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103 Canto IX Posizione Città di Dite.VI cerchio Peccatori Eretici Pena Giacciono in tombe infuocate Contrappasso Negatori dell’immortalità dell’anima, stanno ora in sepolcri infuocati (il fuoco evoca probabilmente i roghi su cui gli eretici venivano bruciati durante il Medioevo) Dante incontra Diavoli e altri mostri infernali. Il Messo celeste Inferno, IX, 121-123, miniatura ferrarese, 1474-1482, Ms. Urb. Lat. 365, f. 22 v. Roma, Biblioteca Vaticana. Sequenze narrative ® TIMORE DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO Il Messo celeste (che rappresenta la necessità dell’intervento della Grazia divina quando la ragione denuncia la propria insufficienza) tarda ad arrivare e Dante, sempre più preoccupato, chiede aVirgilio* se alle anime del Limbo* sia concesso di accedere al basso Inferno, cercan- do in questo modo di verificare se la sua guida conosca o meno la strada. Ma Virgilio, che ha ben compreso lo scopo della domanda, tranquillizza il discepolo, dicendogli che egli vi è già sceso una volta, su richiesta della maga Erittone. ® LE FURIE E MEDUSA Intanto, sulla torre della Città di Dite compaiono le terribili Furie*, che, graffiandosi il pet- to, invocano l’arrivo di Medusa*, affinché pietrifichi col suo sguardo l’inatteso visitatore. Vir- gilio avverte Dante del pericolo e gli protegge gli occhi con le sue stesse mani. ® IL MESSO CELESTE Un grande frastuono annuncia intanto l’arrivo dell’angelo, che con una verghetta spalanca la porta della Città di Dite e rimprovera aspramente i diavoli per aver inutilmente osato ostaco- lare la volontà divina. ® PASSAGGIO AL SESTO CERCHIO Oltrepassate le mura, il paesaggio del sesto cerchio si presenta agli occhi dei due viandanti come una vasta pianura deserta, simile a un cimitero coperto di tombe infuocate. Dalle tom- be, che hanno tutte il coperchio sollevato, fuoriescono i lamenti e i sospiri degli eretici, che, come spiegaVirgilio, qui sono rinchiusi. I due si incamminano quindi per uno stretto sentie- ro che corre tra le tombe e le alte mura della Città di Dite. vv 106-133 vv 61-105 vv 34-60 vv 1-33

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Page 1: Canto IX · Il canto è la diretta continuazione di quello precedente, che aveva creato un clima di sospensione e di attesa con l’annuncio, da parte di Virgilio, dell’arrivo di

103

Canto IX

Posizione Città di Dite. VI cerchio

Peccatori Eretici

Pena Giacciono in tombe infuocate

Contrappasso Negatori dell’immortalità dell’anima, stanno ora insepolcri infuocati (il fuoco evoca probabilmente i roghi su cui gli ereticivenivano bruciati durante il Medioevo)

Dante incontra Diavoli e altri mostri infernali. Il Messo celeste

Inferno, IX, 121-123,miniaturaferrarese, 1474-1482, Ms.Urb. Lat. 365, f. 22 v. Roma, BibliotecaVaticana.

■ Sequenze narrative

® TIMORE DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO

Il Messo celeste (che rappresenta la necessità dell’intervento della Grazia divina quando laragione denuncia la propria insufficienza) tarda ad arrivare e Dante, sempre più preoccupato,chiede a Virgilio* se alle anime del Limbo* sia concesso di accedere al basso Inferno, cercan-do in questo modo di verificare se la sua guida conosca o meno la strada. Ma Virgilio, che haben compreso lo scopo della domanda, tranquillizza il discepolo, dicendogli che egli vi è giàsceso una volta, su richiesta della maga Erittone.

