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CAPITOLO 5
La competizione nell'Economia globale della Conoscenza
5.1 Le esportazioni high-tech
I dati relativi alla quota di esportazioni high-tech sul totale delle esportazioni di un Paese
forniscono un elemento significativo per valutare la sua capacità di innovazione a
confronto con quella di altri Paesi nel contesto competitivo globale.
Nel periodo 2007-2015 (Grafico 5.1.1.) l’Italia registra una percentuale che cresce
progressivamente dal 6% al 6,9%, comunque molto inferiore a quella degli altri Paesi
europei. La Francia, infatti, fa registrare, nel 2015, il 21,6% della quota delle esportazioni,
seguita da Regno Unito (16,7%) e Germania (14,8%). Si registrano valori inferiori all’Italia,
invece, in Spagna (5,4%) e Portogallo (3,8%). Quasi tutti i Paesi considerati mostrano un
aumento costante delle esportazioni high-tech a partire dal 2007 e tale incremento risulta
confermato fino al 2015. Gli unici Paesi in calo sono Finlandia (-60%), Portogallo (-44,1%) e
Regno Unito (0,6%).
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Analizzando l'andamento del valore delle esportazioni high-tech (Grafico 5.1.2.) nei
principali Paesi extraeuropei tra 2007 e 2015, si rileva che la Cina registra la crescita più
consistente in valore assoluto, passando da 303 miliardi di dollari nel 2007 a 554 miliardi nel
2015 (+82,8%). Stati Uniti e Giappone (i primi seguono la Cina per valori assoluti con 154
miliardi di dollari) registrano una contrazione a partire dal 2008 rispettivamente pari al -
30,3% e al -23,3%. Si assiste, invece, a una crescita del +25,7% della Corea del Sud, che si
colloca terza in classifica dopo Cina e Stati Uniti, con 127 miliardi di dollari. Tra i Paesi con
un valore di esportazioni inferiore ai 100 miliardi di dollari si registrano le variazioni più
consistenti in termini percentuali: si tratta di Russia (+150%), e Israele (+300%).
Il valore delle esportazioni rapportato al PIL e quello del saldo commerciale per i settori
“Farmaceutica”, “Computer, elettronica e ottica” e “Aerospazio” (Tabella 5.1.1.)
evidenziano come in Italia sono le imprese farmaceutiche a presentare la quota più alta
di esportazioni sul PIL (4,03%), seguite da quelle del settore “Aerospazio” (1,57%); il settore
"Computer, elettronica e ottica" contribuisce, invece, solamente per 0,64% del PIL e
registra un saldo negativo (-13.628,27 milioni di dollari). Il saldo è passivo anche per il
settore farmaceutico (-24.468,81). Germania, Stati Uniti e Regno Unito presentano la quota
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export più alta nel settore “Farmaceutici”, rispettivamente il 14,56%, il 9,84% e il 6,98%,
mentre la Corea del Sud primeggia nel settore "Computer, elettronica e ottica" con il 6%
di quota export e gli Stati Uniti nel settore “Aerospazio” con il 33,46%. I saldi commerciali
nei settori analizzati sono prevalentemente negativi, ad esclusione della Corea del Sud,
che fa registrare un saldo positivo (+63.925,34 milioni di dollari) nel settore "Computer,
elettronica e ottica", di Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e Polonia con saldo
positivo per il settore “Aerospazio” e Germania, Francia, Svezia e Regno Unito per il settore
“Farmaceutici”.
Tabella 5.1.1 - Quota di export e saldo commerciale nei settori ad alta tecnologia e conoscenza, 2015. Fonte: OECD, Main Science and Technology Indicators (2017)
Quota export (%) Saldo commerciale (milioni $)
Farmaceutici
Computer, elettronica,
ottica Aerospazio Farmaceutici
Computer, elettronica,
ottica Aerospazio
Canada 1,49 0,59 3,85 -4.697,66 -24.252,53 2.608,33
Finlandia 0,18 0,13 0,16 -1.254,70 -2.141,76 -221,08
Francia 5,88 1,40 16,01 4.665,69 -16.785,97 24.609,74
Germania 14,56 4,63 12,36 28.328,28 -7.660,16 16.376,37
Italia 4,03 0,64 1,57 -2.468,81 -13.628,27 2.713,69
Giappone 0,72 3,63 1,97 -20.167,36 -10.704,52 -2.323,27 Corea del Sud 0,44 6,00 0,53 -2.862,58 63.925,34 -2.463,15
Polonia 0,59 0,74 0,56 -2.231,44 -4.175,20 830,87
Portogallo 0,20 0,09 0,06 -1.570,18 -2.058,67 -226,02
Spagna 2,28 0,26 1,36 -3.342,54 -14.346,36 1.286,46
Svezia 1,61 0,54 0,19 4.478,13 -3.598,50 -187,82 Regno Unito 6,98 1,43 9,24 2.058,98 -31.984,34 7.080,98
Stati Uniti 9,84 8,10 33,46 -37.945,37 -180.202,45 79.083,71
5.2 Il commercio internazionale di knowledge asset
L’OCSE intende per commercio internazionale di knowledge asset il trasferimento di
tecnologia e asset per la Conoscenza (brevetti, marchi, design, R&S industriale e servizi di
R&S). Il bilancio fra incassi e pagamenti relativo al commercio internazionale di
knowledge asset del 2013 (Grafico 5.2.1) è un dato molto significativo per valutare
l’innovazione di un Paese e mostra valori positivi solo per Russia, Polonia e Corea del Sud.
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Fra gli altri Paesi è il Regno Unito a registrare gli incassi più elevati (pari a 1,45% del PIL),
contro una quota di 0,47% del PIL destinata ai pagamenti. La percentuale di incassi
relativa all’Italia risulta la più bassa tra i Paesi europei considerati (0,69%), a fronte dello
0,63% del PIL destinato ai pagamenti.1
5.3 La produttività del lavoro
Osservando l’evoluzione della produttività del lavoro nei principali Paesi europei tra 2005 e
2015 (Tabella 5.3.1), il dato italiano mostra una crescita lieve, ma continua, con un tasso,
dal 2007 al 2015, dello 0,20%. Nel 2015, la produttività del lavoro raggiunge valori superiori
alla media europea (53,6$ contro 51,0$). La produttività del lavoro in Italia resta, tuttavia,
inferiore a quella di Stati Uniti (68,3$), Germania (66,6$), Francia (66,3$), Svizzera (65,6),
Finlandia (56,5$). In Europa, fanno peggio del nostro Paese Polonia, Spagna e Regno
Unito, che registrano valori al di sotto della media UE28, pari a 52,7$.
1 I dati OECD, Tecnology and Industry Scoreboard (2015) sono gli ultimi disponibili alla data del 31 ottobre 2017.
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Tabella 5.3.1 - Produttività del lavoro, 2007 - 2015 (PIL per ora di lavoro in $ correnti) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2017)
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Tasso di crescita
2007-2015
Canada 43,7 44,7 45,1 46,2 47,8 48,1 50,4 51,9 50,8 0,14
Finlandia 47,0 49,2 48,7 50,3 52,4 52,5 54,4 55,3 56,5 0,17
Francia 52,8 54,2 55,1 57,0 58,9 59,5 63,2 64,6 66,3 0,21
Germania 52,2 53,9 54,1 56,3 59,2 60,6 63,3 65,3 66,6 0,22
Israele 32,3 31,7 31,9 33,2 34,9 36,0 38,7 39,5 41,1 0,22
Italia 43,2 45,5 46,1 47,2 49,0 50,2 52,0 52,8 53,6 0,20 Giappone
37,2 37,9 37,7 39,5 40,4 41,7 43,7 44,0 45,5 0,19
Corea del Sud
25,1 26,6 26,6 28,9 30,8 30,2 31,6 31,4 31,9 0,22
Polonia 20,3 21,4 22,7 25,5 27,5 28,8 29,9 30,4 31,2 0,36
Portogallo 28,2 29,3 30,0 31,4 31,7 32,8 35,3 35,6 36,0 0,22
Spagna 40,6 42,1 43,7 44,3 45,7 47,9 50,2 51,2 51,3 0,21
Svizzera 51,5 54,2 54,2 55,9 58,6 60,6 63,6 65,0 65,6 0,22 Regno Unito
44,0 45,7 44,8 47,1 47,8 48,5 49,9 51,1 52,5 0,17
Stati Uniti 55,9 57,4 59,5 61,9 63,3 64,7 65,8 67,2 68,3 0,19
UE 28 40,9 42,5 43,0 45,0 46,7 48,2 50,4 51,5 52,7 0,23
OCSE 41,5 42,7 43,3 44,8 46,5 47,4 49,2 50,1 51,0 0,19
L’analisi, invece, dei tassi annuali di variazione della produttività multifattore tra 2007 e
2015 (Tabella 5.3.2.) mostra per l'Italia valori positivi nel 2015, pur essendo la performance
italiana la peggiore tra i Paesi esaminati, dopo il Canada (-0,3%). Se si guarda al periodo
2009-2015 si registra tuttavia una crescita, seppure altalenante, che porta il nostro Paese
dal -3,5% del 2009 allo 0,2% del 2015. La migliore performance, nel 2015, rimane quella del
Giappone e del Regno Unito che fanno registrare un +1,2% di crescita della produttività
multifattore.
Tabella 5.3.2 - Crescita annuale della produttività multifattore, 2007 - 2015 (valori percentuali) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Canada -0,5 -0,8 -0,8 0,9 1,4 -0,4 1,0 1,7 -0,3
Francia -0,3 -1,3 -1,7 1,2 0,9 -0,3 0,8 0,3 0,3
Germania 1,4 -0,2 -3,6 2,6 2,1 0,3 0,5 0,5 0,8
146
Italia -0,4 -1,3 -3,5 1,8 0,3 -1,1 0,2 0,3 0,2
Giappone 0,5 -0,8 -2,6 3,5 0,1 1,1 1,9 -0,0 1,2 Corea del Sud 4,3 3,1 0,3 5,5 4,2 -2,6 3,1 -0,8 0,7
Spagna 0,3 -0,9 -0,2 0,7 -0,1 -0,2 -0,2 0,1 ..
