cap 13 (controlli non distruttivi)

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323 CAPITOLO 13 CONTROLLI NON DISTRUTTIVI 13.1 INTRODUZIONE I controlli non distruttivi (CND) permettono di individuare la presenza di alterazioni nei pezzi, senza pregiudicare la funzionalità del manufatto. Innanzi tutto, bisogna sottolineare il corretto significato dei termini alterazione e difetto. Alterazione è una qualsiasi mancanza d’integrità del pezzo (cricca, porosità, inclusione solida, ecc.); difetto è un’alterazione di dimensioni superiori a limiti imposti dalle norme od in fase di progettazione della struttura sottoposta a controllo. Nella descrizione delle tecniche di controllo non distruttivo risulta, quindi, più corretto utilizzare il termine alterazione, per identificare l’oggetto del controllo, in quanto non si entra nel merito delle dimensioni rilevate. Quando si effettua un controllo, invece, è importante poter determinare con precisione le dimensioni di quanto viene rilevato, in modo da poterlo classificare alterazione (quindi accettabile) o difetto. In quest’ultimo caso, la resistenza del pezzo risulta compromessa e ciò ne determina lo scarto o rende necessario procedere a riparazioni (rimozione della zona in cui è presente il difetto e successivo ripristino della geometria del pezzo, ad esempio mediante saldatura di riempimento). Altro aspetto da sottolineare è il fatto che la validità di un controllo è influenzata da diversi fattori, quali: la scelta del tipo di controllo, che deve essere adeguato ad effettuare l’analisi del manufatto (ad esempio non si otterrà alcuna indicazione se si effettua un controllo magnetoscopico su un pezzo in lega d’alluminio, in quanto materiale non magnetizzabile. L’assenza di indicazioni non assicura che non vi siano alterazioni); la scelta delle modalità esecutive, con la conseguente stesura delle relative procedure; l’adeguatezza della strumentazione, che deve essere certificata e tarata;

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  • 323

    CAPITOLO 13

    CONTROLLI NON DISTRUTTIVI

    13.1 INTRODUZIONE

    I controlli non distruttivi (CND) permettono di individuare la presenza di alterazioni

    nei pezzi, senza pregiudicare la funzionalit del manufatto.

    Innanzi tutto, bisogna sottolineare il corretto significato dei termini alterazione e

    difetto.

    Alterazione una qualsiasi mancanza dintegrit del pezzo (cricca, porosit,

    inclusione solida, ecc.); difetto unalterazione di dimensioni superiori a limiti

    imposti dalle norme od in fase di progettazione della struttura sottoposta a controllo.

    Nella descrizione delle tecniche di controllo non distruttivo risulta, quindi, pi

    corretto utilizzare il termine alterazione, per identificare loggetto del controllo, in

    quanto non si entra nel merito delle dimensioni rilevate.

    Quando si effettua un controllo, invece, importante poter determinare con

    precisione le dimensioni di quanto viene rilevato, in modo da poterlo classificare

    alterazione (quindi accettabile) o difetto. In questultimo caso, la resistenza del pezzo

    risulta compromessa e ci ne determina lo scarto o rende necessario procedere a

    riparazioni (rimozione della zona in cui presente il difetto e successivo ripristino

    della geometria del pezzo, ad esempio mediante saldatura di riempimento).

    Altro aspetto da sottolineare il fatto che la validit di un controllo influenzata da

    diversi fattori, quali:

    la scelta del tipo di controllo, che deve essere adeguato ad effettuare lanalisi

    del manufatto (ad esempio non si otterr alcuna indicazione se si effettua un

    controllo magnetoscopico su un pezzo in lega dalluminio, in quanto materiale

    non magnetizzabile. Lassenza di indicazioni non assicura che non vi siano

    alterazioni);

    la scelta delle modalit esecutive, con la conseguente stesura delle relative

    procedure;

    ladeguatezza della strumentazione, che deve essere certificata e tarata;

  • 324

    il rispetto delle indicazioni riguardanti la preparazione dei pezzi da ispezionare

    (ad esempio, la mancata rimozione del grasso dalla superficie di pezzi da

    sottoporre a controllo con liquidi penetranti pu impedire la rilevazione di

    unalterazione);

    lesperienza del personale.

    I CND devono essere effettuati da personale qualificato, ossia che abbia ricevuto un

    opportuno addestramento e che abbia maturato una sufficiente esperienza

    professionale. Inoltre, il personale addetto ai CND deve avere una condizione fisica

    che lo renda adatto ad eseguire correttamente i controlli (ad esempio, adeguata acuit

    visiva).

    La corrispondenza a questi requisiti viene verificata mediante appositi esami e

    controlli e loperatore che li supera ottiene una certificazione (specifica per il tipo di

    controllo per cui ha sostenuto lesame).

    In Italia, la certificazione del personale addetto ai CND regolamentata dalla norma

    UNI EN 473 ed nominativa; in America, invece, la certificazione di propriet del

    datore di lavoro e quindi loperatore perde la certificazione se cambia azienda.

    Per ogni tipo di controllo, si possono ottenere tre livelli di certificazione:

    livello 1: abilita ad effettuare operazioni di controllo, seguendo istruzioni

    scritte redatte da un livello 2;

    livello 2: abilita a redigere le istruzioni per i livelli 1 ed i resoconti di prova

    relativi ai controlli eseguiti dai livelli 1;

    livello 3: abilita a dirigere tutte le attivit di controllo a cui riferita a

    certificazione.

    I controlli non distruttivi possono essere effettuati durante la costruzione del

    manufatto e/o durante lesercizio dello stesso.

    I controlli durante la costruzione sono finalizzati ad assicurare che le discontinuit

    presenti nel componente siano tali da soddisfare i limiti di accettabilit previsti a

    progetto.

    Le ispezioni effettuate in esercizio hanno lo scopo di definire lo stato di un

    componente durante lutilizzo ed il suo grado di affidabilit. In tal modo, si pu

    intervenire sul componente prima che il danno abbia provocato effetti irreparabili.

  • 325

    Per poter eseguire correttamente un controllo, loperatore deve conoscere la tipologia

    di manufatto che sta esaminando (laminato, forgiato, estruso, lavorato di macchina,

    saldato, ecc.), il materiale con cui realizzato il pezzo (compreso lo stato di fornitura:

    bonificato, temprato, invecchiato, ecc.) e le condizioni di esercizio (sollecitazioni,

    temperature e composizione dei fluidi che vengono a contatto con il manufatto in

    esame).

    Le tipologie di CND possono essere cos suddivise:

    indagini difettoscopiche: individuano, posizionano e dimensionano

    discontinuit sia interne sia superficiali, aventi caratteristiche sia

    bidimensionali (cricche) sia tridimensionali (porosit, scorie).

    A questa categoria di controlli appartengono gli esami visivi, quelli con liquidi

    penetranti, magnetoscopici, radiografici, ultrasonori e con correnti indotte, i

    controlli basati sulle emissioni acustiche, sulla rilevazione di fughe e la

    termografia;

    indagini strutturali: individuano alterazioni della struttura metallurgica del

    manufatto. Si utilizzano microscopi, in modo da esaminare in dettaglio la

    struttura del materiale;

    indagini di tipo dimensionale: verificano il rispetto delle tolleranze di progetto

    e permettono di rilevare alterazioni dimensionali (riduzioni di spessore dovute

    a corrosione, erosione, ecc.). I rilievi vengono effettuati con calibri, micrometri

    oppure, quando la misurazione diretta non possibile a causa

    dellinaccessibilit del pezzo da entrambe le parti, mediante luso di

    ultrasuoni.

    Nellambito del presente testo, verranno descritte solamente le indagini

    difettoscopiche.

    Per scegliere il controllo appropriato alla specifica situazione, bisogna conoscere le

    differenze esistenti tra le diverse tipologie di indagine.

    In relazione alla posizione dellalterazione che si deve individuare, si possono

    distinguere i metodi superficiali ed i metodi volumetrici.

    I metodi superficiali (ossia quelli che sono solo in grado di rilevare la presenza di

    alterazioni affioranti in superficie o presenti poco sotto la stessa) sono:

  • 326

    lesame visivo;

    il controllo magnetoscopico;

    i liquidi penetranti;

    le correnti indotte.

    I metodi volumetrici (ossia quelli che consentono di evidenziare alterazioni presenti

    sia sulla superficie sia nel volume del manufatto) sono:

    lesame radiografico;

    lesame ultrasonoro;

    la termografia;

    la rilevazione di fughe;

    lemissione acustica.

    Lunico metodo che in grado di caratterizzare unalterazione in modo completo

    (tipologia, dimensioni, posizione) il controllo ultrasonoro.

    Prima di effettuare qualsiasi tipo di controllo, si esegue unispezione visiva dei pezzi.

    Nel prossimo paragrafo, saranno quindi date alcune indicazioni sulla strumentazione

    che si deve utilizzare e sui criteri che si devono seguire per effettuare questa indagine,

    soprattutto nei casi in cui la zona da controllare non sia facilmente accessibile.

  • 327

    13.2 CONTROLLO VISIVO

    Il controllo visivo serve per verificare la presenza di difettosit grossolane, quali la

    mancanza di un bullone in una struttura bullonata, e soprattutto il grado di

    ossidazione di una superficie (in modo da stabilirne la causa e verificarne la

    pericolosit).

    Dato che il colore degli ossidi dipende dalla sostanza che li ha generati (ad esempio il

    rame crea ossidi verdi, lossido di ferro rosso e lossidazione in condizioni di

    scarsit di ossigeno nera), di fondamentale importanza eseguire il controllo visivo

    in condizioni standardizzate di illuminazione.

    Lilluminazione pu essere definita mediante due grandezze: la temperatura colore

    ed il grado di illuminamento. La temperatura colore di una sorgente, espressa in

    Kelvin, indica in termini numerici il colore apparente di una sorgente luminosa. La

    luce del sole ha una temperatura colore di 3200 K e quindi, per non alterare la

    percezione del colore rispetto a quanto risulta durante un controllo effettuato in

    esterno, necessario che le lampade utilizzate, nel caso si effettuino controlli con

    luce artificiale, abbiano questa stessa temperatura colore.

    Il grado di illuminamento, che si misura in lux, dato dal rapporto tra il flusso

    luminoso emesso da una sorgente e la superficie dell'oggetto illuminato. Il grado di

    illuminamento per lesecuzione del controllo visivo deve essere almeno pari a 300

    lux.

    13.2.1 Tipologie di strumentazione

    Nel caso si debba ispezionare la superficie esterna di un pezzo, lesame visivo viene

    effettuato semplicemente ad occhio nudo, od utilizzando una lente con fattore

    dingrandimento al massimo pari a 5X.

    Se si devono ispezionare le superfici interne di un pezzo cavo (ad esempio di una

    valvola, di un recipiente o di un tubo), lesame visivo viene definito remoto e lo

    strumento normalmente utilizzato lendoscopio.

    Un endoscopio composto da:

    un sistema di illuminazione;

    un sistema di visione.

