, si vedano: ASHTON, La rivoluzione industriale, 2ª ed., Bari, 1969; DOBB, Problemi di storia del capitali-smo, 2ª ed., Roma 1970; MARX, Il capitale, Roma, 1964, I, spec. cap. 23 e 24. Più specificamen-te per quanto attiene all’Italia, si vedano: MORRANDINI, Storia della grande industria in Italia, Torino, 1956 e MANACORDA, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi (1853-1892), 2ª ed., Roma, 1963; CASTONOVO, L’industria italiana dall’ottocento ad oggi, Verona, 1982; ALBER, Dalla carità allo stato sociale, Milano, 1987.

Per la storia della previdenza sociale, vedi: HERNANDEZ, Profili storici, in Comitato di stu-dio per la sicurezza sociale, Per un sistema di sicurezza sociale in Italia, Bologna, 1965, p. 11; ID., Lezioni di storia della previdenza sociale, Padova, 1972; CHERUBINI, Storia della previdenza sociale, Roma, 1977; VITOLO, Princìpi regolatori dell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (1898-1947), Milano, 1983; CHERUBINI, COLUCCIA, La previdenza sociale nell’epoca giolittiana, Roma, 1986. Più in particolare, per l’individuazione del momento in cui nasce il

Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro

Rischio professionale

Cassa nazionale di previdenza

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concetto di previdenza sociale, si vedano anche: CURCIO, Idee e discussioni intorno alla previ-denza nel Risorgimento e dopo, in Prev. Soc., 1961, p. 1130; HÁLARIN, La notion de sécurité dans l’histoire économique et sociale, in Revue d’histoire économique et sociale, 1952, p. 17; CONTI, L’assistenza e la previdenza sociale. Storia e problemi, Milano, 1958; CIOCCA, L’evo-luzione della previdenza e dell’assistenza (dalle origini al 1948), in Riv. Inf. Mal. Prof., 1998, I, p. 449; ALES, Modelli teorici e strumenti giuridici per la tutela dei lavoratori: la nascita delle assicu-razioni sociali in Italia, ibidem, I, p. 717; AA.VV., I cento anni di sicurezza sociale in Italia (Atti del Convegno dell’Inca del 22 maggio 1998), in Ass. Soc., 1999, 1, p. 5.

Per rendersi conto della mentalità dominante in Italia intorno alla metà del secolo XIX sul-la soluzione dei problemi sociali, si vedano: A. SCIALOJA, Princìpi di economia sociale, Torino, 1840 e LUZZATTI, Previdenza liberale e previdenza legale, Milano, 1882. Per il fenomeno delle mutue, si vedano, CHERUBINI, Profilo del mutuo soccorso in Italia dalle origini al 1924, in Prev. Soc., 1961, p. 7; MIRA, Mutualità, solidarismo e previdenza nell’associazionismo operaio, dalle prime manifestazioni fino all’inizio del XX secolo, in Prev. Soc., 1961, p. 463; MANACORDA, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi (1835-1892), Roma, 1963; HERNANDEZ, Lezioni di storia della previdenza sociale, Padova, 1972.

Sull’origine e sull’evoluzione della legislazione infortunistica, si veda: MORI, Della evolu-zione della legislazione di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1950, p. 465.

3. La previdenza sociale nel periodo precorporativo e corporativo.

Da questo momento in poi l’evoluzione della previdenza sociale, favo-rita dalla continua trasformazione delle strutture economiche e delle concezioni di politica sociale, è rapida.

Si accentua, ben presto, il carattere pubblicistico della tutela previ-denziale.

Essa, nata volontaria (cfr. n. 2), diventa dapprima obbligatoria, nel senso che la sua piena attuazione, ancorché imposta dalla legge, è condi-zionata pur sempre all’adempimento degli obblighi posti a carico spe-cialmente del datore di lavoro; diviene, infine, necessaria, nel senso che opera ex lege e prescindendo del tutto da eventuali inadempimenti.

Per altro verso, la realizzazione della tutela previdenziale viene, man mano, affidata esclusivamente ad enti pubblici appositamente istituiti.

Tuttavia, l’esperienza delle mutue di soccorso e la prima legge sugli infortuni sul lavoro lasciano, per così dire, un segno indelebile.

Da un lato, lo strumento dell’assicurazione, se rappresenta l’unica scelta coerente a quella esperienza ed alla logica di quella legge, continua ad essere utilizzato anche quando l’intervento pubblico ben avrebbe po-tuto avvalersi di strumenti diversi. D’altro lato, la tutela resta essenzial-mente limitata ai lavoratori subordinati.

Trattasi, in realtà, di precise scelte politiche. Invero, se l’evoluzione al-la quale ora si è fatto cenno e, in particolare, la necessarietà della tutela previdenziale, sta ad indicare che alla realizzazione di quest’ultima corri-sponde, oramai, un interesse pubblico, la realizzazione di quella tutela continua, però, ad essere considerata un compito proprio delle categorie interessate sulle quali soltanto ricade l’onere di finanziarne l’attuazione.

Tutela previdenziale obbligatoria

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 7

Lo Stato si limita a dar vita ai nuovi istituti, a dettare con legge la di-sciplina dei rapporti, ma raramente interviene finanziariamente, e soltan-to per favorire ed incoraggiare, ove occorra, la solidarietà dei gruppi.

L’interesse dei lavoratori, che pure riceve una tutela perfetta con l’at-tribuzione di un diritto soggettivo alle prestazioni previdenziali, è pur sempre soddisfatto mediante il contemperamento e la reciproca subordi-nazione degli interessi individuali degli appartenenti alla categoria, secon-do lo schema tradizionale della mutualità (cfr. n. 2 e n. 21), o mediante la subordinazione, spesso soltanto apparente, dell’interesse dei datori di lavo-ro, ai quali anche viene imposto, oramai, una parte dell’onere contributivo.

Ed è proprio a ragione di ciò che, come avremo modo di notare, la dottrina del tempo è stata indotta a ritenere che tra l’obbligo degli istituti previdenziali di erogare le prestazioni e quello del pagamento dei contri-buti previdenziali intercorresse una relazione sinallagmatica (cfr. n. 18), riconducendo così, e non a caso, tutta la tutela previdenziale entro sche-mi privatistici.

Peraltro, la circostanza che anche i datori di lavoro fossero tenuti a versare i contributi previdenziali trovava sufficiente spiegazione nel prin-cipio del rischio professionale, al quale corrispondevano motivazioni di politica legislativa limitate, come meglio vedremo in seguito, alla logica del rapporto individuale di lavoro (cfr. n. 53).

Nonostante queste concezioni, durante il periodo corporativo, il si-stema delle assicurazioni sociali non solo venne completato con la previ-sione della tutela di nuovi rischi, ma, come poc’anzi è stato accennato, venne assumendo man mano caratteristiche che, in certo qual modo, pre-ludono alla successiva evoluzione.

Così all’originaria concezione del rischio professionale che ispirò e giustificò i primi interventi legislativi, si venne affiancando una concezio-ne più ampia: quella della solidarietà corporativa tra datori e prestatori di lavoro ispirata alla realizzazione dell’interesse pubblico della economia nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto sociale.

Concezione più ampia si diceva, ma ciò nel solo senso che essa con-sentì l’estensione o il completamento della tutela previdenziale, esten-dendola anche a rischi che non sono connessi allo svolgimento di un’at-tività lavorativa, come l’invalidità e le malattie comuni, oppure sono ine-vitabili, come la morte.

Nulla cambia, però, in ordine alla valutazione degli interessi in gioco e, di conseguenza, in ordine all’atteggiamento dello Stato di fronte al problema della liberazione dal bisogno.

Significativa in proposito è la disposizione XXVI della Carta del La-voro: «La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collabora-zione. Il datore di lavoro e il prestatore d’opera devono concorrere propor-zionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto più è possibile, il sistema e gli istituti di previdenza».

Funzione residuale dello Stato

Concezioni privatistiche

Solidarietà corporativa

8 CAPITOLO PRIMO

Il compito di realizzare la tutela previdenziale resta, quindi, attribuito essenzialmente agli stessi interessati, mentre il fine pubblico posto a fon-damento delle assicurazioni sociali nell’ordinamento corporativo conti-nua ad avere ad oggetto il mantenimento dell’ordine pubblico, al quale si aggiunge, se mai, la sanità della razza e la potenza nazionale, ma non cer-to la liberazione dal bisogno di chi vive del proprio lavoro.

Da qui la sostanziale indifferenza del legislatore corporativo al livello ed all’effettività delle prestazioni economiche (cfr. n. 1), erogate, come si è visto, in funzione esclusiva dei contributi versati.

Per l’età giolittiana, si vedano: ZAMPETTI, La legislazione sociale in Italia dall’inizio del se-colo alla vigilia della prima guerra mondiale, in Prev. Soc. nell’agricoltura, 1959, 1960 e 1961; CHERUBINI, Note intorno alla «previdenza sociale» nell’epoca giolittiana, in Prev. Soc., 1970, p. 719; ID. Note sulle assicurazioni sociali in Italia dal 1915 al 1921, in Prev. Soc., 1971, p. 41; SCHWARZENBERG, Lo sviluppo storico delle assicurazioni sociali in Italia: dall’età umbertina all’avvento del fascismo, in Dir. Ec., 1971, p. 328; VITOLO, Princìpi regolatori dell’assicurazione per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti (1898-1947), Milano, 1983; CHERUBINI, La previ-denza sociale nell’epoca giolittiana – V – Per una interpretazione storica, in Prev. Soc., 1985, p. 827.

Per il periodo fascista, vedi: CHERUBINI, Due «lezioni» sulla storia della previdenza in Italia (dal neutralismo operaio alla corporazione fascista), in Enpas, 1966, p. 179; ID., Introduzione alla storia delle assicurazioni sociali in Italia (il ventennio fascista: 1923-1943), in Riv. Inf. Mal. Prof., 1969, p. 731; Note sulle assicurazioni sociali gestite dall’I.N.A.I.L. e dall’I.N.P.S. nel periodo 1923-1945, in Prev. Soc., 1972, p. 3; BALANDI, Corporativismo e legislazione previdenziale negli anni ’30, in Riv. Giur. Lav., 1981, III, p. 33.

4. L’idea della sicurezza sociale a partire dal secondo dopoguerra.

L’ulteriore evoluzione della previdenza sociale avviene nell’immediato secondo dopoguerra.

Essa deve essere posta in relazione con l’affermarsi dell’“idea della si-curezza sociale”. Enunciata la prima volta, almeno per quanto attiene al mondo occidentale, nel programma politico della Carta atlantica, tale idea è stata successivamente accolta in tutte le dichiarazioni politiche emanate in sede internazionale, mentre alla sua realizzazione l’Organizza-zione internazionale del lavoro si è dedicata fin dalla sua ricostituzione.

Indipendentemente da quelle che sono state le occasioni delle sue prime affermazioni, l’“idea della sicurezza sociale” esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno, in quanto questa libertà è ritenuta condizione indispensabile per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.

La libertà dal bisogno, come ogni altra, non può essere realizzata dai singoli che ne sono titolari, ma deve essere garantita da tutta la collettivi-tà organizzata nello Stato della quale, pertanto, essa costituisce un fine da perseguire mediante il ricorso ad una solidarietà che è generale in quanto coinvolge tutti i cittadini (cfr. n. 5).