Svizzera 1,7 0,0 -2,6 2,1 -0,1 0,0 1,2 0,5 -1,2
Regno Unito 1,1 -0,9 -3,2 1,8 0,1 -0,7 0,1 0,4 1,2
Stati Uniti 0,3 -0,3 1,0 2,3 0,1 0,2 0,1 0,3 0,6
La crescita media annua del Valore Aggiunto per ora di lavoro, nei singoli settori di attività
(Tabella 5.3.3) mostra come l’Italia si ponga sotto la media UE28 in tutti i settori,
registrando, infatti, per il settore “Agricoltura” una crescita pari a 1,9%, a fronte di una
media europea di 3,5%, per il settore “Manifatturiero” una crescita dell’1,4% (media UE
pari a 2,2%) e per il settore “Servizi” una contrazione pari allo 0,1%, contro una crescita
media UE28 pari a 0,6%. Fanno peggio solamente Germania, che ottiene in “Agricoltura”
lo 0,7% di crescita media annua del Valore Aggiunto, in “Manifatturiero” un +1,1% e nei
“Servizi un +0,6% e Regno Unito (rispettivamente: +1,5%, +1%, +0,7%). Le performance
migliori riguardano, invece, Finlandia, che registra un +4,5% in “Agricoltura, un +0,2% nel
“Manifatturiero” ed un + 0,8% nel settore “Servizi” e il Portogallo, con rispettivamente
+4,4%, +2%, +0,8% nei settori considerati.
Tabella 5.3.3 - Crescita media annua del Valore Aggiunto per ora di lavoro per settore di attività, 2007 - 2015 Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)
Agricoltura Manifatturiero Servizi
2007 - 2014 Finlandia 4,5 0,2 0,8 Francia 4,1 1,9 0,5 Germania 0,7 1,1 0,6 Israele -0,7 1,7 2,1 Italia 1,9 1,4 -0,1 Corea del Sud 6,1 4,4 3,7 Polonia 2,1 6,2 2,1 Portogallo 4,4 2,0 0,8 Spagna 2,9 2,6 0,7 Regno Unito 1,5 1,0 0,7 UE28 3,5 2,2 0,6
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Se si analizza il Valore Aggiunto per ora di lavoro nel settore “Manifatturiero” (Tabella
5.3.4), si rileva che, nel 2015, l’Italia registra un aumento del 8,7%, rispetto al 2010, crescita
leggermente al di sotto della media U28 pari a 11,9%. Il Valore aggiunto più alto è quello
della Polonia (120,6), che è anche la nazione che fa registrare la crescita maggiore dal
2010 al 2015: +27%.
Tabella 5.3.4 - Valore Aggiunto per ora di lavoro nel settore Manifatturiero, 2007 - 2015 (2010 = 100) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Finlandia 105,3 102,5 90,2 100 98,3 88,1 93,3 95,7 96,0
Francia 95,8 93,5 94,8 100 104,0 104,6 106,7 109,1 110,8
Germania 101,1 96,9 86,2 100 104,7 102,2 101,7 105,8 106,4
Israele 87,8 88,1 87,7 100 98,0 97,6 96,5 97,3 98,4
Italia 98,0 96,6 89,7 100 101,9 103,0 104,5 106,5 108,6 Corea del Sud 83,9 91,3 92,7 100 109,4 107,3 114,9 111,4 109,5
Polonia 76,2 80,2 86,5 100 107,4 112,2 110,0 116,0 120,6
Portogallo 92,3 93,6 91,0 100 102,9 103,5 105,7 106,5 105,5
Regno Unito 95,2 96,5 94,6 100 102,1 99,8 98,0 100,9 100,6
UE28 95,2 93,5 89,3 100 103,5 103,6 104,3 107,3 111,3
Gli indicatori di produttività per l’Italia, infine, (Tabella 5.3.5) mostrano un calo per quanto
riguarda i valori del PIL pro-capite a partire dal 2011 fino al 2016 (-3,5%) e della produttività
multifattore (-0,2% dal 2010 al 2015). Leggermente in crescita, invece, i dati relativi a PIL
per ora di lavoro (+0,3%), mentre il salario per ora di lavoro cresce dal 2010 del 4,1%.
Tabella 5.3.5 - Italia, indicatori di produttività, 2007 - 2014 (2010 = 100) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016
PIL pro capite, prezzi costanti
107,0 105,1 98,8 100,0 100,2 96,9 94,8 94,6 95,5 96,5
PIL per ora di lavoro, prezzi costanti
100,6 100,0 97,8 100,0 100,5 100,2 101,1 101,3 101,1 100,3
Produttività multifattore 103,2 101,8 98,3 100,0 100,3 99,1 99,3 99,6 99,8 n.d.
Salario per ora di lavoro 92,5 95,1 97,7 100,0 101,0 102,1 103,8 104,0 104,1 104,1
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CAPITOLO 6
L’articolazione regionale del Sistema della Conoscenza e dell’Innovazione
6.1 La spesa in R&S delle regioni italiane
I dati relativi all’andamento della spesa in R&S nelle regioni italiane rapportata al PIL
evidenziano, nel 2014 rispetto al 2013 (Grafico 6.1.1), un complessivo aumento della spesa
media, pari a 1,38%. Nel 2014, è il Piemonte la regione con la più elevata incidenza della
spesa in R&S sul PIL, pari a 2,27%. Al di sopra della media nazionale (1,05%) anche la
Provincia Autonoma di Trento (1,9%), Emilia Romagna (1,75%), Friuli-Venezia Giulia (1,64%),
Lazio (1,62%, anche se in leggero calo rispetto al 2013) e Liguria (1,45%). E' evidente il
divario tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud Italia, fra le quali la Campania fa
registrare la spesa in R&S più alta (1,32%), ma sempre al di sotto della media nazionale. Tra
le regioni al fondo alla classifica figura Valle d’Aosta (0,44%), Basilicata (0,59%), Molise
(0,64%) e Provincia Autonoma di Bolzano (0,72%).
Confrontando i dati del 2014 con quelli del 2013, emerge che tra le regioni che
presentano valori sopra la media nazionale solamente il Lazio abbia lievemente ridotto la
spesa (-0,03%), mentre tra le regioni con valori sotto la media, tutte abbiamo
incrementato la spesa in R&S in rapporto al PIL tra 2013 e 2014, ad esclusione di Veneto e
Molise.
I dati relativi all’andamento della spesa in R&S realizzata dalle imprese nelle regioni
italiane rapportata al PIL per gli anni 2013-2014 (Grafico 6.1.2) confermano il Piemonte
come la regione che nel 2014 ha il più elevato livello, pari a 1,81% del PIL. Seguono, con
livelli superiori alla media italiana (0,76%) Emilia-Romagna (1,17%), Lombardia (0,93%),
Provincia Autonoma di Trento (0,89%) e Friuli-Venezia Giulia (0,88%); di contro, Sardegna,
Calabria e Basilicata non superano 0,1% del PIL. Cresce, rispetto al 2013, il livello di spesa
delle imprese di tutte le regioni italiane, ad esclusione delle imprese venete e campane (-
0,02%) e molisane (-0,03%), che decrescono, seppur lievemente.
151
Se si guarda, invece, all’incidenza della spesa in R&S delle imprese sulla spesa totale in
R&S della regione (Grafico 6.1.3.), tale indicatore mette ancora in evidenza il divario tra
Nord e Sud del Paese: in tutte le regioni del Nord, infatti, ad esclusione della Provincia
Autonoma di Trento (47%), tale percentuale supera il 50% (dall’80% per il Piemonte al 52%
per la Liguria, al 47% per la Provincia Autonoma di Trento). In tutte le regioni del Centro-
Sud, ad eccezione delle Marche (55%), invece, essa è inferiore a 50% (dal 53% della
Toscana al 6% di Sardegna e Calabria). Anche l’incidenza della spesa in R&S delle
imprese sul totale della regione cresce o rimane stabile dappertutto dal 2013 al 2014, ad
esclusione di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Campania (-1%), Umbria (-3%) e Sicilia (-6%).
152
La spesa in R&S finanziata dalle istituzioni pubbliche nel 2014 (Grafico 6.1.4), presenta
come negli anni precedenti, valori assai superiori nel caso di Lazio rispetto alle altre regioni
(0,64% del PIL regionale);
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tale valore è conseguenza del fatto che tutti gli enti pubblici di ricerca hanno sede legale
nel Lazio, anche se le strutture operative di ricerca siano spesso localizzate in altre aree
del territorio nazionale. In questa classifica, il Lazio è seguito da Provincia Autonoma di
Trento (0,5%), Liguria (0,33%), Basilicata (0,28%).
I dati, infine, relativi alla spesa in R&S delle università in percentuale del PIL nelle regioni
italiane (Grafico 6.1.5), vede gli atenei siciliani ed umbri ai primi posti, con un livello di
spesa pari allo 0,65%. Seguono le università sarde e campane (0,57%), pugliesi e della
Provincia Autonoma di Trento, tutte con un livello di spesa in R&S in percentuale del PIL
superiore allo 0,50%. Superano la media nazionale di 0,37%, anche Toscana (0,48%),
Abruzzo (0,47%), Friuli-Venezia Giulia (0,46%) ed Emilia-Romagna (0,43%).
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6.2 Gli addetti alla R&S nelle regioni italiane
Il numero di addetti alla R&S (Grafico 6.2.1.) evidenzia il primato della Lombardia, che
presenta nel 2012 la quota più alta rispetto al totale nazionale: 20,88%. Sommando le
quote delle prime quattro regioni italiane (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Piemonte)
si ottiene oltre la metà degli addetti alla R&S di tutto il Paese (55,74%). Fanalino di coda
Valle d’Aosta, Molise e Basilicata con meno dello 0,50% della quota di addetti.1
1 I dati ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia (2014) sono gli ultimi disponibili alla data del 31 ottobre 2017.
