cambiamenti climatici
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Università degliStudi di Palermo
Indirizzo1: Scienze naturali ~ Classe 60/A
Anno Accademico 2008-2009
Cambiamenti climaticiCambiamenti climatici
Specializzando: Supervisore: Gianluca Barreca Prof.ssa Stella Bertuglia
Target
Si tratta di una quinta classe del Liceo Scientifico Galileo Galilei costituita da un totale di 20 alunni.
La scuola è ubicata in una zona residenziale, il livello socio economico è medio alto. Presenta una
bassa dispersione scolastica (circa il 10%) ed un livello socio-culturale medio/alto. Tali aspetti
fanno sì che l’Istituto sia classificato come una scuola non a rischio. Dopo aver accertato il
possesso dei prerequisiti da parte degli allievi ed aver, eventualmente, colmato le carenze
possedute da qualcuno di essi, lo svolgimento dell'unità didattica avverrà utilizzando tecniche
didattiche differenziate, allo scopo di facilitare la comprensione da parte di tutti gli allievi, di avviarli
al metodo scientifico e di facilitare la socializzazione e la collaborazione tra di essi.
Inquadramento U.D.
Nello studio della geografia astronomica, al quinto anno del liceo scientifico, risulta di primaria
importanza fornire agli studenti una visione sistemica e un’impostazione multidisciplinare, purché
tale approccio non faccia perdere la specifica visione delle problematiche reali che oggi stiamo
vivendo. L’impossibilità di riprodurre i fenomeni naturali in laboratorio, a meno di ricorrere a
complesse simulazioni al computer, rende lo studio dei cambiamenti climatici particolarmente
difficile e soggetto a interpretazioni, ed è in mezzo a questa grande quantità di opinioni, giudizi e
informazioni spesso contrastanti che i docenti devono muoversi per indirizzare gli studenti nella
scelta dei materiali informativi e dei dati oggettivi di cui tener conto. In Geografia Astronomica i
cambiamenti climatici dovrebbero essere trattati contestualmente allo studio dell’atmosfera e dei
moti della terra. Dato che si tratta di un argomento di sintesi di vari settori disciplinari appare
opportuna la sua trattazione verso la fine dell’anno scolastico.
Prerequisiti
Prima di affrontare lo studio di quanto contenuto in questo capitolo, è indispensabile aver acquisito
una buona conoscenza dei seguenti argomenti:
Prerequisiti minimi
1. conoscere il concetto di sistema
Prerequisiti specifici
2. conoscere la struttura e la composizione dell'atmosfera terrestre ed i molteplici fenomeni che in
essa hanno luogo, strettamente interdipendenti. Bisogna aver compreso la complessità dei
processi atmosferici e degli eventi meteorologici. L'alunno deve aver acquisito la consapevolezza
che tali processi ed eventi coinvolgono quotidianamente la popolazione del globo e fanno
dell'atmosfera una componente fondamentale del sistema Terra. Il nostro pianeta è l'unico corpo
del sistema solare ad avere sviluppato un'atmosfera con caratteristiche idonee alla comparsa ed
allo sviluppo della vita così come noi la conosciamo. Mediante il ciclo dell'acqua questo involucro
aeriforme, che la Terra tiene a se con la sua forza di attrazione gravitazionale, assicura continui
scambi di materia ed energia con l'idrosfera, con la litosfera e con la biosfera, a conferma
dell'unitarietà del sistema Terra;
3. conoscere la dipendenza delle condizioni climatiche dai numerosi fattori geografici, strettamente
interdipendenti,le strette relazioni tra i climi e gli esseri viventi;
4. sapere che l'idrosfera presenta una molteplicità di aspetti,che coinvolgono la stessa massa
dell'acqua, i suoi rapporti con l'atmosfera e con la biosfera,i suoi legami con i bacini che li ospitano.
L'alunno dovrebbe aver chiaro che: l'idrosfera marina è una componente essenziale del sistema
Terra; i movimenti delle acque marine, che esprimono visibilmente i rapporti tra atmosfera ed
idrosfera;
5. conoscere le relazioni fondamentali tra la Terra ed il Sole che dipendono dalla forma, dalle
dimensione e dai movimenti del nostro pianeta. E' importante possedere la consapevolezza delle
cause dell'alternarsi del dì e della notte e delle cause del ritmo delle stagioni, oltre che la
suddivisione della superficie terrestre in zone di differente riscaldamento;
6. conoscere i fenomeni vulcanici come principali protagonisti della dinamica della Terra.
Conoscere il processo generale di liberazione dell'energia e dei materiali all'interno della Terra.
L'alunno dovrebbe conoscere l'argomento nei suoi molteplici aspetti, i materiali di partenza
(magmi) e quelli di arrivo (gas, vapori e nuove rocce). Bisogna inoltre aver compreso che il
trasferimento di ingenti quantità di materiali dall'interno all'esterno del nostro pianeta ha contribuito
alla formazione e dall'accrescimento della crosta ed ha portato alla formazione dell'atmosfera e
dell'idrosfera, senza le quali non sarebbe stato possibile il successivo sviluppo della biosfera;
7. conoscere la teoria della tettonica delle placche. Bisogna aver acquisito che la Terra è
scomponibile in una decina di placche maggiori ed altrettante minori in continuo, lento, movimento
reciproco. L'alunno deve aver compreso che la Terra non è un pianeta statico, ma mobile e che dà
continui segni della sua attività interna attraverso la formazione e la deformazione delle rocce, le
eruzioni vulcaniche ed i terremoti;
8. conoscere la storia della Terra. Il tempo, più ancora dello spazio, è il fattore cruciale dei processi
geologici. L'alunno deve aver compreso che per ricostruire la storia del nostro pianeta è
necessario far riferimento al principio dell'attualismo,senza dimenticare che il passato può aiutare
a capire il presente. Bisogna avere la consapevolezza che non è solo la litosfera ad aver subito
pesanti cambiamenti: atmosfera ed idrosfera sono mutate sensibilmente da 4,5 miliardi di anni a
questa parte, mentre la biosfera addirittura non è esistita per gran parte del tempo e quella
presente oggi è profondamente mutata nel tempo geologico;
9. conoscere alcuni concetti di chimica. L'alunno deve conoscere la struttura della molecola
dell'acqua e della molecola di anidride carbonica. Bisogna conoscere i legami chimici e le forze di
legame. Risulta importante avere appreso le leggi dei gas.
L’analisi e l’eventuale recupero dei prerequisiti saranno realizzati, durante la prima fase del
percorso didattico, attraverso: lezione partecipata, semplici domande dal posto. E' da evidenziare
che i prerequisiti sono già stati trattati nel programma di geografia astronomica e di chimica e gli
alunni sono già stati valutati nell'ambito di precedenti U.D.
Verifica dei prerequisiti
1) cosa si intende per sistema?
a) Un insieme di entità connesse tra di loro tramite reciproche relazioni visibili o definite dal suo
osservatore;
b) la quantità di materia presente all'interno della Terra
c) una relazione matematica
d) un lavoro scientifico che mira alla scoperta di una nuova teoria
2) vero o falso?
a) Al limite superiore della troposfera le temperature sono più elevate in corrispondenza dei poli
che in corrispondenza dell'equatore
b) Il calore specifico delle terre emerse è maggiore di quello delle acque marine
c) L'umidità relativa è più elevata al circolo polare artico che alle latitudini del bacino Mediterraneo
d) La pressione atmosferica diminuisce all'aumentare della quota
3) Completa il seguente brano
Le regioni temperate sottoposte all'influsso dei venti ..................................... ricevono piogge
in ....................., ma con frequenti concentrazioni............................ Quelle continentali più interne
hanno invece prevalenti precipitazioni .............................
4) Le acque marine ricoprono circa
a) il 50% di tutta l'acqua disponibile sulla Terra
b) il 3% di tutta l'acqua disponibile sulla Terra
c) il 71% di tutta l'acqua disponibile sulla Terra
d) il 97% di tutta l'acqua disponibile sulla Terra
5) Completa il seguente brano
A causa della diversa ........................ di rotazione dei vari punti della superficie terrestre, un corpo
che si muove sulla Terra viene deviato dalla sua direzione iniziale verso....................... se si trova
nell'emisfero boreale e verso................. se si trova nell'emisfero australe.
6) Scegli il complemento corretto
Una massa rocciosa fusa si muove verso l'alto attraverso i solidi circostanti perchè:
a) ha densità minore
b) è ricca di gas
c) è dotata di elevata velocità
d) ha temperatura minore
e) è un residuo refrattario
7) Completa la frase con il termine esatto
Se due o più fosse tettoniche si fiancheggiano, i settori che li separano, rimasti relativamente
sollevati, prendono il nome di..........................
8) Il continente Gondwana
a) si rintraccia ancora oggi negli scudi di vari continenti
b) ha avuto una deriva versoi sud
c) si è originato dalla frammentazione della Pangea
d) occupava aree prossime al polo nord
si è formato durante il Permiano
9) Descrivi la molecola dell'acqua e le sue proprietà
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GRIGLIA TOTALE PER LA VALUTAZIONE DEI PREREQUISITI
Si danno punteggi diversi nelle diverse domande, i prerequisiti minimi avranno un peso maggiore
nella valutazione.
Domanda Risposta Punteggio Risp. non data Risp. errata Tot. risp. esatta
Prerequisiti m
inimi
1 1 0 ↔ 2 0 -0,5 2P
rerequisiti specifici
2
1 0 ↔ 0,25 0 -0,1
12 0 ↔ 0,25 0 -0,1
3 0 ↔ 0,25 0 -0,1
4 0 ↔ 0,25 0 -0,1
3 1 0 ↔ 0,25 0 1
2 0 ↔ 0,25 0
3 0 ↔ 0,25 0
4 0 ↔ 0,25 0
4 1 0 ↔ 1 0 -0,5 1
5
1 0 ↔ 0,33 0
12 0 ↔ 0,33 0
3 0 ↔ 0,33 0
6 1 0 ↔ 1 0 -0,5 1
7 1 0 ↔ 1 0 1
8 1 0 ↔ 0,1 0 -0,5 1
9 1
Per la domanda aperta sarà seguito il seguente criterio di valutazione:
capacità di sintesi (0,2)
comprensione del testo (0,2)
utilizzo del linguaggio specifico (0,2)
livello di padronanza delle tematiche (0,4)
1
P. min. Prerequisiti specifici
Alunno1 Tot. 2 3 4 5 6 7 8 9
Tot. TOT.
A
B
C
…
Saranno previste attività di riequilibrio (≤ 5) o di consolidamento (5,1 – 10)
La presente tabella di valutazione, sarà accompagnata da un grafico esplicativo che mostrerà la
condizione didattica iniziale del gruppo classe.
Obiettivi
Obiettivi generali
1. Sapere selezionare e rielaborare informazioni
2. acquisire la capacità di valutare criticamente le informazioni sui cambiamenti climatici
fornite dai mezzi di comunicazione;
3. Sviluppare la capacità di comunicare correttamente ed efficacemente utilizzando un
linguaggio scientifico appropriato
Obiettivi specifici
3. Conoscere il concetto di clima;
4. Conoscere l'equilibrio termico dell'atmosfera;
5. Conoscere le principali cause naturali dei cambiamenti climatici;
6. Conoscere le principali cause antropiche dei cambiamenti climatici;
7. Avere la consapevolezza che le modificazioni degli equilibri dell'atmosfera, dell'idrosfera,
della litosfera, della criosfera e della biosfera possono produrre conseguenze negative per
tutto il pianeta;
8. differenziare i fattori naturali che causano i cambiamenti climatici da quelli antropici;
9. conoscere alcuni metodi di indagine per la ricostruzione dei climi del passato.