    A seconda del sistema di illuminazione utilizzato, si distinguono:

  • 328

    gli endoscopi a luce calda;

    gli endoscopi a luce fredda.

    13.2.1.1 Endoscopi a luce calda

    In questi strumenti, la luce viene generata e diffusa da una lampadina, alimentata da

    corrente continua a bassa tensione, posta in prossimit dellobiettivo, ossia

    sullestremit della sonda pi vicina alla superficie da osservare (zona chiamata

    distale o distal end).

    Questo tipo di endoscopi presenta i seguenti inconvenienti:

    non possono essere inseriti in aperture di dimensioni inferiori al diametro della

    lampadina;

    non possibile controllare la zona posta proprio davanti alla lampadina; si pu

    solo avere una sorta di visione panoramica, dato che la sorgente luminosa

    posta di fronte alla lente dellobiettivo;

    durante lispezione, la lampadina si scalda e quindi pericoloso utilizzare

    questo tipo di strumentazione in presenza di liquidi o vapori infiammabili;

    se la sonda viene immersa in liquidi, si pu avere corto circuito;

    la regolazione dellintensit luminosa, quando prevista, comporta una

    variazione delle caratteristiche cromatiche della luce prodotta (ingiallimento),

    dato che ottenuta variando la tensione di alimentazione della lampadina:

    lingiallimento della luce altera la percezione del colore della superfici in

    esame;

    la sorgente luminosa fragile: le eventuali rotture comportano la formazione

    di frammenti di vetro difficilmente estraibili dalla cavit.

    Per questi motivi, gli endoscopi a luce calda non sono quasi pi utilizzati.

    13.2.1.2 Endoscopi a luce fredda

    In questi strumenti, la sorgente luminosa collocata allesterno dellendoscopio, in

    un contenitore portatile chiamato fonte luminosa (light source).

    Nel contenitore alloggiato anche il circuito dalimentazione, una ventola di

    raffreddamento ed un meccanismo che agisce su di un diaframma regolabile,

    collocato davanti alla lampadina. Lilluminazione della zona da ispezionare viene,

    quindi, regolata agendo sullapertura del diaframma e non sulla tensione di

  • 329

    alimentazione della lampadina: la temperatura colore della luce emessa viene

    mantenuta costante.

    La luce viene condotta dalla sorgente fino allimpugnatura dellendoscopio tramite un

    cavo portaluce (light guide cable) costituito da fibre ottiche, sottilissimi fili di vetro

    (diametro pari a 10 - 15 m) che possono seguire percorsi anche molto tortuosi, data

    la loro elevata flessibilit.

    A seconda del sistema utilizzato per trasportare la luce dallimpugnatura fino alla

    zona distale, in fase sia di illuminazione sia di visione, gli endoscopi a luce fredda

    possono essere suddivisi in due tipologie:

    i boroscopi;

    i fibroscopi.

    Boroscopi

    I boroscopi sono strumenti ottici costituiti da una sonda rigida e rettilinea. Il diametro

    pu essere al minimo pari a 1,2 mm, mentre la lunghezza pu raggiungere i 2 metri

    (in tal caso il diametro non pu essere inferiore a 8 mm).

    Il sistema di trasporto della luce allinterno dellendoscopio composto da gruppi di

    lenti.

    Prismi ottici, montati in prossimit della zona distale, consentono lilluminazione e la

    visione in direzioni oblique.

    In fase di visione, limmagine focalizzata da una lente posta sullestremit distale

    deve raggiungere un oculare posto allestremit opposta dellendoscopio.

    Sulloculare, possibile montare una telecamera collegata ad un monitor.

    Fibroscopi

    I fibroscopi sono costituiti da una sonda flessibile, che permette quindi laccesso in

    cavit di geometria complessa, con andamento non necessariamente rettilineo. Il

    diametro minimo della sonda pari a 0,8 mm.

    La flessibilit della sonda dovuta al fatto che il sistema di trasposto della luce al suo

    interno costituito da fibre ottiche.

    Alcuni modelli di fibroscopi prevedono la possibilit di orientare la parte distale della

    sonda, agendo su tiranti azionati da comandi posti sullimpugnatura.

    Anche in questo caso, possibile collegare lendoscopio ad un monitor.

  • 13.3 CONTROLLO CON LIQUIDI PENETRANTI (UNI EN 571-1)

    Lesame con liquidi penetranti un metodo di controllo non distruttivo che permette

    di rilevare solo discontinuit affioranti in superficie, su pezzi realizzati con qualunque

    materiale, anche non metallico, purch non poroso.

    La superficie da controllare deve essere accuratamente pulita, in modo da eliminare

    grassi, oli, ruggine, vernici od altre sostanze estranee che impedirebbero la

    penetrazione del liquido nelle discontinuit superficiali. Anche lacqua pu ostacolare

    la corretta penetrazione del liquido e quindi deve essere eliminata mediante accurata

    asciugatura del pezzo.

    A seconda delle condizioni della superficie da preparare, possono essere impiegati

    diversi procedimenti di pulizia quali:

    pulizia con acqua, detergenti o solventi;

    attacchi chimici;

    spazzolatura (fig. 13.1). La sabbiatura non utilizzabile, in quanto lazione

    della graniglia potrebbe rendere le alterazioni non pi accessibili.

    Fig. 13.1

    Per rimuovere grasso, oli ed in genere prodotti di tipo organico sufficiente

    impiegare un solvente, come acetone o tricloroetilene. Il metodo di pulizia pi

    accurato prevede luso di vapori, ottenuti riscaldando il solvente, che lambiscono la

    superficie da pulire. Il contatto con la superficie fredda fa condensare i vapori; la

    goccia di condensa aumenta via via di dimensioni fino a che non riesce pi a

    contrastare la forza peso e si stacca dalla superficie, trascinando con s lo sporco. Le

    gocce cadono nella vasca contenente il solvente e lo sporco si deposita sul fondo,

    330

  • mentre il solvente rievapora. In questo modo, la superficie viene sempre lambita da

    solvente pulito.

    Nel caso di pezzi di grosse dimensioni o di impossibilit di utilizzare vapori, in

    quanto non sono disponibili adeguati sistemi di aerazione, la pulizia pu essere

    effettuata spruzzando il solvente e rimuovendo lo sporco con uno straccio (fig. 13.2).

    Fig. 13.2 Fig. 13.3

    In tal caso bisogna per utilizzare panni che non lascino residui, che potrebbero

    occludere le alterazioni, e sostituire spesso lo straccio, in modo da non ridepositare lo

    sporco appena asportato.

    Nel caso di particolari di piccole dimensioni, si pu anche effettuare la pulizia

    immergendo il pezzo in una vasca contenente il solvente (fig. 13.3), che per piano

    piano verr inquinato dalle sostanze rimosse.

    Ruggine ed ossidi in genere richiedono limpiego di attacchi chimici specifici, seguito

    da lavaggio con apposito inibitore, per evitare che la sostanza aggressiva vada ad

    intaccare la superficie sottostante.

    Una volta effettuata la pulizia, bisogna fare attenzione a non toccare il pezzo con le

    mani nude, in quanto anche il grasso delle mani costituisce una barriera alla

    penetrazione del liquido utilizzato durante il controllo.

    Dopo aver preparato il pezzo, si effettua il controllo vero e proprio, secondo le fasi

    schematizzate in figura 13.4.

    331

  • Applicazione del liquidopenetrante

    Rimozione del liquidopenetrante in eccesso

    Applicazione del rivelatore

    Ispezione

    Fig. 13.4

    Il liquido penetrante viene applicato sulla superficie da esaminare e lasciato agire in

    modo da permetterne la penetrazione nelle discontinuit affioranti.

    La scelta del metodo di applicazione (fig. 13.5) dipende da diversi fattori, quali la

    dimensione dei pezzi da controllare ed il fatto che il controllo avvenga in cantiere od

    in officina.

    332

  • Fig. 13.5

    Un metodo molto utilizzato, soprattutto in cantiere, lapplicazione a spruzzo. Nel

    caso si operi in luoghi chiusi e su superfici estese, necessario predisporre un

    adeguato sistema di ventilazione, in modo da evitare uneccessiva concentrazione del

    gas prodotto dalla nebulizzazione.

    Per il controllo di pezzi relativamente piccoli, il metodo migliore senzaltro quello

    per immersione, in quanto garantisce che la superficie venga bagnata in maniera

    uniforme. Tale metodo anche particolarmente adatto al controllo in serie, dato che

    facilmente automatizzabile.

    Infine, su pezzi di grandi dimensioni, si pu effettuare lapplicazione a pennello.

    Dopo aver atteso 15 30 minuti, il penetrante in eccesso viene rimosso dalla

    superficie, utilizzando un liquido (acqua o solvente) che abbia tensione superficiale

    sufficientemente elevata da non poter penetrare nelle discontinuit, fatto che

    determinerebbe lasportazione del liquido penetrato.

    Successivamente, si applica un mezzo assorbente, il rivelatore, in modo da riportare

    in superficie il liquido penetrato nelle alterazioni. 333

  • Lapplicazione del rivelatore avviene solitamente a spruzzo, in modo da distribuirlo

    in maniera uniforme. Il prodotto deve essere spruzzato da una certa distanza, rispetto

    alla superficie del pezzo da controllare, in modo da evitare che il getto asporti il

    liquido penetrato nelle alterazioni.

    Inoltre, lo strato di rivelatore deve essere sottile, specie se si vogliono rilevare

    alterazioni di piccole dimensioni, dai quali il penetrante pu emergere con difficolt.

    Le alterazioni risulteranno visibili o per contrasto di colore, tra penetrante e

    rivelatore, o per fluorescenza del penetrante.

    Si deve sottolineare il fatto che il controllo pu dare indicazioni affidabili solo se si

    proceduto ad unaccurata pulizia preventiva della superficie e se le condizioni

    ambientali sono tali da non far indurire od evaporare il liquido penetrante

    (generalmente la temperatura deve essere compresa fra 15 e 50 C).

    13.3.1 Principio su cui si basa il controllo

    Il controllo con i liquidi penetranti basato sui fenomeni di tensione superficiale e di

    salita e discesa capillare.

    La tensione superficiale causata dalla forza di coesione fra le molecole.

    Un esempio dellinfluenza della tensione superficiale la tendenza di una goccia di

    liquido a contrarsi in una sfera.

    Quando il liquido entra in contatto con una superficie solida, la forza di coesione

    viene contrastata dalla forza di adesione fra le molecole del liquido e quelle della

    superficie solida.

    Queste forze concorrono alla definizione dellangolo di contatto, , tra liquido e

    superficie. Se < 90, si dice che il liquido bagna la superficie; se 90 la

    bagnabilit scarsa (fig. 13.6).

    Buona bagnabilit Cattiva bagnabilit

    Fig. 13.6

    334

  • Un fenomeno strettamente correlato con la capacit di un liquido di bagnare una

    superficie quello della salita o della discesa capillare (fig. 13.7).

    a b c

    Fig. 13.7

    Se langolo di contatto tra il liquido e la parete del tubo capillare minore di 90

    (cio, se il liquido bagna la parete del tubo), il menisco del liquido nel tubo concavo

    ed il liquido sale nel tubo (fig. 13.7-a). Se = 90, non c n salita n discesa

    capillare (fig. 13.7-b). Se > 90, il menisco del liquido convesso ed liquido scende

    nel tubo (fig. 13.7-c).