® LE FURIE E MEDUSA

Intanto, sulla torre della Città di Dite compaiono le terribili Furie*, che, graffiandosi il pet-to, invocano l’arrivo di Medusa*, affinché pietrifichi col suo sguardo l’inatteso visitatore. Vir-gilio avverte Dante del pericolo e gli protegge gli occhi con le sue stesse mani.

® IL MESSO CELESTE

Un grande frastuono annuncia intanto l’arrivo dell’angelo, che con una verghetta spalanca laporta della Città di Dite e rimprovera aspramente i diavoli per aver inutilmente osato ostaco-lare la volontà divina.

® PASSAGGIO AL SESTO CERCHIO

Oltrepassate le mura, il paesaggio del sesto cerchio si presenta agli occhi dei due viandanticome una vasta pianura deserta, simile a un cimitero coperto di tombe infuocate. Dalle tom-be, che hanno tutte il coperchio sollevato, fuoriescono i lamenti e i sospiri degli eretici, che,come spiega Virgilio, qui sono rinchiusi. I due si incamminano quindi per uno stretto sentie-ro che corre tra le tombe e le alte mura della Città di Dite.

vv 106-133

vv 61-105

vv 34-60

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Canto IXInferno

■ Temi e motivi

La Città di DiteIl canto è la diretta continuazione di quello precedente, che aveva creato un clima disospensione e di attesa con l’annuncio, da parte di Virgilio, dell’arrivo di un inviato celeste(Inf.VIII, 130). I due poeti si trovano ancora di fronte alla porta di Dite* (vv. 1-33) in unasituazione di stallo, a cui solo l’intervento del messo può dare soluzione; con una sempli-ce verghetta questi sarà infatti in grado di spalancare le porte di Dite e di respingere i dia-voli (vv. 64-105). Nella parte finale (vv. 106-133), con la stessa tecnica inaugurata nel cantoVII, i due poeti sono immessi in un nuovo scenario, nella desolata necropoli del sesto cer-chio, su cui si interrompe l’episodio, preparando in tal modo l’incontro con Farinata degliUberti*, con il quale la figura umana, assente nel canto IX, tornerà nuovamente a cam-peggiare.La parte centrale del canto è costituita da una sorta di "rappresentazione sacra" che rilevasolennemente l’ingresso nella Città di Dite*, i cui protagonisti sono personaggi allegorici:le tre Erinni* (o Furie) e Medusa*, appartenenti alla mitologia pagana e da intendere alle-goricamente come l’opposizione delle forze del male al percorso salvifico di Dante, e ilmesso celeste. Al centro di questo dramma sacro Dante colloca un ‘appello al lettore’*, invi-tandolo esplicitamente a prestare particolare attenzione al significato nascosto sotto questimisteriosi accadimenti (vv. 61-63).

Il messo celesteLa situazione replica in sostanza quella presente nella scena iniziale del poema: la paura ela viltà di Dante personaggio (cfr. Inf. II, 45, l’anima tua è da viltade offesa, e IX, 1, Quel colorche viltà di fuor mi pinse...), determinata in quell’occasione dalle tre fiere come ora dalleFurie e da Medusa o Gorgone (vv. 52 e 56), vengono superate con l’intervento della Gra-zia, che in questo particolare momento di difficoltà – data l’insufficienza di Virgilio inquanto rappresentante della ragione – è raffigurata dal personaggio inviato (messo) dal cielo,probabilmente un angelo, come già videro alcuni antichi commentatori, la cui discesarichiama quella di Cristo al Limbo* per la liberazione dei patriarchi* (cfr. Inf. IV, 52-63).Tale discesa annuncia la vittoria del bene sul male, la liberazione dell’uomo dalla schiavitùdel peccato; è infatti Dante stesso ad essere liberato, e solo un intervento simile a quello diCristo, di cui il Messo è figura, può spalancare le porte di Dite, consentendo quindi al pel-legrino di proseguire il proprio cammino verso la salvezza.