Tempi
L'U.D. Avrà una durata di 12 ore così ripartite.
Concetto di clima con riferimenti ai metodi di indagine dei climi del passato ed all'equilibri termico dell'atmosfera
2 h
Fenomeni naturali e clima: Moto delle placche tettoniche: le glaciazioni sembrano aver sempre inizio allorché
i continenti risultino posizionati in maniera tale da impedire o ridurre il flusso di acque calde dall’equatore ai poli;
Variazione parametri orbitali della Terra: la variazione della quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre (insolazione), dovuta alla variazione di tali parametri, sembra spiegare correttamente il succedersi di periodi glaciali e interglaciali durante l’ultima glaciazione (teorie astronomiche);
Vulcanismo: in occasione di grandi eruzioni si assiste all’immissione nell’atmosfera di grandi quantità sia di CO2 (aumento dell’effetto serra), sia di polveri (aumento dell’albedo terrestre).
Fenomeni climatici. L'esempio del Niňo/Southern Oscillation
4 h
Influenza dell'uomo sul clima. Variazione della composizione chimica dell'atmosfera Effetto serra Ruolo degli aerosol nell’evoluzione del clima Ruolo dell'agricoltura nei cambiamenti climatici La distruzione delle foreste Destabilizzazione del clima globale
6 h
Contenuti
Lezione 1: Concetto di clima (2 ore)
Sebbene molti possano dare una risposta alla domanda su cosa s’intenda con il termine clima,
avere una seria definizione scientifica non è semplice. Nella climatologia un periodo di trenta anni
di osservazioni è chiamato “reference period” (attualmente gli anni compresi tra il 1961 ed il 1990)
e considerando questo, l’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO) ha suggerito una
definizione: “Il clima è la sintesi del tempo, durante un periodo lungo abbastanza, per determinare
le proprie caratteristiche statistiche”.
I climi del passato possono essere ricostruiti tramite l’analisi dei depositi contemporanei ed una
prima indicazione può essere presa dai tipi di sedimenti. Depositi glaciali testimoniano ad esempio
periodi freddi mentre, laghi salati, che si originano dall’evaporazione dell’acqua di mare, ci
indirizzano a climi caldi e asciutti. La Terra si è formata circa 4,5 miliardi d’anni fa, tuttavia i
sedimenti più antichi che si sono conservati hanno un’età di solo 3.9 miliardi di anni ed
appartengono all’era più antica della storia della terra, il Precambriano. Ulteriori dettagli sul clima
del passato, ovviamente relativi al periodo successivo all’inizio della vita, sono rilevabili dai fossili
di piante e di animali. Si pensa che un’atmosfera con sufficiente ossigeno per permettere la
respirazione si sia formata solo negli ultimi 700-800 milioni di anni, la concentrazione di ossigeno
presente si è sviluppata molto tardi, nel Devoniano, un periodo del Paleozoico. I resti di piante ed
animali, che si sono conservati nei sedimenti, permettono la ricostruzione di una fondamentale
struttura climatica.
Dagli anni settanta è disponibile uno strumento per la ricostruzione dei climi del passato molto
raffinato: l’analisi isotopica dell’ossigeno. L’ossigeno ha tre isotopi, quelli usati in paleoclimatologia
sono 16O e 18O, poiché il rapporto tra questi due isotopi dell’ossigeno dipende dalla temperatura, è
possibile la ricostruzione della storia climatica. I sedimenti profondi sono composti in considerevole
parte dai gusci calcarei dei piccoli organismi marini, che hanno incorporato ossigeno, di
conseguenza la composizione isotopica riflette esattamente quella dell’acqua del mare nel periodo
di deposizione. L’utilizzo dell’analisi degli isotopi dell’ossigeno può comunque ricostruire la storia di
periodi recenti, questo perché gli oceani sono relativamente giovani, il Nord Atlantico ad esempio si
è formato nel Mesozoico. La composizione isotopica del ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia
permette una ricostruzione molto dettagliata degli ultimi 400.000 anni.
Dal punto di vista fisico, chimico e biologico, il sistema clima è estremamente complesso ed
include molte componenti distinte che interagiscono su scale di spazio e di tempo anche molto
diverse fra loro. Tradizionalmente, il sistema climatico è suddiviso in cinque sottosistemi
termodinamicamente aperti: Atmosfera, Oceano, Litosfera (terra solida), Biosfera, Criosfera
(ghiacci). La radiazione solare rappresenta il "motore" di tale sistema; è il principale meccanismo
forzante esterno che rende possibile l'esistenza stessa di una dinamica, in quanto fornisce
praticamente tutta l'energia al sistema stesso. La radiazione solare che raggiunge lo strato
superiore dell'atmosfera viene in parte trasferita e in parte trasformata in altre forme di energia, le
quali a loro volta sono in parte dissipate attraverso la circolazione generale dell'atmosfera e degli
oceani ed in parte utilizzate nei processi chimici e biologici.
Le scale temporali caratteristiche dei singoli sottosistemi, vale a dire i tempi di risposta medi a
sollecitazioni esterne, variano ampiamente sia all'interno di un singolo sottosistema, sia fra l'uno e
l'altro. Per esempio, le scale temporali caratteristiche dell'atmosfera possono variare fra settimane
e mesi; per gli oceani nel loro strato superficiale fra settimane e anni; per lo strato profondo degli
oceani fra decenni e millenni; per il ghiaccio marino fra settimane e decenni; per le acque interne e
la vegetazione fra mesi e secoli; per i ghiacciai la scala temporale è dell'ordine dei secoli; per le
piattaforme glaciali millenni e più; e per i fenomeni di tettonica e di erosione della litosfera
arriviamo ai milioni di anni.
La complessità del sistema climatico e l'esistenza di tali e tante differenti scale temporali ci
conducono a costruire una gerarchia fra i sistemi interni, basata sui rispettivi tempi di risposta. Nel
senso che, se siamo interessati per esempio a fenomeni che si svolgono su tempi scala dell'ordine
delle settimane, possiamo considerare l'atmosfera come l'unico componente del sistema climatico
e considerare gli oceani, le masse di ghiaccio, la biosfera e la litosfera come forzanti esterne o
come condizioni al contorno. Per studiare la variabilità climatica su tempi scala dell'ordine di mesi
fino ad alcuni secoli, dovremmo includere la dinamica dell’atmosfera, dell’oceano e della biosfera,
e così via fino alle scale temporali più lunghe. In sintesi, l'intero sistema climatico va considerato
come qualcosa che evolve continuamente, dove ci sono parti del sistema che guidano tale
evoluzione ed altre che seguono con un certo ritardo temporale, e dove le interazioni altamente
non lineari che vi sono fra tutte le varie componenti possono ricoprire tutte le scale spaziali e
temporali. Ciò significa che le varie componenti non sempre sono in equilibrio l’una con l’altra o al
loro interno.
L’equilibrio termico dell’atmosfera dipende dal bilancio tra l’energia incidente al suolo, quella persa
dalla terra per irraggiamento, convezione, evaporazione, turbolenza e quella restituita alla Terra
dall’effetto serra. Il sole ed il sistema Terra-atmosfera possono essere considerati, grosso modo,
come corpi neri. La quantità di radiazione solare incidente perpendicolarmente a 1m2 ai limiti
dell’atmosfera (“costante solare”) ha un valore medio annuo Io =1353 W m-2. Il 9,2% di Io cade
nell’ultravioletto, il 42,4% nel visibile e il 48.4% nell’infrarosso. I raggi ultravioletti sono quasi
interamente catturati dall’ossigeno, azoto e soprattutto dall’ozono dell’alta atmosfera; i raggi
infrarossi sono invece fortemente assorbiti dal vapore acqueo e dalla CO2 nello strato tra il
suolo e 10 Km, nel campo del visibile invece l’assorbimento è trascurabile.
Nell’attraversare l’atmosfera la radiazione solare viene anche parzialmente diffusa in tutte le
direzioni, soprattutto da parte dell’aria. L’energia solare che raggiunge il suolo è pertanto composta
da una componente diretta I e una diffusa H. La quantità I+H viene denominata “ radiazione solare
globale”. Oltre all’assorbimento e alla diffusione, nel percorso attraverso l’atmosfera la radiazione
solare viene anche parzialmente riflessa verso lo spazio dalle nubi e dal suolo. Si definisce
“albedo” R il rapporto tra l’energia riflessa e quella totale incidente al suolo. Oltre alla radiazione
solare si deve tener conto della radiazione emessa dalla Terra che cade completamente
nell’infrarosso con una massima emissione intorno ai 10m; di questa soltanto una piccola parte
viene persa nello spazio interplanetario, mentre la maggior parte viene catturata dal vapore
acqueo, dalla CO2 e, in minor misura, da O3 stratosferico, NOx e clorofluorocarburi. In definitiva
soltanto il 47% della radiazione solare riesce a raggiungere il suolo, soltanto una piccola frazione di
questa penetra per conduzione nel suolo fino a 20-50 cm di profondità nelle ore diurne. Un’altra
piccola parte del calore incidente al suolo viene spesa per riscaldare per conduzione, sempre di
giorno, i primi 50-100 cm di atmosfera. La più rilevante perdita del calore termico immagazzinato
dal suolo avviene attraverso l’irraggiamento nell’infrarosso. La parte rimanente viene ceduta
all’atmosfera, in parte attraverso i moti convettivi e in parte per far evaporare l’acqua dal terreno o
dalle distese liquide. Un ruolo importantissimo delle vicende del clima lo ha sicuramente la
pressione atmosferica che misura il peso esercitato su una superficie unitaria dalla colonna d’aria
sovrastante. Il suo ruolo è molto importante sia perché i dislivelli barici tra aree limitrofe
determinano lo spostamento delle masse d’aria e sia perché i mutamenti climatici a grande scala
sono legati essenzialmente alle variazioni di pressione nel tempo.
Lezione 2: Fenomeni naturali e clima (4 ore)
Nel corso dei tempi le variazioni del clima si sono succedute come fluttuazioni, più o meno regolari,
identificabili in determinate scale temporali: da cicli di milioni di anni (pre-quaternari ) a cicli di più
secoli o decenni.
Per evitare equivoci è importante definire la differenza tra:
Variabilità: oscillazione di uno o più parametri (temperatura, umidità, precipitazione, ecc..)
rispetto ad un valore medio calcolato sulla base di almeno 30 anni di osservazioni
Variazione: con questo termine si definisce un mutamento o la tendenza ad uno
spostamento dei livelli medi che si verifica per una certa durata di tempo.
Cambiamenti dovuti alla tettonica delle placche (cicli di milioni di anni)
È risaputo che, prima di tutto il livello del mare si abbassa quando i continenti sono aggregati fra di
loro, mentre si alza quando si separano. Il livello del mare era mediamente più basso sia al tempo
della formazione della Pangea, durante il Permiano che durante il Neoproterozoico al tempo del
supercontinente Gondwana, risalendo rapidamente ai massimi durante l'Ordoviciano ed il
Cretaceo quando i continenti erano separati. A causa di ciò, si genera anche un effetto climatico
che il ciclo dei supercontinenti amplifica ulteriormente:
Supercontinente: clima continentale dominante; maggior probabilità di glaciazioni; livello
marino ancora più basso;
Deriva continentale: clima marittimo dominante; glaciazioni meno probabili; livello del mare
non si abbassa a causa di tale meccanismo.