    Lazione capillare rende possibile linfiltrazione del liquido anche in anfratti presenti

    su una superficie disposta sopratesta.

    Laltezza alla quale sale il liquido inversamente proporzionale alla densit di

    questultimo e direttamente proporzionale alla tensione superficiale del liquido ed alla

    pressione atmosferica agente sulla superficie libera del liquido presente allesterno

    del tubo.

    La viscosit del liquido non influenza laltezza di salita ma fa variare la velocit di

    penetrazione.

    13.3.2 Tipologie di liquidi penetranti

    I liquidi penetranti possono essere classificati in base a:

    rimovibilit;

    colore.

    Secondo la classificazione in base alla rimovibilit, si possono distinguere i seguenti

    tipi di liquidi penetranti: 335

  • 336

    lavabili con acqua;

    rimovibili con solvente;

    post-emulsionabili.

    La rimovibilit interessa la fase in cui bisogna eliminare, dalla superficie del pezzo in

    esame, il liquido penetrante in eccesso, ossia il liquido che stato applicato in zone

    dove non erano presenti alterazioni. La sostanza utilizzata per la rimozione deve

    avere tensione superficiale superiore a quella del liquido da rimuovere, in modo che

    non possa penetrare nelle alterazioni e vanificare il controllo.

    I liquidi penetranti rimovibili con acqua sono i pi utilizzati, data la facilit e

    leconomicit della rimozione. Trovano applicazione principalmente su superfici

    rugose e/o estese ma non possono essere utilizzati su materiali che arrugginiscono a

    contatto con lacqua (acciai al carbonio). La rimozione avviene mediante un getto

    dacqua agente direttamente sul pezzo, con una pressione di 2 - 3 bar.

    I liquidi rimovibili con solventi richiedono, per la loro rimozione, luso di soluzioni a

    base di acetone, tricloroetilene o trielina. Il costo dellesame risulta maggiore, rispetto

    al caso precedente, e quindi tali liquidi sono utilizzati per ispezionare zone limitate.

    Inoltre, lesame deve essere effettuato in ambienti areati od allaperto, data la tossicit

    dei solventi. Lasportazione deve avvenire mediante straccio imbevuto con il

    solvente, poich lapplicazione diretta del solvente sulla superficie rischierebbe di

    eliminare il penetrante anche dalle discontinuit.

    I liquidi penetranti post-emulsionabili richiedono, dopo che avvenuta la

    penetrazione nelle cavit, lapplicazione di un liquido emulsionante che ne permetta

    la successiva rimozione con acqua. Se si fa uso di tali tipi di liquidi, bisogna

    rispettare accuratamente il tempo di emulsionatura indicato dal produttore (non si

    deve eccedere nel mantenere lemulsionante a contato con il liquido penetrante), in

    quanto si potrebbe rischiare di eliminare il liquido anche dallinterno delle

    discontinuit.

    La classificazione in base al colore permette di suddividere i liquidi penetranti in:

    colorati (rossi);

    fluorescenti.

    La scelta del liquido da utilizzare viene fatta in base ai seguenti aspetti:

  • luogo dove si effettua il controllo (officina o cantiere);

    dimensione delle alterazioni che si intendono rilevare;

    finitura superficiale dei pezzi da ispezionare.

    Come verr illustrato in seguito, la rilevazione delle alterazioni mediante liquidi

    fluorescenti avviene in un ambiente scuro, illuminando il pezzo con luce ultravioletta.

    Risulta, quindi, evidente che non quasi mai possibile utilizzare questo tipo di liquidi

    se si deve effettuare il controllo in cantiere: lenergia elettrica necessaria per

    alimentare la lampada UV pu non essere disponibile ed difficile oscurare la zona

    dispezione.

    Dal punto di vista della qualit superficiale del pezzo da ispezionare e della

    dimensione minima dellalterazione che si intende rilevare, bisogna tenere presente

    quanto segue.

    Locchio umano in grado di distinguere gli oggetti ed i colori in un ambiente ben

    illuminato (visione fotopica). Se lilluminazione scarsa, labilit di distinguere e

    percepire le variazioni di colore diminuisce, mentre aumenta labilit di individuare

    piccole sorgenti di luce. In questultimo caso si parla di visione scotopica (fig. 13.8).

    Fig. 13.8

    La capacit di rilevare le indicazioni maggiore quando si tratta di piccole fonti

    luminose su fondo scuro, rispetto a quando si ha contrasto di colore in luce diurna.

    337

  • 338

    Da ci si deduce che alterazioni di piccole dimensioni possono essere pi facilmente

    individuate utilizzando liquidi penetranti fluorescenti.

    I liquidi penetranti colorati sono invece consigliabili quando si devono esaminare

    pezzi con superficie rugosa e le alterazioni da rilevare sono di dimensioni abbastanza

    elevate.

    Se si utilizzassero liquidi fluorescenti su superfici scabre, si avrebbe una luminosit

    diffusa, dovuta allimpossibilit di eliminare totalmente il liquido in eccesso dagli

    avvallamenti della rugosit: lindividuazione delle alterazioni risulterebbe difficile.

    Quindi, i liquidi penetranti fluorescenti devono essere utilizzati su superfici lisce.

    13.3.3 Tipologie di rivelatori

    I rivelatori sono caratterizzati da un elevato potere assorbente, in modo da poter

    richiamare in superficie il liquido penetrato nelle alterazioni.

    Possono essere asciutti, ossia in polvere, oppure liquidi, ossia in soluzione o

    sospensione in un liquido che pu essere acqua o solvente.

    I primi sono pi economici e vengono generalmente confezionati in barattoli mentre i

    secondi sono spesso forniti in bombolette spray, che devono essere agitate prima

    delluso per emulsionare la soluzione.

    I rivelatori asciutti sono utilizzati su superfici rugose, sulle quali i rivelatori liquidi

    potrebbero accumularsi in modo irregolare.

    I rivelatori liquidi sono impiegati quando si debba effettuare il controllo in posizioni

    disagevoli o su zone limitate, dato il loro costo relativamente elevato.

    Quando si usano liquidi penetranti colorati, si devono utilizzare rivelatori bianchi; i

    liquidi penetranti fluorescenti sono, invece, utilizzati in abbinamento con rivelatori

    trasparenti alla luce visibile e blu-violetti alla luce ultravioletta.

    13.3.4 Metodi dispezione

    Lispezione della superficie del pezzo deve avvenire dopo 5 - 30 minuti

    dallapplicazione del rivelatore, in modo che il liquido penetrato nelle alterazioni

    possa avere il tempo di risalire in superficie, assorbito dal rivelatore.

    Se si sono utilizzati liquidi penetranti colorati, lispezione avviene alla luce del sole

    od alla luce di una lampadina che sia in grado di fornire unilluminazione di almeno

    300 lux.

  • 339

    Le parti sane del pezzo risulteranno bianche (il colore del rivelatore) mentre le

    alterazioni appariranno come macchie o linee rosse.

    Se si sono utilizzati liquidi penetranti fluorescenti, lispezione deve essere eseguita in

    condizioni di oscuramento, in modo che la luce ambiente non renda difficile se non

    impossibile rilevare le alterazioni. Il valore massimo di illuminamento deve essere

    pari aa 32 lux.

    Il pezzo deve essere illuminato con luce ultravioletta, impiegando lampade di Wood:

    le parti sane risulteranno blu-violette (il colore del rivelatore illuminato da raggi UV)

    mentre le alterazioni risulteranno di colore giallo-verde e brillanti.

    La lampada di Wood una lampada a vapori di mercurio, che emette radiazioni sia

    nel campo ultravioletto sia nel campo della luce visibile. Un apposito filtro elimina la

    quasi totalit della luce visibile (rimane solo una piccola parte di luce violetta,

    indispensabile per dirigere il fascio luminoso) e tutta la radiazione ultravioletta di

    lunghezza donda inferiore a 3300 (che pericolosa).

    Nellutilizzazione di una lampada di Wood bisogna tener conto di alcuni

    accorgimenti e precauzioni.

    Prima dellutilizzo, bisogna lasciar scaldare la lampada per almeno 5 minuti, in modo

    da permettere al mercurio di vaporizzare completamente dentro al bulbo.

    La lampada pu subire danneggiamenti a causa di sbalzi di tensione o di frequenti

    accensioni e spegnimenti: conviene, perci, lasciare la lampada accesa anche quando

    non serve, se si prevede di doverla riutilizzare entro breve tempo.

    Il filtro deve essere tenuto sempre in perfetta efficienza, in modo che non lasci

    passare la parte dannosa della radiazione.

    La superficie della lampada e del filtro devono essere pulite spesso, in quanto la

    presenza di sporco impedirebbe il passaggio della radiazione utile e loperatore non

    in grado di accorgersi di eventuali anomalie nellemissione: una mancata

    illuminazione non permetterebbe di individuare le alterazioni, anche se presenti.

    Il controllo con liquidi penetranti non fornisce indicazioni precise sulla profondit

    della discontinuit rilevata anche se, in modo qualitativo, la maggior o minor quantit

  • 340

    di liquido penetrante fuoriuscito, o lintensit della fluorescenza, possono servire a

    formulare un giudizio sulla profondit della cavit.

    Inoltre, a parit di altre condizioni, il tempo necessario ad unindicazione per

    manifestarsi inversamente proporzionale al volume della discontinuit. Pi grande

    lalterazione, pi rapidamente il penetrante che vi contenuto sar assorbito dal

    rivelatore.

    Un altro modo di valutare le dimensioni di unalterazione pu essere la persistenza di

    unindicazione. Se essa riappare dopo che il rivelatore stato tolto e riapplicato

    (senza riapplicare il penetrante), la discontinuit contiene molto penetrante e quindi

    profonda.

    Nel caso in cui si sia usato un liquido di colore rosso, possibile ottenere una

    documentazione permanente del controllo scattando fotografie od utilizzando

    particolari vernici pelanti. In questultimo caso, dopo avere evidenziato le alterazioni

    con il rivelatore, si spruzza la vernice e si attende che questa asciughi. Si forma in tal

    modo una pellicola facilmente asportabile, sulla quale rimane impressa la forma delle

    alterazioni.

  • 13.4 CONTROLLO MAGNETOSCOPICO (UNI EN ISO 9934-1)

    Il controllo magnetoscopico fa parte, come il controllo con liquidi penetranti, degli

    esami superficiali, in quanto permette la rilevazione delle discontinuit affioranti

    sulla superficie esaminata. Tuttavia, tale metodo permette anche di individuare

    alterazioni che si trovino poco al di sotto della superficie, nonch le discontinuit

    superficiali ostruite da sporcizia o da altre sostanze estranee.

    Bisogna ricordare, per, che lesame magnetoscopico d indicazioni solo se effettuato

    su materiali ferromagnetici, in quanto possono essere magnetizzati.