Esigenze di ordine

pubblico

Idea della sicurezza

sociale

Libertà dal bisogno

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 9

Siffatta concezione si è largamente diffusa, anche a ragione della si-tuazione economica e sociale determinata dalla guerra. Essa ha influenza-to, oramai, l’ordinamento giuridico di molti paesi, alcuni dei quali hanno attuato significative riforme della loro legislazione previdenziale. Partico-lare menzione va fatta, al riguardo, della riforma inglese, soprattutto per la teorizzazione che ne fece Lord Beveridge (1948). Peraltro, va tenuto presente come l’inevitabile connessione esistente tra situazione economi-ca generale di un paese e livelli della tutela previdenziale ha determinato, a volte, revisioni dei sistemi previdenziali più avanzati.

Al tempo stesso, queste riforme, condizionate necessariamente dalle situazioni ambientali e dal diverso grado di evoluzione che era stato rag-giunto, hanno dato luogo a realizzazioni per molti aspetti differenziate.

Nella varietà dei modi di attuazione si possono, tuttavia, individuare due princìpi fondamentali che, nella tendenza uniforme e costante, ben possono rappresentare gli elementi caratteristici e determinanti dell’evo-luzione dei sistemi giuridici previdenziali in relazione all’“idea della sicu-rezza sociale”.

Tali princìpi sono: il sempre più decisivo intervento dello Stato, che oramai assume direttamente tra i suoi fini la realizzazione della tutela previdenziale e la progressiva estensione di questa a nuove situazioni di bisogno e a nuove categorie di soggetti, anche oltre l’àmbito tradizionale del lavoro subordinato.

Del resto, quest’ultimo principio corrisponde, in definitiva, alla con-statazione che, nella società contemporanea, la condizione umana ha fini-to, in sostanza, per coincidere con la condizione di chi lavora.

Fondamentale per comprendere il significato originario dell’“idea di sicurezza sociale” è comunemente ritenuto: BEVERIDGE, Social Insurance and Allied Services, London, 1942.

Peraltro va notato come, in generale e salvo qualche rara eccezione, la nostra dottrina ha mo-strato una tendenza a sminuire il rilievo dell’“idea della sicurezza sociale” e a ridurne, comunque, l’ambito di incidenza, a volte, limitandolo ai soli lavoratori subordinati, a volte, negando che l’attuazione di quell’idea postuli il necessario ricorso alla solidarietà generale. Vedi per questa ten-denza, con diversità di intenti e di argomentazioni: PROSPERETTI, Sulle nozioni di protezione sociale e di sicurezza sociale, in Riv. Giur. Lav., 1954, I, p. 295; GIANNINI, Profili costituzionali della prote-zione sociale delle categorie lavoratrici, in Riv. Giur. Lav., 1953, I, p. 1; CHIARELLI, Appunti sulla sicurezza sociale, in Riv. Dir. Lav., 1965, p. 287; ID., La sicurezza sociale, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da RIVA SANSEVERINO e MAZZONI, III, Padova, 1971, p. 3; MAZZONI, Esiste un concetto giuridico di sicurezza sociale?, in I problemi della sic. soc., 1967, p. 177; SIMI, Contributo allo studio della previdenza: previdenza sociale e previdenza privata o libera, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1972, p. 1; CINELLI, Appunti sulla nozione di previdenza sociale, in Riv. It. Dir. Lav., 1982, I, p. 156; SIMI, Il pluralismo previdenziale secondo Costituzione, Milano, 1986; BALANDI, Tutela del reddito e mer-cato del lavoro, Milano, 1984; ID., Per una definizione del diritto della sicurezza sociale, in Politica del diritto, 1984, p. 555; ID., Sicurezza sociale – Un itinerario tra le voci di una enciclopedia giuridica, ibidem, 1985, p. 315; PERSIANI, Sicurezza sociale, voce in Noviss. Dig. It., Appendice, vol. VII, 1987, p. 212; CINELLI, Problemi di diritto della previdenza sociale, Torino, 1989, p. 8. Ancora sul concetto di «sicurezza sociale», vedi i tentativi di ricostruzione sistematica di: CINELLI, Sicurezza sociale, in Enc. Dir., vol. XLII, 1990, p. 499; BIANCO, Sicurezza sociale nel diritto pubblico, in Digesto, Sez. Pubbl., 1999, vol. XIV, p. 142; BALANDI, Sicurezza sociale, in Digesto, Sez. Comm., 1996, vol. XIII, p. 419.; BORELLI, Sicurezza sociale per i lavoratori migranti, ibidem, I Aggiornamento, 2008, p. 836.

Riforma Beveridge

Intervento dello Stato

Estensione delle tutele

10 CAPITOLO PRIMO

Per l’influenza che l’“idea della sicurezza sociale” ha avuto nei vari paesi della Unione eu-ropea e per le tendenze che ne sono seguite: DUPEYROUX, L’évolution des systémes de sécurité sociales des pays membres des communautés européennes et de la Grande Bretagne, Bruxelles, 1967; ARRIGO, La nozione di sicurezza sociale nel (dormiente) trattato che adotta una costituzio-ne per l’Europa, in Prev. Ass. Pubbl. Priv., 2006, p. 411; SUPIOT, Azione normativa e lavoro de-cente. Prospettive nel campo della sicurezza sociale, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2006, p. 625.

5. L’evoluzione della previdenza sociale nelle disposizioni della Co-stituzione.

L’“idea della sicurezza sociale” è stata accolta anche dal nostro ordi-namento per effetto dell’accoglimento, nella nostra Costituzione, del principio secondo il quale è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’ugua-glianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2, Cost.).

Tale principio, che trova specificazione in numerose altre disposizioni della Carta costituzionale (artt. 4, 24, 31, 32, 38), sta a significare che la liberazione dal bisogno corrisponde ad un interesse riferibile a tutta la collettività.

Più in particolare, è previsto dall’art. 38 Cost., che: «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale».

«I lavoratori hanno diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi ade-guati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».

«Gli invalidi e i minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale».

«Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti pre-disposti o integrati dallo Stato».

«L’assistenza privata è libera». L’evoluzione del nostro sistema di previdenza sociale può dirsi segna-

ta da questa disposizione che ne costituisce il nuovo fondamento ed il cui significato può essere colto in pieno confrontandone i princìpi con quelli enunciati nella Carta del Lavoro (cfr. n. 3).

La tutela di chi, vivendo del proprio lavoro, si viene a trovare in con-dizioni di bisogno non è più considerata come un’attività graziosa dello Stato (cfr. n. 2), né resta affidata alle categorie interessate (cfr. n. 3), ma co-stituisce un’espressione necessaria della solidarietà di tutta la collettività.

A questo effetto, di importanza fondamentale è il quarto comma del-l’art. 38, il quale dispone che la realizzazione del programma previsto debba avvenire ad opera dello Stato, tenuto non solo a predisporre gli organi e gli istituti necessari ma anche ad integrarli. L’intervento dello Stato, secondo la Costituzione, non può essere, quindi, limitato alla costi-

Compito originario

dello Stato

Art. 38 Cost.

Interesse pubblico generale

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 11

tuzione degli istituti ed alla disciplina dell’organizzazione e dei rapporti, ma deve tendere all’effettiva realizzazione della tutela dei soggetti protet-ti, realizzazione che costituisce un fine fondamentale dello Stato, nel sen-so che ad essa corrisponde un interesse pubblico immediato e diretto.

La formulazione letterale del quarto comma dell’art. 38 non contrasta con questa conclusione. Che lo Stato non sia chiamato direttamente a realizzare i compiti previsti in quell’articolo non vuol dire affatto che quei compiti non siano propri e fondamentali dello Stato. Vuol dire sol-tanto che la Costituzione consente un modello organizzativo basato su strutture differenziate (cfr. n. 84), per tipi di tutela e di soggetti protetti e, eventualmente, articolato territorialmente (cfr. art. 5 Cost.).

Ma l’art. 38 della Costituzione non rivela solo il diverso atteggiamento assunto dallo Stato nei confronti della previdenza sociale. Esso indica an-che la prospettiva secondo la quale sarebbe dovuta avvenire l’ulteriore evoluzione del sistema.

Invero, dall’esame di tale disposizione, specialmente se condotto alla luce del principio più generale, espresso, come si è visto, nel secondo com-ma dell’art. 3 Cost., risulta che tutti i cittadini, in caso di bisogno, hanno diritto ai mezzi necessari per vivere. Ne consegue che resta anche mutato il fondamento dell’assistenza sociale (cfr. n. 11) e tale mutamento ha fini-to per influire sulla struttura dei rapporti giuridici attraverso i quali l’assistenza si realizza (cfr. n. 151).

Rapporti giuridici che comportano l’attribuzione di diritti soggettivi non solo a tutti i cittadini italiani ma anche ai cittadini dell’Unione euro-pea e, a determinate condizioni, agli stranieri, ai profughi e agli apolidi (l. n. 328/2000) (cfr. n. 157).

I lavoratori, inoltre, hanno diritto a che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita quando si verificano determinati eventi generatori di bisogno. L’indicazione di tali eventi, contenuta nel secondo comma dell’art. 38, non ha valore tassativo.

Essa pone, però, un vincolo al legislatore ordinario nel senso che, sal-vo che per quanto attiene ai requisiti per aver diritto alle prestazioni e ai criteri per determinarne l’ammontare, rende irreversibile l’evoluzione già realizzata. Per contro, quell’indicazione non esclude la possibilità di un’ulteriore estensione della tutela previdenziale, come, ad esempio, è avvenuto per la tutela dei superstiti (cfr. n. 111).

Soprattutto, il sistema della previdenza sociale supera, oramai, l’àmbito del lavoro subordinato per estendersi a tutte le categorie di lavoratori. L’e-spressione «lavoratori» del secondo comma dell’art. 38 Cost. deve essere interpretata in relazione al primo comma dell’art. 35 secondo il quale: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni», confer-mando un principio che, sia pure con un significato diverso, già era stato accolto nel nostro ordinamento (art. 2060 c.c.). Significativa, a questo pro-posito, l’estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (art. 409, n. 3, c.p.c. della tutela contro l’invalidità, vecchiaia

Art. 3, co. 2, Cost.

Eventi generatori di bisogno

Ambito soggettivo della tutela

12 CAPITOLO PRIMO

e superstiti e dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (art. 5, d.lgs. n. 38/2000), nonché l’estensione di quest’ultima alle persone lavoranti in ambito domestico (l. n. 493/1999). Allo stesso modo significativa è l’e-stensione della tutela contro l’invalidità, vecchiaia e superstiti anche ai la-voratori associati in partecipazione (l’associazione in partecipazione con associato lavoratore è stata abrogata dall’art. 53, d.lgs. n. 81/2015) ed ai soggetti che svolgono lavoro mediante il c.d. Libretto Famiglia o Contratto di prestazione occasionale (art. 54 bis, l. n. 96/2017).