La deriva dei continenti è un processo estremamente lento, per cui la posizione dei continenti fissa
il comportamento del clima per milioni di anni. Ci sono due aspetti da tenere in considerazione. Da
un lato, le latitudini a cui si concentra la massa continentale: se le masse continentali sono situate
alle basse latitudini si avranno pochi ghiacciai continentali e, in generale, temperature medie meno
estreme. Analogamente, se i continenti sono molto frammentati si avranno zone inferiori di clima
continentale.
Mutazioni millenarie. Le variazioni climatiche con periodi millenari sono da attribuire alla
variazione dei parametri dell’orbita terrestre quali:
Variazione dell’inclinazione dell’asse;
Precessione degli equinozi;
Eccentricità dell’orbita.
L’inclinazione dell’asse terrestre oscilla tra i 22.1° e i 24.5° con un periodicità di 41.000 anni,
facendo così variare la posizione dei tropici e poli. Dalle ricerche emerge che:
con valori minimi d’inclinazione si hanno scarse variazioni stagionali,
per valori alti d’inclinazione la quantità di radiazione che colpisce le alte latitudini nella
stagione estiva è maggiore mentre diminuisce nella stagione invernale; in questo modo si
accentua l’escursione termica annua (tendenza continentale).
Attualmente l’inclinazione terrestre è pari a 23.4°.
A causa dell’attrazione della luna sul rigonfiamento equatoriale e dell’inclinazione dell’asse
terrestre rispetto a quello dell’ellittica, si produce il moto di precessione che corrisponde ad un
lento movimento dell’asse secondo la generatrice di un cono. Dai calcoli risulta che la rotazione
completa dell’asse equinoziale avviene in un periodo di circa 21,5 mila anni. Se l’orbita terrestre
fosse circolare (ricordiamo che è ellittica) la precessione non determinerebbe nessun
cambiamento, invece data la traiettoria della rotazione della terra intorno al sole, la variazione di
questo parametro provoca i seguenti cambiamenti climatici:
Attualmente l’emisfero boreale è privilegiato perché l’inverno si presenta al perielio
(distanza minore tra terra-sole), quindi inverno più mite ed estate più fresca; al contrario
avviene nell’emisfero australe (estate più calda e inverno più freddo)
Fra 12 mila anni il nostro emisfero avrà la coincidenza dell’estate con il perielio e dato che
la velocità della terra è maggiore proprio in corrispondenza di questo punto a causa delle
forze gravitazionali, l’estate sarà breve e gli inverni saranno più lunghi e rigidi.
L’attrazione esercitata dai pianeti appartenenti al sistema solare fa sì che l’orbita della terra nei
millenni si discosti dalla forma circolare, assumendo diversi valori di eccentricità (rapporto tra la
“distanza sole centro ellisse” e la “lunghezza del semiasse maggiore dell’ellisse stesso”).
Attualmente il valore è pari a 0.0017, ma può variare da 0.06 a 0.0018 in un periodo complessivo
di circa 400.000 anni, con valori massimi che si ripetono però ad intervalli di 100.000 anni circa,
influenzando molto il clima della terra.
1) Maggiore è l’eccentricità maggiore è la differenza tra la distanza massima e quella minima
della terra dal sole nel corso dell’anno;
2) Nei periodi in cui l’eccentricità è più forte viene intensificato l’effetto determinato dalla
precessione.
Riassumendo, i mutamenti millenari del clima, sono dovuti alla combinazione dei tre cicli prima
descritti e più precisamente dalla quantità della radiazione solare che arriva sulla terra alle diverse
latitudini. A questo proposito dagli studi di Milankovitch (1941) sono emersi dei grafici
corrispondenti alla variazione della radiazione solare negli ultimi 300.000 anni rispetto al valore
attuale, ricavati unendo le influenze dei tre fattori astronomici. E’ possibile notare come i periodi di
minimo di radiazione ricadano all’interno delle Ere glaciali del Riss e Wurm nei quali sono presenti
però anche dei picchi massimi.
A questo proposito i ricercatori propendono ad una maggiore complessità di fattori, che influenzano
le variazioni climatiche e lo sviluppo-ritiro dei ghiacciai, alcuni dei quali sono:
1) la variazione della concentrazione dell’anidride carbonica e di altri gas a effetto serra
2) la variazione dell’albedo
Sembra che la teoria di Milankovitch possa coincidere con le leggi generali che regolano l’innesco
di un’era glaciale mentre per la sua evoluzione, mantenimento o estinzione debba essere
affiancata ad altri fattori. I tre movimenti sopra descritti fanno si che sulla Terra si alternino delle
condizioni climatiche con contrasti stagionali ora più ora meno marcati. Queste oscillazioni hanno
effetti più sensibili nelle regioni poste alle latitudini più elevate; in queste zone, ad un contrasto
stagionale poco pronunciato corrisponde una maggiore possibilità di espansione dei ghiacciai
perché, avendosi in questo caso delle estati più fresche, le nevi cadute nella stagione più fresca
non riescono a sciogliersi completamente, ma si vanno accumulando di anno in anno e lentamente
si trasformano in ghiaccio. Perciò questi movimenti sono da considerare come una delle cause
principali del succedersi delle Ere glaciali e interglaciali che si sono avute nel nostro pianeta e di
cui abbiamo testimonianze sicure nelle pagine più recenti della lunga storia della Terra, ossia
nell’Era Quaternaria.
Le cause di variazione climatiche con periodi molto brevi sono difficilmente identificabili ed inoltre
si presentano sotto due forme: periodiche e aperiodiche.
Un esempio di variazione periodiche è l’influenza sul clima dovuto alla comparsa/scomparsa delle
macchie solari, (anche se deve essere ancora del tutto dimostrata); mentre un esempio di
variazione aperiodica è quella dovuta ad eruzioni vulcaniche le quali non hanno un andamento
prevedibile. La precessione, l’obliquità e l’eccentricità sono dei cambiamenti lenti e non uniformi
dovuti all’influenza gravitazionale sulla Terra esercitate da altre masse del sistema planetario. La
cosiddetta precessione climatica, il prodotto dell’eccentricità con il coseno dell’angolo di
precessione, è una quantità relativa per l’effetto climatico al cambiamento di precessione. Il
cambiamento della precessione e dell’obliquità influenzerà la distribuzione stagionale e latitudinale
dell’insolazione, ma non cambierà l’energia totale del Sole ricevuta dalla Terra in un anno.
Ciononostante, la temperatura media globale della superficie terrestre può essere influenzata
considerevolmente dal cambiamento dell’albedo,della radiazione di onda lunga, dalla circolazione
atmosferica ecc., dovuti al cambiamento temporale e spaziale dell’insolazione.
Impatto vulcanico sul clima globale. Se si considera che il fondo degli oceani al di sotto della
copertura sedimentaria è interamente formato da basalti di origine vulcanica emessi
prevalentemente in corrispondenza delle dorsali in espansione, ci si rende conto che siamo di
fronte al più importante fenomeno geologico che interessa la crosta terrestre.
L’attività vulcanica si manifesta in corrispondenza delle dorsali e delle isole oceaniche, dei sistemi
di grandi fratture continentali e sopra i lembi di litosfera discendenti nel mantello nelle zone di
subduzione. Oltre a numero indefinito di vulcani sottomarini, esistono al mondo circa 600 vulcani
attivi in tempi storici; di questi più della metà (62%) formano un anello attorno al Pacifico (Ande,
Sierra Madre, Catena delle Cascate, Alaska, Kamcatka, Giappone, Indonesia, ecc.) e sono ai
margini continentali di tipo pacifico e agli archi insulari oceanici dove vi è subduzione attiva. Vi
sono inoltre vulcani sparsi in Italia, Africa, Antartide e lungo le dorsali oceaniche quali quelli
dell’Islanda; un certo numero di centri vulcanici è ubicato in corrispondenza dei punti caldi che si
trovano per lo più negli oceani, ma a volte anche nei continenti.
Il magma è un fuso prevalentemente silicatico (fase liquida) contenente quantità variabili di cristalli
(fase solida) e di sostanze volatili (fase vapore). Queste ultime sono disciolte nel magma in
condizioni di alta pressione ma si separano (fase vapore) con basse pressioni quando il magma
risale verso la superficie. Quando il magma risale, inizia un frazionamento dei volatili a seconda
della loro affinità per la fase liquida e gassosa ed in funzione della loro solubilità. Una quantità
enorme di materiale e di gas è stata liberata nel passato dai flussi basaltici, ciò è stato rilevato dai
basalti del Deccan in India (datati circo 65 milioni di anni) e dai basalti del Columbia River (datati
16 milioni di anni fa). Un vulcano può emettere gas anche senza eruttare gli altri componenti del
magma: l’Etna, ad esempio, emette in continuazione vapori e gas. I gas vulcanici sono costituiti
mediamente per più del 90% di H2O; gli altri gas principali sono CO2 , CO, H2, SO2, H2S e HCl. Il
monossido di carbonio e l’idrogeno sono abbondanti alle alte temperature, mentre l’anidride
carbonica e l’idrogeno solforato alle basse. I costituenti principali delle emissioni vulcaniche, acqua
e anidride carbonica, producono scarsi effetti sull’atmosfera quando immessi episodicamente dalle
eruzioni vulcaniche, perché già presenti nell’atmosfera terrestre in grandi quantità. L’anidride
solforosa è talvolta presente in quantità rilevante e si trasforma in acido solforico; l’acido cloridrico
è presente in quasi tutti i vulcani. Il componente volatile più abbondante, l’ H2O, viene emesso in
quantità che varia da circa lo 0,1% in peso nei magmi oceanici a circa il 5% in vulcani continentali.