    Gli acciai inossidabili austenitici, le leghe dalluminio, le leghe di rame e le leghe di

    titanio sono materiali non ferromagnetici e, pertanto, non ispezionabili con metodo

    magnetoscopico. Gli acciai al carbonio e basso legati sono, invece, ispezionabili.

    Lesame magnetoscopico si basa sul principio che le linee di flusso di un campo

    magnetico che attraversa un pezzo vengono deviate dalla presenza di discontinuit.

    Quando tali discontinuit si trovano in prossimit della superficie, le linee di flusso

    deviate fuoriescono parzialmente dal pezzo, creando un flusso disperso (fig. 13.9).

    Fig. 13.9

    Tale dispersione di flusso pu essere evidenziata cospargendo la superficie del pezzo

    con fine polvere di materiale ferromagnetico (rivelatore); essa andr ad accumularsi

    in corrispondenza delle deviazioni delle linee di flusso, rendendo visibili le

    discontinuit. Lindicazione verr resa pi visibile da unopportuna scelta del colore

    del rivelatore, cos da ottimizzare il contrasto con la superficie del pezzo.

    Lapplicazione di un campo magnetico di determinata direzione permette

    lindividuazione delle discontinuit il pi possibile ortogonali ad esso; ne consegue

    341

  • che, per effettuare un esame completo del pezzo, necessario applicare pi campi

    magnetici, diversamente orientati tra loro.

    praticamente impossibile ottenere una registrazione permanente dei risultati di un

    controllo magnetoscopico, se non fotografando il pezzo.

    13.4.1 Metodi di magnetizzazione

    Il campo magnetico, necessario per ispezionare il pezzo, pu essere prodotto

    impiegando un magnete permanente (calamita), oppure indotto mediante corrente

    elettrica.

    E noto che un conduttore percorso da corrente genera un campo magnetico le cui

    linee di flusso assumono andamenti diversi, a seconda della geometria del conduttore

    stesso.

    Un conduttore rettilineo, attraversato da corrente elettrica, genera un campo

    magnetico circolare (fig. 13.10). Se il conduttore non altro che il pezzo da

    ispezionare, le discontinuit rilevabili sono quelle disposte parallelamente rispetto al

    flusso di corrente.

    Fig. 13.10

    Un conduttore percorso da corrente ed avvolto a spirale, in modo da formare un

    solenoide, genera un campo magnetico le cui linee di flusso risultano parallele

    allasse del solenoide (fig. 13.11). Se allinterno del solenoide viene posizionato il

    pezzo da controllare, possibile rilevare le alterazioni disposte circonferenzialmente.

    342

  • Fig. 13.11

    La corrente impiegata per generare campi magnetici pu essere di diversi tipi:

    continua, alternata o raddrizzata.

    La corrente alternata determina un campo magnetico le cui linee di flusso sono

    addensate sulla superficie del pezzo (effetto pelle), quindi permette di rilevare

    alterazioni poste al massimo a 2 - 3 mm di profondit.

    La corrente continua genera campi magnetici che interessano lintero volume del

    pezzo ma raramente usata, in quanto sono necessarie intensit elevate, per far

    disporre le particelle evidenziatici in corrispondenza delle distorsioni delle linee di

    flusso, e ci richiede luso di generatori costosi.

    La corrente pi utilizzata per effettuare controlli magnetoscopici quella raddrizzata

    a mezzonda, in quanto la sua pulsazione fa vibrare la polvere rilevatrice e rende

    facilmente individuabile lalterazione.

    Per indurre il campo magnetico nel pezzo da controllare, si possono utilizzare:

    due puntali;

    un elettromagnete.

    I puntali sono generalmente in rame, protetti con cappellotti in piombo per evitare

    surriscaldamenti locali della superficie del pezzo in esame.

    Il controllo viene eseguito posizionando i puntali, collegati ad un generatore di

    tensione, a contatto con la superficie da ispezionare (fig. 13.12). La corrente genera

    un campo magnetico di tipo circolare, che permette di individuare discontinuit

    parallele alla congiungente i puntali. E pertanto necessario effettuare pi

    343

  • magnetizzazioni, orientando diversamente i puntali, in modo da individuare tutte le

    discontinuit, comunque esse siano disposte.

    Fig. 13.12

    Lelettromagnete, detto anche giogo (fig. 13.13), costituito da un nucleo di ferro

    dolce su cui avvolta una bobina di filo elettrico: il campo magnetico, generato dal

    passaggio di corrente nella bobina, attraversa il nucleo e viene chiuso sul pezzo in

    esame.

    Le linee di flusso prodotte dallelettromagnete sono parallele alla congiungente le

    espansioni polari, quindi possono essere rilevate le discontinuit disposte

    perpendicolarmente alla congiungente i poli.

    Anche in questo caso, necessario effettuare pi magnetizzazioni, orientando

    lelettromagnete in maniera differente.

    Un vantaggio presentato dallelettromagnete, rispetto ai puntali, consiste nel fatto che

    il pezzo da ispezionare non viene attraversato da corrente e quindi non subisce

    riscaldamenti, che potrebbero alterare la struttura del materiale.

    344

  • Fig. 13.13

    13.4.2 Tipologie di rivelatori

    In un controllo magnetoscopico, il rivelatore costituito da polvere ferromagnetica

    (ossidi di Fe), opportunamente additivata con sostanze colorate o fluorescenti, per

    migliorarne il contrasto con la superficie in esame.

    I rivelatori di tipo colorato (neri, rossi, blu, ecc.) sono utilizzati quando il controllo

    viene effettuato in ambiente illuminato, quelli di tipo fluorescente richiedono

    limpiego di una lampada di Wood e di un ambiente oscurato, come gi descritto a

    proposito del controllo con liquidi penetranti fluorescenti.

    I rivelatori, sia colorati sia fluorescenti, possono essere secchi od in sospensione, in

    un solvente od in acqua.

    In genere, le polveri secche hanno dimensioni maggiori (50 300 m), rispetto ai

    rivelatori in sospensione (5 20 m). Quindi, se si desidera individuare alterazioni

    molto piccole, consigliabile utilizzare rivelatori liquidi e di tipo fluorescente.

    A volte, il controllo magnetoscopico pu dare indicazioni non corrette: le deviazioni

    delle linee di flusso possono essere causate da fattori non imputabili alla presenza di

    discontinuit, quali variazioni del profilo del pezzo (spigoli o scanalature) o diversit

    di permeabilit magnetica di parti adiacenti realizzate in materiali differenti.

    345

  • Si possono avere false indicazioni anche quando la superficie del pezzo sporca,

    bagnata od ha rugosit elevata: il rivelatore non risulta uniformemente distribuito e

    gli accumuli vengono interpretati come indicazioni di discontinuit.

    13.4.3 Smagnetizzazione finale

    Si pu facilmente costatare che un pezzo di materiale ferromagnetico, posto in un

    campo magnetico, resta parzialmente magnetizzato anche quando il campo magnetico

    viene annullato: si ha un magnetismo residuo, che pu causare problemi. Ad esempio,

    qualora il pezzo debba essere sottoposto a lavorazioni per asportazione di truciolo,

    questultimo si pu magnetizzare, a contatto con il pezzo, e restare attaccato

    allutensile, rendendo difficoltosa la lavorazione. Se si devono eseguire operazioni di

    saldatura, larco elettrico pu essere deviato dal campo magnetico residuo,

    impedendo la corretta esecuzione della giunzione. In altri casi, un pezzo magnetizzato

    non pu essere messo in esercizio in quanto il magnetismo residuo pu disturbare il

    corretto funzionamento di apparecchiature elettriche vicine (ad esempio, strumenti di

    bordo di navi ed aerei).

    Terminato il controllo, quindi necessario prevedere una fase di smagnetizzazione

    del pezzo: necessario applicare un campo magnetico di verso contrario, rispetto a

    quello che ha provocato la magnetizzazione.

    Se il pezzo magnetizzato deve subire trattamenti termici e quindi viene portato a

    temperatura superiore alla temperatura di Curie (A2 , nel caso del ferro puro A2= 769

    C) del materiale di cui costituito, la smagnetizzazione avviene spontaneamente.

    La valutazione della presenza di magnetizzazione residua pu essere effettuata

    utilizzando un dispositivo denominato sonda di Hall (fig. 13.14).

    Fig. 13.14

    346

  • 347

    Lo strumento composto da una piastrina metallica alle cui estremit sono disposte

    due placchette. In presenza di campo magnetico, tra le placchette si produce una

    differenza di potenziale elettrico, proporzionale allintensit del campo.

  • 13.5 CONTROLLO RADIOGRAFICO E GAMMAGRAFICO (UNI EN 444)

    I controlli radiografici e gammagrafici sono i pi diffusi metodi di indagine non

    distruttiva di tipo volumetrico, ossia in grado di individuare alterazioni presenti sia

    sulla superficie sia allinterno di un pezzo.

    Tali controlli si basano sulluso di radiazioni ionizzanti, ossia di onde luminose che

    hanno la caratteristica di attraversare i corpi opachi alla luce visibile, venendo

    attenuate in maniera pi o meno significativa, a seconda della natura e dello spessore

    della sostanza attraversata. La radiazione uscente dal pezzo ispezionato risulta,

    perci, di intensit variabile (fig. 13.15).

    Fig. 13.15

    Limmagine ottenuta rappresenta la proiezione geometrica delle discontinuit presenti

    nel pezzo.

    Il controllo pu essere radiografico o radioscopico, a seconda che il raggio emergente

    dal pezzo impressioni una pellicola o vada ad incidere su uno schermo trattato con

    sali fluorescenti.

    Nelle radiografie, le zone pi scure corrispondono a spessori minori, cavit o parti

    caratterizzate da basso coefficiente di assorbimento.

    348

  • 349

    Nelle radioscopie, limmagine invertita: le zone corrispondenti ad una minore

    attenuazione risultano pi luminose.

    Inoltre, su una radioscopia, unalterazione risulta meno visibile, rispetto a quanto

    ottenibile su una radiografia. Infatti, con la prima si ha una rilevazione istantanea,

    mentre con la seconda si ha una rilevazione integrata nel tempo.

    Daltra parte, la radioscopia consente lesame di parti in moto, cosa impossibile in

    radiografia, dato che si otterrebbero immagini sfocate.

    Un aspetto vantaggioso delle radiografie la possibilit di fornire una

    documentazione permanente.

    Infine, durante una radiografia, loperatore non esposto ai pericoli delle radiazioni.

    13.5.1 Radiazioni ionizzanti

    Le radiazioni ionizzanti utilizzate nei controlli radiografici e radioscopici sono:

    raggi X;

    raggi .

    I raggi X vengono generati in modo artificiale, utilizzando unapparecchiatura

    chiamata tubo radiogeno.

    I raggi , invece, sono prodotti spontaneamente, per disintegrazione del nucleo di

    isotopi di particolari materiali.

    In entrambi i casi, le radiazioni sono di natura elettromagnetica e si propagano in

    linea retta.