155
La percentuale di addetti alla R&S nelle imprese di una regione sul totale del Paese, nel
2012 (Grafico 6.2.2), evidenzia l’ulteriore primato della Lombardia, che presenta oltre un
quarto del totale degli addetti alla R&S delle imprese italiane (26,7%). Dietro la Lombardia
si collocano Piemonte con il 14,4%, Emilia Romagna (13,66%), Veneto (12,50%) e Lazio
(7,4%). Complessivamente, nelle regioni del Nord e del Centro opera il 91,9% degli addetti
alla R&S delle imprese.2
2 I dati ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia (2014) sono gli ultimi disponibili alla data del 31 ottobre 2017.
156
I dati a disposizione evidenziano anche che il 37,56% degli addetti alla R&S nelle istituzioni
pubbliche italiane (Grafico 6.2.3.) sono localizzati in Lazio. La performance del Lazio
determina che la percentuale maggiore di addetti si registri nelle regioni del Centro
(53,87%), in seconda posizione si collocano le regioni del Nord (26,30%), mentre, anche in
questo caso, il Sud fa registrare i valori più bassi (19,85%). 3
Se si considera, infine, la distribuzione degli addetti alla R&S delle università tra le regioni
(Grafico 6.2.4.), i valori più elevati si registrano in Lombardia (16,41%), seguita da Lazio
(10,84%) e Toscana (9,7%). Tra le regioni del Sud, le percentuali più alte sono quelle di
3 I dati ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia (2014) sono gli ultimi disponibili alla data del 31 ottobre 2017.
157
Campania (8,31%) e Sicilia (5,82%) che si pongono così rispettivamente al quinto e ottavo
posto, subito dopo l’Emilia-Romagna (9,69%).4
4 I dati ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia (2014) sono gli ultimi disponibili alla data del 31 ottobre 2017.
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6.3 I brevetti delle regioni italiane
Il divario tra Nord e Sud d’Italia risulta ancora più evidente se si considera la produzione di
brevetti nelle regioni italiane. I dati a disposizione (Grafico 6.3.1) evidenziano come le
regioni del Sud Italia, nel 2012, abbiano depositato presso l’European Patent Office solo
51,8 brevetti per milione di abitanti, contro i 927,3 delle regioni del Nord e i 200,3 delle
regioni del Centro. La regione che, nel 2012, presenta il valore più elevato di tale
indicatore è Friuli-Venezia Giulia, con 217,4 brevetti per milione di abitanti, seguita da
Emilia-Romagna (133,4) e Provincia Autonoma di Bolzano (125,0). Veneto, Lombardia,
Piemonte, e Toscana presentano comunque valori superiori alla media nazionale, che si
attesta a 60,2 brevetti e decresce nel 2012, rispetto all’anno precedente di 13,6 brevetti.
Se si analizzano anche le domande di brevetto presso l’EPO per regione e settore di
attività nel 2012 (Tabella 6.3.1.), nel caso del settore delle “Biotecnologie” è la Provincia
Autonoma di Bolzano a registrare i valori più elevati con 7,9 brevetti per milione di abitanti,
seguita dalla Toscana (4,6 brevetti per milione di abitanti) e dall’Emilia-Romagna (2,6). Nel
settore “ICT”, invece, il primato è della Liguria, che presenta la quota più elevata di
brevetti per milione di abitanti: 24,8, seguita da Friuli Venezia Giulia con 14,7 brevetti per
milione di abitanti ed Emilia-Romagna con 14,6. Fanalino di coda, sia nel settore
“Biotecnologie”, sia nel settore “ICT”, la Calabria, che fa registrare rispettivamente 0,3 e
0,7 brevetti per milione di abitanti.
160
Tabella 6.3.1 - Distribuzione delle domande di brevetto presso l'EPO per regione e settore di attività, 2011 - 2012 (per milione di abitanti)
Fonte: EUROSTAT, Science and Technology Database (2017)
Regione Biotecnologie ICT
2011 2012 2011 2012
Piemonte 3,6 2,2 18,8 14,0
Valle d'Aosta n.d n.d 16,7 5,9
Liguria 2,6 1,1 23,9 24,8
Lombardia 2,8 2,6 16,5 13,9
Provincia Autonoma di Bolzano 7,3 7,9 16,6 1,8
Provincia Autonoma di Trento 2,5 n.d 8,6 6,0
Veneto 1,3 1,2 11,7 8,8
Friuli-Venezia Giulia 4,8 2,4 14,3 14,7
Emilia-Romagna 1,3 2,6 16,7 14,6
Toscana 5,2 4,6 14,1 10,5
Umbria 1,1 1,9 2,2 2,5
Marche 1,1 n.d 9,9 5,3
Lazio 2,9 1,7 10,7 7,7
Abruzzo 0,3 2,3 3,6 2,0
Molise 3,2 n.d 3,7 n.d
Campania 0,6 1,7 2,6 2,8
Puglia 0,9 n.d 3,1 1,5
Basilicata 0,6 n.d 0,7 1,9
Calabria n.d 0,3 1,2 0,7
Sicilia 0,2 n.d 2,6 0,6
Sardegna 0,5 n.d 1,7 2,7
Infine, il dato relativo al numero di brevetti presso l'EPO per 1.000 addetti alla R&S nelle
regioni italiane (Grafico 6.3.2) evidenzia il valore più alto per Friuli-Venezia Giulia con 39,6
brevetti per 1.000 addetti alla R&S. Seguono Provincia Autonoma di Bolzano (39,3) e
Veneto (21,7). Le regioni del Nord presentano valori non distanti: Emilia Romagna (21,5),
Valle d’Aosta (19,5) Lombardia (18,1), Piemonte (16,6). Tra le regioni del Centro spiccano,
invece, le Marche con 18,6 brevetti per 1.000 addetti alla R&S e Toscana (14,6), mentre
nel Sud Italia la migliore performance è quella della Calabria con 9,5 brevetti. Ultima in
classifica si colloca il Molise con 2,1 brevetti.
162
6.4 Le specializzazioni settoriali/tematiche/territoriali dei brevetti
L’andamento delle domande di brevetto presentate dall’Italia all’European Patent Office
(EPO) (Grafico 6.4.1), nei diversi settori di attività, tra il 2004 e il 2013, evidenzia un calo per
tutti i settori considerati: -43,4% per il settore “Computer, elettronica ed ottica”, -41% per il
settore “Farmaceutici” e -31,7% per il settore “Minerali non metallici”. L’unico settore che
presenta valori di decrescita limitati dal 2013 rispetto al 2004 è quello di “Materiale
elettrico” (-5,2%%).
Nel 2013, il numero maggiore di domande di brevetto presentate dall’Italia all’European
Patent Office si registra nel settore “Macchinari” (1.025), che registra però un calo rispetto
al 2004, pari a -15%. Il numero minore di brevetti è quello relativo ai “Minerali non metallici”
(69). Anche tra 2012 e 2013 tutti i settori di attività registrano variazioni di segno negativo,
con una riduzione minima di -5,6% per il settore “Automezzi” e una massima di -32,2% per il
settore “Minerali non metallici”.5
5 Dato 2013 previsionale.
164
Per i brevetti PCT pubblicati per l’Italia per settore di attività, tra 2000 e 2016 (Grafico
6.4.2), si registra una prevalenza di quelli del settore “Movimentazioni” (771), seguito da
quello dalla “Tecnologia medicale” (750) e da quello dei “Macchinari speciali” (536). I
165
valori più bassi si registrano per i settori “Nanotecnologie” (11), “Processi di
comunicazione” (31) e “Metodologie IT per il management” (91).
Se si confrontano, infine, i dati relativi all’Italia nei settori più innovativi (ICT, Bio e
Nanotecnologie) con quelli dei principali Paesi industrializzati (Tabella 6.4.1.), l’Italia
presenta il numero più basso di brevetti PCT tra il 2011 e 2016, sia per il settore
“Biotecnologie” (337), sia per quello “ICT” (305), sia per le “Nanotecnologie” (25). Il
maggior numero di brevetti si registra negli Stati Uniti che hanno 13.198 brevetti
biotecnologici, 38.063 ICT e 760 del settore “Nanotecnologie”.
Tabella 6.4.1 - Brevetti PCT nei settori Biotecnologie, ICT e Nanotecnologie, 2011- 2016 (valori totali)
Fonte: Elaborazione Fondazione COTEC su dati WIPO, Statistics Database (2015)
Biotech ICT Nanotech Canada 564 1053 46
Cina 1724 12832 118
Francia 1685 2361 127
Germania 2175 2945 190
Giappone 3734 14845 319
Israele 433 943 26
Italia 337 305 25 Regno Unito 1272 1594 60
Spagna 566 310 66
Stati Uniti 13198 38063 760
Il numero dei brevetti per il settore “Green” con registrazione di deposito all’European
Patent Office (EPO) di co-titolari italiani tra il 2006 e il 2015, (Grafico 6.4.3) mostra che è
aumentato complessivamente del 22%, andando così a rappresentare il 10% delle 3.645
domande di brevetto totali registrate nel 2015. Si tratta di oltre 3.500 invenzioni registrate
tra il 2006 e il 2015, che introducono innovazioni a basso impatto ambientale nei processi
o nei prodotti realizzati. SI mantiene pressoché costante e sull’ordine dei mille brevetti
l’anno, il trend delle innovazioni legate alle cosiddette KET (Key Enabling Technology), le
tecnologie abilitanti a più alta intensità di conoscenza associate alla ricerca applicata e
allo sviluppo sperimentale, che richiedono investimenti elevati e lavori altamente
specializzati. Le KET (biotech, fotonica, manifattura avanzata, materiali avanzati,
nano/micro-elettronica e nanotech) rappresentano il 29% circa del totale dei brevetti
italiani pubblicati dall’EPO nel 2015.
166
I settori “Medico” e “Imballaggi” restano quelli in cui si esercita maggiormente la
capacità innovativa di imprese, enti e singoli inventori del nostro Paese (Grafico 6.4.4). Essi
continuano, infatti, ad occupare i primi posti della graduatoria per classi tecnologiche
delle invenzioni italiane in Europa.