La maggior parte degli effetti sul clima sono causati dalla gigantesca immissione di SO2
nell’atmosfera, che trasformandosi in acido solforico nell’atmosfera contribuisce a rendere acide le
piogge. La stessa trasformazione avviene nel materiale vulcanico iniettato nella stratosfera in
occasione delle maggiori esplosioni vulcaniche: assorbendo le radiazioni solari può causare un
temporaneo raffreddamento del clima terrestre negli anni immediatamente seguenti. Infine l’acido
cloridrico introdotto nell’atmosfera può contribuire ad intaccare lo strato di ozono assottigliandolo,
come è avvenuto durante l’eruzione del vulcano filippino Pinatubo nel 1991. L’SO2 immessa nella
stratosfera viene gradualmente ossidata nell’arco di diverse settimane in solfato, che condensa a
formare un “velo” di aerosols. Molti componenti volatili si ossidano e si idratano nell’atmosfera,
formando gas acidi e aerosols. I gas acidi possono modificare la durata della vita delle nubi nella
troposfera e le loro proprietà ottiche. I gas dello zolfo possono penetrare la tropopausa attraverso
la diffusione (CSO) e una maggior quantità per convenzione dopo una eruzione di tipo Pliniano
(SO2 e H2S). Questa modificazione della chimica della stratosfera contribuisce alla formazione di
uno strato di aerosol stratosferico. Gli aerosols hanno la stessa dimensione (o sono più minuti)
della porzione visibile della radiazione solare incidente (media 0.5 mm). L’aerosol modifica il clima
globale attraverso la diffusione e l’assorbimento della luce. Le particelle di aerosol forniscono siti
per reazioni catalitiche che ripartiscono le specie dell’azoto e attivano il cloro e il bromo
contribuendo alla riduzione dello strato di ozono. Circa 72 eruzioni vulcaniche tra il 1853 e il 1991
hanno sviluppato colonne con un’altezza di circa 10 Km. L’impatto dei composti volatili nella
stratosfera è ben documentato dalle eruzioni Pliniane. Nel Nord America, Europa e Asia l’impatto
dei composti volatili, rilasciati durante l’eruzione dell’El Chichon (Messico 1982), portò ad una
diminuzione dello strato di ozono per 3-4 stagioni dopo l’eruzione. L’eruzione del Pinatubo (1991)
fu seguita da una diminuzione dello strato di ozono del 15% per 7 stagioni. L’aerosol stratosferico
causa un notevole impatto sul clima globale perché assorbe la radiazione infrarossa solare e
terrestre. La temperatura della bassa stratosfera aumentò di 1-2oC dopo le eruzioni del Pinatubo e
del El Chichon, subito dopo però, quando l’atmosfera non fu influenzata dall’emissione vulcanica,
si osservò una diminuzione della temperatura nella bassa troposfera.
L’aerosol vulcanico influenza il clima attraverso vari meccanismi:
la riduzione della radiazione visibile causa un raffreddamento della superficie;
l’assorbimento della radiazione infrarossa causa invece un innalzamento della temperature
invernali continentali.
Durante gli anni dopo l’eruzione del Pinatubo si ebbe una diminuzione globale delle temperature
estive, tuttavia un aumento di temperatura invernale fu registrato nell’emisfero Nord alle medie
latitudini a causa di una intensificazione della corrente dell’Ovest che a sua volta dipende dai
venti della bassa stratosfera. Simili condizioni si ebbero dopo le eruzioni del Aroung (Indonesia),
El Chichon e tutte le altre eruzioni dal 1883. Durante un’eruzione vulcanica esplosiva la frazione
più fine della cenere vulcanica (diametro 5 e 0,5 μm) forma sospensioni meccanicamente stabili
nell’atmosfera. Quando la taglia scende sotto 0,1 μm la velocità di sedimentazione diviene
trascurabile e queste particelle possono essere trasportate a grande distanza dal punto di
emissione. Gli aerosol che prendono origine dall’anidride solforosa sono formate da microgocce
di acido solforico. Circa metà dei gas contenenti zolfo scompare in breve nell’atmosfera, in parte
trascinata al suolo dalle piogge e in parte per razioni chimiche dirette con le piante, il suolo e
l’acqua marina. La quantità restante si ossida reagendo con composti presenti nella troposfera e
forma così le particelle che compongono l’aerosol. In effetti quasi tutti i gas contenenti zolfo
reagiscono chimicamente in presenza di agenti ossidanti, il più importante dei quali è il radicale
ossidrile. Le reazioni che portano alla formazione di un aerosol di acido solforico possono essere
suddivise in processi che avvengono a cielo sereno e processi che hanno luogo nelle nubi . Nel
primo tipo il biossido di zolfo reagisce in presenza di vapore acqueo e, attraverso una complessa
serie di stadi, produce acido solforico il quale forma particelle di dimensioni pari a una frazione di
micrometro. Il processo avviene per condensazione su particelle già esistenti o per interazione
con vapore acqueo o con altre molecole di acido solforico. E’ questa la cosiddetta conversione
gas – particelle. L’acido solforico reagisce poi con piccole quantità di ammoniaca, per dare varie
forme idrate di solfato di ammonio. Il processo di produzione di acido solforico all’interno delle
nubi, invece, inizia con la dissoluzione del biossido di zolfo nelle goccioline che costituiscono le
nubi; qui esso può venir ossidato dal perossido di idrogeno che si forma in piccola concentrazione
per combinazione di ossidrili. La reazione di ossidazione forma quindi acido solforico e i suoi Sali
di ammonio in soluzione. Il solfato acido è presente in forma fortemente idrata, nella quale diverse
molecole d’acqua sono legate al solfato. L’evaporazione rimuove parte dell’umidità e, dato che i
solfati si legano fortemente all’acqua, ne risulta una soluzione fortemente concentrata. Il risultato
finale è un aerosol costituito da goccioline di diametro inferiore a un micrometro, chimicamente
indistinguibili da quelle dell’aerosol prodotto nella conversione gas – particelle. La forte affinità
chimica che l’acido e i suoi sali hanno per l’acqua è importante nel determinare la capacità
dell’aerosol di diffondere la luce. Quando le minuscole goccioline acide si miscelano con aria
umida ,tendono ad assorbire umidità e, quindi, a crescere di volume. Una volta formatesi per
reazione chimica, le particelle ricche di zolfo presenti nella troposfera possono produrre un
raffreddamento del clima con due meccanismi: il primo, che avviene con il cielo sereno, consiste
nella riflessione diretta di parte della radiazione solare entrante, e il secondo, più indiretto,
nell’aumento della riflettività delle nubi. Nel primo meccanismo le particelle dell’aerosol diffondono
la luce solare nello spazio, al di fuori dell’atmosfera, e quindi una minore quantità di radiazione
solare può raggiungere il suolo.
Un altro aspetto è, inoltre, quello legato ad eruzioni vulcaniche esplosive, con immissione di gas
anche nei livelli più alti dell’atmosfera e quindi relativa formazione di acido solforico nella
stratosfera. In tal modo si viene a costituire una nube che avvolge la terra su una larga fascia di
latitudine per un paio di anni con intensità decrescente. L’effetto predominante di questa nube è
quello di riflettere la radiazione solare, che, in assenza di altri meccanismi, provocherebbe un
raffreddamento della parte bassa dell’atmosfera e, quindi, della superficie. Inoltre essa è
responsabile della formazione di un substrato su cui agiscono i composti capaci di distruggere
l’ozono stratosferico.
L’anno 1816 è leggendario negli annali della meteorologia. E’ stato chiamato “l’anno senza estate”.
Da maggio a settembre, una serie senza precedenti di ondate di freddo colpiva il nordest degli
Stati Uniti e le province canadesi adiacenti, causando una tardiva primavera, un’estate fredda e un
precoce inverno. Vi fu neve in giugno, gelate in luglio e agosto. Si verificarono danni notevoli
all’agricoltura e si verificò una carestia diffusa. La cronaca di questo straordinario periodo è ben
documentata nei diari e nelle memorie di coloro che lo hanno vissuto. La maggior parte delle
osservazioni meteo del periodo furono realizzate a Williamstown nell’angolo nordoccidentale del
Massachusetts. Nelle statistiche delle temperature si riporta una prima ondata di freddo tra Aprile e
Maggio, poi un periodo relativamente caldo fino al 5 giugno, a cui seguì una disastrosa ondata
fredda in conseguenza di avvezione di una massa d’aria artica. In seguito, per tutta l’estate, si
ebbero continue alternanze di periodi freddi seguiti da temporanei e brevi periodi miti. L’ultima
terribile ondata di freddo di quella anomala estate si ebbe il 27 Settembre. Seguì un rigidissimo
inverno con gelate diffuse e abbondanti nevicate che colpì prevalentemente i tre stati nordici del
Vermont, New Hampshire e Maine. L’anomalia climatica che colpì severamente il nordest degli
Stati Uniti interessò buona parte dell’emisfero settentrionale. Si ebbero carestie anche in Francia e
Germania. Ma il motivo di questo anomalo abbassamento delle temperature fu accertato solo un
secolo più tardi da William Humphreys . In seguito agli studi effettuati, egli sostenne che la
variazione climatica era stata causata in gran parte da polvere vulcanica diffusa nell’atmosfera
terrestre. Tale polvere proteggeva parzialmente la terra dai raggi del sole, consentendo però la
fuga del calore dai bassi strati troposferici e causando così un diffuso abbassamento delle
temperature. Infatti tra il 1812 e 1817 vi furono tre importanti eruzioni. Il vulcano Soufriere sull’isola
di St. Vincent nel 1812; ; Mayon nelle Filippine nel 1814; e Tarmbora sull’isola di Sumbawa in
Indonesia nel 1815. La peggiore fu quella del Tambora che immise nell’atmosfera enormi
quantitativi di cenere vulcanica dal 7 al 12 Aprile 1815. E’ stato stimato che la titanica eruzione del
Tambora produsse da 69 a 190 Km3 di polvere e cenere che, introdotte nella circolazione generale
dell’atmosfera, generarono un velo intorno al globo terrestre.
L’ anidride carbonica prodotta dalle emissioni vulcaniche potrebbe aver avuto importanti effetti sul
clima della Terra. La maggior parte del carbonio terrestre è contenuta nelle rocce sedimentarie. Il
carbonio atmosferico è parte del complesso ciclo geochimico che controlla il trasferimento del
carbonio dalle rocce sedimentarie che si trovano sulla superficie terrestre, alla biosfera, oceani e
quindi atmosfera. Il carbonio presente nell’atmosfera si trova principalmente sotto forma di anidride
carbonica (CO2) che gioca un ruolo fondamentale nel ciclo geochimico. L’ anidride carbonica (CO2)
viene assunta dalle piante e da esse fissata nel suolo, dove reagisce con acqua per dare acido
carbonico H2CO3. Questo altera chimicamente i minerali carbonatici producendo ioni bicarbonato,
ioni calcio e silice in soluzione. Tali prodotti vengono trasportati dai fiumi fino agli oceani, dove gli
organismi incorporano gli ioni calcio e bicarbonato, combinandoli nuovamente in carbonato di
calcio e liberando CO2, che alla fine ritorna nell’atmosfera. L’alterazione dei carbonati non
comporta una diminuzione netta di CO2 atmosferica. Anche gli ioni calcio e bicarbonato risultanti
dall’alterazione dei silicati, però, reagiscono formando carbonato di calcio; in queste reazioni solo
metà della CO2 ritorna all’involucro gassoso che ricopre la terra, cosicché si ha come risultato una
diminuzione di questo gas nell’atmosfera. Se questo processo operasse incontrastato per un
periodo di circa 10.000 anni, l’alterazione dei silicati condurrebbe alla totale scomparsa
dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Ciò non è mai avvenuto, altrimenti la vita sulla terra avrebbe
cessato di esistere; un qualche meccanismo deve intervenire a ripristinare i livelli atmosferici di
CO2. Questo meccanismo è la liberazione di anidride carbonica che accompagna le eruzioni
vulcaniche e i fenomeni correlati.
Quando i carbonati di calcio e magnesio si trovano sepolti a profondità di molti chilometri, vanno
soggetti a temperature elevate, da far si che abbiano luogo reazioni tra calcio, magnesio e silicati
circostanti. Alla fine l’anidride carbonica riesce a farsi strada fino all’atmosfera, talvolta in modo
dirompente, come nel corso delle eruzioni vulcaniche , talvolta in modo sommesso e inosservato,
come in una sorgente di acqua naturale gassata. Insieme alla liberazione di CO2 che viene
generata nella sedimentazione dei carbonati questo degassamento delle rocce è il principale
meccanismo attraverso cui il carbonio viene restituito all’atmosfera, chiudendo il ciclo geochimico.