    La natura dei raggi e dei raggi X , quindi, analoga a quella delle radiazioni

    costituenti la luce visibile, il calore e le onde radio: lo spettro delle radiazioni X e

    caratterizzato, per, da lunghezze donda particolarmente piccole ( = 10-1 10-7 m)

    (fig. 13.16) e quindi, ricordando la relazione = c/ ove c la velocit della luce e

    la frequenza, da frequenze molto elevate (1011 1014 MHz).

  • Fig. 13.16

    La penetrazione delle radiazioni ionizzanti nei solidi avviene tanto pi facilmente

    quanto elevata la frequenza della radiazione.

    Si dicono dure le radiazioni a frequenza pi alta e molli quelle a frequenza pi bassa.

    Interagendo con il materiale, la radiazione cede parte della sua energia agli atomi del

    pezzo attraversato e quindi la sua intensit decresce secondo la relazione: s

    s eII= 0 (13.1)

    dove:

    Is lintensit alla profondit s;

    I0 lintensit del fascio incidente sul pezzo;

    il coefficiente di assorbimento del materiale, che dato dallespressione:

    = 34ZC (13.2)

    dove:

    C una costante;

    Z il numero atomico del materiale attraversato dalla radiazione;

    la lunghezza donda della radiazione;

    la densit del materiale attraversato dalla radiazione.

    Si pu notare che, teoricamente, lintensit della radiazione non si annulla mai,

    qualunque sia lo spessore attraversato ma, in pratica, alcuni materiali, come ad

    esempio il piombo e sufficienti spessori di cemento o terra, riducono lintensit della

    radiazione fino a livelli trascurabili.

    350

  • Si definisce Strato EmiValente (SEV) di un determinato materiale, lo spessore che

    riduce a met lintensit della radiazione incidente. Ovviamente il SEV, per un

    determinato materiale, tanto pi elevato quanto pi la radiazione penetrante, ossia

    costituita da raggi duri.

    I materiali che assorbono pi efficacemente le radiazioni (ad esempio il piombo) sono

    usati per realizzare schermi per proteggere gli operatori addetti ai controlli.

    13.5.2 Apparecchiature per la produzione di raggi X

    Lapparecchiatura per la produzione di raggi X costituita dal tubo radiogeno, o tubo

    di Coolidge (fig. 13.17).

    Fig. 13.17

    Due elettrodi, catodo e anodo, sono racchiusi in un involucro di vetro di tipo speciale

    (Pyrex), in cui praticato un vuoto molto spinto (circa 10-6 mmHg).

    Il catodo costituito da un filamento in tungsteno e da una coppa focalizzatrice o

    cupola di concentrazione: il fascio di elettroni, emesso per effetto termoionico dal

    filamento percorso da una corrente elettrica a bassa tensione, viene focalizzato verso

    lanodo dalla coppa focalizzatrice. Sullanodo, costituito da materiale ad elevata

    conduttivit termica, ad esempio rame, applicata una placchetta di tungsteno,

    chiamata anticatodo.

    Il fascio di elettroni, prodotto dal catodo, viene accelerato da una differenza di

    potenziale elevata (da alcune decine di kV a centinaia di kV) e colpisce lanticatodo:

    la maggior parte (99 %) dellenergia incidente viene trasformata in calore, che viene 351

  • disperso dallanodo opportunamente raffreddato, mentre solo una piccolissima

    porzione si converte in raggi X.

    Il rendimento di conversione del fascio in radiazione X cresce con il numero atomico

    del materiale emittente ed per questo motivo che lanticatodo generalmente

    costituito da tungsteno.

    La proiezione della parte dellanticatodo colpita dal fascio di elettroni, sul piano

    perpendicolare alla direzione di propagazione dei raggi X, chiamata macchia focale.

    Le sue dimensioni, come si vedr in eseguito, influenzano la qualit dellesposizione

    radiografica.

    I parametri che permettono di controllare e variare lintensit di una radiazione X

    sono:

    la tensione di accelerazione;

    la corrente di emissione.

    Entrambi possono essere regolati agendo sul pannello di controllo

    dellapparecchiatura.

    Al variare della corrente di emissione, a parit di tensione, si modifica il flusso di

    elettroni che nellunit di tempo va ad urtare lanticatodo. Ne consegue che,

    allaumentare della corrente, aumenta la quantit dei raggi prodotti nellunit di

    tempo.

    Al variare della tensione di accelerazione, mantenendo costante la corrente, varia

    lenergia degli elettroni incidenti sullanticatodo e, quindi, lenergia dei raggi X

    prodotti: pi la tensione elevata, pi la radiazione penetrante.

    Infatti, la tensione acceleratrice V e la frequenza della radiazione sono legate dalla

    legge di Duane-Hunt:

    = hVe (13.3)

    dove:

    h la costante di Plank, ; sJ10625.6h 34 =

    e la carica di un elettrone.

    La penetrazione dei raggi X avviene tanto pi facilemente quanto maggiore la loro

    frequenza; quindi, aumentando la tensione acceleratrice, si ottiene una radiazione pi

    penetrante.

    352

  • 353

    Le normali apparecchiature a raggi X possono essere alimentate con tensioni al

    massimo pari a 400 kV, utilizzabili per ispezionare fino a 100 mm di spessore di

    acciaio. Oltre a detto limite, si deve ricorrere a particolari apparecchiature, come i

    betatroni e gli acceleratori di particelle.

    Lo spessore massimo di acciaio radiografabile, a seconda della tensione utilizzata per

    ottenere la radiazione X, indicato in tabella 13.I.

    Tab. 13.I

    Tensione

    [kV]

    Spessore

    [mm]

    5 100 < 25

    100 150 25

    150 200 50

    200 400 75

    400 1000 125

    1000 2000 200

    15000 25000 400

    Logicamente, se il pezzo da radiografare costituito da un materiale caratterizzato da

    un coefficiente dassorbimento maggiore di quello dellacciaio, lo spessore

    radiografabile con una determinata radiazione risulter inferiore; se pi piccolo, lo

    spessore sar superiore (vedi relazione 13.1).

    Dati gli altissimi costi di manutenzione e di esercizio dei betatroni e degli acceleratori

    di particelle, in caso si debbano ispezionare pezzi di elevato spessore, si preferisce

    utilizzare un altro tipo di radiazioni ionizzanti: i raggi .

    13.5.3 Processi demissione dei raggi

    I raggi sono generati spontaneamente dagli isotopi di alcuni elementi chimici.

    Lisotopo si differenzia dal corrispondente elemento chimico per il fatto che nel suo

    nucleo presente un numero maggiore di neutroni: ad esempio, il Co60 ottenuto per

    bombardamento neutronico del Co59 (elemento non radioattivo).

  • 354

    Un isotopo si disintegra spontaneamente, in modo da raggiungere una condizione di

    maggiore stabilit, emettendo radiazioni (nuclei di elio), (elettroni) e . Solo

    queste ultime sono, per, impiegate per effettuare controlli non distruttivi, in quanto il

    potere penetrante delle radiazioni e trascurabile.

    Al termine del processo di disintegrazione, lisotopo si trasforma in elemento stabile

    e quindi non radioattivo.

    I pi comuni isotopi utilizzati in gammagrafia sono:

    Iridio 192 (Ir192)

    Cobalto 60 (Co60)

    Tullio 170 (Tm170).

    Il numero che accompagna il nome dellelemento identifica il numero di massa,

    ovvero la somma di neutroni e protoni contenuti nel nucleo.

    LIr192 impiegato nella radiografia di spessori in acciaio, o materiale

    radiograficamente equivalente, pari a 18 100 mm.

    Il Co60 produce raggi di energia elevata e, quindi, permette di radiografare spessori di

    acciaio pari a 40 180 mm.

    Raggi di basso contenuto energetico, adatti al controllo di spessori medio piccoli

    (circa 10 mm), sono prodotti dal Tm170.

    Lutilizzo dei raggi pu essere determinato, oltre che dalla necessit di attraversare

    spessori elevati, anche dal fatto che il controllo deve essere effettuato in zone

    ristrette, non raggiungibili utilizzando gli ingombranti tubi radiogeni, o in assenza di

    alimentazione elettrica, necessaria per la produzione di raggi X.

    Gli isotopi vengono normalmente utilizzati sotto forma di pastiglie cilindriche, aventi

    diametro e altezza circa uguali (2 4mm): il diametro lequivalente della macchia

    focale di un tubo radiogeno.

    Ogni tipo di isotopo emette raggi di energia ben definita; non quindi possibile

    intervenire per modificare il potere penetrante dei raggi prodotti.

    Si definisce attivit di un isotopo il numero di disintegrazioni che hanno luogo

    nellunit di tempo: lunit di misura pi usualmente impiegata il Curie, che

    rappresenta lattivit di una sostanza radioattiva nella quale avvengono 3,71010

  • disintegrazioni al secondo. Lattivit pu essere considerata proporzionale alla

    quantit di radiazioni prodotte nellunit di tempo.

    Lattivit di un isotopo dipende dalla sua massa: pi elevate sono le dimensioni della

    pastiglia, maggiore sar la quantit di radiazioni emesse nellunit di tempo.

    Lenergia dei raggi prodotti da un isotopo non muta durante tutta la sua vita; la

    quantit di radiazioni prodotte , invece, funzione dellet dellelemento.

    Dallistante della produzione, con il passare del tempo, lattivit di un isotopo

    diminuisce in modo esponenziale: teAA = 0 (13.4)

    dove la costante di disintegrazione, caratteristica di ogni isotopo.

    Per ogni elemento, pu essere definito un tempo T, chiamato tempo di dimezzamento

    o semiperiodo, trascorso il quale il valore dellattivit risulta dimezzato: ad esempio,

    per lIr192 il tempo di dimezzamento 75 giorni ovvero, se lattivit iniziale era di 30

    Curie, dopo 75 giorni ridotta a 15 Curie.

    In tabella 13.II, sono riportati i valori dei tempi di dimezzamento di alcuni elementi

    comunemente utilizzati quali emettitori di raggi .

    Tab. 13.II

    Elemento radiattivo Tempo di dimezzamento

    Tm170 127 giorni

    Ir192 75 giorni

    Cs137 33 anni

    Co60 5.3 anni

    13.5.4 Qualit di un controllo effettuato con raggi X o

    La qualit di una controllo effettuato utilizzando radiazioni ionizzanti determina la

    sensibilit del controllo ossia la minima differenza di spessore percepibile sulla lastra

    o sullo schermo.

    Per ottenere unelevata sensibilit, necessario ottimizzare il contrasto e la

    definizione dellimmagine radiografica (o gammagrafica).

    355

  • Il contrasto la differenza di densit (D2 D1) tra due aree adiacenti della

    radiografia, aventi spessore diverso (fig. 13.18).

    Fig. 13. 18

    La densit il rapporto logaritmico tra lintensit di luce incidente (I0) e lintensit di

    luce emergente (I) da una pellicola impressionata dalla radiazione (D = Log (I0/I)).

    Ovviamente, tale grandezza valutabile durante la visione di una lastra radiografica

    impressionata e sviluppata, esponendola alla luce di un apposito visore.