In crescita, tra il 2006 e il 2015, il numero di brevetti per il settore “Arredo”, che recupera
ben tre posizioni, rubando il podio ai “Veicoli” in costante calo (-60%). Invece, il numero di
brevetti legati a una parte delle tecnologie della “Digital economy e communication”,
sprofonda in ultima posizione nel 2015.
167
Grafico 6.4.4 - Brevetti con registrazione di deposito all'EPO di co-titolari italiani per classi di IPC più numerose, 2006-2015 (valori percentuali)
Fonte: Elaborazioni Unioncamere-DINTEC su dati EPO (2017)
Le regioni del Nord-Ovest, motore dell’innovazione italiana, pur confermando la loro
leadership rispetto alle altre aree del Paese, hanno avuto però anche un ruolo chiave nel
calo generalizzato della brevettazione italiana in Europa (-23% in 10 anni) (Grafico 6.4.5).
Le regioni del Nord-Ovest fanno registrare, tra i 2006 e il 2015, 26.000 brevetti europei
registrati, contro 19.000 circa del Nord Est, 9.000 del Centro e poco più di 2.000 del
Mezzogiorno. La regione con più brevetti nel 2015 è la Lombardia (1.456), seguita da
Emilia-Romagna (591), Veneto (516) e Piemonte (373). Ultime in classifica il Molise con 2
brevetti, Valle d’Aosta e Basilicata con 3 brevetti.
A livello provinciale, confrontando il numero dei brevetti pubblicati nel 2006 con quelli del
2015 (Tabella 6.4.2) la provincia più innovativa è quella di Treviso con 140 brevetti nel
2015, 41 in più rispetto al 2006, seguita da quelle di Firenze (+37) e di Parma (+30). Sul
fronte opposto, a risentire maggiormente della congiuntura economica negativa del
decennio, si posizionano quelle di Monza Brianza, i cui brevetti pubblicati all’EPO nel 2015
sono stati 53, contro i 247 del 2006, Milano (-126) e Torino (-88).
169
Tabella 6.4.2 - Le 15 province con la migliore performance dei brevetti registrati all’EPO, 2006-2015 Fonte: Elaborazioni Unioncamere-DINTEC su dati EPO (2017) Provincia 2006 2015 Differenza Variazione % 1 TV 99 140 41 42% 2 FI 63 100 37 59% 3 PR 56 85 30 53% 4 BZ 22 43 22 101% 5 AR 7 24 17 236% 6 AN 56 72 16 29% 7 RA 17 33 16 91% 8 CO 41 54 14 33% 9 TN 11 24 14 129% 10 AL 33 44 11 35% 11 NA 7 18 11 154% 12 VE 13 24 11 85% 13 UD 44 54 10 23% 14 CR 18 27 9 47% 14 CR 18 27 9 47% 15 NO 31 39 8 26%
171
INTRODUZIONE
Il Rinascimento dell’industria europea, in particolare di quella manifatturiera, assunto della
Unione Europeo a fondamento della sua politica economica, può essere realizzato
promuovendo la evoluzione dell’industria secondo modelli diversi, non necessariamente
mutuamente esclusivi, ma anzi largamente coordinabili e integrabili.
Si tratta, in primo luogo, di Industria 4.0, che si prefigura come obiettivo una estesa e
profonda introduzione di tecnologie digitali nei sistemi aziendali nella loro complessa
articolazione, dalla Ricerca & Innovazione alla produzione fino alla commercializzazione e
alla cooperazione interaziendale.
Questo modello di struttura dell’industria e dell’impresa può trovare concreta attuazione e
diffusione anche nel breve-medio termine, sia per la ampia disponibilità di tecnologie
digitali agevolmente trasferibili in applicazioni sia per l’esistenza di contesti organizzativo-
gestionali spesso, perlomeno a livello di imprese medie e grandi, già attrezzati all’utilizzo di
tali tecnologie, anche se non sono irrilevanti i problemi da affrontare a livello culturale e
tecnico per realizzare in modo organico e sistemico la digitalizzazione di una piccola o
micro impresa o di una filiera industriale.
Altri modelli di strategia di impresa si stanno introducendo e diffondendo, anche se per
nicchie di prodotti e clienti- consumatori, quali Cottage Industry, Peripheral Industry,
Maker Economy. Peraltro molti di questi modelli di impresa sono largamente basati
sull’utilizzo di tecnologie ICT.
Recentemente la Commissione Europea ha assunto come una delle direttrici strategiche
del processo di Rinascimento dell’industria europea, la sua evoluzione verso il modello
della Economia Circolare.
L’assunto di fondo di questo modello è l’organizzazione e la gestione di ogni filiera
produttiva con modalità e soluzioni tecnologiche tali da minimizzare gli scarti destinati allo
smaltimento e quindi l’impiego di risorse materiali e da massimizzare l’efficienza dei
processi aziendali e interaziendali nell’utilizzo di risorse non rinnovabili.
Le finalità generali sottese all’introduzione del modello Circolare per la riconfigurazione
dell’industria europea sono molteplici: in primo luogo, l’innalzamento della qualità dei
prodotti delle imprese e della loro efficienza nell’utilizzo delle risorse materiali e quindi della
loro capacità competitiva nel contesto globale, nonché la conservazione e la possibilità
172
di riuso del contenuto “immateriale” dei prodotti (intermedi e finali) in termini di
conoscenze che hanno portato al loro sviluppo e produzione.
Al di là delle possibili declinazioni del modello di Economia Circolare sia sul piano
strategico sia su quello operativo, proposte da studiosi e organizzazioni di ricerca, fra i
quali assai noto e citato è quello della Ellen Mac Arthur Fondation, è evidente che esso
implica una profonda trasformazione dei sistemi tecnologici-organizzativi-gestionali delle
imprese e delle filiere produttive, da un lato, e dei comportamenti e delle decisioni dei
consumatori, dall’altro.
Si tratta infatti, in un caso, di riconfigurare i prodotti e i processi aziendali di produzione e
commercializzazione, in particolare quelli di distribuzione, in modo da ridurre il consumo di
materiali e di consentirne il riuso, eventualmente come input per altre imprese di altri
settori produttivi, nell’altro caso, di trasformare i clienti, soprattutto quelli finali, da
“consumatori” a “conservatori”.
Si tratta di problematiche complesse, non agevolmente risolubili nel breve termine in
quanto richiedono profondi mutamenti nei comportamenti di imprenditori e dirigenti
aziendali e di clienti e la disponibilità di adeguate soluzioni tecnologiche risultanti da una
avanzata attività di R&S.
A queste tematiche è stato dedicato l’XI Simposio COTEC Europa, tenutosi a Madrid nel
febbraio 2017.
Le relazioni tecniche di base al Simposio, predisposte dalle COTEC di Italia, Portogallo,
Spagna, hanno fornito una analisi di come i sistemi produttivi di questi Paesi si stanno
trasformando verso il modello di Economia Circolare e di quali azioni vengono attivate
dagli organi di governo pubblico alle diverse scale territoriali (nazionale e regionale in
primo luogo) per promuovere e sostenere tale trasformazione.
Emerge chiaramente che l’approccio strategico alla introduzione e alla diffusione del
modello di “Produzione-Consumo” Circolare tende a superare la limitatezza del solo
trattamento dei rifiuti e a intervenire su tutto il ciclo, dalla progettazione al consumo e al
riciclo-riuso-rigenerazione.
Inoltre si evidenzia che si tratta di un processo complesso, che coinvolge una molteplicità
di attori diversi, pubblici e privati, che possono svolgere un ruolo rilevante in specifiche fasi
del ciclo.
173
Pertanto le azioni promozionali devono tener conto e focalizzarsi sui possibili interessi,
esigenze e comportamenti diversificati di tali attori.
A conclusione delle relazioni tecniche sono state elaborate linee di proposte di azione per
promuovere l’implementazione del modello di Economia Circolare, largamente comuni e
coerenti con la struttura dei sistemi produttivi di Italia, Portogallo, Spagna.
174
ECONOMIA CIRCOLARE E INNOVAZIONE
1. Definizione di Economia Circolare
• Il dibattito a livello di policy marker, di operatori economici e di studiosi che si sta
ampiamente sviluppando a scala internazionale, ed anche italiana, evidenzia
l’esistenza di diversificate concezioni di come si configuri teoricamente e
praticamente il modello di Economia Circolare. Peraltro si sta affermando una
concezione dell’Economia Circolare, che supera la focalizzazione sull’utilizzo ottimale
delle risorse naturali e degli artefatti che ne derivano attraverso la tecnologia e quindi
sulla minimizzazione dell’utilizzo di energia e di materiali, verso una visione sistemica
del processo Circolare “Produzione - Consumo – Riuso”, posto in un contesto
strategico di riconcettualizzazione delle tradizionali fasi segmentate (produzione, uso,
recupero, smaltimento), finalizzato alla salvaguardia dell’Ecosistema globale e di
attivazione e di soddisfacimento delle esigenze del singolo in termini di benessere
culturale e fisico, lavoro, qualità della vita, oltre che efficienza economica e utilizzo
ottimale delle risorse.
• L’attuazione del modello sistemico di Economia Circolare si configura così come un
processo complesso, multidimensionale e a molti livelli e con un orizzonte temporale di
medio-lungo termine.
Essa coinvolge una molteplicità di soggetti pubblici e privati, quali imprese industriali e
di servizi, banche e operatori finanziari, università ed enti di ricerca, amministrazioni
pubbliche, cittadini nella loro funzione di consumatori e utilizzatori di prodotti/servizi,
ma anche portatori di esigenze di qualità della vita.
• Ciascuno di tali soggetti è in grado di intervenire operativamente su una o più
specifiche fasi del processo che porta alla implementazione del modello di Economia
Circolare, mentre in alcuni casi un singolo soggetto può governare strategicamente
la fase su cui opera.
Peraltro solo con la ricognizione, la messa in coerenza, l’integrazione e la sinergia di
tutte tali attività si può arrivare alla effettiva realizzazione di una Economia Circolare,
operazione complessa e di non agevole attuazione, stante la molteplicità e la
differenziazione di obiettivi e comportamenti dei diversi soggetti coinvolti, non
necessariamente orientati a priori verso lo stesso modello e concetto di Economia
175
Circolare, oltre ad essere differenziati nella lettura del rilievo dei singoli benefici
conseguibili.