Il degassamento può avere luogo in ambienti molto vari, particolarmente diffuso nelle zone di
subduzione. Partendo dal presupposto che il livello di CO2 atmosferica non abbia subito
fluttuazioni incontrollate nel tempo, il degassamento vulcanico metamorfico deve sostanzialmente
compensare la CO2 sottratta all’atmosfera dai processi di alterazione chimica e di deposizione di
carbonato di calcio. L’assunto secondo cui il livello di anidride carbonica non sarebbe variato nel
tempo in modo incontrollato è evidentemente valido, per il semplice fatto che la vita esiste sulla
terra. Se il tasso di degassamento si dimezzasse , tutta la CO2 atmosferica e quella disponibile
negli oceani verrebbe ad esaurirsi nel giro di 600 000 anni, comportando la cessazione della
fotosintesi. Se il tasso di degassamento raddoppiasse, l’eccesso di CO2 condurrebbe, per effetto
serra, all’estinzione della vita animale e vegetale in pochi milioni di anni. Un leggero
sbilanciamento nei flussi tra le componenti del ciclo geochimico del carbonio, ha portato a una
generale diminuzione dell’anidride carbonica atmosferica nel corso degli ultimi 100 milioni di anni.
Di conseguenza, a causa dell’attenuazione dell’effetto serra, la temperatura ha subito un
raffreddamento. Nel Cretaceo (135 – 65 milioni di anni fa), invece la temperatura media
superficiale della terra era più alta di quella attuale. Prove a sostegno sono i fossili di vegetali e
animali che vivono attualmente in climi caldi, ritrovati in luoghi che nel Cretaceo erano regioni
polari. Per riscontrare le temperature stimate dai paleontologi e dai geochimici per le alte latitudini
durante il Cretaceo, i livelli di CO2 dovrebbero essere da quattro a otto volte gli attuali. E’ evidente
che le variazioni climatiche del passato geologico siano state causate principalmente da
variazioni del contenuto di CO2 in atmosfera. Questa teoria della paleoserra è stata
energicamente sostenuta da Alfred G. Fischer (Princeton University). Egli ha dimostrato che per
gli ultimi 600 000 milioni di anni vi è una buona correlazione tra periodi con temperature elevate,
alti livelli del mare e maggiore abbondanza di rocce ignee. Durante i periodi glaciali si osservano
invece bassi livelli del mare e una minore quantità di rocce ignee. Risulta quindi chiaro come la
Terra sia passata da periodi serra, a periodi glaciali, in dipendenza all’attività tettonica e
dall’emissione di per CO2 degassamento.
Fenomeni climatici. L'esempio del Niňo/Southern Oscillation
El Nino è un fenomeno climatico ricorrente, che si verifica ogni quattro o cinque anni circa, la sua
manifestazione più recente ha ricevuto molta più attenzione di qualsiasi altro evento analogo del
passato. L’ultimo El Nino è stato molto citato dai mezzi di comunicazione ed il termine è ormai
entrato a far parte del vocabolario comune assumendo, spesso a sproposito, il significato di ogni
evento negativo, dagli ingorghi stradali alle morie di foche in California. In realtà, El Nino è un
episodio di riscaldamento anomalo delle acque dell’Oceano Pacifico che può durare parecchi mesi
ed avere notevoli ripercussioni sulle condizioni climatiche e metereologiche della terraferma.
In origine, il termine El Nino si riferiva a una corrente stagionale calda che si instaurava lungo le
aride coste del Perù nel periodo natalizio, mitigando le condizioni determinate dalle freddi correnti
da Sud normalmente prevalenti. La prima descrizione scritta del fenomeno risale al 1891, ma i
pescatori peruviani ne erano consapevoli già da tempo. A intervalli di alcuni anni la corrente del
Nord era eccezionalmente calda ed intensa, e si incuneava fino a latitudini molto meridionali
portando con se “doni” in gran quantità. Un viaggiatore in terra peruviana aveva descritto in questi
termini lo spettacolo presentatosi ai suoi occhi: “Il mare è pieno di meraviglie, e ancor più la Terra;
il suolo si intride d’acqua per le forti piogge, e in poche settimane tutto il paese si ammanta di
pascoli verdeggianti. Il bestiame si riproduce in misura doppia rispetto al solito e il cotone può
crescere in luoghi altrimenti del tutto sterili”. Da questo resoconto si comprende perché l’avvento
del Nino non fosse considerato una iattura, ma al contrario un evento positivo, un regalo da
Bambino Gesù.
Oggi però il termine El Nino non si riferisce solo alla corrente costiera annuale, ma al più
spettacolare fenomeno interannuale che influenza gran parte del globo. Inoltre, non solo è
cambiata l’accezione del termine, ma anche la percezione del fenomeno; oggi abbiamo una
visione deteriore del Nino, non tanto perché il suo carattere sia cambiato, ma perché abbiamo una
diversa concezione del Mondo: le intense piogge trasformano ancora il deserto in giardino, ma
travolgono anche case, ponti e strade, ovvero i prodotti di uno sviluppo economico e di un enorme
aumento della popolazione.
Le temperature superficiali del mare sono alternativamente sopra la media, durante gli eventi di El
Nino o sotto di essa, durante i periodi complementari noti come eventi La Nina. Queste fluttuazioni
interannuali sono accompagnate da variazioni di altri parametri, come la pressione superficiale.
Per esempio, le fluttuazioni della pressione superficiale rilevate a Darwin e a Tahiti sono correlate
con i cambiamenti di temperatura superficiale del mare e sono in opposizione di fase tra loro:
quando la pressione risulta sopra la media a Tahiti tende a essere sotto la media a Darwin, e
viceversa . Esiste infatti una sorta di altalena planetaria con una periodicità interannule che
attraversa il Pacifico tropicale.
La circolazione atmosferica ai tropici è costituita da un certo numero di celle termiche dirette nelle
quali l’aria sale in corrispondenza delle regioni in cui le temperature superficiali sono più alte, vale
a dire il bacino amazzonico, nell’Africa tropicale e nel così detto continente marittimo del Pacifico
tropicale occidentale. Gli Alisei trasportano aria calda e umida verso tali regioni dando origine ad
alte nubi cumuliformi che riversano piogge abbondanti. Sul Pacifico occidentale, quest’aria ritorna
verso Est in quota per poi discendere sul Pacifico centro Orientale e riunirsi agli Alisei che spirano
verso Ovest. L’andamento di questa tipo di cella prende il nome di circolazione di Walker: in essa
le precipitazioni sono abbondanti in corrispondenza del ramo ascendente e minime in quello
discendente.
Durante gli episodi di El Nino, il riscaldamento del Pacifico tropicale altera drasticamente la forma
e l’intensità della circolazione di Walker (vedi figura sotto). Poiché il moto di convezione rimane al
di sopra delle acque più calde, la regione di maggiore precipitazione si sposta verso Est, verso
l’arcipelago delle Galapagos e le coste del Perù e dell’Equador.
Figura 1
Gli alisei lungo l’equatore sono deboli, al contrario di quanto accade durante gli episodi di La Nina.
La variazione interannuale nella localizzazione e nell’intensità del calore latente liberato nelle zone
di convezione influenza la circolazione atmosferica globale. Gli effetti di El Nino si allargano a
ventaglio su tutto il globo con notevoli differenze geografiche. Alcune regioni dell’America
Settentrionale e Meridionale, per esempio, sono colpite più di altre. Le correnti a getto si fanno più
intense durante El Nino, cosicchè, la parte meridionale della California subisce ad esempio un
aumento dell’attività temporalesca.
Per spiegare i cambiamenti delle temperature superficiali dell’oceano è importante comprendere
come, dal punto di vista termico, esso consista di due strati con caratteristiche diverse: un sottile
strato superficiale di acqua calda, profondo un centinaio di metri, sotto il quale giace uno strato
profondo e freddo che si estende fino a oltre 4000 metri di profondità divisi da un termoclino. In
assenza di vento, il termoclino è orizzontale e le acque calde superficiali sono distribuite
uniformemente sopra lo strato freddo. Tendenzialmente, è questa la situazione che si instaura
durante El Nino, quando gli Alisei sono deboli.
Lezione 3: Influenza dell'uomo sul clima (6 ore)
L’aria, in natura, non è mai completamente pura. Taluni gas, come anidride solforosa (SO2),
idrogeno solforato (H2S) e ossidi di carbonio (CO), sono continuamente immessi nell’aria come
prodotti di alcuni fenomeni naturali, quali attività vulcanica, decomposizione di vegetazione e
incendi nei boschi. Inoltre minute particelle solide o liquide sono distribuite nell’aria dai venti,
esplosioni vulcaniche e altre simili attività naturali.
A questi “inquinanti naturali” si aggiungono le sostanze risultanti dall’attività umana. Si è stimato
che negli Stati Uniti vengono immesse annualmente nell’aria più di 200 milioni di tonnellate di
sostanze inquinanti prodotte dall’uomo, cioè una tonnellata per persona l’anno, oppure tra 2,5 e 3
Kg per persona al giorno.
Cinque tipi di sostanze, conosciute come inquinanti primari, sono responsabili di più del 90%
dell’inquinamento atmosferico nel mondo:
Ossidi di carbonio
Ossidi di azoto
Idrocarburi
Ossidi di zolfo
Particelle
L'anidride carbonica costituisce il maggior inquinante. Tuttavia la valutazione degli inquinanti e
delle fonti di inquinamento fatte solamente in termini di peso comporta un grave inconveniente:
essa non tiene sufficientemente conto della dannosità o pericolosità dei singoli inquinanti.
Effetto Serra
Il nostro secolo ha senza dubbio portato sulla scena mondiale nuove tecnologie e migliorie alla vita
umana. Ma purtroppo il prezzo da pagare è stato alto: la terra è seriamente minacciata
dall’inquinamento ed in particolare dal fenomeno chiamato “effetto serra”. I raggi solari che
raggiungono la superficie terrestre passano inalterati attraverso i gas atmosferici. La superficie
riscaldata riemette energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche a lunghezza d’onda
maggiore di quelle incidenti. Alcune molecole allo stato gassoso che si trovano nella troposfera
assorbono le radiazioni ad elevata lunghezza d’onda, come i raggi infrarossi. In questo modo
l’energia termica è trattenuta negli strati più bassi dell’atmosfera. Il fenomeno è noto come effetto
serra, poiché la troposfera si comporta infatti come una serra che riscalda l’ambiente interno.
A partire dal 1850 circa (inizio dell’epoca industriale), l’uomo ha condotto, incosciamente, una sorta
di esperimento geochimico globale, restituendo all’atmosfera, attraverso la combustione di grandi
quantità di combustibili fossili, una parte del carbonio che era stato fissato, per fotosintesi, milioni
di anni addietro. Durante gli ultimi 150 anni la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è aumentata
da 280 a circa 380 ppm e più di un quinto di questo incremento si è registrato proprio nell’ultimo
ventennio.