    Alto contrasto significa avere una forte variazione chiaro-scuro tra due zone relative a

    parti del pezzo aventi spessore differente e, quindi, lindividuazione di tale anomalia

    risulta agevole.

    Per definizione si intende, invece, la rapidit con cui avviene il passaggio tra le due

    densit (fig. 13.19).

    Fig. 13.19

    Ottenere unelevata definizione vuol dire poter distinguere in modo nitido i contorni

    di una discontinuit.

    356

  • La sensibilit viene valutata impiegando gli indicatori di qualit di immagine (IQI),

    anche detti penetrametri (UNI EN 462).

    Il penetrametro deve essere fatto dello stesso materiale con cui realizzato il pezzo

    da controllare.

    Durante lesecuzione del controllo, lindicatore di qualit posto sulla superficie del

    pezzo direttamente colpita dalla radiazione ionizzante, in posizione periferica in

    modo da alterare il meno possibile la rilevazione di eventuali anomalie presenti nel

    materiale.

    Limmagine radiografica dellIQI, sovrapponendosi a quella del pezzo, permette di

    giudicare la minima differenza di spessore apprezzabile sulla lastra o sullo schermo.

    Esistono diversi tipi di IQI:

    a fili;

    a piastrine.

    Un penetrametro a fili (fig. 13.20) costituito da una serie di 7 fili di diverso

    diametro, contenuti in una busta di plastica. La sensibilit del controllo viene

    calcolata come il rapporto tra il diametro del pi piccolo filo visibile e lo spessore del

    pezzo radiografato. Ad esempio, chiedere una sensibilit del 2% sulla radiografia di

    un pezzo di spessore 20 mm, significa che dovr essere possibile individuare sulla

    lastra o sullo schermo almeno il filo di diametro pari a 0.4 mm.

    Fig. 13.20

    357

  • Un IQI a piastrina costituito da una piastrina contenente due o tre fori, di diametro

    pari o multiplo dello spessore T della piastrina stessa. La sensibilit valutata in base

    al rapporto tra lo spessore della piastrina e lo spessore del pezzo ed al diametro del

    pi piccolo foro visibile. Durante il controllo, si dispongono sul pezzo le tre piastrine

    raffigurate in figura 13.21, ognuna caratterizzata da uno spessore differente. Ad

    esempio, il grado di sensibilit 2 - 2T indica che sulla pellicola (o sullo schermo)

    visibile la piastrina di spessore T pari al 2% dello spessore del pezzo ed in particolare

    il foro di diametro 2T, ovvero pari a 2 volte lo spessore della piastrina stessa.

    Fig. 13.21

    Va notato che lindicazione di un penetrametro ha aspetto opposto a quello risultante

    dalla presenza delle alterazioni pi frequentemente presenti in un pezzo (cricche o

    porosit). Infatti, il penetrametro costituisce un aumento locale di spessore e quindi

    provoca una maggiore attenuazione della radiazione, rispetto al materiale costituente

    il pezzo. Quindi, la sua immagine sulla pellicola risulta chiara (sullo schermo

    radioscopico risulta meno brillante). Invece, le cricche e le porosit contengono aria e

    quindi schermano meno la radiazione, dando origine sulla lastra a zone pi scure

    (sullo schermo a zone pi brillanti).

    Infine, necessario precisare che i penetrametri forniscono solo unindicazione di

    massima delle dimensioni minime dellalterazione rilevabile, in quanto esse

    dipendono dalla forma e soprattutto dalla giacitura dellalterazione stessa.

    358

  • 359

    13.5.5 Fattori influenzanti la qualit di un controllo con raggi X o

    I fenomeni di attenuazione e di diffusione, dovuti allinterazione del fascio incidente

    con la materia, influenzano la qualit di un controllo effettuato utilizzando radiazioni

    ionizzanti.

    Un eccessivo assorbimento della radiazione incidente e, quindi, un fascio emergente

    troppo debole, determina una pellicola radiografica (od uno schermo radioscopico)

    scarsamente impressionata. Daltra parte, una radiazione troppo dura determina un

    annerimento uniforme della pellicola, con la conseguente impossibilit di distinguere

    le zone difettose da quelle sane.

    La presenza di raggi diffusi, ovvero deviati rispetto alla direzione primaria, comporta

    un effetto nebbia, sulla pellicola, che compromette la nitidezza dellimmagine.

    Come detto, la qualit di un controllo effettuato con radiazioni ionizzanti

    determinata dal contrasto e della definizione dellimmagine ottenuta.

    Il contrasto legato allenergia emergente dal pezzo e quindi influenzato da:

    potere penetrante della radiazione incidente sul pezzo;

    intensit della radiazione incidente sul pezzo.

    spessore del pezzo da ispezionare;

    numero atomico e densit del materiale costituente il pezzo da ispezionare;

    Per quanto riguarda il potere penetrante, la scelta della radiazione ionizzante deve

    essere effettuata in modo che la radiazione emergente dal pezzo abbia energia

    sufficiente ad impressionare la lastra o lo schermo posti al di l del pezzo. Tale

    energia non deve per essere eccessiva, altrimenti si avrebbe unimmagine

    caratterizzata da basso contrasto. Nel caso di pezzi di spessore limitato, i raggi X

    forniscono un contrasto migliore, rispetto ai raggi . Infatti, la tensione di

    alimentazione di un tubo radiogeno regolabile, in modo da ottenere una radiazione

    non eccessivamente penetrante (meno dura); la durezza dei raggi dipende

    dallisotopo utilizzato e, quindi, non regolabile.

    Lintensit della radiazione emergente funzione dellintensit della radiazione

    utilizzata, nonch dello spessore e della natura del materiale attraversato, secondo

  • quanto indicato dalla relazione 13.1. Lintensit della radiazione emergente

    direttamente proporzionale allintensit del fascio incidente e decresce allaumentare

    dello spessore attraversato ed al crescere del numero atomico e della densit del

    materiale illuminato.

    Lintensit della radiazione incidente sul pezzo determinata, oltre che dal tipo di

    parametri elettrici (nel caso dei raggi X) o dal grado di decadimento (et) dellisotopo

    utilizzato (nel caso di raggi ), dalla distanza sorgente pezzo. Infatti, data la

    propagazione conica del fascio, la superficie illuminata da una radiazione

    proporzionale al quadrato della distanza sorgente - superficie: a distanza D2 dalla

    sorgente, la superficie illuminata quattro volte maggiore rispetto a quella posta a

    distanza 21 21 DD = (fig. 13.22).

    Fig. 13.22

    Ne consegue che lintensit I2 pari ad , rispetto ad I1 , secondo la relazione:

    22

    21

    1

    2

    DD

    II

    = . (13.5)

    Per aumentare il contrasto dellimmagine radiografica, quando lenergia della

    radiazione incidente sul pezzo limitata, si pu aumentare il tempo di esposizione (t)

    del pezzo alla radiazione ionizzante. Il prodotto e = It, detto esposizione, esprime

    lintensit luminosa che investe il pezzo, nel tempo in cui questo rimane esposto

    allazione della radiazione.

    360

  • Allaumentare della distanza tra sorgente radiogena e pezzo, bisogna aumentare il

    tempo di esposizione: se la distanza raddoppia, lintensit luminosa per unit di

    superficie si riduce ad e quindi il tempo di esposizione deve quadruplicare.

    Se si utilizzano raggi , lesposizione data da:

    tAe = (13.6)

    dove

    A lattivit dellisotopo utilizzato;

    t il tempo di esposizione.

    Siccome lattivit di un isotopo diminuisce nel tempo, gammagrafie eseguite in tempi

    diversi, con lo stesso isotopo, richiederanno un tempo di esposizione diverso, se si

    vuole ottenere lo stesso livello di illuminamento del pezzo (ad esempio, un tempo

    doppio, se si utilizza lIr192 e si lasciano trascorrere 75 giorni tra una gammagrafia e

    laltra).

    I fattori che influenzano la definizione radiografica sono:

    dimensione della macchia focale, nel caso di controllo con raggi X, o

    dimensione della pastiglia di isotopo, nel caso di controllo con raggi ;

    distanza sorgente pezzo (o meglio sorgente alterazione);

    distanza pezzo pellicola (o meglio alterazione pellicola);

    tipo di pellicola radiografica o di schermo radioscopico;

    presenza di radiazioni diffuse.

    La macchia focale, per quanto piccola, non pu essere considerata puntiforme e

    quindi i bordi di unalterazione non possono essere chiaramente definiti: si ha una

    certa penombra geometrica (fig. 13.23).

    361

  • Fig. 13.23

    Come detto, le radiazioni ionizzanti, come tutte le radiazioni elettromagnetiche,

    avanzano in linea retta. Si pu seguire il percorso effettuato da ognuno dei raggi

    emessi dai diversi punti della macchia focale (S). Analizzando quanto accade in

    corrispondenza dei punti M ed N, si nota che ogni raggio proietta le estremit

    dellalterazione generando, sulla pellicola (o sullo schermo), una zona di ampiezza p,

    caratterizzata da annerimento variabile (penombra).

    Con semplici considerazioni geometriche, si pu dimostrare che la penombra

    direttamente proporzionale alla dimensione della macchia focale ed alla distanza (d)

    tra alterazione e pellicola; , invece, inversamente proporzionale alla distanza (D) tra

    macchia focale ed alterazione.

    Per limitare la penombra geometrica, e quindi aumentare la definizione

    dellimmagine, quindi necessario impiegare sorgenti a macchia focale piccola, od

    adottare distanze macchia focale alterazione elevate (in modo da ottenere raggi

    praticamente paralleli), e porre il pezzo a diretto contatto con la pellicola.

    362

  • 363

    Poich, per un determinato apparecchio radiogeno, la dimensione della macchia

    focale fissa, per ridurre la penombra quasi sempre necessario aumentare la

    distanza macchia focale - pezzo. In tal caso , per, necessario ricordare che,

    allaumentare di tale distanza, aumenta in proporzione quadratica il tempo di

    esposizione.

    Per quanto riguarda le pellicole radiografiche, esse consistono in un supporto in

    plastica ricoperto da ambo i lati da uno strato di emulsione sensibile, composta

    essenzialmente da cristalli di alogenuro di argento sospesi in gelatina.

    Il comportamento di una pellicola determinato dalla sua grana, ossia dalla

    dimensione dei cristalli di alogenuro di argento. Una pellicola a grana fine richiede un

    maggior tempo di esposizione, per raggiungere un determinato annerimento, ma

    garantisce una migliore definizione dellimmagine, rispetto ad una pellicola a grana

    pi grossa. Infatti, la radiazione annerisce lintero grano, anche se lo colpisce solo

    parzialmente.

    La scelta del tipo di pellicola dipende dal livello di sensibilit radiografica richiesto

    ed quindi funzione dellimportanza del componente esaminato: se si vogliono

    individuare alterazioni di piccole dimensioni o se si vuole rilevare in maniera pi

    precisa le dimensioni dellalterazione, necessario utilizzare pellicole a grana fine.