Queste considerazioni generali possono essere efficacemente rappresentate da
schemi, che evidenziano per l’intero ciclo “chiuso” (Produzione-Consumo-
Rigenerazione) postulato dal modello di Economia Circolare, l’apporto dei molteplici
attori coinvolti nelle diverse fasi di tale ciclo. Si noti che in ultima istanza i modelli
“circolari” sono nient’altro che il collegamento tra la testa e la coda di modelli lineari
e che le tecnologie su cui si basano sono in buona parte mature o prossime alla
maturità.
La rappresentazione più nota e citata della complessità sistemica della Economia
Circolare è fornita dal seguente schema, elaborato dalla Fondazione Ellen Mac Arthur
(Fig. 1), basato sulla assunzione dell’obiettivo Zero Waste.
Fig. 1
176
La complessità della figura deriva anche dalla esplicitazione di singoli comparti che
contribuiscono al raggiungimento dell’obiettivo Zero Waste e ricadono in due grandi
categorie: Biochimica e Processi meccanici e fisici.
Va evidenziato come lo schema non fa riferimento né ai costi associati ai vari processi
né ai tempi di loro implementazione.
Riguardo gli aspetti economici, critici per la effettiva realizzazione del modello,
occorre considerare che l’attuazione dei processi può avere conseguenze negative
per il mercato e il ruolo di alcune tipologie di operatori economici.
Uno schema più sintetico, quale quello riportato qui di seguito (Fig. 2) evidenzia le
molteplici e diverse aree di fattori che influenzano positivamente o negativamente,
ossia come stimolo (driver) o come ostacolo, l’evoluzione dell’attuale modello lineare
“Produzione-Consumo-Smaltimento” verso quello Circolare.
Riguardo ai tempi occorre considerare con l’implementazione del modello tende a
considerano gli effetti negativi dei cambiamenti climatici in corso, per cui è urgente
intervenire su tali fenomeni, anche se significativi risultati si potranno conseguire solo
nel medio-lungo termine.
Fig. 2
• Va altresì considerato che il modello di Economia Circolare è stato assunto dalla
Commissione Europea come leva strategica per attuare la Reindustrializzazione
dell’Europa, basata sulla Innovazione, sula Conoscenza, sulla Sostenibilità e sulla
Inclusione, per ridare competitività e sviluppo alla industria EU nel quadro
internazionale.
Scienza & Tecnologia
Economia Circolare
Struttura industriale
Regolamenti/Normative
Valori individuali / Modelli di consumo
Geopolitica
Finanza
177
2. Le condizioni per l’implementazione dell’Economia Circolare
• Il modello di Economia Circolare può estrinsecarsi in diversificati assetti strutturali del
sistema di produzione (manifatturiera), in primo luogo il modello Industrie 4.0: un
appropriato, intenso ed esteso sviluppo delle applicazioni di tecnologie digitali lungo
tutta la catena del valore di una filiera produttiva, può rendere fattibile
l’implementazione di alcune caratteristiche dell’Economia Circolare, quali
l’ottimizzazione delle risorse, l’interazione fra gli operatori industriali e di servizi, il
collegamento sinergico fra “Produzione-Consumo-Rigenerazione”.
Anche altri modelli di produzione, quali Cottage/Urban Industry, Peripheral Industry,
Maker Economy possono, se strategicamente orientati, contribuire ad implementare il
modello di Economia Circolare.
È fondamentale a questo fine che tale modello venga fatto proprio culturalmente,
strategicamente ed operativamente da tutti gli attori che entrano in gioco nel ciclo
“Produzione-Consumo-Rigenerazione”.
A questo fine occorre ribadire l’esigenza fondamentale che tutti gli attori
percepiscano e si attendano effettivi benefici dalla implementazione del modello di
Economia Circolare, peraltro con diversificati e non necessariamente coerenti e
sinergiche motivazioni e aspettative.
Così per le imprese dei diversi settori, fornitrici di materiali, beni intermedi, beni finali,
od operanti nella fase end of use la opzione della Economia Circolare si configura
come una modalità per consolidare/ampliare gli spazi di mercato, produrre beni a
più elevato valore aggiunto e redditività, incrementare la competitività
internazionale. Peraltro, come si è già menzionato, per alcuni operatori economici la
Economia Circolare significa una riduzione del loro ruolo e una contrazione e perfino
la scomparsa del proprio mercato, con rilevanti impatti negativi sul loro
atteggiamento verso l’Economia Circolare.
Per i cittadini/consumatori, aldilà del miglioramento delle condizioni dell’Ecosistema,
localmente e globalmente, e della qualità della vita connesse ad una evoluzione dei
valori individuati e sociali e dei modelli di consumo, l’aspettativa maggiore è per una
elevata efficienza economica nell’utilizzo delle risorse, con la riduzione dei prezzi dei
beni finali, e la creazione di nuovi posti di lavoro.
178
Peraltro la perdurante crisi economica e occupazionale dei Paesi industrialmente
avanzati, con una riduzione del reddito disponibile alle famiglie e quindi della loro
capacità di spesa, rende molti consumatori poco propensi a pagare prezzi più elevati
per beni ambientalmente sostenibili.
Va infine evidenziato il fatto che la diffusione del modello di Economia Circolare non
può avere successo se limitata ad un solo Paese, data la globalizzazione dei processi
e dei sistemi di produzione, commercializzazione e distribuzione, che sempre più
ampiamente coinvolgono agenti di diversi Paesi in catene del valore estese a scala
globale.
In questo senso si muove la già ricordata decisione strategica dell’Unione Europea di
puntare sulla Economia Circolare per effettuare la Reindustrializzazione dell’Europa,
basata sulla Innovazione, sulla Conoscenza, sulla Sostenibilità, sulla Inclusione.
La implementazione del modello di Economia Circolare a scala internazionale può
consentire più efficaci e collaborativi rapporti fra i Paesi della Unione Europea e i Paesi
in via di sviluppo, in particolare del Mediterraneo e del Medio Oriente. Infatti, la
realizzazione di catene produttive estese a tali Paesi può portare a un nuovo modello
di Trasferimento Tecnologico del know how e della capacità industriale fra Europa e
tali Paesi, che, mentre è coerente con il livello tecnologico e le competenze tecnico-
scientifiche e produttive di questi ultimi, ne favorisce la crescita all’interno di un
processo cooperativo e sinergico.
3. I contributi dei diversi attori
• È possibile formulare alcune ipotesi riguardo i contributi che gli attori rilevanti del
sistema scientifico, produttivo, istituzionale, sociale, possono apportare, operando
all’interno delle fasi del ciclo (Produzione-Consumo-Rigenerazione), per la
implementazione del modello di Economia Circolare, come riportato nella seguente
Tabella 1.
Tab. 1
Fase Attore R&I Produzione
Commercializzazione/Distribuzione Utilizzo/Consumo
Rigenerazione/Riuso/Riciclo
Università/Enti di Ricerca X X
179
Imprese X X X X X
Organi pubblici di governo X X X X X
Banche/Operatori Finanziari X X X X
Cittadini/Consumatori X X
Organizzazioni e Associazioni
sociali, culturali, economiche X X
Nel seguito vengono delineati i contributi potenzialmente apportabili dai diversi attori
in corrispondenza con ciascuno degli incroci Attore/Fase, ritenuti rilevanti.
• Per quanto riguarda la fase di R&I, finalizzata a generare le tecnologie innovative
funzionali all’attuazione del modello di Economia Circolare, essa richiede l’intervento
coordinato e sinergico di università/enti di ricerca e di imprese, in quanto soggetti
esecutori fondamentali di tali attività, da un lato, e di organi pubblici di governo, che
devono indirizzare le attività innovative e rendere disponibili adeguati incentivi per la
loro implementazione, dall’altro lato. Anche banche/operatori finanziari possono
intervenire con la fornitura di adeguate risorse finanziarie a progetti di innovazione
tecnologica concepiti dalle imprese e finalizzati alla Economia Circolare.
Per quanto riguarda poi le tematiche di R&I, se molte soluzioni tecnologiche sono già
disponibili a livello di risultati di ricerca applicata, esiste anche in questo caso il ben
noto problema del trasferimento di tali risultati in applicazioni industriali
economicamente sostenibili.
Inoltre, nonostante la disponibilità di “tecnologie potenziali” che intervengono su
specifiche fasi della catena produttiva, il fatto che tali fasi siano gestite da autonomi
agenti economici, ripropone il problema della loro integrazione e coordinamento, per
cui sono necessarie adeguate azioni di tipo sistemico che coinvolgano
sinergicamente università/enti di ricerca e imprese.
Peraltro solo gli sviluppi scientifici nei campi Nano-Bio-ICT e la convergenza e
integrazione delle tecnologie risultanti possono portare alle radicali innovazioni dei
materiali, dei sistemi di produzione e di gestione della fase End-of-Use, necessarie per
attuare un avanzato modello di Economia Circolare, anche per la conservazione del
crescente contenuto immateriale incorporato nei prodotti caratterizzanti la rivoluzione
180
industriale in corso. Ne segue che devono essere intensificati gli sforzi per la
realizzazione di progetti scientifici e tecnologici da parte di università, enti pubblici di
ricerca e imprese technology provider, sia per lo sviluppo di nuove conoscenze sia
per la traduzione dei risultati della ricerca in processi/prodotti/servizi validi nel
mercato.
• Per quanto riguarda la fase di Produzione il compito e il contributo più rilevanti e critici
vengono dalle imprese di tutti i settori, operanti nelle varie sotto-fasi del ciclo
“Acquisto-Produzione-Distribuzione-End of Use”. A loro si richiedono anche rilevanti
modifiche dei sistemi tecnologici e organizzativo-gestionali aziendali.