Se visto in termini assoluti, l’aumento riscontrato di anidride carbonica può apparire trascurabile,
considerando che questo gas è presene nell’atmosfera in concentrazioni non superiori allo 0,03%
in volume. Tuttavia, nonostante la sua bassa concentrazione assoluta, la CO2, insieme con altri
gas, presenti in concentrazione ancora più bassa esercita un ruolo importantissimo nella
regolazione della temperatura globale. Al contrario di azoto e di ossigeno, che sono i gas
macrocostituenti dell’atmosfera, altri gas, anche se presenti in tracce, hanno la capacità di
assorbire le radiazioni infrarosse,e, quindi, di trattenere ed immagazzinare il calore irradiato dalla
superficie terrestre. I gas che sicuramente, oltre alla CO2, contribuiscono all’Effetto Serra sul
pianeta sono il CH4, l’N2O e i CFC (clorofluorocarburi): indipendentemente dalla loro provenienza
(biologica, industriale, agricola), tutti questi gas contribuiscono ad alterare il bilancio radioattivo
della Terra.
La certezza scientifica della correlazione tra l’aumento dei gas serra e l’aumento della temperatura
sul pianeta è deducibile dal lavoro compiuto da scienziati di tutto il mondo riunitisi, già a partire dal
1979, in gruppi di studio organizzati dalla Word Metereological Organization (WMO) in
collaborazione con lo United Nations Enviromental Program (UNEP). Malgrado gli sforzi fin qui
compiuti per la conoscenza del problema, non sono, tuttavia, ancora ben chiare le dimensioni del
fenomeno, né i termini temporali in cui esso potrà manifestarsi in maniera drammatica. E’ probabile
che una previsione sui tempi di una catastrofe da Effetto Serra non potrà e non dovrà essere fatta,
sostenendosi con essa, una qualche forma di ineluttabilità dell’avvenimento. E’ certo che uno dei
provvedimenti da adottare, a livello mondiale, consiste nel stabilire un limite di emissioni dei gas
che nell’atmosfera determinano l’Effetto Serra. Per affrontare correttamente la questione è
opportuno sottolineare che, senza la presenza dei così detti gas serra, la temperatura della
superficie terrestre sarebbe mediamente più basa di circa 33 oC rispetto ai valori attuali, e la vita
sarebbe impossibile per la maggior parte delle specie vegetali e animali. Essi dunque esercitano,
fino a un certo punto, una azione benefica sul pianeta. Perciò quando si parla di Effetto Serra
occorre distinguere tra un fenomeno a carattere naturale, che ha determinato, peraltro, le
condizioni climatiche attuali del pianeta, e un fenomeno che, rispetto al primo, si presenta sotto
forme non desiderabili, per effetto di un eccessivo aumento della concentrazione dei gas.
Tra i gas che contribuiscono ad un Effetto Serra naturale, certamente il più importante è il vapore
acqueo. Su di esso,tuttavia, l’incidenza delle attività umane ha poco peso e pertanto le sue
variazioni di concentrazione nell’atmosfera sono poco preoccupanti, anche in considerazione dei
suoi tempi di permanenza che sono molto brevi. Una incidenza certamente maggiore hanno, di
contro, la CO2, il CH4, l’O3 e i CFC, tutti gas i cui valori di concentrazione, peraltro naturalmente
molto bassi, possono venire abbondantemente modificati per effetto delle attività umane.
Il contributo che ognuno di questi gas fornisce all’aumento dell’Effetto Serra dipende, oltre che
dalla sua concentrazione, anche dalla capacità di assorbimento della radiazione infrarossa, legata
in gran parte alla struttura chimica delle sue molecole. Questi parametri, correlati con il tempo di
permanenza di questi gas nell’atmosfera, determinano l’“effetto climatico per molecola” e il “potere
di riscaldamento globale”, i cui valori, riferiti all’anidride carbonica, per la quale le due funzioni
vengono assunte come unitarie vengono riportati di seguito.
Effetto climatico e potere di riscaldamento globale dei gas serra
Gas Effetto climatico Potere di riscaldamento globale
(20 anni)
CO2 1 1
CH4 25-32 63
N2O 150-250 290
O3 2000
CFC-11 14000-17500 3500
CFC-12 17000-20000 7300
Il potere di riscaldamento globale viene definito come il rapporto tra il riscaldamento prodotto in un
certo arco di tempo dalla emissione di un chilogrammo di gas e quello prodotto dalla emissione di
una pari quantità di anidride carbonica.
Per capire come è possibile intervenire per ridurre l’aumento dei gas serra nell’atmosfera, e quindi
ridurne l’effetto, è necessario sapere quali sono le fonti di provenienza di questi gas. La principale
fonte di gas serra, a livello mondiale, è rappresentata, senza dubbio, dalla produzione e dal
consumo energetico, necessari per il mantenimento di tutti i processi industriali e agricoli e per gli
impianti di riscaldamento dei centri urbani: più del 50% del contributo totale all’effetto serra infatti è
da ascrivere alla CO2, prodotto finale dello sfruttamento delle fonti energetiche tradizionali
(combustibili fossili).
Le emissioni derivanti dalle pratiche agricole, costituite da CH4 e da N2O, contribuiscono per circa il
15% all’Effetto Serra, e si vanno facendo sempre più consistenti i contributi dovuti ai
clorofluorocarburi (dell’ordine del 7-8%), usati una volta come gas propellenti e come fluidi come
refrigeranti per gli impianti di condizionamento. Un altro significativo contributo all’Effetto Serra
(circa il 9%) viene dalla deforestazione di grandi superfici: l’abbattimento del manto vegetale
corrisponde ad una diminuzione dei processi fotosintetici e incide quindi sulla cinetica di
trasformazione della CO2 atmosferica.
In seguito a indagini, effettuate sulle variazioni di temperatura del pianeta negli ultimi 200 anni, gli
studiosi di questo problema ritengono, unanimemente, che l’aumento di concentrazione dei gas
serra produca un effetto climatico per molecola pari a 2 Watt/m2, cioè ogni metro quadrato di
superficie terrestre trattiene una quantità extra di energia radiante pari a 2 Joules. Il dato, tuttavia,
non consente di tradurre direttamente questa energia aggiuntiva trattenuta in termini di aumento
della temperatura; infatti, altri parametri, oltre i gas serra, concorrono seppur indirettamente a
favorire un aumento di temperatura globale. Ciononostante, tutti concorrono, congiuntamente
all’aumento di concentrazione dei gas serra, all’incremento di temperatura globale che, negli ultimi
100 anni, è stato valutato in 0,5oC.
Allo stato attuale si tenta di studiare il fenomeno attraverso la messa a punto di modelli di
simulazione, dai quali è possibile ricavare una ipotetica evoluzione di tutte le variabili e valutare,
quindi la risposta rispetto ad alcune possibili assunzioni. Per mezzo di modelli di simulazione è
stato possibile ipotizzare una situazione in cui la concentrazione di CO2 sarà raddoppiata intorno
all’anno 2030: nella situazione di equilibrio determinata da queste condizioni si verificherà un
aumento di temperatura compreso tra 1,5 e 4,5 oC, con una temperatura media globale maggiore
di circa 2 oC rispetto a quella di 200 anni fa.
Diversi e tutti vitali sono i settori sui quali è certamente possibile e doveroso intervenire per
contenere e ridurre l’aumento della temperatura per Effetto Serra. Il principale è senza dubbio
quello della razionalizzazione dei consumi e del miglioramento dell’efficienza energetica nei
processi industriali. L’altro importante settore è quello delle scelte delle fonti energetiche, nel senso
di ridurre drasticamente l’uso di combustibili fossili a favore delle fonti rinnovabili. Un terzo settore,
di grande importanza per i riflessi che può avere sulla produzione globale di sostanze alimentari, è
quello agricolo. Infine sarà necessario bloccare, attraverso accordi internazionali come il Protocollo
di Kioto, i processi di deforestazione che, trasformando vaste aree in zone desertiche,
impediscono l’assorbimento e la fissazione della CO2 rimandandone, per riflessione, grandi
quantità nell’atmosfera.
Ruolo degli aerosol nell’evoluzione del clima
Le particelle di aerosol sono formate da aggregati molecolari o da minutissimi frammenti di
materiale solido di diversa natura, fissatisi insieme per adesione. In altri casi, come nelle foschie e
nelle nebbie, le particelle di aerosol sono piccole goccioline di acqua liquida, entro le quali il
materiale insolubile rimane in sospensione e le sostanze solubili, come sali marini o solfati, si sono
sciolte rapidamente. Queste particelle possono essere originate da processi naturali
(risospensione, incendi, aerosol marino, polveri vulcaniche e desertiche) o da attività industriali,
agricole e minerarie. La forma di una particella di aerosol è solitamente irregolare e di dimensioni
che possono variare da pochi millesimi di mm (come negli aggregati molecolari, che si formano
nelle aree urbane congestionate dall'intenso traffico veicolare) a una decina di mm (come nel caso
di particelle di origine marina o di particelle di combustione oppure particelle desertiche). E' ben
noto che le particelle di aerosol presenti in atmosfera possono produrre importanti processi di
scattering ed assorbimento della radiazione solare incidente. In seguito a tali processi
d'interazione, l'albedo del sistema costituito dalla superficie terrestre e dall'atmosfera può risultare
apprezzabilmente diversa da quella della superficie terrestre. Ad esempio, in aree del pianeta
caratterizzate da insediamenti urbani a forte densità di popolazione e da attività industriali molto
intense, le particelle di aerosol possono essere presenti in atmosfera in concentrazioni numeriche
assai elevate e mostrare caratteristiche ottiche fortemente influenzate dalla presenza di sostanze
carboniose che assorbono fortemente la radiazione solare. Essendo l'albedo del sistema
"superficie-atmosfera" definita come la percentuale di radiazione incidente che viene riflessa
indietro dal sistema su tutto lo spettro elettromagnetico, è evidente che un maggior assorbimento
della radiazione solare da parte delle particelle di aerosol comporta una diminuzione della
percentuale di radiazione solare che può essere soggetta a scattering. In tal caso, diminuendo
anche lo scattering all'indietro, l'albedo del sistema non può che decrescere.
A causa delle forti interazioni tra le particelle di aerosol e le nubi, esistono anche importanti effetti
di forzatura indiretta degli aerosol. Le variazioni nel carico e nelle caratteristiche degli aerosol ed in
particolare dei nuclei di condensazione (CCN) si ripercuotono indirettamente sullo sviluppo e sulle
proprietà radiative delle nubi. La presenza di aerosol si ripercuote indirettamente anche sul
contenuto locale di umidità in atmosfera o sulle proprietà riflettenti, per esempio, di una superficie
coperta da neve. Mediante l'unione degli effetti diretti e di quelli indiretti, il sistema climatico
terrestre può essere soggetto a forzature radiative positive o negative: le prime tendono ad un
riscaldamento del clima mentre le seconde ad un raffreddamento. La forzatura radiativa causata
dalle particelle di aerosol sembra quindi essere quasi comparabile come magnitudine, ma di segno
opposto, a quella prodotta dall'aumento di gas serra introdotti in atmosfera nell'ultimo secolo.