Più di recente, il sistema previdenziale ha superato anche il tradizio-nale carattere territoriale che ne limitava l’attuazione al territorio nazio-nale. La Corte costituzionale, in applicazione del principio di tutela del lavoro italiano all’estero, previsto dal quarto comma dell’art. 35 Cost., ha esteso la tutela previdenziale anche ai lavoratori italiani all’estero (sent. n. 369/1985) (cfr. n. 40). D’altra parte, le prestazioni previdenziali devono essere adeguate anche alle esigenze di vita della famiglia del lavoratore, giusta l’innegabile relazione intercorrente tra gli artt. 38 e 36 della Costi-tuzione e, quindi, tra la garanzia dei «mezzi adeguati alle esigenze di vita» e quella di una «retribuzione proporzionata e sufficiente». La Corte costi-tuzionale ha però, da ultimo, precisato che l’art. 38 Cost., che pur impo-ne di salvaguardare la proporzione fra il trattamento previdenziale e la quantità e la qualità del lavoro svolto (oltreché la sufficienza del tratta-mento ad assicurare le esigenze di vita del lavoratore, ex art. 36 Cost.) non richiede di farlo in modo «indefettibile e strettamente proporziona-le» (sent. nn. 173/2016 e 259/2017). Ciò spiega sia la previsione di alcuni regimi previdenziali speciali (cfr. n. 84), in particolare per quei lavoratori che, come i dirigenti di aziende industriali, svolgono un’attività ad alta professionalità, sia la tendenza ad agganciare, direttamente o indiretta-mente, i livelli dei trattamenti pensionistici alle retribuzioni o ai redditi goduti durante il lavoro (cfr. n. 89).

L’art. 38 Cost. afferma, all’ultimo comma, il principio della libertà della previdenza privata, come manifestazione di quella specifica solida-rietà che si esprime anche nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) (cfr. n. 167 e segg.). Previdenza privata che, come tale, non può essere che libera in quanto volontaria e, soprattutto, destinata esclusivamente alla soddi-sfazione di interessi privati. Peraltro, la previdenza privata non solo è li-bera, ma deve essere anche «incoraggiata e tutelata» costituendo una forma di risparmio (art. 47 Cost.).

Ne deriva che, nel disegno costituzionale, il sistema destinato a realizza-re la liberazione dal bisogno si articola in due sottosistemi, da ritenere, non senza contrasti, diversi quanto a funzioni e a regime (cfr. n. 13 e n. 167).

Per un’analisi dell’art. 38 Cost., vedi: SEPE, Il «diritto» all’assistenza nella Costituzione, in Riv. It. Prev. Soc., 1959, p. 361; SIMI, Contributo allo studio della previdenza: previdenza sociale e previ-denza privata o libera, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1972, p. 11 e, più in generale: CRISAFULLI, Costitu-zione e protezione sociale, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952.

Sui lavori preparatori dell’Assemblea Costituente sull’art. 38 Cost., vedi PELLICCIA, TAN-

Ambito territoriale della tutela

Nesso tra art. 38 e art. 36

Cost.

Libertà della previdenza

privata

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 13

DOI, La “filosofia sociale” della previdenza e dell’assistenza, in GAETA (cura di), Prima di tutto il lavoro. La costruzione di un diritto all’Assemblea Costituente, Roma, 2014, 209.

Per il necessario coordinamento dell’art. 38 con l’art. 3 Cost., vedi: PERSIANI, Sicurezza so-ciale e persona umana, in I problemi della sic. soc., 1970, p. 609; ID., Commento all’art. 38 Cost., in BRANCA (a cura di) Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1979, p. 232; OLIVELLI, La Costituzione e la sicurezza sociale, Milano, 1988; VIOLINI, Rapporti economici. Art. 38 Cost., in BIFULCO, CELOTTO, OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 775; ALES, Sicurezza sociale e assistenza sociale (art. 34 e 38), in Rass. Dir. Pubbl. Eur., 2008, fasc. 2, p. 203.

Parte della dottrina ha ritenuto che il diverso riferimento ai cittadini e ai lavoratori conte-nuto nel primo e nel secondo comma dell’art. 38 Cost. corrisponda ad una diversa previsione in ordine alla tutela garantita. Vedi, oltre agli autori indicati in seguito al n. 10,: POTOTSCH-NIG, L’organizzazione amministrativa della sicurezza sociale, in Foro Amm., 1969, III, p. 569. Sul punto, vedi anche PERSIANI, Considerazioni sugli aspetti istituzionali della previdenza socia-le, in Raccolta di studi, INPS, Roma, 1970, p. 24.

Sul collegamento tra art. 38 e art. 36 Cost., vedi: CRISAFULLI, Costituzione e protezione so-ciale, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, p. 133 e PROSPERETTI, Sulle nozioni di protezione sociale e di sicurezza sociale, in Riv. Giur. Lav., 1954, I, p. 300.

Sulla nozione costituzionale di «adeguatezza» della prestazione, vedi CINELLI, L’adegua-tezza della prestazione previdenziale tra parità e proporzionalità, in Foro It., I, c. 1773; RENGA, Proporzionalità, adeguatezza ed eguaglianza nella tutela sociale dei lavoratori, in Lav. Dir., 2005, p. 3; anche BATTISTI, L’«adeguatezza» della prestazione tra Costituzione e riforme legislative, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2008, p. 309; SANDULLI, L’adeguatezza delle prestazioni fra parametro retri-butivo e compatibilità economiche, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2015, p. 687; PERSIANI, Sulla garanzia costituzionale dei mezzi adeguati alle esigenze di vita, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2017, p. 281.

Per la questione della tassatività o no dell’elencazione di cui all’art. 38, co. 2, Cost., favore-vole all’affermativa: ALIBRANDI, La previdenza sociale nella nuova Costituzione, in Dir. Lav., 1948, I, p. 379 e, in senso contrario,: GUARINO, La previdenza sociale nella costituzione italiana e nelle altre costituzioni, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1952, p. 16; GUELI, Assicurazioni sociali (in ge-nerale), in Noviss. Dig. It., I, 1, Torino, 1958, p. 1223; SINISCALCHI, Parità di trattamento e trattamenti minimi previdenziali, in Apporto della giurisprudenza costituzionale alla formazione del diritto del lavoro, Milano, 1988, p. 277.

Sui rapporti tra diritti sociali e Costituzione, vedi: CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. Trim. Dir. Proc., 1981, p. 755; SMURAGLIA, Sulla intangibilità dei diritti sociali nel contesto costituzionale, in Riv. Giur. Lav., I, 1994, p. 349; MENGONI, I diritti sociali, in Arg. Dir. Lav., 1998, p. 1; ROMAGNOLI, I diritti sociali nella Costituzione, in Dir. Lav. Merc., 2005, p. 521; ROMAGNOLI, Diritti sociali e Costituzione: dalla cittadinanza industriale alla cittadinan-za industriosa, in CASADIO (a cura di), I diritti sociali e del lavoro nella Costituzione italiana, Roma, 2006, p. 157; ANDREONI, Lavoro, diritti sociali e sviluppo economico. I percorsi costitu-zionali, Torino, 2006; PROSPERETTI, Welfare e costituzione, in Tutela, 2009, fasc. 2, p. 37; LONGO, Le relazioni giuridiche nel sistema dei diritti sociali. Profili teorici e prassi costituzionali, Padova, 2012.

6. L’evoluzione della previdenza sociale nella legislazione ordinaria.

I princìpi accolti nella Costituzione hanno, oramai, trovato riscontro nella legislazione ordinaria.

L’evoluzione di quest’ultima, come già è stato accennato (cfr. n. 1), non è stata realizzata in modo uniforme e costante, sia perché è mancato un disegno completo e razionale, sia a ragione dei condizionamenti eco-nomici e politici determinati dalle strutture della nostra società. Pertanto,

Mancanza di un disegno nella legislazione ordinaria

14 CAPITOLO PRIMO

quell’evoluzione è, a volte, il risultato di provvedimenti isolati o contin-genti, onde accanto ad istituti ispirati ai princìpi della sicurezza sociale, altri costituiscono ancora un vero residuo storico.

Tuttavia, il mosaico legislativo che regola il sistema previdenziale può essere considerato unitariamente.

I princìpi contenuti nel secondo comma dell’art. 3 e nell’art. 38 della Costituzione consentono di individuare lo schema essenziale di quel si-stema e la logica che deve ispirarlo, allo stesso modo in cui consentono di individuare gli aspetti della legislazione ordinaria vigente contrastanti e contraddittori rispetto a quei princìpi.

Ma v’è di più. Le disposizioni costituzionali forniscono un criterio per l’interpretazione della legislazione vigente dal quale non si può prescin-dere e, come tali, influiscono, sia pure in modo parziale, sull’attuale ordi-namento della previdenza sociale.

D’altra parte, nonostante le deviazioni e le contraddizioni che la carat-terizzano e sebbene sia stata spesso determinata da scelte politiche con-tingenti, la legislazione ordinaria, sotto la pressione delle forze che de-terminano le trasformazioni politiche e sociali, non poteva che dare at-tuazione ai princìpi della sicurezza sociale.

Di questa evoluzione sono state espressione, oltre che l’istituzione del “Servizio sanitario nazionale” (cfr. n. 9): il sempre più cospicuo interven-to finanziario dello Stato (cfr. n. 26); l’integrale finanziamento a carico del bilancio dello Stato dell’assegno sociale nonché gli interventi a soste-gno di talune gestioni assistenziali e previdenziali, attraverso una gestione apposita (cfr. n. 27); il passaggio nella gestione delle varie assicurazioni sociali dai sistemi di “capitalizzazione” a quelli di “ripartizione” (cfr. n. 22); la continua estensione della tutela previdenziale nell’àmbito stesso del lavoro subordinato e soprattutto a categorie di lavoratori non subor-dinati (cfr. n. 27); l’estensione della tutela di malattia a tutti i cittadini (cfr. n. 120); la previsione dell’assegno sociale per i cittadini ultrasessan-tacinquenni in disagiate condizioni economiche e per i minorati civili (non vedenti, invalidi civili e sordomuti) che si trovino in disagiate condi-zioni economiche ; la generalizzazione del principio dell’automaticità del-le prestazioni (cfr. n. 20); la rivalutazione automatica delle pensioni (cfr. n. 92).

Per contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale, il legisla-tore ha anche predisposto, negli ultimi anni, interventi in favore dei sog-getti dotati di risorse economiche insufficienti a garantire la liberazione dal bisogno e ha istituito il “Sistema integrato di interventi e servizi socia-li” (l. n. 328/2000) (cfr. n. 157 e segg.). Probabilmente, però, l’espressio-ne più significativa dell’evoluzione alla quale ora è stato fatto cenno con-siste in ciò: per lungo tempo, le scelte che presiedevano al sistema sono state soltanto quelle politiche, adottate in sede legislativa, e, come tali, almeno tendenzialmente, indipendenti da valutazioni tecniche di tipo as-sicurativo e attuariale. Dal che si evinceva che non si trattava più di per-

Attuazione dei princìpi di

sicurezza sociale

Solidarietà generale

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 15

seguire il soddisfacimento di interessi privati, garantendone l’equo con-temperamento nell’àmbito di una solidarietà parziale e limitata, come quella che si realizza nell’ottica del rapporto di lavoro, ma di realizzare l’interesse pubblico mediante il ricorso ad una solidarietà estesa a tutta la collettività nazionale (art. 2 Cost.).

Ed è nella prospettiva segnata da questa solidarietà che il legislatore, sia pure sotto la spinta della necessità di fare fronte alle esigenze finanziarie delle gestioni previdenziali (cfr. n. 14), ha condizionato, anche quando so-no stati versati i contributi previdenziali, l’erogazione di alcune prestazioni pensionistiche, o di quote di esse, all’esistenza di una effettiva situazione di bisogno (cfr. n. 89, n. 93 e n. 103) ed ha accollato a chi ne gode parte del costo di altre prestazioni, qualora il suo reddito superi certi livelli.