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Canto IX Inferno

Quel color che viltà di fuor mi pinse veggendo il duca mio tornare in volta,

3 più tosto dentro il suo novo ristrinse.

Attento si fermò com’uom ch’ascolta; ché l’occhio nol potea menare a lunga

6 per l’aere nero e per la nebbia folta.

«Pur a noi converrà vincer la punga», cominciò el, «se non... Tal ne s’offerse.

9 Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!».

I’ vidi ben sì com’ei ricoperse lo cominciar con l’altro che poi venne,

12 che fur parole a le prime diverse;

ma nondimen paura il suo dir dienne, perch’io traeva la parola tronca

15 forse a peggior sentenzia che non tenne.

«In questo fondo de la trista conca discende mai alcun del primo grado,

18 che sol per pena ha la speranza cionca?».

Questa question fec’io; e quei «Di rado incontra», mi rispuose, «che di noi

21 faccia il cammino alcun per qual io vado.

Ver è ch’altra fïata qua giù fui, congiurato da quella Eritón cruda

24 che richiamava l’ombre a’ corpi sui.

Di poco era di me la carne nuda, ch’ella mi fece intrar dentr’a quel muro,

27 per trarne un spirto del cerchio di Giuda.

Quell’è ’l più basso loco e ’l più oscuro, e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:

30 ben so ’l cammin; però ti fa sicuro.

Questa palude che ’l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente,

33 u’ non potemo intrare omai sanz’ira».

E altro disse, ma non l’ho a mente; però che l’occhio m’avea tutto tratto

36 ver’ l’alta torre a la cima rovente,

® TIMORE DI DANTE E CONFORTO DIVIRGILIOQuel pallore (color) che mi spinse fuori (pinse) la viltà sul volto (difuor) vedendo (veggendo) la mia guida tornare indietro (in volta), alpiù presto (più tosto) fece tornare dentro (ristrinse) il suo colore (ilsuo novo, ossia il rossore del cruccio), appena comparso (novo).Si fermò attento come chi (com’uom) ascolta; poiché la vista(l’occhio) non lo (nol) poteva condurre (menare) a vedere lon-tano (a lunga), a causa (per) dell’oscurità e del fumo denso(nebbia folta).

«Eppure (Pur) accadrà necessariamente (converrà) che noi vin-ceremo lo scontro (punga)», cominciò egli, «a meno che (senon)… Un protettore tanto potente (Tal) ci si presentò (nes’offerse). Oh quanto tardi mi sembra arrivare quaggiù il Mes-so celeste (altri)!»Io ben mi accorsi di come egli nascose (ricoperse) ciò che ave-va cominciato (lo cominciar) con quanto seguì (con l’altro che poivenne), che furono parole ben diverse dalle prime;

ma nondimeno il suo dire determinò in me (dienne) paura,perché io attribuivo (traeva) alla sua reticenza (parola tronca) unsignificato (sentenzia) forse peggiore di quanto non avesse (chenon tenne).

«Nel fondo della cavità infernale (trista conca) scende maiqualcuno del primo cerchio (grado: il Limbo), che come (per)pena ha solo la speranza troncata (cionca)?».

Tale domanda (question) posi io; ed egli mi rispose: «Accade(incontra) di rado che qualcuno (alcun) di noi (le anime del Lim-bo) percorra (faccia) il cammino per il quale sto andando io.

In verità io venni qui un’altra volta (fïata), costretto con scon-giuri (congiurato) da quella crudele (cruda) maga Eritone, chefaceva ritornare (richiamava) le anime (l’ombre) ai loro (sui)corpi.

Il mio corpo (carne) era da poco rimasto privo (nuda) dell’a-nima (= ero morto da poco) che ella mi fece entrare dentrole mura (della Città di Dite), per trarne uno spirito del nonocerchio (cerchio di Giuda: la Giudecca).