    Nel campo della radioscopia, come rivelatori di immagine si utilizzano schermi

    ricoperti di solfuri di zinco o cadmio che, sotto lazione dei raggi X o , emettono una

    luce giallo verde, ben visibile: una cricca od una porosit risulteranno, quindi, come

    una zona pi luminosa, rispetto alle zone adiacenti integre. La definizione

    dellimmagine dipende, anche in questo caso, dalle dimensioni dei cristalli sensibili:

    pi i cristalli sono piccoli, pi la definizione elevata.

    Per limitare leffetto delle radiazioni diffuse, e quindi migliorare la definizione

    dellimmagine, la pellicola radiografica posta tra due schermi di piombo (quello

    anteriore di spessore pari a 0,10 0,15 mm e quello posteriore di spessore pari a 0,15

    0,20 mm).

    Lo schermo anteriore serve per impedire alla radiazione diffusa, proveniente dal

    pezzo, di incidere sulla lastra. Lo schermo posteriore svolge la stessa funzione ma nei

  • 364

    confronti delle radiazioni riflesse dal pavimento e dalle pareti dellambiente in cui

    eseguita la radiografia.

    13.5.6 Sviluppo delle pellicole radiografiche e lettura delle immagini

    Al termine dellesposizione, limmagine del pezzo radiografato gi presente sulla

    pellicola impressionata ma non visibile allocchio umano (immagine latente).

    Per poter leggere il film, quindi necessario procedere al suo sviluppo in camera

    oscura.

    Il procedimento di sviluppo consiste nelleseguire una serie di operazioni

    (rivelazione, arresto, fissaggio, lavaggio, essicazione) che, se non correttamente

    effettuate o se realizzate con impianti e prodotti di bassa qualit, pu compromettere

    seriamente la qualit finale dellimmagine. Tempi di rivelazione eccessivi possono

    diminuire il contrasto ed aumentare il velo della pellicola, rendendo pi difficoltosa

    lindividuazione dei particolari. In maniera analoga, la scelta non corretta della

    temperatura dei bagni o limpiego di bagni ormai esausti peggiora la sensibilit del

    controllo.

    Il trattamento pu essere eseguito manualmente o in modo automatico. Nel primo

    caso, la pellicola, estratta dallastuccio e posta in un telaio, viene immersa in vasche

    contenenti, in successione, i diversi prodotti, fino al lavaggio finale in acqua: il tempo

    complessivo, compresa la fase di essiccazione, pari a 50 - 60 minuti.

    Nel trattamento automatico, durante il quale tutte le operazioni sono meccanizzate e

    dove possono essere utilizzati prodotti molto pi attivi e temperature dei bagni pi

    elevate, il processo dura circa 10 minuti; utilizzando apparecchiature sofisticate, si

    pu anche effettuare lo sviluppo in soli 3 - 5 minuti. E evidente, per, che limpiego

    delle sviluppatrici automatiche giustificato da un notevole volume di lavoro.

    La lettura di una radiografia viene effettuata posizionando la pellicola su unadeguata

    sorgente luminosa, generata da unapparecchiatura chiamata negativoscopio: la luce

    deve attraversare il film in modo da permettere allocchio umano di valutare le

    differenze di annerimento presenti sulla pellicola. A tal fine, la luminosit del

    negativoscopio deve essere adeguata e periodicamente verificata facendo uso di

    esposimetri.

  • 365

    Prima di effettuare la lettura della radiografia, loperatore deve giudicare se stata

    ottenuta la qualit radiografica richiesta, verificando sulla pellicola la presenza

    dellIQI e rilevando la sensibilit percentuale rispetto allo spessore radiografato.

    Bisogna tener presente che, per ottenere informazioni corrette, estremamente

    importante che la pellicola o lo schermo vengano letti da personale esperto, in grado

    di interpretare correttamente le immagini e di valutarne laccettabilit, essendo anche

    a conoscenza della geometria interna ed esterna del pezzo e delle tecniche utilizzate

    per realizzarlo.

  • 366

    13.6 CONTROLLO ULTRASONORO (UNI EN 583-1)

    Il controllo ultrasonoro rientra nella categoria degli esami non distruttivi di tipo

    volumetrico.

    Tale metodo si basa sul fenomeno della propagazione rettilinea di un particolare tipo

    di onde elastiche (le onde ultrasonore, appunto) nei materiali e nella loro propriet di

    essere riflesse ogni qualvolta incidono su ostacoli disposti pi o meno

    perpendicolarmente alla direzione di propagazione dellonda.

    Le caratteristiche peculiari del controllo ultrasonoro sono:

    condizioni di assoluta sicurezza per gli operatori;

    possibilit di determinare la posizione in profondit, oltre che le dimensioni in

    pianta, delle alterazioni;

    gamma di spessori ispezionabili praticamente illimitata;

    possibilit di impiego anche in caso di accessibilit del pezzo solo da una

    parte;

    apparecchiature di peso ed ingombro limitati.

    Per contro, i limiti del metodo sono:

    impiego di operatori altamente qualificati;

    risultati dellesame non facilmente documentabili ed archiviabili;

    difficolt nel correlare la segnalazione di una anomalia con la forma e le

    dimensioni dellalterazione;

    difficolt di interpretazione, nel caso di pezzi di forma molto complessa.

    13.6.1 Strumentazione e tecniche desame

    La strumentazione utilizzata per effettuare un controllo ultrasonoro costituita da:

    un generatore di tensione;

    un trasduttore in grado di emettere vibrazioni (trasduttore trasmittente);

    un trasduttore che riceve le vibrazioni (trasduttore ricevente);

    un oscilloscopio od un monitor che visualizza il segnale ricevuto dal secondo

    trasduttore.

  • Fig. 13.24

    I trasduttori sono, normalmente, di tipo piezoelettrico ossia sono dei cristalli di

    quarzo, di titanato di bario o di solfato di litio, tagliati secondo particolari piani. Se

    viene applicata una differenza di potenziale tra le facce di taglio, il cristallo

    piezoelettrico si mette a vibrare ed, al contrario, se il cristallo riceve una vibrazione,

    si crea una differenza di potenziale tra le sue facce.

    Il trasduttore trasmittente collegato ad un generatore che impone una differenza di

    potenziale tra le facce del cristallo. Questultimo inizia a vibrare e trasmette le onde

    meccaniche al pezzo da esaminare. Se nel pezzo sono presenti delle alterazioni, il

    percorso delle onde viene deviato.

    Le tecniche di controllo ultrasonoro possono essere classificate in base a:

    modo in cui viene garantita la trasmissione dellonda sonora dal trasduttore al

    pezzo;

    fenomeno fisico in base al quale viene rilevata la presenza dellalterazione.

    Secondo la prima classificazione, si possono distinguere le seguenti tecniche:

    367

  • 368

    ad immersione: il pezzo viene immerso in una vasca contenente acqua od, in

    caso di materiali facilmente ossidabili (ad esempio, acciai al carbonio), altro

    liquido. La sonda rimane ad una certa distanza dalla superficie del pezzo ma la

    trasmissione dellonda sonora dal trasduttore al pezzo viene garantita dalla

    presenza del liquido. In tal modo, si evitano danneggiamenti della superficie,

    dovuti allo strisciamento della sonda sul pezzo. Tale tecnica utilizzata

    solamente in fase di fabbricazione del pezzo;

    a contatto (fig. 13.24): la sonda posta direttamente a contato con la superficie

    da controllare. Per garantire la trasmissione del segnale, tra la sonda ed il

    pezzo viene applicato un apposito gel che riempie gli avvallamenti della

    rugosit superficiale. Tale tecnica utilizzata sia durante la fabbricazione sia

    su componenti in esercizio, durante le operazioni di manutenzione.

    In base al fenomeno fisico secondo il quale viene rilevata la presenza dellalterazione,

    si distinguono le seguenti tecniche:

    per riflessione (figg. 13.25 b, 13.25-c);

    per trasmissione o per trasparenza (fig. 13.25-a).

  • Fig. 13.25

    Nel primo caso, il trasduttore ricevente posto sulla stessa superficie del pezzo su

    cui appoggiato il trasduttore trasmittente. Le onde intercettate dalla discontinuit

    vengono riflesse verso il trasduttore ricevente che, colpito dalle vibrazioni, invia un

    segnale elettrico alloscilloscopio od al monitor.

    La tecnica per trasmissione prevede che la sonda ricevente sia posta sulla superficie

    opposta del pezzo, rispetto alla sonda trasmittente. Ci implica, evidentemente,che il

    pezzo sia accessibile da entrambe le parti. Il segnale intercettato dalla discontinuit

    non riesce a raggiungere la sonda ricevente e quindi la presenza della discontinuit

    indicata da unassenza di segnale sulloscilloscopio. Per avere indicazioni corrette,

    bisogna assicurare un perfetto allineamento tra sonda trasmittente e sonda ricevente:

    se ci non avviene, una parte del segnale trasmesso non verr ricevuto ma non a

    causa della presenza di unalterazione.

    13.6.2 Tipologie di onde ultrasonore

    Le onde ultrasonore sono un particolare tipo di onde elastiche.

    369

  • 370

    Un importante grandezza caratteristica di unonda elastica la frequenza, definita

    come il numero di oscillazioni complete (cicli) che vengono compiute dalle particelle

    nellunit di tempo. Lunit di misura della frequenza lHertz (1 Hz = 1 ciclo/s).

    Il termine ultrasuoni deriva proprio dal valore dalla frequenza che li contraddistingue:

    nelle applicazioni industriali, vengono utilizzate frequenze dellordine di grandezza

    del megahertz (0,5 20 MHz) e cio estremamente superiori alle frequenze che

    riescono a mettere in vibrazione la membrana costituente il timpano umano, che

    vanno da circa 20 a circa 20.000 Hz (lorecchio dei cani e dei pipistrelli , invece, in

    grado di udire gli ultrasuoni, in quanto la sua membrana pi sottile).

    La frequenza di unonda ultrasonora dipende in maniera inversamente proporzionale

    dallo spessore del cristallo costituente il trasduttore che genera il suono.

    A seconda di come si propagano, rispetto al moto delle particelle del materiale che

    stanno attraversando, si distinguono due tipi di onde elastiche:

    longitudinali;

    trasversali (o di taglio).

    Le onde longitudinali (fig. 13.26) si propagano nella stessa direzione del moto di

    oscillazione delle particelle: nel materiale, si alternano zone di compressione e zone

    di rarefazione delle particelle. La distanza, costante, fra due zone di compressione

    consecutive si dice lunghezza donda ().

  • Fig. 13.26

    Le onde trasversali (fig. 13.27) si propagano in direzione perpendicolare, rispetto al

    moto di oscillazione delle particelle: queste ultime descrivono una vera e propria

    onda.

    Fig. 13.27

    La propagazione delle onde trasversali pu essere raffigurata con quanto accade in

    una frusta: la frustata si sposta dal capo della corda tenuto nella mano al capo opposto

    mentre le particelle della corda si muovono dallalto al basso e viceversa, cio in

    direzione perpendicolare rispetto allavanzamento dellonda.