Occorre comunque precisare che se pur globalmente questi due processi sono comparabili,
completamente differenti sono le scale spaziali e temporali su cui essi agiscono. A causa
dell'omogeneità della distribuzione di un gas come la CO2 la forzatura radiativa prodotta
dall'aumento di tale gas è uniformemente distribuita ed aumenta in maniera lineare, analogamente
alla crescita della concentrazione di CO2. Al contrario la distribuzione assolutamente disomogenea
del carico aerosolico e delle sorgenti antropiche in particolare, fa si che la relativa forzatura
radiativa si concentri in poche aree e risulti governata anche dai processi di trasporto. Pensare
perciò di annullare l'effetto serra semplicemente aumentando la concentrazione ad esempio di
particelle carboniose è un'idea priva di alcun senso. Nelle aree remote del pianeta il carico
atmosferico di particelle di aerosol è principalmente originato da processi naturali (spray marino,
attività eolica, eruzioni vulcaniche, conversione da gas a particelle), cosicchè una percentuale
assai modesta della massa di particelle di aerosol risulta possedere le caratteristiche fisico-
chimiche proprie delle sostanze generate dalle attività industriali. Comunque, anche nelle aree
artiche ed antartiche, la componente del carico di particelle originate da attività antropiche sta
aumentando di pari passo con l'aumento del carico aerosolico, quale si sta osservando alle medie
latitudini e nelle aree più popolate. Questo lento ma continuo aumento potrà provocare effetti molto
seri sui processi di scambio radiativo che hanno luogo in aree come quella antartica, nelle quali
l'albedo della superficie è di per sè molto elevata, grazie alla presenza di ampie distese
continentali coperte da nevi e ghiacci perenni. Infatti, proprio perchè l'albedo presenta valori così
grandi, anche variazioni relativamente piccole del carico aerosolico possono causare variazioni
apprezzabili dell'albedo del sistema superficie-atmosfera, tali da produrre effetti non trascurabili
sull'equilibrio radiativo locale. Il delicato equilibrio che governa tali aree rende tali variazioni
potenzialmente in grado di originare mutamenti anche drammatici delle caratteristiche climatiche
delle regioni di alta latitudine del nostro pianeta.
Il ruolo dell’agricoltura nei cambiamenti climatici
L’uso della terra da parte dell’uomo causa un cambiamento della struttura della vegetazione e del
bilancio idrico dell’ecosistema terrestre. I principali fattori che contribuiscono a questo
cambiamento sono di seguito riportati:
Conversione delle foreste a campi arabili e al pascolo.
Misure di irrigazione e di drenaggio.
Dissodamento del suolo e fertilizzazione con azoto.
Allevamento intensivo del bestiame e uso di tecnologie inadeguate per l’uso della terra.
In generale, le cause principali del cambiamento nell’uso della terra sono gli interessi economici
ed un’aumentata richiesta di cibo dovuta all’aumento demografico.
Il disboscamento consiste nella eliminazione della copertura vegetale per far posto a una diversa
utilizzazione del terreno: pascoli, campi coltivati, strade, costruzioni, canali, ecc…Nei paesi della
fascia temperata il disboscamento per far posto all’agricoltura è stato molto intenso nei secoli
passati, mentre attualmente si è arrestato. Il disboscamento è invece una pratica molto diffusa
nelle regioni tropicali umide dove si pratica il sistema di “coltura itinerante”. L’impatto ambientale
conseguente alla trasformazione di un ecosistema primario in un agroecosistema è stato rilevato
accuratamente in alcuni territori della Russia messi a coltura nel nostro secolo: nella steppa, dove
prosperavano oltre trecento specie di insetti, con l’avvento dell’agricoltura si è assistito alla
scomparsa di oltre i due terzi delle specie e di quelle rimaste alcune hanno subito incrementi
demografici impressionanti. Inoltre, mentre gli organismi pionieri negli ecosistemi immaturi sono in
grado di sopravvivere in mancanza o quasi di omeostasi, gli organismi selezionati artificialmente
perdono tali caratteristiche. In definitiva, “le piante coltivate sono tutte dei mostri biologici, anemici,
ipertrofici, impotenti, che l’uomo deve continuamente difendere dall’assalto della nostra natura”.
L’uso della terra può provocare una perdita di fitomassa, una diminuzione di materia organica e,
dunque, un’alterazione del budget energetico. Questa alterazione non è ristretta alla scala locale
ma ha pure un impatto regionale e globale. Ad esempio, la deforestazione provoca la
mineralizzazione della sostanza organica del suolo e della lettiera. L’agricoltura, sia quella
industrializzata che quella tradizionale, ha un impatto sull’aria, sul suolo e sulle risorse idriche
superiore a quello di qualsiasi altra attività umana.
L’uso della terra ha un grande impatto anche sul rilascio di metano. Il metano è prodotto dalla
decomposizione della sostanza organica in condizioni anossiche dovuta a processi fermantativi di
organismi microbici (cf. Stevens e Laughlin 2001). Il metano contribuisce all’Effetto Serra
antropogenico per circa il 13% (Enquete Kommission 1994). Il 20% circa delle emissioni di metano
derivano da sorgenti naturali nelle torbiere e nelle paludi, dove è favorita la produzione microbica a
causa delle acque anossiche. L’allevamento intensivo di bestiame incide con la liberazione in
atmosfera di circa 215 milioni di tonnellate di CH4 per anno, che corrispondono al 40% delle
emissioni totali di metano e al 60% delle emissioni antropogeniche di CH4. L’allevamento del
bestiame e la produzione di riso sono considerate tra le maggiori fonti di metano, una terza fonte
significativa è la pratica del taglia e brucia praticata ai tropici. La quantità di metano rilasciata
dipende dal tipo di bestiame e dall’età degli animali. Un buon allevamento di animali tutti adulti può
rilasciare una quantità di metano superiore a 100 Kg/anno. In un allevamento industrializzato, per
avere una miglior produzione di latte, si ha un rilascio di metano 5 volte superiore a quello
rilasciato in una campagna sviluppata.
La distruzione delle foreste
Da quando ebbe inizio l’agricoltura all’incirca 10.000 anni fa, le attività dell’uomo hanno ridotto il
manto forestale della Terra di almeno un terzo, dal 34% circa dell’intera superficie terrestre al 26%
di cui solo il 12% sono ecosistemi forestali intatti.
Ogni anno scompaiono decine di migliaia di chilometri quadrati di foreste tropicali. La
deforestazione distrugge una risorsa naturale di grande valore in vaste aree del mondo in via di
sviluppo, porta all’estinzione di innumerevoli specie vegetali e animali e potrebbe avere
conseguenze significative sul clima del pianeta.
Una deforestazione così rapida espone i sistemi naturali a rischi gravissimi. Si stima che le
emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera dovute a questa pratica costituiscano dal 15 al 30%
delle emissioni annue totali e diano un massiccio contributo all’Effetto Serra. Inoltre, con la
scomparsa delle foreste tropicali viene rapidamente annientato l’habitat di numerosissime specie
vegetali e animali. Circa metà delle specie del nostro pianeta vive nelle foreste tropicali.
La foresta, contribuisce per oltre il 40% alla produttività primaria, contiene l’80% di tutto il carbonio
epigeo e il 40 % di quello ipogeo, e racchiude una grandissima frazione della biodiversità. La
manomissione dei boschi ha radici profonde; accompagnando lo sviluppo delle civiltà, si è
intrecciata a numerosi fattori economici e sociali. Fra 7500 e 4500 anni fa l’Europa era rivestita in
gran parte da una foresta a prevalenza di latifoglie. Da allora una grande porzione di questa
foresta è andata distrutta a causa del dissodamento agricolo e della pastorizia. Attualmente nei
paesi dell’Unione Europea i boschi ricoprono meno di un quarto della loro superficie potenziale.
Nella penisola italiana l’agricoltura e la pastorizia hanno causato la quasi completa scomparsa
della foresta mediterranea e di quella planiziaria, di cui non rimangono che pochi relitti, la
frammentazione dei boschi collinari e montani e un considerevole abbassamento del limite
altitudinale del bosco. La diversità di struttura e composizione dei boschi di oggi rispetto alle
foreste primarie è pure dovuta alle scelte colturali dell’uomo.
La deforestazione tropicale è fenomeno complesso che ha luogo con modalità variabili da regione
a regione, con cause anche notevolmente differenziate. Schematicamente, tuttavia, queste cause
possono essere ricondotte a due categorie:
1) Cause di tipo interno. Legate alle esigenze energetiche e alle attività agricole delle popolazioni
indigene o dei nuovi coloni.
2) Cause di tipo esterno. Ruotano intorno ad interessi economici di ampia portata (esportazione di
legname verso i paesi industrializzati, allevamento di bestiame su ampie superfici, sfruttamento
di risorse minerarie, esecuzione di opere idrauliche, viarie e di urbanizzazione).
Le influenze della deforestazione tropicale sul clima sono da ricondurre soprattutto al contributo
che essa darebbe all’effetto serra dell’atmosfera, determinato in gran parte dall’aumento della
concentrazione atmosferica di anidride carbonica. A lungo si è pensato che nella foresta tropicale
primaria i flussi di anidride carbonica dall’atmosfera verso la vegetazione, dovuti al processo
fotosintetico, e quelli dalla vegetazione verso l’atmosfera, dovuti alla respirazione, grosso modo si
equivalessero, rendendo quindi la foresta neutra in relazione al contenuto atmosferico in CO2. In
realtà recenti misure, condotte con metodi micrometereologici, indicano che anche la foresta
vergine può rappresentare un termine di assorbimento della CO2: per la foresta primaria della
Rondonia (Brasile) è stata stimata una produzione primaria lorda di 203 moli di C m -2a-1 e una
respirazione sistemica di 195, con un bilancio netto attivo di 8 moli di C m-2a-1, corrispondenti a un
assorbimento di 1 t C per etto all’anno; questo dato risulta però sensibile alla temperatura, da cui
dipende il tasso respiratorio. Comunque sia, è certo che la distruzione della foresta tropicale
innesca processi fortemente dinamici per quanto riguarda il ciclo del carbonio. Infatti, dal quadro
attivo o di sostanziale equilibrio della foresta primaria si passa a situazioni in cui gli scambi di CO2
sono fortemente sbilanciati, in seguito ad intensi fenomeni di rilascio (processi di combustione) o di
assorbimento (ricostruzione della foresta secondaria).
Il rilascio di anidride carbonica che consegue alla eliminazione della foresta tropicale è legato alla
decomposizione dei residui di biomassa legnosa e agli accelerati ritmi di decomposizione cui
vanno incontro, per le mutate condizioni microclimatiche, la lettiera e la sostanza organica del
suolo. Negli ultimi 2000 anni è stato consumato, in seguito ai fenomeni di dissodamento agricolo,
oltre un quarto del carbonio accumulato nel suolo durante le ere precedenti.
Il risultato netto dipende dall’intensità relativa dei vari processi. Dove, per svariati motivi (elevata
pressione antropica, condizioni climatiche sfavorevoli), non si verificano i presupposti per un
ripristino della copertura forestale e della biomassa originale, il risultato del taglio della foresta
tropicale si può tradurre in un rilevante flusso di carbonio verso l’atmosfera. Le previsioni sugli
effetti complessivi del fenomeno non sono tuttavia facili, in quanto esiste incertezza sui tassi di
deforestazione sulla velocità di ricostituzione della copertura forestale, sull’efficienza dei processi
di combustione, sui possibili feed-back negativi che potrebbero favorire l’omeostasi dei sistemi.