Quello è il luogo più basso e più oscuro (dell’Inferno), e ilpiù lontano dal Primo Mobile (dal ciel che tutto gira: dal cieloche avvolge tutti gli altri cieli); conosco pertanto bene (ben so)la strada; perciò (però) sta (ti fa) sicuro.

Questa palude (lo Stige) che emana grande fetore (puzzo) cinge(cigne) tutt’intorno la Città di Dite (città dolente), dove (u’) ormainon possiamo (potemo) entrare senza contrasto (sanz’ira)».

® LE FURIE E MEDUSADisse anche altre cose, ma non le ricordo (non l’ho a mente);perché lo sguardo aveva attratto tutta la mia attenzione versol’alta torre dalla cima infuocata (rovente),

vv 34-60

vv 1-33

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Canto IXInferno

dove in un punto furon dritte ratto tre furïe infernal di sangue tinte,

39 che membra feminine avieno e atto,

e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine,

42 onde le fiere tempie erano avvinte.

E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l’etterno pianto,

45 «Guarda», mi disse, «le feroci Erine.

Quest’è Megera dal sinistro canto; quella che piange dal destro è Aletto;

48 Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.

Con l’unghie si fendea ciascuna il petto; battiensi a palme, e gridavan sì alto,

51 ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.

«Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», dicevan tutte riguardando in giuso;

54 «mal non vengiammo in Tesëo l’assalto».

«Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,

57 nulla sarebbe di tornar mai suso».

Così disse ’l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani,

60 che con le sue ancor non mi chiudessi.

O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde

63 sotto ’l velame de li versi strani.

E già venia su per le torbide onde un fracasso d’un suon, pien di spavento,

66 per cui tremavano amendue le sponde,

non altrimenti fatto che d’un vento impetüoso per li avversi ardori,

69 che fier la selva e sanz’alcun rattento

li rami schianta, abbatte e porta fori; dinanzi polveroso va superbo,

72 e fa fuggir le fiere e li pastori.

dove in un istante (in un punto) si furono drizzate (furon dritte)improvvisamente (ratto) tre furie infernali tinte di sangue, cheavevano (avieno) membra e atteggiamenti (atto) femminili,

ed erano cinte di serpenti (idre) verdissimi; al posto dei capelli(per crine) avevano (avien) serpentelli e serpi cornute (ceraste), dicui erano avvinte le tempie orribili (fiere).

E Virgilio (quei), che ben riconobbe le serve (meschine) della re-gina (Proserpina) dell’Inferno (de l’etterno pianto), mi disse:«Guarda le feroci Erinni (Erine).

Quella sul lato (canto) sinistro (della torre) è Megera; quella chesi lamenta (piange) sul lato destro è Aletto; al centro è Tesifone»;e quando ebbe detto ciò (a tanto) tacque.

Ciascuna di esse si graffiava (si fendea) il petto con gli artigli;si percuotevano (battiensi) con le palme e gridavano così for-te (sì alto) che io mi strinsi al poeta per timore (per sospetto).

«Venga Medusa: così lo faremo diventare (’l farem) di pietra (dismalto)», dicevano tutt’e tre guardando in basso (giuso); «fa-cemmo male a non vendicare (mal non vengiammo) contro (in)Teseo il suo assalto».

«Voltati indietro e tieni gli occhi (lo viso) chiusi; perché se Medu-sa (’l Gorgón) appare (si mostra) e tu la guardassi, sarebbe impossi-bile (nulla sarebbe) ritornare sulla terra (suso)».

Così disse il maestro; ed egli stesso (elli stessi) mi voltò, e nonsi accontentò (non si tenne) delle mie mani, ma mi coprì gliocchi (non mi chiudessi) anche con le sue.

® IL MESSO CELESTEO voi che avete la mente capace di intendere la verità (li ’ntellet-ti sani), ammirate l’insegnamento morale (dottrina) che si cela(s’asconde) sotto il velo (velame) di questi versi inconsueti (strani).