    Anche in questo caso, si definisce lunghezza donda la distanza fra due creste

    consecutive.

    371

  • 372

    Le onde longitudinali possono propagarsi in tutti i mezzi (solidi, liquidi e gassosi),

    mentre le onde trasversali si propagano solo nei solidi.

    13.6.3 Caratteristiche di unonda ultrasonora

    La velocit di propagazione delle onde costante ma dipende dal tipo di onda e dal

    materiale che viene attraversato.

    In particolare, nel caso di materiali metallici, la velocit dipende dal modulo elastico

    E e dalla densit del materiale attraversato. Il prodotto della densit per la

    velocit di propagazione V si dice impedenza acustica del materiale ed una

    caratteristica che condiziona pesantemente la propagazione di unonda.

    Per quanto riguarda la tipologia di onde, quelle trasversali hanno una velocit di

    propagazione pari a circa la met di quella delle onde longitudinali nello stesso

    mezzo. In tabella 13.III sono riportati i valori delle velocit di propagazione delle

    onde ultrasonore in alcuni materiali (per frequenza di oscillazione del cristallo

    emettitore pari a 1MHz).

    Tab. 13.III

    Materiale

    attraversato

    Velocit di propagazione

    [105 cm/s]

    Densit

    [g/cm3] onde longitudinali onde trasversali

    Alluminio Rame Piombo Magnesio Mercurio Molibdeno Nichel Acciaio Acciaio inossidabile Titanio Tungsteno Ghisa Vetro Ghiaccio Acqua Aria Olio minerale

    2,71 8,90 11,4 1,74 13,60 10,09 8,80 7,80 7,67 4,54 19,25 7,20 2,51 1,00 1,00 0,001 0,92

    6,35 4,66 2,16 5,79 1,42 6,29 5,63 5,65 7,33 6,10 5,40 3,80 5,70 3,98 1,49 0,33 1,38

    3,10 2,26 0,70 3,10 - 3,36 2,96 3,23 2,99 3,12 2,87 2,20 3,40 1,99 - - -

  • Velocit di propagazione (V), frequenza (f) e lunghezza donda () di unonda

    ultrasonora sono legate dalla relazione:

    fV = (13.7)

    dalla quale si evince che, stabilita una certa frequenza (tipo di sonda), il tipo di onda

    ed il mezzo di propagazione (perci la velocit di propagazione), la lunghezza donda

    risulta determinata.

    Ad unonda elastica sempre associabile una pressione, cio la forza per unit di

    superficie generata dalla vibrazione meccanica delle particelle. Questa grandezza

    fisica di fondamentale importanza in quanto quella che una sonda per esami ad

    ultrasuoni in grado di rilevare, ed la grandezza alla quale risultano proporzionali

    le altezze dei segnali (echi) sullo schermo dellapparecchiatura.

    La pressione acustica di unonda ultrasonora diminuisce allaumentare della distanza

    dal trasduttore che ha generato londa.

    Il volume di materiale interessato dalle vibrazioni ultrasonore formato da una

    porzione approssimativamente cilindrica, di diametro pari a quello della sorgente e

    profondit pari a N = a2/ (con a raggio del trasduttore), e da una porzione

    approssimativamente conica (fig. 13.28).

    Fig. 13.28

    Il semiangolo di apertura del fascio definito dalla relazione:

    aCsen

    =2 (13.8)

    e dipende pertanto dal raggio a del trasduttore e, attraverso la lunghezza donda, dal

    tipo di materiale, dal tipo di onda (longitudinale o trasversale) e dalla frequenza del

    trasduttore (in quanto = V/f, dove V la velocit di propagazione di quel tipo di

    onda in quel tipo di materiale). 373

  • 374

    Questa divergenza si traduce nel fenomeno, gi citato, del decadimento della

    pressione acustica lungo lasse del fascio, allaumentare della distanza dal trasduttore;

    tale fenomeno noto come attenuazione geometrica.

    Al fenomeno dellattenuazione geometrica si somma la cosiddetta attenuazione

    strutturale dovuta sostanzialmente a fenomeni di dissipazione dellenergia del fascio,

    sia di tipo fisico (assorbimento) sia di tipo geometrico (diffusione). Cio, la

    perturbazione meccanica che si propaga nel materiale, interagendo con la struttura

    stessa del materiale (bordi di grano, interfacce di separazione fra la matrice e le

    inclusioni, particelle precipitate, ecc.) viene in parte diffusa in varie direzioni, con la

    conseguenza di attenuare lenergia del fascio, e in parte assorbita e trasformata in

    calore.

    Il fenomeno dellattenuazione strutturale tanto pi evidente quanto pi la struttura

    del materiale costituita da grani grossi, ricchi di precipitati (carburi, nitruri, ecc.) e

    di inclusioni.

    13.6.4 Tipi di sonde

    Con il termine sonda, si intende la custodia contenente il cristallo trasmettitore e/o

    ricevitore di ultrasuoni.

    Nella sonda, sono presenti le connessioni elettriche, che connettono le facce del

    trasduttore, opportunamente metallizzate, ai poli di un generatore, ed un materiale

    assorbente, che ha la funzione di smorzare la vibrazione del cristallo.

    Per proteggere il cristallo piezoelettrico dallusura dovuta al contatto con la superficie

    del pezzo da controllare, il trasduttore viene coperto da una membrana in

    polimetilmetacrilato (Plexiglass), dello spessore di alcuni decimi di millimetro.

    A seconda del tipo di fascio che emettono, si distinguono due tipi di sonde:

    a fascio normale;

    a fascio angolato.

    Le sonde a fascio normale (fig. 13.29) emettono onde ultrasonore longitudinali.

  • Fig. 13.29

    Le sonde angolate (fig. 13.30) sono costituite da un trasduttore incollato su un cuneo

    in plexiglas (zoccolo), attraverso il quale si trasmette lenergia ultrasonora in onde

    longitudinali fino alla superficie di contatto. A seconda dell angolo di inclinazione

    del piano inclinato del cuneo e della velocit di propagazione nel materiale, si

    determina un certo angolo di rifrazione, ed in questo modo si introducono nel

    materiale onde trasversali.

    Fig. 13.30

    13.6.5 Caratteristiche di un controllo ultrasonoro

    La sensibilit di un controllo ultrasonoro definita come la capacit del sistema di

    rilevare (attraverso echi visibili sullo schermo) piccole discontinuit. La sensibilit

    del controllo strettamente legata a due fattori:

    la lunghezza donda adottata

    la potenza del fascio emesso

    375

  • Allaumentare della lunghezza donda la sensibilit dellesame in generale

    diminuisce, in quanto, per fenomeni di diffrazione, onde con molto maggiore delle

    dimensioni caratteristiche della discontinuit tendono ad aggirarla senza essere

    riflesse e pertanto la discontinuit risulta invisibile a quella (fig. 13.31-a). Al

    contrario quando pi piccola o, al pi, dello stesso ordine di grandezza delle

    dimensioni caratteristiche del riflettore, la parte del fascio geometricamente

    intercettato dal riflettore, viene riflessa ed esso risulter perci facilmente rilevabile

    (fig. 13.30-b).

    Fig. 13.31

    Invece, la sensibilit dipende dalla potenza del fascio emesso: tanto maggiore la

    quantit di energia che incide su di un riflettore (alterazione), tanto pi elevata sar la

    sua risposta ultrasonora e tanto meglio visibile sar leco che apparir sullo schermo

    in quanto di altezza superiore.

    Una caratteristica fondamentale di un controllo ultrasonoro il suo potere risolutivo,

    definito come la capacit del sistema di rappresentare con due diversi echi,

    chiaramente distinti tra loro, due discontinuit molto vicine fra loro nel senso dello

    spessore, anzich con un solo eco di maggiore larghezza. (fig. 13.32).

    Fig. 13.32 376

  • Il potere risolutivo tanto maggiore quanto minore la lunghezza dellimpulso di

    emissione: infatti se limpulso inviato nel materiale breve la risposta della

    discontinuit pi vicina si smorzer prima dellarrivo della risposta pi lontana e si

    potranno visualizzare due echi distinti.

    In figura 13.33, visibile la cos detta zona morta, ossia la porzione di materiale

    immediatamente sottostante al trasduttore entro la quale non possibile rilevare

    discontinuit (fig. 13.32).

    Fig. 13.33

    Infatti, nei primi istanti susseguenti allemissione dellimpulso, il trasduttore non

    ancora in grado di ricevere segnali.

    Lentit della zona morta, pur dipendendo in massima parte dalle caratteristiche di

    smorzamento della sonda, viene spesso erroneamente vista come una caratteristica

    peculiare della sola sonda. In realt, poich nel tempo di smorzamento delle

    vibrazioni del cristallo, gli ultrasuoni compiono un percorso direttamente

    proporzionale alla velocit di propagazione, la zona morta dipende anche dal

    materiale su cui si appoggia la sonda.

    Con lutilizzo di sonde a doppio cristallo o di 2 sonde (trasmittente - ricevente),

    lestensione della zona morta viene ridotta.

    13.6.6 Rappresentazione del segnale

    Il segnale ricevuto viene inviato ad un oscilloscopio e quindi sar visibile su uno

    schermo come un picco detto eco.

    377

  • La rappresentazione del segnale sullo schermo pu essere di tre tipi:

    scan A (fig. 13.34-a);

    scan B (fig. 13.34-b);

    scan C (fig. 13.34-c).

    Fig. 13.34

    La rappresentazione di tipo A quella maggiormente utilizzata.

    Secondo tale rappresentazione, la distanza del piede di sinistra delleco dallorigine

    proporzionale alla profondit del riflettore e laltezza delleco proporzionale alla

    pressione acustica della risposta ultrasonora.

    378

  • 379

    Con la rappresentazione scan B, si ottiene una sezione longitudinale del pezzo in

    esame. Con la rappresentazione scan C viene persa ogni informazione relativa alla

    profondit dei riflettori e si ottiene una vista in pianta del pezzo, in maniera simile

    ad unimmagine radiografica.

    13.6.7 Taratura della strumentazione

    Un esame con ultrasuoni richiede lesecuzione di alcune operazioni preliminari di

    taratura che possono essere riassunte nei seguenti punti:

    controllo dellapparecchiatura

    taratura dellasse dei tempi (distanze)

    taratura del livello di sensibilit

    Tali operazioni vengono normalmente compiute su blocchi di calibrazione

    appositamente studiati.

    I blocchi di calibrazione o blocchi campione devono essere costruiti in materiale

    avente caratteristiche fisiche e strutturali quanto pi possibile simili a quelle del

    materiale da esaminare, in modo da presentare analoghe propriet acustiche.

    I principali blocchi di taratura impiegati sono:

    blocco V1 (fig. 13.35-a);

    blocco o V2 (fig. 13.35-b);

    blocchi di taratura del livello di sensibilit (fig. 13.36).

  • Fig. 13.35

    In figura 13.36 viene rappresentata la procedura per eseguire la taratura dellasse dei

    tempi con sonde a fascio norma