Del resto, l’intervento finanziario dello Stato trova, oramai, il suo uni-co fondamento nel fatto che a questi è affidato il compito di realizzare la tutela previdenziale (art. 38, co. 2 e 3, Cost.), mentre l’estensione di que-st’ultima oltre l’àmbito tradizionale del lavoro subordinato risponde al-l’esigenza di garantire a chiunque viva del proprio lavoro e, comunque, a tutti i cittadini, i minimi mezzi di sostentamento al verificarsi di eventi generatori di bisogno.

In generale, sul complesso sistema normativo che caratterizza la previdenza sociale, vedi le trattazioni di: AVIO, Della previdenza e dell’assistenza, Artt. 2114-2117, Commentario Schlesin-ger, Milano, 2012; G. SANTORO PASSARELLI, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale – Il lavoro privato e pubblico, Torino, 2014; CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2016; PESSI, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2016; TRANQUILLO, FERRANTE, Nozioni di diritto della previdenza sociale, Milano, 2016.

Per un’illustrazione critica dei tentativi di razionalizzazione del sistema previdenziale avvia-ti negli anni ’60, vedi: PERSIANI, La sicurezza sociale nel programma quinquennale di sviluppo economico, in I problemi della sic. soc., 1966, p. 733; ID., La sicurezza sociale nel rapporto preli-minare al programma economico nazionale 1971-1975, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1970, p. 18; FOR-TE, La sicurezza sociale e la previdenza sociale nella programmazione, in Prev. Soc., 1970, p. 1379 e p. 1733; PERA, Sui progetti di riforma del sistema previdenziale, in Foro It., 1985, V, c. 52; TREU, La riforma del sistema previdenziale: proposte e problemi, in Riv. Giur. Lav., 1984, III, p. 43; SANDULLI, Crisi ed evoluzione del sistema previdenziale italiano, in PANUCCIO (coordinati e diretti da), Studi in memoria di Domenico Napoletano, Milano, 1986, p. 133.

Sui livelli di garanzia raggiunti dal sistema, vedi: BALANDI, Lavoro e diritto alla protezione sociale, in Lav. Dir., 1997, p. 151; CINELLI, I livelli di garanzia nel sistema previdenziale, in Arg. Dir. Lav., 1999, p. 53; SALAZAR, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo modello sociale europeo: più sobrio, solidale e sostenibile), in www.associazionedeicostituzionlisti.it, 2000, p. 1; TRUCCO, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in www.gruppo-dipisa.it, 2012, p. 1; CINELLI, L’«effettività̀» delle tutele sociali tra utopia e prassi, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2016, p. 21.

7. L’apporto della giurisprudenza costituzionale.

La spinta derivante dalla continua esigenza di dare soluzione a pro-blemi contingenti in assenza di un programma complessivo ha fatto del nostro ordinamento previdenziale un sistema in perenne movimento.

16 CAPITOLO PRIMO

In questo contesto, la Corte costituzionale è stata protagonista dell’e-voluzione del sistema previdenziale, non fosse altro per aver, in molte occa-sioni, concorso alla sua “razionalizzazione” eliminando ipertrofie e riducen-done la frammentarietà. Soprattutto, i giudici costituzionali hanno saputo, a volte, intercettare, prima del legislatore ordinario, le nuove esigenze che de-rivavano dalla continua evoluzione della realtà economica e sociale.

Tuttavia, la complessità del quadro normativo ha condizionato, in qualche modo, anche la giurisprudenza costituzionale che è risultata, a volte, composita e frammentaria se non altro perché ha dovuto mediare i contrapposti interessi coinvolti nelle vicende previdenziali e, quindi, te-ner conto anche di aspettative corporative.

In ogni caso, almeno fino all’inizio degli anni ’90 e, cioè, fin quando non è stata avvertita l’esistenza di far fronte alla grave crisi finanziaria che iniziava ad affliggere anche le gestioni pensionistiche, i giudici costituzio-nali, nel sindacare la legittimità di leggi previdenziali, hanno raramente utilizzato, forse a ragione dell’ambiguità del suo contenuto (cfr. n. 5) i criteri desumibili dall’ art. 38 Cost., ma hanno fatto prevalente ricorso a quelli risultanti dagli artt. 36 e 3 Cost.

Ciò perché, da un lato, quei giudici hanno continuato a ritenere che i trattamenti pensionistici dovessero essere assimilati alla retribuzione e, d’altro lato, hanno spesso avvertito l’esigenza di dare risposta alle istanze di categorie rimaste prive di tutela o lasciate in uno stato di sottoprotezione.

Resta, però, che, in tal modo, è stata, comunque, favorita la progressi-va omogeneizzazione dei trattamenti previdenziali e il superamento delle disarmonie ancora esistenti. A titolo di esempio, possono essere ricordati: l’affermazione della parità uomo-donna in tema di pensioni (cfr. n. 98); l’introduzione del sistema misto per le malattie professionali (cfr. n. 70), l’indennizzabilità del danno biologico subito dalle vittime di infortunio sul lavoro (cfr. n. 75) e il graduale allargamento dei limiti soggettivi che caratterizzano la tutela infortunistica (cfr. n. 61 e n. 62).

È, poi, accaduto che, dopo l’inizio degli anni ’90, i giudici costituzio-nali hanno iniziato a motivare le loro sentenze facendo ricorso anche ai canoni contenuti nella disposizione dell’art. 38 Cost. Di questa, superan-do le incertezze tradizionali, è stata riconosciuta la natura di disposizione costituzionale precettiva sebbene sia stato, poi, escluso che preveda vin-coli che debbano essere rispettati dal legislatore ordinario.

Ed è così che, in più occasioni, quei giudici, con una sorta di self re-straint, hanno ritenuto che l’individuazione dei «mezzi adeguati alle esi-genze di vita», garantiti dal secondo comma dell’art. 38 Cost., è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario e, quindi, è sindacabile sol-tanto alla stregua dei criteri di razionalità e ragionevolezza. Ma v’è di più. Sensibili alle esigenze della realtà economica e sociale, quei giudici hanno ritenuto che, nell’esercizio di quella discrezionalità, il legislatore ordina-rio deve tener conto anche della scarsezza delle disponibilità finanziarie.

Di conseguenza, da un lato, la preoccupazione di garantire una tutela

Funzione della Corte

costituzionale

Discrezionalità del legislatore

Attenzione alle risorse finanziarie

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 17

previdenziale adeguata anche a chi sta ancora lavorando ha finito per far superare i sospetti di legittimità costituzionale di leggi che prevedevano ri-duzioni retroattive della tutela previdenziale. Superamento motivato con la considerazione che l’esigenza della certezza dei rapporti e l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, ancorché elementi fondamentali di uno Stato di diritto, non necessariamente implicano l’intangibilità delle aspetta-tive di chi lavora e, allo stesso modo, dei diritti dei pensionati.

D’altro lato, aver ritenuto che la determinazione del livello della tutela previdenziale fosse rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario ha consentito ai giudici costituzionali di ammettere che l’evoluzione della tutela previdenziale fosse graduale e, al tempo stesso, di superare i so-spetti di legittimità che erano stati sollevati nei confronti di provvedimen-ti che, comunque, riducevano l’effettività della tutela previdenziale alla condizione che non fossero irrazionali o irragionevoli (art. 3 Cost.), in quanto provvedimenti di carattere straordinario o transitorio, e che la prevista compressione dei diritti previdenziali non fosse tale da pregiudi-care in modo definitivo le situazioni soggettive coinvolte (vedi n. 92 per la perequazione automatica e per i contributi di solidarietà).

Peraltro, a fronte dell’arretramento di effettività della tutela previden-ziale pubblica, i giudici costituzionali hanno avallato la scelta del legisla-tore ordinario di utilizzare la previdenza complementare, privata e quindi libera, per realizzare, assieme a quella di base, la garanzia costituzionale dei «mezzi adeguati alle esigenze di vita» (art. 38, co. 2, Cost.).

Infine, deve essere ricordato come, più recentemente, il ricorso al principio di ragionevolezza abbia consentito ai giudici costituzionali di aver riguardo anche ai valori risultanti dall’ ordinamento internazionale. Da qui il dialogo, non sempre facile, con la Corte europea dei diritti dell’uomo (si pensi al caso delle pensioni “svizzere”; cfr., da ultimo, Corte EDU 1° giugno 2017 e Corte cost. n. 166/2017).

Per una ricostruzione sistematica della giurisprudenza costituzionale in materia di pre-videnza sociale, vedi: CATALDI, La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di previdenza sociale, in SCOGNAMIGLIO (a cura di), Il lavoro nella giurisprudenza costituziona-le, Milano, 1978, p. 471; PERSIANI, Giurisprudenza costituzionale e diritto della previdenza sociale, in AA.VV., Lavoro. La giurisprudenza costituzionale (1956-1986), Saggi, a cura di Asap e Intersind, I, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, p. 85; CINELLI, L’apporto della Corte costituzionale all’evoluzione del sistema delle pensioni, in Inf. Prev., n. 4, suppl., 1987, p. 23; GRECO, Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale, in Questione Giustizia, 1994, p. 253; CINELLI, Previdenza sociale e orientamenti della giurispru-denza costituzionale, in Riv. It. Dir. Lav., I, 1999, p. 73; AMOROSO, FOGLIA e TRIA (a cura di), La giurisprudenza della Corte Costituzionale sulla sicurezza sociale (1990-1996), Milano, 1997; SALAZAR, I diritti sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2004, p. 505; PERSIANI, Conflitto industriale e conflitto generazionale (cinquant’anni di giurisprudenza costituzionale), in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1031; PERSIANI, Giurisprudenza costituzionale e diritto della previdenza sociale, in Lavoro. La giurisprudenza costituzionale 1989-2005, ricerca coordinata da AMBROSO, FALCUCCI, Roma, vol. IX, Saggi, 2006, p. 15. Vedi anche: PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1542; ANDREONI, Lavoro, diritti sociali e sviluppo economico. I per-

Principio di gradualità

Principio di ragionevolezza

18 CAPITOLO PRIMO

corsi costituzionali, Torino, 2006; MIANI CANEVARI, Costituzione e protezione sociale. Il si-stema previdenziale nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 2007; MIDIRI, Diritti sociali e vincoli di bilancio nella giurisprudenza costituzionale, in Studi in onore di Franco Modugno, III, Napoli, 2011, p. 2235; D’ONGHIA, Diritti previdenziali e compatibilità economiche nella giurisprudenza costituzionale, Bari, 2013; TEGA, Welfare e crisi davanti alla Corte costituzionale, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2014, p. 303; OCCHINO, I diritti sociali nell’inter-pretazione costituzionale, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2017, p. 3; SCIARRA, I diritti sociali e i dilem-mi della giurisprudenza costituzionale, in Riv. It. Dir. Lav., 2017, p. 347; D’ONGHIA, Welfare e vincoli economici nella più recente giurisprudenza costituzionale, in lav. Dir., 2018, p. 93.

Per una ricostruzione sistematica comprensiva anche della giurisprudenza di legittimità, vedi: SANDULLI, Il dialogo fra dottrina e giurisprudenza nel diritto della previdenza sociale, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1998, I, p. 1.