Una recente previsione prevede che, nel ventennio 1990-2010, il Brasile rappresenterà, ai tassi
attuali di deforestazione e ricostituzione della foresta secondaria, una fonte di carbonio verso
l’atmosfera di 3-5 Pg. Dal momento che circa il 90% della foresta Amazzonica è a tutt’oggi intatta,
quantità sempre più elevate di CO2 e altri gas ad Effetto Serra saranno rilasciati se il tasso di
deforestazione aumenterà. Un effetto della deforestazione in senso opposto a quello
dell’incremento termico postulato dall’Effetto Serra potrebbe essere determinato da variazioni di
albedo, il cui aumento nelle zone prive di copertura forestale potrebbe ridurre la radiazione netta e
quindi il calore a disposizione dell’ecosistema.
La deforestazione in atto ai tropici può esercitare ripercussioni sul ciclo idrologico e comportare, in
alcune zone, il pericolo della desertificazione. La foresta tropicale è, infatti, una grande produttrice
di nubi e di piovosità: nel bacino del Rio delle Amazzoni l’evapotraspirazione dalla copertura
forestale fornisce un contributo del 50% alle precipitazioni. Una maggiore durata dei periodi
siccitosi può favorire condizioni di maggiore stress idrico, con seri problemi per l’agricoltura e
possibilità di mutamenti verso forme di vegetazione xerofile.
E’ stata avanzata pure l’ipotesi che la deforestazione tropicale possa determinare una diminuzione
della piovosità nelle zone temperate, in seguito all’aumento dell’albedo, che sarebbe responsabile
di una diminuzione dell’evapotraspirazione e di un indebolimento della circolazione atmosferica
generale.
Destabilizzazione del clima globale
Uno dei maggiori rischi climatici, sostanzialmente differente dall’aumento della temperatura e del
livello delle acque, è rappresentato da cambiamenti repentini ed inaspettati del clima. La possibilità
che ciò si verifichi non è alta, ma si tratta di eventi difficili da prevedere, che se avvenissero
avrebbero un impatto molto forte sulla vita del pianeta. Il ristagno della grande corrente oceanica è
uno di questi cambiamenti possibili. La corrente oceanica è una circolazione termosalina provocata
dalla differenza di densità dell’acqua di mare, che è conseguenza della temperatura e della salinità
delle acque. Questa corrente trasporta un’enorme quantità di calore verso nord e crea nell’Europa
occidentale un clima che è superiore in media di otto gradi rispetto alla temperatura media alle
stesse latitudini. Una modifica delle densità delle acque come risultato di un cambiamento
climatico potrebbe portare ad un indebolimento o addirittura a un ristagno della corrente. In questo
caso il clima nell’Europa nord occidentale diventerebbe come quello del Labrador e della Siberia:
più di sei mesi di neve all’anno.
Il modello di circolazione della corrente oceanica è sensibile alle perturbazioni che risultano da
arrivi eccessivi di acqua fredda (precipitazioni, scioglimento di ghiacci) nel Nord Atlantico. I modelli
climatici indicano un aumento delle precipitazioni alle latitudini più alte. Come risultato di queste
precipitazioni, la corrente potrebbe iniziare a ristagnare tra 100-300 anni a partire da oggi. L’arresto
della corrente si avrebbe in meno di dieci anni. I carotaggi sui ghiacci indicano che in passato gli
arresti della corrente hanno provocato abbassamenti della temperatura fino a 7 gradi Celsius.
Questi carotaggi e modelli elaborati indicano che la corrente si ristabilirebbe, ma solo dopo un
periodo che va dai 100 ai 1000 anni (Broecker 1996).
Dopo il lavoro di Broecker del 1996, una serie di gruppi che si occupano di modellazione ha
rilevato una diminuzione nella forza della corrente se si forzano i valori dei gas serra, che
provocherebbe un raffreddamento dell’Atlantico Settentrionale. Il processo sarebbe il seguente: un
aumento delle precipitazioni ad alte latitudini porta ad una diminuzione della concentrazione salina
delle acque di superficie. Al momento, l’abbassamento dei livelli salini nelle vicinanze della
Groenlandia spinge l’acqua tiepida con una minore salinità verso l’Atlantico Settentrionale. Questo
abbassamento a latitudini elevate diminuisce e così potrebbe diminuire la forza di circolazione
della corrente. A lungo termine questa fonte di calore dell’Europa nord occidentale potrebbe
risultare fortemente indebolita.
Wood e colleghi (1999) presentano delle proiezioni relative al riscaldamento dovuto all’effetto serra
elaborate insieme ad un modello climatico, che per la prima volta offre una simulazione realistica
delle correnti oceaniche su larga scala. Lo studio mostra che una delle due maggiori pompe che
guidano la formazione delle acque di profondità dell’Atlantico settentrionale potrebbe fermarsi nel
giro di qualche decennio. Come detto in precedenza, questo evento avrebbe conseguenze
drammatiche per la popolazione e gli ecosistemi dell’emisfero boreale, in particolare per l’Europa.
La destabilizzazione del clima globale ha basse probabilità ma conseguenze difficili da
immaginare. Però, poiché il clima è un sistema complesso, unico e relativamente poco
approfondito, anche questi fenomeni che hanno poca possibilità di avvenire ma che avrebbero un
enorme impatto vanno presi in considerazione.
Collegamenti con Altre Discipline
Questa unità didattica permette collegamenti trasversali con la chimica, fisica, la storia e la la
filosofia.
Verifica finale per l’accertamento degli obiettivi
Verifica e valutazione
Il docente avrà la possibilità di valutare il raggiungimento degli obiettivi specifici dell’unità didattica
da parte degli studenti attraverso una prova oggettiva o strutturata sotto forma di un test con
domande della tipologia: vero-falso, a risposta multipla, di completamento e di corrispondenza o di
abbinamento. Nell’ambito della verifica si prevede una piena trasparenza dei criteri di valutazione
in modo da favorire l’autovalutazione del discente.
Nel procedimento di valutazione il docente seguirà i seguenti criteri: acquisizione dei contenuti
specifici della unità didattica, raggiungimento degli obiettivi minimi, capacità di partecipazione,
attenzione, coinvolgimento, spirito di iniziativa; acquisizione delle capacità logiche, di analisi, di
sintesi, di rielaborazione personale, critiche; capacità di migliorare il processo di apprendimento
rispetto al livello di partenza; modalità di svolgimento del lavoro sviluppato in aula; esame dei
questionari proposti.
I risultati ottenuti dalla verifica effettuata consentiranno di formulare un giudizio complessivo per
ciascun alunno; inoltre consentiranno di attuare interventi mirati di recupero e potenziamento,
utilizzando strategie diverse da quelle adottate precedentemente.
Il potenziamento è finalizzato alla valorizzazione delle eccellenze, ed è indirizzato agli allievi che
hanno raggiunto gli obiettivi specifici.
Il recupero mira a facilitare il raggiungimento degli obiettivi ed è indirizzato agli allievi che non
hanno raggiunto tali obiettivi.
Esempi di prove oggettive
Domande a risposta multipla: segna con una crocetta la risposta corretta fra quelle proposte. Ad
ogni risposta esatta viene attribuito un punteggio di punti 1:
Una carta equivalente mantiene inalterato
Gli aerosol atmosferici sono costituiti da
a)sostanze allo stato solido
b) soluzioni concentrate
c) sostanze allo stato aeriforme
d) sospensioni di sostanze allo stato liquido e solido
Domande a completamento. Completa inserendo i termini corretti scegliendoli tra quelli proposti
(totale punti 5):
L'effetto più evidente dell'aumento di anidride carbonica è un ......................... della temperatura
media della Terra. L'effetto serra è un fenomeno naturale che consiste nell'"intrappolamento" di
una radiazione energetica ad opera............................. La presenza attorno ad un pianeta di
un ........................che assorbe parte dei raggi ..................... emessi dal suolo riscaldato dalla
radiazione ricevuta dalla stella ne è un esempio
Domande Vero – Falso. Per ciascuna affermazione indica se vera o falsa. Ad ogni risposta corretta sarà attribuito 1 punto.
Domande a risposta aperta. (punti 5):
Che effetto hanno i fenomeni vulcanici sul clima globale?
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Per le domande a risposta aperta verrà seguito il seguente criterio di valutazione:
capacità di sintesi (1 punto);
comprensione del testo (1 punto); utilizzo del linguaggio specifico (1 punto); livello di padronanza delle tematiche (2 punti).
Valutazione
Il punteggio massimo è di 30 punti. La sufficienza viene raggiunta con un punteggio di 18 punti. I
punteggi potranno essere calcolati dagli stessi studenti dividendo il punteggio ottenuto dalla prova
con il valore del punteggio massimo e moltiplicando il valore per 10. I valori decimali saranno
approssimati o per eccesso o per difetto all’unità numerica più vicina.
voto Conoscenza dell’argomento
0-3 Nulla o scarsa conoscenza
4 Conoscenza insufficiente
5 Conoscenza Mediocre
6 Conoscenza sufficiente
7-8 Conoscenza buona
9-10 Conoscenza ottima
Saranno previste attività di recupero (≤ 6) o di approfondimento (6,1 – 10)
La tabella Griglia di valutazione complessiva, sarà accompagnata da un grafico esplicativo che
mostrerà la condizione didattica del gruppo classe alla fine dell’Unità didattica.
Attività di recupero e di approfondimento
In base al risultato conseguito dai singoli alunni nelle prove di verifica, l’insegnante predisporrà
delle attività di approfondimento per potenziare le conoscenze degli alunni che hanno conseguito i
migliori risultati e delle attività di recupero per quelli che hanno evidenziato incertezze e lacune
sugli argomenti trattati.
L’attività di approfondimento riguarderà momenti in cui gli alunni verranno coinvolti nella
costruzione di mappe concettuali. Gli alunni che, invece, hanno evidenziato particolari lacune o
difficoltà di inserimento nel percorso didattico, saranno coinvolti in un’attività di recupero così
strutturata: ripetizione da parte dell’insegnante o dei compagni dei concetti ancori poco chiari,
rielaborazione dei concetti attraverso la somministrazioni di ulteriori test di verifica con tabelle,
schemi e l’ausilio del libro di testo.
GRIGLIA DI VALUTAZIONE COMPLESSIVA
Prerequisiti ObiettiviInteresse mostrato
Comportamento
domande domande livello livello
Alunno Tot. Tot. Tot. Tot. TOT.
AA
BB
CC
…
Il comportamento verrà valutato sulla base alla “Tabella di valutazione del comportamento”
esplicata in seguito.
I tre livelli di giudizio verranno valutati singolarmente in modo da evidenziare il miglioramento
ottenuto dal livello iniziale dei prerequisiti a quello finale riguardante gli obiettivi. Il comportamento
darà una stima del livello di partecipazione e dell’impegno del singolo studente.
I tre livelli di giudizio verranno accorpati in un voto finale espresso in trentesimi.
TABELLA DI VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO
Comportamenti Livelli Voto in decimiPartecipazione: costruttivaImpegno: notevoleMetodo: elaborativo
A 9-10
Partecipazione: attivaImpegno: notevoleMetodo: organizzato
B 8
Partecipazione: recettivaImpegno: soddisfacenteMetodo: organizzato
C 7
Partecipazione: da sollecitareImpegno: accettabileMetodo: non sempre organizzato
D 6
Partecipazione: dispersivaImpegno: discontinuoMetodo: mnemonico
E 5
Partecipazione: opportunisticaImpegno: deboleMetodo: ripetitivo
F 3-4
Partecipazione: di disturboImpegno: nullo Metodo: disorganizzato
G 2