E già stava giungendo (già venìa) lungo l’acqua fangosa (su perle torbide onde) un suono fragoroso (un fracasso d’un suon), spa-ventoso (pien di spavento), per cui le rive opposte (amendue lesponde [dello Stige]) tremavano,

non diverso (non altrimenti fatto) da quello di un turbine (ven-to) impetuoso per l’incontro tra masse d’aria di diversa tem-peratura (per li avversi ardori), che colpisce (fier) la selva e sen-za alcun ostacolo (rattento)

schianta i rami, li abbatte e li scaglia lontano (porta fori); sollevasuperbamente la polvere davanti a sé, e fa fuggire animali (fiere)e uomini (pastori).

vv 61-105

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Canto IX Inferno

Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica

75 per indi ove quel fummo è più acerbo».

Come le rane innanzi a la nimica biscia per l’acqua si dileguan tutte,

78 fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,

vid’io più di mille anime distrutte fuggir così dinanzi ad un ch’al passo

81 passava Stige con le piante asciutte.

Dal volto rimovea quell’aere grasso, menando la sinistra innanzi spesso;

84 e sol di quell’angoscia parea lasso.

Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, e volsimi al maestro; e quei fé segno

87 ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.

Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta, e con una verghetta

90 l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.

«O cacciati del ciel, gente dispetta», cominciò elli in su l’orribil soglia,

93 «ond’esta oltracotanza in voi s’alletta?

Perché recalcitrate a quella voglia a cui non puote il fin mai esser mozzo,

96 e che più volte v’ha cresciuta doglia?

Che giova ne le fata dar di cozzo? Cerbero vostro, se ben vi ricorda,

99 ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».

Poi si rivolse per la strada lorda, e non fé motto a noi, ma fé sembiante

102 d’omo cui altra cura stringa e morda

che quella di colui che li è davante; e noi movemmo i piedi inver’ la terra,

105 sicuri appresso le parole sante.

Dentro li ’ntrammo sanz’alcuna guerra; e io, ch’avea di riguardar disio

108 la condizion che tal fortezza serra,

(Virgilio) mi tolse le mani (mi sciolse) dagli occhi e disse: «Oradirigi (drizza) l’acume della vista (il nerbo del viso) sulla schiumo-sa superficie della palude antica (su per quella schiuma antica), versoquella parte (per indi) in cui il fumo è più fastidioso (acerbo)».

Come le rane, di fronte alla biscia, loro naturale avversario (ni-mica), si dileguano tutte per l’acqua, finché ciascuna (per mi-metizzarsi) si rannicchia su se stessa (s’abbica) nel fondo (a laterra),

così io vidi moltissimi (più di mille) dannati (anime distrutte)fuggire dinanzi al Messo celeste (un), che camminando passa-va lo Stige con i piedi (piante) asciutti.

Scacciava (rimovea) dal volto quel fumo denso (aere grasso), muo-vendo (menando) spesso la mano sinistra; e sembrava affaticato(lasso) solo a causa di questo fastidio (angoscia).

Mi accorsi senza dubbio che questi era un angelo mandato(messo) dal cielo, e mi rivolsi al maestro; ed egli mi fece segno ditacere (ch’i’ stessi queto) e di inchinarmi a lui.

Quanto sdegnoso mi sembrava! Andò presso la porta e l’aprìcon una verghetta, in modo tale che (che) non ebbe nessunaresistenza (ritegno).

«O cacciati dal cielo, gente disprezzata da Dio (dispetta)», co-minciò (a dire) sulla soglia orribile della porta, «da dove pro-viene (ond’ ) questa (esta) superbia (oltracotanza) che si racco-glie (s’alletta) in voi?

Perché vi opponete (recalcitrate) al volere divino (quella voglia)il cui fine non può (non puote) mai essere impedito (mozzo =troncato), e che anche in altre occasioni (più volte) vi ha fattoaccrescere la pena (doglia)?