Sul dialogo tra la Corte costituzionale e le Corti sovranazionali, vedi CARTABIA, La Cedu e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in BIN, BRUNELLI, PUGIOT-TO, VERONESI (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Con-venzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, Torino, 2007, p. 18; VALENTINO, An-cora sulle leggi d’interpretazione autentica: il contrasto tra Corte di Strasburgo e Corte costituzio-nale sulle cc.dd. “pensioni svizzere”, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2013, p. 1; ALTI-MARI, La tutela previdenziale del lavoratore part time nel dialogo tra Corte di Giustizia dell’U-nione europea e Corte di Cassazione, in Arg. Dir. Lav., 2017, p. 429.

8. Il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni.

Per l’attuazione dei princìpi della sicurezza sociale la Costituzione non evoca solo l’intervento dello Stato ma anche quello delle Regioni.

L’art. 117 Cost. (novellato dalla l. cost. n. 3/2001) attribuisce allo Sta-to la competenza esclusiva nella materia della «previdenza sociale» e pre-vede una competenza concorrente Stato/Regioni nella materia della «pre-videnza integrativa e complementare».

Alle Regioni è, poi, affidata la competenza esclusiva in materia di «as-sistenza sociale».

L’unitarietà e l’omogeneità essenziale del complessivo sistema di sicu-rezza sociale sono, però, assicurate dal riconoscimento in capo allo Stato della competenza esclusiva circa «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garan-titi su tutto il territorio nazionale» (art. 117, co. 2, lett. m), Cost.).

Ne deriva la possibilità per lo Stato di intervenire nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni, fissando livelli minimi di tutela co-munque da conservare, di modo che non si determini una inaccettabile diversità di trattamento.

V’è, poi, l’art. 118 Cost., secondo cui «Stato, Regioni, Città metropoli-tane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

Una previsione, questa, che rafforza la libertà dei privati di operare nei campi dell’assistenza e della previdenza (cfr. n. 167 e segg.), posto che queste rispondono ad interessi di carattere generali.

Competenza statale

Competenza concorrente

Competenza regionale

Livelli minimi di tutela

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 19

Sul riparto di competenze tra Stato e Regioni dopo la riforma del 2001, vedi: LAGALA, Le Regioni e il sistema di sicurezza sociale dopo la legge di riforma costituzionale n. 3 del 2001, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2002, p. 363; POGGI, La previdenza sociale dopo la riforma dell’art. 117, in www. federalismi.it, 2002; TREU, Riforme o destrutturazione del welfare, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2002, p. 535; SIMONCINI, La riforma del titolo V e il modello costituzionale di welfare in Italia, in Dir. Merc. Lav., 2003, p. 537; CAFAGGI (a cura di), Modelli di governo, riforma dello Stato sociale e terzo settore, Bologna, 2003; SILVESTRO, Prime riflessioni su prestazioni economiche di previden-za e assistenza nella riforma del titolo V della Costituzione, in Inf. Prev., 2004, p. 777; TORCHIA (a cura di), Welfare e federalismo, Bologna, 2005; DOTTA, Le Regioni di fronte alle nuove competen-ze in materia di previdenza complementare ed integrativa, in PEZZINI (a cura di), Diritti sociali tra uniformità e differenziazione. Legislazione e politiche regionali in materia di pari opportunità, previ-denza e lavoro dopo la riforma del Titolo V, Milano, 2005, p. 153; D’ARCANGELO, Quale pro-grammazione per un welfare locale?, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2006, p. 453.

Più in generale, sui rapporti tra federalismo e sistema della previdenza sociale alla luce del-la riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione dettata dalla legge n. 3 del 2001, vedi: PERSIANI, Devolution e diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2002, p. 19; CIOCCA, Il sistema previdenziale ed il federalismo, in Arg. Dir. Lav., 2003, p. 739; F. CARINCI, Riforma costituzio-nale e diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2002, p. 25; LAGALA, Le regioni e il sistema di sicu-rezza sociale dopo la legge di riforma costituzionale n. 3 del 2001, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2002, p. 363; NAPOLI, Le fonti del diritto del lavoro e il principio di sussidiarietà, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2002, p. 85; GAETA, Sussidiarietà e sicurezza sociale: una prospettiva storica dell’approccio «a più livelli», in Riv. Dir. Sic. Soc., 2005, p. 1; CINELLI, Sussidiarietà e modello di sicurezza so-ciale, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2004, p. 447; PROIA, Sussidiarietà e previdenza, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1567; CIOCCA, Devoluzione e diritto del lavoro, Milano, 2008; CERRITO, Sussidiarietà e solidarietà nelle politiche sociali, in Tutela, 2009, fasc. 1, p. 13; ANTONINI, Verso un modello di welfare fondato su nuovi presupposti di sussidiarietà, in Tutela, 2009, fasc. 1, p. 27; TROJSI, Le fonti del diritto del lavoro tra Stato e Regioni, Torino, 2013, spec. p. 98.

Per le funzioni e le competenze delle Regioni in materia di previdenza e di assistenza socia-le in una prospettiva storica vedi: GUARINO, Brevi osservazioni in tema di Costituzione e previ-denza sociale (artt. 38, 3, 117 Cost.), in Riv. It. Prev., 1955, p. 695; BELLINI, La tutela sociale nell’àmbito regionale, in Enpas, 1971, p. 411; COLOMBO, La riforma dell’assistenza sociale nel quadro dell’ordinamento regionale, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1971, p. 473.

9. Il Servizio sanitario nazionale.

Per la tutela della salute, è stata realizzata l’evoluzione più interessante ed importante del nostro sistema previdenziale.

Ed infatti, l’istituzione del “Servizio sanitario nazionale” (cfr. n. 117 e segg.), almeno in linea di principio, realizza a pieno il precetto costitu-zionale in base al quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e, al tempo stesso, come interesse della collettività (art. 32 Cost.).

Il “Servizio sanitario nazionale” è stato istituito dalla l. 23 dicem-bre 1978, n. 833. Tale Servizio è costituito dal complesso delle fun-zioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promo-zione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzioni di condizioni individuali o so-ciali, e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini (art. 1, l. n. 833/1978), indipendentemente dal fatto che si trovino

Art. 32 Cost.

Riforma del 1978

20 CAPITOLO PRIMO

temporaneamente all’estero (Corte cost. n. 309/1999) (cfr. n. 120). Peraltro, con l’istituzione del “Servizio sanitario nazionale”, quella che

era la tradizionale tutela previdenziale realizzata con l’assicurazione con-tro le malattie, ha assunto caratteristiche del tutto nuove.

Non solo sono state radicalmente modificate l’organizzazione e le strutture attraverso le quali quella tutela si realizza, ma anche perché è stata, per la prima volta, avvertita l’esigenza di una funzione preventiva. Infatti, il meccanismo mutualistico-assicurativo era idoneo, se mai, a rea-lizzare la tutela di malattia, e cioè a provvedere quando quest’ultima si fosse già verificata, ma non poteva essere utilizzato quando si trattava di prevenirla.

Si può dire, quindi, che in questo campo le strutture mutualistico-previdenziali abbiano definitivamente ceduto il passo ad un vero e pro-prio servizio pubblico.

In questa prospettiva, il “Servizio sanitario nazionale” è chiamato a svolgere, tra l’altro, la funzione di concorrere alla formazione di una mo-derna coscienza sanitaria. Esso, infatti, è tenuto a provvedere alla preven-zione, alla diagnosi e alla cura delle malattie fisiche e psichiche, all’ac-certamento e alla rimozione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro e di vita, alla riabilitazione.

Gli interventi di assistenza sanitaria garantiti dal “Servizio sanitario na-zionale” risultano efficacemente integrati, sotto il profilo dell’assistenza so-cio-sanitaria, dagli interventi di servizio sociale realizzati dal sistema inte-grato di assistenza sociale di cui alla l. n. 328/2000 (cfr. n. 157 e segg.).

Per le premesse dell’istituzione di un servizio medico nazionale in Italia, in una prospettiva storica, vedi: G. BERLINGUER, La sanità pubblica nella programmazione economica, Roma, 1964, e la prima parte dei saggi raccolti in Sicurezza e insicurezza sociale, Roma, 1968; DELO-GU, Sanità pubblica, sicurezza sociale e programmazione economica, Torino, 1967. Per gli aspetti finanziari della riforma, vedi: BRENNA, Alcuni problemi relativi alle modalità di finanziamento del servizio sanitario nazionale, in I problemi della sic. soc., 1971, p. 237. Vedi altresì: LEGA, Il diritto alla tutela della salute in un sistema di sicurezza sociale, Roma, 1970; BELLINI, I sindacati nelle prospettive della riforma sanitaria, in Dir. Lav., 1971, I, p. 106.

Per una descrizione critica della fase di avvio alla riforma sanitaria, vedi, CHIAPPELLI, Guida attuale dell’assistenza di malattia, Milano, 1978.

Per un commento alla legge di riforma sanitaria, vedi: AA.VV., con il coordinamento di ROVERSI MONACO, Il Servizio sanitario nazionale, Milano, 1979; PERSIANI, BELLINI, F.P. ROSSI, Il servizio sanitario nazionale, Bologna-Roma, 1979.

Sulla funzione e sui compiti delle regioni nella attuazione della tutela della salute, vedi: BASSANINI, ONIDA, Stato e regioni nella riforma sanitaria, in I problemi della sic. soc., 1971, p. 101; BELLINI, Decentramento regionale e relativi riflessi sul sistema sanitario, in I problemi della sic. soc., ibidem, 1973, p. 151. Sul decentramento delle competenze, in attuazione delle succes-sive evoluzioni normative, vedi: CARPANI, Rapporti tra ministero della sanità, regioni ed agenzia per i servizi sanitari nella legge delega per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale: prime riflessioni generali, in Sanità Pubbl., 1998, p. 1141; MAINO, La sanità italiana verso il fe-deralismo: tra vincoli di spesa e opportunità europee, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2004, p. 97; GRILLO, La tutela della salute tra stato e regioni (alcuni interventi della corte costituzionale in attesa della devolution), in Riv. Pen., 2006, p. 159.

Per un tentativo di ricostruzione sistematica, vedi: SANTINELLO, Servizio sanitario naziona-

Funzione preventiva

Servizio pubblico

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 21

le, in Digesto, Sez. Pubbl., 1999, vol. XIV, p. 109; PRIMICERIO, Il servizio sanitario nazionale: struttura, organizzazione e modelli gestionali, Roma, 1999; BRANCA, L’evoluzione legislativa per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale, in Sanità pubbl., 1999, p. 173; BOTTARI, Tutela della salute e organizzazione sanitaria, Torino, 2011; JORIO, Diritto della sanità e dell’as-sistenza sociale, Rimini, 2013.

In generale, per la collocazione del tema «salute» nel diritto della sicurezza sociale, vedi: TULLINI, Salute nel diritto della sicurezza sociale, in Digesto, Sez. Comm., 1996, vol. XIII, p. 70.

10. Sicurezza sociale e funzioni sociali dello Stato.

Sulla base delle disposizioni costituzionali si può ritenere che l’at-tuazione dell’“idea della sicurezza sociale” trovi riscontro in quella com-plessa attività svolta dallo Stato, che si qualifica e si determina in relazio-ne al fine di realizzare la protezione dei cittadini dal bisogno.