Tale riconfigurazione dei sistemi aziendali e interaziendali richiede investimenti per cui
occorre che, da un lato, siano disponibili tali nuovi sistemi e, dall’altro, soprattutto
esistano adeguate risorse finanziarie. Da qui emerge ancora l’esigenza che
banche/operatori finanziari forniscano adeguate e finalizzate risorse finanziarie e che
organi pubblici di governo, soprattutto a scala nazionale e locale, introducano
opportuni strumenti di promozione e di incentivazione di progetti aziendali di
investimento verso l’Economia Circolare.
La corretta implementazione di questa fase richiede la possibilità di realizzare flussi di
materiali fra aziende, che rendono disponibili materiali come output del proprio ciclo
produttivo, e imprese, che possono utilizzare tali materiali come input del proprio
processo produttivo. Tali flussi, per essere produttivi ed economicamente sostenibili,
richiedono l’esistenza di adeguati regolamenti. Attualmente sono state introdotte
regolamentazioni che rendono possibili tali flussi, purché i materiali non debbano
subire trattamenti. La dichiarazione della natura e fruibilità dei materiali è lasciata al
produttore, senza alcuna verifica e certificazione da parte di soggetti terzi.
Questa situazione consente l’intervento di operatori pubblici, quali forze di polizia e
controllo del traffico, che non riscontrando alcuna certificazione di terzi, al di lò della
dichiarazione del produttore, potrebbero bloccare il trasporto dei materiali.
È quindi necessario introdurre una opportuna regolamentazione delle “materie
seconde”, che consenta la creazione di un effettivo mercato.
Problematiche aperte sono la semplificazione e la riformulazione delle norme e dei
regolamenti riguardo la fase end-of-waste e il Regolamento REACH sulla concezione
dello stato di rifiuto.
181
Critico di questo ambito è anche il ruolo della estensione della Responsabilità dei
Produttori.
Riguardo il processo di riconfigurazione dei sistemi aziendali e interaziendali va
evidenziato che esso incontra notevoli difficoltà dovute alla struttura del sistema
produttivo nazionale, caratterizzato dalla presenza di un grandissimo numero di
imprese, piccole e micro, spesso focalizzate su una specifica e ristretta fase del ciclo
produttivo, con limitata capacità di integrazione e coordinamento con altre imprese
di una stessa filiera produttiva. Inoltre non sono molte le aziende finali di grandi
dimensioni, che possono svolgere efficacemente il ruolo di organizzatore e
coordinatore sistemico dell’intera filiera produttiva secondo il modello dell’Economia
Circolare.
Esistono nondimeno diversi soggetti a rete che possono operare come promotori e
attuatori di azioni di coordinamento e di integrazione delle MPMI per
l’implementazione del modello di Economia Circolare. Si tratta della rete delle
Camere di Commercio, dei Distretti Industriali variamente distribuiti sul territorio
nazionale, dei Distretti Tecnologici che operano a scala nazionale, delle strutture
associative imprenditoriali, settoriali o di secondo livello.
Va altresì tenuta presente l’esistenza di operatori per lo smaltimento e il recupero di
materiali end-of-use, quali, ad esempio, il Consorzio Materie Plastiche, il Consorzio Olii
usati, il Consorzio Batterie, che hanno dimostrato di svolgere con efficacia ed
efficienza la propria missione. Questa però deve essere riorientata e focalizzata verso
la rigenerazione-riuso di materiali secondo il modello della Circolarità.
• Per quanto riguarda la fase di Utilizzo/Consumo, va evidenziato che per le imprese
operanti all’interno di una filiera produttiva/distributiva, valgono le precedenti
considerazioni.
Per quanto riguarda poi i cittadini/consumatori da loro dipende la propensione
all’acquisto di beni configurati secondo le “regole” della Circolarità, e quindi con una
rilevante componente di materiali da riciclo/riuso/rigenerazione. In questo senso i
cittadini debbono evolvere da “consumatori” a “conservatori”.
Tale propensione è condizionata, da un lato, dalla crescente e diffusa sensibilità alle
problematiche della salvaguardia dell’Ecosistema in cui i cittadini/consumatori vivono
e, più in generale, del pianeta e, dall’altro, dalla economicità dei beni acquistabili,
182
soprattutto nel quadro di un miglioramento delle loro prestazioni funzionali e di un
mantenimento dei livelli di prezzo.
Infatti, data la prolungata crisi economica e occupazionale in Italia con la
conseguente riduzione della disponibilità di reddito e della capacità di acquisto di
molte componenti della società italiana, è da attendersi che ancora per un non
trascurabile periodo di tempo sarà limitata la propensione all’acquisto di beni
ambientalmente sostenibili e “circolari”, a meno che essi non vengano offerti a prezzi
concorrenziali con quello dei beni “non circolari”.
Uno stimolo all’utilizzo di beni “circolari” può venire dal diffondersi del modello di
Sharing Economy, che con lo spostamento del comportamento dei cittadini dal
possesso di beni verso il loro semplice utilizzo, senza possesso, può incrementare,
tramite l’accresciuto tasso di utilizzo dei beni durevoli, la loro economicità in una
prospettiva di Circolarità.
Un ruolo fondamentale per promuovere e stimolare tale evoluzione dei modelli di
acquisto di imprese viene dagli organi pubblici di governo attraverso le emanazioni di
regolamenti, standard e normative tecnico-prestazionali-funzionali progettati nella
prospettiva della Circolarità.
L’azione degli organi pubblici di governo può estrinsecarsi, anche con impatti positivi
rilevanti, in interventi sui piani della formazione, dell’informazione e della
comunicazione per la diffusione della cultura della Circolarità fra cittadini e imprese.
Ma anche organizzazioni non governative che operano in campo culturale e sociale
possono svolgere una efficace azione di promozione fra i cittadini di una cultura della
innovazione orientata alla Circolarità. Simile azione possono svolgere le Associazioni
imprenditoriali e professionali nei confronti dei propri associati.
4. Le azioni delle Regioni
In relazione al ruolo degli organi di governo nella evoluzione del sistema produttivo
verso la Circolarità si riportano i risultati di una indagine condotta da Fondazione
COTEC sulle strategie e sugli strumenti adottati da alcune Regioni Italiane (Piemonte,
Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia) per l’implementazione del modello di Economia
Circolare.
183
Analizzando le azioni regionali in termini di fase del ciclo di vita dei prodotti sui quali
intervengono, di strumenti utilizzati e di tematiche affrontate, si è registrato il numero di
casi riscontati, come riportato nelle seguenti Tabelle 2-3-4.
Tab. 2 Fase del ciclo di vita
R&S XXX
Produzione XX
Commercializzazione/distribuzione X
End-of-use XXXX
Tab. 3 Tipologia di strumento
Politiche - Piani XXX
Regolamenti/Normative XXX
Incentivi alla innovazione XXX
Progetti dimostrativi X
Comunicazione/Piattaforme informative
XXX
Tab. 4 Tematica
Rifiuti XXX
Emissioni XXX
Materie seconde XXX
Energia XXX
Acqua XX
Risorse Naturali XX
Prodotti (Intermedi/Finali) XXX
Cultura degli imprenditori/ Management
XX
• Per quanto riguarda la fase “Rigenerazione/Riuso/Riciclo” valgono per i cittadini e le
imprese le considerazioni svolte in precedenza, alle quali si aggiunge il ruolo di
184
università/centri di ricerca per lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie innovative a
sostegno del conseguimento ottimale di tali obiettivi.
Ovviamente, come già indicato, un impulso rilevante alla attuazione del modello di
Economia Circolare può venire da regolamenti, normative tecniche e standard,
opportunamente progettati e implementati soprattutto per quanto riguarda la
realizzazione di un oggettivo ed efficace mercato delle “materie seconde”,
consentendo lo scambio di materiali end-of-use per alcune imprese ad altre imprese
che le possono utilizzare come input dei propri processi produttivi. Peraltro l’attuale
situazione si presenta non favorevole a questa evoluzione, stante l’interazione
negativa fra normative sui rifiuti e Regolamento REACH, il che rende assai onerosa
l’innovazione dei materiali attraverso il riuso o la rigenerazione di materiali end-of-use
e quindi l’attuazione del end of waste.
5. I livelli di azione
Ripercorrendo le considerazioni svolte in precedenza riguardo i comportamenti e le azioni
che dovrebbero essere assunti ed attuati dai diversi soggetti coinvolti nell’attuazione del
modello di Economia Circolare, è possibile caratterizzarli in base al livello di azione
richiesta ai diversi soggetti al fine di elaborare adeguate policies e iniziative articolate
secondo lo schema generale di Fig. 2.
Si tratta dei seguenti livelli:
1. Macro
2. Meso
3. Micro
1. A livello “Macro”, occorre che a dimensione Paese venga elaborata una strategia
di medio-lungo termine per l’attuazione del modello di Economia Circolare, peraltro
in un contesto europeo e internazionale sempre più condizionante sia per lo stato di
avanzamento dell’integrazione europea, sia per i processi di globalizzazione in atto
(tanto più in fase di sottoscrizione di trattati sulle regole del commercio
internazionale, quali il CETA, TPP, TTIP), la cui evoluzione sembra però indirizzarsi in
senso contrario al modello di Economia Circolare.
Alla base di tale strategia deve essere una Visione condivisa da tutti gli stakeholder
rilevanti del sistema socio-economico e istituzionale del Paese, riguardo il futuro del
185
sistema produttivo nazionale, che nelle sue diverse articolazioni settoriali e territoriali
abbia come riferimento strategico la Circolarità.
La Visione per avere concrete possibilità di attuazione attraverso adeguate policies
e strumenti, deve essere elaborata attraverso un processo partecipativo che
coinvolga tutti gli stakeholder rilevanti, con lo scambio di informazioni, la
condivisione di esigenze e aspettative dalla Circolarità in modo da conseguire un
ampio consenso sugli obiettivi strategici e porre le basi e il presupposto per azioni
coordinate e integrate con approccio sistemico fra i vari stakeholder.
2. A livello “Meso” debbono essere elaborate policies e progettati strumenti di
intervento che consentano di delineare e seguire una road-map che porti alla
implementazione della visione del modello di Economia Circolare.