A che vi serve (Che giova) contrastare (dar di cozzo) i decretidivini (fata)? Se ben ricordate, il vostro Cerbero ne porta an-cora spelacchiato (pelato) il mento e il gozzo».

Poi si rivolse verso la via fangosa dello Stige (strada lorda), enon ci rivolse alcuna parola (non fé motto), ma apparve nell’a-spetto esteriore (fé sembiante) come uno legato (cui… stringa)e stimolato (e morda) da tutt’altra preoccupazione (altra cura)

rispetto a quella di colui che gli sta davanti; e noi ci dirigemmo(movemmo i piedi) verso la Città di Dite (la terra), sicuri dopo(appresso) le parole del Messo (parole sante).

® PASSAGGIO AL SESTO CERCHIOEntrammo dentro (li) senza alcuna opposizione (guerra); ed io,che avevo desiderio (disio) di vedere attentamente (riguardar)la natura del luogo e delle pene (condizion) che la Città di Di-te (tal fortezza) racchiude (serra),

vv 106-133

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Canto IXInferno

com’io fui dentro, l’occhio intorno invio; e veggio ad ogne man grande campagna,

111 piena di duolo e di tormento rio.

Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’a Pola, presso del Carnaro

114 ch’Italia chiude e suoi termini bagna,

fanno i sepulcri tutt’il loco varo, così facevan quivi d’ogne parte,

117 salvo che ’l modo v’era più amaro;

ché tra li avelli fiamme erano sparte, per le quali eran sì del tutto accesi,

120 che ferro più non chiede verun’arte.

Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan sì duri lamenti,

123 che ben parean di miseri e d’offesi.

E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell’arche,

126 si fan sentir coi sospiri dolenti?».

Ed elli a me: «Qui son li eresïarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto

129 più che non credi son le tombe carche.

Simile qui con simile è sepolto, e i monimenti son più e men caldi».

132 E poi ch’a la man destra si fu vòlto,

passammo tra i martìri e li alti spaldi.

appena fui entrato, osservo (l’occhio… invio) da ogni parte (in-torno): e vedo (veggio) dovunque (ad ogne man) un’immensapianura (campagna), piena di dolore (duolo) e di atroce (rio)tormento.

Come presso Arles (Arli), dove ristagna il Rodano, e come pres-so Pola, vicino al golfo del Quarnaro (Carnaro), che chiude (anordest) l’Italia e bagna i suoi confini (termini),

i sepolcri rendono (fanno) vario (varo) tutto il terreno (loco), co-sì avveniva (facevan) laggiù (quivi) in ogni parte, ma (salvo che) illoro aspetto (’l modo) era ben più doloroso (amaro);

poiché intorno (tra) ai sepolcri (avelli) erano sparse (sparte)delle fiamme, per le quali essi erano talmente (sì del tutto) ar-roventati (accesi) che nessuna opera di fabbro (verun’arte) ri-chiede ferro più (rovente).

Tutte le coperture dei sepolcri (lor coperchi) erano sollevate(sospesi), e ne uscivano lamenti così strazianti (duri) che sem-bravano senza dubbio (ben) di spiriti infelici (miseri) e tor-mentati (offesi).

Ed io: «Maestro, chi sono quei dannati che, sepolti in quei sar-cofagi (arche), si fanno sentire attraverso i loro dolorosi lamen-ti (sospiri dolenti)?».

Ed egli: «Qui sono sepolti gli eretici (eresïarche) con tutti i loroseguaci, di ogni setta, e le tombe sono piene di dannati (carche)molto più di quanto tu non creda.

Qui sono sepolti insieme i seguaci di una stessa setta (Simi-le… con simile), e i sepolcri (monimenti) sono più o menoroventi (caldi)». E dopo che si fu voltato (vòlto) verso destra,

passammo tra le arche infuocate (i martìri) e le alte mura (spal-di) della Città di Dite.

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