Almeno formalmente, il benessere dei consociati è fine inerente alla essenza della comunità statuale in ogni sua forma storicamente conosciu-ta. Varia, però, è la rilevanza che a questo fine è stata data e diversi sono i mezzi e gli strumenti con cui si è cercato di realizzarlo.

Dallo strumento rudimentale e insufficiente della beneficenza pubbli-ca si è giunti all’assistenza e alla previdenza sociale tradizionali che, attra-verso un’ulteriore evoluzione, tendono ora a realizzare la libertà dal biso-gno di tutti i soggetti presenti sul territorio, anche se non cittadini italiani (cfr. n. 159).

Giova qui ricordare come assistenza e previdenza siano nate con la stessa motivazione politica: il fine in vista del quale avvennero le prime realizzazioni di tutela dal bisogno è stato, appunto, quello del manteni-mento dell’ordine costituito.

I primi interventi di assistenza sociale trovarono, infatti, la loro giusti-ficazione nel timore che l’indigenza «priva di ogni conforto e recata all’esa-sperazione» potesse indurre a ribellarsi all’ordine costituito. Nessun rilie-vo veniva assegnato al soggetto bisognoso e protetto, al «povero», né po-teva accadere diversamente nella logica di una legislazione che era volta essenzialmente ad eliminare i pericoli politici e sociali determinati o costi-tuiti dalle esigenze dei bisognosi.

Sulla base di una motivazione politica assai simile era sorta anche la tutela previdenziale. In proposito basterà rammentare come, in occasione della prima legislazione che, in Europa, istituì un completo sistema di as-sicurazioni sociali, e cioè quella tedesca del 1882, Bismarck avesse fatto dire al suo Imperatore che «i mali della società non si curano solo con la repressione dei conati socialdemocratici, ma insieme con il positivo incre-mento del benessere dei lavoratori».

In questa prospettiva, è agevole comprendere come la previdenza so-ciale dei lavoratori subordinati abbia avuto nel tempo uno sviluppo più intenso e più rapido dell’assistenza sociale ai cittadini; sia per il sorgere immediato e il progressivo sviluppo di una coscienza di classe; sia per il

Dal mantenimento dell’ordine pubblico ...

22 CAPITOLO PRIMO

perdurare, se non per l’acuirsi, della preoccupazione di diminuire la ten-sione determinata dai nuovi rapporti sociali (cfr. n. 2).

Senonché, i princìpi accolti nella nostra Costituzione assegnano allo Stato anche il fine di realizzare la garanzia del minimo di sostentamento per ogni cittadino, nonché, sia pure con limitazioni, per i cittadini dell’Unione europea, stranieri, profughi, apolidi (cfr. n. 157 e segg.).

L’interesse da soddisfare è ancora, come sempre, l’interesse pubblico, ma questo non ha più ad oggetto soltanto il mantenimento dell’ordine sociale né la potenza economica nazionale. La soddisfazione dell’inte-resse pubblico, nella prospettiva indicata dai princìpi costituzionali, è di-rettamente e immediatamente connessa alla soddisfazione dell’interesse del singolo che si trovi in condizioni di bisogno in quanto strumentale all’interesse di tutta la collettività a che tutti i cittadini siano in grado di godere dei diritti civili e politici.

Ciò spiega perché l’intervento diretto dello Stato deve essere conside-rato come espressione della solidarietà di tutta la collettività organizzata (art. 2 Cost.). Di questa, del resto, fanno parte non soltanto i cittadini ita-liani, ma anche tutte le persone che le vicende politiche e la situazione economica e sociale dei loro paesi e, più spesso e più generalmente, la globalizzazione del mercato portano ad essere occupate o, comunque, presenti sul territorio italiano.

L’“idea della sicurezza sociale” trova, quindi, riscontro nella estensione delle funzioni sociali dello Stato ed in tal senso è destinata ad influenzare non solo la previdenza sociale, ma in genere ogni attività pubblica a sco-po sociale.

La base teorica dell’estensione delle funzioni sociali dello Stato può essere rintracciata in: PIGOU, Economia del benessere (trad. it. sull’edizione 1934), Torino, 1948, e KEYNES, Occupa-zione, interesse e moneta – Teoria generale (trad. it. sull’edizione 1936), Torino, 1953, del quale ultimo si veda soprattutto il paragrafo XXIV. Per una peculiare applicazione di quella teorica a campi diversi, comunque connessi con quelli della previdenza sociale, si veda: BEVERIDGE, Relazione sull’impiego integrale del lavoro in una società libera, Torino, 1948, ma si tenga pre-sente già l’esperienza nordamericana del new deal sulla quale vedi: LEUCHTENBERG, Roosvelt e il new deal, Bari, 1968.

Peraltro, ai fini di poter valutare la portata reale di questo indirizzo, confronta anche: BER-LINGUER, CIOFI, Classe operaia e sicurezza sociale, in Critica Marxista, 1966, p. 51. Sulle con-nessioni tra assistenza e previdenza sociale vedi anche: PERSIANI, Considerazioni sulle motiva-zioni ideologiche dell’assistenza e della previdenza sociale e sulla loro evoluzione dovuta all’idea della sicurezza sociale, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1973, p. 419; F.P. ROSSI, Pensione (diritto priva-to), in Enc. Dir., vol. XXXII, 1982, p. 901; CINELLI, Problemi di diritto della previdenza sociale, Torino, 1989, p. 6.

Sulla ripartizione delle funzioni proprie della previdenza privata e di quella pubblica, vedi: PERSIANI, La previdenza fra libertà e garanzie. Privato e limiti della previdenza pubblica, in Inp-dap, 1994, p. 273; PERSIANI, Riforme previdenziali, in Enc. Giur. Treccani, 1996, vol. XXVII; ID., Crisi e riforma del welfare state, in Riv. Giur. Lav., 1998, p. 229; BALANDI, «Pubblico», «privato» e principio di sussidiarietà nel sistema del welfare state, ibidem, p. 213; BANO, Pro-blema di costi e scelte di valori: come sta cambiando l’idea di sicurezza sociale, in Lav. Dir., 1997, p. 595; TREU, Le politiche del welfare: le innovazioni necessarie, in Prev. Ass. Pubbl. Priv., 2004,

… all’interesse pubblico di

liberazione dal bisogno

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 23

p. 1; CINELLI, GIUBBONI, Il diritto della sicurezza sociale in trasformazione, Torino, 2005; R. PESSI, Il problema della previdenza nella società postindustriale, in Lav. Prev. Oggi, 2011, p. 401.

Sul monopolio previdenziale dello Stato nell’attuazione dei princìpi solidaristici contenuti nella Costituzione, vedi: GIUBBONI, I monopoli previdenziali tra diritto comunitario della con-correnza e princìpi solidaristici della Costituzione. Convergenze “pratiche” e conflitti “teorici”, in Arg. Dir. Lav., 2000, p. 685; PICCININNO, Assetto istituzionale e dimensione comunitaria del-l’assicurazione infortuni, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2000, I, p. 589; E. GAMBACCIANI, L’as-sicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali tra monopolio, liberalizza-zione e prospettive di riforma, in Dir. Lav., 2002, I, p. 117; FASSINA, La legittimità comunitaria del monopolio assicurativo dell’Inail come spunto di riflessione sui rapporti tra ordinamento co-munitario e sistema nazionale di protezione sociale, in Arg. Dir. Lav., 2003, p. 253; BALANDI, Attualità dello Stato sociale. Presentazione. Dalla assistenza alla previdenza, e ritorno?, in Lav. Dir., 2013, III, p. 319.

11. Sicurezza, previdenza e assistenza sociale.

Tuttavia, non tutti questi interventi possono essere ricompresi nell’at-tuazione dell’“idea della sicurezza sociale”, almeno se si voglia evitare di dare a quest’ultima un contenuto troppo vago.

A ben guardare, il significato più profondo di quell’idea può essere individuato proprio nel rilievo dato alla persona umana, posto che essa riguarda specificamente l’impegno dello Stato a realizzare un interesse indivisibile della collettività mediante la tutela del singolo (cfr. n. 4).

Si può, così, ritenere che l’“idea della sicurezza sociale” abbia essenzia-le attuazione mediante quegli interventi che, realizzando una solidarietà generale, consistono nell’erogazione di beni e servizi ai cittadini che si trovino in condizioni di bisogno.

Tali sono, appunto, gli interventi dello Stato che vanno dalla fornitura di cure gratuite agli indigenti alla predisposizione ed alla integrazione di organi e di istituti che assicurino ai cittadini, inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, il mantenimento e l’assistenza sociale e ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malat-tia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

L’“idea della sicurezza sociale” trova, dunque, la sua essenziale attua-zione in quel complesso sistema attraverso il quale la pubblica ammini-strazione, o altri enti pubblici, realizzano il fine pubblico della solidarietà con l’erogazione di beni, in danaro o natura, e di servizi ai cittadini che si trovano in condizioni di bisogno.

Sistema complesso perché comprende, oramai, tanto l’assistenza che la previdenza sociale.

L’assistenza sociale assolveva ad una generica funzione di tutela degli indigenti e costituiva espressione di una solidarietà ambigua e, comun-que, limitata alle disponibilità degli enti erogatori (cfr. n. 2).

La previdenza sociale, invece, assolveva alla funzione specifica di tute-la dei lavoratori in quanto espressione di una solidarietà imposta esclusi-

Solidarietà generale

Sistema complesso

Distinzione tra assistenza e previdenza

24 CAPITOLO PRIMO

vamente ai loro datori di lavoro e, quindi, era limitata sia riguardo ai sog-getti protetti che agli eventi previsti.

Corrispondentemente, nell’assistenza sociale, gli assistiti erano titolari di un interesse legittimo, se non addirittura di un mero interesse; mentre soltanto nella previdenza sociale era riconosciuto ai lavoratori un diritto soggettivo alle prestazioni.

Senonché, i termini nei quali, di solito e tradizionalmente, si pone la distinzione tra previdenza e assistenza sociale non sono oramai più ido-nei, a nostro avviso, a comprenderne l’effettiva portata.

Sia che si voglia tracciare quella distinzione sulla base della situazione professionale o no dei soggetti protetti, oppure sul titolo, diritto soggetti-vo o mero interesse, in base al quale vengono erogate le prestazioni, è certo che l’accoglimento, nella Costituzione repubblicana e nella legge ordinaria, dei princìpi della sicurezza sociale porta di necessità ad un su-peramento delle concezioni tradizionali tanto della previdenza che dell’assistenza sociale.

Certo, nell’art. 38 della Costituzione viene mantenuta la distinzione tra cittadini e lavoratori, ma distinguere non significa separare. Peraltro, l’in-tervento dello Stato alla liberazione dal bisogno corrisponde, oramai, ad un interesse di tutta la collettività (art. 3, co. 2, Cost.) (cfr. n. 5) e, garantendo l’esistenza delle condizioni necessarie all’effettivo godimento dei diritti fondamentali, realizza, al tempo stesso, la tutela della personalità umana.

Pertanto si deve ritenere, che quell’intervento riguardi, allo stesso modo e allo stesso titolo, tanto i cittadini lavoratori che i cittadini in ge-nere, nonché, a determinate condizioni, i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea ed i loro familiari, gli stranieri, i profughi, gli apolidi (cfr. n. 157 e segg.).