Tale policies e strumenti devono intervenire sui fattori rilevanti individuati nella Fig. 2,
che condizionano come driver o vincoli l’evoluzione dell’economia italiana verso la
Circolarità.
Si tratta in particolare di azioni richieste agli organi pubblici di governo a scala
nazionale e regionale/locale, nei campi di Regolamenti/Normative, Scienza &
Tecnologia, Finanza, Struttura produttiva, Cultura della Circolarità, nel contesto
Geopolitico internazionale.
Anche altri attori sono chiamati a porre in essere opportune azioni di supporto e
affiancamento delle politiche pubbliche. Si tratta in particolare di banche/operatori
finanziari che possono svolgere una efficace azione di sistema, e di Associazioni
imprenditoriali (settoriali e territoriali), che possono contribuire alla elaborazione di
appropriate iniziative a favore dei propri associati. Di rilievo a questo livello sono
anche i potenziali “incroci” (relativi a obiettivi specifici e relative risorse) con
strumenti di policy nazionali su altri fronti (esempi in tal senso sono il già citato
programma Industrie 4.0, la Strategia Energetica Nazionale recentemente varata, il
documento strategico su Ambiente e Clima recentemente nesso in consultazione
dal Ministero dell’Ambiente).
3. A livello “Micro” si collocano le specifiche azioni progettuali dei diversi soggetti
(imprese, università/centri di ricerca, banche, ecc) per l’attuazione delle policies e
l’utilizzo degli strumenti di intervento. Un fattore significativo è la precisazione dei
criteri di convenienza relativa tra scelte mirate al recupero di materiali, o di
componenti o di sottosistemi (in passato scelte affrettate di recupero dei materiali
hanno portato a disperdere la quota di valore associata alla combinazione di parti -
186
o semplicemente di parti - ancora funzionati e potenziale oggetto di
“rigenerazione”).
6. Alcune proposte Fondazione COTEC di linee di azione
• Le precedenti considerazioni possono essere sintetizzate in alcune indicazioni circa
le linee di azione con le quali perseguire la implementazione in modo estensivo del
modello di Economia Circolare:
− Adottare un approccio sistemico alla innovazione, che intervenga su tutti i
molteplici e diversificati fattori, in particolare quelli tecnologici, che
condizionano l’implementazione del modello; in questo senso va evitato il
rischio di frammentazione di un’azione articolata per singoli segmenti, ciascuno
con una propria e autonoma visione strategica, quali R&S, Industria,
Innovazione, Ambiente, Agricoltura.
Le linee esposte nel citato documento della Commissione Europea sulla
Economia Circolare debbono essere completate con l’indicazione delle misure
necessarie per evitare che le azioni UE mirate all’Economia Circolare
costituiscano un ulteriore segmento distinto, invece che un’occasione di
coordinamento.
− Tenuto conto della diversità ed autonomia degli agenti che controllano e
governano tali fattori, sviluppare una incisiva azione di integrazione e di
coordinamento delle attività di tali agenti.
− Gli organi di governo alle diverse scale territoriali possono promuovere e
attivare queste azioni di integrazione e di coordinamento, avendo alla base e
come prerequisito la condivisione di una visione del futuro del sistema
produttivo nazionale che, pur nelle sue diverse articolazioni territoriali e
settoriali, abbia come riferimento strategico la Circolarità, e venga elaborata
con le modalità prima delineate.
− Il modello di Economia Circolare, pur avendo una impostazione concettuale
comune, deve essere attuato in modo da tener conto delle specifiche
caratteristiche dei processi e degli agenti coinvolti e quindi da rispondere in
modo dedicato alle loro diversificate esigenze ed aspettative.
• A supporto di queste possibili linee di azione vengono i risultati elaborati da
Fondazione COTEC nell’ambito del progetto di ricerca Futuring European Industry,
187
finanziato dalla Commissione Europea, DG Ricerca & Innovazione. Essi forniscono
una Visione della Industria Europea all’anno 2030 sotto forma di Scenari alternativi,
focalizzata sulla possibile evoluzione secondo il modello della Economia Circolare.
• Come primo passo, ancora di approfondimento delle conoscenze, si propone di:
− Effettuare uno studio prospettico con la metodologia del Foresight per
individuare per alcune filiere produttive le possibili evoluzioni della loro struttura
verso il modello della Economia Circolare, evidenziando i fattori critici, in
particolare le tecnologie innovative, che condizionano tale evoluzione.
Le filiere da analizzare possono essere individuate in base ai seguenti criteri:
− essere costituite da insiemi di MPMI senza che esistano grandi aziende
sistemiche “capo di filiera”, con focalizzazione su beni di consumo (ad
esempio, prodotti di arredamento) oppure su beni strumentali (ad esempio,
sistemi di produzione manifatturiera); oppure
− avere grandi aziende “capo di filiera”, che integrano una molteplicità di sotto
sistemi/componenti/materiali forniti da produttori indipendenti (ad esempio,
automotive, un comparto di cui va sottolineato il ruolo prototipale di contenuti
dell’Economia Circolare svolto in applicazione di apposite norme europee); in
ogni caso
− avere prodotti caratterizzati da un elevato potenziale di rigenerazione/riuso (ad
esempio, costruzioni edili e agroindustria).
L’output di questo studio si configura come una visione della possibilità di
evoluzione dei settori considerati verso il modello di Economia Circolare in una
prospettiva di medio termine, insieme alla relativa road-map, con l’indicazione dei
fattori critici e delle azioni richieste ai diversi stakeholder per il conseguimento di
tale visione.
188
SITUACIÓN Y EVOLUCIÓN DE LA ECONOMÍA CIRCULAR EN ESPAÑA1
La Economía Circular representa una gran oportunidad para nuestro país y para Europa.
Mejora el uso de los recursos y aporta valor agregado a los negocios, englobando, al mismo
tiempo, sostenibilidad ambiental, lucha contra el cambio climático y bienestar
socioeconómico para las generaciones presentes y futuras.
La Economía Circular ha empezado a introducirse en la actual política económica y
ambiental de la Comisión Europea, particularmente a través del Plan de Acción de la UE
para la Economía Circular presentado por la Comisión Europea al Parlamento Europeo en
diciembre de 2015. El plan define un mandato basado en la integración de un cambio de
paradigma económico en la UE que incluya la colaboración y el compromiso
gubernamental a escala nacional, regional y local, con la contribución de todas las partes
interesadas.
La transición hacia una Economía Circular es una ventaja para la UE, en el sentido de que
incrementa su propia competitividad y sostenibilidad, construyendo un sistema económico
más resiliente y adaptable a la escasez de materias primas y recursos energéticos, así como
previendo la volatilidad financiera y propulsando la innovación y eficiencia empresarial,
hechos que cambiarán, de manera radical, los patrones de producción y consumo.
Esta transición puede crear un número sustancial de puestos de trabajo, favorecer el
crecimiento socioeconómico a escala local y fortalecer la cohesión social y la integración.
Al mismo tiempo, el nuevo modelo de producción y consumo circular limitará y/o evitará el
impacto ambiental y los daños irreversibles en el clima y la biodiversidad, reduciendo las
emisiones de gases invernadero.
Según las estimaciones de la Comisión Europea, si se aplica toda la normativa vigente en
materia de residuos se crearían más de 400.000 empleos en la Unión Europea, de los cuales
52.000 se localizarían en España. Al fin de impulsar la transición hacia la Economía Circular
es necesario crear una red de indicadores que facilite un sistema de toma de decisiones
integrado, que permita evaluar y determinar la situación y el progreso de un cambio de
paradigma económico, especialmente en sus fases de producción y consumo.
En la actualidad no se dispone de una metodología específica suficientemente elaborada
y consensuada para el seguimiento y evaluación de los procesos de Economía Circular. Es
1 http://cotec.es/media/informe-‐CotecISBN-‐1.pdf
189
indudable que, además de los indicadores ya consolidados del análisis de eficiencia y flujos
materiales, durante los próximos años se realizará el desarrollo integral de los sistemas de
evaluación e indicadores con metodologías específicas más avanzadas en todas las fases
del ciclo productivo y de consumo.
En el proceso de construcción de los nuevos sistemas de indicadores de Economía Circular
hay que tener en cuenta que una parte 2considerable de éstos aún no están totalmente
desarrollados, especialmente los relativos a la prevención del uso excesivo de materias
primas, el ecodiseño y la eco innovación. En cambio, se ha avanzado notablemente en el
uso eficiente de materiales y la gestión de residuos, aunque se reconoce de antemano que
son necesarios mayores esfuerzos para dar una visión más completa y detallada de los
progresos de la Economía Circular hacia el desarrollo sostenible.
España, como Estado miembro, se compromete con los esfuerzos de la UE para desarrollar
una economía eficiente en el uso de recursos, competitiva, sostenible y baja en emisiones
de dióxido de carbono. A estos efectos, la Comisión Europea aprobó en 2015 el Plan de
Acción de la UE para una Economía Circular, con el establecimiento de un programa de
medidas legislativas que cubre todo el ciclo de producción y consumo.
El avance hacia una Economía Circular mediante procesos ecoeficientes y sostenibles
requiere el desacoplamiento entre la actividad económica y la degradación ambiental, lo
cual exige un cambio de modelo productivo más eficaz, que atienda las necesidades
reales de la sociedad de acuerdo con las capacidades ambientales.
Además de los considerables efectos de la crisis socioeconómica, en el ámbito de la
producción y el consumo se mantienen determinadas rigideces estructurales de la
economía española que dificultan la consolidación de procesos basados en la
ecoeficiencia y en la racionalización del consumo. El cambio de modelo, en todo caso,
debe fundamentarse en el desacoplamiento del crecimiento económico respecto de las
presiones ambientales derivadas del consumo de recursos y la generación de residuos.
En este sentido, las tendencias que siguen las variables de Economía Circular analizadas en
este trabajo parecen adivinar que la mejora en los niveles de productividad material de la
economía española coincide con el “pinchazo” de la burbuja inmobiliaria. Esto,
inmediatamente, provoca un descenso en la intensidad del consumo material de la
190
economía española, y de sus necesidades materiales. Y todo ello repercute en los niveles de
extracción material nacional y de requerimientos totales de materiales que, de superar
holgadamente los niveles medios del resto de países miembros de la Unión Europea, pasan
a reducirse notablemente para estabilizarse en niveles bajos respecto de la media de los
países de la Unión.