In questa prospettiva, la distinzione tra previdenza e assistenza sociale non può che ridursi alla diversità dell’àmbito e dell’intensità della tutela, giustificata non già da una diversità di fondamento, ma dal diverso modo in cui l’ordinamento ha valutato le esigenze dei cittadini (cioè delle per-sone e delle famiglie in genere) rispetto a quelle dei lavoratori, e cioè le esigenze di quei cittadini che hanno potuto contribuire con il loro lavoro al benessere della collettività.

Nell’evoluzione accennata, infatti, si è giunti alla realizzazione di una adeguata tutela degli interessi dei cittadini non lavoratori, e di altri sog-getti non cittadini ritenuti meritevoli di tutela. Anche ad essi è stato rico-nosciuto un diritto soggettivo perfetto alle prestazioni almeno ogni volta che siano in gioco beni essenziali, come ad esempio la salute (art. 32 Cost.) (cfr. n. 117) o le condizioni minime necessarie per l’effettivo go-dimento dei diritti civili e politici. (cfr. n. 157 e segg.).

D’altra parte, la previdenza sociale, una volta inserita nel più ampio sistema della sicurezza sociale, completa la sua evoluzione. Essa, destina-ta a realizzare il fine fondamentale dello Stato di provvedere alle esigenze dei lavoratori conseguenti al verificarsi di eventi generatori di bisogno,

Tesi unitaria

Unicità di fondamento

Servizio pubblico

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 25

connessi o no con l’attività lavorativa, ha perso ormai ogni eventuale re-siduo del modello delle assicurazioni al quale, all’inizio, era ispirata (cfr. n. 3) per divenire un servizio pubblico (cfr. n. 23).

In questo contesto, significato del tutto diverso – da quello che, come poc’anzi abbiamo detto, era loro originario – assumono le nozioni di pre-videnza ed assistenza sociale, quando vengono utilizzate, come accade di recente sempre più frequentemente, per distinguere le prestazioni ancora finanziate su base contributiva e quelle finanziate, invece, soltanto a cari-co dello Stato.

Le differenze dei metodi di finanziamento, infatti, non influiscono sul-la funzione propria delle varie forme di tutela, mentre derivano, assai spesso, da ragioni storiche e contingenti. Del resto, il richiamo ai modi di finanziamento, avviene, in realtà, in funzione esclusiva delle preoccupa-zioni che inducono a prevedere una limitazione dei livelli di tutela fin qui realizzati, come mezzo necessario per superare la crisi finanziaria del set-tore, nell’ambito del necessario contenimento della spesa pubblica (cfr. n. 14).

Esclusivamente in questa prospettiva, quella limitazione trova riscon-tro nell’istituzione, nell’ambito dell’INPS, della gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (art. 37, l. n. 88/1989) (cfr. n. 27) nella quale sono stati riuniti quegli interventi il cui finanziamen-to era stato posto, in tutto o in parte, a carico dello Stato. Ne deriva una distinzione tra i settori ove il finanziamento è esclusivamente a carico del bilancio dello Stato, come nel caso del Fondo nazionale per le politiche sociali (l. n. 328/2000), e quelli in cui, sia pure formalmente (cfr. n. 36) continua ad essere a carico delle categorie interessate.

Per le vicende storiche dell’assistenza sociale, vedi: MAZZIOTTI, Assistenza, Profili costitu-zionali, in Enc. Dir., vol. III, 1958, p. 749 e, più specificamente per l’assistenza ai lavoratori, vedi: LEGA, L’assistenza ai lavoratori, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da RIVA SANSEVERINO e MAZZONI, vol. III, Padova, 1971, p. 865; LA GRECA, Previdenza e assistenza: fondamento della distinzione, in Sic. Soc., 1985, p. 351 ss. Per una considerazione complessiva dei rapporti tra previdenza e assistenza sociale, vedi: ALES, Diritto del lavoro, diritto della pre-videnza sociale, diritto di cittadinanza sociale: per un «sistema integrato di microsistemi», in Arg. Dir. Lav., 2001, p. 981; FILIPPINI, Assistenza e previdenza: attualità di una distinzione, in Prev. Ass. Pubbl. Priv., 2005, III, p. 193.

In linea di massima, la stessa dottrina che tende a sminuire la portata e il rilievo dell’ “idea della sicurezza sociale” propende altresì per mantenere la distinzione tra previdenza e assistenza sociale. Sul punto specifico vedi per tutti: MAZZONI, Previdenza e assistenza sociale: due paral-lele che non si incontrano?, in Prev. Soc., 1962, p. 453 e, in seguito, Previdenza e assistenza so-ciale, in Studi in memoria di T. Ascarelli, Milano, 1968, vol. III; CINELLI, Problemi di diritto della previdenza sociale, Torino, 1989, p. 11. Si noti come sulla base di questa opinione, che a prima vista sembra trovare conforto nella formulazione letterale dell’art. 38 Cost., si giunge anche ad escludere ogni riferimento dell’assistenza sociale dall’idea della sicurezza sociale. In tal senso vedi: LEVI SANDRI, Sicurezza sociale e diritto del lavoro, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1959, p. 774; CINELLI, Appunti sulla nozione di previdenza sociale, in Riv. It. Dir. Lav., 1982, p. 156; EUZÉBY, Sicurezza sociale: una solidarietà indispensabile, in Inpdap, 1998, p. 18; CINELLI, La diversificazione delle forme di lavoro: un’opportunità per la sicurezza sociale?, in Dir. Lav.

Diversi modi di finanziamento

26 CAPITOLO PRIMO

Marche, 1997, p. 1; GIUBBONI, Cittadinanza comunitaria e sicurezza sociale: un profilo critico, in Arg. Dir. Lav., 1997, p. 67. Un’applicazione concreta dei princìpi enunciati nel testo può essere vista in: CANNELLA, La pensione sociale, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1970, p. 873 e PERSIANI, Sul diritto dei pensionati sociali all’assistenza di malattia, in Sic. Soc., 1970, p. 184.

12. Il Sistema integrato di interventi e servizi sociali.

È in questo contesto evolutivo dell’“idea di sicurezza sociale” che si colloca la riforma dell’assistenza sociale (cfr. n. 157 e segg.).

Ed infatti, con la l. n. 328/2000 è stato abrogato il dispersivo sistema assistenziale istituito nel 1890 e sostituito da un sistema (detto “Sistema integrato di interventi e servizi sociali) che attribuisce diritti soggettivi alle persone protette (cfr. n. 158 e segg.).

I princìpi generali e le finalità della l. n. 328/2000 confermano che la sicurezza sociale, in attuazione dei princìpi espressi dall’art. 2 e dall’art. 3 Cost., è destinata ad operare oltre l’ambito tradizionale della previdenza sociale.

13. Assicurazioni sociali e assicurazioni private.

L’evoluzione di cui finora è stato detto non è priva di conseguenze per la qualificazione, in termini giuridici, delle c.d. “assicurazioni sociali”, at-traverso le quali tuttora si realizza la tutela previdenziale.

Il meccanismo assicurativo, se pure è stato, a volte, mantenuto come strumento tecnico tendente a garantire l’economicità della gestione (cfr. n. 15 e n. 83) ha oramai perso, però, ogni rilevanza giuridica.

Quel meccanismo, per effetto dei princìpi della sicurezza sociale, è da ritenere destinato al perseguimento di fini diversi da quelli per cui fu isti-tuito e, cioè, al soddisfacimento diretto ed esclusivo di un pubblico inte-resse e non più di interessi privati, sia pure di gruppi.

Si può dire, così, che quella forma di tutela, che dallo strumento uti-lizzato per la sua prima realizzazione (cfr. n. 2) prese anche il nome di “assicurazione sociale”, sia giunta oramai al termine di una lunga evolu-zione.

Derivata dalle assicurazioni private, delle quali ha conservato a lungo le caratteristiche, essa è venuta assumendo, man mano che era attratta in campo pubblicistico, caratteristiche sue proprie fino a che, nel momento attuale, dell’assicurazione non resta che il nome, espressione vuota, però, di significato per quanto attiene alla definizione della struttura del siste-ma giuridico previdenziale (cfr. n. 17).

Peraltro, si deve ritenere che, nonostante i dubbi di una parte della dottrina, anche le “assicurazioni private” assolvano ad una funzione pre-videnziale, anche se è diverso il mezzo con il quale tale funzione è rea-

Riforma dell’assistenza

sociale

Superamento del meccanismo

assicurativo

Dalle assicurazioni

private ...

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 27

lizzata, così com’è diverso l’assetto di interessi che ne deriva. Nell’“assicurazione privata” l’eliminazione del bisogno si realizza con

l’assunzione da parte dell’assicuratore dell’obbligo di sopportare le con-seguenze economiche dell’evento temuto, dietro il corrispettivo del pa-gamento del premio da parte dell’assicurante.

In quelle che tradizionalmente sono designate come “assicurazioni so-ciali”, invece, l’eliminazione delle situazioni di bisogno si realizza con l’organizzazione di un servizio pubblico (cfr. n. 23).

Né a questa conclusione varrebbe opporre l’analogia che la legge avrebbe stabilito tra “assicurazioni sociali” e “assicurazioni private” quan-do ha disposto che, in mancanza di leggi speciali, si applicano alle prime le norme dettate per le seconde (art. 1886 c.c.). Invero, a parte la consta-tazione, di per sé priva di rilevanza, secondo la quale non è dato indivi-duare ipotesi in cui, a rigore, la disciplina delle “assicurazioni sociali” debba essere desunta da quella dettata per le “assicurazioni private”, quella disposizione, contenuta nel Codice del 1942, corrisponde se mai alle concezioni della previdenza sociale allora dominanti (cfr. n. 3); ed è da ritenersi superata a ragione della profonda evoluzione che, come visto, ha subìto il sistema previdenziale per effetto dei princìpi accolti nella Co-stituzione repubblicana e per la stessa evoluzione della legislazione ordi-naria (cfr. n. 5 e n. 6).

D’altra parte, “assicurazioni sociali” e “assicurazioni private”, al di là delle sia pur profonde differenze di tecniche, di strutture e di funzione, sono, a ben guardare, anche complementari. Tutti i problemi dell’incerto avvenire non possono e non debbono essere risolti con la previdenza ob-bligatoria (cfr. n. 14 e n. 15).

La sicurezza sociale, come fine essenziale dello Stato, non riguarda che i bisogni essenziali. Anzi essa incontra un limite nella sua stessa fun-zione che è, necessariamente, quella di realizzare, mediante il ricorso alla solidarietà generale, un interesse pubblico generale (cfr. n. 10). Al di là di questo limite la liberazione dal bisogno è, e deve essere, lasciata alla pre-videnza privata.

Tuttavia, le “assicurazioni private” possono essere considerate come strumenti di sicurezza sociale solo quando questa sia intesa non come un’idea politica, ma come un risultato; come la descrizione, cioè, di una situazione di benessere sociale, valutata indipendentemente dagli assetti di interessi che hanno concorso a determinarla.

Intesa come un’idea politica, invece, la sicurezza sociale può dirsi attua-ta solo mediante quegli strumenti che realizzano la liberazione dal bisogno con il ricorso alla solidarietà di tutta la collettività organizzata nello Stato.

In questa prospettiva, la previdenza complementare occupa una posi-zione particolare, diversa, almeno in parte, da quella delle “assicurazioni private”. Essa, infatti, ancorché eventuale perché libera, realizza pur sem-pre una forma di solidarietà meritevole di particolare tutela (cfr. n. 167 e segg.).

... alle assicurazioni sociali

Funzione della previdenza complementare

28 CAPITOLO PRIMO

In questa prospettiva pare collocarsi il recente impegno di Confindu-stria, Cgil, Cisl e Uil, nell’accordo interconfederale su “Contenuti e indi-rizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva” (sottoscrit-to il 9 marzo 2018), di rafforzare il welfare contrattuale per una maggiore universalità delle tutele. A tal fine le parti sociali intendono promuovere lo sviluppo del welfare contrattuale su diverse materie di interesse gene-rale (quali, ad esempio, la previdenza complementare: cfr. n. 167, l’as-sistenza sanitaria integrativa: cfr. n. 128, la tutela della non autosufficien-za: cfr. n. 163 e segg., le prestazioni di welfare sociale e per la conciliazio-ne dei tempi di vita e di lavoro: cfr. n. 149 e segg.), confermando, tutta-via, la sua natura integrativa rispetto al welfare pubblico.

Il problema della possibilità di configurare una nozione unitaria di assicurazione compren-siva di quelle private e di quelle sociali si pone ed è condizionato dalla configurazione che si accoglie di queste ultime. Per la soluzione positiva, vedi: GUELI, Elementi distintivi delle assi-curazioni sociali da quelle private, in Saggi in scienze assicurative, Pisa, II, 1937, p. 149; DONA-TI, Il rapporto giuridico delle assicurazioni sociali, in Dir. Lav. 1950, I, p. 11, ma, soprattutto, F. SANTORO PASSARELLI, Rischio e bisogno nella previdenza sociale, in Riv. It. Prev. Soc., 1948, I, p. 1; SIMI, Contributo allo studio della previdenza: previdenza sociale e previdenza libera o priva-ta, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1972, p. 32; ID., Il pluralismo previdenziale secondo Costituzione, Mi-lano, 1986; BALANDI, Termini per prestazioni nuove: rischio e bisogno, in Pol. Dir., 1984, p. 531. Per la soluzione negativa: BARASSI, Previdenza sociale e lavoro subordinato, Milano, 1954, I, p. 93; CANNELLA, Autonomia del diritto della previdenza sociale, in Riv. It. Prev. Soc., 1957, p. 733; BARETTONI, Il rapporto giuridico previdenziale, in Riv. It. Prev. Soc., 1959, p. 6; PER-SIANI, Il sistema giuridico della previdenza sociale, Padova, 1960, p. 330; ID., Rischio e bisogno nella crisi della previdenza sociale, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1984, p. 481; con riferimento a particolari regimi pensionistici, BALANDI, Attualità e prospettive delle assicurazioni sociali, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1986, p. 523.

Un interessante raffronto delle assicurazioni sociali e di quelle private con il quale si tenta un superamento della problematica tradizionale può essere visto in F. SANTORO PASSARELLI, Funzioni delle assicurazioni private e delle assicurazioni sociali, in Assicurazioni, 1962, p. 40. Peraltro, sui limiti di questo accostamento, vedi: PERSIANI, Riflessioni sull’idea di sicurezza so-ciale, in Enpas, 1969, p. 701. Vedi, inoltre: CIOCCA, La libertà della previdenza privata, Milano, 1999; PESSI, La riforma delle pensioni e la previdenza complementare, Padova, 1997; DELL’O-LIO, Previdenza privata e libertà, in Arg. Dir. Lav., 1998, p. 491; Di RIENZO, Sulla funzione pubblicistica delle casse previdenziali private, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2013, p. 391; DE IOANNA, Illegittimo il prelievo statale sui risparmi delle casse previdenziali private (Corte costituzionale, 11.1.2017, n. 7), in Riv. Giur. Lav. Prev. Soc., 2017, III, p. 497; BERETTA, La Corte costituziona-le boccia il prelievo “forzoso” statale a carico degli enti previdenziali privatizzati, in Giur. It., 2017, p. 702.

14. Le esigenze di razionalizzazione del sistema della previdenza so-ciale.

Già è stato accennato alla crisi finanziaria che affligge il nostro sistema previdenziale e alle sue conseguenze sul debito pubblico (cfr. n. 1 e n. 6).

Tale crisi è stata determinata da diversi fattori. Da un lato, l’equilibrio finanziario delle gestioni pensionistiche è stato

Accordo interconfede-

rale 2018

Ragioni della crisi della

finanza previdenziale

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 29

turbato dall’introduzione di miglioramenti delle prestazioni e dall’am-pliamento del campo di applicazione della tutela previdenziale senza che fosse prevista un’adeguata copertura finanziaria.

D’altro lato, per i regimi pensionistici, quella crisi è stata determinata anche dalle profonde modificazioni del rapporto esistente tra pensionati e lavoratori in servizio. Da un lato, il costante aumento della disoccupazione unito alla diminuzione della popolazione in età di lavoro e, d’altro lato, la frammentarietà della contribuzione dei lavoratori atipici, hanno ridotto inevitabilmente il gettito della contribuzione previdenziale, mentre l’au-mento del numero dei pensionati e il costante aumento della speranza di vita, hanno portato ad un aumento dei costi determinati dall’erogazione delle pensioni.

A ciò si aggiunga che le contribuzioni versate nel tempo si sono rivela-te inadeguate a compensare la costante lievitazione dei trattamenti pen-sionistici, se ragguagliati alle ultime retribuzioni (cfr. n. 89 e n. 92).

Per il “Servizio sanitario nazionale” la perdurante assenza di una coerente ed efficace programmazione e la conseguente carenza di co-ordinamenti, unite alla mancanza di educazione sanitaria e agli sperpe-ri di gestione, hanno, di fatto, determinato costi sempre crescenti ai quali, peraltro, corrisponde una tutela della salute, troppo spesso, ina-deguata e incompleta (cfr. n. 117 e segg.). A questa situazione, si tenta ora di porre rimedio affidando la gestione della tutela della salute alle regioni alle quali è stato anche imposto l’autofinanziamento (d.lgs. n. 56/2000).

I problemi posti dalla crisi finanziaria e di gestione dei vari regimi previdenziali, si aggiungono, però, a quelli che devono essere considerati tradizionali.

Tra questi ultimi si pone, soprattutto, il problema posto dalla disomo-geneità dei criteri in base ai quali sono determinati, nei vari regimi, i livel-li delle prestazioni e dalle conseguenti disparità delle condizioni e dei re-quisiti dai quali dipende il sorgere del relativo diritto.

L’influenza della concezione secondo la quale il titolo dell’erogazione delle prestazioni è costituito dall’avvenuto versamento dei contributi (cfr. n. 3) e, soprattutto, la molteplicità di regimi e di gestioni previdenziali (cfr. n. 84), aveva, infatti, consentito che, per effetto di pressioni corpora-tive, fossero previste tutele meno efficaci per i settori con minore capacità contributiva.

Ciò ha determinato, nel tempo, profonde differenze di trattamento a seconda della categoria di appartenenza dei soggetti protetti. Al verificar-si del medesimo evento, in considerazione del regime applicabile, posso-no venire erogate prestazioni diverse sia per quanto attiene all’ammon-tare che per quanto attiene alle condizioni richieste per il sorgere del re-lativo diritto.

La liberazione dal bisogno sarebbe dovuto, invece, avvenire sulla base

Disomogeneità dei criteri applicabili ai diversi regimi previdenziali

30 CAPITOLO PRIMO

della valutazione che la legge fa di questo in funzione delle esigenze di carattere generale che attendono di essere soddisfatte e non già in base ad elementi che, a ben guardare, si rivelano accidentali e contingenti.

Una soluzione a questo problema è stata data quando sono stati stabi-liti gli stessi requisiti di età e di contribuzione per aver diritto alla pensio-ne di vecchiaia sia per il regime generale che per quelli sostitutivi ed esclusivi (cfr. n. 84 e n. 96), abolendo così anche le differenze esistenti tra pubblici e privati dipendenti).

Un’ulteriore omogeneizzazione è prevista per i requisiti oggettivi e soggettivi di accesso alla pensione di vecchiaia «unificata» (cfr. n. 97) e per i criteri di calcolo dell’ammontare dei trattamenti pensionistici (cfr. n. 98) e della contribuzione previdenziale (cfr. n. 36 e segg.).

Al tempo stesso, era già avvertita l’esigenza di una riforma del sistema diretta a limitare la gestione pubblica ai regimi destinati ad erogare trat-tamenti pensionistici che garantiscano la soddisfazione delle esigenze es-senziali e ad agevolare la volontaria costituzione di regimi previdenziali privatistici in funzione integrativa di quelli pubblici destinati, come tali, a perseguire interessi privati.

Il problema sotteso a tale esigenza è quello del rapporto che deve in-tercorrere tra le esigenze della tutela previdenziale e quelle di politica economica. Ciò perché il livello di spese previdenziali non può essere in-compatibile con le esigenze di una crescita anche economica del paese.

Problema per la soluzione del quale è, appunto, necessario che la tute-la previdenziale pubblica realizzi soltanto la funzione sua propria, che è quella di realizzare la liberazione dal bisogno al fine di garantire il godi-mento dei diritti civili e politici (cfr. n. 5 e n. 10).

Ciò nel senso che i limiti posti da questa funzione escludono che la tu-tela previdenziale pubblica sia destinata anche alla soddisfazione di inte-ressi privati. Questi, in quanto meritevoli di tutela, debbono essere sod-disfatti con strumenti diversi (cfr. n. 167).

Per ulteriori spunti in materia di riforma del sistema previdenziale, si vedano fra gli altri: TREVISI, Sulla ristrutturazione giuridico-gestionale del regime pensionistico generale, in Prev. Soc., 1983, p. 753; SINISCALCHI, La razionalizzazione del sistema pensionistico per una successi-va ipotesi di previdenza integrativa, in Dir. Lav., 1988, I, p. 167; MARTONE, Il sistema previden-ziale tra «razionalizzazione» e riforma, ibidem, p. 187; HERNANDEZ, Problemi e prospettive del-la previdenza sociale, ibidem, p. 105; SANDULLI, Spunti da un dibattito sullo stato del sistema previdenziale, ibidem, p. 197; PERONE, Indicatori dell’evoluzione del sistema previdenziale: spunti critici, ibidem, p. 163. Più di recente, vedi: G. PROSPERETTI, Il problema di una nuova previdenza per la società post-industriale, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi. L’omaggio dell’Accademia a Mattia Persiani, Padova, 2005, tomo II, p. 1679; A. PESSI, Riflessioni sui si-stemi di sicurezza sociale, ibidem, p. 1621; VALLEBONA, Panem et circenses: lo stato sociale del-la decadenza, in Arg. Dir. Lav., 2008, p. 1049; BALANDI, Profili costituzionali di una riforma incompiuta, in Lav. Dir., 2008, p. 677; G. PROSPERETTI, Un nuovo welfare per la società post-industriale, Torino, 2008.

Sulla crisi finanziaria delle gestioni previdenziali, vedi: MASI, Un sistema in crisi: il dibattito sulla riforma della previdenza pubblica: analisi e proposte, in Inf. Prev., 1992, p. 405; CASILLO, Benessere pensionistico e scarsità delle risorse disponibili dopo la l. n. 214/2011, in Dir. Lav.

Omogeneizza-zione delle

tutele

Nesso tra tutele

previdenziali e politica

economica