En el caso de España, las iniciativas sobre Economía Circular son incipientes y hasta ahora
las medidas adoptadas han estado centradas, sobre todo, en las políticas ambientales de
la fase final del ciclo económico, tal como es la gestión de los residuos, donde se cuenta
con un Plan Estatal Marco de Gestión de Residuos 2016–2022 a medio plazo. Por otro lado,
también se abren nuevas perspectivas para los bioprocesos con la Estrategia Española de
Bioeconomía Horizonte 2030.
La situación y evolución de la economía material en España es coherente con la tendencia
europea. En el conjunto de la UE, la productividad de los recursos ha mejorado de manera
constante desde 1,52 EUR/kg en 2002, hasta 1,95 EUR/kg en 2014, aunque hay que tener en
cuenta que el progreso de los distintos Estados Miembros no es uniforme, ya que depende
de muchos factores nacionales particulares. Este aumento fue mayor que la tasa de
crecimiento del Producto Interior Bruto (PIB) durante el mismo período.
191
Esto marca una tendencia hacia un desacoplamiento del uso de los recursos respecto de la
producción económica y también sugiere que la actividad económica “circular” puede
estar empezando a desarrollarse.
La situación en España está condicionada por la recesión económica que ha provocado
ciertos cambios en los procesos productivos y consuntivos que podrían aprovecharse para
iniciar la transición hacia una economía más sostenible.
Hasta el 2007 el PIB crecía a un ritmo constante y no se podía hablar de ganancia de
ecoeficiencia en casi ninguno de los sectores de la economía, a excepción de los residuos,
el agua suministrada a los sectores económicos y las viviendas iniciadas, que comenzaron a
dar muestras de desacoplamiento, desde el 2005 en adelante. Sin embargo, a partir del
2007 cambia por completo el panorama, el PIB inicia un notable descenso y con él la
actividad económica en los distintos sectores.
La situación española referida al consumo de recursos y la evolución y tendencias de los
principales sectores económicos que tienen una incidencia relevante en los procesos de
Economía Circular se puede resumir con los siguientes datos:
• El consumo nacional de materiales en España se ha reducido casi un 50% entre 2008
y 2012. La productividad del CNM ha crecido un 85%, mientras que la intensidad por
PIB (relación entre el consumo de productos, expresado en toneladas y el PIB en
euros) ha descendido un 46% y por habitante también casi un 50%.
• La intensidad energética de la economía es inferior al promedio de la UE-28 y en 2013
fue el séptimo país europeo con menor intensidad. En el periodo 2000–2013, la
intensidad energética de la economía en España se redujo casi un 20%.
• En el sector de la industria, la crisis económica ha quebrado la tendencia positiva del
período 2005-2008 sobre la inversión ambiental de la industria, produciéndose una
caída de la inversión en protección del medioambiente del 60% durante los últimos
años. Esto no indica una posición favorable para reducir el impacto ecológico del
sector. La demanda de energía final por parte del sector industrial ha disminuido
durante el período de crisis económica.
• La generación de residuos municipales mantiene una tendencia generalizada de
descenso en los últimos años. En el período 2000-2013, esta reducción en la
generación de residuos municipales por habitante ha llegado al 31,8%. En cambio,
en la UE-27 ha descendido en menor medida, tan solo un 8,0%, debido a que la
situación de partida ya presentaba una generación más reducida.
192
Uno de los subsectores más dinámicos es el de la Industria Ecológica o Eco-industria, siendo
una de las claves de la mejora de la sostenibilidad y de la Economía Circular, con
capacidad, además de generar nuevas fuentes de empleo sostenible. Para facilitar la
transición hacia la Economía Circular en España se necesitan nuevas iniciativas políticas,
empresariales y sociales centradas en el objetivo general de fomentar las capacidades
endógenas para favorecer la transición hacia la Economía Circular, en línea con lo
marcado por la Comunidad Europea. Esto fomentaría la consolidación de una economía
193
diversificada, sostenible, hipocarbónica y ecoeficiente que favorezca las opciones de
empresas innovadoras, eficientes y competitivas a nivel internacional.
Tales iniciativas irán aflorando y marcando determinadas pautas en el futuro, aunque para
poder ser verdaderamente efectivas deben encuadrarse en una hoja de ruta nacional
para la Economía Circular y que cuente con adecuados mecanismos de coordinación y
participación transversal para cumplir con los planteamientos estratégicos de la UE.
Del mapa de las conexiones entre provincias de España y sectores de producción se
aprecia una cierta concentración de empresas que trabajan bajo los principios de una
Economía Circular. Entre los sectores donde se han identificado distintos nexos se encuentra
principalmente el de reciclaje y el textil, compartido con Madrid, Cataluña, Navarra y País
Vasco, seguido del sector alimentario, entre País Vasco, Cataluña y Andalucía. La
investigación y el desarrollo también es un sector en el que se crean nexos, como por
ejemplo el que existe entre Navarra y Cataluña.
Aunque en España no exista una estrategia de Economía Circular, y lo más próximo a ello
sea el nuevo Plan Estatal Marco de Gestión de Residuo y la Estrategia española de
Bioeconomía Horizonte 2030, existen planes a nivel autonómico, como los que encontramos
en Andalucía, Cataluña o País Vasco. La Estratègia d’impulsa l’economia verda i a
l’Economia Circular aprobada por el ACORD GOV/73/2015, de 26 de mayo, el IV Plan
Ambiental del País Vasco y la Estrategia Andaluza de Bioeconomía son solo algunos de los
ejemplos del cambio en el paradigma económico que empieza a nacer en el seno de
nuestro país.
El marco estratégico ofrecido por la UE debería ser el referente fundamental para España
en cuanto a las opciones estratégicas de cambio. Hasta el momento, la política ambiental
de nuestro país no favorece algunos de los cambios legislativos ya implantados en la UE, a
diferencia de otros países, donde ya se aplican estos cambios en sus estrategias
ambientales.
Con el fin de aprovechar de manera sistémica las ventajas de la Economía Circular, que
implica un cambio radical del sistema de producción y consumo, es necesario definir una
hoja de ruta clara, que comprenda objetivos y estrategias de largo plazo, así como
medidas y acciones de corto plazo, y que integre los esfuerzos a diferentes niveles: estatal,
autonómico y local, incluyendo también el rol de las ciudades y de sectores industriales
específicos.
194
Para realizar una hoja de ruta ambiciosa es necesario utilizar un proceso participativo que
involucre a todos los actores que ya están liderando la transición, y pueda extenderse
también a otros actores estratégicos a varios niveles, con el fin de poder definir estrategias y
acciones ambiciosas y concertadas que puedan ser implementadas de manera más eficaz.
La hoja de ruta tendrá que enfrentar los retos principales, incluyendo, sobre todo:
- Políticas. Desarrollo y armonización de legislaciones. Normativas a nivel nacional y regional
en consonancia con las líneas estratégicas europeas, que puedan incluir temas claves
como, por ejemplo, las compras verdes.
- Fiscalidad. Reforma y definición de impuestos e incentivos combinados para la reducción
de insumos materiales y energéticos, incentivando también patrones de eficiencia y
sostenibilidad en la fase de producción y de consumo, considerando también la
administración pública, así como el potencial de creación de empleo.
- Formación. Definir estrategias a largo plazo. La introducción de elementos educativos de
consumo responsable desde el inicio de la escolarización podría ser una clave en el
avance. La formación profesional continua tendrá que otorgar el soporte a la creación de
nuevos modelos de negocios, al desarrollo y al uso de nuevas tecnologías.
195
La hoja de ruta tendrá que enfrentar una cuestión clave transversal como la del desarrollo
de un sistema de evaluación integrado por la Economía Circular, soportado por un sistema
de recogida de datos y elaboración estadística, a nivel regional y nacional en línea con el
europeo. Este sistema de evaluación integrado, como se subraya en este informe, tiene un
valor estratégico y serviría para apoyar la toma de decisiones. Ofrecería una comparación
exhaustiva de diferentes políticas, estrategias y medidas específicas para trabajar en una
base legislativa sólida.
Los usos del suelo y la gestión del recurso hídrico integral son cuestiones de gran importancia
para la sociedad actual. La transición a una Economía Circular debe prever la forma de
enfocar la distribución de estos recursos limitados para que no se sobreexploten,
fortaleciendo así un ciclo sostenible que permita su reúso y el equilibrio medioambiental.
Otra cuestión de importancia, con fuertes implicaciones a nivel local y urbano, es el
desarrollo del potencial de la industria para poder iniciar una transición hacia la Economía
Circular, sobre todo en relación con dinámicas de simbiosis industrial que incluyan el uso
eficiente y compartido de recursos y materiales, fomentando la eficiencia energética de los
procesos y fortaleciendo el conocimiento.
Las iniciativas ciudadanas informales y autogestionadas son cruciales para dar impulso a la
Hoja de Ruta hacia una Economía Circular. Estas actividades promueven la responsabilidad
medioambiental, la reducción del consumo y la concienciación en temas como la
separación y el reciclaje integral de residuos para su correcto tratamiento. Estas iniciativas,
con el apoyo institucional necesario, facilitan el fortalecimiento de una idea de
sostenibilidad y su replicación con un impacto directo a medio y largo plazo en nuestra
sociedad actual.
En conclusión, la transición hacia una Economía Circular en España representa una gran
oportunidad para el crecimiento económico y para la creación de puestos de trabajo
desacoplados del consumo de recursos no renovables y de la producción de
externalidades negativas, que puede tener impactos realmente positivos en los planos
socioeconómico y medioambiental. Para poder dar impulso a este potencial innovador es
necesario armonizar esfuerzos y definir estrategias claras a largo plazo. La definición de las
acciones inmediatas a través de la creación de una hoja de ruta sería la forma de implicar
activamente a todos los actores involucrados.